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Status sociale matematici

Che si sia o meno d’accordo sul nesso legittimazione sociale-legittimazione epistemologica2, per ciò che riguarda la città del papa la considerazione di Biagioli sul disinteresse della storiografia per la categoria di «stato sociale» resta assolutamente attuale. E questo malgrado un’indubbia rinascita d’interesse per la storia della cultura scientifica romana3. Il nuovo filone di studi su Roma e la scienza, che fiorisce da un decennio a questa parte, ha già dato i primi risultati. Ricerche in corso stanno infatti facendo luce sulla teoria e sulla pratica della medicina, studi sulle accademie (i Lincei e non solo) hanno permesso di comprendere meglio il contesto sociale ed intellettuale che ha forgiato lo studio della natura a Roma, molto si sta scoprendo sullo spazio riservato alla scienza entro gli ordini religiosi non-gesuiti se non «anti-gesuiti». Al contrario, ove si eccettui il caso degli architetti e delle maestranze di cantiere (in carico ad un’altra area disciplinare)4, non hanno ancora ricevuto l’attenzione che meritano le figure sociali e i gruppi professionali strutturalmente deputati al trasferimento – tecnologico e non – delle conoscenze matematico-geometriche nella società. Resta tuttora sfocata l’identità del gruppo e, appunto, lo «status» di coloro che esercitavano tra Cinque e Seicento i mestieri tecnici legati alla progettazione e alla organizzazione dello spazio e delle infrastrutture, come ingegneri, agrimensori, geometri, topografi e cartografi, ma anche «argentieri e orefici», «cartari di carte da gioco e stampatori di fregi», «cristallari e vetrari», «fornaciari di vetro», «occhialari e occhialonari», «orologgiari», «stampatori di figure e intagliatori di rami», ovverosia quegli artigiani di precisione tra i quali si confondevano i costruttori di strumenti scientifici. E altrettanto può dirsi di un gruppo più facilmente identificabile come quello dei pubblici lettori di matematica. Vorrei qui iniziare a riflettere sullo «status» dei matematici romani, proponendo delle considerazioni assolutamente introduttive e delle prime, provvisorie, conclusioni di una ricerca ancora solo agli inizi. In particolare, vorrei iniziare questa riflessione provando a verificare la pertinenza relativamente al caso romano di alcune delle ipotesi generali avanzate da Biagioli in riferimento alla situazione italiana nel suo complesso. È da tener presente che alcune di queste ipotesi (come, ad esempio, quella relativa alla funzione della corte rinascimentale e barocca come strumento di promozione sociale) sono oramai una vulgata storiografica5 e che alcuni dei parametri impiegati da Biagioli, come gli indicatori della posizione della matematica nella gerarchia socio-retributiva delle cattedre universitarie, sono quelli che vengono comunemente adottati dalla storiografia sull’insegnamento delle scienze, da Charles B. Schmitt in poi6. Vorrei inoltre provare ad utilizzare i – pochissimi – indizî che ho finora raccolto per cercare di evidenziare le possibili dinamiche sociali e culturali che esistevano tra «matematici» e «meccanici» e, nel caso, la permanenza di tracce di quel sistema professionale di «caste» che si era andato sfumando verso la fine del Cinquecento. Poiché alla verifica dei fatti (ancora in una fase assolutamente iniziale) la documentazione relativa alle singole corporazioni di mestiere non consente di cogliere liti e procedimenti giudiziari interni al gruppo se pure ve ne furono (come è lecito supporre sulla base di casi analoghi in diverse regioni di Italia), accennerò a queste dinamiche in relazione ad alcuni casi esemplari, alcuni dei quali già ben noti. Come sappiamo, il processo di riqualificazione sociale e culturale dell’artista-artigiano nel corso del Rinascimento passa anche attraverso l’accesso di questi «huomini sanza lettere» al testo scritto. 4 5 Federica Favino Lo status sociale dei matematici romani nell’età di Galileo. Appunti per una ricerca In apertura di un importante saggio del 1989, intitolato The Social Status of Italian Mathematicians1, Mario Biagioli scriveva: This study stems from the belief that the epistemological legitimation of the mathematical method that characterized the Scientific Revolution involved and depended upon the social legitimation of mathematical practitioners. Unfortunately ‘social status’ is not an historiographical category that has received much attention by historians of early modern Italian science. Many scholars have carefully analyzed Galileo’s work and life but, by comparison, little has been studied of the socio-professional world of the mathematical practitioners who worked before or around him. L’unica serie completa relativa ad un gruppo di matematici di cui disponiamo che possa fornire dati sufficienti ad una prima, introduttiva e sommaria analisi complessiva è quella dei lettori presso il pubblico studio cittadino della Sapienza. Disponiamo di questa fonte grazie alla pubblicazione della serie completa dei rotuli conservati presso l’Archivio di Stato di Roma, che è stata promossa dal Comitato per la storia dell’Università di Roma e realizzata da Emanuele Conte7. Possiamo tentare di far reagire alle ipotesi di Biagioli i dati relativi al periodo 1559-1661; da una parte, il 1559 inaugura una serie continua di anni e di informazioni (i ruoli precedenti, infatti, riguardano lacunosamente il 1514 e il 1535)8; dall’altra, il 1661 coincide con la fine dell’incarico dell’ultimo lettore di formazione, per così dire, galileiana – Antonio Santini – e l’inizio di una fase differente della cultura scientifica romana, di crescente interesse da parte della società e di maggior prestigio per i suoi cultori9. Anche alla Sapienza, come in tutti gli altri atenei italiani, alla metà del Cinquecento si verifica una svolta importante nell’assetto istituzionale dell’insegnamento della matematica, vale a dire l’estinzione di una delle due cattedre previste dalla normativa medievale (rispettivamente una cattedra ad astrologiam ed una ad mathematicam) con l’assorbimento della lettura di testi astrologici ed astronomici nei compiti del