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Opere incompiute e decorazioni lisce nell'architettura tolemaica

in: M. Papini (Hrsg.), Opus imperfectum. Monumenti e testi incompiuti del mondo greco e romano, Scienze dell'Antichità 25, 2019, 27–41

e s t r a t t o OPUS IMPERFECTUM Monumenti e testi incompiuti del mondo greco e romano a cura di Massimiliano Papini Comitato scientifico

tto tr a es SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELL’ANTICHITÀ SCIENZE DELL’ANTICHITÀ 25 – 2019 Fascicolo 3 EDIZIONI QUASAR tto tr a es DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELL’ANTICHITÀ Direttore Giorgio Piras Comitato di Direzione Anna Maria Belardinelli, Savino di Lernia, Marco Galli, Giuseppe Lentini, Laura Maria Michetti, Giorgio Piras, Marco Ramazzotti, Francesca Romana Stasolla, Alessandra Ten, Pietro Vannicelli Comitato scientifico Graeme Barker (Cambridge), Martin Bentz (Bonn), Corinne Bonnet (Toulouse), Alain Bresson (Chicago), M. Luisa Catoni (Lucca), Alessandro Garcea (Paris-Sorbonne), Andrea Giardina (Pisa), Michael Heinzelmann (Köln), Mario Liverani (Roma), Paolo Matthiae (Roma), Athanasios Rizakis (Atene), Avinoam Shalem (Columbia University), Tesse Stek (Leiden), Guido Vannini (Firenze) Redazione Laura Maria Michetti con la collaborazione di Alessandro Conti SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA tto tr a es SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA 14-15 MARZO 2019 OPUS IMPERFECTUM Monumenti e testi incompiuti del mondo greco e romano a cura di Massimiliano Papini Comitato scientifico Andrea Cucchiarelli, Elena Ghisellini, Giuseppe Lentini, Massimiliano Papini, Giorgio Piras tto tr a es INDICE M. Papini, L’incompiuto nel mondo antico tra archeologia e letteratura: un’introduzione . . . IX M. Papini, Non lavorato, non rifinito, non scanalato, non levigato: edifici incompiuti del mondo greco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 G. Marginesu, Il compiuto e l’incompiuto nelle iscrizioni edilizie greche d’età classica: questioni di metodo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 M. Grawehr, Opere incompiute e decorazioni lisce nell’architettura tolemaica . . . . . . . . . . . . 27 S. Borghini – A. D’Alessio, Il “non-finito” nell’architettura antica: la forma del cantiere che trasmuta in estetica?. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 Y.A. Marano, Imperfectum adhuc: edifici incompiuti e attività edilizia in Asia minore tra Traiano e i Severi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 M. Milella, Il non-finito nella decorazione architettonica romana a Roma . . . . . . . . . . . . . . . 69 D. Esposito, Esempi di “non-finito” nella decorazione parietale delle città vesuviane . . . . . . 85 A. Anguissola, L’immagine della completezza nella scultura greca e romana: due note al gruppo di Ermes e Dioniso da Olimpia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101 E. Ghisellini, Il non-finito nella scultura ellenistica tra motivazioni tecniche ed esiti formali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117 M. Cadario, Osservazioni sul “non-finito” e/o “non-visibile” nell’arredo scultoreo nel mondo romano. L’influenza di collocazione e tipologia sulla prassi degli scultori . . . . . . . . . . 131 C. Mascolo, Non “guardarsi in faccia”: volti “non finiti” sui sarcofagi di età imperiale . . . . . 149 L. Faedo, L’incompiuto, l’incompleto e i liniamenta reliqua: sguardi sull’arte antica tra XV e XVIII secolo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165 F. Camia, Incompiuto, imperfetto e provvisorio nell’epigrafia greca: considerazioni sulla realizzazione delle iscrizioni nel mondo greco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179 S. Orlandi, Perficere, consummare, ampliare… diversi aspetti del non-finito nell’epigrafia latina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 191 L. Del Corso, Libri incompiuti e testi senza confini: contraddizioni e paradossi della produzione testuale antica alla luce delle testimonianze papiracee . