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INNOCENZO X PAMPHILJ Arte e Potere a Roma nell'Età Barocca

2001

Committenza e politica culturale durante il pontificato di Innocenzo X Pamphilj

INNOCENZO X PAMPHILI Arte e Potere a Roma nell'Età Barocca a cura di Alessandro Zuccari e Stefania Macioce autorl Maurizio Calvesi Stefania Macioce Claudio Strinati Paolo Portoghesi Sandro Corradini Rosanna Barbiellini Amidei Laura Russo &.^RrPRFss Alessandro Zuccari Maurizio Marini Olga Melasecchi Il Convegno (INNOCENZO X PAMPHILJ Artisti e committenza a Roma nell'età barocca> è stato organizzato dalla Libreria Shakespeare and Company sotto I'Alto Patrocinio del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali Roma Protomoteca del Campidoglio Novembre 1990 Seconda Edizione - Aprile 2001 Starnpa: Edigral - Rontit Sornrnario T7 L'elefante con obelisco tra Colonna e Barberini Maunrzro Carvpsr 27 Borromini e Innocenzo X: architettura e politica pontificia Peoro PonrocHEsr 35 Borromini tra religiosità borrom aica e cultura scientifica AlpsseNDRo Zuccanr 75 La di S. Ivo alla Sapienza SrpreNra Mecrocn <<chiocciola>> 97 Inediti del Borromini nella ristrutturazione di S. Martino al Cimino SeNono ConnaDrNr 109 Innocenzo X, Innocentius X Pont. Max. Olimpia Pont. Max.: Donna Olimpia Maidalchini Pamphilj Meuruzro MezuNr e Veldzquez 131 Pietro da Cortona e Mattia Preti intorno al Clauoio SrnrNarr 1650 163 Figure e ritratti di Innocenzo X RosaNNe BaneELLrNr Avrner 177 Pietro Martire Neri ritrattista cremonese nella Roma di Innocenzo X Orca MBI-asECCHI 193 Notizie su Guglielmo Cortese e la famiglia Pamphilj Launa Russo Borrornini tra religiosità borrornai ca e cultLlra scientifica a messe di studi su Francesco Borromini prodotta negli ultimi decenni ha restituito al grande architetto la sua fisionomia e il corpus della sua opera. Il fervore di indagini compiute soprattutto in occasione del terzo centenario della sua morte ha permesso di rintracciare o di rendere pubblica una serie di documenti fondamentali per la comprensione della sua persona e della sua attivitàl. Un insieme così nutrito di informazioni offre, oggi, la possibilita di fare nuove considerazioni e di verificare alcune ipotesi formulate da tempo sul suo conto. Si pensa innanzitutto allo stimolante parallelo tra Caravaggio e Borromini, che Argan2 propose dal 1952 sollevando non poche voci di dissenso, e poi ai vari contributi volti a individuare la cultura e la religiosità dell'architetto ticinese. Una rilettura delle fonti, in questo quadro di ricerca, può fornire ulteriori precisazioni intorno alla sua figura. I1 primo dato biografico su cui si vuol richiamare nuovamente I'attenzione è la decisione di cambiare il proprio cognoD€, presa dall'artista attorno al 1628. Dall'aprile di quell'anno si registra che la firma di Francesco Castelli è mutata in <<Francesco Boromino>'. È vero, come è stato chiarito dalle indagini di Marcello Del Piazzo, che il nome <<Borromino>> è attribuito a Francesco per eredità familiare, sia per essere in uso presso la famiglia di sua madre, sia per il soprannome di <Brumino>> assegnato anche a suo padrea; tuttavia queste informazioni mostrano la genesi del nuovo cognome di Francesco senza però chiarire il motivo di quell'opzione, che fu univoca e definitiva. Qualcuno ha tentato di spiegare la decisione adducendo una questione di ordine pratico: distinguersi dagli altri Castelli presenti in quel tempo a Romas. Solo Rudolf Wittkower ha sottolineato la rilevanza del cambiamento di noh€, collocandola giustamente nel momento in cui Borromini <si sentiva prossimo alla realizzazione del suo sogno), cioè di potersi affermare come architetto e porre quindi le premesse per liberarsi dalla odiosa dipendenza dal Bernini. Wittkower non crede che <<l'architetto abbia assunto il nome di Borromini solo per ragioni pratiche>>, ma attribuisce a tale scelta il valore di gesto simbolico, compiuto come <<l'unica possibilità di protesta>> verso il rivale Bernini, nell'attesa di ottenere la piena autonomia professionale. Giungendo alla fantasiosa conclusione che I'appellativo di <Borrom-ino>> racchiuda il significato di riva- 'ìA N il l) Borromini, emblema suli'altare Filomarino. Napoli, chiesa dei SS. Apostoli. t %3 vry tffi,e ii ! le del <Bern-ino)) venuto dal Nord, si associa a un'ipotesi più volte avanzata supponendo che <il legame col nome dei Borromeo può anche contenere un riferimento ad una specifica forma di religiosità>6. Muovendosi in questa direzione è forse possibile trovare una spiegazione convincente a quella scelta, senza escludere il valore simbolico del gesto, nel contesto della rivalità con Bernini. C'è infatti un altro dato documentario che permette di collocare tale scelta in una congiuntura esistenziale di particolare rilevanza per Borromini. Nei conti dell'archivio della Reverenda Fabbrica di San Pietro il cognome Castelli appare di regola sino al 1629, come osserva Marcello Del Piazzo, <<sino a quando cioè le liste di pagamento degli artigiani sono vistate da Carlo Maderno . La prima nuova notazione: Francesco Borromini, appare nel febbraio 1629; essa da questo momento è la comune>>7. Francesco accetta di essere registrato col nome di famiglia fino al momento in cui è alle dipendenze di suo zio, Carlo Maderno, cioè fino al 27 gennaio del 1629. Tre giorni dopo il Maderno muore: Borromini perde la persona a cui forse è piu legato e anche suo protettore, e sente il bisogno di sottolineare con più forza la scelta fatta alcuni mesi prima, quella di porsi sotto la protezione di san Carlo Borromeo. È probabilmente questo il motivo per cui si fa registrare col nuovo cognome a partire dai giorni seguenti, lo stesso che I'aveva spinto a mutare la sua firma, forse in vista della scomparsa di suo zio. Ormai vicino ai trent'anni, ma non ancora affermato come architetto pensa a un nuovo "patrono" che lo aiuti a coronare il suo sogno e le sue fatiche. Che Francesco avesse una grande devozione per san Carlo Borromeo è già stato rilevato e trova conferma nel fatto che in casa sua, oltre a un quadro del santo con la Madonna, c'eîa <<un ovato con il nome Carolus Cardinalis Borromeus e suo sigillo con cornice indorata>>, appeso nella camera da letto8. Non è improbabile che tra le numerose reliquie di santi, registrate nell'inventario dei beni dell'artista, ce ne fosse anche una del Borromeo. Si puo inoltre supporre che nel lavoro e con la beneficeîza concessa alla chiesa di San Carlino, sua prima realizzazione autonoma, Borromini fosse animato dal desiderio di assolvere a un ex voto, data la "provvidenziale" identità tra il titolare della prima chiesa da lui costruita e il suo santo patrono. Trova così conferma I'ipotesi di Wittkower circa il valore simbolico del cambio di nome, nel momento in cui I'architetto sente il bisogno di emanciparsi dalla dipendenza da Bernini e rifiuta il patrocinio di altri dopo quello di Carlo Maderno. E poi probabile che la sua <religiosità fervente e tutta interiore>>, per usare un'espressione di Argan, abbia spinto Francesco Castelli a prendere le distanze dall'atteggiamento notoriamente più <<mondano ed esteriore>> del suo antagonista. I biografi registrano comportamenti di Borromini che ben si associano all'austerità di vita e alla f.-foi$ ". "YAd'f*-* * F**"*: ffi - Yd *ìI^^ 2) Borromini, l'oltare Filo- marino nello chiesa dei Apostoli a Napoli. SS. 3) Borromini, portale d'ac- cesso alla rampa elicoidale nel palazzo Carpegna o RomQ. religiosità interiore di Carlo e Federico Borromeo. Il Baldinucci, ad esempio, dopo aver dichiarato che il maestro era <di forte animo, e d'alti e nobili concet- 4) J. Greuter, antiporta del Tesoro Messicano nell'edizio- ne del ti)), ricorda che egli <fu sobrio nel cibarsi, e visse castamente>>, e ancora che (non fu punto signoreggiato dal desiderio di roba, il quale tenne per soggetto a quello della gloria>e. Giustamente Wittkower ha osservato che I'artista, al contrario di Bernini, visse modestamente: a partire dall'inventario dei beni redatto subito dopo la sua morte, lo studioso rileva che <le sue stanze erano poveramente ammobiliate (...) i vestiti lasciati sono pochi, il vasellame è per lo più di stagno; la cucina è quasi vuota>>, e ne deduce che Borromini <<spese poco tempo e denaro per la propria persona e si curò ben poco del proprio agio>>l0. Non è azzardato associare questo stile di vita alla sobrietà di costumi che caratterizza la spiritualita borromaica. Non c'è bisogno di ricordare I'austerità di vita di san Carlo, tr tutti nota in quegli anni anche per la pubblicità che ne venne fatta perché fosse esempio d'integrità di costumi e modello di santi- tà. Giulio Carlo Argan e Anna Maria Brizioil, seguiti da altri studiosi, hanno pensato al grande fascino esercitato dal- la figura del Borromeo negli anni mila- nesi del giovane Castelli, attorno al 1610, data della canonizzazione di san Carlo, mentre appare ormai datata l'ipotesi di un Borromini eterodosso; questa dava credito al celebre giudizio di Bernini sul suo rivale, la cui religiosità avrebbe ptzzato <<alquanto di zolfo>>r2. Se così fosse stato non sarebbe valsa la protezione di Virgilio Spada ad ottenergli la commissione per San Giovanni in Laterano o quella per il Collegio De Propaganda Fide, o altro, anche ammettendo che amicizie influenti 1o avrebbero potuto preservare da eventuali noie con il Sant'Offizio. I dati biografici di cui si dispone dimostrano la sua piena osservanza ai precetti della Chiesa fino alle ultime ore della sua vital3. Rintracciare <<pvzza di zolfo>> nei grandi artisti del Cinquecento e del Seicento, non è costume recente: basti pensare a quello che si è detto di Michelangelo, o del Caravaggio, spesso in una contrapposizione schematica con artisti di minor talento, che appaiono, invece, devoti e bacchettonira. Se è suggestiva I'immagine di un Borromini in odor di eresia, in antitesi con un Bernini osservante e opportunista, tuttavia, com'è stato chiarito da tempo, queste interpretazioni hanno il vizio di forzare la storia. Dunque, I'architetto di Bissone è ossequiente alle regole del formalismo religioso e non è animato da inquietudini interiori? Tutt'altro. È un uomo del suo tempo che risente profondamente delle 1649. inquietudini e delle incertezze della sua epoca e del suo ambiente. E le categorie, i gesti, per esprimere il suo orientamento interiore non sono dissimili da quelli peculiari del mondo borromaico. Così, la scelta di assumere come nuovo cognome quell'appellativo di cui la sua stessa famiglia si poteva gloriare,è fatta dal maestro per fregiarsi di un titolo che evidenziasse la propria opzione religiosa, e la <nobiltà d'animo> che ne consegue. Per questo desiderio di distinguersi, secondo Giovambattista Passeri, l'artista giunge al punto di indossare sempre lo stesso abito di foggia spagnola fuori moda, e ciò è confermato dal bene informato Lione Pascoli, che annota: <<vestì sempre di nero>>r5. A ben vedere, anche quest'altra scelta del Borromini, che Wittkower considera <<tendente all'esibizionismo>>, prende le mosse dal- di costumi del Borromeo. Non a caso il cardinal Federico, seguendo altri illustri esempi, indossava ((un semplice vestito di zendalo, del qual si serviva sempre senza mutarlo infinché durava, e facevalo più volte, secondo il bisogno, racconciare>>16. E proseguendo, in tal chiave va letta anche I'informazione del Passeri sul giovane Borromini scalpellino in San Pietro: <<nel tempo della colazione e del pranzo ritirato da se solo disegnava accuratamente molte parti del famosissimo tempio>>l7, cosa che ben si accorda con quanto osservava, sull'esempio di san Carlo, Federico Borromeo: (Soleva dir lo star'a tavola era un perder tempo e scriveva e leggeva mentre mangiava solo qualche poco à che al sostentamento della vita stimava necessario>>18. Forse la stessa idea animava quel promettente disegnatore che, mentre per amore dell'arte <<non perdonò a fatica>>, si mantenne sempre (sobrio nel cibarsi>>re. Quell'accanirsi nel disegno durante il tempo dei pasti, p€rtanto non fu dovuto soltanto all'ambizione professionale, ma fu ispirato da I'austerità una sobrietà di vita che gli stessi biografi ricordano ripetutamente. Anche la scelta di una dimora modesta, I'onestà nel percepire i compensi e la larghezza dei lasciti testamentari, con cui esprime la sua gratitudine alle persone che gli erano state vicine, rientrano nello stile generoso e disinteressato di san Carlo e di suo cugino Federico. Da queste informazioni emerge che la religiosità di Borromini è connotata anche da pratiche esterne che, se possono sembrare bizzarre ai più, sono invece consuete in ambienti filopauperisti come quello borromaico, in Lombardia, o quello oratoriano, che a Roma ne è I'equivalente. Infatti, lo stesso protettore di Borromini, il padre Virgilio Spada, osservava gli stessi precetti di sobrietà: <<la stanza dove abitava racconta l'oratoriano Paolo Aringhi rassembrava anzi una cella di religioso povero, che di prete secolare, il quale possedesse beni temporali. Non era quivi altro che un povero letto, inginocchiatoio, tavoliro, scansia ed alcuni pochi libri a lui necessari, ed invece di quadri, alcune figure di carta>>. Il medesimo concetto è ripetuto dal biografo a proposito delle vesti: (non ne aveva fuori di quella che, attualmente portava d'estate, e d'inver- no, quale passata la stagione dava per elemosina, aborrendo grandemente la superfluità, e molteplicità della roba>>2o. Dunque, le bizzarrie di Borromini non sono soltanto frutto del suo <esibizionismo)), ma sono nella sostanza condivise e praticate da altri (e non è irrilevante tale sintonia con 1o Spada, sostenitore e amico tra i pochi dell'artista) per un'opzione religiosa che si esplicita attraverso quqi comportamenti esterni. E utile ricordare che stranezze analoghe sono attribuite dai biografi anche a Michelangelo da Caravaggio. Bellori (e sulle sue orme Baldinucci) annota con tono di disprezzo che <<nel portamento e vestir suo) egli usava <<drappi e velluti nobili per adornarsi; ma quando poi si era messo un habito, mai lo tralasciava, finché non gli cadeva in cenci>>, ed aggiunge che (era negligentissimo nel pulirsi; mangiò molti anni sopra la tela di un ritratto, servendosene per tovaglio mattina e sera>>2l. Commentando queste affermazioni Maurizio Calvesi si è chiesto se si tratti di <<trasandatezza congeniale al 'bizzarro' talento d'artista, o comportamento ispirato ai suoi modelli di pauperismo?) e, accettando entrambe le ipotesi, crede a un'influenza degli ambienti che ricevettero a Roma il Caravaggio a quei precetti di austerità borromaica <da cui egli rimase probabilmente suggestionato, coerentemente alle sue scelte pauperiste in pittura>22. Questi comportamenti, peraltro non infrequenti presso laici e religiosi, soprattutto di alto ceto sociale, accomunano i due artisti proprio nella prospettiva di quel- I'affinità culturale e religiosa che Argan ha intuito da tempo, rintracciandola nella corrente di spiritualità borromaica e oratoriana che la comune formazione lombarda avrebbe favorito. L'analogia tra i brevi tratti esistenziali qui esaminati può costituirne una conferma. Non è necessario fare di Borromini un adepto dell'Oratorio di san Filippo per riconoscere nella sua sensibilita un orientamento religioso non dissimile da quello praticato dai seguaci del Neri. La sincera amicizia che legava il maestro a Virgilio Spada ne è l'indizio più significativo. In tal senso è fruttuosa una conoscenza più ravvicinata dell'amico oratoriano e una comprensione più ampia degli scambi culturali che poterono intercorrere tra i due. È noto che lo Spada, versato in matematica e geometria, si dilettò d'architettura, ma i suoi interessi erano stati wé, .' w@ .'Y:y ?wffi 