Che si sia o meno d’accordo sul nesso legittimazione sociale-legittimazione epistemologica2, per ciò che riguarda la città del papa
la considerazione di Biagioli sul disinteresse della storiografia per
la categoria di «stato sociale» resta assolutamente attuale. E questo
malgrado un’indubbia rinascita d’interesse per la storia della cultura
scientifica romana3. Il nuovo filone di studi su Roma e la scienza,
che fiorisce da un decennio a questa parte, ha già dato i primi risultati. Ricerche in corso stanno infatti facendo luce sulla teoria e
sulla pratica della medicina, studi sulle accademie (i Lincei e non
solo) hanno permesso di comprendere meglio il contesto sociale ed
intellettuale che ha forgiato lo studio della natura a Roma, molto si
sta scoprendo sullo spazio riservato alla scienza entro gli ordini religiosi non-gesuiti se non «anti-gesuiti». Al contrario, ove si eccettui
il caso degli architetti e delle maestranze di cantiere (in carico ad
un’altra area disciplinare)4, non hanno ancora ricevuto l’attenzione
che meritano le figure sociali e i gruppi professionali strutturalmente
deputati al trasferimento – tecnologico e non – delle conoscenze
matematico-geometriche nella società. Resta tuttora sfocata l’identità del gruppo e, appunto, lo «status» di coloro che esercitavano tra
Cinque e Seicento i mestieri tecnici legati alla progettazione e alla
organizzazione dello spazio e delle infrastrutture, come ingegneri,
agrimensori, geometri, topografi e cartografi, ma anche «argentieri e
orefici», «cartari di carte da gioco e stampatori di fregi», «cristallari e
vetrari», «fornaciari di vetro», «occhialari e occhialonari», «orologgiari», «stampatori di figure e intagliatori di rami», ovverosia quegli
artigiani di precisione tra i quali si confondevano i costruttori di
strumenti scientifici. E altrettanto può dirsi di un gruppo più facilmente identificabile come quello dei pubblici lettori di matematica.
Vorrei qui iniziare a riflettere sullo «status» dei matematici romani, proponendo delle considerazioni assolutamente introduttive
e delle prime, provvisorie, conclusioni di una ricerca ancora solo
agli inizi. In particolare, vorrei iniziare questa riflessione provando a
verificare la pertinenza relativamente al caso romano di alcune delle
ipotesi generali avanzate da Biagioli in riferimento alla situazione
italiana nel suo complesso. È da tener presente che alcune di queste
ipotesi (come, ad esempio, quella relativa alla funzione della corte
rinascimentale e barocca come strumento di promozione sociale)
sono oramai una vulgata storiografica5 e che alcuni dei parametri
impiegati da Biagioli, come gli indicatori della posizione della matematica nella gerarchia socio-retributiva delle cattedre universitarie,
sono quelli che vengono comunemente adottati dalla storiografia
sull’insegnamento delle scienze, da Charles B. Schmitt in poi6.
Vorrei inoltre provare ad utilizzare i – pochissimi – indizî che ho
finora raccolto per cercare di evidenziare le possibili dinamiche sociali e culturali che esistevano tra «matematici» e «meccanici» e, nel
caso, la permanenza di tracce di quel sistema professionale di «caste» che si era andato sfumando verso la fine del Cinquecento. Poiché alla verifica dei fatti (ancora in una fase assolutamente iniziale)
la documentazione relativa alle singole corporazioni di mestiere non
consente di cogliere liti e procedimenti giudiziari interni al gruppo
se pure ve ne furono (come è lecito supporre sulla base di casi analoghi in diverse regioni di Italia), accennerò a queste dinamiche in
relazione ad alcuni casi esemplari, alcuni dei quali già ben noti.
Come sappiamo, il processo di riqualificazione sociale e culturale dell’artista-artigiano nel corso del Rinascimento passa anche attraverso l’accesso di questi «huomini sanza lettere» al testo scritto.
4
5
Federica Favino
Lo status sociale dei matematici romani
nell’età di Galileo. Appunti per una ricerca
In apertura di un importante saggio del 1989, intitolato The Social
Status of Italian Mathematicians1, Mario Biagioli scriveva:
This study stems from the belief that the epistemological legitimation of the mathematical method that characterized the Scientific
Revolution involved and depended upon the social legitimation of mathematical practitioners. Unfortunately ‘social status’ is not an historiographical category that has received much attention by historians
of early modern Italian science. Many scholars have carefully analyzed
Galileo’s work and life but, by comparison, little has been studied of the
socio-professional world of the mathematical practitioners who worked
before or around him.
L’unica serie completa relativa ad un gruppo di matematici di cui disponiamo che possa fornire dati sufficienti ad una prima, introduttiva
e sommaria analisi complessiva è quella dei lettori presso il pubblico
studio cittadino della Sapienza. Disponiamo di questa fonte grazie
alla pubblicazione della serie completa dei rotuli conservati presso
l’Archivio di Stato di Roma, che è stata promossa dal Comitato per la
storia dell’Università di Roma e realizzata da Emanuele Conte7.
Possiamo tentare di far reagire alle ipotesi di Biagioli i dati relativi al periodo 1559-1661; da una parte, il 1559 inaugura una serie
continua di anni e di informazioni (i ruoli precedenti, infatti, riguardano lacunosamente il 1514 e il 1535)8; dall’altra, il 1661 coincide
con la fine dell’incarico dell’ultimo lettore di formazione, per così
dire, galileiana – Antonio Santini – e l’inizio di una fase differente
della cultura scientifica romana, di crescente interesse da parte della
società e di maggior prestigio per i suoi cultori9.
Anche alla Sapienza, come in tutti gli altri atenei italiani, alla metà
del Cinquecento si verifica una svolta importante nell’assetto istituzionale dell’insegnamento della matematica, vale a dire l’estinzione
di una delle due cattedre previste dalla normativa medievale (rispettivamente una cattedra ad astrologiam ed una ad mathematicam) con
l’assorbimento della lettura di testi astrologici ed astronomici nei
compiti del maestro degli elementi di geometria10. Secondo Biagioli, questo fenomeno è da porre in relazione con gli sviluppi nella
tecnologia militare successivi all’avvento dei cannoni e dei bastioni
e al conseguente miglioramento della condizione sociale dei matematici applicati11. Egli deduce tale conseguenza dal fatto che sulla
cattedra di matematica dell’Università di Bologna si avvicendarono
tre matematici – Egnazio Danti, Pietro Antonio Cataldi e Giovanni
Antonio Magini – dai forti interessi per le matematiche applicate
(gnomonica, prospettiva, geografia, ottica) e che a Padova i lettori
(Giuseppe Moleti e Pietro Catena) estesero l’insegnamento non solo
all’astrologia e all’astronomia ma anche alla meccanica, all’idraulica,
alla geografia12. Può il caso dell’università romana essere ricondotto
a questa generalizzazione? Io credo di no e ritengo che quel fenomeno vada rapportato piuttosto alla marginalizzazione dell’astrologia
dall’insieme delle pratiche culturali controllate dalla Chiesa, tanto
più rapida nel cuore dell’istituzione13.
