Academia.eduAcademia.edu

STRATEGIE DIDATTICHE PER L'EDUCAZIONE DEGLI ADULTI

2020

Questo breve saggio è stato pensato con l'intento di fornire agli studenti del corso: Strategie didattiche per l'educazione degli adulti, del corso di laurea di Pedagogia e Scienze dell'Educazione e della Formazione della Sapienza, un'introduzione ai temi trattati nelle lezioni.

PIERO PAGNOTTA FLAVIA LAZZARO STRATEGIE DIDATTICHE PER L’EDUCAZIONE DEGLI ADULTI INTRODUZIONE AI CONTENUTI CORSO DI LAUREA DI PEDAGOGIA E SCIENZE DELL’EDUCAZIONE E DELLA FORMAZIONE UNIVERSITÀ SAPIENZA DI ROMA A.A. 2020-2021 “Nessuna altra tecnica di condotta nella vita lega il singolo così strettamente alla realtà come il concentrarsi sul lavoro, poiché questo lo inserisce sicuramente in una parte della realtà, nella comunità umana.” Sigmund Freud 2 1) Il contesto sociale e economico L’istruzione degli adulti è un’intera gamma di attività di apprendimento convenzionale, non convenzionale e informale, di carattere sia generale che professionale, intraprese da adulti dopo aver lasciato il ciclo di istruzione e formazione iniziale. L’Educazione degli adulti è, conseguentemente, l’attività formativa rivolta ad allievi/e di età superiore a quella scolare e con l’obiettivo di fornire una qualificazione che consenta una rinnovata partecipazione alla vita economica e sociale. Le condizioni specifiche del nostro paese, aggravate dalla recente crisi determinata dal Covid, rendono quantomai necessario un impegno intelligente al riguardo. Da tempo, infatti, si rileva un disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, la mancanza di specifiche e richieste figure professionali, la necessità di una trasformazione del tessuto produttivo, la possibilità che la disoccupazione aumenti per la chiusura o la riduzione delle attività di interi settori. Si aggiunga che il nostro paese presenta differenze profonde: di fronte a realtà particolarmente attive ve ne sono dove prevalgono occasionalità, lavoro nero, sottoccupazione. Il fatto è che in Italia esistono due diversi PIL, farne la media è fuorviante perché esiste un PIL 1 e un diverso PIL 2. Il primo, che va bene, è quello della domanda interna privata (esclusa l’edilizia), dei settori produttivi, del commercio e del turismo, del nord-centro Italia. Il PIL 2, che va male, riguarda le costruzioni, i consumi finali della pubblica amministrazione ai diversi livelli, i settori e i servizi pubblici infrastrutturali e di servizio, il Mezzogiorno. Se il PIL1 cresceva l’altro ristagnava. L’Italia, sempre prima della crisi pandemica, aveva un surplus commerciale manifatturiero di oltre 100 miliardi di dollari (2017), era seconda in Europa per valore aggiunto industriale. L’interscambio commerciale tra Lombardia e Germania era superiore a quello tra Germania e Giappone, l’interscambio commerciale tra Veneto e Germania era superiore a quello tra Germania e Brasile. In sostanza industria e agricoltura andavano bene ma la media nazionale era guastata dal settore pubblico incapace di incrementare il suo valore aggiunto, si pensi solo ai disavanzi e inefficienze di Atac e Ama di Roma, e da un Mezzogiorno che non è mai decollato. Ora questa situazione è aggravata dalla pandemia e potrebbe presentare in prospettiva problemi ben maggiori: tanti settori comunque legati alla ristorazione, al turismo, all’intrattenimento, potrebbero ridurre gli occupati quando non ci sarà più il sostegno della cassa integrazione straordinaria e del blocco dei licenziamenti. Si pensi alle tante partite iva, una soluzione che nasconde dipendenti d’impresa mascherati da lavoratori autonomi, privi di garanzia occupazionale. Tutto questo a fronte di centinaia di migliaia di posti disponibili nel tessuto produttivo del Paese, ma che rimangono scoperti anche per mancanza di personale qualificato. Gli istituti tecnici di alta qualificazione, che 3 potrebbero assolvere a parte della domanda, sono pochi e spesso nostre imprese ricercano personale qualificato in altri paesi europei. Occorrerebbe agire su più fronti: proteggere chi si trova senza lavoro non congelando i licenziamenti e concedendo la cassa integrazione - come fatto finora - bensì, come scrive in un recente rapporto l’OCSE1: “con delle politiche di creazione di lavoro, con incentivi all’assunzione, incentivi alla creazione di imprese e promozione degli investimenti … programmi di formazione online e offline possono aiutare le persone in cerca di lavoro e i lavoratori in cassa integrazione a trovare lavoro nei settori e nelle occupazioni relativamente più richiesti e a contrastare il rischio di disoccupazione di lungo periodo.” Il documento ricorda che in Italia: “L’impatto della crisi sulle imprese è stato di intensità e rapidità straordinarie, determinando seri rischi per la sopravvivenza: il 38,8% delle imprese italiane (pari al 28,8% dell’occupazione, circa 3,6 milioni di addetti, e al 22,5% del valore aggiunto, circa 165 miliardi di euro) ha denunciato l’esistenza di fattori economici e organizzativi che ne mettono a rischio la sopravvivenza nel corso dell’anno. Il pericolo di chiudere l’attività è più elevato tra le microimprese (40,6%, 1,4 milioni di addetti) e le piccole (33,5%, 1,1 milioni di occupati) ma assume intensità significative anche tra le medie (22,4%, 450 mila addetti) e le grandi (18,8%, 600 mila addetti)”. E non è tutto: si pensi in prospettiva al costo per spese per gli interessi che potrà gravare sul bilancio nazionale per l’aumento del nostro debito pubblico; bisognerà trovare mensilmente risorse miliardarie. In un Paese che non cresce per numero di abitanti, abbiamo una natalità bassissima, il gettito dei contributi previdenziali dei lavoratori in attività fatica a sostenere la spesa pensionistica2. Come Paese, ci siamo mostrati impreparati alla pandemia da Covid, ma ora ci stiamo preparando ad una eventuale ripresa o a un’altra pandemia? Siamo preparati a far fronte alla crisi economica? Le risposte ad oggi date sembrano piuttosto ricalcare modelli che si sono già mostrati inutili: assumere migliaia di persone senza rivedere i processi - in sostanza risposte quantitative e non qualitative. Si pensi al settore, che qui importa prevalentemente, della formazione: si prospetta l’assunzione di migliaia di docenti, di collaboratori scolastici etc. ma non si parla di contenuti. Eppure sappiamo bene che all’università arrivano tanti giovani che non padroneggiano l’italiano, per non parlare dell’inglese, dell’informatica, della storia, che non hanno le conoscenze di base su cui costruire un’alta qualificazione. Sono giovani destinati alla sottoccupazione, se non interverranno iniziative formative in grado di garantirne un adeguato inserimento nel mondo del lavoro. 1 OCSE- Employment Economic Outlook 2020. Secondo le rilevazioni della CGIA di Mestre attualmente gli occupati sono 22,77 milioni e i percettori di pensioni 22,78 milioni. 