5) Borromini, decorazione a stucco con stemma cuoriforme nella navota esterno di S. Giovqnni in Laterano. più vasti soprattutto in gioventù. Il suo biografo ci informa che attese alla musica <<ed arrivò a fare alcune composizioni per via di numeri, e proporzioni>> e <dilettossi parimenti di vari studi naturali; a questo effetto attese anche a distillare diversi Estratti>>23. Si occupò, quindi, di alchimia ed ebbe interessi di carattere scientifico, cosa che risulta confermata dal piccolo museo che egli aveva raccolto nella sua camera alla Vallicella. Come ha già osservato Connors la sua collezione, lasciata in eredità ai padri dell'Oratorio, è stata smembrata attorno al 188524. Dall'inventario, redatto prima dell'assegnazione dei pezzi a cinque musei romani, si rileva che vi fossero raccolti duecentoundici reperti antichi, quarantatre tra minerali e fossili, quarantanove conchiglie di molluschi più altri nove pezzi zoologici, e quaranta strumenti fisici ed astronomici25. Ricordato da Bellori come raccolta di meda- glie e curiosità varie nel 1664, a due anni dalla morte di Virgilio, il Museo Spada fa parte di quel tipo di gabinetti archeologici e scientifici piuttosto diffusi al tempo. Lo stesso Bellori ne segnala a Roma una decina in questa formula mista, pur con diverse specializzazioni: oltre al celebre Museo Kircheriano, spiccano i <<Musei di curiosità naturali antiche e peregrine> dei cardinali Francesco Barberini, Flavio Chigi e Virginio Orsini26. È interessante osservare che lo Spada era in rapporti piuttosto stretti col Barberini ed era amico dell'Orsini27, ed è probabile che questi legami erano favoriti da comuni interessi. Il Barberini, poi, era stato membro dell'Accademia dei Lincei, cooptato da Federico Cesi anche per godere della sua potente protezione. Non sono emersi documenti che dimostrano un rapporto tra lo Spada e i Lincei, tuttavia, che I'oratoriano appartenesse allo stesso ambiente culturale è suggerito dall'ipotesi attendibile di un legame del giovane Cesi con I'Oratorio di san Filippo e poi dalla fitta corrispondenza sua e di altri accademici con intimi dell'Oratorio come Federico Bor- romeo28. Che i padri della Vallicella guardasse- ro di buon occhio quest'indirizzo di studi è confermato dalla celebre dichiarazione del cardinal Baronio in favore di Galileo: infatti lo storico oratoriano aveva chiarito che <<l'intenzione dello Spirito Santo essere di insegnarci come si vada al cielo e non come vada il cielo>>2e. Anche la famiglia Orsini era legata ai Lincei e tra il 1616 e il 1630 aveva curato, a Bracciano, la pubblicazione della miscellanea di Cristoforo Scheiner, Rosa Ursina sive SoI, dedicata appunto a quel casato3o. Una conoscenza indiretta di quelle ricerche, dunque, Virgilio Spada la ebbe attraverso le sue amicizie e potè partecipare agli entusiasmi dei <<novatori>> e poi alle loro pene, in seguito alla condanna di Galileo. Se si confronta il modesto Museo Spada con quello più ricco di Federico Cesi, si scorgono significative analogie. Accanto ai minerali, tra cui esemplari provenienti dalle Americhe, compaiono i fossili, sia animali sia vegetali, che tanto avevano occupato le ricerche dei Lincei da produrre pubblicazioni quali il Trattato del legno fossile di Francesco Stelluti (naturalmente dedicato al cardinal Barberini)". Nei due musei compaiono, inoltre, corni di rinoceronte, gusci di tartaruga marina, parti di crostacei, gusci di uova di struzzo, conchiglie di svariate forme e grandezze ed altri 'naturalia'. Anche gli strumenti scientifici hanno esemplari del medesimo tipo: bussole, lenti, specchi concavi, astrolabi, sfere celesti di svariate fattezze e materiali, sfere armillari e, pure, un cannocchiale32. Virgilio Spada, seppur in modo dilettantesco, aveva mantenuto certi interessi giovanili coltivandoli secondo quella tipica erudizione secentesca che dava un 6) A. Ciampelli, L'angelo mostra a S. Giovanni la Ge- rusalemme celeste, particolare. Roma, Battistero Lateranense, cappello di S. Giovan- ni certo rilievo all'osservazione e alla cono- scenza, per così dire, scientifica della realtà naturale. Probabilmente tale attenzione era accompagnata da letture e da scambi di idee con gli ambienti scientifici romani. È interessante osservare che tra i libri posseduti dall'oratoriano compaiano volumi eterodossi, quali il De Secretis del medico colmarense Giacomo Wecker. Si tratta di un compendio a carattere enciclopedico di varia scienza, interessante per le illustrazioni della parte relativa alla meccanica, in cui risultano cancellate a penna numerose righe e aicune pagine. La spiegazione viene da una postilla sul frontespizio: (di Verg(ilio) Spada posto in lib (rari)a li (?) d'8bre 1624 per esser sospeso>)33. Invece di disfarsi di volumi come questo, Virgilio preferì depositarli nella Biblioteca per non aver noie e al tempo stesso per non distruggerli, fatto che conferma la sua passione per questioni magico-alchemiche che al tempo non erano ancora disgiunte dalle indagini di tipo scientifico. Questi elementi contribuiscono a chiarire la cultura dell'oratoriano, i suoi campi d'interesse, e offrono alcuni spunti di ricerca intorno al rapporto con Borromini. Non è noto il tempo in cui i due personaggi si conobbero e se il loro incontro sia precedente al 1637, quando I'architetto assunse la direzione della fabbrica vallicelliana3a. Si può, tuttavia, avanzare I'ipotesi che il contatto sia avvenuto attraverso il cardinal Francesco Barberini che conosceva Borromini già dagli anni in cui era impegnato ai lavori del palazzo alle Quattro Fontane. Il potente prelato, come risulta da una memoria del rettore dello Studium Urbis, spese i suoi buoni uffici presso Gianlorenzo Bernini per la nomina di Borromini ad architetto della Sapienza. Inoltre il cardinale fu interessato ai lavori di San Carlino finanziando la realizzazione della cappella della Madonna e celebrandovi la messa inaugurale; chiese anche all'architetto un progetto di trasformazione di modesta entità per la chiesa napoletana di Santa Maria a Cappella Nuova3s. Non è da escludere che Francesco Barberini, data I'amicizia che lo legava a Virgilio Spada, abbia avuto un qualche ruolo nell'inserimento di Borromini al- I'Oratorio filippino. Ulteriori ricerche documentarie potrebbero far nuova luce su quest'aspetto ancora in ombra. Intanto, è utile rilevare che gli interessi naturalistici e archeologici comuni ai due colti prelati non erano estranei all'architetto di Bissone. Qualche indizio lo si ricava dall'inventario della sua raccolta domestica. Vi sono registrati: evongelista. varie conchiglie, di cui tre <<a lumaca), alcuni pezzetti di cristallo (di montagna), una corona d'ambra, coralli, perle scaramazze, una serie di sculture, antiche e non, raffiguranti rettili, uccelli e altri animali piccoli e grandi36. Tra gli strumenti scientifici non compaiono quelli astronomici, ma c'è una <carta di cosmografia, con cornice bianca), appesa nella prima stanza di casa. Il notevole numero di dipinti e disegni che rappresentano fiori e frutti, fa pensare che alcuni di essi appartengano a quel tipo di illustrazioni naturalistiche riprese dal vero, come quelle che, ad esempio, Federico Cesi possedeva in gran quantità37. Più volte è stato osservato che Borromini amasse un'attenta osservazione della realtà e uno studio meticoloso del dato naturale; non sarebbe strano che questa cura fosse mediata anche da illustrazioni a carattere scientifico, peraltro già in uso da tempo, e se ne può leggere il riflesso in molte decorazioni progettate dal maestro. Particolarmente efficace è il raffronto tra i due emblemi dell'altare Filomarino nella chiesa dei Santi Apostoli a Napoli e le immagini naturalistiche di Francesco Mingucci, pittore pesarese al servizio di Francesco Barberini38. Si tratta di erbari composti attorno al quarto decennio del Seicento le cui tavole assommano (una scrupolosa aderenza alla realtà naturale) a una valorizzazione delle qualità estetiche dei soggetti botanici prescelti3e. Ad esempio, la tempera che raffigura il fiore di melograno (tav. IX) ha le caratteristiche descrittive e decorative del fiore nell'insegna araldica dei Filomarinoao. La mobilità dei petali e delle foglie ha un'eleganza formale che non distorce ma accentua la scioltezza del vegetale (fig. 1). Anche gli altri ornamenti dell'altare (fig. 2) mostrano le medesime caratteristiche: i tre bellissimi festoni di fiori e frutti, i due mazzi di gigli, le due foglie di palma liberano il repertorio ornamen- tale classico da ogni schematizzazione, in favore di una disinvolta naturalezza. Osservando il coronamento architettoni- co dell'altare si scorgono elementi simbolici che paiono scelti dalle collezioni di Borromini: le <nature vive> dei vasi araldici, i due icosaedri che ricordano i <cristalli di montagna> da lui raccolti, e la conchiglia capovolta, sotto lo stem- ma. Sembrerebbe un elogio Natura nei suoi tre mondi: della vegetale, minerale e animale, che rimandano alla partecipazione di tutto il creato al rendimento di lode a Dioal. Proprio alla fine degli Anni Trenta del Seicento e poi nei seguenti, Borromini modella le sue decorazioni con la scioltezza compositiva e I'aderenza al dato reale che costituiscono un tutt'uno raffinatissimo con le sue architetture. Gli esempi sono numerosi, soprattutto in San Giovanni in Laterano, e trovano conferma nei disegni anche di progetti non realizzati: si pensi allo studio di uno spicchio della cupola di Sant'Ivo con un albero di palma (Albertina n. 516) o il disegno per I'ornato sopra una targa di Alessandro VII (Albertina n. 407). Le citazioni di fiori, foglie e frutti di specie molto varie, è frequentissima, e I'utilizzo di racemi svincolati dai tradizionali impianti decorativi qualifica determinati spazi architettonici, come i liberi rami d'olivo sopra le finestre del vestibolo di passaggio tra la Basilica e il Palazzo al Laterano, o quelli che ornano la loggetta sul Tevere di Palazzo Falconieri e il portale della chiesa dei Re Magia2. Una variante di questa spigliatezza naturalistica è costituita dalla decorazione a stucco del portale di palazzo Carpegna (fig. 3). Come ha osservato Portoghesi, si tratta di <forme descritte con naturalistica insistenza ma forzate nella dimensione al punto da apparire <<sognate>>43. Da un robusto festone d'alloro pendono rose e margherite di più specie, il cui gigantismo rimanda a un mondo (sogna- 7) S. Della Bella, antiporta del Dialogo sopra i due Mas- simi Sistemi di (t632). Galileo che, forse, altro non è che il Nuovo Mondo, dove si possono ammirare fiori e frutti di grandezze inconsuete. Un richiamo più diretto all'America puo venire da una delle più celebri pubblicazioni lincee: il Tesoro Messicano di Francisco Hernandez corredata dal compendio di Leonardo Antonio Recchio e da altri contributi#. A partire dalla prima edizione del 1628, fino a quella del 1651, l'antiporta del volume (fig. 4) reca un'elaborata incisione dei Greuter in cui compare il motivo della cornucopia avvitata e rovesciata da cui cadono frutti vari; la cornucopia è sorretta da una figura allegorica femminile. Oltre le già identificate illustrazioni del Ripa, Borromini può aver desunto qualche suggestione dall'impianto compositivo di questa stampa: una port a parzialto>> : ::--:. Donus Apocalypti.. - -, r .4., a:-ar. \'estigatio : -: .::.- jr :r .\pOCalypsi .; mente occupata da un drappo, che lascia soltanto intravedere ciò ch'è oltre al modo del festone floreale, è sormontata proprio sulla destra della cornucopia rovesciata, simile a quella di palazzo Carpegna, con pomi, uva, spighe di grano e, forse, pannocchie di maisas. I fiori sono distribuiti ovunque, anche nella trabeazione, e il fregio vegetale dell'arco ha qualche assonanza con quello che orna I'intradosso delle arcate terrene di palazzo Carpegna. Inoltre, le colonne dello stemma di Filippo IV di Spagna, il cui motto <<Et plis ultra>> è riferito al superamento delle Colonne d'Ercole, sembrano trovare un richiamo in quelle che affiancano il portale. In tal senso quest'ingresso, giustamente interpretato come <<porta dell'ospitalità> sulla scorta del Ripa, invita ad accedere nel palazzo attraverso questa sorta di Colonne d'Ercole, verso un mondo che già promette i dolci frutti dell'accoglienzaaí. Queste suggestioni iconografiche rimandano alla cultura diffusa dagli studi dei Lincei, cultura che può aver suscitato una qualche attrazione in Borromini. Indizi più convincenti di quelli finora proposti sono rilevabili nelle finalità e nel metodo perseguiti dai membri della celebre Accademia scientifica. Nel manifesto programmatico redatto da Federico Cesi si afferma, ad esempio: <Ricerca lo studio stesso i maestri che con la voce viva ci insegnino, ricerca i libri che più pienamente tutte le materie discuoprano e ci comunichino I'alrui contemplazioni e fatighe (...) nè questo basta, poiché, per far qualche cosa da noi, è necessario ben leggere questo grande, veridico et universal libro del mondo; è necessario dunque visitar le parti di esso et essercitarsi nello osservare et esperimentare per fondar in questi due buoni mezzi un'acuta e profonda contemplatio- r€, il primo le rappresentandoci cose come sono e da sé si variano, l'altro come possiamo alterarle e variarle>47. noi 9) G.G. de Rossi, Porta nella chiesa di S. Giovanni in Laterano, che conduce nel Palaz- stessi zo Borromini è vicino a questo <<natural desiderio di sapere>> molto più di ogni altro architetto del suo tempo: si applica allo studio dei maestri, <<ricerca i libri> e ne raccoglie più di mille, si dedica con grande spirito di osservazione a <visitar>> luoghi e architetture, ma ciò che è più originale, si applica anche a quella <acuta e profonda contemplazione> della realtà naturale per conoscere (r <<le cose come sono e da sé si variano>>, per piocedere a progetti che possano <alterarle e variarle>>. Come ha osservato Portoghesi la riazione>> è tra le principali norme <<va- del- I'architettura borrominiana, <<intesa non solo nel senso della <<varietas> Albertiana, come fattore cioè di arricchimento e di ricerca aperta, ffia come regola strutturale rigorosamente applicatarrot. Questo assunto architettonico sembra derivare da un approccio con la realtà naturale non distante da quello elaborato in altro senso dai Lincei, come non lo è il concetto di sperimentazione che in Borromini diviene dimensione irrinunciabile del processo costruttivo. Il maestro infatti rifiuta di ((esser solo copista>> e, nel far sua frase di Michelangelo: <chi segue gli altri non gli va mai innanzi>>4e, ((Va innanzi>> con una sperimentazione fondata sulle scienze esatte, sulla precisione di calcolo, sulla meticolosa misurazione. L'universo di Borromini è il medesimo di cui parla Galileo nel Saggiatore: Questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (...) non si può intendere se prima non s'impara a intendere la lingua e conoscer i caratteri, ne' quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umana- mente una parola; senza questi è un aggirarsi vanamehte per un oscuro laberinto>50. L'artista lombardo sembra applicare all'architettura lo stesso sforzo analitico, appropriandosi delle categorie di un linguaggio, come ha suggerito Portoghesi5r, con il metodo dello scienziato: i suoi progetti sono composti <in lingua matematica>> e rispecchiano geometrie complesse che sembrano osservate al telescopio o desunte da calcoli astronomici, mentre gli elementi delle sue decorazioni sono disegnati con la precisione di chi ne ha esaminato gli elementi al microscopio. L'infinitamente grande e il microscopico convivono nelle opere del maestro come in un'armonia planetaria. 