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 203 G. Lentini, Appunti per una storia dell’“imperfezione” di Omero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 217 L. Sbardella, Non finito o non finibile? Riflessioni sul concetto dell’“opera letteraria” e dei suoi confini nella cultura greca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 227 tto tr a es VIII Sc. Ant. L. Lulli, L’immagine del non-finito: riflessioni sull’incompiutezza da Platone al trattato Sul sublime . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 237 G. Agosti, Non-finito o estetica dell’incompiuto? Casi dalla letteratura greca della tarda antichità. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 249 A. Cucchiarelli, Monumenti più forti del fuoco. Incompiuto, immortalità e potere nella poesia augustea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 261 F. Ursini, Il “finale” dei Fasti: un caso di semantizzazione dell’incompiuto. . . . . . . . . . . . . . . 277 A. Barchiesi, Testo e frammento nell’Achilleide di Stazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 287 tto tr a es MATTHIAS GRAWEHR OPERE INCOMPIUTE E DECORAZIONI LISCE NELL’ARCHITETTURA TOLEMAICA* Tra i diversi stili architettonici regionali dell’antichità l’architettura tolemaica rappresenta un caso eccezionale. Si tratta infatti di uno stile bilingue nel quale perdurano la tradizione architettonica faraonica e quella greca, arricchite da innumerevoli e sorprendenti innovazioni. Nell’epoca tolemaica l’architettura di tradizione faraonica1 è caratterizzata da un sempre più frequente impiego della pietra tenera rispetto a quella dura così come dall’utilizzo della muratura con blocchi rettangolari di uguali dimensioni e con regolare alternanza dei giunti verticali. Nella decorazione architettonica si costata un grande interesse per la variazione dei motivi decorativi e per gli effetti cromatici. A partire dal II sec. a.C. nella tradizione greca d’epoca tolemaica appaiono nuove forme decorative come i capitelli floreali, le cornici con mensole a travicello o i frontoncini interrotti. La mescolanza degli ordini architettonici ne diventa un tratto tipico. L’impiego di prospetti architettonici di fantasia, come per es. la facciata interna settentrionale del grande peristilio del palazzo delle colonne a Tolemaide, rappresenta inoltre un’innovazione di questo periodo. Nell’architettura tolemaica si osserva in generale una forte continuità con le epoche successive, motivo per cui nel presente contributo essa è discussa insieme a quella romana. Il non-finito e lo stile impressionistico che lo caratterizza è spesso ritenuto un tratto tipico dell’arte tolemaica. Definendone le caratteristiche in altre categorie quali la pittura o la scultura, Achille Adriani utilizza i termini “atettonicità”, “modellare ad abbozzo” e ne esalta le “tendenze al pittoricismo e all’impressionismo”2. Una simile tendenza si osserva anche nell’architettura tolemaica. L’impiego di effetti ottici per valorizzare il punto d’osservazione dell’architettura si manifesta nella composizione delle facciate e dei prospetti architettonici tramite la minuziosa realizzazione di dettagli quali le guttae in prospettiva distorta o l’inclinazione data ai soffitti degli architravi3. Le presunte caratteristiche impressionistiche di pittura e scultura da un lato e dell’architettura dall’altro potrebbero indurre a paragonarle. Seguendo Adriani, Hans Lauter e Hélène Fragaki hanno tentato di interpretare contesti architettonici d’epoca tolemaica in questo senso. In analogia alle colonne con tenoni delle pitture pompeiane del secondo stile, il primo ha riconosciuto in frammenti di colonne provenienti da Rodi e Cnido un motivo ornamentale caratteristico dell’egeo orientale nel II sec. a.C.4. Più di recente, considerando le caratteristiche di un famoso gruppo di frammenti di un’architettura incompiuta di Alessandria, la Fragaki ha similmente formulato l’ipotesi dell’esistenza di uno stile bugnato intenzionale (in tedesco Bossenstil)5. Queste ipotesi necessitano però di essere messe in discussione. * Ringrazio Cheyenne Peverelli per la traduzione dal tedesco. 1 Per la tradizione faraonica: ARNOLD 1999, pp. 143-224, 298; MCKENZIE 2007, pp. 119-146. 2 ADRIANI 1972, pp. 54, 58-59, 100-101, 137. Per simili osservazioni sulla scultura in bronzo vd. ROLLEY 1983, p. 209. 3 BERGMANN 1988; PENSABENE 1993, pp. 135-138. 