2 4 In buona sostanza avremmo la necessità e l’occasione di sviluppare un consistente piano di formazione per adulti; per realizzarlo andrebbero messe a confronto, e reciprocamente adeguate, domanda e offerta di lavoro. Gli addetti alla formazione dovrebbero avere competenze diverse: ovviamente la padronanza della materia specifica da insegnare, una conoscenza approfondita delle modalità, delle problematiche di un tale insegnamento; dovrebbero anche conoscere, per tenerlo nel dovuto conto, il contesto, sociale-economico-culturale, nel quale si deve realizzare l’attività didattica. Possono essere di aiuto a tale fine, tra i molti testi quello dello storico australiano Richard James Boon Bosworth: L’Italia di Mussolini3, e quello di Luca Ricolfi: La società signorile di massa4. Nel primo, l’autore, prendendo spunto da una analisi delle politiche del regime fascista fa discendere una definizione delle caratteristiche del nostro paese offrendo un metodo di confronto tra fatti storici e comportamenti individuali e di gruppo. Nel secondo, l’autore, partendo da dati economici sullo stato produttivo del nostro paese, sulla disoccupazione e l’offerta formativa, ne trae una sollecitazione per la politica a operare in maniera decisa. Bosworth, partendo da una situazione estrema come il fascismo, mette in luce caratteri profondi, risultato della nostra storia millenaria, che hanno generato un paese frammentato, con diversità profonde tra regione e regione, provincia e provincia ma anche da comune e comune. Si tratta di un modo di essere che non è mai complessivamente venuto meno. Anche nelle situazioni peggiori siamo spinti a comportarci secondo modelli culturali acquisiti nel tempo. E non tenerne conto può far naufragare progetti predisposti con le migliori intenzioni riformatrici. A giudizio di Ricolfi ben poco si sta facendo per evitare un radicale assottigliamento della base produttiva del paese; siamo una società con una economia stagnante, con una quota elevata di percettori di rendite, che consuma i risparmi acquisiti, abbiamo una quota di giovani neet5 che sfiora il 20%. Senza politiche accorte un sistema economico fiorente, votato all’export, può regredire in forme catastrofiche; i fattori di successo se non corroborati da investimenti, innovazioni, possono facilmente declinare. Lo sviluppo economico è un fenomeno culturale: dipende dalla disposizione mentale prevalente nelle classi dirigenti, tra gli addetti alle diverse attività produttive e dei servizi, nella società civile. 3 Richard James Boon Bosworth (Sidney, Australia, 1943) docente universitario, Western AustralianOxford-Reading, ha pubblicato molti lavori sulla storia dell’Italia contemporanea Bosworth e tra questi: L’Italia di Mussolini, Mondadori, Milano 2007. 4 Luca Ricolfi (Torino 1950), docente di Analisi dei Dati all’Università di Torino, La società signorile di massa, La nave di Teseo, Milano 2019. 5 Persone, soprattutto di giovane età, che non hanno né cercano un impiego e non frequentano una scuola né un corso di formazione o di aggiornamento professionale. 5 2) Crisi e Formazione degli Adulti Di recente è stato pubblicato un libro che può darci ulteriori indicazioni su quanto potrebbe essere utile una buona formazione, particolarmente una buona formazione per adulti, per uscire dalla congiuntura nella quale ci troviamo. Il saggio di Pietro Ichino L’intelligenza del lavoro (Rizzoli, Milano 2020)6. L’autore si sofferma su un problema misconosciuto o perlomeno trascurato dalle politiche formative: centinaia di migliaia di posti disponibili nel tessuto produttivo del Paese che rimangono scoperti. Unioncamere e ANPAL (Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro) hanno di recente rilevato che circa 1,2 milioni di posti di lavoro, distribuiti in tutti i settori e a tutti i livelli professionali, restano scoperti per mancanza di persone idonee a ricoprirli (leggi: per deficienze del sistema scolastico e del sistema dei servizi al mercato) [174]. Vi sono enormi giacimenti occupazionali inutilizzati. Potrebbero ridurre il livello di disoccupazione e sottoccupazione drasticamente. Ma servirebbero Centri per l’Impiego o strutture simili che fornissero il primo orientamento ai giovani che si accingono ad affrontare il grande e non facile mondo delle aziende. Servirebbero iniziative di riqualificazione professionale per rispondere ad una offerta di lavoro così ingente. Invece la domanda rimane inevasa per la mancanza delle competenze richieste. Siamo di fronte a una domanda poco o male qualificata, alla conseguente disoccupazione o sottoccupazione per i gravi difetti del nostro sistema dell’istruzione, della formazione professionale e, prima ancora, del sistema dei servizi di orientamento scolastico e professionale [195]. Subito prima dello tsunami prodotto dalla pandemia, in Italia, più di un milione di posti di lavoro restavano scoperti per mancanza delle persone dotate delle attitudini e competenze necessarie: sono quelli che nel linguaggio delle scienze sociali si indicano come hard-to-fill vacancies e che, quando in una determinata zona non si presentano in modo isolato, configurano una situazione detta di skill shortage [454]. In molte province del Nord Italia le situazioni di hard-to-fill vacancy pareggiavano quasi il numero dei disoccupati [475]. Delle situazioni di skill shortage si conosceva con precisione non solo la quantità delle vacancies, ma anche il contenuto professionale di ogni posto di lavoro che non si riusciva a coprire [486]. Confartigianato Lombardia da anni pubblica i profili professionali ricercati dai suoi associati e di difficile reperimento, ciascuno con il link a una descrizione più precisa delle mansioni da svolgere e delle attitudini e titoli richiesti, l’indicazione del luogo dove è dislocata l’impresa e una sigla che consente di individuarla [536]. 6 Riportiamo di seguito in corsivo brani del testo di Pietro Ichino tratti dall’edizione on line (le posizioni sono tra parentesi quadre). 