Quanto ai programmi di insegnamento, le pur scarse informazioni di cui disponiamo in proposito non sembrano documentare, dalla
metà del Cinquecento, alcuna svolta verso le matematiche pratiche.
Fino agli anni Trenta del XVII secolo, in generale la lettura si limita
agli Elementi di Euclide, alla Sfera di Sacrobosco e alla Theorica
planetarum di Campano da Novara, materia di un ciclo triennale
di letture destinato a ripetersi con una certa flessibilità. È solo negli
anni Cinquanta del Seicento che si verifica una vera «esplosione»
delle materie di insegnamento: le letture si estendono ai libri 9 e 10
degli Elementi, alla Sfera di Teodosio e all’Almagesto di Tolomeo, e
nel 1652 compaiono per la prima volta in programma «elementi di
geometria pratica e speculativa»14.
Riguardo poi ai lettori, dal 1559 al 1607, vale a dire negli anni cruciali di questa trasformazione, le figure di rilievo che si avvicendarono sulla cattedra romana furono Antonio Maria Pazzi (dal
1559 al 1571), Giovan Battista Raimondi (dal 1574 al 1579) e Luca
Valerio (dal 1603 al 1617). Negli intervalli tra l’uno e l’altro troviamo una figura tradizionale di medico-astrologo, lo spagnolo Pedro
Pomàr15, ed un umanista come Girolamo Marchesetti in transito verso la cattedra, a lui più confacente, di retorica16. A parte Pomàr, che
testimonia della permanenza dell’astronomia/astrologia al centro
dell’insegnamento matematico universitario, né Pazzi né Raimondi
né Valerio nutrirono mai alcun interesse verso le matematiche applicate né mai le praticarono. Essi risultano accomunati invece da
una formazione di impianto filologico e da un forte impegno per
la restituzione dei testi matematici dell’antichità. Sappiamo, infatti,
che Pazzi tradusse dal greco Erone e Pappo oltre che l’Aritmetica
di Diofanto in collaborazione con Raffaele Bombelli17. Raimondi,
animatore dal 1574 della Tipografia Orientale fondata dal cardinal
Ferdinando de’ Medici, tradusse dal greco in latino i Dati di Euclide, commentò il quinto libro delle Collectiones di Pappo, approntò le edizioni in arabo di Avicenna e degli Elementi di Euclide e
6
7
Un’altra pista di ricerca sulla quale ho iniziato a lavorare, dunque,
sono i testi a stampa di argomento matematico pubblicati a Roma tra
XVI e XVII secolo. L’analisi estrinseca del limitatissimo elenco di
libri che ho redatto finora permette di azzardare alcune considerazioni sul profilo e sul peso relativo della cultura matematica romana
del tempo. Allo stesso tempo, i libri ci forniscono un repertorio di
nominativi di mathematical practitioners che altrimenti sarebbero
rimasti per noi ignoti.
1. Matematici teorici
accolse nella collezione medicea il manoscritto arabo delle Sezioni
Coniche di Apollonio in sette libri pubblicato da Alfonso Borelli nel
166118. Quanto a Valerio, che fu per qualche tempo anche membro
dell’Accademia dei Lincei, la sua opera si colloca proprio sul crinale
tra l’assimilazione della tradizione e l’inizio della sperimentazione
di nuovi procedimenti matematici e geometrici19. Se la sequenza di
questi lettori dimostra qualcosa, è piuttosto il contributo che anche
la città del papa diede a quello che Paul Lawrence Rose ha definito
il «Rinascimento italiano delle matematiche»20.
Anche l’esame dell’organico del XVII secolo conferma la tendenza
generale della Sapienza a non reclutare per la cattedra di matematica
personale proveniente dall’esercizio del mestiere. La presenza di figure tradizionali di medici-astrologi come Fabrizio Coccanari (16171621)21 e Andrea Argoli (1622-1627)22 non documenta se non il perpetrarsi della tradizione medievale che assegnava al pubblico lettore
di matematica la compilazione delle efemeridi cittadine. Per il resto, i
lettori che si avvicendano sulla cattedra sono matematici sì competenti
nelle questioni tecniche, il cui «vizio d’origine» però è già stato «sanato» dalla loro condizione di religiosi. Benedetto Castelli, ad esempio,
in cattedra dal 1627 al 1643, uno dei maggiori esperti italiani in materia di idraulica, è un abate dell’ordine benedettino23. La biografia
del suo successore, Antonio Santini, che è un esperto di geometria
teorica e pratica e uno dei primi in Italia a conoscere ed apprezzare la
Géometrie di Cartesio, è propriamente segnata dalla ricerca affannosa
di una stabilità economica e sociale che gli consenta di dedicarsi ai
suoi studi. Dopo un esordio come ragioniere a Venezia, era entrato
nella Congregazione secolare dei Chierici regolari della Madre di Dio
per poi passare a quella regolare dei padri Somaschi che riteneva gli
avrebbe garantito una maggiore stabilità24.
Quella religiosa, come si può immaginare, era una condizione assai
comune per i lettori della Sapienza. Essa poteva comportare per i maestri conflitti drammatici nella gerarchia delle obbedienze, come avverrà ad esempio nel caso dell’abate Silvestrino Domenico Roccamora,
anch’egli lettore di matematica dal 1667 al 1685, sottoposto a durissime vessazioni da parte dei superiori per impedirgli l’esercizio del
suo incarico alla Sapienza25. Questa variabile aveva determinato una
«svalutazione» ulteriore della materia nella gerarchia socio-retributiva
delle cattedre universitarie. Per statuto, il compenso del lettore non
poteva arrivare ai 100 scudi, pari da 1/3 ad 1/6 del compenso riservato
alle «star» come i medici teorici e i lettori di diritto canonico26. Il rap-
porto risulta più favorevole per la fine del secolo precedente, quando
i lettori sono laici e di buona reputazione come studiosi.