maestro degli elementi di geometria10. Secondo Biagioli, questo fenomeno è da porre in relazione con gli sviluppi nella tecnologia militare successivi all’avvento dei cannoni e dei bastioni e al conseguente miglioramento della condizione sociale dei matematici applicati11. Egli deduce tale conseguenza dal fatto che sulla cattedra di matematica dell’Università di Bologna si avvicendarono tre matematici – Egnazio Danti, Pietro Antonio Cataldi e Giovanni Antonio Magini – dai forti interessi per le matematiche applicate (gnomonica, prospettiva, geografia, ottica) e che a Padova i lettori (Giuseppe Moleti e Pietro Catena) estesero l’insegnamento non solo all’astrologia e all’astronomia ma anche alla meccanica, all’idraulica, alla geografia12. Può il caso dell’università romana essere ricondotto a questa generalizzazione? Io credo di no e ritengo che quel fenomeno vada rapportato piuttosto alla marginalizzazione dell’astrologia dall’insieme delle pratiche culturali controllate dalla Chiesa, tanto più rapida nel cuore dell’istituzione13. Quanto ai programmi di insegnamento, le pur scarse informazioni di cui disponiamo in proposito non sembrano documentare, dalla metà del Cinquecento, alcuna svolta verso le matematiche pratiche. Fino agli anni Trenta del XVII secolo, in generale la lettura si limita agli Elementi di Euclide, alla Sfera di Sacrobosco e alla Theorica planetarum di Campano da Novara, materia di un ciclo triennale di letture destinato a ripetersi con una certa flessibilità. È solo negli anni Cinquanta del Seicento che si verifica una vera «esplosione» delle materie di insegnamento: le letture si estendono ai libri 9 e 10 degli Elementi, alla Sfera di Teodosio e all’Almagesto di Tolomeo, e nel 1652 compaiono per la prima volta in programma «elementi di geometria pratica e speculativa»14. Riguardo poi ai lettori, dal 1559 al 1607, vale a dire negli anni cruciali di questa trasformazione, le figure di rilievo che si avvicendarono sulla cattedra romana furono Antonio Maria Pazzi (dal 1559 al 1571), Giovan Battista Raimondi (dal 1574 al 1579) e Luca Valerio (dal 1603 al 1617). Negli intervalli tra l’uno e l’altro troviamo una figura tradizionale di medico-astrologo, lo spagnolo Pedro Pomàr15, ed un umanista come Girolamo Marchesetti in transito verso la cattedra, a lui più confacente, di retorica16. A parte Pomàr, che testimonia della permanenza dell’astronomia/astrologia al centro dell’insegnamento matematico universitario, né Pazzi né Raimondi né Valerio nutrirono mai alcun interesse verso le matematiche applicate né mai le praticarono. Essi risultano accomunati invece da una formazione di impianto filologico e da un forte impegno per la restituzione dei testi matematici dell’antichità. Sappiamo, infatti, che Pazzi tradusse dal greco Erone e Pappo oltre che l’Aritmetica di Diofanto in collaborazione con Raffaele Bombelli17. Raimondi, animatore dal 1574 della Tipografia Orientale fondata dal cardinal Ferdinando de’ Medici, tradusse dal greco in latino i Dati di Euclide, commentò il quinto libro delle Collectiones di Pappo, approntò le edizioni in arabo di Avicenna e degli Elementi di Euclide e 6 7 Un’altra pista di ricerca sulla quale ho iniziato a lavorare, dunque, sono i testi a stampa di argomento matematico pubblicati a Roma tra XVI e XVII secolo. L’analisi estrinseca del limitatissimo elenco di libri che ho redatto finora permette di azzardare alcune considerazioni sul profilo e sul peso relativo della cultura matematica romana del tempo. Allo stesso tempo, i libri ci forniscono un repertorio di nominativi di mathematical practitioners che altrimenti sarebbero rimasti per noi ignoti. 1. Matematici teorici accolse nella collezione medicea il manoscritto arabo delle Sezioni Coniche di Apollonio in sette libri pubblicato da Alfonso Borelli nel 166118. Quanto a Valerio, che fu per qualche tempo anche membro dell’Accademia dei Lincei, la sua opera si colloca proprio sul crinale tra l’assimilazione della tradizione e l’inizio della sperimentazione di nuovi procedimenti matematici e geometrici19. Se la sequenza di questi lettori dimostra qualcosa, è piuttosto il contributo che anche la città del papa diede a quello che Paul Lawrence Rose ha definito il «Rinascimento italiano delle matematiche»20. Anche l’esame dell’organico del XVII secolo conferma la tendenza generale della Sapienza a non reclutare per la cattedra di matematica personale proveniente dall’esercizio del mestiere. La presenza di figure tradizionali di medici-astrologi come Fabrizio Coccanari (16171621)21 e Andrea Argoli (1622-1627)22 non documenta se non il perpetrarsi della tradizione medievale che assegnava al pubblico lettore di matematica la compilazione delle efemeridi cittadine. Per il resto, i lettori che si avvicendano sulla cattedra sono matematici sì competenti nelle questioni tecniche, il cui «vizio d’origine» però è già stato «sanato» dalla loro condizione di religiosi. Benedetto Castelli, ad esempio, in cattedra dal 1627 al 1643, uno dei maggiori esperti italiani in materia di idraulica, è un abate dell’ordine benedettino23. La biografia del suo successore, Antonio Santini, che è un esperto di geometria teorica e pratica e uno dei primi in Italia a conoscere ed apprezzare la Géometrie di Cartesio, è propriamente segnata dalla ricerca affannosa di una stabilità economica e sociale che gli consenta di dedicarsi ai suoi studi. Dopo un esordio come ragioniere a Venezia, era entrato nella Congregazione secolare dei Chierici regolari della Madre di Dio per poi passare a quella regolare dei padri Somaschi che riteneva gli avrebbe garantito una maggiore stabilità24. Quella religiosa, come si può immaginare, era una condizione assai comune per i lettori della Sapienza. Essa poteva comportare per i maestri conflitti drammatici nella gerarchia delle obbedienze, come avverrà ad esempio nel caso dell’abate Silvestrino Domenico Roccamora, anch’egli lettore di matematica dal 1667 al 1685, sottoposto a durissime vessazioni da parte dei superiori per impedirgli l’esercizio del suo incarico alla Sapienza25. Questa variabile aveva determinato una «svalutazione» ulteriore della materia nella gerarchia