4 LAUTER 1983. 5 FRAGAKI 2013, p. 51. Per i frammenti vd. infra. M. Grawehr tto tr a es 28 Sc. Ant. Il presunto stile impressionistico di Adriani non è però solo tipico dell’arte alessandrina, ne esistono esempi in altre regioni6. La celebre tomba di Persefone a Vergina, per es., presenta delle pitture eseguite in uno stile impressionistico e leggero, caratterizzato da tratti fluidi simili a quelli di uno schizzo, motivo per cui la decorazione della tomba è stata spesso ritenuta incompleta7. Anche nell’architettura tolemaica, le tracce d’incompiutezza non dovrebbero essere prematuramente interpretate come intenzionali. Assumendo una posizione neutrale in questa discussione, le pubblicazioni fondamentali di Patrizio Pensabene e di Barbara Tkaczow sull’architettura tolemaica e romana in Egitto presentano esaurienti cataloghi di elementi architettonici che menzionano per es. i numerosi capitelli “schematici”, “geometrizzanti” o “pseudo-nabatei”8 senza però discutere del presunto “gusto per il non-finito”. Ultimamente Pensabene è tornato a occuparsi del tema: li riconosce come “una specifica tradizione di capitelli geometrizzanti”9 riferendosi a contesti architettonici presentati anche più in avanti in questo contributo. Il presente contributo affronta la questione di come nell’architettura si possa discernere tra incompletezza accidentale e intenzionale e si interroga dunque sulle premesse che permettono questa differenziazione. Con il Qasr al-Abd nell’odierna Giordania e una parte delle strutture romane del santuario di Iside a File sono dapprima proposti esempi per le costruzioni rimaste accidentalmente incompiute. Segue la presentazione di alcuni monumenti per cui è possibile postulare l’impiego di uno stile abbozzato intenzionale. In questi ultimi esempi, i contesti architettonici e i materiali impiegati suggeriscono la scelta cosciente dell’impiego di uno stile locale, in un modo però molto diverso da quello proposto da Adriani per l’arte alessandrina. Nel periodo di transizione tra l’epoca tolemaica e quella romana nasce così una tradizione architettonica vernacolare che plasmerà l’architettura egiziana anche nei secoli successivi. ACCIDENTALE O INTENZIONALE? IL CASO DELL’ARCHITETTURA Le forme dell’incompiutezza nell’architettura antica sono molteplici: superfici non levigate, conci con bugne, colonne con tenoni, un apparato decorativo non lavorato, piccoli dettagli tralasciati e molti altri esempi ancora. Confrontati con un singolo blocco di pietra è però spesso impossibile definire se si tratti di un non-finito accidentale o intenzionale, come per es. nel caso delle colonne non scanalate o delle modanature lisce. I casi nei quali si può optare per una delle opzioni sulla base di un singolo elemento architettonico sono molto rari. La trasmutazione delle bugne in forme ornamentali, come avviene per i conci bombati detti anche “a cuscino”, parla in favore di una scelta intenzionale, mentre i piani di posa rimasti incompleti sono indicatori di un’incompletezza accidentale. Nell’architettura tolemaica quest’ultimo caso è illustrato esemplarmente dall’insieme di quarantasette frammenti architettonici ritrovati in diversi contesti secondari ad Alessandria che rappresentano le vestigia di una costruzione di natura sconosciuta datata alla fine del III sec. a.C.10 . La distinzione tra incompiutezza accidentale e intenzionale dovrebbe però normalmente avvenire solo sulla base di un’approfondita analisi del contesto architettonico dell’edificio11. L’ideale è dunque innanzitutto cominciare da un’analisi della châine opératoire del 6 Per la problematica dell’assegnazione di uno preciso stile della scultura di Alessandria vd. HARDIMAN 2013, pp. 203-205. 7 KOCH-BRINKMANN 1999, pp. 93-94. Per lo stile pittorico vd. POLLITT 1974, pp. 327-334; SAATSOGLOU-PALIADELI 2002. 8 PENSABENE 1993; TKACZOW 1993; ID. 2010, pp. 37, 99. 9 PENSABENE 2018, pp. 421-422. 10 HOEPFNER 1971, pp. 55-91; PENSABENE 1993, pp. 213-214, 311-319; TKACZOW 1993, pp. 145-148; FRAGAKI 2013. 