683). Papale Lateranense I0) Borromini, stemma di InX sul portale di ingresso dal Palazzo Latera- sta scelta con una sorta di giuramento a linceo>>, in cui nocenzo nense olla vita, il <Proponimento Basilica- Ciò che avvicina di più Borromini ai Lincei è concepire il proprio mestiere come una missione. Egli vi si dedica interamente, noncurante del guadagno e del proprio agio e, in più, osserva uno dei precetti vivamente consigliati da quegli accademici: I'opzione per il celibato. <<Coloro che debbono occuparsi della moglie, della famiglia e della casa propria)), si dichiara in quella sorta di regola monastica che è il Linceografo, non possono applicarsi con regolarità allo <studio della Sapienza>>52. In questa chiave si possono rileggere alcune delle bizzarrie di Borromini e filtrare i toni tendenziosi con cui i biografi le hanno registrate. A proposito dell'<<umore malinconico)) che lo avrebbe portato al suicidio, Filippo Baldinucci afferma che la sua <<ipocondria> era <<congiunta alla continua speculazione dell'arte sua) e che <<in processo di tempo egli si trovò sì profondato e fisso in un continovo pensare, che fuggiva al possibile la conversazione degli uomini, standosene solo in casa, in null'altro occupa- to, che nel continuo giro dei torbidi In realtà I'abitudine a isolarsi per un'accanita dedizione allo studio è rintracciabile già nel giovane nipote di Maderno scalpellino nel cantiere di San Pietro, tutto intento a disegnare mentre i pensieri>>53. I l) Particolare del frontespi- zio di L. Alcozar, Vestigatio arcani sensus in Apocalypsi (r6t8). suoi compagni facevano merenda e giocavano a piastrelle. È utile osservare che i Lincei, nell'aderire all'Accademia si impegnavano a condurre vita appartata per dedicarsi allo studio e sanzionavano que- dichiaravano: <<ci siamo segregati dal contagio del volgo comune, liberandoci dalla peste della pigrizia>>54. E noto che l'Accademia fu oggetto di avversità e incomprensioni nel suo nascere, proprio con I'accusa che i suoi membri coltivassero <<torbidi pensieri>>, e fu spesso circondata dal sospetto che, ovviamente, esplose al tempo della condanna di Galileo. Ma indipendentemente dalla sostanza dei suoi studi, fu tacciata di snobismo per il rifiuto di confronto dialettico: <<si dice che non si cura competere con alcuna delle altre (Accademie), che tutte ama e stima; ma si contenta starsene da sé (...) poiché il volerci mettere in competenza o punti di precedenza coî altra Academia è contro il fine nostro (...) Insomma, o siamo soli, o ci lascino stare>>55. Un'accusa simile è mossa contro Borromini per il motivo che <<non fu mai possibile il farlo disegnare a concoîîenza di alcun altro artefice>> e fu così geloso dei suoi disegni che giunse al punto di opporre un pesante rifiuto <<ad un cardinale di gran merito>> che lo voleva persuadere Louvre56. di presentare progetti per il l2) Borromini, disegno per la decorazione della volta del vestibolo tra la Basilica e il E -)- interessante rilevare I'analogia di certi schieramenti ideologici nel corso del Seicento: il conformismo dei benpensanti si accanisce contro la ritrosia eccentrica dei <<novatori> lincei, propugnatori di nuove e pericolose dottrine scientifiche, allo stesso modo con cui giudica Borromini (uno de' principali corruttori dell'arte)) a causa <delle sue bizzarrissime novità e stranezze>>t'. Evidentemente è lo stesso "perbenismo " che giudicò indecorosa la pittura di Caravaggio, imitatore <delle cose vili>>, delle ((sozzure> e delle <deformità>, che trova in Baglione soprattutto un rivale e in Bellori, sostenitore del classicismo carraccesco, il portavoce di un opposto schieramento artistico; e vede in entrambi gli esponenti di una ideologia che nel rispetto di determinate forme difende anche un certo assetto sociale58. Indicativa a riguardo è la notazione sul mancato ossequio a un <<cardinale di gran merito> da parte di Borromini. Altri elementi di affinità fra I'architetto e I'orientamento umano e culturale dei Lincei sono I'addebito di eresia e la gelosia per i propri lavori. Ad esempio l'accademico Giovanni Heckius era ingiustamente sospettato di eresia e per ovviare a questa accusa Federico Cesi, principe dell'Accademia, lo spinge perché <scriva un libro contro li Heretici, quale darà in luce subito per far ammuttire et arrabbiare i suoi persecutori, acciò non abbiano più ardire di tacciarlo>>5e. Borromini non ha bisogno di difendere la sua ortodossia, la sua osservanza alla Chiesa di Roma, perché è universalmente nota anche attraverso le sue pratiche religiose; è tuttavia significativo che un'illazione venga dal suo avversario Bernini. il timore di mostrare ad estranei il prodotto del proprio lavoro è, poi, cosa comprensibile e comune, ma non nega il Palazzo Lateranense. '''"'ilj' .i'., i: .ìÉ-,,: 4-ltYt \ ^J,a-l--/-. : *' !.! +i!. -r ' t,\./,<. ; NT *ir ce/2\ _ y:7 desiderio di trasmettere le propri e realizzazioni. Borromini pensa alla pubblicazione dei suoi progetti60 al pari dei Lincei; gli accademici avevano quale finalità delle proprie ricerche il <diffonderle tra gli uomini> attraverso gli scritti, <<poiché è necessario non disprezzare, ma cercare di aiutare, secondo le nostre forze, tutti gli uomini e non tanto rifuggire dagli incolti e dai cattivi, quanto invece dalla ignoranza e dalla nequizia. Ciò invero con la debita cautela>>61. La stessa prudenza è rintracciabile in entrambe Ie parti ed è giustificata sia dal timore di rapaci intrusioni di avversari e detrattori, sia dal desiderio di condurre ogni cosa con la massima serietà scientifica. I raffronti finora proposti non intendono identificare la personalita di Borromini con quella di un membro attivo dell'Accademia dei Lincei, ma offrono nuovi elementi per la comprensione della complessa cultura del maestro, collocandola nel contesto storico e culturale a lui proprio. Se tanti sforzi sono stati compiuti in questo senso, restano da circoscrivere con maggior chiarezza gli ambienti umani e culturali della sua piu aderente al vero un Borromini incuriosito e stimolato dalle esistenza. Ed è ricerche lincee, che non un massone ante litteram, o un criptoeretico capace di sfuggire al vaglio del Sant'Offizio. L'architetto lombardo <<esemplifica o almeno adombra il concentrato specialismo dell'uomo moderno >>62 al modo dei Lincei e con loro assomma <il natural desiderio di sapere) a una profonda religiosità protesa al raggiungimento della ((vera Sapienza>. Anche Galileo appartiene alla medesima sensibilità, come è stato dimostrato da quegli studi63 che hanno finalmente diradato le nebbie delle precomprensioni di marca positivista, che volevano farne una sorta di santo laico; eppure il Seicento non è tempo di santi laici, ma di laici e non laici la cui cultura non è immediatamente scindibile da una dimensione religiosa. Tra le grandi imprese borrominiane quella che offre, forse, maggiori elementi di conferma delle ipotesi fin qui formulate è il restauro della basilica di San Giovanni in Laterano. Sono note le vicende di questa prestigiosissima commissione ottenuta dal maestro per la sua perizia tecnica e per I'amicizia che lo legava a Virgilio Spada. L'oratoriano, nominato elemosiniere segreto da Innocenzo X con il compito di soprintendere alle fabbriche pontificie, non mancò di favorire Borromini. L'incarico era molto delicato perché papa Pamphilj, accingendosi a compiere I'intervento architettonico più significativo del suo pontificato, aveva ordinato di conservare I'antica basilica costantiniana mantenendola <<quanto più sarà possibile nella sua primitiva forma>>64. Più volte gli storici hanno sottolineato I'opposto segno di questa scelta rispetto alla radicale ricostruzione di San Pietro, e le nuove esigenze di conserva- zione derivate dalle istanze storicistiche della Controriforma6s. Guglielmo De Angelis d'Ossat e Manfredo Tafuri hanno riconosciuto in operazioni del genere il frutto di una coscienza storica che si rifà <<ai grandi storici della Chiesa, soprattutto al Baronio>> e ai Filippini, <<protagonisti dello storicismo romano di età barocca>>66. Papa Pamphilj era profondamente legato all'Oratorio e, come dichiara egli stesso, ne condivideva lo spirito da vecchia data: <abbiamo conosciuto quasi tutti quei buoni vecchi, e primi Padri dell'Oratorio (...) e certamente siamo rimasti sopra modo sempre edificati dalla bontà, umiltà e carità con che que' primi Padri uniti fra di loro vivevano, in santa semplicità>. Egli li esortò a portare a compimento gli studi storici avviati dal cardinal Baronio per completarne I'opera e per continuare a rispondere <alli moderni eretici>>67. È evidente che Innocenzo X, per dare seguito a queste istanze storicistiche, non poteva scegliere persona più adatta di Virgilio Spada. È stato di recente osservato che f in- tenzione di restaurare le fatiscenti navate di San Giovanni senza alterarne I'assetto basilicale, era stata già manifestata nel 1630 in un progetto formulato dalI'architetto barnabita Giovanni Ambrogio Mazenta: <<La Chiesa Lateranense Madre per antichità e dignità di tutte I'altre sarebbe anche nella fabbrica e struttura I'esemplare, venendo restaurata, come la pia beneficienza di Vostra Signoria Illustrissima desidera. Ridurrebbesi a gran Maestà se conservata nella forma dell'antiche Basiliche Patriarcali con cinque Navi le si aggiongessero moderni ornamenti proportionati alle braccia a croce già magnificamente da Clemente VIII di gloriosa memoria restaurate>>68. Di particolare interesse è il fatto che a richiedere questo progetto sia Francesco Barberini, amico di Virgilio Spada e probabile sostenitore di Bor- romini. Arciprete della Basilica dal1627 , cardinale concentra la sua attenzione sulle vestigia costantiniane e carolingie, occupandosi della loro conservazione; fa restaurare il mosaico del triclinio di Leone III ma abbandona il proposito di ripristinare le navate della Basilica nel 1632, quando cede I'arcipretato6e. È I'anno in cui esplode il caso Galileo e non è improbabile che Francesco Barberini, implicato nella questione e poi occupato nella commissione speciale che tenta di insabbiare la causa, si dia pensiero per altre faccende e non si avventuri in imprese troppo impegnativeTo. Il progetto di ripristino di San Giovanni commissionato al Mazenta contiene indicazioni poi osservate nell'inter- il vento pamphiliano: il mantenimento della pianta basilicale, l'utilizzo delle colonne di serpentino delle navate minori nell'ornamento della maggiore (tav. VIIb) la collocazione delle antiche memorie lungo le pareti estreme delle navatelle. Divergente è, invece, il criterio di conservazione delle vestigia murarie: si propone di risarcirle secondo i moduli architettonici e decorativi usati nel transetto sotto Sisto V e Clemente VIII che ne cancellerebbero ogni traccia esterna. Borromini viceversa realizza uîa <teca>> dalle cui aperture sono visibili le <reliquie> costantinianeTr. L'interesse e il recupero delle antichrtà sostenuto dal cardinal Barberini non si identifica con lo storicismo della cul- ffi-% J"*'# f*.c ffi w-p=4 4 y.".1' 9r 4'tl'\J t'lr*! .# iFdì :f,"sj +ff @ fI lrysw I3) Borromini, effigie di In- nocen:o X nel vestibolo tra la il Palazzo Latera- Basilica e nense. tura oratoriana e di Virgilio Spada, ma intenti di mecenatismo erudito per lo più funzionali a operazioni di politica ecclesiasticalz. È utile evidenziare i motivi che determinarono il restauro conservativo ordinato da Innocenzo X nonostante le difficoltà tecniche di riutilizzare mura pericolanti. Si trattava di custodire ciò che restava della prima Sede ufficiale del pontefice romano e assieme il modello <<esemplare> di tutte le altre basiliche. Distrutto l'antico San Pietro si rendeva necessario tutelare it primitivo assetto della Basilica Cattedrale e con esso quelle testimonianze che tangibilmente mostravano il radicarsi della Chiesa di Roma nelle sue gloriose originiT3. Va osservato inoltre che, in tal modo, la Sede Lateranense poteva vantare una continuità storica interrotta, invece, in San Pietro e riaffermarne il ruolo paritetico progressivamente perduto in favore della Sede Vaticana. Al tempo del restauro borrominiano era ancora viva la millenaria disputa tra le due chiese costantiniane per I'assun- 1o affianca con zione del titolo di <<Mater ecclesia- principalmente dai Capitoli delle due basiliche. Se ne rintraccia I'eco nelle carte di Virgilio Spada raccolte per i lavori in San Giovanni. In rum>>74, sostenuta I4) La Madonna della Vallicella tra due cherubini. Da G. Severano, Memorie sacre delle Sette Chiese di Roma (r630). particolare è significativa una memoria in cui il contrasto sembra trovare una via d'uscita mediativa, che giunge a una formulazione pressoché paritetica dei titoli afferenti alle due chiese patriarcali: <<Onde convien dire, doversi alla Basilica Vaticana e Lateranense i titoli di Capo, e Madre delle Chiese dell'Universo, à questa come rappresentante la Chiesa Ap(osto)lica, e cattolica militante; à quella come Capo e prima sede del primo Vescovato, e come la prima di tutte le Cattedrali del Mondo (...) ne mai chiamossi la Chiesa Lateranense la Basilica della Chiesa Cattolica, come la Vaticana. Ciò che comprovò S. Gregorio Magno, il quale non volle esser chiamato Vescovo universale>>75. in seguito il valore simbolico Cattedrale-sposa rilanciato da papa Pamphilj col suo intervento in San Giovanni, in relazione con I'altra Sede del successore di Pietro, vicario di Cristosposo. Tali questioni fanno da sfondo alle scelte operate da Borromini con la consulenza di Virgilio Spada suggerendo soluzioni sia architettoniche che decorative. Ad esempio si comprende la proposta formulata nel disegno di Stoccolma, che prevede sull'attico della navata maggiore tre medaglioni con i busti di san Paolo, san Pietro e san Silvestro, gli Apostoli di Roma e il papa della pace costantiniana, con esplicito riferimento alle origini e alle vicende storiche del pontificato romano76. L'idea probabilmente fu scartata perché non sembrava necessario insistere sulla continuità storica della Chiesa romana, evidenziata in modo più suggestivo dalle <reliquie> murarie che apparivano entro gli ovali della medesima navata come fossero afferma lo stesso Spada <gioia di Si vedrà nell'anello> (tav. VIII). La decorazione poi realizzata è costituita da elementi desunti dall'iconografia protocristiana, che notoriamente preferisce a forme descrittive I'essenzialita di forme simboliche: palme incrociai€, colombe con ramo d'olivo, monogrammi di Cristo incorniciati da corone d'alloro e alternati a torcieri ardenti, compongono il fregio della trabeazione. I5) Capitello zoomorfo collocoto dal card. Baronio da- vanti allo chiesq dei SS. Nee Achilleo. Da G. Prado e reo J.B. Villalpando, In La scelta della colomba è evidente omaggio al casato di papa Pamphilj, ffia e dovuta anche alla suggestiva omologazione dell'elemento araldico con la cele- bre immagine dei primi secoli cristiani gTazre a un episodio avvenuto prima dell'inizio dei lavori di Innocenzo X: ,,fu ritrovata à caso I'arma (cioè una ;olomba col ramo d'olivo) dipinta nella facciata, quale si conserva distaccata da quella> e il papa <<si risolvette a non differire più oltre il rimedio> per la basilica, interpretando la scoperta come un segno che lo spingeva ad abbracciare I'impresa77. Il chrismon può derivare anche dalla della Roma Santa del Ripa, come ha osservato Marcello Fagiolo78, iuttavia fu ripreso da fonti iconografiche più dirette. Basta ricordare che Virgilio Spada possedeva, nella sua raccolta di antichità costituita prevalentemente da lucerne, monete e statuette, fi_surazione numerosi reperti paleocristianiTe. Alcune di quelle lucerne, oggi conservate al Museo Nazionale Romano, recano il chrismon, i motivi delle palmette abbinate e incrociate e delle corone vegetali. Inoltre, la matrice oratoriana del