OSSERVATORIO COSTITUZIONALE
OSSERVATORIO COSTITUZIONALE
Codice ISSN: 2283-7515
Fasc. 1/2020
Data: 7 gennaio 2020
Brevi note sull’affaire CSM: vecchi problemi, ma quali soluzioni?
di Simone Benvenuti – Ricercatore di diritto pubblico comparato presso il Dipartimento di
Giurisprudenza dell’Università Roma Tre
ABSTRACT: This paper discusses the constitutional dimensions raised by recent events involving
the Italian High council of the judiciary, the Consiglio superiore della magistratura (CSM). After
briefly retracing the intricate events raising a problem of independent exercise by the judicial
members of the CSM of their power to participate in the appointment of the heads of the prosecutor
offices, it focuses on two constitutional dimensions that are called into question. The first concerns
the methods for selecting judicial members of the CSM, which is said to entail excessive influence
from judicial associations (correnti), a widely and long debated topic. The paper presents the main
proposals including those aimed at introducing selection by drawing lots, and raises scepticism as to
the ability of such reform to solve the problems raised. It then discusses briefly the possibility to
reconsider the procedure to appoint heads of prosecutor offices, with the aim to limit the discretion
of the CSM – a solution that would require a constitutional amendment – and the need to strengthen
the accountability of prosecutorial activities. The paper concludes by underlining that the events
involving the CSM also raise more general problems of judicial culture that can be tackled from a
broader and long-term perspective by improving judicial professionalism, ethics and by opening up
judicial recruitment.
SOMMARIO: 1. Brevi osservazioni introduttive sui problemi di ordine giuridico sollevati
dall’affaire CSM. – 2. I fatti e le dimensioni costituzionali degli stessi. – 3. La selezione dei
Lavoro sottoposto al referaggio secondo le linee guida della Rivista.
1
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consiglieri togati. – 4. Lo status del pubblico ministero, con particolare riguardo alla nomina agli
incarichi direttivi e alla sua organizzazione. – 5. Guardando oltre: deontologia giudiziaria, identità
professionale e apertura del corpo giudiziario.
1.
Brevi osservazioni introduttive sui problemi di ordine giuridico sollevati dall’affaire
CSM
Quello che il gergo giornalistico chiama alternativamente lo “scandalo CSM” o il “caso procure”
ha occupato largo spazio e ravvivato i propositi di riforma del sistema di “governo” della
magistratura. In queste pagine intendo soffermarmi su alcuni aspetti, peraltro non nuovi agli addetti
ai lavori. La riforma del metodo di selezione dei consiglieri togati ha infatti attirato il più grande
interesse. Vi sono tuttavia altri, non minori profili, che meritano considerazione perché si possa
affrontare efficacemente la questione di come governare la magistratura (e amministrare il sistema
giudiziario nel suo insieme) nel rispetto dei principi costituzionali di indipendenza e responsabilità,
assicurando le esigenze di trasparenza nell’ottica del recupero di una “legittimazione” del sistema
giudiziario. Non si richiede probabilmente uno stravolgimento del quadro istituzionale, ma certo un
approccio di sistema che tocchi alcuni gangli su cui intendo richiamare l’attenzione in queste
pagine1.
2.
I fatti e le dimensioni costituzionali degli stessi
Non è necessario in questa sede ripercorrere le pur complesse vicende che concretizzano
l’affaire CSM. Basti sottolineare che esse rappresentano plasticamente talune dinamiche del
1
Se si concentra qui l’attenzione sul tema del “governo”, nondimeno l’affaire CSM solleva almeno importanti
questioni di natura costituzionale sulle quali si impongono una riflessione e un separato approfondito svolgimento: dalle
conseguenze che l’utilizzo delle nuove tecnologie per finalità di indagine ha sul diritto alla privacy e alla riservatezza,
alla vita privata e familiare financo alla libertà di espressione, alle implicazioni dell’utilizzo stesso rispetto alla tutela
della funzione parlamentare nel contesto del rapporto problematico tra politica e magistratura (posto che l’attività di
captazione di un magistrato ha coinvolto incidentalmente anche due parlamentari).
2
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governo della magistratura già note ed evidenziate da chi di questi temi si è occupato2, e che
sollevano interrogativi3. In entrambi i casi, risulterebbero coinvolti, direttamente o indirettamente,
tre membri togati del CSM, i quali si sono dimessi nonostante il sostegno a loro espresso dalle
correnti di appartenenza4.
Sul versante politico si è iniziato a discutere della necessità di riformare il sistema di governo
della magistratura, in particolare andando a toccare il meccanismo di selezione della componente
togata anche al fine di attuare il dodicesimo punto del c.d. Contratto di governo tra le due forze
all’epoca espressione della maggioranza di Governo.