6 Nella Città Metropolitana di Milano l’Istat censisce alla fine del 2018 quasi un milione e mezzo di occupati (per la precisione: 1.466.000) e poco più di 100.000 persone in cerca di occupazione (101.000, tasso di disoccupazione di poco inferiore al 7%); nel corso dell’anno, più di mezzo milione di persone (569.000) hanno avuto almeno un’assunzione regolare con contratto di lavoro subordinato; invece, i posti che le imprese hanno avuto difficoltà a coprire sono più di 80.000: precisamente l’82,4% rispetto al numero dei disoccupati. Sono posti di lavoro di cui in genere sappiamo tutto: nome dell’impresa che cerca, luogo di lavoro, qualifica e mansioni [734]. Manca un sistema formativo che sappia guardare fuori da se stesso; anche la formazione tradizionale, quella delle nostre scuole superiori, con le dovute eccezioni, è sempre meno capace di insegnare a esprimere concetti, storia e geografia, le basi della matematica e delle scienze, la capacità di sintesi. Tutti requisiti su cui poter costruire carriere. E se il conseguimento di un diploma di laurea corrisponde ad una formazione di livello assai modesto, per non dir peggio, è solo capace di generare nel giovane la convinzione di poter puntare a occupazioni di un livello nettamente superiore rispetto alle proprie capacità effettive [615]. Purtroppo la gran parte dei corsi finanziati si ripetono di anno in anno, sempre uguali a se stessi. Col risultato che in questi casi il tasso di coerenza tra formazione impartita e sbocchi occupazionali è inefficace: le risorse investite sono spese inutilmente. La conoscibilità del tasso di coerenza tra formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi è indispensabile, innanzitutto, per consentire che il finanziamento pubblico si indirizzi soltanto verso i corsi di migliore qualità [690]. Manca un luogo dove i tanti alla ricerca di lavoro possano trovare chi li informi circa l’esistenza di giacimenti occupazionali inutilizzati e sui percorsi, soprattutto formativi, che possano darvi accesso. Le resistenze, però, sono fortissime: da un lato, strutture preposte alla formazione professionale non gradiscono affatto di essere messe sotto stress, e addirittura minacciate di chiusura, con l’assoggettamento a un controllo rigoroso dei rispettivi risultati; dall’altro lato, in alcuni casi gli assessori regionali competenti potrebbero trarre maggiori vantaggi politici da una distribuzione clientelare dei cospicui fondi pubblici destinati a finanziare la formazione, che da una distribuzione vincolata a indici di qualità obiettivi e precisi [705]. Qualcuno potrà obiettare che l’attivazione di un percorso formativo «su misura», pensato per la singola vacancy, costerebbe troppo. Ma l’obiezione non tiene conto dell’entità – davvero enorme – dei fondi di cui disponiamo per la formazione professionale, erogati per metà dal Fondo Sociale Europeo, per l’altra metà dalle Regioni, che fino a oggi abbiamo speso in modo insoddisfacente, proprio perché non ci siamo curati di concentrare i finanziamenti sulle iniziative necessarie [731]. 7 Andrebbero sfatate anche altre fake news: non è vero, per esempio, che la robotizzazione o l’informatica sottraggano posti di lavoro, richiedono semmai competenze diverse: i Paesi dove ci sono più robot sono anche quelli in cui il tasso di disoccupazione risulta più basso: la Corea del Sud, con 631 robot industriali ogni 10.000 dipendenti, rispetto ai 185 italiani e ai 74 della media globale, ha un tasso di disoccupazione intorno al 4% [407]. Alle considerazioni del prof. Ichino si può aggiungere che tra le cause della mancata corrispondenza tra domanda e offerta di lavoro vi sono anche le basse retribuzioni per neoassunti che frenano tra l’altro i trasferimenti da regione a regione (e qui andrebbe aperta una riflessione sul mancato utilizzo del doppio registro dei prezzi al momento dell’introduzione dell’euro che ha facilitato fenomeni speculativi non certo risolti). Inoltre la prevalenza nel nostro Paese di un tessuto di piccole e medie imprese, spesso a conduzione familiare, condiziona l’assunzione di nuove risorse qualificate per timore di ridisegnare le gerarchie interne. Va anche sottolineato che l’assenza di un sistema duale “scuola lavoro”, presente con buoni risultati in altri Paesi europei, è ulteriore motivo di difficoltà d’inserimento nel mondo del lavoro. La sostanza dell’analisi è sempre la stessa: in mancanza di interventi sulla formazione la domanda e l’offerta non si incontrano per buona sorte. Avere chiare le difficoltà è il solo modo per delineare attività che possano avere esiti positivi; è prioritario che progetti realistici si sviluppino in quegli ambiti che sappiano recepirli e possano fungere da modelli. Si possono prendere a riferimento lavori esemplari di altri paesi europei; predisporre progetti associando più enti locali per favorire nuove infrastrutture; presentare progetti realizzati in comune da enti formativi e imprese per rispondere alla domanda effettiva di competenze; misurare i risultati occupazionali a medio periodo. Non sono strategie facili, ma possono riunire risorse politiche, amministrative e imprenditoriali di un territorio e generare una nuova classe dirigente. Cambiare le nostre cattive abitudini è un vasto programma, ma in una ottica di medio periodo si possono realizzare iniziative che inneschino un circuito virtuoso. 8 3) Caratteri specifici della Formazione degli Adulti Serve buona formazione e particolarmente formazione per adulti. Servono formatori in grado di impartire questa particolare disciplina, che ne conoscano gli aspetti fondamentali dato che formare adulti ha precise regole didattiche, pedagogiche, psicologiche. Non è sufficiente conoscere bene la materia da insegnare, è solo un prerequisito obbligato. Vediamo con ordine. Immaginiamo una classe di allievi adulti, dobbiamo avere presente che si ritrovano per motivi molto seri: sono alla ricerca di una nuova competenza per poter conservare il posto di lavoro o per cercarne uno nuovo; spesso sono stati messi in formazione obbligata dalla loro impresa. In sostanza non sono degli studenti spensierati. Si aggiunga che possono avere alle spalle una carriera di lavoro, capacità che sono state giudicate obsolete ma alle quali sono legati, di cui sono orgogliosi. Ne consegue che il docente può essere visto a dir poco come un estraneo, un elemento di disturbo di un sentire consolidato. Ne discende che prima di iniziare il suo lavoro, il docente (di cui diamo per scontata la competenza sulla materia da insegnare) dovrebbe conoscere quanto meglio è possibile la classe: età, mansioni svolte, qualifiche, formazione pregressa. Deve anche conoscere gli obiettivi formativi per verificare progressivamente i risultati del suo lavoro. La fase di predisposizione del lavoro d’aula è fondamentale per una buona riuscita, sia che si tratti di un ciclo di lezioni e a maggior ragione se si deve approntare un complesso progetto formativo, è necessario comprendere quali sono gli obiettivi di chi commissiona il lavoro. Il formatore o il responsabile dell’offerta formativa deve farsi carico di cogliere gli intendimenti della committenza. Facciamo dei rapidi esempi. Si vuole organizzare un corso di lingua araba: è la committenza che conosce gli allievi, magari degli imprenditori o dei funzionari commerciali che devono trasferirsi in Medio Oriente e vuole che assieme ai rudimenti della lingua vengano insegnate alcune basilari regole comportamentali per operare in un ambiente sicuramente altro. Non si è in presenza di un corso triennale, magari si hanno solo alcuni mesi a disposizione. È allora inutile predisporre lezioni sulla storia della lingua araba, sulla letteratura; vanno previste lezioni brevi sulle usanze: cosa evitare di fare, come comportarsi in una riunione di lavoro, a tavola (evitare per esempio di mangiare o ordinare certi cibi e liquori). Insegnare gli elementi essenziali della lingua araba. È quindi importante condividere con la committenza gli obiettivi che si vogliono raggiungere e predisporre un sistema di misurazione dei risultati per le opportune verifiche in corso d’opera e a fine corso. Va predisposta una prima ipotesi di offerta da sottoporre alla committenza che deve rappresentare il frutto delle proprie competenze professionali e una risposta attenta a quanto ci viene richiesto. 