11 Un caso esemplare: GIESE 2017. In seguito al Workshop Unfertigkeiten in der römischen Architektur del 26-27 settembre 2016 a Berlino organizzato da B. Geissler e U. Wulf-Rheidt (Architekturreferat des Deutschen Archäologi- Opere incompiute e decorazioni lisce nell’architettura tolemaica tto tr a es 25.3, 2019 29 cantiere interessato: lo studio dei processi di lavorazione dei singoli blocchi può infatti aiutare a riconoscere tra le altre cose gli stadi più avanzati dell’elaborazione dell’edificio, che a loro volta possono corrispondere allo stato finale previsto per una data parete. In un secondo tempo occorre analizzare la collocazione degli elementi architettonici sull’edificio nei diversi stadi di lavoro e domandarsi se essa coincida con il normale processo costruttivo di un cantiere. Solo a questo punto possono essere proposte delle interpretazioni. Nel caso di un’interruzione della costruzione occorre cercarne i motivi, siano essi questioni finanziarie, legate alle circostanze storiche o a eventi causati dalle forze naturali. Anche nel caso di un’incompletezza intenzionale possono esistere diverse spiegazioni. Sono forse da cercare nella semantica di un particolare tipo di costruzione, come per es. le mura sostruttive o le terrazze, ponti e acquedotti, ma anche gli analemmmata dei teatri o le crepidini dei templi12? Oppure si tratta di elementi architettonici vittime della noncuranza poiché posizionati in posizioni poco visibili degli edifici13? O ancora, il fenomeno è forse legato alle particolari qualità del materiale impiegato14? ARCHITETTURE INCOMPIUTE D’EPOCA TOLEMAICA Di seguito si propongono due esempi di architettura d’epoca tolemaica per cui è possibile dimostrare un’interruzione prematura dei lavori di costruzione. Nel primo caso l’edificio in questione – il Qasr al-Abd – è rimasto incompiuto dal punto di vista architettonico e funzionale, mentre nel secondo esempio – File – la costruzione era finita e solo la sua decorazione non completamente elaborata. L’edificio conosciuto con il nome Qasr al-Abd (Fig. 1) rappresenta un caso di studio ideale grazie al suo ottimo stato di conservazione e all’accurata documentazione scientifica esistente in Fig. 1 – Araq al-Amir. Il Qasr al-Abd visto da nord (riprodotto con il permesso di “Phot. Aerial Photographic Archive of Archaeology in the Middle East”APAAMEG_20081014_DLK-0039; foto David Kennedy). schen Instituts), l’autore del presente contributo ha elaborato insieme a J. Giese alcune considerazioni di base sull’argomento, che rappresentano inoltre il fondamento di quanto segue. 12 LUGLI 1957, pp. 208-209; LAUTER 1983, p. 304. 13 THÜR 1989, pp. 87-88; QUATEMBER 2007, p. 106; BAIER 2014, p. 73. 14 GRAWEHR 2017. M. Grawehr tto tr a es 30 Sc. Ant. proposito15, ma non da ultimo anche perché la sua storia è ampiamente documentata dagli scritti di Flavio Giuseppe16. La precisa descrizione dell’autore antico e le testimonianze epigrafiche locali identificano il luogo dove si erge l’edificio come la terra ancestrale dei Tobiadi. Nel 221 a.C., poco prima della morte di Tolomeo III, questa famiglia si assicura la locazione fiscale sulla Siria tolemaica e raggiunge così una notevole ricchezza. Quando i Seleucidi prendono il potere, il Tobiade Ircano approfitta della mancanza di controllo statale, si impossessa del potere nella regione e commissiona il Qasr al-Abd. Nel 175 a.C. Antioco IV sale al trono e riconquista la regione con il suo esercito. Secondo il racconto di Flavio Giuseppe, Ircano si toglie la vita. Il Qasr al-Abd è il suo edificio rappresentativo, quasi un palazzo. La costruzione di forma allungata situata nel mezzo di un paradeisos può essere considerata una delle testimonianze principali dell’architettura tolemaica del II sec. a.C. L’accurata analisi della costruzione svolta negli ultimi decenni da parte dell’Institut français du Proche-Orient permette di ricostruire con una certa sicurezza i processi di elaborazione della decorazione architettonica (Fig. 2) e le condizioni dell’edificio al momento dell’interruzione dei lavori di costruzione17 (Fig. 3). La struttura grezza dell’edificio era completa: l’edificio si ergeva fino al tetto, ciò nonostante mancavano importanti elementi strutturali per il suo funzionamento. La scalinata d’accesso meridionale non era per es. ancora stata aggiunta e i montanti delle porte non erano ancora stati lisciati, rendendo