I fatti così sinteticamente rappresentati possono essere compendiati, in un’ottica costituzionale e
limitatamente al “governo” della magistratura, nella questione dell’esercizio indipendente, da parte
del Consiglio superiore della magistratura e dei suoi membri, dei poteri di nomina dei capi degli
uffici della procura; da una prospettiva più ampia, è in questione la capacità dell’organo di
assicurare l’indipendenza dei magistrati e della magistratura nel suo insieme e il suo ruolo di
diaframma tra poteri. A fini analitici, ritengo siano due le questioni di natura costituzionale da
considerare.
2
Notoriamente, tra i maggiori critici delle pratiche di governo della magistratura è da annoverare Giuseppe Di
Federico, ai cui numerosi scritti sul tema si rimanda. Quanto alle dinamiche venute in rilievo recentemente, si veda
anche C. GUARNIERI, Pubblico ministero e sistema politico, Padova, CEDAM, 1984, p. 26 e bibliografia indicata in
nota 18.
3
In termini molto sintetici, i fatti evidenzierebbero il rischio di influenze interne alla magistratura, rispetto
all’attività di nomina alle funzioni di procuratore (l’indagine in corso sembra configurare la rilevanza penale di tali
influenze con riferimento alle fattispecie di cui agli articoli 318, Corruzione per un atto d'ufficio, e 319ter, Corruzione
in atti giudiziari, del Codice penale) e a procedimenti giudiziari in corso a carico di un magistrato (si ipotizza in tal caso
il reato di cui all’articolo 326 del Codice penale, Rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio).
4
Come nota di contorno, è forse utile ricordare che a fronte dei fatti così come riportati da fonti giornalistiche, il
vicepresidente del CSM ha preso immediata posizione contro le “degenerazioni correntizie” e i consiglieri rimasti in
carica hanno firmato un documento, ufficializzato nel plenum straordinario del 4 giugno 2019, che nella sostanza
prende nette le distanze dai fatti. Questi sono qualificati «penalmente irrilevanti» ma impongono per i consiglieri «un
serio, profondo, radicale percorso di revisione critica e autocritica, di riforma e autoriforma dell’autogoverno, dei
metodi di selezione delle rappresentanze, dell'etica e della funzione», al fine di «eliminare ogni ombra sull’Istituzione
[…] che deve essere e apparire assolutamente indipendente, libera di approfondire e di valutare, nell'ambito delle
competenze che la legge [le] attribuisce […], quanto sta emergendo anche riguardo ai comportamenti di magistrati che
del Consiglio fanno parte». Il 21 giugno si è poi riunito, in presenza del Capo dello Stato, il Plenum straordinario
convocato per l’insediamento dei nuovi componenti del Consiglio subentrati ad alcuni consiglieri che si erano dimessi e
l’indizione di elezioni suppletive per la copertura dei due seggi di merito requirenti rimasti scoperti dopo le dimissioni
dei relativi consiglieri. In tale occasione, ricordando la gravità dei fatti che hanno coinvolto il CSM, che avrebbero
svelato un «quadro sconcertante e inaccettabile», si è mantenuto allo stesso tempo un approccio equilibrato rispetto alle
prospettive di riforma dell’ordinamento, pur ritenute necessarie. Le elezioni suppletive per l’elezione dei due
componenti con funzioni requirenti si sono tenute il 6 e 7 ottobre e quelle del candidato con funzioni giudicanti l’8 e il 9
dicembre.
3
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La prima è quella delle influenze informali sulle attività di nomina del Consiglio superiore della
magistratura e del contemperamento, nell’esercizio di tali attività, delle esigenze di indipendenza e
di quelle di collegamento tra magistratura, politica e società in un’ottica di rispondenza a sensibilità
politico-sociali differenti. Il caso CSM si sarebbe difatti sostanziato anzitutto in attività condotte ai
margini o al di fuori dell’organo al fine di orientare gli output decisionali dello stesso, le quali
coinvolgono organizzazioni interne alla magistratura (le correnti) e settori della politica. Tali
episodi fanno in realtà luce su un’esigenza intrinseca di relazionalità, che è propria di ogni organo
di governo e selezione del personale, la quale esige tuttavia un certo grado di istituzionalizzazione e
deve ispirarsi al principio della trasparenza. Si è per tali ragioni subito imposto il tema delle
modalità di selezione dei consiglieri del CSM più adatte al fine di una maggiore rispondenza del
sistema a tali esigenze.