9 Bisogna saper ascoltare la committenza: le richieste di chi ha pensato quella specifica formazione. Per questo, non è sufficiente confrontarsi con il funzionario preposto, bisogna fare il possibile per intervistare il vertice dell’ente/azienda che ha ideato quella specifica formazione. Può fornirci informazioni fondamentali sugli scopi di quella iniziativa, le strategie perseguite. E il formatore, chi deve predisporre il progetto formativo, deve avere una ottima capacità di ascolto! La modalità per arrivare a presentare una proposta definitiva efficace in sostanza è un lavoro da svolgere in più fasi di approfondimento. Se si redige un progetto seguendo un metodo corretto il formatore può successivamente andare in aula avendo chiari gli obiettivi che la committenza persegue e adattarvisi nel modo migliore. Per quanto riguarda le lezioni vere e proprie, si tratta di un lavoro che è l’esatto contrario di una conferenza. Non è sufficiente esporre bene gli argomenti di cui si deve essere padroni ma bisogna coinvolgere gli allievi, farli partecipi, chiamarli progressivamente a collaborare. Certo sistemare l’aula, la logistica (tavoli-lavagne-luminosità etc.), in modo da poter dialogare oltre che insegnare è della massima utilità. Ma non basta, il nocciolo della questione sta nel saper trasmettere la materia, superare le diffidenze, coinvolgere la classe. Il programma didattico va diviso per lezioni, ogni lezione va preparata meticolosamente, calcolandone i tempi per evitare di lasciare fuori, nel computo delle ore a disposizione, argomenti necessari. Il tempo: gli allievi adulti non ne hanno da perdere, tanti hanno famiglia, figli, un lavoro, una preoccupazione e quelle ore dedicate alla formazione devono da subito dimostrarsi ben utilizzate. Un consiglio iniziale per il docente è quello di presentarsi all’uditorio con sobrietà: poche frasi che illustrino perché è lì, le sue qualifiche, senza lungaggini o l’arroganza che è solo una aperta manifestazione di insicurezza. Può essere prematuro chiedere agli/alle allievi/e di autopresentarsi alle prime lezioni ma è utile farlo nella prima fase delle attività per creare un clima solidale di gruppo, per conoscerli, per iniziare a farli esprimere apertamente. E il dialogo docente allievi/e deve diventare progressivamente un’abitudine, un metodo per poter comprendere l’efficacia delle lezioni. È buona regola accettare domande da parte della classe, dedicare uno spazio temporale della lezione ad un aperto dibattito sui contenuti, i problemi incontrati, chiarire argomenti, particolarmente per meglio calibrare il linguaggio del docente al patrimonio linguistico, culturale della classe. Quando la classe è costituita da appartenenti ad un unico ente o impresa è fondamentale che il docente abbia avuto modo, in fase di preparazione delle lezioni, non solo di conoscere i curricula degli allievi ma di comprendere i principi a cui quell’ente o azienda fa riferimento esplicito. Ci riferiamo a quella che viene chiamata “cultura d’impresa”. 10 Edgar H. Schein7 declina la cultura d’impresa come assunti di base che agiscono inconsapevolmente e che definiscono la visione che un’organizzazione ha di se stessa. Superficialmente si potrebbero definire tali assunti di base come lo stile, ma in verità è qualcosa di più radicale, profondo, è l’adattamento trovato per progettare, produrre, vendere, manutenere, attraverso la realizzazione di un complesso sistema umano e tecnologico. L’agire quotidiano in azienda, il dover affrontare i problemi di tutti i giorni, le soluzioni positive adottate si trasformano lentamente in convinzioni e infine in assunti. È un processo naturale, ineludibile, poiché governare persone e con loro affrontare il mercato impone alla leadership aziendale la costruzione di un sistema complesso, richiede di organizzare le risorse umane e lo specifico processo produttivo all’interno di un mood, di modelli comportamentali, di convinzioni. Non è facile dall’esterno individuare la cultura di un’impresa ma nemmeno impossibile e un buon progetto formativo va adattato ai principi che regolano quel determinato ambiente di lavoro. Un esempio banale: se l’azienda favorisce il lavoro in team sarà opportuno assegnare delle attività alla classe suddividendola per gruppi omogenei. Al contrario se l’azienda favorisce una forte competizione interna, l’assegnazione di progetti individuali potrebbe essere più adatta allo scopo. Vi sono modi diversi di articolare le lezioni: si può partire da un caso, analizzarlo e far emergere i contenuti previsti dalla materia di insegnamento; si può optare per lezioni tradizionali sullo stile di una conferenza seguita da una discussione. Molto dipende dall’argomento trattato, dalla materia, dalla predisposizione del docente. Si possono utilizzare entrambi i metodi, separatamente o articolando lo svolgimento: lezioni tradizionali e analisi di casi specifici, esperienze, sempre prevedendo uno spazio alla discussione che è un buon metodo per capire se i risultati via via attesi siano stati conseguiti. Per corsi particolarmente tecnici la riprova non potrà che essere data dalla soluzione pratica di un problema. In ogni caso vanno previste delle esercitazioni come verifica dell’apprendimento; esercitazioni che possono essere costituite da questionari, dalla risoluzione di casi, magari da un caso proposto da un allievo. Gli allievi adulti spessissimo sanno già molto, magari conoscono soluzioni obsolete ma sanno e questo loro sapere va rispettato, va implementato certo. È un fatto che deve costringere il docente a comportarsi con correttezza e il modo migliore è legare i nuovi argomenti alle esperienze pregresse degli allievi. A titolo di esempio: se si tiene un corso sulle conoscenze e comportamenti necessari a ben lavorare in team si possono far emergere esperienze pregresse, fatti che mettano in luce i limiti di una modalità di lavoro che deve essere sostituita da un’altra più efficace e meno alienante. 7 E.H. Schein, Cultura d’impresa, Milano, Raffaello Cortina 2000. 