così impossibile il posizionamento di porte. Si può inoltre rilevare la presenza di numerosi elementi architettonici rimasti incompiuti (Fig. 3), molti dei quali si trovano sul lato meridionale dell’edificio ovvero il suo retro, dove pure le sculture erano solo abbozzate. I lavori alla facciata principale – quella settentrionale – erano invece molto più avanzati: non solo le sculture dei leoni erano già state completate, ma era già stata iniziata la decorazione dei capitelli e la preparazione dei fusti delle colonne. Anche gran parte delle superfici murarie era stata levigata. All’interno dell’edificio, il grande triclinio centrale del primo piano era quasi completamente finito, le parti ornamentali della decorazione erano state tutte portate a termine e alcune di esse erano già state dipinte e dorate. La condizione nella quale si trova l’edificio riflette un avanzamento logico della costruzione dall’interno verso l’esterno. In Fig. 2 – Araq al-Amir. Tappe della lavorazione di una colonnetta (elab. M. Grawehr, modificata da WILL - LARCHÉ 1991, tavv. 69-70). 15 WILL - LARCHÉ 1991; LARCHÉ 2005. Ios. ant. Iud. 12. 4. 11. Per gli eventi storici vd. E. WILL - F. ZAYADINE, in WILL - LARCHÉ 1991, pp. 5-35; ROSENBERG 2006, pp. 49-55; F. ZAYADINE, L’histoire des Tobiades, in ETIENNE - SALLES 2010, pp. 15-30. 17 E. WILL, in WILL - LARCHÉ 1991, pp. 93-96. 16 Opere incompiute e decorazioni lisce nell’architettura tolemaica Fig. 3 – Araq al-Amir. Distribuzione degli elementi architettonici e scultorei in stato abbozzato (elab. M. Grawehr). Fig. 4 – File, colonnato est, capitelli sbozzati (foto Héctor de Pereda, Philae temple, CC BY-NC 2.0). tto tr a es 25.3, 2019 31 M. Grawehr tto tr a es 32 Sc. Ant. questo caso dunque l’incompiutezza dell’edificio rispecchia il corso logico delle fasi costruttive e si accorda perfettamente al suicidio del committente tramandatoci da Flavio Giuseppe. Le circostanze politiche del caso spiegano inoltre perché nessun successore sia stato in grado di completare la costruzione. Il secondo esempio è offerto dall’importante santuario di File, situato ai confini meridionali del regno tolemaico, del quale interessano qui soprattutto le fasi d’epoca imperiale. In epoca augustea l’ingresso al tempio principale del santuario viene riprogettato: dei portici a est e ovest vengono a incorniciare lo spazio tra la riva meridionale e il primo pilone (Fig. 4). Mentre la costruzione grezza dei colonnati è stata realizzata in una sola fase costruttiva, l’elaborazione delle decorazioni architettoniche e dei rilievi si è protratta più a lungo, fino a restare incompleta18. Nel colonnato ovest (Fig. 5), tutti i capitelli sono decorati; solo l’ultimo, quello più a sud, non possiede ornamento19. Un graffito demotico su una delle colonne svela il nome dello scultore e le datazioni dei lavori al complesso – un caso più unico che raro. Ci informa così che Thutsotem ha finanziato la decorazione della diciannovesima colonna (contando dal lato sud) e che Baebius, figlio di Nekhtnebf, l’ha eseguita nel 6 d.C. con l’aiuto dei suoi figli20. I contenuti di altri graffiti non riguardano i lavori di costruzione ma fungono da termini ante quos per questi ultimi: 31 d.C. per la nona21 e 34 d.C. per la ventiseiesima colonna22, sempre partendo da sud. L’architrave e i fregi sono inoltre levigati e forniti di rilievi solo nella metà settentrionale. È possibile ricostruire l’avanzamento dei lavori anche sulla base dei rilievi parietali su due registri che si trovano sul muro retrostante (Fig. 5): essi sono infatti dotati di cartigli di imperatori romani23. Sotto Augusto i rilievi vengono elaborati solo nella parte centrale del registro inferiore. Anche qui disponiamo di graffiti che offrono i termini ante quos del 2, 13, 22, 27 e 46 d.C.24. Sotto Tiberio viene aggiunto il resto dei rilievi nel registro inferiore ed è elaborato il registro superiore. La sua parte finale a sud viene poi completata sotto Claudio e Nerone. L’architrave del colonna- Fig. 5 – File, colonnati romani, distribuzione degli elementi architettonici in stato abbozzato e dei graffiti. Sopra: parete retrostante al colonnato con indicazione dell’attribuzione dei rilievi ai vari imperatori romani (elab. M. Grawehr). 