chrismon utilizzato da Borromini in San Giovanni è documentata dal padre Paolo Aringhi dell'Oratorio nella sua Roma subterranea novissima edita nel 1651. Spiegando il significato del monogramma greco di Cristo egli cita, come esempio, una moneta di Arcadio conservata tra le reliquie e le antichità sacre della Yallicella. Questa rappresenta l'imperatore che reca in mano un labaro con il chrismon Lo studioso si sofferma poi a illustrare la scelta di Innocenzo X di t alorizzare in forma solenne proprio Ezechie- lem explanationes..., II. (r604). quel simbolo trionfale nella rinnovata basilica costantiniana: un simbolo così familiare a Costantino orna le antiche pareti che il papa ha voluto <illibate>, cioè conservate integre8o. Appare evidente che Borromini abbia attinto a questo repertorio (di cui fa parte pure il torciere) per gli scambi avuti con Virgilio Spada, esponente degli ambienti oratoriano e borromaico che da alcuni decenni si fanno promotori di un ritorno alla Chiesa delle origini81. Monsignor Spada e il suo biografo Paolo Aringhi, rappresentano la continuità d'interessi per l'antiquaria paleocristiana nell'Oratorio filippino. Questo impegno è naturalmente condiviso da Francesco Barberini, sostenitore degli studi di Giovanni Severano, I'oratoriano che per volontà del cardinale completa la Roma sotterranea dr Antonio Bosio82. Severano, autore anche delle Memorie sacÍe delle Sette Chiese di Roma, stirno- la le conoscenze di Virgilio in campo storico-archeologico e, probabilmente, favorisce l'incremento della sua raccolta di antichità cristiane. Lo Spada infatti possiede tre delle lucerne di bronzo riprodotte nell'opera del Bosio (tav. VIb) e altri piccoli reperti emersi, forse, nel corso delle medesime ricerche83. Le fonti per i simboli protocristiani utilizzati da Borromini vanno rintraccia- ti in questo contesto culturale promosso dalla sensibilità di Filippo Neri e Carlo Borromeo e rafforzato dagli studi storici Cesare Baronio. E proprio da Baronio derivano alcuni temi ornamentali borrominiani. Il motivo delle palme sovrapposte a chiasmo e circondate da un serto arboreo è stato formulato dal cardinale nella decorazione della sua chiesa titolare dei Santi Nereo e Achilleo; così pure la coppia di rami di palma incrociati e accompagnati da una corona metallica8a. Com'è stato osservato da chi scrive, anche I'assemblaggio dei frammenti medievali nelle navate di San Giovanni hanno come diretti precedenti le ricomposizioni della suppellettile liturgica medievale nel titolo baroniano e in San Cesareo, con frammenti che provengono anche dalla Basilica Latera- di nense. Come in Baronio, Borromini recupera materiali storici non solo studiando e conservando il passato ma (progettando il passato))85. La rilettura borrominiana di elementi e di simboli storici suona come proposta di rivitalizzare un passato autorevole ed eloquente. Quale sede migliore della Cattedrale costantiniana per attuare questo programma? Nei lavori di San Giovanni I'accordo con Virgilio Spada sembra raggiungere una piena sintonia d'intenti: con lui I'architetto ha esaminato e vagliato il repertorio figurativo consultabile sia nel piccolo Museo Spada che sulle tavole della Roma sotterranea del Bosio. Da quelle illustrazioni, ricolme di immagini e graffiti cimiteriali, possono derivare non poche suggestioni. Ad esempio è probabile che Borromini vi abbia preso spunto per le sue figurazioni cuoriformi. Il cuore fiammeggiante, ricorrente nelI'Oratorio e nella Casa dei padri alla Vallicella, com'è noto, è emblema di Filippo Neri e ricorda le palpitazioni avute dal santo durante le sue veglie nelle catacombe di San Sebastiano. Inol- tre, gli stemmi pamphiliani cuoriformi (fig. 5) sembrano desunti dalla fusione dei simboli del cuore e della colomba (forse anche il chrismon è parafrasato nel chiasmo dei gigli araldici dei Pamphilj) spesso abbinati nelle iscrizioni cimiteriali8ó (tav. VIa). L'inserimento di questi simboli è formulato anche in alcuni schizzi per la decorazione delle volte nelle navate minori (Albertin&, r. 79 e n. 219) dove campeggia la colomba con I'ulivo o il chrismon; la mancata realizzazione dipende dalla scelta di limitare la profusione d'ornamenti. Gli interessi antiquari di Borromini hanno trovato in Virgilio Spada un sostenitore, soprattutto per ciò che riguarda I'antichità cristiana, ed è probabile che i rilievi dei monumenti sepolcra- li e della preesistente decorazione siano eseguiti in accordo con I'oratoriano, che ne traccia sommariamente un discreto numero8t. Un certo interesse filologico per l'an- tico è contenuto già nella produzione storica dell'Oratorio, negli studi di Baronio e della cerchia di antiquari legati alla Vallicella ed è condivisa da collezionisti di primo piano quali i Giustiniani, che tra i primi organizzano con intenti filologici I'ordinamento degli antichi reperti scultorei della loro Galleria88. Borromini lavora per Andrea Giustiniani e traccia progetti di rimaneggiamento della stessa Galleria, e gli oratoriani vantano tra i loro confratelli tre membri della medesima famiglia, tra cui spicca il cardinale Orazio, prefetto della Biblioteca Vaticana e protettore di Fioravante Martinelli, I'intimo amico del maestro di Bissonese. Si puo inoltre ricordare che Andrea Giustiniani sposa Maria Pamphilj, nipote diretta del cardinale Giovan Battista Pamphilj poi papa Innocenzo XeO. Tutti personaggi di uno stesso ambiente unito da vincoli familiari e da affinità culturali, con i quali Borromini è in contatto grazie anche al suo legame con Virgilio Spada. Se il rapporto con l'Oratorio si interrompe per divergenze relative alla fabbrica della Vallicella, ciò non avviene con monsignor Spada che tenta in tutti i modi di riportare l'architetto alla direzione del cantiere, però senza riuscirvi. La difesa che egli scrive in favore di Borromini, pubblicata da Connors, è l'espressione limpida della sua stima e della sua sincera amiciziaet. È un rapporto tra i pochi vissuti dal maestro in modo duraturo, cementato sicuramente da una profonda intesa culturale e religiosa. Altri segni di questa intesa sono rintracciabili nel programma iconologico formulato nel ripristino di San Giovanni in Laterano. Tra le interpretazioni dell'intervento borrominiano nella Cattedrale di Roma, la piu articolata è di Marcello Fagiolo e propone i diversi livelli di lettura di un piano attribuito alla collaborazione delI'architetto con Virgilio Spadae2. La prima di esse riguarda la navata maggiore (tav. VIIb) e ripropone il tema della <<Gerusalemme celeste>> registrato anche nelle vecchie illustrazioni della Basilicae3. La città di Dio della visione di Patmos, descritta dall'evangelista Giovanni nell'Apocalisse, ha dodici porte, simbolo delle tribù di Israele e degli Apostoli, rappresentate nelle dodici edicole; ciascuna edicola racchiude una cornice di porta che non ha battenti perché quelle celesti (non saranno mai chiuse>. Questa lettura va collegata anche alle antiche prerogative della Basilica, spesso definita con gli appellativi di <Aula celeste>, <Reggia di Dio>>, <Sancta Sanctorum> e altroea. Riaffiora quindi una tradizione preesistente che ottiene un rilancio grazie all'attinenza *-*%.%, ;a *#-**é ? ;, úru } & l6) Festone di frutta nella mentoria di Bonifacio VIII in S. Giovanni in Laterano. 17) H. alla Vallicella c'è la Vestigatio arcaniin Apocalypsi di Ludovico Alcazar, la più ricca e aggiornata esegesi dello scritto Giovanneo del primo Sei- Wierix, Maria e Gesù dormiente in una incisione ispirata ol Cantico dei Canti- sensus ci. .l-,-r'a rr, -",rr:rinr.* ,"j fhlr|.: ,?:Ì ri ,#n-,"*r., ',^Íllo.tr*t t;o.f ;"1' fi,'s'rJ;i.:". cil,Ír: . ; ìrrìqme**r *i;.,rya lfo. ,ri .*,m.i r'xrt ;'p.6yg -.ì J\xrjk:y;. { i ii ^'.f(, che ha con la simbologia della porta santa nelle celebrazioni giubilari. L'idea di città celeste, osserva Fagiolo, trova un nucleo in quella raffigurata nel mosaico absidale di San Giovanni e nel progetto bramantesco di San Pietroe5. Una fonte che Borromini può aver guardato è a due passi dalla Basilica, nella cappella di San Giovanni evangelista del Battistero Lateranense. Tra le visioni dell'Apocalisse Agostino Ciampelli ha dipinto, negli ultimi anni del Cinquecento, una Gerusalemme celeste (fig. 6) con le dodici porte aperte, sormontate da un fastigio ellissoidale e precedute da figure angelichee6. Piu che di fonti iconografiche dirette, per lo più di altro segno rispetto alla formulazione borrominiana, l'architetto si servì di spunti tratti da commentari dell'Apocalisse consultati nel corso della progettazione in compagnia di Virgilio Spada. Tra i libri dell'oratoriano rimasti cento; la sua lettura sembra aver offerto numerose suggestioni per la griglia di simbologie del restauro lateranense. Naturalmente un certo spazio è dedicato al capitolo XXI dell'Apocalisse e alla descrizione della Civitas Dei, delle sue fondamenta, delle sue misure, delle sue porte, fatta alla luce dei testi patristici ed esegeticieT. Da queste pagine sembra emergere il motivo che può aver spinto Borromini ad aggiungere la corona gemmata nelle edicole, elemento ancora assente nel disegno di Stoccolma. Il significato della corona d'oro e gemmata è spiegato più volte come il premio per chi ha perserverato nella fede: <<non corona coronabitur nisi qui et legittime certaverit, et qui perseveraverit usque in finem>>e8. Data l'allusione ai dodici patriarchi e agli apostoli, spetta alle porte l'attributo della corona, a differenza della Gerusalemme terrena, dove una delle dodici porte, quella di Dan, significava la condanna. La foggia della corona è piuttosto essenziale e corrisponde in modo suggestivo a quella che orna il frontespizio del Dialogo sopra i due massimi srsfemi (fig. 7), inciso da Stefano della Bellaee. La forma è identica, con la fascia gemmata e le punte aguzze alternate con singole perle (tav. VX I'unica differenza è il simbolo araldico al centro: al posto del giglio dei Medici c'è la colomba dei Pamphilj. Evidentemente è una diffeîenza che si impone per il mutato contesto, ma come elemento peculiare sembra confermarne I'affinità. Si tratta di un omaggio a Galileo pochi anni dopo la sua morte, o una sottintesa adesione alla teoria copernicana a circa quindici anni dalla condanna dello scienziato pisano? Forse I'ipotesi più attendibile vede in quella corona I'eco del fascino che gli studi lincei avevano esercitato su Borromini. Ulteriori ricerche potranno fornire una risposta più esauriente. Intanto si può ricordare la preferenza del maestro per I'ellisse rispetto al cerchio e il suo accostamento alla teoria di Keplero sulla rotazione ellittica dei pianeti intorno al Soleroo. Le ipotesi intorno a questa <<anamorfosi del cerchio> sono stimolanti, ma la loro verifica non è stata ancora compiuta. Borromini puo aver avuto qualche nozione in merito anche soltanto attraverso il dibattito sulla forma dell'Universo promosso dai Lincei. Federico Cesi, in un celebre scritto presentato nel 1618 a Roberto Bellarmino, nega che <la figura del Cielo sia rotonda> basandosi anche su testi patristici, in particolare di Giovanni Crisostomo. Nella sua risposta il cardinale gesuita contrasta questa teoria sulla base di alcuni passi biblici e sostiene: <<che la figura rotonda è la più perfetta, e sappiamo che Dei perfecta sunt opera>>101. Il "cielo" borrominiano si allontana dai modelli sferici rinascimentali ed è impostato su due o più fuochi aderendo a una concezione nuova che rifiuta astrazioni di principio e si impone la verifica di ogni assunto teorico a partire dal dato naturale; così i "cieli" delle edicole sono ellittici, e non circolari, al pari di quello l i I8) Caravaggio, Riposo nella fuga in Egitto, particolare. Romo, Galleria Doriq Pam- phitj. della cupola di San Carlino, il cui progetto si fonda su un'armonica bifocalità quasi keplerianalo2. Riguardo al tema della Gerusalemme celeste, è possibile rintracciare altri elementi simbolici del commento alcazariano nell'impresa borrominiana. La prima delle varie tavole illustrative che accompagnano questo testo rappresenta la <<Frons Domus Apocalypticae>>, come un solenne portale (fig. 8) custodito dagli apostoli Pietro e Paolo i cui battenti sono serratil03. Tra le varie scritte bibliche spicca quella tratta dal nono libro dei proverbi <Sapientia aedificavit sibi (domum)>, mentre ricorrono emblemi allusivi all'aquila e al drago di Paolo V Borghese. Alcuni elementi di questa incisione sembrano ritornare nel vestibolo (fig. 9) che dalla basilica immette nel Palazzo Lateranense: i tre scalini, il motivo dell'arco e del clipeo sopra la porta, I'ovale degli stemmi e degli emblemi in rapporto alle due finestre laterali, mentre la sfera crociata della <<Potestas Dei> sembra analoga a quella con lo stemma pamphiliano (fig. 10), che sovrasta il portale dal lato del palazzo. In tal senso la residenza pontificia sarebbe identificata con la <<Domus Sapientiae> e il vestibolo con la sua (frons>>. Gli elementi araldici di Camillo Borghese sono sostituiti da quelli di Giovan Battista Pamphilj e nel clipeo al posto dell'aquila, simbolo borghesiano ma anche di san Giovanni evangelistatoo, appare I'effigie di Innocenzo X. Il ritratto del papa sostituisce le figure degli apostoli e si identifica con Pietro attraverso le chiavi che tiene proprio nella mano sinistra. Fagiolo ha indicato il portico a forcipe del Battistero Lateranense come mo- dello architettonico di quest'andito e uno dei motivi decorativi dei mosaici di Santa Costanza come fonte per gli stucchi della volta: due indizi dell'arcaismo di tipo paleocrstianol05. L'intreccio geo- metrico della volta (fig. 13) compone tre croci intersecate facendo probabile allusione alla Trinità. Confrontando I'insieme delle decorazioni con I'incisione del frontespizio della Vestigatio alcazariana (fig. 11), emergono alcune affinità ico- nografiche e tematiche. La Trinità è raffigurata nelle tre persone e il crocifisso richiama il motivo della croce; i rami d'olivo sulle finestre hanno un parallelo in quelli sparsi attorno alla figura centrale: I'ovale delle finestre ha un logico precedente nel medaglione colmo di luce. E interessante, inoltre, il raffronto (fig. 12) con il disegno preparatorio (Albertina n. 391) in cui Borromini segna la parola <<Luce>> nell'incavo della fonte luminosa e lo circonda di testine di angioletti che ricordano quelle che si alternano ai raggi intorno alla Trinità106. L'ingresso al Palazzo Lateranense si presenta con tutti gli elementi necessari ad una <<Frons Domus apocalypticae>>: sotto la protezione della Santissima Trinità il papa esercita la potestà di aprire e di chiudere la porta della dimora di Dio al modo della porta santa. Un ulteriore chiarimento del significato di questo ingresso viene da sant'Agostino, che spiega: <<Due enim sunt portae, porta Paradisi et porta Ecclesiae. Per portam Ecclesiae intramus in portam Paradisi (...) iusti intrabunt per eam>>r07. Su suggerimento di padre Spada, che naturalmente possedeva l'Opera omnia di sant'Agostino, Borromini può aver pensato al senso di questa seconda porta e alla stessa soluzione della porta gemina. Un altro elemento del vestibolo che ha rapporto con I'immaginario oratoriano è la coppia di cherubini che congiungono le loro ali attorno al busto di Innocenzo X (fig. 13). Questo schema integrava lo stemma della congregazione dell'Oratorio che, tra I'altro, compare sul frontespizio delle Memorie sacÍe delle Sette Chiese di Roma (fig. 14) di Giovanni Severanol08. L'uso dei cherubi- 19) Lo Sposo e la Sposa in uno vigna. Da un libretto xilografico del XV sec. che illustra i/ Cantico dei Cantici. ni accoppiati è illustrato da un altro oratoriano, Tommaso Bozio, che ne vede I'origine nei due collocati sopral'arca dell'alleanza. È