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Oltre la scuola delle toppe

2020, Tuttoscuola, settembre 2020

Che nel tessuto liso del nostro sistema educativo la tempesta seguita al dilagare dell'epidemia di Corona virus abbia prodotto lacerazioni difficili da sanare non è un segreto per nessuno. Che a tali lacerazioni si sia cercato di reagire mettendo toppe dove è sembrato più urgente, o dove maggiori erano le sollecitazioni del pubblico, è stato chiaro fin dal primo diffondersi del contagio, almeno a chi della scuola non aveva un'idea frazionata, che ne considerasse separatamente compiti e funzioni. Ma, nei mesi trascorsi, anche quanti in un primo momento avevano immerso la testa nella sabbia avrebbero dovuto capire che l'educazione è un'attività complessa, che l'insegnamento, l'apprendimento, l'organizzazione, il personale, le strutture, le procedure, le dotazioni e via seguitando richiedono una capacità decisionale quale può derivare solo dall'elaborazione di un progetto.

Oltre la scuola delle toppe Benedetto Vertecchi Che nel tessuto liso del nostro sistema educativo la tempesta seguita al dilagare dell’epidemia di Corona virus abbia prodotto lacerazioni difficili da sanare non è un segreto per nessuno. Che a tali lacerazioni si sia cercato di reagire mettendo toppe dove è sembrato più urgente, o dove maggiori erano le sollecitazioni del pubblico, è stato chiaro fin dal primo diffondersi del contagio, almeno a chi della scuola non aveva un’idea frazionata, che ne considerasse separatamente compiti e funzioni. Ma, nei mesi trascorsi, anche quanti in un primo momento avevano immerso la testa nella sabbia avrebbero dovuto capire che l’educazione è un’attività complessa, che l’insegnamento, l’apprendimento, l’organizzazione, il personale, le strutture, le procedure, le dotazioni e via seguitando richiedono una capacità decisionale quale può derivare solo dall’elaborazione di un progetto. Ma per elaborare un progetto occorre chiarezza di intenti. Occorre chiedersi quali obiettivi siano irrinunciabili, e in relazione ad essi definire un quadro in cui si specifichi ciò che è necessario e ciò che è preferibile. Non starò qui a lamentare il tempo perduto, anche perché è poca cosa se si considera da quanti decenni si collega il progresso dell’educazione ad adeguamenti sul piano politico, della conoscenza e delle pratiche che non ci sono stati. La svolta drammatica intervenuta durante l’inverno scorso richiede tuttavia che si rifletta sul carattere strategico, in generale nella vita sociale, e in particolare in quello educativo, che assume la disponibilità di una riserva di capacità interpretative e operative. Costituire tale riserva comporta un impegno costante nella ricerca e nell’innovazione: in altre parole, non ci si può rifugiare nella stanca ripetizione di formule di senso comune, espressione di una sapienza il più delle volte intrisa di pregiudizi, che impedisce di adeguare le proposte educative al mutare delle condizioni di esistenza. Si è dovuto prendere atto che proposizioni di senso comune che sembravano corrispondere a un sapere solido e condiviso si sono fuse come neve al sole al primo prospettarsi di condizioni sfavorevoli. Fino a non molti mesi fa parlare di educazione scolastica comportava prestare attenzione a tre principali dimensioni: l’apprendimento, la socializzazione, l’affettività. Si trattava di dimensioni che richiamavano ampio consenso, ma solo perché talmente disciolte nel senso comune che ognuno poteva interpretarle a suo modo. In breve, ad una consonanza apparente corrispondeva una dissonanza effettiva: basti pensare – sono solo pochi accenni – alle controversie sul merito, sui criteri e sulle tecniche della valutazione, a come erano interpretati gli atteggiamenti nei confronti delle proposte didattiche e la disponibilità all’impegno personale, alle relazioni fra pari e a quelle fra insegnanti e allievi nei contesti educativi. Del resto, che si trattasse di un senso comune povero di significati è dimostrato dal fatto che lo stesso repertorio lessicale e espressivo era alla base di interpretazioni fondamentalmente diverse: per esempio, era