socio-retributiva delle cattedre universitarie. Per statuto, il compenso del lettore non poteva arrivare ai 100 scudi, pari da 1/3 ad 1/6 del compenso riservato alle «star» come i medici teorici e i lettori di diritto canonico26. Il rap- porto risulta più favorevole per la fine del secolo precedente, quando i lettori sono laici e di buona reputazione come studiosi. Secondo una certa storiografia, la nascita della corte rinascimentale e barocca ha offerto ai matematici una nuova fonte di legittimazione che ha consentito loro di superare le barriere gerarchiche disciplinari e sociali poste tra i matematici e i filosofi27. Riflettendo ancora sul caso romano bisogna in primo luogo domandarsi: esisteva una tale gerarchia tra le discipline liberali universitarie (i documenti ancora non parlano quanto a quelle interne alle corporazioni di mestiere)? Sicuramente sì. Infatti, a dispetto di un’organizzazione degli insegnamenti in cui, sempre fluttuante il numero delle cattedre, ciascun lettore aveva completa facoltà di muoversi da una lettura ad un’altra alla ricerca di una migliore retribuzione28, la cattedra di matematica, tra XVI e XVII secolo, presenta un’accentuata specializzazione del corpo docente. Quasi nessuno dei maestri matematici registrati nei ruoli nel periodo in esame, infatti, risulta aver insegnato alcun’altra materia, tanto meno filosofia naturale, né prima né dopo il suo mandato in mathematicis. Detto tra parentesi, il posto occupato dalla filosofia (naturale) in questa gerarchia disciplinare era solo impercettibilmente migliore, essendo comunque la «classe» di filosofia, cui anche la matematica apparteneva, decisamente marginale rispetto alle facoltà propedeutiche alle professioni29. Malgrado la sua stretta subordinazione al collegio degli Avvocati Concistoriali, come è già stato dimostrato con certezza per la metà del Seicento, l’Università di Roma non costituiva più un’istituzione autonoma ma, di fatto, un’estensione della corte papale che veniva condotta secondo rigidi sistemi clientelari dalla famiglia regnante30. Nonostante il molto lavoro che resta ancora da fare, da ciò che si è detto finora sembrerebbe che per i matematici romani l’università non fosse un luogo di riconoscimento sociale subordinato gerarchicamente alla corte, ma piuttosto un’estensione di questa. Proprio grazie alla tenuta stagna della gerarchia disciplinare, essa poteva offrire ai matematici/cortigiani un surplus di «status» che neppure la corte pontificia, la corte tra le corti, poteva offrire loro: un’identità professionale riconoscibile. 8 9 2. Matematici pratici Uno solo dei lettori di matematica registrati nei ruoli prima del 1650 proveniva e continuava ad operare nel mondo della pratica della matematica. Il caso di Gasparo Berti, che fu eletto alla successione di Castelli nel 1643 ma morì subito dopo la nomina senza poter mai salire in cattedra, rappresenta un’eccezione sotto molti rispetti. Nato a Roma da una famiglia di origini mantovane, egli dovette avere una formazione matematica finalizzata alla pratica di un mestiere. Negli anni Trenta, infatti, fu collaboratore di Francesco Contini, architetto di fiducia di Francesco Barberini, nei rilievi per l’edizione della pianta di Pirro Ligorio di Villa Adriana e nella descrizione grafica della «Roma sotterranea» di Antonio Bosio. In questa veste egli divenne informatore di Cassiano Dal Pozzo, cameriere di Francesco Barberini, mecenate e collezionista, in merito alle possibili acquisizioni di antichità per la sua celebre raccolta31. Per un matematico «pratico» come Berti, la cattedra universitaria avrebbe rappresentato davvero un passaggio di «status» dalla «tradizione della bottega d’abaco» alla tradizione «della medicina e dell’astrologia»? Grazie alla recente scoperta del suo testamento e alla messa a punto delle sue connessioni familiari32, possiamo ipotizzare piuttosto il contrario: che, cioè, la sua condizione di «meccanico colto» fosse il felice risultato di una precisa strategia familiare di ascesa sociale, di cui la cattedra universitaria avrebbe rappresentato il compimento. Alla sua morte, che possiamo finalmente datare al 23 agosto 1643, Berti lasciava una ricca biblioteca di più di 3000 volumi, specializzata in tutte le branche della matematica (aritmetica, geometria, astronomia, architettura e fortificazioni, geografia e cosmografia, prospettiva, topografia etc.) e notevole sia per il suo profilo internazionale che per il suo aggiornamento33. Il possesso di una biblioteca così fornita (la declamata biblioteca di monsignor Ciampini, alla fine del secolo, contava all’incirca 7.000 volumi)34 è dunque un segno di distinzione sociale che fa il paio con «la cultura della curiosità», se non con la pratica del collezionismo, che Berti condivideva con altri architetti (cioè matematici) suoi contemporanei, come Borromini o Giambattista Soria35. Essa era anche il segno del successo della strategia di promozione sociale perseguita da suo padre, Camillo, ricco cappellaio nel rione Parione, attraverso una politica accorta di matrimoni iper-gamici ripetuti nelle generazioni36. Il caso di Gaspare Berti è esemplare non solo perché, paradossalmente, fino ad ora il più documentato, ma anche perché la sua attività apre una finestra sulle dinamiche della collaborazione tra pratica e cultura «alta» nel processo della scoperta scientifica. Fu lui, infatti, il primo ad ideare e progettare, prima ancora di Evangelista Torricelli, un dispositivo meccanico per verificare sperimentalmente l’esistenza della pressione atmosferica. Alla presenza del padre Minimo Emmanuel Maignan e dei gesuiti Atanasius Kircher e Niccolò Zucchi, in una data imprecisata intorno alla fine degli anni Trenta egli condusse uno spettacolare esperimento: grazie ad una lunghissima pipa di piombo attaccata alla facciata della sua casa egli provò che l’aria ha il peso di una colonna d’acqua di 11 metri e che la natura non teme il vuoto37. Da allora, la sua prova venne ripetuta per decenni in tutta Europa e diede corso ad infiniti dibattiti filosofici e metafisici. Negli anni Quaranta, con l’affacciarsi della fisica sperimentale nella città del papa (essendo