La seconda questione attiene alle specifiche garanzie per la nomina alle posizioni giudiziarie di
dirigenza. Tale questione si pone con particolare forza per le posizioni che hanno un maggiore
impatto sul rapporto tra magistratura e politica – dunque particolarmente per gli organi del pubblico
ministero data la loro capacità, evidenziata anche in recenti episodi passati agli onori delle
cronache, di incidere significativamente sul funzionamento del sistema costituzionale e sui
meccanismi di responsabilità politica. A tale questione si affianca dunque quella delle modalità di
esercizio dell’attività requirente. Si tratta di aspetti – va detto – non specifici del nostro
ordinamento, se solo si pensa, per non andar troppo lontano, all’infinito dibattito francese attorno
allo statuto del parquet5.
Nei due paragrafi che seguono mi soffermo su queste due questioni di merito. Concludo quindi
richiamando all’attenzione alcune direttrici suscettibili di riflessione in una prospettiva più ampia.
5
Ma si pensi anche al rilievo assunto dallo statuto del pubblico ministero nella giurisprudenza della Corte di
giustizia UE relativa al mandato d’arresto europeo, su cui mi permetto di rinviare a S. BENVENUTI, Commento alla
sentenza della Corte di giustizia del 27 maggio 2019, Minister for Justice and Equality c. O.G. e P.I., C-508/18 e C82/19, sulla nozione di “autorità giudiziaria emittente” nel contesto del mandato d’arresto europeo, in Rivista della
Corte dei Conti, 2019, 3, pp. 246-253.
4
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3.
La selezione dei consiglieri togati
Gli interrogativi sollevati dalle vicende richiamate ruotano anzitutto attorno all’organo che
l’articolo 104 della Costituzione colloca a presidio dell’autonomia e dell’indipendenza dell’ordine
giudiziario. I costituenti avevano delineato un sistema teoricamente bilanciato, dove la collegialità
era declinata nei termini di pesi e contrappesi tra istanze differenti: membri di elezione giudiziaria,
membri di elezione parlamentare, tra cui il vicepresidente eletto dall’organo, vertici della
magistratura giudicante e requirente, Presidente della Repubblica nelle sue complesse funzioni
(tipicamente presidenziali) di stimolo e moderazione e di raccordo tra l’ordine giudiziario e gli altri
poteri6. Per tale ragione, l’architettura del CSM, pur nella preponderanza numerica dei membri
togati, non è configurabile – sempre in teoria – come organo di autogoverno, secondo un
orientamento della stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 168 del 23 dicembre 19637 e
reiterato in sentenze successive. In particolare, nella n. 44 del 14 maggio 1968 la Corte aveva
ritenuto che il CSM, «mentre realizza una particolare forma di autonomia, pel fatto di essere
espresso in prevalenza dallo stesso corpo giudiziario, è poi presieduto dal Capo dello Stato, in
considerazione della qualità che questi riveste di potere “neutro” e di garante della Costituzione»; in
maniera più articolata, nella sentenza n. 142 del 18 luglio 1973 la Corte aveva escluso che il CSM
fosse strumento di rappresentanza in senso tecnico dell’ordine giudiziario per via della
«composizione mista dell’organo, solo in parte – anche se prevalente – formato mediante elezione
da parte dei magistrati, e per altra parte, invece, da membri eletti dal Parlamento (tra i quali deve
6
G. SILVESTRI, Consiglio superiore della magistratura e sistema costituzionale, in Questione Giustizia, 2017, 4,
29. Da un’ottica differente, in Assemblea costituente il progetto Calamandrei prevedeva un Consiglio a composizione
solo giudiziaria, con un pubblico ministero però separato e di nomina politica, S. BENVENUTI, Il Consiglio superiore
della magistratura francese: una comparazione con l'esperienza italiana, Milano, Giuffrè, 2011, 5. Per i diversi profili
riguardanti il CSM, si rimanda ai contributi contenuti nei due volumi a cura di Beniamino Caravita di Toritto, B.
CARAVITA (a cura di), Magistratura, CSM e principi costituzionali, Bari-Roma, Laterza, 1994, e B. CARAVITA (a cura
di), Gli organi di garanzia delle magistrature. Profili istituzionali del governo autonomo del potere giudiziario, Napoli,
Jovene, 2013.
7
Secondo la Corte, che era chiamata a valutare la costituzionalità dell’articolo 23 della legge istitutiva del CSM, era
escluso che lo squilibrio nella rappresentanza tra le diverse categorie di magistrati esercitasse un’influenza decisiva
sulle deliberazioni dell’organo, poiché «ad un tale inconveniente, se mai sussistesse, ovvierebbe la funzione
equilibratrice che, in seno al collegio, viene esercitata dai componenti, non magistrati, eletti dal Parlamento, fra i quali è
scelto il vicepresidente». Viene qui in evidenza non tanto la «funzione equilibratrice» della componente laica, quanto il
fatto che detta funzione non ha funzione meramente contrappositiva rispetto alla componente togata, ma interviene di
per sé e nel suo insieme a rendere più complessa la struttura e indeterminato il processo decisionale dell’organo, mentre
la componente non è a sua volta considerata omogenea.