interessante osservare che fossero considerati uno maschile e uno femminile per alludere al Cristo e alla Vergineroe. Alcazar sostiene, poi, che i cherubini vadano effigiati sempre abbinati per indicare I'unione tra santità e sapienza, e per alludere alla procreazione dei mistici coniugiil0. Lo stesso senso possono avere anche le coppie di cherubini rappresentate da Borromini, e prima fra tutte quella bellissima che orna l'altare Filomarino nella chiesa dei Santi Apostoli a Napoli (fig. 2). L'inconsueta congiunzione di spalle, evidenziata dalI'aderire di un'ala, puo adombrare la mistica copula in riferimento all'Annunciazione rappresentata proprio nella pala d'altare collocata più soprarll. Il tema delle nozze mistiche è tra i preferiti di Innocenzo X, € torna in varie circostanze a proposito di San Giovanni in Laterano: si sovrappone sia al tema della celeste Gerusalemme che, nella visione giovannea, appare <<pronta come una sposa adorna per il suo sposo>r\2, sia all'immagine del Tempio di Salomone nella Gerusalemme terrena, dimora di Dio tra gli uomini. Le raffigurazioni dei cherubini ne sono l'anello di con- giunzione. L'identificazione della Basilica Latedi Salomone affiora dalla tradizione liturgica romana che associa all'appellativo di (Ciranense come nuovo Tempio vitas sancta>> quelli di < Templum Domini>, <<Tabernaculum Dei cum hominibus> e altri. Ne sono testimonianza tutti i formulari del Messale Romano e del Breviario relativi al giorno della dedicazione della Basilica, oltre a\l'Ordo officiorum proprio della medesimarl3. Inoltre, una tradizione medievale affermava che Costantino avrebbe donato aILa Cattedrale da lui fondata I'Arca dell'Alleanza, trasportata a Roma dalI'imperatore Tito dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme. Grazie alla presenza di questa reliquia la Basilica poteva vantare il titolo di Nuovo Tempio. La tradizione si perpetua fino al tempo dei lavori borrominiani e viene riaffermata, non a caso, dall'amico delI'architetto, Fioravante Martinelli. In un suo DiscoÍso sopra alcune reliquie lateranensi egli dedica il primo paragrafo all'Arca Foederis, riassumendo tutte le fonti a riguardo e precisando che <<in detta Arca v'erano gli anelli con le stanghe per portarla, d'oro, il candeliere d'oro con le sette lucerne, le tavole del Testamento, la Verga d'Aronne, la manna, li pani d'orzo, I'urna d'oro, la veste inconsutile, la canna, il vestimento di S. Gio(vanni) Bat(tis)ta, le forbici con le quali fu_ tosato S. Gio(vanni) evangelista>>rra. È evidente che questi argomenti favorivano la valorizzazione della Sede lateranense e sostenevano, secondo la volontà di Innoceruzo X, 1'operazione di recupero di tradizioni trascurate. Da qui la scelta di decorare la Basilica con simboli ripresi dal Tempio di Salomone. Marcello Fagiolo ha rintracciato varie fonti delle iconografie borrominiane nelle illustrazioni del celebre commentario al libro di Ezechiele dei gesuiti spagnoli Gerolamo Prado e Giovanni Battista Villalpandorrs. Cherubini, palme e ghirlande di fiori sono i soggetti prevalenti, i datteri al centro di alcuni arconi si ritrovano sui capitelli salomonici, così le melograne dei capitelli derivano dai fregi bronzei che contenevano quattrocento di questi frutti; le dodici nicchie ricordano altrettanti vani per le finestre dell'edificio centrale del Tempio. Altre somiglianze sono presenti nei progetti borrominiani ma non sono state realizzatettí. Rimandi all'immagine del Tempio di Salomone, come ha osservato Battisti, sono presenti nella politica pontificia già nel secondo Quattrocento, tuttavia Fagiolo ipotizza che tali interessi in Borromini non siano estranei a riti e tradizioni massonici, e fa dell'architetto un <<erede degli scalpellini del Canton Ticino, dei "magistri comacini" dei framassoni>>rr7. Oltre a motivi cronologici notati dallo stesso studioso, che impediscono I'adesione del maestro alla Massoneria, anche la partecipazione alle sue premesse rituali è tutta da dimostrare. Inoltre, I'identificazione di San Giovanni con il Tempio di Gerusalemme si fonda su motivazioni storiche e apologetiche ben diverse. Questo tema, ancora una volta, rimanda agli ambienti borromaico e oratoriano. Carlo Borromeo fa riferimento al santuario di Salomone nel suo celebre trattato sugli edifici sacri e sulle suppellettili ecclesiastiche consigliando, ad esempio, di ornare con figure di leoni la porta centrale delle cattedrali, lo stesso soggetto usato dal sapiente re ((per significare la vigilanza dei presuli)>1r8. È probabile che Borromini abbia letto le Instructionum fabricae et supelIectilis ecclesiasticae perché alcune indicazioni di san Carlo sembrano osservate nelle architettur'e religiose del maestro, forse in ossequio al suo "protettore". Si può suppore che i due leoni di sostegno dell'altare Filomarino (fig. 2) alludano ai due cardinali di quella famiglia e alla loro <<vigilanza>, tenendo conto che il bordo della mensa presenta un'altra simbologia salomonica, quella del tetramorfolle. L'altra fonte per questo tema sono gli scritti e le iconografie del cardinal Baronio. Rami di palma, cherubini, ghirlande di fiori, costituiscono gli elementi principali del repertorio figurativo proposto nelle decorazioni realizzale per suo conto in Santi Nereo e Achilleo e nella cappella del Triclinium pauperum presso San Gregorio al Celio120. Anche negli Annales Ecclesiastici lo studioso ricorda i soggetti ornamentali del Tempio di Salomoner2r. Sia attraverso Virgilio Spada, sia con la consultazione del commento a Ezechiele del Villalpando, Borromini ha informazioni sulle iconografie baroniane. Infatti, nella sua trattazicne, il gesuita spagnolo ricorda le indicazioni fornitegli dal cardinale e, nell'esame degli elementi figurativi del Tempio, fa riferimento a un capitello ;on due animali alati collocato davanti alla chiesa dei Santi Nereo e Achilleo tfig. 15). In una delle tavole che illustraro il testo del Villalpando, sicuramente note a Borromini, si legge <<Forma capi:elli marmorei quod in suo titulo SS. \l\,I. Nerei et Achilei posuit ill.mus et :e\'.mus card. Baronius>, quale didasca.:a di quell'antico repertotz2. Interessato alla questione delle imma- gini in polemica con gli orientamenti iconoclasti della Riforma, lo storico oratoriano ribadisce l'uso di figurazioni sacre anche presso gli israeliti, notoriamente avversi a rappresentare Dior23. Non è improbabile che per le iconografie di San Giovanni sia stata fatta una scelta di sobrietà e prudente selezione dei soggetti, per non presentare il fianco a critiche da parte protestante e per riaffermare la legittimità delle immagini sacre proprio nella chiesa Cattedrale di Roma. I temi biblici, gli ornamenti tratti dal Tempio di Salomone, i simboli paleocristiani, costituiscono un repertorio ineccepibile di immagini desunte dalla tradizione dei primi secoli cristiani. Nella sua fantasia decorativa Borromini non fa altro che storicizzare i temi dell'iconografia sacra, attuando quei t \ \ 20) Lo Sposo offre un calice alla Sposa. Da un libretto xilografico del XV sec. che illustra i/ Cantico dei Cantici. principi che Federico Borromeo aveva esposto nel De pictura sacralza. Nuovamente Carlo e Federico Borromeo, Cesare Baronio e Virgilio Spada tornano come costante riferimento della cultura borrominiana. Il tema delle nozze mistiche, affiorato più volte, costituisce uno dei cardini delf iconologia pamphiliana in San Giovanni. Già nella sua presa di possesso del Laterano, Innocenzo X è acclamato come ((sposo amatissimo>> da un elogio dell'apparato effimero al termine del percorso papale. Nell'iscrizione si adombra anche la richiesta di restaurare la chiesa che <esibisce il cuore tra le sue membra quasi disfatte>) congratulandosi con il suo ((restauratore>>r25. Dal settembre del 1644 passa circa un anno e mezzo perché il papa si decida ad abbracciare I'impresa. La relazione borrominiana sui lavori afferma che egli <si risolvette non differire più oltre il rimedio, parendogli non poter essortare i Vescovi ad ornare le loro spose, mentre la sua stava in così pericoloso, e brutto stato>>126. Fagiolo ha osservato che la Basilica è stata <<vestita>> da Borromini come una sposa, bianca e adorna per le nozze, ovvero per le celebrazioni del Giubileo che cadeva in una congiuntura politica particolarmente favorevole: i trattati di pace di Westfalen nel 1648 avevano posto fine alla guerra dei Trent'anni127. È indubbio che Innocenzo X cogliesse I'occasione del restauro della sua Sede per manifestare il suo intento di pacificazione universale, tuttavia non è credibile I'ipotesi avanzata dallo studioso che legge nell'Anno Santo pamphiliano I'intenzione di celebrare un "concilio ecumenico di tutti i fedeli del mondo " e non solo un'assise dei vescovi e dell'apparato ecclesiastico. Pur risultando suggestiva I'assonanza tra i termini "conciliazione" e "concilio ecumenico" oggi, come nel Seicento, il loro significato è distinto e non sovrapponibile; è poi inverosimile che nel diciassettesimo secolo si pensasse a una forma conciliare con partecipazione in massa dei laici (oltre al fatto che al tempo di Innocenzo X non si tenne È vero, invece, che papa Pamphilj tentasse di rilanciare il prestigio della Chiesa di Roma e che, giocando un ruolo neutrale tra gli schieramenti delle grandi potenze europee, intedesse porsi al di sopra delle parti nei conflitti in corso per accreditare i suoi sforzi diplomatici di mediazione e di pacificazione; cosa che gli riuscì solo parzialmente. Sicuramente Innocenzo X paragonava il suo operato a quello di papa Silvestro: negli sforzi di pacificazione degli stati cristiani sentiva di eguagliare quel santo precedessore che aveva ottenuto da Costantino la pace per i cristiani. Come l'edificazione della Basilica Lateranense era stato il segno ufficiale della pace accordata alla Chiesa, così il rinnovamento di essa diventava simbolo di quella nuova congiuntura politica che tanto aveva visto impeganta la diplomazia vaticanal2e. Un motivo in più, quindi, per papa Pamphilj per legare il suo nome alla Cattedrale costantiniana e a Silvestro, che per primo vi stabilì la Sede pontificia. Il tema sponsale della Gerusalemme celeste si intreccia, in San Giovanni, con quello del Cantico dei Cantici, che ne costituisce una fonte veterotestamentanessuna assise conciliare)t". ria. La nota interpret azione patristica che vede nella sposa la Chiesa e nello sposo il Cristo, è stata spesso attualizzata e riferita anche al pontificato romano. Ad esempio, I'oratoriano Tommaso Bozio apre il suo De Signis Ecclesiae Dei con un capitolo intitolato <<De dignitate ac potestate Ecclesiae in universum, quae ostenditur è similitudine è Canticis desumpta))r30, e afferma che in quella similitudine si dimostra la <<maiestas>> della Chiesa romana. Egli cita un celebre versetto del Cantico, riproponendo 2l) La Sposa offre una cqne- stra di frutta ollo Sposo. Do un libretto xilogrqfico del XV sec. che illustra i/ Cantico dei Cantici. ja -s* temi cari all'Oratorio, che appaiono anche nella rinnovata Basilica Lateranense: (Quae est ista, quae progreditur quasi Aurora consurgens, pulchra ut Luna, electa ut Sol, terribilis ut castrorum acies ordinata?)r31. n tema della citta fortificata dell'Apocalisse, che avanza nella sua bellezza, è unito a quello della luminosità pari al lume degli astri maggiori e al chiarore dell'aurora. L'opposizione della luce alle tenebre sembra essere trattata da Borromini nel^a navata centrale di San Giovanni, : orse, in modo analogo a quella che :nforma il luminismo dei dipinti di Ca:avaggio. Già Argan ha notato che 1'esame dello stile del Borromini mette .n evidenza ùn elemento essenziale, che sarebbe difficile designare altrimenti che -ol termine critico generalmente usato ;er la pittura del Caravaggio: luminiilto))132. I contrasti di luce e di ombra di Michelangelo Merisi, come ha dimostrato Calvesi, hanno un valore simbolico che rimanda alla teologia agostiniana della Graziat33. Lo stesso valore sembra assumere la luce nelle architetture borrominiane; come ha osservato Portoghesi, la luce di Borromini non è universale né scenografica, ma è luce <<guidata>>, secondo dispositivi quali la camera di luce, la illuminazione radente, il traguardo ottico, la linea luminosa, lo sfumator3a. Le originali soluzioni in cui I'architetto maschera la fonte luminosa, come nelle navate intermedie di San Giovanni o all'Oratorio Filippino, non sembrano lontane dalla scelta di Caravaggio di escludere la sorgente di luce dallo spazio dei suoi dipinti per alludere a un'illuminazione soprannaturale, quella della Grazial35. Il valore simbolico della luce <guidata> all'interno delle chiese è sottolineato nella pittura anche da Carlo Borromeo nelle sue Instructiones, nel consigliare che le finestre siano <più larghe verso I'interno che verso I'esterno, come anche insegna il significato mistico, tramandatoci dai Padri>>136. Nella Basilica Lateranense questa indicazione sembra osservata soprattutto nei finestroni della navata maggiore, decisamente dilatati all'intertro, ma anche nelle aperture minori. Come ha osservato Argan, Borromini trasforma la luce universale in <<lume particolare) con un processo analogo a quello che in pittura fa Caravaggio, localizzando I'incidenza del raggio in una illuminazione <<particolare>>r37. È significativo il fatto che il comune atteggiamento dei due artisti nei confronti della luce possa avere origine nella cultura borromaica tendenzialmente neoplatonica e sostenitrice dell'agostinismo in campo teologicor38. Il riflesso di questa cultura nella pittura di Caravaggio è ampiamente dimostrato, meno lo è per Borromini. Tuttavia è stata già documentata da Battisti nel simbolismo dell'architetto lombardo; la presenza di elementi neoplatonici che possono essere ricondotti al medesimo ambito culturale13e. Una ricerca in tal senso può fornire ulteriori e fecondi risultati. Un altro tema borromaico e oratoriano che ritorna in Caravaggio e Borromini è proprio quello sponsale del Cantico dei Cantici. Tra i simboli utilizzati dalI'architetto alla Vallicella compaiono varie allusioni in tal senso. Forse realizzato tra i primi è quello del sole nascente nella nicchia delle stanze di san Filippo in cui è custodita la seggiola del Neri. La parte centinata della nicchia accoglie il sole che sparge i suoi rami dorati, secondo il motivo dell'<Aurora consurgens>>rao. È suggestivo il parallelo con f immagine del Cristo-Sole a marmi commessi (tav. XVD che compare sulla porta del transetto di San Giovanni in Laterano. La sua collocazione sopra I'ingresso, forse, ha qualche rapporto con il parallelo evangelico del CristoPorta della salvezza. Aurora consurgens è anche il titolo di uno dei più noti trattatt di alchimiatot, la cui assonanza con la citazione del Cantico è palese. Termini propri del linguaggio alchemico non sono rari anche nelle interpretazioni bibliche. Si può citare come esempio che il commento all'Apocalisse di .Xlcazar, posseduto da monsignor Spada, parla di <<nigredo>> in riferimento alla persecuzione dei credenti, desumendola da una delle quattro fasi dell'<<opus>>r42. Anche il simbolo del giglio, usato da Borromini all'Oratorio in omaggio alla puîezza di san Filippo, ha origine dal Cantico dei Cantici. Un'indicazione puntuale a riguardo viene dallo stesso testo alcazariano che istituisce continui raffronti tra il Cantico e I'Apocalisse. Nella decifrazione delle decorazioni del Tempio di Gerusalemme, egli afferma che i capitelli <<quasi opere lilij fabricata erant>>r43. I capitelli del secondo ordine nella facciata dell'Oratorio (tav. VIIa) sono composti da tre gigli secondo un'impostazione del tutto originale. Il soggetto del <lilium convallis>, evidente simbolo di verginità, compare