stata quella lincea una ricerca essenzialmente naturalistica), compaiono anche i primi documenti di una committenza relativa ai nuovi strumenti scientifici, quelli che permettevano di interagire con il mondo naturale o di riprodurne i fenomeni. Esplosi i conflitti tra i «novatori» e la Chiesa sui principi filosofici in occasione del processo a Galileo, la sperimentazione verte a Roma soprattutto sugli aspetti spettacolari, esornativi e curiosi della natura che le macchine sanno riprodurre. È del 1644, ad esempio, il progetto del padre Minimo Emmanuel Maignan, allora lettore di matematica e corrector presso il convento di Trinità dei Monti, per un «gabinetto di matematica» a cielo aperto da realizzare nei giardini della Villa del cardinal Pamphili38. Di concerto con Virgilio Spada, elemosiniere segreto e soprintendente alle fabbriche di Innocenzo X, e con l’architetto Borromini, Maignan progetta di adornare l’edificio con i prodigi realizzabili attraverso le applicazioni ottiche, catottriche, diottriche, gnomoniche, prodigi già sperimentati dal Minimo nella realizzazione delle anamorfosi presso il suo convento e presso il palazzo degli Spada39. Borromini non era nuovo alla collaborazione con i matematici. Già nel 1628 egli aveva realizzato, insieme ad Agostino Radi, una meridiana «tertacycla» per i giardini del Quirinale, progettata nel 1625 da Teodosio Rossi, un allievo del gesuita Cristoforo Clavio40. Neppure Maignan era nuovo alla collaborazione con gli Spada. Negli stessi anni, infatti, egli progettava per il fratello di Virgilio, Bernardino, alcuni strumenti scientifici (un cannocchiale, un periscopio, una ventola, forse uno strumento pneumatico e altri curiosi artifici) dei quali resta traccia solo nei conti del falegname Antonio Battaglini che li realizzò materialmente nel 164641. Intorno agli stessi principi acustici e magnetici che si sareb- 10 11 romano, l’aristocrazia degli artigiani di precisione non è autoctona ma proviene dal Nord Europa. È lecito pertanto attendersi buoni risultati anche dai repertori sugli incisori tedeschi e dalle fonti relative a questa «nazione». bero voluti realizzare nel giardino di Villa Pamphili, il gesuita Atanasius Kircher andava progettando alcune delle bizzarre macchine per il suo museo al Collegio Romano. È però molto difficile penetrare il processo attraverso il quale il gesuita realizzava o faceva realizzare i suoi progetti. Chi ha studiato a fondo il problema ritiene che queste macchine fossero «impianti finalizzati ad uno scopo, costruiti ad hoc da Kircher e dai suoi vari assistenti, tecnici e allievi del Collegio Romano»42, un’opera collettiva interna al Collegio, insomma, così come, alcuni anni più tardi, le poche macchine realizzate tra quelle progettate per il povero museo della Sapienza saranno il frutto della collaborazione tra il lettore matematico e i suoi confratelli monaci Silvestrini del convento di Santo Stefano del Cacco43. In entrambi i casi, si tratta di contatti personali, di continue e pazienti messe a punto nel corso di colloqui privati che è assai difficile documentare se non, eventualmente, attraverso atti notarili. Si tratta dello stesso, impercettibile, rapporto che si instaura tra l’autore di raccolte naturalistiche e il suo illustratore, come quello, ad esempio, tra Ulisse Aldrovandi e i «pittori de gli uccelli» da lui stipendiati per la realizzazione dell’Ornithologia44, quello, per tornare al caso romano, tra Cassiano dal Pozzo e Antonio Tempesta, Francesco Villamena e Giovanni Maggi per la realizzazione della sua Uccelleria45, o quello tra gli accademici lincei e Matthäus Greuter per la realizzazione delle incisioni nell’edizione romana dei Discorsi sulle macchie solari di Galileo. Il caso di Greuter, o meglio della sua dinastia, ci porta nel vivo della questione relativa ai costruttori di strumenti scientifici a Roma. Come ovunque in Europa, infatti, tra Cinque e Seicento si tratta di una categoria non precisamente definibile, confusa com’è in mezzo a quella degli artigiani che lavorano di precisione. Lo stesso Greuter, ricordato nei cataloghi di strumenti come autore di sfere e globi46, è studiato piuttosto come incisore (e stampatore)47, così come, per fare solo un altro esempio, gli eredi della celebre dinastia dei Lafreri, stampatori di carte geografiche48. Isolando dai repertori complessivi di costruttori italiani i nomi di coloro che furono attivi a Roma a cavallo tra Cinquecento e Seicento49, si ottiene un elenco di una trentina di nomi, alcuni dei quali sono di matematici teorici come i gesuiti Grienberger, Maelcote o come Teodosio Rossi; altri di costruttori ben noti come Greuter, Adam Heroldt o Jakob Luswerg50, altri ancora di persone non altrimenti note se non attraverso una ricerca a tappeto nei fondi notarili. È evidente che, anche nel caso Una terza promettente direzione di ricerca è quella di provare a penetrare il mondo dei matematici romani attraverso la produzione libraria cui esso diede luogo, con la convinzione che anche da un semplice catalogo-elenco di testi stampati sia possibile estrarre un’immagine della cultura scientifica. Molto semplicemente (e molto presuntuosamente) si tratta di procedere come fece Eva R. Taylor nei suoi pionieristici lavori sui mathematical practitioners attivi in Inghilterra nel Seicento51. Relativamente a Roma, del resto, questo tipo di indagine ha già dato buoni frutti nel caso della cultura medica del XVII secolo52. Costituisce la base di questa lista il corpus di testi di argomento matematico compresi nel fondo antico della Biblioteca Angelica di Roma ed acquisiti dalla fondazione (1605-1614) alla metà dell’Ottocento. Nel catalogo manoscritto ordinato per materia esistente nella stessa biblioteca, i testi sono ordinati come segue: Scriptores de arithmetica, algebra, geometria, et trigonometria, Scriptores de perspectiva, astronomia, et alijs cum astronomia connexis, Scriptores de Statica, Mechanica, Hydrostatica, Architectura civili et militari. Questa base di dati, del tutto parziale e certamente condizionata dalla lunga dipendenza della biblioteca dall’ordine degli Agostiniani, è stata poi implementata dal confronto con il catalogo