18 Per la storia della costruzione di File vd. HAENY 1985; lo stato delle rovine dopo lo scavo e prima del loro smontaggio è documentato da LYONS 1896 e 1908. 19 LYONS 1896, tav. 36; vd. inoltre VASSILIKA 1989, pp. 184-187. 20 GRIFFITH 1937, pp. 46-47, Ph. 27. Tale Baebius diventa in seguito sovraintendente dei lavori a Silsileh. 21 GRIFFITH 1937, p. 45, Ph. 24; CAUVILLE - ALI 2013, p. 57; CRUZ-URIBE 2016, pp. 61-62, GPH 24. 22 GRIFFITH 1937, p. 47, Ph. 28 e 29. 23 Mi baso su PORTER - MOSS 1939, pp. 207-210, e CAUVILLE - ALI 2013, pp. 66-67. 24 2 d.C.: BERNARD 1969, pp. 108-111, n. 150; CAUVILLE - ALI 2013, p. 71. 13 d.C.: GRIFFITH 1937, p. 49, Ph. 41. 22 d.C.: GRIFFITH 1937, p. 49, Ph. 42. 27 d.C.: GRIFFITH 1937, p. 48, Ph. 37; CAUVILLE - ALI 2013, p. 71; CRUZ-URIBE 2016, pp. 69-71, GPH 37. 46 d.C.: GRIFFITH 1937, p. 48, Ph. 36. Opere incompiute e decorazioni lisce nell’architettura tolemaica tto tr a es 25.3, 2019 33 Fig. 6 – File, cosiddetto chiosco di Traiano (da LYONS 1896, tav. 17). to più corto sul lato est è levigato, gli specialisti addetti ai capitelli sono però riusciti a elaborare solo le sei colonne settentrionali, mentre gli altri dieci capitelli sono rimasti in stato sbozzato (Figg. 4-5). A File vi sono anche altri edifici correlati all’ampliamento del santuario in età romana che presentano un simile stato di cantiere. Tra di essi il cosiddetto chiosco di Traiano (Fig. 6), probabilmente cominciato già sotto Augusto25. L’edificio monumentale è una costruzione completa, i capitelli delle sue colonne alte circa 11 m sono decorati. I muri di intercolumnio sono però levigati solo sui lati corti e all’interno dell’edificio. L’aspetto esterno dei blocchi è lo stesso di quello che possedevano al momento del loro posizionamento. Gli unici rilievi eseguiti dell’edificio sono i due che si trovano al suo interno, un’aggiunta d’epoca traianea. In contrasto con il Qasr al-Abd, che è rimasto inutilizzabile e non funzionale, gli edifici a File potevano invece venire utilizzati: solo la loro decorazione è rimasta incompleta. MATERIAL MATTERS E LA NASCITA DI UNO “STILE VERNACOLARE” Come è stato dimostrato tramite gli esempi sopra menzionati, i motivi alla base dell’incompletezza intenzionale possono essere molteplici. Di seguito si discute un fenomeno che l’autore ritiene particolarmente significativo e tipico della decorazione architettonica d’epoca tolemaica e romana, i capitelli cosiddetti pseudo-nabatei26. 25 HAENY 1985, pp. 229-230. Vd. inoltre PORTER - MOSS 1939, p. 250, con bibliografia precedente; LYONS 1908, tavv. 13-14; BRESCIANI - GIAMMARUSTI 2009, p. 291, fig. 12 (rilievo). 26 Oltre a questi, l’architettura tolemaica presenta altre manifestazioni attribuibili allo stile abbozzato. Ne sono un esempio le colonne con tenoni che appaiono nel secondo stile della pittura parietale romana, una tra le varianti utilizzate per rappresentare colonne riccamente decorate, ritenute un motivo ispirato all’architettura costruita d’epoca tolemaica M. Grawehr tto tr a es 34 Sc. Ant. Fig. 7 – File, tempio di Augusto (da BORCHARDT 1903, tav. 3). Il tempio di Augusto a File27 è un edificio finito che presenta una cella in arenaria e un pronaos in granito (Fig. 7). I suoi muri sono levigati e il vestibolo completamente lastricato. Anche i dettagli ornamentali come i dentelli nel geison obliquo del frontone o l’ordine addossato interno sono stati elaborati completamente. L’iscrizione dedicatoria del prefetto Publius Rubrius Barbarus, situata sull’architrave e datata al 13/2 a.C., dissipa ogni dubbio a proposito della completezza dell’edificio28. Ciò nonostante i capitelli corinzi di diorite della facciata principale e quelli dei pilastri angolari in arenaria situati sul retro dell’edificio presentano forme schematiche, che sembrano rappresentare uno stato abbozzato. La forma schematica dei capitelli di File è ben nota nell’architettura del regno nabateo29, motivo per cui essi vengono spesso e volentieri definiti “capitelli nabatei” o “pseudo-nabatei”. Simili elementi architettonici si trovano però non solo a File e in Giordania, numerosi esemplari sono attestati anche in altre parti dell’Egitto e a Cipro30. Proprio i capitelli