nell'altare Filomarino dedicato all'Annunciazione (fie.2). La Vergine-sposa come figura della Chiesa è presso gli oratoriani uno dei temi preferiti. Già Calvesi ha notato le citazioni dal Cantico sulla facciata di Santa Maria in Vallicella <Tota pulchra es amica mea; et macula non est in te>>r4. Anche nella decorazione delle cappelle compaiono queste simbologie; in particolare quella dell'Annunciazione offre un vasto repertorio di immagini che illustrano numerosi versetti del Cantico in relazione ad altri passi biblici. Ne deriva un complesso programma figurativo che riflette I'interesse per queste tematiche, peraltro già presenti negli studi oratorianira5. .: San Giovanni Borromini ha richia, srmboli del Cantico sia nelle melo--:r; dei capitelli che nei frutti dei ricchi :: . r: della navata centrale (figg. 22-23) - -, .,cuni monumenti (fig. 16). Mele, - :. pesche, ancora melograne e pomi di i:.: specie ricordano lo stesso reperto- . :- irutti rappresentati da Caravaggio -' ; -- - . . :,, idente allusione a simboli cristolo- : -. - . Calvesi ha dimostrato ampiamen. , .egame tra alcune figure "sponsali" -...: pittura del Merisi e la rilettura -.:Jmaica e oratoriana del Cantico dei r-itci. Anche Borromini può aver rap:-:s:ntato la <<Sposa> mistica nelle pro" -:--: femminili che decorano le finestre :-..a navata maggiore in San Giovanni ..i. 22). Tutte le erme progettate dal :'.r:stro hanno un valore simbolico mol- ren definito: a Palazzo Falconieri .::J emblema araldico della famiglia, - sulla facciata di San Carlino sono riferite alla Trinità, quelle progettate per le finestre sul retro della Sapienza doveva- no significare <Meditazione ed Eleva- zione>>ta1; così anche le erme in San Giovanni ripetono il tema della Chiesa <<Sposa di Cristo> e quindi del suo Vicario in Terra, il pontefice romano. Sottolineare il vincolo nuziale del papa con la Chiesa corrisponde alla scelta di Innocenzo X di riaffermare la centralità del suo ruolo e la sua autorità nella Chiesa e nel mondo. È indicativo che questo tema mistico adottato nel restauro pamphiliano della Basilica Lateranense abbia affinità con le interpretazioni del Cantico adombrate da Caravaggio, ed è curiosa coincidenza che la Maddalena e il Riposo nella fuga in Egitto (fig. 18), incentrati sui medesimi temi, siano forse entrati nella raccol- 22) Protontí .ft'trurtínili ai lttti tler ',''*:.n$ t"... ,,.'1,i.t1''- .firt,ttt,'rti. 5r/r/ Cittrrrttrti Laîe ru tto, t tut'ttÍu t e ttlru I e. itt 23) Festone di frutta in uno stemmo di Innocenzo X. S" Giovqnni in Laterono, nqYata centrale. ta di quadri del principe Camillo Pamphilj, nipote di Innocenzo X, attraverso il suo matrimonio con Olimpia Aldobrandini, celebrato nel 1647148. Dovevano esser noti, in quegli anni i sottintesi allegorici dei quadri caravaggeschi, e non è da escludere anche un travaso di sensi nella decorazione di San Giovanni ancora non realizzata nel 1647 e già in fase di progettazione. Per la lettura iconologica delle due tele Doria Pamphilj si rimanda agli esaurienti studi di Maurizio Calvesi confermati, per it Riposo, dal tema del Cantico rintracciato nello spartito che san Giuseppe mostra all'angelorae. Ulteriori prove che quest'ultimo dipinto abbia attinerLza col poetico testo, derivano da una nutrita serie di incisioni rcalizzate dai Wierix che accompagnano immagini di Cristo e della Vergine con versetti del Cantico che insistono sul tema delI'amore tra lo Sposo e la Sposarso. Tra le stampe che raffigurano la Sacra Famiglia o soltanto la Vergine col Bambino, alcune sono incentrate sul sonno di Gesù: Maria lo veglia in preghiera mentre il piccolo riposa in un letto cosparso di fiori; Giuseppe assiste tenendo tra le mani un libro e un angelo mostra un grappolo d'uva (fig. 17). La scritta spiega <<Ecce tu pulcher et Dilecte ffii, et decorus: lectulus noster floridus. Cantic (um) I))r51. Il lettuccio infiorato è parafrasato in Caravaggio in un paesaggio "florido" che circonda le due figure dormienti (fig. 18). Non vi è rappresentato il sonno della Vergine e nemmeno I'abbraccio, tuttavia I'evidente richiamo al testo biblico e il tema del sonno indicano la diffusione di soggetti che non dovevano risultare oscuri al tempo del Merisi. Nelle incisioni dei Wierix dedicate alla Sacra Famiglia ci sono i frutti descritti dal Cantico, che Calvesi ha messo in relazione con quelli presenti in vari dipinti caîavaggeschirs2. I-Jve, pere, mele, fichi, colmano piatti e canestri collocati tutti in primo piano per sottolinearne il senso simbolico, identificabile attraverso il richiamo dei versetti del medesimo testo sacrols3. Le premesse di questo repertorio figurativo così caro all'Oratorio e a Federico Borromeo sono rintracciabili in una serie compiuta di immagini che offrono suggestive conferme alle interpretazioni avanzate in proposito. Un libretto xilografico del sesto decennio del Quattro- cento illustra in trentadue incisioni it testo del Cantico dei Cantici con estrema precisione di rimandi e costituisce probabilmente [a più ampia rassegna iconografica relativa a questo testor5a. Naturalmente tutte queste immagini, nella loro essenziale ma raffinata espressività tardogotica, rievocano la lettura patristica che risale al celebre commento di Origene in cui lo Sposo è identificato con Cristo e la Sposa con la Chiesal55. Rimandando ad altra sede l'analisi di tutto il repertorio iconografico offerto dal libretto xilografico, si propongono alcuni raffronti con figurazioni simboliche caravaggesche . La figura dello Sposo è giovanile e imberbe al modo del Bacco degli Uffizi e del Cristo della Cena in Emmaus di Londra. Una vignetta della quarta tavola (fig. 19) rap- presenta lo Sposo e la Sposa seduti in una vigna ben ordinata e recano in mano un succoso grappolo d'uva che sembrerebbe distinta in rossa e bianca; partecipano alla scena tre ancelle della Sposa. Il primo cartiglio riporta le parole dell'amato: <<Erunt ubera tua sicut botri vineae, et odor oris tui sicut malorum (punicorum)>, ovvero, (I tuoi seni siano per me come grappoli di vite, il tuo alito come fragranza di mele>>156. Le parole della Sposa registrate nel versetto seguente sembrano avere una qualche attinenza anche con il Bacchino malato, che ha tra le mani un bel grappolo d'uva analogamente allo Sposo: <<Botrus cypri dilectus meus mihi, in vineis Engaddi>, vale a dire < Il mio amato è per me un grappolo di cipro delle vigne di Enghed- di)r57. Un'assonanza diretta con il Bacco degli Uffizi compare nella nona tavola (fig. 20), dove lo Sposo offre all'amata un calice di vino porgendolo con la mano sinistra. Oltre alle solite ancelle, sulla destra, c'è una botte da cui un angelo attinge il vino. I cartigli riportano le citazioni del Cantico relative al tema del vino come nettare dell'amore, simbolo del sangue di Cristo offerto alla Chiesa nel sacrificio eucaristico, com'è esplicitato nella tavola tredici che rappresenta gli Sposi a mensa con calici e pani crociati a forma di particole d'ostier58. Non è improbabile che Caravaggio abbia conosciuto immagini del genere e che ne abbia tratto qualche suggestione per le sue complesse figurazioni. Sembrerebbero confermarlo altri elementi quali i frutti simbolici raccolti anche in ;anestre di vimini. Una vignetta della sesta tavola (fig. 21) illustra il seguente ,,'ersetto: <(In portis nostris omnia poma quia) nova et vetera servavi tibi, dilecte ffii)), cioè <Alla nostra porta ci sono i frutti più squisiti: frutta secca e fresca che ho conservato per te, mio amato!>>. La Sposa coglie pomi da un albero e offre allo Sposo una cesta con frutta (nova et vetera>>. Da questo testo può derivare I'idea di affiancare foglie e frutti che cominciano ad appassire e a marcire a quelli maturi e ricoperti di rugiada, presenti nelle canestre di Caravaggior5e. L'accostamento delle opere del pittore lombardo con questi temi, e in particolare col Cantico dei Cantici, appare sempre meno come il frutto di fantasiose supposizioni e trova consistenti test;monianze della diffusione di tali assunti simbolici, soprattutto in ambienti colti la cui religiosità si nutriva di significati mistici e sottilmente ermetici. Anche Borromini è partecipe di questa sensibilità raffinata, e le sue opere sembrano offrire la miglior interpretazione architettonica di questa cultura, come quella di Caravaggio ne è la più efficace traduzione in pitturar6o. È possibile che Borromini guardasse i dipinti di Caravaggio decifrandone il senso recondito? Non è da escludere, tanto più che I'architetto poteva avere informazioni dirette dei significati dagli stessi proprietari dei quadri o da chi manteneva vivo l'interesse per quelle tematiche, quali gli oratoriani di Virgilio Spada. Risulta poi da questa ricerca che il maestro non fu estraneo agli interessi culturali e alla religiosità di quello stesso ambiente oratoriano e borromaico che Michelangelo Merisi aveva frequentato a distanza di appena una generazione. L'affinità elettiva che Argan ha individuato nei due artisti lombardi e borromaici non deriva soltanto da ipotetiche suggestioni, ma offre oggi una consistente pista di ricerca. 24. Cfr. J. CoNNons, NOTE Borromíni, cit., pp. 192-93, 25. Alcuni pezzi l. Per la bibliografia degli studi su Borromini si può consultare quella aggiornata al 1980 in P. PonrocHESr, Borromini nella cultura europea, Bari 1982, pp. 461-76. Per gli ultimi dieci anni alcune indicazioni sono in J. CoNNoRS, Borromini e I'Oratorio romano, Torino 1989, pp. 495-505. 2. Cfr. G.C. AncaN, Borromini, Milano questo saggio tutti milanese del 1978. 1952; in i rimandi sono relativi all'edizione 3. Cfr. R. WrrrxowEn, Francesco Borromini: personalità e destino, in Súudi sul Borromrni, Atti del Convegno promosso dall'Accademia Nazionale di San Llaca, 1967, Roma 1972, vol. I, pp. 19-48, 26. 4. Cfr. Ragguagli borrominiani, Mostra documentaîia a cura di M. DEr- Ptl.zzo, Roma 1980, pp. 159-61. 5. È I'ipotesi avanzata dal Guidi, che noto il cambiamento di nome attorno al1628. Cfr. M. GutoI, Francesco Borromino, Roma s.d., ma 1923, p. 8. 6. R. WrrrxowER, cit., p. 27. 7. Ragguagli borrominiani, cit., pp. 198, 199. 8. Ibidem, p. 171. 9. F. B,llorNuccr, Notizie dei professori del disegno da Cimabue in qua, vol. V, Firenze 1847, pp. 139-40. 10. R. WrrrxoweR, cit., p. 23. 11. Cfr. G.C. AncaN, Borromini e Bernini, in Studi sul Borromini, cit., vol. I, pp. 307-13, 309; A.M. Bnrzro, Ne1 teÍzo centenario della morte di Francesco Borromini, Conferenza tenuta all'Accademia Nazionale dei Lincei pp. 6-8. il 7 dicembre 1967, Roma 1968, 12. Crf. G.C. ARcaN, Borromini, cit., p. 23. 13. Cfr. le notizie documentarie intorno alla sua morte in Ragguagli borrominiani, cit., pp. 29-32, e le informazioni sul rapporto con il padre Orazio Callera, suo confessore, in F. Ber-orNuccl, cit., p. 138. 14. Cfr. Sulla questione M. Carvnst, Le realtà del pp. XXV-XXXIII e passim. 15. Cit. in R. Wlrrrownn, cit., p. 20, Caravaggio, 16. Cit. in F. Rrvor-a, Vita di Federico Borromeo, Milano 1656, p. 655. 17. G.B. Passnnr, Vite de' pittori, scultori ed architetti che hanno lavorato in Roma. Morti dal 1641, fino al 1673, Roma 1772, p. 384. 18. F. Rlvoln, cit., p. 670. 19. F. BalorNUCCr, cit., p. 139. 20. P. AnrNcst, Memorie istoriche della vita del Padre Virgilio Spada preposito della Congregazione dell'Oratorio di Roma, Venezia 1788, pp. 22-24. 2I. G.P. Ber-r-onr, Le Vite de' pittori, scultori e architetti moderni, ediz. a cura di E. Bonen, con introduzione di G. PREvtr.a.LI, Torino 1976, p. 232. 22. M. Calvest, Le realtà, cit., p. 336. 23. P. AnrNcnr, Memorie istoriche, cit., p. 5. considerati secondari sono ancora conservati alla Biblioteca Vallicelliana, ma non è stata possibile la loro visione. Ringrazio la Direzione della Biblioteca per avermi concesso la consultazione dell'inventario del Museo Spada redatto nel 1886. 26. Cfr. Noúa delli Musei, Librerie, Gallerie et ornamenti di Statue, e pitture, né Palazzi, nelle Case, e né Giardini di Roma, ediz. a cura di E. Zoccx, pp.'72, 42, 22, 34, 84. 27. Cfr. P. ARrNcnr, Memorie istoriche, cit., pp. 5, 62. 28. È nota la simpatia del Borromeo per i membri più autorevoli dell'Accademia e il suo interesse per le loro ricerche, come confermano i rapporti epistolari con Federico Cesi, Galileo, Giovanni Faber, Giovambattista Della Porta. Cfr. F. BonRoueo, Indice delle lettere a lui dirette conseÍvate all'Ambrost'ana, Milano 1960, passim. Cfr. inoltre G. Gesnrarr, La spiritualità filippina, o dell'oratorio della Chiesa Nuova, nel piano e negf inizi della prima Accademia lincea, in Atti del V Congresso Nazionale di Studi Romani, vol. V, Roma 1946, 353-60. Federico Cesi frequentò da bambino la Vallicella assieme alla madre, Olimpia Orsini, devota di Filippo Neri, che chiese al santo di ottenergli con la preghiera la guarigione del piccolo Federico in pericolo di vita. Cfr. II primo Processo per San Filippo Neri, edito e annotato da G. INctsA DELLA RoccnerrA. e N. VlaN, con la collaborazione di C. Gesn,+.nnr, Città del Vaticano 1957-1963, vol. [, pp. 128, 315, vol. II, pp. t48, 204. 29. Lettera a Madama Cristina di Lorena del 1615, in Edizione Nazionale delle Opere di Galileo Galilei a cura di A. Favano e altri, Firenze 1890-1909, vol. V p. 319. 30. Rosa Ursina sive SoI ex admirando facularum et Maculorum suaÍum Phoenomeno varius, (...) a Christoforo Scheiner germano svevo, e Societate lesu. Ad Pau|um Iordanum II Ursinum Bracciani Ducem, Bracciani 1626-1630. 31. Il volume fu pubblicato a Roma nel 1637. Per la figura e I'opera dello Stelluti cfr. AA.VY., Francesco Stelluti Linceo da Fabriano, Fabriano 1986, in particolare A. Ar-EssaNonrNr, Francesco Stelluti e I'Accademia dei Lincei, alle pp. 23-139. 32. Per il Museo del Cesi cfr. A. Ntcor-o e F. SoLrNas, Per una analisi del Collezionismo Linceo: I'Archivio Linceo 32 e il Museo di Federico Cesi, in Federico Cesi, Atti del Convegno nel IV centenario della nascita, Acquasparta 1985, Roma 1986, pp. 193-212, 206-12. Per il Museo Spada cfr. la nota 25 di questo saggio. 33. De Secretis libri XVil. Ex variis Authoribus et aucti per Joan. Jacobum Weckerum Basiliensem, Medicum Colmariensem, Basileae 1598; ha la collocazione P.I. 26 della Biblioteca Vallicelliana. Ringrazio la prof.ssa Arienne Sellerio Jesurum per avermi fornito un parziale elenco collectí, methodiceque, digesti, dei libri vallicelliani appartenuti a Virgilio Spada. Nell'archivio dei Padri dell'Oratorio presso la Chiesa Nuova (A. VII. 33) è conservato I'elenco dei libri appartenuti allo Spada e rimasti nella sua camera alla sua morte; non vi compare naturalmente il De Secretis dal 1624 era stato consegnato alla Biblioteca, nè vi di carattere scientifico che .orse ebbero la stessa sorte. Una dettagliata ricerca alla \ allicelliana permetterebbe di ricostruire I'intera rac-..lta di libri; è probabile che per motivi di spazio .:-.onsignor Spada tenesse in camera soltanto i volumi a .'.i piu necessari. Nell'inventario, accanto ad alcuni - assici latini, c'èl'Opera omnia di Padri della Chiesa e --he .ono registrati altri testi .,.1ogi quali s. Agostino, s. Gregorio Magno, s. -'.:riano, s. Ambrogio, s. Basilio, s. Gregorio Nazian- . -:.o. s. Gregorio Nisseno, s. Paolino, Giovanni Cassia- 'r. s. Antonino, s. Anselmo, s. Tommaso, oltre a ', ,:ri di Panigarola, di Bellarmino, di Bossuet e di altri . --,.rri ecclesiastici. È interessante osservare una nutrita -:-::nza di testi su Roma, che vanno dalle guide ai -::.i sulle celebrazioni giubilari. Sulla figura di Virgilio '::ia cfr. F. EHnLE, Dalle carte e dai disegni di :-:iljo Spada (t 1662) (Cod. Vaticaní lat. 11257 e in <Atti della Pontificia Accademia Romana di .