11 Le domande, le discussioni, il dibattito qualche volta sono alimentati da allievi eccessivamente critici, insoddisfatti; è da mettere nel conto. La classe ideale non esiste ed è opportuno mantenere la calma, non alimentare il dialogo prolungato con l’allievo difficile, soprattutto non dimenticare che si ha un compito da portare a termine, un ruolo da assolvere. Certe discussioni che hanno motivazioni che vengono dal vissuto personale vanno interrotte con tatto e magari riprese al di fuori dell’orario di lezione. Fin qui, in questo paragrafo si sono voluti sottolineare alcuni aspetti della formazione rivolta ad adulti, aspetti importanti, ma per una loro più organica trattazione gli studenti e le studentesse del corso devono fare riferimento ai testi d’esame. 12 4) Programmi europei per la Formazione degli Adulti Un aiuto a sviluppare azioni formative per l’educazione degli adulti viene dall’Unione Europea. Si discute molto dei recenti stanziamenti (Recovery Fund - Mes - Sure …) stabiliti a Bruxelles per far fronte alla crisi economica e sociale provocata dalla pandemia ma è forse opportuno provare a districarsi in una materia sicuramente complessa. Prima dei nuovi provvedimenti la situazione dell’Italia era, a grandi linee, la seguente: il nostro Paese versava annualmente nelle casse della U.E. circa 3 miliardi di euro. Eravamo un Paese contribuente netto dopo RFT e Francia: versavamo una media annua di 13 miliardi di euro e ricevevamo una media annua di 10 miliardi, una quota dei contributi versati venivano riaccreditati come Fondi Europei allo sviluppo; con lo stesso meccanismo, la Spagna riceveva mediamente 11,5 miliardi e versava 9,5 miliardi, la Polonia 12 miliardi ricevuti e 3 versati. Se andiamo a vedere il contributo pro capite al bilancio europeo, la differenza tra le risorse versate all’U.E. e quelle riaccreditate a ciascuno Stato dall’U.E., nel periodo 2007 - 2013, il maggior sostenitore pro capite è stato il Belgio con 1.714 euro, poi i Paesi Bassi 1.569 euro, la Danimarca 1.346 euro, la Svezia 1.195 euro, la Germania 1.034 euro, il Lussemburgo 997 euro, il Regno Unito 759 euro, la Francia 707 euro, la Finlandia 689 euro, l’Austria 674 euro, l’Italia 623 euro e Cipro 197 euro. Gli altri 17 Paesi sono stati percettori netti: uno spagnolo ha ricevuto 355 euro, un polacco 1.522 euro, un portoghese 2.100 euro e un greco 2.960 euro. Per quanto riguarda i fondi riaccreditati, i così detti Fondi Europei, l’Italia ha ricevuto una dotazione totale per il periodo 2014-2020 di 73,66 miliardi di euro; ma questa cifra è composta da una assegnazione di 42,7 miliardi di euro e un cofinanziamento da parte nostra di 30,96 miliardi di euro. Questi erano i numeri sostanziali; vi erano anche altri Fondi gestiti direttamente da Bruxelles cui potevamo concorrere ma il loro valore non modifica lo scenario sopra riportato. È anche vero che nel calcolo complessivo andrebbero aggiunti altri valori: per esempio i benefici e i costi dell’ospitare sedi europee; uno studio dell’ING ha stimato che i Paesi Bassi guadagneranno circa 300 milioni di euro dalla costruzione del nuovo quartiere EMA e la cifra non considera l’impulso per il settore farmaceutico, l’indotto generato ospitando una struttura di tale livello. Forse, i nostri rappresentanti dovevano sostenere meglio la proposta di spostare l’EMA a Milano. Per quanto riguarda i Fondi Comunitari assegnati all’Italia nel periodo 2013-2020, essi sono divisi per capitoli di intervento, in particolare si tratta di 20,7 miliardi di euro per investimenti in opere strutturali (FESR), 10,4 miliardi di euro per formazione e ricerca (FSE), 10,4 miliardi di euro per l’agricoltura (FEASR). Vi sono anche altri settori finanziati ma ci limitiamo ai principali. È da 13 notare che sul totale di tale ammontare ben il 23% è riservato alle regioni più arretrate economicamente, in particolare al nostro Mezzogiorno. Va però chiarito un punto fondamentale: l’ammontare complessivo, che comprende il cofinanziamento operato dallo Stato centrale italiano, è lasciato prevalentemente in gestione e attuazione alle Regioni che, sotto la vigilanza della U.E., si occupano degli obiettivi da realizzare e quindi della stesura ed emissione dei bandi di gara che regolano l’assegnazione dei fondi a loro disposizione, delle conseguenti attività di controllo e dei pagamenti. E qui la questione si complica. Le risorse che ci sono assegnate non vengono usate tutte, e troppo spesso sono usate male. Siamo scarsi nella capacità di spesa, anche dopo che Bruxelles ha semplificato molte procedure. Ci sono differenze nell’utilizzo delle risorse tra Regione e Regione; troppe iniziative hanno poco a che vedere con lo sviluppo dei territori8. Ora, dopo le recenti decisioni della Unione Europea, l’Italia è diventata un paese percettore netto e solo con l’accordo sul Recovery Fund potrà beneficiare di circa 209 miliardi di euro sotto forma di sussidi (82 miliardi a fondo perduto) e prestiti (127 miliardi che dovremo restituire). Per poter aver accesso a tali risorse, bisognerà prima presentare un programma di attività rispettando le finalità indicate dalla U.E. Lo stanziamento dei fondi è infatti subordinato alla realizzazione di un piano triennale (2021-2023) che l’Italia presenterà entro l’autunno 2020. Fatta questa premessa sui Fondi Europei prima e dopo il Covid, se andiamo a vedere cosa al momento sta facendo l’Unione per la formazione degli adulti c’è da segnalare che, oltre a stanziare risorse che possono essere utilizzate dai diversi Paesi, svolge un ruolo di diffusione di metodologie applicabili alla realizzazione di formazione ad hoc, redige rapporti che consentono utili riflessioni e magari implementazioni dei programmi dei singoli paesi. A solo titolo di esempio segnaliamo alcune di queste attività: ➢ EPALE è una community europea multilingue e a iscrizione aperta di professionisti dell’apprendimento degli adulti: formatori, personale che si occupa di orientamento e sostegno, ricercatori, accademici e responsabili delle politiche. EPALE è finanziato dal programma Erasmus+ e, per sostenere e potenziare le professioni del settore dell’apprendimento degli adulti, permette ai suoi membri di entrare in contatto e di imparare dai colleghi di tutta Europa grazie a una piattaforma appositamente predisposta. La 8 Facciamo qualche esempio: il progetto Giovani Eccellenze Lucane ha finanziato 76 assegni di ricerca a altrettanti giovani laureati in sette centri di ricerca lucani riconosciuti, per una spesa totale di 2.538.700 euro, 33.400 euro per persona. Il progetto aveva un orizzonte di un anno: finito l’anno, gli assegnisti si sono ritrovati senza lavoro. In sostanza è stato un sussidio temporaneo di disoccupazione per 76 cittadini lucani. 