Secondo una certa storiografia, la nascita della corte rinascimentale e barocca ha offerto ai matematici una nuova fonte di legittimazione che ha consentito loro di superare le barriere gerarchiche
disciplinari e sociali poste tra i matematici e i filosofi27. Riflettendo
ancora sul caso romano bisogna in primo luogo domandarsi: esisteva
una tale gerarchia tra le discipline liberali universitarie (i documenti
ancora non parlano quanto a quelle interne alle corporazioni di mestiere)? Sicuramente sì. Infatti, a dispetto di un’organizzazione degli insegnamenti in cui, sempre fluttuante il numero delle cattedre,
ciascun lettore aveva completa facoltà di muoversi da una lettura
ad un’altra alla ricerca di una migliore retribuzione28, la cattedra di
matematica, tra XVI e XVII secolo, presenta un’accentuata specializzazione del corpo docente. Quasi nessuno dei maestri matematici
registrati nei ruoli nel periodo in esame, infatti, risulta aver insegnato
alcun’altra materia, tanto meno filosofia naturale, né prima né dopo
il suo mandato in mathematicis. Detto tra parentesi, il posto occupato dalla filosofia (naturale) in questa gerarchia disciplinare era solo
impercettibilmente migliore, essendo comunque la «classe» di filosofia, cui anche la matematica apparteneva, decisamente marginale
rispetto alle facoltà propedeutiche alle professioni29.
Malgrado la sua stretta subordinazione al collegio degli Avvocati
Concistoriali, come è già stato dimostrato con certezza per la metà
del Seicento, l’Università di Roma non costituiva più un’istituzione
autonoma ma, di fatto, un’estensione della corte papale che veniva
condotta secondo rigidi sistemi clientelari dalla famiglia regnante30.
Nonostante il molto lavoro che resta ancora da fare, da ciò che si è
detto finora sembrerebbe che per i matematici romani l’università
non fosse un luogo di riconoscimento sociale subordinato gerarchicamente alla corte, ma piuttosto un’estensione di questa. Proprio
grazie alla tenuta stagna della gerarchia disciplinare, essa poteva offrire ai matematici/cortigiani un surplus di «status» che neppure la
corte pontificia, la corte tra le corti, poteva offrire loro: un’identità
professionale riconoscibile.
8
9
2. Matematici pratici
Uno solo dei lettori di matematica registrati nei ruoli prima del 1650
proveniva e continuava ad operare nel mondo della pratica della
matematica. Il caso di Gasparo Berti, che fu eletto alla successione
di Castelli nel 1643 ma morì subito dopo la nomina senza poter mai
salire in cattedra, rappresenta un’eccezione sotto molti rispetti. Nato
a Roma da una famiglia di origini mantovane, egli dovette avere una
formazione matematica finalizzata alla pratica di un mestiere. Negli
anni Trenta, infatti, fu collaboratore di Francesco Contini, architetto
di fiducia di Francesco Barberini, nei rilievi per l’edizione della pianta di Pirro Ligorio di Villa Adriana e nella descrizione grafica della
«Roma sotterranea» di Antonio Bosio. In questa veste egli divenne
informatore di Cassiano Dal Pozzo, cameriere di Francesco Barberini, mecenate e collezionista, in merito alle possibili acquisizioni di
antichità per la sua celebre raccolta31.
Per un matematico «pratico» come Berti, la cattedra universitaria avrebbe rappresentato davvero un passaggio di «status» dalla
«tradizione della bottega d’abaco» alla tradizione «della medicina
e dell’astrologia»? Grazie alla recente scoperta del suo testamento
e alla messa a punto delle sue connessioni familiari32, possiamo ipotizzare piuttosto il contrario: che, cioè, la sua condizione di «meccanico colto» fosse il felice risultato di una precisa strategia familiare di ascesa sociale, di cui la cattedra universitaria avrebbe rappresentato il compimento. Alla sua morte, che possiamo finalmente
datare al 23 agosto 1643, Berti lasciava una ricca biblioteca di più
di 3000 volumi, specializzata in tutte le branche della matematica
(aritmetica, geometria, astronomia, architettura e fortificazioni, geografia e cosmografia, prospettiva, topografia etc.) e notevole sia
per il suo profilo internazionale che per il suo aggiornamento33. Il
possesso di una biblioteca così fornita (la declamata biblioteca di
monsignor Ciampini, alla fine del secolo, contava all’incirca 7.000
volumi)34 è dunque un segno di distinzione sociale che fa il paio
con «la cultura della curiosità», se non con la pratica del collezionismo, che Berti condivideva con altri architetti (cioè matematici)
suoi contemporanei, come Borromini o Giambattista Soria35. Essa
era anche il segno del successo della strategia di promozione sociale perseguita da suo padre, Camillo, ricco cappellaio nel rione
Parione, attraverso una politica accorta di matrimoni iper-gamici
ripetuti nelle generazioni36.
Il caso di Gaspare Berti è esemplare non solo perché, paradossalmente, fino ad ora il più documentato, ma anche perché la sua
attività apre una finestra sulle dinamiche della collaborazione tra
pratica e cultura «alta» nel processo della scoperta scientifica. Fu lui,
infatti, il primo ad ideare e progettare, prima ancora di Evangelista
Torricelli, un dispositivo meccanico per verificare sperimentalmente
l’esistenza della pressione atmosferica. Alla presenza del padre Minimo Emmanuel Maignan e dei gesuiti Atanasius Kircher e Niccolò
Zucchi, in una data imprecisata intorno alla fine degli anni Trenta
egli condusse uno spettacolare esperimento: grazie ad una lunghissima pipa di piombo attaccata alla facciata della sua casa egli provò
che l’aria ha il peso di una colonna d’acqua di 11 metri e che la natura non teme il vuoto37. Da allora, la sua prova venne ripetuta per
decenni in tutta Europa e diede corso ad infiniti dibattiti filosofici
e metafisici.
Negli anni Quaranta, con l’affacciarsi della fisica sperimentale
nella città del papa (essendo stata quella lincea una ricerca essenzialmente naturalistica), compaiono anche i primi documenti di
una committenza relativa ai nuovi strumenti scientifici, quelli che
permettevano di interagire con il mondo naturale o di riprodurne i
fenomeni. Esplosi i conflitti tra i «novatori» e la Chiesa sui principi
filosofici in occasione del processo a Galileo, la sperimentazione verte a Roma soprattutto sugli aspetti spettacolari, esornativi e curiosi
della natura che le macchine sanno riprodurre. È del 1644, ad esempio, il progetto del padre Minimo Emmanuel Maignan, allora lettore
di matematica e corrector presso il convento di Trinità dei Monti, per
un «gabinetto di matematica» a cielo aperto da realizzare nei giardini
della Villa del cardinal Pamphili38. Di concerto con Virgilio Spada,
elemosiniere segreto e soprintendente alle fabbriche di Innocenzo
X, e con l’architetto Borromini, Maignan progetta di adornare l’edificio con i prodigi realizzabili attraverso le applicazioni ottiche,
catottriche, diottriche, gnomoniche, prodigi già sperimentati dal
Minimo nella realizzazione delle anamorfosi presso il suo convento e presso il palazzo degli Spada39. Borromini non era nuovo alla
collaborazione con i matematici. Già nel 1628 egli aveva realizzato,
insieme ad Agostino Radi, una meridiana «tertacycla» per i giardini del Quirinale, progettata nel 1625 da Teodosio Rossi, un allievo
del gesuita Cristoforo Clavio40. Neppure Maignan era nuovo alla
collaborazione con gli Spada. Negli stessi anni, infatti, egli progettava per il fratello di Virgilio, Bernardino, alcuni strumenti scientifici
(un cannocchiale, un periscopio, una ventola, forse uno strumento
pneumatico e altri curiosi artifici) dei quali resta traccia solo nei conti del falegname Antonio Battaglini che li realizzò materialmente nel
164641. Intorno agli stessi principi acustici e magnetici che si sareb-
10
11
romano, l’aristocrazia degli artigiani di precisione non è autoctona
ma proviene dal Nord Europa. È lecito pertanto attendersi buoni risultati anche dai repertori sugli incisori tedeschi e dalle fonti relative
a questa «nazione».