-'-{S), ::::eologia> serie III, Memorie, II, 1928, pp. l-98, i : .:.; biografici alle pp. l-9; gli elementi forniti da . ì-:h Connors in Borromini e l'Oratorio, cit., passrm. documentazione su Virgilio e sulla famiglia ' nutrita :,:a è raccolta in A. HervBùRGER RaveLLr, Archi' . -:a scultura e arti minori nel barocco italiano. -'--'he nell'Archivio Spada, Firenze 19'77. j Giustamente Connors ritiene ancora aperta la : -ì -...,one intorno all'inizio del rapporto di Borromini - . .'Oratorio, evidenziando I'inaccettabilità delle ipo- :,. :. Hempel, Bruschi e Haskell. Cfr. J. CoNNoRs, :-:rr1ini, cit., pp. 35, 55, e la n. 91 del presente .:: -'. . La proposta di nominare Borromini architetto . Sapienza <<da parte del Signor Cardinale Bar- -.. è pubblicata \n Ragguagli borrominiani, cit., \\\VIII, p. 131. Per la cappella della Madonna :=:. Carlino e il progetto relativo a Santa Maria a .::=-la \uova cfr. P. Ponrocunst, Francesco Borro- \f ilano 1984, pp. 43, 457. :: Cir. Ragguagli borrominiani, cit., pp. 163-'75. j- Cfr.I'Archivio Linceo 32 con le liste dei beni ,:: .,rr.rti da Federico Cesi, pubblicato da A. Nrcco, - . SorrNa.s, cit., pp. 206-12. :i Sulle illustrazioni naturalistiche del Mingucci l rcroncr TolaRSr, Francesco Mingucci <giar- :-: : pittore naturalista: un aspetto della commit- : :j-icr-rniana nella Roma seicentesca, in Federico -': -.,.. pp. Z77-306. .:idem, pp. 299, 303, fig. 13. - la tavola fa parte di un erbario figurato di : , iualità che reca, nella dedica al Barberini, la I - 3sosto L939; è conservato alla Biblioteca - ' .:a Vaticana, Barb. lat.. 4326 (c. O. - S:l tema delle Laudes Domini attraverso la - -: Caravaggio, Torino-Roma 1984, ?:: pp. queste decorazioni naturalistiche ...=->r. 144-45, cfr. Borromini, cit., pp. 215, 226, 239. Francesco Borromini, cit., p. t: ì il \: 1\ \1 it tJ s l L pubblicazione lincea del cosiddetto (Te- a niana ce ne sono alcuni che somigliano a pannocchie di mais oppure a delle spighe abnormi. 46. Non è raro l'accostamento delle cornucopie allo stemma dei regnanti di Spagna; basti pensare a quello di Carlo V, in cui compare il motivo delle Colonne d'Ercole col motto citato più sopra. Un elegantissimo esempio è offerto dalla decorazione scultorea del portale del Castello de L'Aquila (1543), dove lo stemma di Carlo V è affiancato da due coppie di Colonne d'Ercole e da due grandi cornucopie, ulteriore e probabile allusione all'America. L'impresa di Carlo V è illustrata dal Giovio; cfr. Ragionamento di Monsignor Paolo Giovio sopra i motti e i disegni d'arme e d'amore che comunemente chiamano Imprese, Milano 1868, pp. 11-16. Sull'analogia di questa impresa con quella dei Colonna cfr. M. Cer-vnsl, ll sogno di Polifílo prenestino, Roma 1980, pp. 36-37, figg. 49 e 50. 47. F. CEsr, Del natural desiderio di sapere et institutione de' Lincei per adempimento di esso, in Federico Cesi e la fondazione dell'Accademia dei Lincei, catalogo della Mostra di Roma (1986) e di Napoli (1987), Napoli 1988, pp. 107-42, ll4. 48. P. PonrocHnst, Francesco Borromlnl, cit., p. 403. 49. Cit. in ibidem, p. 50. G. GaLrLer, I1 388. Saggiatore. Nel quale con bilancia esquisita e giusta si ponderano le cose contenuLibra astronomica e filosofica di Lotario Sarsi Sigensano, Roma 1623, cit. in A. ALEsseNonrNr, Originalità dell'Accademia dei Lincei, in Federico Cesi, cit., pp. '7-/-177, 144. te nella 51. Cfr. P. PoR.rocnest, Borromrni, cit., p. 8. Riguardo al dibattito sulle questioni metodologiche nel Seicento cfr. Il <<discorso sul metodo> di Cartesío e il problema del Metodo nel XVil secolo, a cura di G. BnraNnse, Torino 1989, con essenziale antologia di scritti di Galileo sul tema, alle pp. 127-34. 52. Il Lynceographum è conservato nell'Archivio Linceo presso I'Accademia Nazionale dei Lincei (n. 4, cc. l-242): la sua edizione critica è in corso da tempo a cura di Ada Alessandrini e Armando Petrucci. La citazione è riportata in A. Ar-pssANDRrNr, Originalità, cit., p. 94. 53. F. Ba.lrrNuccr, cit., vol. V, p. 138. 54. <<Propronimento Linceo>, Biblioteca Apostoli- P. : PonrocuEsr, :--.a soro Messicano>> cfr. A. Alessa.NDRrNr, Cimeli lincei Montpellier, Roma 1978, pp. 143-202; F. GuEnna, I,a leyenda de1 Tesoro Messicano, in Federico Cesl, cit., pp. 307-14, e le riproduzioni dell'antiporta delle cinque edizioni (1628, 1630, 1648, 1649, 165l). Le incisioni delle prime due edizioni sono di Matthaùs Greuter, le altre di suo figlio Johann Friedrich. 45. Le interpretazioni del portale di palazzo Carpegna sulla base del Ripa sono proposte in M. Facrolo, L'attività di Borromini da Paolo V a Urbano VIII, in Studi sul Borromini, cit., pp. 59-75, 75; e in E. Barrrsrr, Il simbolismo in Borromini, in ibidem, pp. 231-84, 241-42. Tra i frutti della cornucopia borromi- lat. 9684, cc. 2'-3u . La traduzione è in ArBssaNDRrNr, Originalità, cit., p. 100. 55. Promemoria di Federico Cesi cit., in ibidem, ca Vaticana , Vat. A. p. 87. Sui giudizi e le difficoltà subiti dai membri Documenti lincei e cimeli galileiani, Mostra per il IV Centenario della nascita di Galileo Galilei, introduzione e catalogo di A. AlessaNonrNr, pp. 22-26, 29-34. dell'Accademia cfr. ibidem, passim, e 56. Cfr. F. Bar-orNucct, cit., vol. V, pp. 139-40. 5'7. Ibidem, p. 140. Un efficace affresco degli ambienti <<novatori>> e dei loro oppositori è offerto in P. Rp,ooNot, Galileo eretico, Torino 1983. 58. Cfr. a riguardo M. CelvEsr, Le realtà, cit., pp. 336-37, 349-52. 59. Verbale della riunione dei Lincei del 10 aprile 1605, cit. in A. AI-EssANDRINI, Origínalità, cit., p. 115. 60. Sui tempi e i motivi che avrebbero' spinto Borromini a progettare la pubblicazione di diversi scritti sulle sue fabbriche cfr. R. Wrrrxowen, cit., pp. 31-33,40-43. 61. Lynceograpùum, Originalità, cit., p. 94. cit., in A. Ar-EsslNDRINI, 62. R. WrrrxowEn, cit., p. 22. 63. Tra i vari studi in questo senso sono da segnalare quelli di Ada Alessandrini, che da anni dedica il suo impegno alla storia della prima Accademia dei Lincei e alle più autorevoli figure dei suoi aderenti. La rassegna bibliografica di tali studi è in G. Ga'snInt-t, Contributi aIIa Storia dell'Accademia dei Lincei, vol. I-II, Roma 1989. 64. Cfr. E. HEIvteEL, Francesco Borromini, ed. italiana, Roma 1926, p. 61. 65. Cfr. G.C. Anc-lN, Il ripristino di San Giovanni in Laterano, in Io., Dal Bramante al Canova, Roma pp. 219-37, 222-24. 66. Cfr. i rispettivi interventi alla tavola rotonda I/ rapporto tra Borromini e Ia tradizione, in Studi su/ Borromini, cit., vol. II, pp. 37-69, 39, 40. 67. Ricordi Dati dalla Santità di Nosúro Signore Papa Innocenzo X, ai Padri della Congregazione 1970, dell'Oratorio I'ultimo anno di sua vita, in P. AnlNcru, Memorie istoriche, cit., pp. 211-18. 68. Relazione del Mazenta riportata da K. GùrrtLErN, Quellen aus dem Familienarchiv Spada zum rómischen Barock, in <Rómisches Jahrbuch fùr Kunstgeschichte>, 18, 1979, pp. l'73-246,233. Cfr. anche G. Cuncro-M. MeNrBnr Er-Ia., Storia e uso dei modelli architettonici, Bari 1982, p. 272; alle pp. 251-84 sono reperibili ricche informazioni sulle vicende della Basili ca nel Cinque e nel Seicento. 69. Cfr. ibidem. Sul ripristino del triclinio di Leone III cfr. H. BplrrNc, I mosaici dell'aula leonina come testimonianza della prima <Renovatio>> nell'arte medie- Roma, in Roma e l'età carolingia. Atti delle di studio, maggio 1976, Roma 1976, pp. 167-82, 168-72, L79. Notizie sulle committenze di Francesco Barberini sono fornite naturalmente da F. HASKnLL, Mecenati e pittori. Studio dei rapporti tra arte e società italiana nell'età barocca, Firenze 1966, in particolare le pp. 64-65, 83-87, 105-09, 190. Per il rapporto del cardinale con dal Pozzo cfr. i continui vale di giornate in Cassiano dal Pozzo, Atti del Seminario Internazionale di Studi, Napoli, dicembre 1987, Roma rimandi 1989. 70. Cfr. P. REooNor, cit., pp. 309-14. 71. <Certi ovati circondati d'una corona di palme, lauro, e fiore, e dentro di essi resta à vista di tutti il muro antico, come gioia nell'anello>. Relatione della fabrica di San Giovanni in Laterano, in K. Gù.rHr-erN, cit., pp. 206-14,209. È probabile che dagli ovali fossero visibili i resti degli affreschi di Gentile da Fabriano e di Pisanello, che potrebbero riapparire rimuovendo le tele settecentesche dei profeti. 72. Cfr. S. BEnteLLr, RibeIIi, libertini e ortodossi nella storiografia barocca, pp. 66-70, 77-80. 73. Ad esempio, per mantenere lo schema delle decorazioni costantiniane Innocenzo X aveva affidato all'abate Annibale Albani I'incarico di studiare i resti degli affreschi medievali improntati sui mosaici paleocristiani, per riproporre gli stessi soggetti nella navata centrale rinnovata. Cfr. J. WILpERT, La decorazione costantiniana della Basilica Lateranense, Roma s.d., ma. 1929. Sulle ipotesi del materiale da usare per le Storie del Vecchio e Nuovo Testamento e sulla scelta dei soggetti cfr. la già citata Relazione in K. GùrHrntN, cit., pp. 207-09. Sui rilievi a stucco poi eseguiti e sui loro autori cfr. M. HBlNlsùncBn Ra.vat-lt, Architettu' ra, cit., pp. 232-39, figg. 159-170. 74. Cfr. G. Cuncro - M. MeNrnnI Er-ta, cit., pp. 25r-52. 75. Sacro parallelo della Basilica Lateranense e Vaticana, manoscritto Chigi G. III. 70, c. 201u, della Biblioteca Apostolica Vaticana. 76. Il disegno appartiene al Museo Nazionale di Stoccolma (n. 8091) ed è stato identificato e pubblicato daP. PonrocHEsr, Borromini, cit., ediz. 1964,p.256. 77. Relazione, cit. in K. GùrHlplN, cit., p.206; e un altro documento in proposito cit. in V. HonnvaN, Die fassade von San Giovanni in Laterano 313/141649), in <Rómisches Jahrbuch fùr Kunstgeschichte>>, 17, 1978, pp. l-46, 44n. 78. Cfr. M. FacroLo, Borromini in Laterano. <<II Nuovo Tempio> per í1 Concilio universale, in <<L'arte>>, n. s., 4, 1971, pp. 4-44, 5, 9. 79. Nell'inventario del Museo Spada, redatto il 17 maggio 1886, compaiono alcune decine di lucerne; quelle numerate 93-96 hanno il chrismon, la n.o 84 ha due rami di palma, e le nn. 99 e 100 hanno l'albero di palma. 80. peculiari antiquae religionis zelo perX Pontifex Maximus cum nuper Constantinianam basilicam jam quasi collabentem instaurandam curaret, serio recolens quam gratum primae vis Christianis sanctum Christi nomen Graecis illis expressum literis, et quam speciosum item, ac familiare ipsimet Constantino Magno, qui publicis illud passim monimentis dedicavit, antiquos eiusdem Constantinianae basilicae parietes, quos illibatos extare voluit, hoc nobili salutis signo triumphalis (chrismon\ instar coronac exornari iussit>. P. AnlNcnt, Roma subterranea novissima, Romae 1651, vol. II, p. 574. 81. Cfr. A. Zuccent, Arte e committenza, cit., pp. 36, 5l-52, 64-66,89-94. Sul repertorio simbolico di Borromini e alcune sue fonti paleocristiane cfr. E. Barrrsrr, II simbolismo, cit., pp. 241-43, 260-6I, 2'73. <<Demum motus Innocentius 82. Cfr. E. Vacceno Sonta,, Giovanni Severano ::ete dell'Oratorio e uomo di studio, in <Quaderni :e1l'Oratorio)), 4, Roma s.d., ma 1961. 83. Cfr. A. Bosro, Roma sotterranea, opeÍa postuecclesiastico ;.:golare dei suoi tempi, compita disposta e accresciuta ::a di Antonio Bosio, romano, antiquario :al M.R.P. Giovanni Severano da S. Severino, sac. ::ila Congregazione dell'Oratorio di Roma, Roma .ó-12-34, p. 207. E interessante osservare che la Roma :::ierranea è decorata a margine da numerose incisioni .-:;ee che compaiono anche nella Roma subterranea ::i;'Aringhi: c'è il fiore linceo, lo stemma linceo : --:rposto dalla lince, da una colonna coronata una e da ,..:na bifida. E un ulteriore indizio (oltre I'interessa:,:lto di Francesco Barberini) di un rapporto tra le :-;::che filippine e quelle dei membri dell'Accademia. 5-1. Cfr. A. Zuccanr, La politica culturale deII'O- ':"-.:io romano nelle imprese artistiche promosse da Baronio, in <Storia dell'arte>>, 42, 1981, pp. -93, 176-78, 185, figg. 14-23. !5. Cfr. ibidem, pp. 173, 185, figg. 4 e 5. Sull'at:::iamento di Borromini verso il passato cfr. I'inter=:-:o di Portoghesi alla tavola rotonda Il rapporto tra ,-,=-iere - . i -::omini e Ia tradizione, cit., p. 60. !6. L'iscrizione qui riprodotta è contenuta in P. r-:..\cHr, Roma subterranea, cit., vol. I, p. 604. :,:::rre sul tema dei simboli araldici pamphiliani :-::abile spunto per I'uso di rami d'olivo di un tipo -.:-:alistico, affiancati dalla colomba, possonop deri- :,: dalle riproduzioni di dipinti cimiteriali, come alla p.253 della Roma sotterranea del Bosio, che :-:).nra qualche analogia con la decorazione della -..a del vestibolo di passaggio tra la Basilica e il :,,'.zo al Laterano. - -:..r r' i-. Cfr. M. HprNasùncnn '--2-173. : RRva.r-r-r, cit., p. ). Cfr. l'intervento di M. Tafuri alla :,:-ja 247, tavola rapporto tra Borromini e la tradizione, cit., -,. Clr. anche i contributi di F. QurNrnnro e di G. r : \ \\rMr in AA.VV. I palazzi del Senato. Palazzo :-:,. Palazzo Giustiniani, Roma 1984, pp. 125-30, I1 ,n. O,o.uuunte Martinelli, nel tracciare la rapida -;:.i:a di Orazio Giustianiani, tra quelle dei cardinali :..r:ecari, annota: <<Governò Giustianiano la detta :."r:eca per spatio di dieci anni usando l'abito nero, jsano ,: : li Padri della Congregazione dell'Oratorio , : Filippo nella Vallicella di Roma, tra quali era -.: l-{ anni. Se bene Urbano VIII non permise, che :-: alla sua presenza andasse con altro habito che -:..zzo>>. Cit. in C. D'ONopnro, Roma nel Seicen1969, pp. XIV-XVI, 375, fig. 224. Ecco un :.::rze -, :':mpio di sobrietà d'abbigliamento che contrav: :lle regole in modo simile a quelli di Virgilio : r:: e Francesco Borromini. Sui tre Giustiniani -:.-:.ani notizie sommarie sono in C. GasnRnnr, . -=:-..-jo romano dal Cinquecento al Novecento, -: i963, pp. 159-60, 165. Cfr. inoltre C. Dr -. il card. Orazio Giustiniani (1580-1649), in . -.:::ni dell'Oratorio>>, 10, Roma s.d.. r' Cfr. T. AMevorN, La storía delle famiglie -r .:. Jon note ed aggiunte di C.A. BEnrrNr, ediz. ": .:.,Ja. Bologna 1979, vol. I, p. 455. :- Cir. J. CoNNons, Virgilio Spada's defence of Borromini, in <The Burlington Magazine>> 131, 1989, pp. 76-90. Vi compaiono ulteriori chiarimenti sulle vicende della fabbrica vallicelliana ed emerge che Borromini fu assunto dagli oratoriani per le sue e che, comunque, ne capacità: <Il Cavaliere Borromini fu accettato (...) non havendo saputo ritrovare altri che facessero un disegno per il nuovo oratorio senza stroppij, come si vede da i disegni (...)), e che mons. Spada aveva avuto informazioni estremamente positive sul suo conto da parte di Francesco Barberini: <<L'Eminentissimo Barberino mi disse pochi giorni sono che la fabbrica Barberina alle 4 Fontane fù in gran parte disegno del Borromino, e me l'haveva detto anche I'istesso Borromini mà gli I'havevo finito di credere>> (p. 87). È probabile che Virgilio dati la notizia a pochi giorni di distanza per rafforzare Ia credibilità dell'informazione, fosse p. al corrente da tempo. 92. Cfr. M. Fecror-o, Borromini in Laterano, cit., 6. 93. Cfr. A. B,q.lopscHr, Relazione Della Nave Principale della Sacrosanta Chiesa Papale Lateranense, in Stato della SS. Chiesa Papale Lateranense NeII'Anno MDCCXXUI, Roma 1723, p. 5. 94. Cfr. G.M. CnEscrNaeENr, Risúrelúo delle cose più notabili (...) della Sacrosanta Chiesa Papale Lateranense, in ibidem, p. 49; C. RaspoNt, De Basilica et Patriarchio Lateranensi Libri Quattuor, Romae 1656, p. 15; C.B. Ptp,zzs, Eorterologico, ovvero le sacre Stazioni romane e feste mobili, loro origini, rito e venerazione nella Chiesa Romana, Roma l'704, p.254; G. SnvpnaNo, Memorie sacre delle Sette Chiese di Roma. E de gl'latri luoghi, che si trovano per Ie strade di esse. Parte seconda, Roma 1630, p. 122. 95. Cfr. M. FacroLo, Borromini in Laterano, cit., p. 10; G. Cuncro-M. MaNrsnr ELra., cit., pp. 225 e ss. Sull'iconografia della Gerusalemme celeste cfr. <La dimora di Dio con gli uomini>. lmmagini della Gerusalemme celeste dal III al XIV secolo, a cura di M.L. Garrr PEREn, Milano 1983, con notizie sui secc. XV e 104-15; A. Rovnrre, L'immagine della Gerusalemme celeste nei secoli XV-XVI, in <Città di XVI alle pp. vita>, 40, gennaio-febbraio 1985 (numero speciale dedicato al tema in questione), pp. 83-106. 