della Biblioteca Vaticana e con i testi antichi schedati nell’OPAC nazionale53. Ho scelto di prendere in considerazione solo i testi matematici editi tra il 1550 e il 1650. Da una parte, una data grossomodo coincidente con la rinnovata organizzazione normativa della Sapienza di cui si è detto; dall’altra, un anno che segna una sorta di crinale verso la rinascita a Roma di una «vera» sperimentazione scientifica, volta cioè allo studio dei fenomeni e non solo alla loro contemplazione, con il conseguente portato di testi tecnici e matematico-applicativi54. Ho raccolto finora all’incirca 120 titoli (160 quelli medici a Roma nel Seicento), una cifra assolutamente provvisoria e ben lontana dal rigore che consenta di trarre conclusioni definitive. In media, la produzione di testi matematici è molto bassa: 1-2 libri l’anno nella 12 13 3. Libri matematici seconda metà del XVI secolo, 2-3 nella prima del secolo successivo. Fanno eccezione i periodi 1585-1590 (nel 1588 se ne pubblicano addirittura 5) e 1600-1620, in cui la media sale decisamente a 3 con una punta di 7 titoli nel 1609. L’impennata della prima metà del secolo è significativa, giacché coincide con il momento più intenso del dibattito italiano sull’astronomia copernicana. Quanto alla punta del 1609, si tratta di un’eccezione giustificabile con la recente inondazione del Tevere (3 sono infatti i testi idraulici). Da questo elenco è inoltre possibile individuare un’editoria, per così dire, specializzata. Naturalmente, anche i matematici si avvalgono dei «grandi» editori romani, come Mascardi, Facciotti o Bernabò. Si tratta di autori per lo più «infedeli» che raramente pubblicano con lo stesso editore, tuttavia in generale è evidente una certa predilezione della categoria per alcuni stampatori, in primo luogo Zannetti (19 titoli), quindi Bonfaldino (6), Antonio Blado (8), Domenico Basa (4) e Vincenzo Accolti (4). Nella produzione a stampa esiste una netta superiorità dei testi tecnici rispetto a quelli teorici: 62 sono i testi di argomento matematico-applicativo contro i 50 di matematica teorica. La differenza sta anche nel fatto che i teorici pubblicano più di un libro, tra i pratici chi replica costituisce un’eccezione. I 62 testi di matematiche miste si possono così ulteriormente raggruppare (in ordine decrescente a seconda delle ricorrenze): idraulica (15 titoli); fortificazioni (13), geometria pratica (10), descrizioni di strumenti e del loro uso (8), nautica (6), ragioneria (4), macchine (4), algebra e aritmetica (2). I 50 libri di matematica teorica come segue: astronomia e astrologia (19), edizioni e traduzioni di testi classici (16), matematica (5), meccanica (4), geometria (3), acque (2), fortificazioni (1). Si tratta, come ho detto, di stime solo parziali e provvisorie dalle quali è ancora impossibile trarre conclusioni definitive, soprattutto non prima di aver esaminato tutti gli esemplari. Malgrado ciò, mi sembra possibile rilevare indicativamente alcune caratteristiche generali della cultura matematica a stampa romana. In primo luogo, mi sembra che l’editoria riveli le stesse tendenze nella matematica teorica evidenziate negli stessi anni per la Sapienza. Da una parte, il primato dell’astrologia e dell’astronomia, materie che non solo restano ancora al centro dei compiti istituzionali del matematico, ma che in questa fase della «rivoluzione scientifica» costituiscono ancora (l’astronomia soprattutto) il principale terreno di contesa tra «novatori» e tradizionalisti. Dall’altra, i 16 titoli, per così dire, filologici documentano anch’essi il lungo «rinascimento romano delle matematiche». Nel caso di Roma, anzi, questo movimento era destinato a protrarsi particolarmente a lungo. Oramai, negli anni Sessanta del Seicento, Alfonso Borelli restituirà il testo delle Coniche di Apollonio proprio grazie alla collaborazione degli Scolopi della casa professa di San Pantaleo55. Anche sui testi «pratici» vale la pena azzardare qualche considerazione. La «classifica» tra le materie di interesse rileva un dato apparentemente ovvio ma che invece non è facile da dimostrare, ovverosia il fatto che i matematici si dedicavano prevalentemente alle necessità dello Stato: il regime delle acque (del Tevere in particolare), la tecnica militare e, a quanto sembra, anche la navigazione. La committenza statuale dei testi di idraulica è evidenziata anche dal fatto che essi sono pubblicati dai tipi della Reverenda Camera Apostolica. Quanto ai 10 titoli di geometria pratica, essi confermano la tendenza difensiva e filosoficamente «neutra» della scienza dopo la condanna di Galileo, che è già occorso di ricordare. Tra questi volumi e quelli di aritmetica, inoltre, si trovano anche dei libri di testo per gli allievi del Collegio Romano e delle scuole di abaco dei padri Scolopi, un ulteriore documento del maggiore aggiornamento dell’offerta formativa di queste istituzioni rispetto al pubblico ateneo. È molto interessante, infine, l’esame della letteratura tecnica «minore». In primo luogo, questi testi confermano un’informazione già emersa: la provenienza straniera delle maestranze specializzate. Le introduzioni ai lettori, inoltre, che meritano un esame più approfondito, rivelano da una parte una strategia promozionale ancora in atto da parte dei practitioners per rivendicare non solo l’utilità ma soprattutto la liberalità delle matematiche; dall’altra, l’attaccamento della categoria alla trasparenza e alla condivisione delle conoscenze tecniche, nel più schietto spirito della «Rivoluzione scientifica». Semplificando al massimo il discorso di Biagioli, dal XVI secolo in avanti la promozione sociale dei mathematical practitioners sarebbe legata in un primo momento alle loro competenze militari e successivamente alle loro doti cortigiane. Indicatori di questo miglioramento sarebbero l’avanzamento relativo della disciplina nella gerarchia universitaria e l’introduzione delle matematiche applicate nei programmi di insegnamento. Nel caso della Sapienza, le matematiche «miste» si cominciano ad insegnare negli anni Sessanta, ed è solo nel 1685 che un practitioner, per la precisione un ingegnere militare, e questa volta di umili origini, ottiene la cattedra. La dina- 14 15 mica sociale dei matematici, cioè, a Roma sarebbe in ritardo di un secolo sul resto d’Italia. Un piccolo risultato non improbabile ma sul quale vale la pena indagare meglio. M. Biagioli, The Social Status of Italian Mathematicians, 1450-1600, in «History of Science», XXVII, 1989, 1, p. 41. 