bero voluti realizzare nel giardino di Villa Pamphili, il gesuita Atanasius Kircher andava progettando alcune delle bizzarre macchine per
il suo museo al Collegio Romano. È però molto difficile penetrare il
processo attraverso il quale il gesuita realizzava o faceva realizzare i
suoi progetti. Chi ha studiato a fondo il problema ritiene che queste macchine fossero «impianti finalizzati ad uno scopo, costruiti ad
hoc da Kircher e dai suoi vari assistenti, tecnici e allievi del Collegio
Romano»42, un’opera collettiva interna al Collegio, insomma, così
come, alcuni anni più tardi, le poche macchine realizzate tra quelle
progettate per il povero museo della Sapienza saranno il frutto della
collaborazione tra il lettore matematico e i suoi confratelli monaci
Silvestrini del convento di Santo Stefano del Cacco43. In entrambi
i casi, si tratta di contatti personali, di continue e pazienti messe a
punto nel corso di colloqui privati che è assai difficile documentare
se non, eventualmente, attraverso atti notarili.
Si tratta dello stesso, impercettibile, rapporto che si instaura tra
l’autore di raccolte naturalistiche e il suo illustratore, come quello,
ad esempio, tra Ulisse Aldrovandi e i «pittori de gli uccelli» da lui
stipendiati per la realizzazione dell’Ornithologia44, quello, per tornare al caso romano, tra Cassiano dal Pozzo e Antonio Tempesta,
Francesco Villamena e Giovanni Maggi per la realizzazione della sua
Uccelleria45, o quello tra gli accademici lincei e Matthäus Greuter per
la realizzazione delle incisioni nell’edizione romana dei Discorsi sulle
macchie solari di Galileo.
Il caso di Greuter, o meglio della sua dinastia, ci porta nel vivo
della questione relativa ai costruttori di strumenti scientifici a Roma.
Come ovunque in Europa, infatti, tra Cinque e Seicento si tratta di
una categoria non precisamente definibile, confusa com’è in mezzo
a quella degli artigiani che lavorano di precisione. Lo stesso Greuter,
ricordato nei cataloghi di strumenti come autore di sfere e globi46,
è studiato piuttosto come incisore (e stampatore)47, così come, per
fare solo un altro esempio, gli eredi della celebre dinastia dei Lafreri,
stampatori di carte geografiche48. Isolando dai repertori complessivi di costruttori italiani i nomi di coloro che furono attivi a Roma
a cavallo tra Cinquecento e Seicento49, si ottiene un elenco di una
trentina di nomi, alcuni dei quali sono di matematici teorici come
i gesuiti Grienberger, Maelcote o come Teodosio Rossi; altri di costruttori ben noti come Greuter, Adam Heroldt o Jakob Luswerg50,
altri ancora di persone non altrimenti note se non attraverso una
ricerca a tappeto nei fondi notarili. È evidente che, anche nel caso
Una terza promettente direzione di ricerca è quella di provare a
penetrare il mondo dei matematici romani attraverso la produzione libraria cui esso diede luogo, con la convinzione che anche da
un semplice catalogo-elenco di testi stampati sia possibile estrarre
un’immagine della cultura scientifica. Molto semplicemente (e molto presuntuosamente) si tratta di procedere come fece Eva R. Taylor
nei suoi pionieristici lavori sui mathematical practitioners attivi in
Inghilterra nel Seicento51. Relativamente a Roma, del resto, questo
tipo di indagine ha già dato buoni frutti nel caso della cultura medica
del XVII secolo52.
Costituisce la base di questa lista il corpus di testi di argomento
matematico compresi nel fondo antico della Biblioteca Angelica di
Roma ed acquisiti dalla fondazione (1605-1614) alla metà dell’Ottocento. Nel catalogo manoscritto ordinato per materia esistente nella
stessa biblioteca, i testi sono ordinati come segue: Scriptores de arithmetica, algebra, geometria, et trigonometria, Scriptores de perspectiva,
astronomia, et alijs cum astronomia connexis, Scriptores de Statica,
Mechanica, Hydrostatica, Architectura civili et militari. Questa base
di dati, del tutto parziale e certamente condizionata dalla lunga dipendenza della biblioteca dall’ordine degli Agostiniani, è stata poi
implementata dal confronto con il catalogo della Biblioteca Vaticana
e con i testi antichi schedati nell’OPAC nazionale53.
Ho scelto di prendere in considerazione solo i testi matematici
editi tra il 1550 e il 1650. Da una parte, una data grossomodo coincidente con la rinnovata organizzazione normativa della Sapienza di
cui si è detto; dall’altra, un anno che segna una sorta di crinale verso
la rinascita a Roma di una «vera» sperimentazione scientifica, volta
cioè allo studio dei fenomeni e non solo alla loro contemplazione,
con il conseguente portato di testi tecnici e matematico-applicativi54.
Ho raccolto finora all’incirca 120 titoli (160 quelli medici a Roma nel Seicento), una cifra assolutamente provvisoria e ben lontana
dal rigore che consenta di trarre conclusioni definitive. In media, la
produzione di testi matematici è molto bassa: 1-2 libri l’anno nella
12
13
3. Libri matematici
seconda metà del XVI secolo, 2-3 nella prima del secolo successivo.
Fanno eccezione i periodi 1585-1590 (nel 1588 se ne pubblicano
addirittura 5) e 1600-1620, in cui la media sale decisamente a 3 con
una punta di 7 titoli nel 1609. L’impennata della prima metà del
secolo è significativa, giacché coincide con il momento più intenso
del dibattito italiano sull’astronomia copernicana. Quanto alla punta
del 1609, si tratta di un’eccezione giustificabile con la recente inondazione del Tevere (3 sono infatti i testi idraulici).