comune richiamarsi all’esigenza di rispettare la natura degli allievi o i loro interessi, salvo assumere atteggiamenti più o meno esplicitamente censorii quado i comportamenti osservati non corrispondevano a quelli desiderati, suggeriti o imposti. Non c’è bisogno di dimostrare che, in un breve volgere di tempo, le tre dimensioni accennate sono state riviste, talvolta ridefinite e in molti casi del tutto ignorate. Le interazioni personali che sembravano assolutamente necessarie sono state rapidamente declassate non appena soluzioni didattiche a distanza hanno sostituito quelle consuete. Ha carattere difensivo sostenere che il crollo delle interazioni personali è da imputare ad uno stato di necessità, e che esse saranno prontamente ripristinate non appena le condizioni di intervento lo consentiranno. Quel che è vero è che la rapida sostituzione dell’istruzione a distanza a quella a interazione diretta è avvenuta in base a vaghe suggestioni, spesso solo strumentali. In un quadro lacerato è stata inserita una toppa, che però, come suggerisce la saggezza popolare, produce altri strappi. L’equivoco alla base dei provvedimenti di emergenza adottati nei mesi trascorsi è stato quello di ritenere che fosse sufficiente fare affidamento su una diversa soluzione didattica per proseguire il percorso di educazione formale. Le scuole sono state sollecitate a promuovere una didattica sostitutiva, ma il sistema non ha ridefinito i propri obiettivi in relazione alle diverse condizioni d’intervento, né ha introdotto nei contenuti e nei modi della comunicazione dei messaggi di apprendimento i cambiamenti resi necessari dai limiti intervenuti nelle interazioni fra insegnanti e allievi. Ci si sarebbe dovuti chiedere (ma è una domanda che bisogna continuare a porsi) quali fossero i limiti nell’educazione scolastica che sarebbe stato possibile contrastare meglio con soluzioni a distanza, lasciando che a provvedere a quest’ultima non fossero insegnanti isolati, ma gruppi di progetto appositamente costituiti in vista di un’offerta integrativa di quella abituale. Gli insegnanti sanno bene quanti limiti presenta il profilo culturale che gli allievi vengono acquisendo in un ambiente sociale in cui gli stimoli informali hanno il sopravvento su quelli formali, con effetti regressivi accresciuti da usi impropri dello strumentario tecnologico per la comunicazione. Peggiora l’ortografia, si contrae il lessico, non si esercita la memoria, ci si disabitua ad operare coi numeri, non si legge ad alta voce, non si incentiva la manualità, il rapporto con la natura è, bene che vada, virtuale e via lamentando: non stiamo elencando aspetti preferibili dell’apprendimento, ma richiamando elementi necessari nella costruzione di un profilo culturale che si estenda per la durata della vita. La crisi che stiamo attraversando potrebbe offrire l’occasione per varare un programma straordinario, ma non accidentale. In altre parole, un simile programma dovrebbe avere una sua continuità nel tempo, anche una volta (speriamo presto) superata l’emergenza in atto. Invece di una contrazione delle opportunità di istruzione, dovremmo pensare ad un loro ampliamento, distinguendo una proposta generale, che possa considerarsi di base per tutta la popolazione, da una specifica, da soddisfare localmente rivolgendo l’attenzione a esigenze specifiche, alle condizioni sociali, alle risorse culturali, alla caratterizzazione geografica ed economica dei singoli territori. Quella cui abbiamo fatto riferimento è una nozione progettuale e non consumistica dell’istruzione a distanza. Non si tratta, infatti, di inseguire l’ultima proposta del mercato, e di adeguare il messaggio alle caratteristiche tecnologiche delle nuove risorse, ma di individuale ciò che è necessario per definire obiettivi più avanzati di quelli che si era soliti considerare e di piegare le risorse alle esigenze individuate. C’è un precedente illustre: quello offerto da J.-J. Rousseau con le sue Lettere sulla botanica: si rivolgeva con una proposta di apprendimento organizzata in modo innovativo a tutta l’Europa, e certo non aveva a disposizione le risorse che oggi ci sembrano comuni.