14 community raccoglie 44.000 iscritti, 5.000 in Italia, è una vetrina per le idee, un luogo di incontro per scambiarsi esperienze, idee, predisporre iniziative formative. ➢ Il CEDEFOP, Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale, è un’agenzia dell’Unione europea che ha anche il compito di analizzare il problema della formazione degli adulti nei diversi paesi comunitari e di finanziare progetti specifici; pubblica ricerche di sicuro interesse (si veda per esempio: Cedefop: Empowering adults through upskilling and reskilling pathways. Volume 1: adult population with potential for upskilling and reskilling, Luxembourg: Publications Office of the E.U., Cedefop reference series, n° 112, http://data.europa.eu/doi/10.2801/475393.) e in Italia sta approntando un Progetto rilevante con il nostro Ministero della Pubblica Istruzione. ➢ Di recente è stato pubblicato un rapporto sull’educazione degli adulti in Europa con un importante capitolo dedicato al nostro Paese; il documento: The Education and Training Monitor 2019 è stato predisposto dalla Direzione Generale per l’Istruzione, la Gioventù, lo Sport e la Cultura (DG EAC)9; il documento evidenzia tra l’altro quanto di seguito: “L’Italia investe molto al di sotto della media UE nell’istruzione, in particolare nell’istruzione superiore. L’apprendimento con lavoro obbligatorio nell’istruzione e formazione professionale potrebbe contribuire a fornire una formazione più strutturata per gli apprendisti e facilitare il passaggio dall’istruzione al mondo del lavoro. Il livello di istruzione universitaria (compresi tutti gli studi che seguono e richiedono il diploma di scuola secondaria superiore) è basso e la transizione dall’istruzione al mondo del lavoro rimane difficile, anche per le persone altamente qualificate… [in particolare] L’investimento dell’Italia nell’istruzione è basso e distribuito in modo disomogeneo tra i vari livelli di istruzione. La spesa pubblica per l’istruzione, sia in proporzione al PIL (3,8%) che al totale della spesa pubblica (7,9%), è stata tra le più basse dell’UE nel 2017… Nonostante il miglioramento dei tassi di completamento e della durata media degli studi, il tasso di conseguimento dell’istruzione universitaria (compresi tutti gli studi che seguono e richiedono il diploma di scuola secondaria superiore) in Italia continua ad essere significativamente inferiore a quello del resto dell’UE. Nel 2018, la quota di persone di età compresa tra i 30 e i 34 anni con un tale livello di istruzione è stata la seconda più bassa 9 Con il contributo della Direzione Generale per l’Occupazione, gli Affari Sociali e l’Inclusione (DG EMPL) e della rete Eurydice. La DG EAC è stata assistita dall’Unità Analisi delle Politiche Giovanili e dell’Istruzione, dell’Agenzia Esecutiva per l’Istruzione, gli Audiovisivi e la Cultura (EACEA), da Eurostat, dal Cedefop e dall’Unità Capitale Umano e Occupazione del JCR, Direzione Innovazione e Crescita. 15 dell’UE con il 26,9%, ben al di sotto della media UE del 39,9% ... È particolarmente bassa tra la popolazione di origine straniera, con un 14% contro la media UE del 37,8%. … Il background familiare è un fattore determinante: il 30% di coloro che si sono laureati nel 2018 ha almeno un genitore laureato, una percentuale che sale al 43% per i corsi di laurea quinquennale (ad esempio medicina, ingegneria e diritto) … La percentuale di adulti senza una qualifica secondaria superiore è elevata e la partecipazione all’educazione degli adulti è bassa. Nel 2018, il 38,3% degli adulti italiani di età compresa tra 25 e 64 anni aveva al massimo un titolo di studio secondario inferiore, rispetto alla media UE del 21,9% e solo l’8,1% degli adulti di età compresa tra 25 e 64 anni ha avuto una recente esperienza di apprendimento rispetto alla media UE dell’11,1%. Il basso tasso di partecipazione degli adulti poco qualificati alla formazione (2%) è preoccupante, dato lo squilibrio tra il numero di posti di lavoro che richiedono basse qualifiche (2,5 milioni nel 2017) e il numero di adulti poco qualificati (oltre 12 milioni). Da questi esempi si evince che l’Unione Europea garantisce per la formazione degli adulti finanziamenti, strumenti di lavoro, analisi. Con i recenti stanziamenti le opportunità potrebbero essere ancora più significative. Bisognerà saperle cogliere. 16 5) Che fare? Proviamo a trarre delle conclusioni da questo ragionare: siamo un paese che non brilla per rigore e efficienza delle strutture preposte a coniugare formazione e lavoro; una riprova è l’elevata domanda di figure professionali che da anni rimane inevasa. Le richieste, almeno in alcune importanti regioni, sono dettagliate a livello di singola figura professionale, azienda o ente richiedente. Certo si fa un gran parlare di disoccupazione, di imprese che chiudono le loro attività, di troppi giovani che si devono accontentare di lavori saltuari, mal pagati, ma quando si parla di investimenti nella formazione prevale sempre la logica di aumentare la quantità di docenti e personale amministrativo mentre servirebbero interventi sulla qualità: miglioramenti dei programmi di studio, finanziamenti di IFTS, formazione diffusa e rispondente alla domanda. Si potrebbero utilizzare allo scopo fondi europei per la formazione che rimangono inutilizzati: 20 miliardi. In particolare, è questo che qui ci riguarda, andrebbero previsti corsi di qualificazione e riqualificazione per adulti per garantire la dignità a tanti/e cittadini/e, la sopravvivenza, il rafforzamento, la nascita di realtà economiche. Sappiamo che servirebbe farlo, avremmo anche le risorse ma sul piano generale siamo come imprigionati a ripetere schemi obsoleti, inefficaci. E stiamo rischiando una progressiva regressione sociale e economica. Ma cosa si potrebbe fare in positivo in un tale scenario? È assai difficile, tenuto conto di quali sono le nostre radici, la nostra cultura, che si possa realizzare un grande piano per la riorganizzazione della formazione a tutti i livelli. Ma sarebbe altrettanto sbagliato precipitare nell’immobilismo: nel nostro paese sono state sempre presenti delle minoranze attive e lungimiranti e allora è possibile formulare proposte. L’Accademia deve formare progettisti e formatori per adulti con una preparazione sufficiente ad avviarsi a questa professione. Sul versante delle attività formative sono disponibili e ben utilizzabili rilevanti Fondi europei - possono ben farlo quelle amministrazioni, enti, imprese che su questo versante sono attive da lungo tempo - per soluzioni locali, virtuose, per costruire moduli didattici rispondenti a quella domanda di competenze che restano inevase. Si possono, qualcuno già lo fa, realizzare strumenti di formazione per adulti, veri e propri moduli che riguardino, per esempio, competenze trasversali, cultura linguistica - a partire dall’italiano, esposizione e scrittura ovviamente - lingua inglese, e tanti e diversi corsi riguardanti le moderne tecnologie: utilizzo intelligente di