Da questo elenco è inoltre possibile individuare un’editoria, per
così dire, specializzata. Naturalmente, anche i matematici si avvalgono dei «grandi» editori romani, come Mascardi, Facciotti o Bernabò.
Si tratta di autori per lo più «infedeli» che raramente pubblicano con
lo stesso editore, tuttavia in generale è evidente una certa predilezione della categoria per alcuni stampatori, in primo luogo Zannetti (19
titoli), quindi Bonfaldino (6), Antonio Blado (8), Domenico Basa (4)
e Vincenzo Accolti (4).
Nella produzione a stampa esiste una netta superiorità dei testi
tecnici rispetto a quelli teorici: 62 sono i testi di argomento matematico-applicativo contro i 50 di matematica teorica. La differenza sta
anche nel fatto che i teorici pubblicano più di un libro, tra i pratici
chi replica costituisce un’eccezione. I 62 testi di matematiche miste
si possono così ulteriormente raggruppare (in ordine decrescente
a seconda delle ricorrenze): idraulica (15 titoli); fortificazioni (13),
geometria pratica (10), descrizioni di strumenti e del loro uso (8),
nautica (6), ragioneria (4), macchine (4), algebra e aritmetica (2). I 50
libri di matematica teorica come segue: astronomia e astrologia (19),
edizioni e traduzioni di testi classici (16), matematica (5), meccanica
(4), geometria (3), acque (2), fortificazioni (1).
Si tratta, come ho detto, di stime solo parziali e provvisorie dalle
quali è ancora impossibile trarre conclusioni definitive, soprattutto
non prima di aver esaminato tutti gli esemplari. Malgrado ciò, mi
sembra possibile rilevare indicativamente alcune caratteristiche generali della cultura matematica a stampa romana. In primo luogo,
mi sembra che l’editoria riveli le stesse tendenze nella matematica
teorica evidenziate negli stessi anni per la Sapienza. Da una parte,
il primato dell’astrologia e dell’astronomia, materie che non solo
restano ancora al centro dei compiti istituzionali del matematico,
ma che in questa fase della «rivoluzione scientifica» costituiscono
ancora (l’astronomia soprattutto) il principale terreno di contesa
tra «novatori» e tradizionalisti. Dall’altra, i 16 titoli, per così dire,
filologici documentano anch’essi il lungo «rinascimento romano
delle matematiche». Nel caso di Roma, anzi, questo movimento era
destinato a protrarsi particolarmente a lungo. Oramai, negli anni
Sessanta del Seicento, Alfonso Borelli restituirà il testo delle Coniche
di Apollonio proprio grazie alla collaborazione degli Scolopi della
casa professa di San Pantaleo55.
Anche sui testi «pratici» vale la pena azzardare qualche considerazione. La «classifica» tra le materie di interesse rileva un dato
apparentemente ovvio ma che invece non è facile da dimostrare,
ovverosia il fatto che i matematici si dedicavano prevalentemente
alle necessità dello Stato: il regime delle acque (del Tevere in particolare), la tecnica militare e, a quanto sembra, anche la navigazione.
La committenza statuale dei testi di idraulica è evidenziata anche
dal fatto che essi sono pubblicati dai tipi della Reverenda Camera
Apostolica. Quanto ai 10 titoli di geometria pratica, essi confermano
la tendenza difensiva e filosoficamente «neutra» della scienza dopo
la condanna di Galileo, che è già occorso di ricordare. Tra questi
volumi e quelli di aritmetica, inoltre, si trovano anche dei libri di
testo per gli allievi del Collegio Romano e delle scuole di abaco dei
padri Scolopi, un ulteriore documento del maggiore aggiornamento
dell’offerta formativa di queste istituzioni rispetto al pubblico ateneo. È molto interessante, infine, l’esame della letteratura tecnica
«minore». In primo luogo, questi testi confermano un’informazione
già emersa: la provenienza straniera delle maestranze specializzate.
Le introduzioni ai lettori, inoltre, che meritano un esame più approfondito, rivelano da una parte una strategia promozionale ancora in
atto da parte dei practitioners per rivendicare non solo l’utilità ma
soprattutto la liberalità delle matematiche; dall’altra, l’attaccamento
della categoria alla trasparenza e alla condivisione delle conoscenze
tecniche, nel più schietto spirito della «Rivoluzione scientifica».
Semplificando al massimo il discorso di Biagioli, dal XVI secolo
in avanti la promozione sociale dei mathematical practitioners sarebbe legata in un primo momento alle loro competenze militari e
successivamente alle loro doti cortigiane. Indicatori di questo miglioramento sarebbero l’avanzamento relativo della disciplina nella
gerarchia universitaria e l’introduzione delle matematiche applicate
nei programmi di insegnamento. Nel caso della Sapienza, le matematiche «miste» si cominciano ad insegnare negli anni Sessanta, ed
è solo nel 1685 che un practitioner, per la precisione un ingegnere
militare, e questa volta di umili origini, ottiene la cattedra. La dina-
14
15
mica sociale dei matematici, cioè, a Roma sarebbe in ritardo di un
secolo sul resto d’Italia. Un piccolo risultato non improbabile ma sul
quale vale la pena indagare meglio.
M. Biagioli, The Social Status of Italian Mathematicians, 1450-1600, in «History of Science», XXVII, 1989, 1, p. 41.
2 R. Westman, The Astronomer’s Role in the Sixteenth Century: A Preliminary
Study, in «History of Science». XVIII, 1980, 1, pp. 105-147; S. Shapin, S. Schaffer,
Leviathan and the Air-pump: Hobbes, Boyle, and the Experimental Life, Princeton
University Press, Princeton 1985; M. Biagioli, Galileo Courtier. The Practice of Science in the Age of Galileo, Chicago University Press, Chicago-London 1993; S.
Shapin, A Social History of Truth: Civility and Science in Seventeenth-century England, Chicago University Press, Chicago-London 1994.
3 Si vedano a titolo di esempio: Rome et la science moderne: Entre Renaissance
et Lumières, a cura di A. Romano, École française de Rome, Rome 2008; Conflicting
Duties: Science, Medicine and Religion in Rome. 1550-1750, a cura di M.P. Donato
e J. Kraye, The Warburg Institute-Nino Aragno, London-Torino 2009.
4 Si vedano ad esempio, R. Morelli, Gli uomini del Tevere: fonti per la storia
degli edili romani fra 1450 e 1550, in Le technicien dans la cité en Europe occidentale,
1250-1650, a cura di M. Arnoux e P. Monnet, École française de Rome, Rome 2004,
pp. 77-92; Architettura e tecnologia: acque, tecniche e cantieri nell’architettura rinascimentale e barocca, a cura di C. Conforti e A. Hopkins, Nuova Argos, Roma 2002.