2 R. Westman, The Astronomer’s Role in the Sixteenth Century: A Preliminary Study, in «History of Science». XVIII, 1980, 1, pp. 105-147; S. Shapin, S. Schaffer, Leviathan and the Air-pump: Hobbes, Boyle, and the Experimental Life, Princeton University Press, Princeton 1985; M. Biagioli, Galileo Courtier. The Practice of Science in the Age of Galileo, Chicago University Press, Chicago-London 1993; S. Shapin, A Social History of Truth: Civility and Science in Seventeenth-century England, Chicago University Press, Chicago-London 1994. 3 Si vedano a titolo di esempio: Rome et la science moderne: Entre Renaissance et Lumières, a cura di A. Romano, École française de Rome, Rome 2008; Conflicting Duties: Science, Medicine and Religion in Rome. 1550-1750, a cura di M.P. Donato e J. Kraye, The Warburg Institute-Nino Aragno, London-Torino 2009. 4 Si vedano ad esempio, R. Morelli, Gli uomini del Tevere: fonti per la storia degli edili romani fra 1450 e 1550, in Le technicien dans la cité en Europe occidentale, 1250-1650, a cura di M. Arnoux e P. Monnet, École française de Rome, Rome 2004, pp. 77-92; Architettura e tecnologia: acque, tecniche e cantieri nell’architettura rinascimentale e barocca, a cura di C. Conforti e A. Hopkins, Nuova Argos, Roma 2002. 5 Cfr. B.T. Moran, Courts and Academies, in Early Modern Science, a cura di L. Daston e K. Park, Cambridge University Press, Cambridge 2006, pp. 251 sgg. 6 Se ne veda, per il pubblico italiano, C.B. Schmitt, Filosofia e scienza nel Rinascimento, a cura di A. Clericuzio, La Nuova Italia, Scandicci 2001. Per un buon esempio dell’impatto che il lavoro di Schmitt ha avuto sullo studio dell’insegnamento scientifico nelle università della prima età moderna, si veda almeno Teaching Science in Early Modern Europe, a cura di A. Clericuzio, numero monografico di «Science & Education», XV, 2006, 2-4. 7 I maestri della Sapienza di Roma dal 1514 al 1787: i rotuli e le altre fonti, a cura di E. Conte, 2 voll., Istituto Storico Italiano per il Medioevo, Roma 1991. 8 Ivi, ad annos. 9 F. Favino, Matematiche e matematici in Sapienza (XVII-XVIII sec.), in «Mélanges de l’École française de Rome», CXVI, 2004, 2, pp. 423-469 (d’ora in avanti Matematici), qui pp. 453-454. 10 F. Favino, Matematiche e matematici alla «Sapienza»: un’introduzione, in Roma e la scienza (secoli XVI-XX), a cura di A. Romano, numero monografico di «Roma moderna e contemporanea», VII, 1999, 3, pp. 395-420 (d’ora in avanti Matematiche), qui p. 397. 11 Biagioli, The Social Status cit., pp. 44-45. Egli porta ad esempio i casi di Bologna (in cui dal 1557 al 1568 troviamo una nuova cattedra ordinaria ad praxim mathematicae che nel 1569 diventa una cattedra ordinaria ad mathematicam, che assorbe la lettura festiva «ad astronomiam» o «ad astrologiam») e di Padova, in cui dopo il 1550 Moleto e Catena insegnano meccanica, idraulica e geografia contemporaneamente ad astrologia ed astronomia. 12 Per il caso bolognese si veda anche E. Baiada, M. Cavazza, Le discipline matematico-astronomiche tra Seicento e Settecento, in Le Università dell’Europa: le scuole e i maestri: l’età moderna, a cura di G.P. Brizzi e J. Verger, Silvana, Milano 1995, p. 153. L’assimilazione è attestata anche a Pisa nel 1543 (C. Schmitt, The Faculty of Arts at Pisa at the Time of Galileo, in «Physis», XIV, 1972, p. 255). 13 L’azione legislativa del papato, come è noto, non annientò queste pratiche: temi astrali ed altre letture sull’avvenire nel cielo perdurano nel cuore del XVII secolo. Si vedano ad esempio: G. Ernst, Scienza, astrologia e politica nella Roma barocca. La biblioteca di don Orazio Morandi, in Bibliothecae selectae. Da Cusano a Leopardi, a cura di E. Canone, Olschki, Firenze 1993, pp. 219-252; B. Dooley, Morandi’s Last Prophecy and the End of Renaissance Politics, Princeton University Press, Princeton 2002; U. Baldini, The Roman Inquisition’s Condamnation of Astrology: Antecedents, Reasons and Consequences, in Church, Censorship and Culture in Early Modern Italy, a cura di G. Fragnito, Cambridge University Press, Cambridge 2001, pp. 171-202. 14 Favino, Matematici cit., pp. 443-446. 15 Di Pedro Pomàr non si conosce altro se non questo incarico. La natura dei suoi interessi può solo essere intuita sulla base dei testi che commentava durante le sue ‘lunghissime e dottissime’ lezioni (cfr. annotazioni del bidello per l’anno 15791580, in Conte, I Maestri cit., ad annum). Infatti, accanto agli argomenti previsti dagli statuti (di Euclide il I e il VI libro), egli legge Theoricas planetarum ac iudiciariam, ut permissum est a sacrosanto Concilio Tridentino (ibid.). 16 Jano Nicius Eritraeus, Pinacotheca imaginum, illustrium, doctrinae vel ingenii laude virorum, qui, auctore superstite, diem obierunt, apud Iodocum Kalkovium, Coloniae Agrippinae 1645, pp. 128-129. 17 A. Agostini, Un commento su Diofanto contenuto nel Mas. Palat. 625, in «Archeion», XI, 1929, 1, pp. 41-54. Riferimenti per una possibile biografia del Pazzi in Favino, Matematici cit., pp. 400-401. 18 G.E. Saltini, Della Stamperia orientale medicea e di Giovan Battista Raimondi, in «Giornale storico degli archivi toscani», IV, 1860, pp. 257-308. 19 U. Baldini, P.D. Napolitani, Per una biografia di Luca Valerio. Fonti edite e inedite per una ricostruzione della sua carriera scientifica, in «Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche», II, 1991, pp. 32-39. 20 P.L. Rose, The Italian Renaissance of Mathematics. Studies on Humanists and Mathematicians from Petrarch to Galileo, Droz, Genève 1975. 