internet e smartphone, applicativi software, predisposizione di pagine web, hardware dedicato, etc. Questi moduli formativi andrebbero messi a disposizione gratuita (cloud) di tutti coloro che volessero utilizzarli, implementarli, insegnarli. L’Italia uscì dall’analfabetismo negli anni 50 del 17 secolo scorso grazie ad una trasmissione televisiva: “Non è mai troppo tardi” del maestro Manzi. Ora dovremmo realizzare, con una quota degli ingenti finanziamenti europei, una sua moderna versione, una biblioteca di facile utilizzo e implementazione cui potrebbero accedere sia aziende di formazione che professionisti del settore per realizzare, assieme a imprese, enti, amministrazioni, corsi per adulti. Una tale progettualità può essere realizzata con l’obiettivo di coniugare domanda e offerta di competenze; potrebbe riunire risorse politiche, amministrative e imprenditoriali di un territorio e se nel panorama nazionale, e a livello di investimenti, rappresentasse una espressione di minoranze sarebbe comunque un importante fattore di crescita. Le svolte positive da noi non sono mai state fenomeni di massa. Un’ultima notazione: di seguito riportiamo due scritti: una lettera del filosofo greco Platone e un breve racconto dello scrittore russo Michail Bulgàkov; da versanti ed epoche diverse parlano in modo implicito di formazione consentendo utili riflessioni a riguardo. 18 6) La lettera sesta di Platone La lettera sesta di Platone10 consente utili riflessioni sul contributo che un approccio filosofico può dare alla formazione, sia per quanto riguarda la metodologia che per i contenuti. Ma andiamo con ordine, è opportuna una breve premessa storica. Platone nacque nel 428 a.C, apparteneva ad una importante famiglia aristocratica, fu allievo di Socrate, la sua giovinezza fu segnata dalla guerra del Peloponneso terminata nel 403 a.C. con la disfatta di Atene, che vi perse un terzo della popolazione ed ebbe distrutta la sua economia. La vincitrice Sparta impose agli ateniesi un governo aristocratico: i trenta tiranni e tra questi Crizia zio di Platone. Chiamato a far parte della nuova classe dirigente Platone se ne allontanò rapidamente sconvolto dalla brutalità dei tiranni. Nel 402 a.C. i democratici rovesciarono il governo oligarchico ed attuarono feroci rappresaglie; lo stesso Socrate fu messo a morte. Platone si allontanò da Atene recandosi forse a Taranto ed in Egitto; ritornò nel 395 a.C. e a quella data si fanno risalire le sue prime opere. Nel 388 a.C. si recò a Siracusa, sperò senza successo di convincere il tiranno locale, Dionisio il Vecchio, ad attuare riforme politiche di buon governo. La politica violenta e instabile delle città greche e delle sue colonie spinse Platone a dare vita nel 387 a.C., ad Atene, ad una sua scuola, l’Accademia, come luogo di riflessione filosofica e formazione di nuove classi dirigenti, persone capaci di esercitare l’arte del governo intesa come corretta amministrazione dei beni comuni. I suoi allievi erano giovani provenienti da tutti i territori di lingua greca. È documentata la presenza anche di due donne; Platone non aveva i pregiudizi di genere del suo tempo, le donne a suo vedere potevano fare parte sia della schiera dei guerrieri che di quella dei governanti. Nell’Accademia si studiava geometria, matematica, fisica, astronomia, concependo la filosofia pervasiva nelle diverse materie, necessaria per avere un modello di lettura della realtà, capacità di interpretare e di agire. Per Platone esistevano fondamentalmente due sistemi di governo: il sistema oligarchico e il sistema democratico. Il primo poteva facilmente sfociare nella dittatura di uno solo, nella tirannia; il secondo poteva degenerare nella demagogia, nella dittatura di maggioranze instabili e irrispettose delle regole. Riteneva che una possibile soluzione a questi pericoli fosse quella di educare un autocrate piuttosto che una moltitudine, per renderlo capace di interpretare il bene ed applicarlo nella società. Sulla scorta di questo convincimento, Platone nella lettera sesta si rivolge a Ermia, tiranno di una città dell’Asia Minore, e a due suoi allievi, Erasto e Corisco11. 10 Tra le opere di Platone che ci sono pervenute vi sono tredici lettere, la critica ritiene autentiche le lettere contrassegnate come sesta e settima. 19 Ad Ermia, scrive nella lettera, riconosce l’importante ruolo di governante, di politico, padrone di una città, che non ha bisogno di ricchezze ma di amici fidati e onesti e per questo gli raccomanda Erasto e Corisco che sono giovani, di cui garantisce l’onestà, dediti con profitto agli studi filosofici. Insomma due studenti modello ma, aggiunge, privi di esperienza, quindi incapaci di distinguere uomini retti da abili manipolatori. Hanno una conoscenza teorica dell’arte di ben governare ma hanno bisogno di fare pratica sotto la guida di persona capace ed esperta. Per Platone non basta aver studiato per diventare dei governanti, serve un periodo di apprendistato, una formazione esperienziale debitamente guidata. Conosce l’importanza di studi che predispongano a una lettura complessa dei fenomeni, ritiene che senza tale capacità il governo non potrà che essere fallimentare. Erasto e Corisco hanno capacità di analisi ma non l’hanno ancora messa in pratica, sono privi di esperienza e, forse, con la predisposizione all’arroganza propria dei filosofi vissuti a lungo con uomini tranquilli e dabbene. Ed è per questo che essi hanno bisogno di aiuto, per non essere costretti a trascurare la sapienza vera e ad occuparsi più che non convenga di quella umana indispensabile. Non debbono assolutamente abbandonare gli studi filosofici, la sapienza vera, ma riservarne un uso ai fatti umani, alla sapienza umana. Invita Ermia ad ascoltare i ragionamenti teorici dei due giovani perché può trarre indicazioni di buon governo ed Ermia è un uomo esperto, è un governante abile, possiede capacità di governo mutuate dall’esperienza ma non ha studiato, approfondito in lunghe discussioni, dialogando tra pari, con uomini intellettualmente onesti, la natura umana, le sue connaturate debolezze, le possibili forme di governo, anche quelle dispotiche. Non ha l’attenzione al di più necessario a ben governare. Tali riflessioni, se sviluppate con diplomazia dai suoi giovani allievi, potrebbero consentire di trovare spiegazione a fatti, a comportamenti e quindi consentire dei progressi nel governo della città. I due giovani brillanti ma inesperti hanno gli strumenti ma non hanno l’esperienza che decodifica, hanno una capacità teorica che si deve tramutare in capacità pratica, che deve essere messa all’opera nel laboratorio umano. Alla capacità teorica si deve aggiungere la capacità pratica. Se i tre destinatari della lettera non dovessero trovare il modo di collaborare, in caso di un possibile conflitto provocato o da un’eccessiva astrattezza teorica, o da un agire irriflessivo, da reciproche 11 È interessante notare che in un periodo successivo Ermia consentì ad Aristotele di aprire una sede dell’Accademia nei suoi territori, ad Axos, e a dirigere questa sede distaccata andarono anche Erasto e Corisco. 