5
Cfr. B.T. Moran, Courts and Academies, in Early Modern Science, a cura di
L. Daston e K. Park, Cambridge University Press, Cambridge 2006, pp. 251 sgg.
6
Se ne veda, per il pubblico italiano, C.B. Schmitt, Filosofia e scienza nel Rinascimento, a cura di A. Clericuzio, La Nuova Italia, Scandicci 2001. Per un buon
esempio dell’impatto che il lavoro di Schmitt ha avuto sullo studio dell’insegnamento scientifico nelle università della prima età moderna, si veda almeno Teaching
Science in Early Modern Europe, a cura di A. Clericuzio, numero monografico di
«Science & Education», XV, 2006, 2-4.
7
I maestri della Sapienza di Roma dal 1514 al 1787: i rotuli e le altre fonti, a cura
di E. Conte, 2 voll., Istituto Storico Italiano per il Medioevo, Roma 1991.
8
Ivi, ad annos.
9
F. Favino, Matematiche e matematici in Sapienza (XVII-XVIII sec.), in «Mélanges de l’École française de Rome», CXVI, 2004, 2, pp. 423-469 (d’ora in avanti
Matematici), qui pp. 453-454.
10
F. Favino, Matematiche e matematici alla «Sapienza»: un’introduzione, in
Roma e la scienza (secoli XVI-XX), a cura di A. Romano, numero monografico
di «Roma moderna e contemporanea», VII, 1999, 3, pp. 395-420 (d’ora in avanti
Matematiche), qui p. 397.
11 Biagioli, The Social Status cit., pp. 44-45. Egli porta ad esempio i casi di
Bologna (in cui dal 1557 al 1568 troviamo una nuova cattedra ordinaria ad praxim
mathematicae che nel 1569 diventa una cattedra ordinaria ad mathematicam, che
assorbe la lettura festiva «ad astronomiam» o «ad astrologiam») e di Padova, in cui
dopo il 1550 Moleto e Catena insegnano meccanica, idraulica e geografia contemporaneamente ad astrologia ed astronomia.
12 Per il caso bolognese si veda anche E. Baiada, M. Cavazza, Le discipline
matematico-astronomiche tra Seicento e Settecento, in Le Università dell’Europa: le
scuole e i maestri: l’età moderna, a cura di G.P. Brizzi e J. Verger, Silvana, Milano
1995, p. 153. L’assimilazione è attestata anche a Pisa nel 1543 (C. Schmitt, The
Faculty of Arts at Pisa at the Time of Galileo, in «Physis», XIV, 1972, p. 255).
13 L’azione legislativa del papato, come è noto, non annientò queste pratiche:
temi astrali ed altre letture sull’avvenire nel cielo perdurano nel cuore del XVII
secolo. Si vedano ad esempio: G. Ernst, Scienza, astrologia e politica nella Roma
barocca. La biblioteca di don Orazio Morandi, in Bibliothecae selectae. Da Cusano
a Leopardi, a cura di E. Canone, Olschki, Firenze 1993, pp. 219-252; B. Dooley,
Morandi’s Last Prophecy and the End of Renaissance Politics, Princeton University
Press, Princeton 2002; U. Baldini, The Roman Inquisition’s Condamnation of Astrology: Antecedents, Reasons and Consequences, in Church, Censorship and Culture
in Early Modern Italy, a cura di G. Fragnito, Cambridge University Press, Cambridge 2001, pp. 171-202.
14 Favino, Matematici cit., pp. 443-446.
15
Di Pedro Pomàr non si conosce altro se non questo incarico. La natura dei
suoi interessi può solo essere intuita sulla base dei testi che commentava durante le
sue ‘lunghissime e dottissime’ lezioni (cfr. annotazioni del bidello per l’anno 15791580, in Conte, I Maestri cit., ad annum). Infatti, accanto agli argomenti previsti
dagli statuti (di Euclide il I e il VI libro), egli legge Theoricas planetarum ac iudiciariam, ut permissum est a sacrosanto Concilio Tridentino (ibid.).
16 Jano Nicius Eritraeus, Pinacotheca imaginum, illustrium, doctrinae vel ingenii
laude virorum, qui, auctore superstite, diem obierunt, apud Iodocum Kalkovium,
Coloniae Agrippinae 1645, pp. 128-129.
17
A. Agostini, Un commento su Diofanto contenuto nel Mas. Palat. 625, in
«Archeion», XI, 1929, 1, pp. 41-54. Riferimenti per una possibile biografia del
Pazzi in Favino, Matematici cit., pp. 400-401.
18 G.E. Saltini, Della Stamperia orientale medicea e di Giovan Battista Raimondi,
in «Giornale storico degli archivi toscani», IV, 1860, pp. 257-308.
19 U. Baldini, P.D. Napolitani, Per una biografia di Luca Valerio. Fonti edite e
inedite per una ricostruzione della sua carriera scientifica, in «Bollettino di Storia
delle Scienze Matematiche», II, 1991, pp. 32-39.
20
P.L. Rose, The Italian Renaissance of Mathematics. Studies on Humanists and
Mathematicians from Petrarch to Galileo, Droz, Genève 1975.
21 Su Fabrizio Coccanari da Tivoli le notizie sono solo indiziarie: egli è in ruolo
dal 1619 al 1621, con l’infimo compenso di 50 scudi per il primo anno e di 60
per il secondo (Conte, I Maestri cit., ad annum). Nel 1608 era probabilmente al
servizio del marchese della Rovere, al quale dedicava l’Almanacco per l’anno 1608
(Facciotti, Roma 1608). Nel 1612 compare tra i quattro Riformatori dello Studium
Urbis per quell’anno (F. Renazzi, Storia dell’Università degli studi di Roma detta
della Sapienza, II, Pagliarini, Roma 1804, p. 251, doc. XIII). È del 1617 un suo
Hieronymi Cardani Theognoston seu de vita producenda atque incolumitate corporis
conservanda, (Roblettus, Romae) ripubblicata a Colonia nel 1620.
22 O. Gliucci, Argoli, Andrea, in Dizionario Biografico degli Italiani, IV, Istituto
dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1962, pp. 132-134, O. Gingerich, Argoli, Andrea,
in Dictionary of Scientific Biography, I, Ch. Scribner’s Sons, New York 1970, pp.
244-245.