21 Su Fabrizio Coccanari da Tivoli le notizie sono solo indiziarie: egli è in ruolo dal 1619 al 1621, con l’infimo compenso di 50 scudi per il primo anno e di 60 per il secondo (Conte, I Maestri cit., ad annum). Nel 1608 era probabilmente al servizio del marchese della Rovere, al quale dedicava l’Almanacco per l’anno 1608 (Facciotti, Roma 1608). Nel 1612 compare tra i quattro Riformatori dello Studium Urbis per quell’anno (F. Renazzi, Storia dell’Università degli studi di Roma detta della Sapienza, II, Pagliarini, Roma 1804, p. 251, doc. XIII). È del 1617 un suo Hieronymi Cardani Theognoston seu de vita producenda atque incolumitate corporis conservanda, (Roblettus, Romae) ripubblicata a Colonia nel 1620. 22 O. Gliucci, Argoli, Andrea, in Dizionario Biografico degli Italiani, IV, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1962, pp. 132-134, O. Gingerich, Argoli, Andrea, in Dictionary of Scientific Biography, I, Ch. Scribner’s Sons, New York 1970, pp. 244-245. 23 A. De Ferrari, Castelli, Benedetto, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXI, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1978, pp. 686-690. Sui suoi studi di 16 17 Note 1 idraulica: M. Bucciantini, Il trattato ‘Della misura dell’acque correnti’ di Benedetto Castelli: una discussione sulle acque all’interno della scuola galileiana, in «Annali dell’Istituto e Museo di Storia della scienza di Firenze», VIII, 1982, 2, pp. 103-140; C.S. Maffioli, La via delle acque, 1500-1700: appropriazione delle arti e trasformazione delle matematiche, Firenze, Olschki 2010, pp. 151-251 e passim. 24 A. Favaro, Opere di Galileo Galilei, XX, Barbèra, Firenze 1909, p. 531. Ulteriori riferimenti in Favino, Matematici cit., pp. 403-404 e note. 25 Ivi, pp. 439-441. 26 Ivi, p. 411. 27 Cfr. supra, nota 1, soprattutto Westman, The Astronomer’s Role cit. 28 Di Simone, La «Sapienza» cit., pp. 45-47. 29 Sull’altra cattedra, cfr. C. Carella, L’insegnamento della filosofia alla Sapienza di Roma nel Seicento. Le cattedre e i maestri, Olschki, Firenze 2007. 30 M. Völkel, Der Sapienza als Klient. Die Römische Universität unter dem Protektorat der Barberini und Chigi, in «Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken», LXX, 1990, pp. 491-512. 31 Cfr. S. Drake, Gasparo Berti, in Dictionary of Scientific Biography, II, Scribner’s and Sons, New York 1970, p. 83. Sul lavoro di Berti come scienziato, rimane fondamentale C. de Waard, L’Expérience barométrique: ses antecédents et ses explications, Imprimerie nouvelle, Thouars 1936, pp. 101-110. Sui suoi legami con il mondo del collezionismo antiquario: J. Connors, Virtuoso Architecture in Cassiano’s Rome, in Cassiano dal Pozzo’s Paper Museum, II, a cura di J. Montagu, Olivetti, Ivrea 1989, pp. 27-28 (con una lista completa di fonti secondarie). 32 F. Favino, Gaspare Berti. Notes and Materials for a Biography, in Renaissance Studies in Honour of Joseph Connors, a cura di M. Israëls e L.A. Waldman, Olschki, Firenze (in corso di stampa). 33 Questo raro esempio di biblioteca ‘matematica’ sarà oggetto di uno studio puntuale, a cura di chi scrive, sulle pagine di «Galilaeana. Journal of Galilean studies». Per far solo il caso, eclatante, dell’astronomia, vale fin d’ora la pena notare che tra gli autori vi figurano Keplero – il Mysterium cosmographicum (ed. Francoforte 1621), l’editio princeps degli Harmonices Mundi (Linz 1619) – Tycho Brahe, tutto Galileo ad eccezione del Dialogo sopra i due massimi sistemi, all’Indice dal 1633, con alcune delle opere minori che avevano sollevato polemiche di cui Galileo era stato protagonista (es. Baldassarre Capra, Scipione Chiamonti etc.). 34 Si veda il contributo di Renata Ago in questo stesso volume. 35 Connors, Virtuoso Architecture cit., p. 24. Nell’inventario, tuttavia, non compaiono pezzi da collezione, il che indurrebbe ad escludere che il bibliotecario vaticano Lucas Holsenius si riferisse a lui parlando con Nicolas Fabri de Peiresc di un certo Berti, proprietario di un museo a Roma (cfr. ivi, p. 27n). 36 Egli stesso aveva preso la cittadinanza e sposato una donna romana di più alto prestigio sociale. Sua figlia, Veronica, era andata a sua volta in moglie ad un gentiluomo romano, Michele Papini, proprietario dell’edificio in cui Gaspare e suo padre vissero fino alla morte (Favino, Gaspare Berti cit.). 37 Gli esperimenti del Berti sono documentati in A. Kircher, Musurgia Universalis, F. Corbelletti, Romae 1650, pp. 11-13 e in C. Schott S.J., Mechanica HydraulicoPneumatica, Henricus Pigrin, Herbispoli 1657 (1658). Oltre alla classica opera di De Waard, sulle prove romane del vuoto si vedano: A. Romano, Les jésuites dans la culture scientifique romaine, 1630-1660, in Francesco Borromini, Atti del convegno internazionale, Roma 13-15 gennaio 2000, a cura di C.L. Frommel e E. Sladek, Electa, Milano 2000, pp. 329-334; M.J. Gorman, Jesuit Explorations of the Torricel- lian Space: Carp-bladders and Sulphurous Fumes, in «Mélanges de l’École française de Rome. Italie et Méditerranée», CVI, 1994, 1, pp. 7-32. 38 F. Camerota, Le bizzarrie dell’ingegno: architettura e scienza per villa Pamphili, in Francesco Borromini cit., pp. 297-311; Id., Architecture and Science in Baroque Rome: The Mathematical Ornaments of Villa Pamphilj, in «Nuncius», XV, 2000, 2, pp. 611-638. 39 C. Candito, Corrispondenze ottico-prospettiche tra le opere di Maignan e di Borromini a Palazzo Spada, in La Trinità dei Monti tra arte e scienza, a cura di A. Romano, numero monografico dei «Mélanges de l’École française de Rome. Italie et Méditerranée», CXVII, 2005, 1, pp. 73-89; P. Julien, Anamorphoses et visions miraculeuses du père Maignan (1602-1676), ivi, pp. 45-71. 40 F. Camerota, La meridiana «tetracycla» del Quirinale, in Francesco Borromini cit., pp. 233-241. 41 Camerota, Le bizzarrie cit., p. 310 (note 5 e 7). 42 M.J. Gorman, N. Wilding, Athanasius Kircher e la cultura barocca delle macchine, in Athanasius Kircher: il museo del mondo, Catalogo della mostra tenuta a Roma nel 2001, a cura di E. Lo Surdo, Roma, De Luca 2001, pp. 217-237; M.J. Gorman, Between the Demonic and the Miraculous: Athanasius Kircher and the Baroque Culture of Machines, in The Great Art of Knowing: the Baroque Encyclopedia of Athanasius Kircher, a cura di D. Stolzenberg, Stanford University LibrariesCadmo, Stanford-Firenze 2001, pp. 59-70. 43 Della galleria di macchine per la Sapienza, mai finanziata, avrebbero dovuto far parte macchine ottiche, orologi solari e ad acqua, fontane allegoriche, macchine subacquee. Cfr. Favino, Matematiche e matematici in Sapienza cit., pp. 440, 460463. 