20 presunzioni, Platone si propone come mediatore. È convinto che i due mondi hanno bisogno l’uno dell’altro. Ermia deve diventare filosofo per poter leggere e interpretare la complessità del reale, chi ha già tale competenza deve imparare ad utilizzarla per se stesso e per gli altri. In sostanza la filosofia se affiancata a percorsi formativi esperienziali può consentire una lettura della complessità dell’agire umano indispensabile a ben governare una organizzazione umana. È facile trarre da questa lettera indicazioni per l’organizzazione sia di programmi formativi che per una buona metodologia didattica. A titolo di esempio, oggi sviluppiamo la formazione manageriale centrandola su materie di contenuto scientifico ma non insegniamo a comprendere le forze sottese dell’agire umano; costruiamo sulla sabbia. Se fosse sufficiente un buon prodotto, una rete di vendita efficace, politiche di marketing, attenzione ai conti per mantenere sul mercato un’azienda come spiegare tanti fallimenti determinati dall’incapacità di gestire l’insieme? Si pensi al crollo della Gucci: una impresa di rilevanza mondiale distrutta dalle discordie interne, da una ferocia che non si fermò nemmeno di fronte all’omicidio. Servono strumenti di interpretazione della cultura di una organizzazione umana, delle dinamiche distruttive insite nei gruppi di lavoro per poterle governare; bisogna saper riconoscere o creare i fili sottesi che creano una struttura sociale, conoscere l’importanza della relazione tra sé professionale e sé percepito per realizzare una leadership positiva. Un buon MBA va arricchito con studi filosofici. E i programmi di studio necessari a favorire lo sviluppo di tali capacità interpretative vanno commisurati a pratiche esperienziali guidate. 21 Lettera sesta PLATONE A ERMIA, A ERASTO E A CORISCO, CON L’AUGURIO DI STAR BENE Un dio, mi pare, vuole concedervi con benevolo amore e in larga misura, se voi saprete accoglierla, una buona fortuna: perché voi abitate vicini l’un l’altro e siete in grado [d] di prestarvi grandissimi mutui servigi. Ad Ermia, infatti, non occorre copia di cavalli o di aiuti militari d’altro genere, e neppur l’oro accrescerebbe di nulla la sua potenza, ma d’amici fidati e dal cuore sano; Erasto e Corisco d’altra parte, a quella loro bella scienza delle idee hanno bisogno d’aggiungere (lo dico, per quanto sia vecchio) anche la [e] scienza di guardarsi dagli uomini scellerati e malvagi, e, insieme, una certa forza per difendersene. Di questa scienza essi son privi per essere vissuti a lungo insieme con noi, uomini tranquilli e dabbene: ed è per questo che essi hanno bisogno, secondo me, di tale aiuto, per non essere costretti a trascurare la sapienza vera, e ad occuparsi più che non convenga di quella umana indispensabile. E questa appunto, [323a] per quello che ne posso sapere io che non mi sono mai incontrato con lui, mi pare che Ermia la possieda, sia per natura e sia per l’arte che nasce dall’esperienza. Insomma, che cosa voglio dire? A te, o Ermia, io che ho sperimentato più di te Erasto e Corisco, dico e assicuro e garantisco che non troverai facilmente altri uomini che sian degni di maggior fiducia di questi tuoi vicini; e per questo ti consiglio di cercare di farti loro amico in ogni modo, purché giusto, e di considerare quest’amicizia una cosa di sommo momento. A Corisco e ad Erasto consiglio ugualmente di avvicinarsi [b] ad Ermia per stringersi in mutua amicizia con lui. Se poi qualcuno di voi, poi che nulla v’è di stabile tra gli uomini, volesse rompere questa amicizia, prima mandate a me e ai miei amici una lettera per dirmi le ragioni del dissenso. Io penso che i discorsi che vi giungeranno di qui, se la rottura non è grave, vi indurranno meglio d’ogni incantamento, mediante il senso della giustizia e del pudore, [c] a conciliarvi e a unirvi, ritornando all’antica amicizia e all’antica familiarità: quella familiarità che, se tutti, noi e voi, vivremo da filosofi secondo la nostra possibilità e la forza di ciascuno... quello che ora ho predetto si avvererà. Quello che invece accadrà, se non faremo così, non lo dirò, perché voglio fare un buon augurio, e quindi predico che, se dio ce lo concede, tutto ci andrà per il meglio. Questa lettera leggetela tutti e tre insieme, se lo potete: se no, a due alla volta; e fatelo il più spesso possibile, considerandola quasi come il testo di un patto e di una leg-[d] ge inviolabile, com’è giusto: giuratelo con una serietà priva di rigidezza, e con quella giocosità che suole accompagnarsi con la serietà: giuratelo in nome del dio ch’è guida di tutte le cose presenti e future, e del padre signore della guida e della causa, che noi tutti conosceremo, se saremo davvero filosofi, per quanto è dato ad uomini beati. 22 7) M. Bulgàkov e “Il battesimo del rivolgimento” Michail Bulgàkov nacque a Kiev il 15 maggio 1891 e morì, forse a Mosca, il 10 marzo 1940, è stato uno scrittore e drammaturgo autore di capolavori letterari come Il maestro e Margherita; per le sue critiche al regime comunista fu censurato, vessato e infine ucciso. Nel 1916 si laureò in medicina con il massimo dei voti presso l’Università di Kiev. Fu subito inviato a Nikol’skoe nel governatorato di Smolensk, come dirigente medico di un ospedale sperduto nella taiga. Era l’unico medico del circondariato, non aveva mai fatto esperienza e si trovò a far fronte a interventi di grande difficoltà: amputazioni, parti trasversi, tracheotomie. Sono di questo periodo I ricordi di un giovane medico, sette racconti che, con prosa mirabile, descrivono quella sua esperienza. I racconti, tra le altre cose, offrono un interessante punto di riflessione: non è sufficiente avere un titolo, anche guadagnato con merito, per svolgere in autonomia un lavoro. Bisogna continuare a studiare, aggiornarsi, ma non solo: serve sempre un periodo di apprendistato, fare esperienze guidate da chi ha una pratica di lungo corso. 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 BIBLIOGRAFIA Bosworth R. J. B., L’Italia di Mussolini, Mondadori, Milano 2007. Bulgàkov M., Ricordi di un giovane medico (Racconti), Einaudi, Torino 1970. Castagna M., La lezione nella formazione degli adulti, FrancoAngeli, Milano 1998. Castagna M., Progettare la formazione, FrancoAngeli, Milano 1991. Knowles M.S., La formazione degli adulti come biografia, Raffaello Cortina, Milano 1996. Ichino P., L’intelligenza del lavoro, Rizzoli, Milano 2020. Pasquali G., Le lettere di Platone, Sansoni, Firenze 1967. Ricolfi L., La società signorile di massa, La nave di Teseo, Milano 2019. 36