23
A. De Ferrari, Castelli, Benedetto, in Dizionario Biografico degli Italiani,
XXI, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1978, pp. 686-690. Sui suoi studi di
16
17
Note
1
idraulica: M. Bucciantini, Il trattato ‘Della misura dell’acque correnti’ di Benedetto
Castelli: una discussione sulle acque all’interno della scuola galileiana, in «Annali
dell’Istituto e Museo di Storia della scienza di Firenze», VIII, 1982, 2, pp. 103-140;
C.S. Maffioli, La via delle acque, 1500-1700: appropriazione delle arti e trasformazione delle matematiche, Firenze, Olschki 2010, pp. 151-251 e passim.
24 A. Favaro, Opere di Galileo Galilei, XX, Barbèra, Firenze 1909, p. 531. Ulteriori riferimenti in Favino, Matematici cit., pp. 403-404 e note.
25 Ivi, pp. 439-441.
26
Ivi, p. 411.
27
Cfr. supra, nota 1, soprattutto Westman, The Astronomer’s Role cit.
28
Di Simone, La «Sapienza» cit., pp. 45-47.
29 Sull’altra cattedra, cfr. C. Carella, L’insegnamento della filosofia alla Sapienza
di Roma nel Seicento. Le cattedre e i maestri, Olschki, Firenze 2007.
30 M. Völkel, Der Sapienza als Klient. Die Römische Universität unter dem Protektorat der Barberini und Chigi, in «Quellen und Forschungen aus italienischen
Archiven und Bibliotheken», LXX, 1990, pp. 491-512.
31
Cfr. S. Drake, Gasparo Berti, in Dictionary of Scientific Biography, II, Scribner’s and Sons, New York 1970, p. 83. Sul lavoro di Berti come scienziato, rimane
fondamentale C. de Waard, L’Expérience barométrique: ses antecédents et ses explications, Imprimerie nouvelle, Thouars 1936, pp. 101-110. Sui suoi legami con il
mondo del collezionismo antiquario: J. Connors, Virtuoso Architecture in Cassiano’s Rome, in Cassiano dal Pozzo’s Paper Museum, II, a cura di J. Montagu, Olivetti,
Ivrea 1989, pp. 27-28 (con una lista completa di fonti secondarie).
32
F. Favino, Gaspare Berti. Notes and Materials for a Biography, in Renaissance
Studies in Honour of Joseph Connors, a cura di M. Israëls e L.A. Waldman, Olschki,
Firenze (in corso di stampa).
33 Questo raro esempio di biblioteca ‘matematica’ sarà oggetto di uno studio
puntuale, a cura di chi scrive, sulle pagine di «Galilaeana. Journal of Galilean studies». Per far solo il caso, eclatante, dell’astronomia, vale fin d’ora la pena notare che
tra gli autori vi figurano Keplero – il Mysterium cosmographicum (ed. Francoforte
1621), l’editio princeps degli Harmonices Mundi (Linz 1619) – Tycho Brahe, tutto
Galileo ad eccezione del Dialogo sopra i due massimi sistemi, all’Indice dal 1633,
con alcune delle opere minori che avevano sollevato polemiche di cui Galileo era
stato protagonista (es. Baldassarre Capra, Scipione Chiamonti etc.).
34 Si veda il contributo di Renata Ago in questo stesso volume.
35 Connors, Virtuoso Architecture cit., p. 24. Nell’inventario, tuttavia, non compaiono pezzi da collezione, il che indurrebbe ad escludere che il bibliotecario vaticano Lucas Holsenius si riferisse a lui parlando con Nicolas Fabri de Peiresc di un
certo Berti, proprietario di un museo a Roma (cfr. ivi, p. 27n).
36
Egli stesso aveva preso la cittadinanza e sposato una donna romana di più
alto prestigio sociale. Sua figlia, Veronica, era andata a sua volta in moglie ad un
gentiluomo romano, Michele Papini, proprietario dell’edificio in cui Gaspare e suo
padre vissero fino alla morte (Favino, Gaspare Berti cit.).
37 Gli esperimenti del Berti sono documentati in A. Kircher, Musurgia Universalis, F. Corbelletti, Romae 1650, pp. 11-13 e in C. Schott S.J., Mechanica HydraulicoPneumatica, Henricus Pigrin, Herbispoli 1657 (1658). Oltre alla classica opera di
De Waard, sulle prove romane del vuoto si vedano: A. Romano, Les jésuites dans la
culture scientifique romaine, 1630-1660, in Francesco Borromini, Atti del convegno
internazionale, Roma 13-15 gennaio 2000, a cura di C.L. Frommel e E. Sladek,
Electa, Milano 2000, pp. 329-334; M.J. Gorman, Jesuit Explorations of the Torricel-
lian Space: Carp-bladders and Sulphurous Fumes, in «Mélanges de l’École française
de Rome. Italie et Méditerranée», CVI, 1994, 1, pp. 7-32.
38
F. Camerota, Le bizzarrie dell’ingegno: architettura e scienza per villa Pamphili, in Francesco Borromini cit., pp. 297-311; Id., Architecture and Science in Baroque
Rome: The Mathematical Ornaments of Villa Pamphilj, in «Nuncius», XV, 2000,
2, pp. 611-638.
39 C. Candito, Corrispondenze ottico-prospettiche tra le opere di Maignan e di
Borromini a Palazzo Spada, in La Trinità dei Monti tra arte e scienza, a cura di A.
Romano, numero monografico dei «Mélanges de l’École française de Rome. Italie
et Méditerranée», CXVII, 2005, 1, pp. 73-89; P. Julien, Anamorphoses et visions
miraculeuses du père Maignan (1602-1676), ivi, pp. 45-71.
40 F. Camerota, La meridiana «tetracycla» del Quirinale, in Francesco Borromini
cit., pp. 233-241.
41 Camerota, Le bizzarrie cit., p. 310 (note 5 e 7).
42 M.J. Gorman, N. Wilding, Athanasius Kircher e la cultura barocca delle macchine, in Athanasius Kircher: il museo del mondo, Catalogo della mostra tenuta a
Roma nel 2001, a cura di E. Lo Surdo, Roma, De Luca 2001, pp. 217-237; M.J.
Gorman, Between the Demonic and the Miraculous: Athanasius Kircher and the
Baroque Culture of Machines, in The Great Art of Knowing: the Baroque Encyclopedia of Athanasius Kircher, a cura di D. Stolzenberg, Stanford University LibrariesCadmo, Stanford-Firenze 2001, pp. 59-70.
43 Della galleria di macchine per la Sapienza, mai finanziata, avrebbero dovuto
far parte macchine ottiche, orologi solari e ad acqua, fontane allegoriche, macchine
subacquee. Cfr. Favino, Matematiche e matematici in Sapienza cit., pp. 440, 460463.
44
G. Olmi, Natura morta e illustrazione scientifica, in Id., L’inventario del mondo: catalogazione della natura e luoghi del sapere nella prima età moderna, il Mulino,
Bologna 1992.