della facciata del tempio di Augusto hanno numerosi paralleli nel mediterraneo orientale31: tra di loro spiccano gli esemplari di Marina al-Alamein32, impiegati probabilmente a partire dall’epoca augustea. I primi esempi di capitelli abbozzati in stucco si datano al II e I sec. a.C. e occorrono in sepolture ad Alessandria e Plinthine33, mentre i primi esemplari in pietra dalla sicura datazione risalgono circa al 50 a.C. e si (cfr. LAUTER 1983, pp. 287-289). Nel periodo tolemaico e in quello romano si conoscono inoltre diversi esempi di eleganti blocchi bugnati, in particolare nel Fayyum, come a Narmouthis-Madinat Madi (circa 141-96 a.C., BRESCIANI - GIAMMARUSTI 2012, pp. 109-127), a Tebtynis (circa 10 a.C., RONDOT 2004, pp. 159-184), a Karanis (59/60 d.C., BOAK 1933, pp. 50-55, figg. 48, 51), ma anche nella Qurta d’epoca romana (WEIGALL 1907, p. 92, tav. 44). 27 LYONS 1896, pp. 29-30, tavv. 20-21, 47; BORCHARDT 1903; MCKENZIE 2007, pp. 166-168; FAUERBACH - SÄHLHOF 2012. 28 BERNARD 1969, pp. 72-76, n. 140. 29 MCKENZIE 1990, pp. 116-117, 190, diagramma 14. 30 GRAWEHR - BRZOZOWSKA-JAWORNICKA cds. 31 GRAWEHR 2017, pp. 104-105, fig. 2. 32 CZERNER 2009, pp. 2-3, 36-37, 100-102, tavv. 6-7. 33 GRAWEHR 2017, figg. 2a, 2b, 8. Opere incompiute e decorazioni lisce nell’architettura tolemaica tto tr a es 25.3, 2019 35 riscontrano a Petra34. I capitelli sono sempre elaborati in pietra locale, spesso particolarmente dura o tenera. Lo stesso vale anche per le modanature lisce con cui vengono frequentemente combinati. Il materiale impiegato si rivela così uno dei fattori decisivi – material matters! – per la scelta della forma di un dato elemento architettonico35. Le proprietà del materiale non sono però sufficienti a motivare l’impiego di una forma abbozzata, poiché per l’epoca ellenistica e occasionalmente anche in seguito si conoscono esempi di capitelli dall’apparato ornamentale completo provenienti proprio da queste regioni. La scelta dell’impiego di capitelli dalla forma abbozzata deve dunque essere analizzata nel contesto dell’apparizione del commercio del marmo e dell’importazione di capitelli in marmo di grande qualità estetica a partire dal 50 a.C. circa. L’introduzione di uno stile abbozzato per i capitelli in pietra locale può essere interpretata come una reazione alla nuova estetica introdotta dall’architettura romana36. I capitelli privi di ornamento rappresentano l’unica irregolarità dell’architettura del tempio di Augusto a File. Altri santuari nel sud dell’Egitto presentano però la stessa identica caratteristica. Nonostante la sua costruzione sia completa e muri e architravi lisci, tutti i capitelli del tempio di Maharraqa, edificio di dimensioni modeste eretto in stile faraonico in una sola fase di costruzione, sono in forma abbozzata37 (Fig. 8). Benché non sia databile con sicurezza, la costruzione risale probabilmente all’epoca augustea; ulteriori indicatori sono inoltre un cartiglio di Nerone e dei graffiti databili al 117 e al 120 d.C.38. Da Kom Ombo si conosce una serie di capitelli abbozzati datati Fig. 8 – Maharraqa, il tempio nel 1857 (foto Francis Frith, Los Angeles County Museum of Art, Photography M.2005.150.47). 34 FARAJAT - NAWAFLEH 2005. Per recenti discussioni sulla materialità come elemento decisivo dell’architettura vd. GRAWEHR 2017; nella scultura cipriota cfr. FEYFER 2013. 36 GRAWEHR cds. 37 WEIGALL 1907, pp. 93-97, tavv. 45-46; PORTER - MOSS 1951, p. 51; BRESCIANI 1969, tavv. 95-97; ARNOLD 1999, p. 244. 38 GRIFFITH 1937, pp. 15-16; CESARETTI 1985. 35 M. Grawehr tto tr a es 36 Sc. Ant. da Pensabene al I sec. a.C., il cui contesto architettonico è però sconosciuto39. A Douch, l’antica Kysis, il tempio di Serapide, originariamente costruito in mattoni d’argilla, viene ricostruito in pietra in epoca romana insieme ai suoi due piloni. Gli imperatori Domiziano, Traiano e Adriano immortalarono i propri nomi nel tempio: il secondo pilone porta il nome dell’imperatore Adriano, il primo l’appellativo traianeo. Il portico situato all’interno di quest’ultimo presenta cinque colonne con base attica e capitelli abbozzati40 (Fig. 9). Ad Akoris è stato rinvenuto un capitello abbozzato che viene attribuito al vestibolo situato davanti al