96. Cfr. A. Zuccenr, Arte e committenza, cit., pp. 123, 135. 9'1. Cfr. Rev. Patris Ludovici ab Alcasar hispalensrs e S.L theologi, Vestigatio arcani sensus in Apocaly- psi, Lugduni 1618 pp. 698-7ll; sul frontespizio è segnato: <pertinet ad legatum P. Virg. Spada>. 98. Ibidem, pp. 707-08. 99. Com'è noto il volume fu edito a Firenze nel 1632. Non è improbabile che Borromini ne avesse preso e non è da escludere procurarsene una copia. visione che fosse riuscito a 100. Cfr. E. Barrrsrr, II simbolismo, cit., pp.269, 275-'79: S. Snnouy, Barroco, con introduzione di F. Prer, Milano 1980, pp. 36-37, 48-50, 55-57, 113-14. l0l. La lettera del Bellarmino è del 25 agosto 16l8 ed è pubblicata con quella del Cesi in C. ScnErNrn, Rosa Ursina, cít., pp. 775-84. 102. Cfr. P. Ponrocnpsr, Roma barocca. Storia di una civiltà architettonica, Roma 1967, pp. 113-14. 103. L. Arceztn, cit., p. XI; nelle pagg. seguenti ne viene data la spiegazione. 104. E interessante notare che Virgilio Spada avesse un giudizio fortemente negativo di Paolo V, come risulta da una annotazione a un volume a lui appartenuî.o: Vaticinii, overo Profetie dell'Abbate Gioachino e di Anselmo vescovo di Marsico. Con I'imagini intagliate in rame, Venezia 1600. Sotto il varicinio ViI (Gli uomini forti dall'invidia saranno associati>>, è segnato a penna <Paulus V>. Alla data 1623, apposta un paio di volte sul volume, potrebbero risalire le annotazioni dello Spada. 105. Cfr. cit., p. 24. M. Fa.cror-o, Borromini in Laterano, 106. Che Borromini avesse interesse per le simbologie trinitarie è provato dalle decorazioni di San Carlino; un ulteriore prova che avvalorerebbe la lettura delle tre croci sovrapposte è <<un quadro con tre faccie in una>, registrato nell'inventario Oei suoi beni. Cfr. Ragguagli borrominiani, cit., p. 170. 107. Divi Aurelli Augustini Hipponesi Episcopi et Doctoris Praecipui Opera, tomis decem comprehensa: per Theologos Lovanienses ex manuscriptis codicibus multo labore emendata (...), Parisiis 1586, vol. X, p. 682. L'opera apparteneva a Virgilio Spada. 108. Il motivo dei cherubini accoppiati o abbinati è molto frequente nelle decorazioni borrominiane e va dalle maniglie di palazzo Barberini, alla facciata di San Carlino. Cfr. P. Ponrocuesr, Francesco Borromini, cit. fig. 354, 359. 109. <Alterius vero è duobus Cherubin effigies erat maris, alterius erat foeminae, quod in apparatu suo Benedictus Arias docet: ut et Christus, et Maria per utrumquae significaretur>. T. Bozto, De Signis Ecclesiae Dei. Libri XXilI, Romae 1591, vol. I, p. 352. ll0. Cfr. L. ALCnz-a.R, cit., p. 216. I I l. Sant'Agostino afferma che <Sponsus et Spon- in utero Virgins, duo videtur et unum est>. Divi Aurelli Augustini (...) Opera, cit., vol. 9, p. 236. Sulla moltipicazione delle ali, come nei cherubini, quale simbolo di purezza (quindi di casta coniuctio) cfr. G. DunaNo, Le strutture antropologiche dell'immaginario, Bari 1972, pp. 130-31. ll2. Cfr. M. Fecrolo, Borromini in Laterano, cit., pp. 31, ll-13. Sull'iconografia e il mito del Tempio sa coniucti sunt di Salomone cfr. H. RoseNau, Vision of the Temple. The image of the Temple of Jerusalem in judaism and christianity, London 1978, pp. 9l-ll0; W. Kerscn, Der Salomonische Tempel, Realitat, Mytos, Utopie, in <Quatuor Coronati Jahrbuch>, 1982, 19, pp. 107-97. 113. Cfr. BBnNuARDT, Ordo Officiorum Ecclesiase Lateranensis, pubblicato da L. FrscunR, MùnchenFreising 1916, pp. 157-59. Per il Messale Romano si è consultata la copia Barb. YIII,63 della Biblioteca Ap. Vaticana, pp. 473-74; e per il Breviario Romano la copia della medesima Biblioteca, Racc. Gen. Liturgia, V, 199, pp. ll4. XXIX-XXX. Discorso di Fioravante Martinelli sopra alcu- ne Reliquie della Basilica Lateranense, in Archivio A. 26, cc. 8-10. M. Facror-o, Borromini in Capitolare Lateranense, 115. Cfr. cit., pp. 11 ss., figg.7-13. Laterano, 116. Cfr. ibidem, pp. 11-12. ll7 . Cfr. ibidem, p. 13. L'ipotesi era già formulata in M. FacroLo, Appunti per una ricostruzione della cultura di Borromini, in Súudi sul Borromini, cit., vol. II, pp. 263-86, 2'14. ll8. C. Bonnovso, Instructionum Fabricae et supellectilis ecclesiasticae libri duo, traduzione italiana a cura di Z. GnossELLr, Milano 1983, vol. l, p. 22. 119. Sull'Altare Filomarino cfr. P. Ponrocnesl, Borromini, cit., pp. 206-08, figg.42-45, e Io., FnaNcEsco BoRRowrrNr, cit., p. 63, figg. 66-69, 307, 310. 120. Cfr. A. ZuccRnr, La politica culturale, cit., pp. 177-18, 187. l2l. Cfr. C. BanoNrt, Annales Ecclesiastici, I, Romae 1588, p. 141; A. Zuccanr, II cardinale Baronio iconografo della Controriforma, in Artisti e società a Roma e Firenze nei secoli XV e XVI, Atti del convegno nell'Università di Roma, novembre 1981, in corso di stampa, Roma 1990. 122. Cfr. A. HEnz, Cardinal Cesare Baronio's Restoration of SS. Nereo ed Achilleo and S. Cesareo de' Appia, in <The Art Bulletin)), LXX, 1988, n. 4, pp. fig. 3. 123. Cfr. i numerosi contributi del Convegno Baronio e I'arte tenutosi a Sora nell'ottobre 1984, Sora 590-620, 594-96, I 985. 124. Sullo storicismo iconografico del Borromeo cfr. M. CaLvesr, Le realtà, cit., pp. 52-56,293-99. 125. Fagiolo né fa una parziale trascrizione in Borromini in Laterano, cit. p. 31. Si riporta la traduzione completa dell'iscrizione: <A Innocenzo X P.M. Sposo amatissimo, questa sua Sacrosanta Chiesa Late- ranense esibisce il cuore tra le sue membra quasi disfatte, si congratula con un augurio con il suo restauratore, avendo lui ricevuto il nome dalla patria, dai senatori>. 126. Relatione della fabrica, cit. in K. GùrHr-uN, cit., p. 206. Il termine di Sposa, riferito alla Basilica Lateranense ricorre spesso nel Sacro parallelo della basilica Lateranense e Vaticana, cit., cc. 200-201, posseduto dallo Spada. 127. Cfr. M. Facror-o, Borromini in Laterano, cit., p. 17. 128. Cfr. C. MuNlnR, la voce Concilio, in Dizionario patristico e di antichità cristiane, diretto da A. Dr BenantrNo, vol. I, Casale Monferrato 1983, coll. 7 5t-52. 129. Sulla politica di Innocenzo X cfr. L. VoN Pasron, Storia dei Papi, vol. XIV, parte I, pp. 73-109. Su alcune rievocazioni papali della figura di san Silvestro cfr. G. MerrHra.e, Pittura e politica medioevo romano, Roma 1964, pp.61-91. del 130. T. Bozro, cit., vol. I, pp. 1-2. 131. Il testo prosegue: <Diebus namque singulis experiumur, ilucescente Aurora, cum prius oppositione tenebrarum dignoscere ipsas res (...)). Ibidem, p. 2. 132. G.C. AncnN, Borromini, cit., p. 57. 133. Cfr. M. CeLvESr, Le realtà, cit., pp. 29-38. 134. Cfr. P. Ponrocnest, Francesco Borromini, cit., pp. 394-96. . E possibile che Borromini conoscesse il signi-..- .imbolico della luce di Caravaggio, o comunque : ---.i-'r probabile, anche attraverso Virgilio Spada che - :::i presente I'assunto teologico agostiniano della '.-,. illuminante. Sulle tendenze neoplateoniche del :-:.iro borrominiano, affini quindi alla teologia di - ' \gostino, cfr. E. Ba.rrtsr-t, Il simbolismo di . -' j - ' ,-ntini, cit., pp. 212-'7'7, figg. 39-41. I, P. 24. -l-. Cfr. G.C. ARceN, Borromini, cit., p. 58. --16. C. Bonnoveo, cit., vol. Cfr. M. C.rLvesr, Le realtà, cit., pp. 60-66. -39, Cfr. la n. 35 e E. Ba.rrtsrr, L'emblematica in - -:bardia e il Borromini, in <Arte lombarda>>, 16, --1E. *- i. pp. 299-300. r-10. Cfr. J. CoNNoRS, Borromini, cit., fig. 80, pp. -:-l-.268-69. 1-11. Tra i vari manoscritti di questo trattato il più -..:bre è quello del tardo Trecento della Zentralbi- :,.-,ihek di Zurigo (Cod. Rhenovacensis 172). Cfr. S.D. -r-. RoLR, Alchimia, Como 1988, figg. 4-5, 12-14. 112. Cfr. Ludovici ab Alcasar Hispalensis e S.1. --:ologi (...) In eas Veteris Testamenti partes, quas . -l-;5. l-13. L. Alcazau, Vestigatio, cit., p.215. Vi si fa ,:.:he esplicito riferimento al trattato del Villalpando' l+4. C.fr. M. Carvest, Le realtà, c\t., p. 202. l-15. Cfr. E. SrnoNc, La Chiesa Nuova, Roma .9:3. pp. 90-94, 106-12; A. ZuccaRt, La politica -:lturale dell'Oratorio romano nella seconda meetà del C.nquecento, in <Storia dell'arte>, 4l , 1981, pp. ---112, figg.24-25. 1-16. In San Giovanni i festoni di frutta ornano gli ,::mmi pamphiliani sui finestroni centrali della navata :aggiore, gli stemmi chigiani sopra le porte delle :a\ate estreme, la memoria di Bonifacio VIII e la ::emoria del card. Giussano. 14'7. Cfr. E. Ba.rrtsrt, Il simbolismo in Borromi,:r. cit., p. 249, fig. 2; P. Ponrocuest, Francesco Borromini, cit., figg. 139-140, 357-359. 148. Cfr. E.A. SnFAntx, Breve guida della Galleria Doria Pamphili in Roma, Roma 1983, p. 7. 149. Cfr. M. Carvesr, Le realtà, cit., 201-10. 150. Cfr. M. Mnueuov-HnNpntcxx. Les estam- des Wierix conservees au Cabinet des estampes de la Bibliotheque Royale Albert f', Première parie, Bruxelles 1978, figg. 415 -456, 465, 54'7, 631-632u, 730-737, :12-'754, 756, 763, 768, e le relative schede. -pes 151. Cfr. ibidem, figg. 459, 460-464, pp. 82-83' 152. Cfr. M. C.tLvest, Le realta, cit., pp. Zll-13, 224-28, 232-36. 153. Cfr. M. Maueuov-HeNontcxx, cit., le figg. 409-410, 417, 448-450, 456, 626, 742-744. 154. Si tratta di un libro xilografico di 16 pagine con 32 vignette, che fa parte del cod. Palatino latino 143 della Biblioteca Apostolica Vaticana. Realizzato nel Nord Europa, tra i Paesi Bassi e la Germania, è composto di due parti: Ia prima appartiene a una seconda edizione, la seconda (pp. 10-16) è dell'edizione originale. Cfr. Biblia Pauperum. Riproduzione del cod. L. DoNau e L. MrcrrerrNr Tocct, Città del Vaticano 1919, pp' V-VII. Palatino lat. 143, presentazione di 155. Cfr. OntGeNe, Commento aI Cantico di M. StvoNn.r.rt, Roma dei 1976, pp. 20-29. E noto che a tale interpretazione si sono ispirati altri commenti patristici e che ad esso si sono richiamati scrittori mistici quali Teresa d'Avila e Giovanni della Cantici, a cura Croce. 156. E la prima vignetta della tav. IV. Il grappolo dello Sposo ha chicchi piu grandi e marcati di quello della Sposa, forse ad indicare uva nera e uva bianca. 157. Non è impossibile che Caravaggio conoscesse immagini come queste. Ne1 Bacchino malato compaiono i grappoli di uva nera e bianca e la posizione della mano, derivata secondo Calvesi da una figura del Martirio di sant'Alessandro del Salmeggia, non è distante da quella dello Sposo. Cfr. M. Carvest, Le realtà, cit., figg. 28-29. 158. Cfr. Biblia Pauperum, cit., tav. XIII B; la precedente è la seconda vignetta della tav' IX. 159. Anche nella tav. VI A compare un piatto con della frutta . Cfr. ibidem. Sul significato della Canestra di frutta dell'Ambrosiana chi scrive ha avanzato I'ipotesi di un riferimento al testo del profeta Amos (cfr. A. Zuccenr, Arte e committenza, cit., pp. 152, 156); questa ipotesi sembra essere avvalorata da un libretto sui simboli biblici della fine del Cinquecento: LevtNo LenaNro, Similitudinum ac Parabolarum quae in Bibliis ex herbis atque arboribus desumuntur, dilucida ex- plicatio, Francofurti 1596. Alle pp. l16-18 si spiega <De pomis in genere, e quibus sacri vates similitudines desumunt> e si cita la visione del cap. VIII di Amos: <<Ostendit, inquit, mihi Dominus Deus vicinum, hoc est, corbem seu canistrum pomorum aestivorum, et dixit, Quid tu vides Amos? et dixit, canistrum pomorum, (quibus designat fructus praecoces et primitivos) Et dixit Dominus ad me, Finis super populum meum. Hac Metaphora pomorum quae non possunt diu subsistere indicat imminere populo interitum, instare corruptionem ut pomis maturis, quae si diu assevantur, putrescunt, ut sunt pruna, cerasia, persica, corna, quae perennare non possunt, aut in hyemen perduare>' I frutti della Canestra sono frutti estivi, perché I'uva non è solo autunnale, e potrebbero alludere a questa simbologia, che il Lemnio associa anche all'Apocalisse (18,14) per il parallelo: frutta che marcisce-rovina di Babilonia. 160. È interessante osservare che gli oratoriani prediligevano grandemente i temi simbolici del Cantico dei Cantici, infatti alla Biblioteca Vallicelliana, tra i vari commentari biblici manoscritti del XVI e del XVII secolo, questi sono tra i piùr numerosi superando le venti unità. Cfr. I'Inventario manoscritto dei codici redatto nel XVIII secolo. Inoltre sono numerose anche le edizioni di commenti del Cantico sia di epoca patristica che di autori "moderni". Sembra possibile un travaso di queste tematiche nell'opera di due artisti colti e sensibili come Caravaggio e Borromini. Sull'attività di Borromini per Cli oratoriani va Scorr, The Counter-Reformation segnalato anche J.B. Program of Borrornini's Biblioteca Vallicelfiana, ria dell'arte)), 55, 1985, pp. 295-304. <<Sto- ia ;". *' .s @. )i': À. "" ' -1", ìr::rl: $- Pl # ,,, uuu {i '' l li' : trk, : W .lir! ,*$ae 1Tí'd.;l{l::,:, Tav. V Borromini, una delle dodici nicchie della navata centrale di S' Ciovartni in Lare: ar'ltì ': r Tav. lX F. Mingucci, fiore di melograno. Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, codjce Barb. Lar. 1326. , ' ,, .neriore di Carlo e Federico : ' ' - -- Il Baldinucci, ad esempio, : : :: dichiarato che il maestro era 4) J. Greuter, antiporta del Tesoro Messicano nell'edizio- -' ti), ricorda che egli <<fu sobrio ne del nel cibarsi, e visse castamente>>, e ancora che ((non fu punto signoreggiato dal desiderio di roba, il quale tenne per soggetto a quello della gloria>e. Giustamente'Wittkower ha osservato che I'artista, al contrario di Bernini, visse modestamente: a partire dall'inventario dei beni redatto subito dopo la sua morte, lo studioso rileva che <<le sue stanze erano poveramente ammobiliate (...) i vestiti lasciati sono pochi, il vaseliame è per lo più di stagno; la cucina è quasi vuota>>, e ne deduce che Borromini <<spese poco tempo e denaro per la propria persona e si curò ben poco del proprio agio>>tO. Non è azzardato associare questo stile di vita alla sobrieta di costumi che caratterizza la spiritualità borromaica. Non c'è bisogno di ricordare I'austerità di vita di san Carlo, ir tutti nota in quegli anni anche per la pubblicità che ne venne fatta perché fosse esempio d'integrità di costumi e modello di santi- ta. Giulio Carlo Argan e Anna Maria Brizioll, seguiti da altri studiosi, hanno pensato al grande fascino esercitato dal- la figura del Borromeo negli anni mila- nesi del giovane Castelli, attorno al 1610, data della canonizzazione di san Carlo, mentre appare ormai datata I'ipotesi di un Borromini eterodosso; questa dava credito al celebre giudizio di Bernini sul suo rivale, la cui religiosità avrebbe ptzzato <<alquanto di zolfo>>r2. Se così fosse stato non sarebbe valsa la protezione di Virgilio Spada ad ottenergli la commissione per San Giovanni in Laterano o quella per il Collegio De Propaganda Fide, o altro, anche ammettendo che amicizie influenti lo avrebbero potuto preservare da eventuali noie con il Sant'Offizio. I dati biografici di cui si dispone dimostrano la sua piena osseryanza ai precetti della Chiesa fino alle ultime ore della sua vital3. Rintracciare <<ptJzza di zolfo> nei grandi artisti del Cinquecento e del Seicento, non è costume recente: basti pensare a quello che si è detto di Michelangelo, o del Caravaggio, spesso in una contrapposizione schematica con artisti di minor talento, che appaiono, invece, devoti e bacchettonila. Se è suggestiva I'immagine di un Borromini in odor di eresia, in antitesi con un Bernini osservante e opportunista, tuttavia, com'è stato chiarito da tempo, queste interpretazioni hanno il vizio di forzare la storia. Dunque, I'architetto di Bissone è ossequiente alle regole del formalismo religioso e non è animato da inquietudini interiori? Tutt'altro. È un uomo del suo tempo che risente profondamente delle 1649.