45 H. McBurney, Cassiano dal Pozzo as Ornithologist, in Cassiano dal Pozzo’s
Paper Museum cit., II, pp. 3-22; F. Solinas, Sull’atelier di Cassiano dal Pozzo; metodi
di ricerca e documenti inediti, ivi, pp. 57-76.
46
M. Miniati et al., Sul restauro di due globi di Matthäus Greuter, in «Nuncius»,
X, 1995, 1, pp. 173-178; Mappa mundi: progetto di restauro sperimentale di due mappamondi di Mattheus Greuter, Centro regionale per la progettazione e il restauro,
Palermo 2004; M. Calisi, D. Fagiani, P. Marraffa, Un globo celeste greutiano del
Museo astronomico e copernicano di Roma: tra ricerca, conservazione e valorizzazione, in «Museologia scientifica», n.s., III, 2009, 1-2, pp. 62-75.
47 S. De Cavi, Incisioni di Mattäus Greuter per le Epistole Heroiche di Antonio
Bruni (1627/28): ipotesi di una collaborazione editoriale al principio del seicento, il
Mulino, Bologna 1998.
48
J.M. Besse, The Birth of the Modern Atlas – Rome, Lafredi, Ortelius, in Conflicting Duties cit., pp. 35-55.
49 A. Lualdi, Repertorio dei costruttori italiani di strumenti scientifici: secoli XVIXVIII, in «Nuncius», XV, 2000, 1, pp. 169-234.
50 P. Todesco, La famiglia Lusverg dal ’600 all’800, in Astronomical Observatories and Institutions in Italy: Seventh Annual Meeting on the History of Astronomy,
Milan 21-22 april 1995, a cura di E. Proverbio, numero speciale di «Memorie della
società astronomica italiana», LXVI, 1995, 4, pp. 895-901.
51
Per esempio, E.G. Rimington Taylor, The Mathematical Practitioners of Tudor & Stuart England, For the Institute of Navigation at the University Press, Cam-
18
19
bridge 1954; Ead., The Mathematical Practitioners of Hanoverian England, 17141840, For the Institute of Navigation at the University Press, Cambridge 1966. Per
una bibliografia più aggiornata sul tema, cfr. Compass and Rule: Architecture as
Mathematical Practice in England 1500-1700, a cura di A. Gerbino e S. Johnston,
Yale University Press, New Haven 2009.
52 M. Conforti, La medicina nel Giornale de’ letterati di Roma, 1668-1681, in
«Medicina nei secoli», n.s., XIII, 2001, 1, pp. 59-91. Per una visione d’insieme cfr.
S. Brevaglieri, Editoria e cultura a Roma nei primi tre decenni del Seicento, in Rome
et la science moderne cit., pp. 257-319.
53 Sulla Biblioteca Angelica si vedano: A. Serrai, Angelo Rocca: fondatore della
prima biblioteca pubblica europea, Sylvestre, Milano 2004; Libri e cultura nella Roma
di Borromini, a cura di B. Tellini Santoni e A. Manodori, Retablo, Roma 2000. Si
tratta comunque, per ora, di una base dati assai modesta, soprattutto se confrontata
con quella realizzata da Laurent Pinon per il progetto Bibliographie des livres scientifiques imprimés à Rome (1527-1720), in collaborazione con il CRHST-CNRS. La
bibliografia è consultabile all’URL: www.hstl.crhst.cnrs.fr/bibliorome/index.php
(data ultimo accesso: 27.01.2012).
54 Sulla nuova stagione della scienza romana nella seconda metà del XVII secolo
cfr.: F. Favino, Beyond the «Moderns»? The Accademia Fisico-matematica of Rome
(1677-1698) and the Vacuum, in Institutions of Knowledge, Circles of Knowledge
in Early Modern Europe, a cura di S. Duprè e S. Kusukawa, numero monografico
di «History of Universities», XXIII, 2008, 2, pp. 120-158; M.P. Donato, Late Seventeenth-century Scientific Academies in Rome and the Cimento’s Disputed Legacy,
in The Accademia del Cimento and its European Context, a cura di M. Beretta, A.
Clericuzio e L.M. Principe, Science Historical publications, Sagamore Beach 2009,
pp. 151-164.
55 L. Guerrini, Matematica ed erudizione. Giovanni Alfonso Borelli e l’edizione
fiorentina dei libri V, VI e VII delle ‘Coniche’ di Apollonio di Perga, in «Nuncius»,
XIV, 1999, 2, pp. 509-510.
Giampiero Brunelli
La congregazione della Sacra Consulta:
il primo registro
La Sacra Consulta, istituita da Sisto V insieme ad altre 14 congregazioni cardinalizie con bolla Immensa aeterni Dei del 22 gennaio 1588,
fu molto longeva: durò infatti fino al 1870 (con interruzioni durante
i rivolgimenti degli anni 1809-1814 e 1848-1849). Uno studio complessivo sulla sua attività non è stato ancora tentato, probabilmente a
causa della dispersione di gran parte dei suoi fondi documentari. Sono
però disponibili i risultati di alcuni saggi sulle fonti ancora conservate.
Andrea Gardi ha proceduto all’analisi di un copialettere del febbraioagosto 1596 e di un registro dei memoriali degli anni 1599-1603. Ne è
emerso che la Consulta esaminava ogni anno circa 6.000 casi. Alcuni
prelati esperti in diritto, denominati «ponenti» e guidati da un attivo
segretario, istruivano i procedimenti, successivamente discussi e risolti
dai membri di rango cardinalizio dell’ufficio, tra i quali spiccava il
cardinal nipote (prefetto della congregazione). Per far conoscere le
proprie decisioni, la Consulta spediva circa 1.100 lettere ogni anno:
cifra di assoluto rilievo se si considera che dalla sua giurisdizione erano
esclusi i territori direttamente sottoposti all’autorità di un cardinale
legato (come, ad esempio, Bologna). Anche il ventaglio delle competenze è apparso molto esteso: la congregazione si occupava di «cause
penali, civili, ecclesiastiche, grazie e revisioni di processi; esame di
controversie corporative, di lagnanze di sudditi contro i loro feudatari o contro gli ufficiali papali, di misure annonarie; autorizzazioni a
comunità ad accedere a finanziamenti statali per liberarsi da debiti;
chiarimenti su confini interni e sui conflitti di competenze tra giudici;
controlli sulla regolarità delle amministrazioni comunali»1.
In anni più vicini, Stefano Tabacchi ha studiato la congregazione
concentrandosi sulla sua composizione, sulla formazione dei processi
decisionali al suo interno, sui risultati raggiunti fra il Sei e il Settecento2.
La Consulta, a suo giudizio, deve essere accostata all’altro importante
dicastero impegnato nel governo dei domini temporali della Chiesa:
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