tempio di Amon e costruito tra il tra il 50 e il 160 d.C.41. Infine, occorre menzionare la cappella di File, dedicata a una divinità sconosciuta e situata a metà strada tra i colonnati d’epoca romana descritte sopra e il cosiddetto chiosco di Traiano42. L’edificio di modeste dimensioni vanta una costruzione ultimata, non presenta però alcuna decorazione e i suoi capitelli sono in forma abbozzata (Fig. 10). La datazione dell’edificio si basa sull’interpretazione dello stesso quale incompleto e lo situa nel II sec. d.C., ovvero nell’ultima fase del santuario. Gli stessi elementi architettonici incompleti occorrono poi in diverse sepolture a Tuna al-Gebel, la necropoli di Hermopoli43. Il fatto che lo stile abbozzato qui descritto ricorra non solo saltuariamente ma addirittura di frequente in importanti santuari come File, Maharraqa, Akoris o Douch è particolarmente degno di nota. Lo stesso fenomeno si riscontra anche a Cipro e nel Levante: nel tempio di Afrodite ad Fig. 9 – Douch, colonnato dietro al primo pilone (foto Nathalie Chatelain). 39 PENSABENE 2018, p. 420; vd. inoltre PENSABENE 1993, pp. 470-471, nn. 690-693, con una datazione al V sec. a.C. CAILLIAUD 1821, pp. 88-89 tavv. 11-13; PORTER - MOSS 1951, p. 294; LAROCHE-TRAUNECKER 2000; REDDÉ 2004, pp. 93, 99, figg. 86-88; PENSABENE 2018, pp. 419-420. In base alla descrizione di F. Cailliaud del 1818, F. Laroche-Traunecker sostiene che i capitelli fossero dipinti. Nel passo interessato Cailliaud descrive però i capitelli situati all’interno del tempio. 41 KAWANISHI - TSUJIMURA 1988, p. 10, tav. 8. 42 LYONS 1896, p. 26 (“unfinished chapel”); HAENY 1985, p. 231. 43 Tempietto funerario 1 (I sec. a.C.), 4 e 5 (II e I sec. a.C.): PENSABENE 1993, pp. 263-267. 40 Opere incompiute e decorazioni lisce nell’architettura tolemaica tto tr a es 25.3, 2019 37 Fig. 10 – File, cosiddetta cappella “di divinità ignota” o “tarda” (da LYONS 1896, tav. 9). Amatunte (circa 70-100 d.C.)44, di Apollo Hylates a Kourion (circa 80-100 d.C.)45, nei templi dell’area di Santa Barbara a Baalbek (circa 15-5 a.C.)46 o ancora a Qala’at Faqra (circa 40-60 d.C.)47 nell’odierno Libano. Tutti questi edifici sono stati costruiti utilizzando materiali locali. La scelta di uno specifico materiale e di precise forme decorative sembra avvenire nel contesto di un cosciente allontanamento dall’estetica dallo stile costruttivo imperiale, fortemente legato al marmo, e denota un particolare riguardo per le tradizioni locali. Si tratta di uno stile di costruzione che non richiede degli scalpellini altamente specializzati e che secondo l’autore può essere definito uno “stile vernacolare”. Nonostante questo stile costruttivo abbia origine nell’architettura del periodo tardo tolemaico, la dicotomia tra stile imperiale e vernacolare sussiste fino in epoca tardo-imperiale e addirittura bizantina, dove capitelli a foglie lisce in stile corinzieggiante coesistono accanto a raffinati capitelli marmorei d’importazione. Matthias Grawehr Università di Basilea [email protected] 44 45 46 47 HERMARY - SCHMID 1985. SCRANTON 1967, pp. 22-25, fig. 16c; SINOS 1990, pp. 145-156, 227-229. HOEBEL 2014, pp. 85-86 fig. 102. 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Only when there are clear indications that the “unfinished” elements were used in a finished building can we speak of an intentional style. To illustrate this, two accidentally unfinished buildings are discussed in more detail: The Qasr al-Abd in Jordan and the Roman colonnades of Philae. In order to contrast this with an intentional style, attention is drawn to the blocked-out Nabatean capitals. Their use is dictated by the properties of the local stone as well as by a deliberate choice. The style, employed for example in colonnades within the temple complexes at Philae, Douch, Akoris, and Maharraqa, can be regarded as a typical vernacular architecture of the late Ptolemaic and Roman East. tto tr a es Edizioni Quasar di Severino Tognon s.r.l. via Ajaccio 41/43 – 00198 Roma tel. 0685358444, fax 0685833591 www.edizioniquasar.it per informazioni e ordini [email protected] ISSN 1123-5713 ISBN 978-88-5491-026-3 Finito di stampare nel mese di marzo 2020 presso Global Print – Gorgonzola (MI)