44 G. Olmi, Natura morta e illustrazione scientifica, in Id., L’inventario del mondo: catalogazione della natura e luoghi del sapere nella prima età moderna, il Mulino, Bologna 1992. 45 H. McBurney, Cassiano dal Pozzo as Ornithologist, in Cassiano dal Pozzo’s Paper Museum cit., II, pp. 3-22; F. Solinas, Sull’atelier di Cassiano dal Pozzo; metodi di ricerca e documenti inediti, ivi, pp. 57-76. 46 M. Miniati et al., Sul restauro di due globi di Matthäus Greuter, in «Nuncius», X, 1995, 1, pp. 173-178; Mappa mundi: progetto di restauro sperimentale di due mappamondi di Mattheus Greuter, Centro regionale per la progettazione e il restauro, Palermo 2004; M. Calisi, D. Fagiani, P. Marraffa, Un globo celeste greutiano del Museo astronomico e copernicano di Roma: tra ricerca, conservazione e valorizzazione, in «Museologia scientifica», n.s., III, 2009, 1-2, pp. 62-75. 47 S. De Cavi, Incisioni di Mattäus Greuter per le Epistole Heroiche di Antonio Bruni (1627/28): ipotesi di una collaborazione editoriale al principio del seicento, il Mulino, Bologna 1998. 48 J.M. Besse, The Birth of the Modern Atlas – Rome, Lafredi, Ortelius, in Conflicting Duties cit., pp. 35-55. 49 A. Lualdi, Repertorio dei costruttori italiani di strumenti scientifici: secoli XVIXVIII, in «Nuncius», XV, 2000, 1, pp. 169-234. 50 P. Todesco, La famiglia Lusverg dal ’600 all’800, in Astronomical Observatories and Institutions in Italy: Seventh Annual Meeting on the History of Astronomy, Milan 21-22 april 1995, a cura di E. Proverbio, numero speciale di «Memorie della società astronomica italiana», LXVI, 1995, 4, pp. 895-901. 51 Per esempio, E.G. Rimington Taylor, The Mathematical Practitioners of Tudor & Stuart England, For the Institute of Navigation at the University Press, Cam- 18 19 bridge 1954; Ead., The Mathematical Practitioners of Hanoverian England, 17141840, For the Institute of Navigation at the University Press, Cambridge 1966. Per una bibliografia più aggiornata sul tema, cfr. Compass and Rule: Architecture as Mathematical Practice in England 1500-1700, a cura di A. Gerbino e S. Johnston, Yale University Press, New Haven 2009. 52 M. Conforti, La medicina nel Giornale de’ letterati di Roma, 1668-1681, in «Medicina nei secoli», n.s., XIII, 2001, 1, pp. 59-91. Per una visione d’insieme cfr. S. Brevaglieri, Editoria e cultura a Roma nei primi tre decenni del Seicento, in Rome et la science moderne cit., pp. 257-319. 53 Sulla Biblioteca Angelica si vedano: A. Serrai, Angelo Rocca: fondatore della prima biblioteca pubblica europea, Sylvestre, Milano 2004; Libri e cultura nella Roma di Borromini, a cura di B. Tellini Santoni e A. Manodori, Retablo, Roma 2000. Si tratta comunque, per ora, di una base dati assai modesta, soprattutto se confrontata con quella realizzata da Laurent Pinon per il progetto Bibliographie des livres scientifiques imprimés à Rome (1527-1720), in collaborazione con il CRHST-CNRS. La bibliografia è consultabile all’URL: www.hstl.crhst.cnrs.fr/bibliorome/index.php (data ultimo accesso: 27.01.2012). 54 Sulla nuova stagione della scienza romana nella seconda metà del XVII secolo cfr.: F. Favino, Beyond the «Moderns»? The Accademia Fisico-matematica of Rome (1677-1698) and the Vacuum, in Institutions of Knowledge, Circles of Knowledge in Early Modern Europe, a cura di S. Duprè e S. Kusukawa, numero monografico di «History of Universities», XXIII, 2008, 2, pp. 120-158; M.P. Donato, Late Seventeenth-century Scientific Academies in Rome and the Cimento’s Disputed Legacy, in The Accademia del Cimento and its European Context, a cura di M. Beretta, A. Clericuzio e L.M. Principe, Science Historical publications, Sagamore Beach 2009, pp. 151-164. 55 L. Guerrini, Matematica ed erudizione. Giovanni Alfonso Borelli e l’edizione fiorentina dei libri V, VI e VII delle ‘Coniche’ di Apollonio di Perga, in «Nuncius», XIV, 1999, 2, pp. 509-510. Giampiero Brunelli La congregazione della Sacra Consulta: il primo registro La Sacra Consulta, istituita da Sisto V insieme ad altre 14 congregazioni cardinalizie con bolla Immensa aeterni Dei del 22 gennaio 1588, fu molto longeva: durò infatti fino al 1870 (con interruzioni durante i rivolgimenti degli anni 1809-1814 e 1848-1849). Uno studio complessivo sulla sua attività non è stato ancora tentato, probabilmente a causa della dispersione di gran parte dei suoi fondi documentari. Sono però disponibili i risultati di alcuni saggi sulle fonti ancora conservate. Andrea Gardi ha proceduto all’analisi di un copialettere del febbraioagosto 1596 e di un registro dei memoriali degli anni 1599-1603. Ne è emerso che la Consulta esaminava ogni anno circa 6.000 casi. Alcuni prelati esperti in diritto, denominati «ponenti» e guidati da un attivo segretario, istruivano i procedimenti, successivamente discussi e risolti dai membri di rango cardinalizio dell’ufficio, tra i quali spiccava il cardinal nipote (prefetto della congregazione). Per far conoscere le proprie decisioni, la Consulta spediva circa 1.100 lettere ogni anno: cifra di assoluto rilievo se si considera che dalla sua giurisdizione erano esclusi i territori direttamente sottoposti all’autorità di un cardinale legato (come, ad esempio, Bologna). Anche il ventaglio delle competenze è apparso molto esteso: la congregazione si occupava di «cause penali, civili, ecclesiastiche, grazie e revisioni di processi; esame di controversie corporative, di lagnanze di sudditi contro i loro feudatari o contro gli ufficiali papali, di misure annonarie; autorizzazioni a comunità ad accedere a finanziamenti statali per liberarsi da debiti; chiarimenti su confini interni e sui conflitti di competenze tra giudici; controlli sulla regolarità delle amministrazioni comunali»1. In anni più vicini, Stefano Tabacchi ha studiato la congregazione concentrandosi sulla sua composizione, sulla formazione dei processi decisionali al suo interno, sui risultati raggiunti fra il Sei e il Settecento2. La Consulta, a suo giudizio, deve essere accostata all’altro importante dicastero impegnato nel governo dei domini temporali della Chiesa: 21