5
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essere scelto il vice-presidente), oltre che da membri di diritto, tra cui il Capo dello Stato che lo
presiede».
Il principio di indipendenza non è dunque riducibile all’autogoverno8, ma piuttosto trova una sua
realizzazione nel carattere complesso e articolato della struttura dell’organo e dei suoi processi
decisionali. La dottrina ha perciò giustamente posto l’accento sull’estraneità dei concetti di
maggioranza di consiliatura e di indirizzo politico consiliare alla razionalità decisionale del CSM9.
D’altro lato, il CSM stesso non è solo un dispositivo istituzionale per la realizzazione dei principi
costituzionali di indipendenza e autonomia dell’ordine giudiziario. Come emerge chiaro anche dai
dibattiti in Assemblea costituente, l’organo funge anche da strumento per la realizzazione di un
quadro specifico entro cui opera la responsabilità (ampiamente intesa, come accountability10) dei
magistrati – conformemente peraltro all’articolo 97 che certa dottrina vuole riferito anche ai
magistrati quali funzionari dell’ordine giudiziario –, istituendo forme di collegamento tra il corpo
giudiziario e l’ambiente esterno: politico, ma non solo11.
E però, deve osservarsi come la prassi non abbia sempre corrisposto a questo schema ideale.
Anzitutto, se da un lato la creazione del CSM ha permesso di rendere nel corso della storia
repubblicana l’esercizio della funzione giudiziaria indipendente dall’esecutivo, essa non è stata
egualmente efficiente nel tutelarla da forme di dipendenza interna o di altro tipo a carattere
informale12. Ciò è avvenuto in parte per via della perdita progressiva di forza di quel principio
8
Sotto il profilo comparatistico, si veda anche la giurisprudenza costituzionale spagnola che ha escluso che il
Consiglio spagnolo sia organo di autogoverno con sentenza n. 108 del 1986.
9
G. SILVESTRI, Giustizia e giudici nel sistema costituzionale, Torino, Giappichelli, 1997, 178 e 186 e P. RIDOLA, La
formazione dell'ordine del giorno fra poteri presidenziali e poteri dell'assemblea, in B. CARAVITA (a cura di),
Magistratura, CSM e principi costituzionali, cit., 68. Su questi aspetti, si veda anche G. FERRARI, Soliloquio sulla
magistratura, Roma, Bulzoni, 1984, 206; E. BRUTI LIBERATI, Crisi del CSM, indipendenza della magistratura, modifica
del sistema elettorale, in Questione giustizia, 1990, 1, 20; P. A. CAPOTOSTI, Normalità, normalizzazione e ruolo del
Consiglio superiore della magistratura, in AA. VV., Compiti della politica doveri della giurisdizione, Milano, Franco
Angeli, 1999, 131; V. ONIDA, Quattro note sul Presidente della Repubblica nel Consiglio superiore della magistratura,
in Politica del diritto, 1986, 164.
10
Sul concetto di accountability (e judicial accountability), v. infra bibliografia in nota 90.
11
Questo rafforza ulteriormente la prospettiva per cui i principi di indipendenza e di autonomia di cui all’articolo
104 della Costituzione, realizzati attraverso il CSM, non sono riducibili all’autogoverno. A livello generale, come
perspicuamente rileva David Kosař, quel che conta in materia di accountability è l’esistenza «of a system of checks and
balances […] which prevents any principal from taking control of the majority of the accountability mechanisms», D.
KOSAŘ, Perils of Judicial Self-Government in Transitional Societies, Cambridge, Cabridge University Press, 2016, 410.
Sull’istituzione del CSM come strumento finalizzato a realizzare forme di collegamento-responsabilità, si veda ad
esempio G. LEONE, Ass. Cost., II sottocommissione, seconda sezione (potere giudiziario), 8 gennaio 1947, p. 80.
12
S. BENVENUTI - D. PARIS, Judicial Self-Government in Italy: Merits, Limits and the Reality of an Export Model, in
German Law Journal, 2018, 7, 1641-1670.
6
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dell’articolazione interna, che opera tanto a livello della struttura dell’organo che a livello delle
singole componenti togata e laica. La componente laica ha certo conosciuto vicende alterne, con
fasi di maggiore o minore politicizzazione, ma realizzando spesso al suo interno un certo grado di
pluralismo13. Più problematica – ma certamente in ragione della sua preponderanza numerica – è la
componente togata per via del realizzarsi di logiche di lottizzazione14 – generalmente riconosciute
dalle stesse correnti – che derivano oltre che da detta preponderanza numerica anche da altri fattori.
Tra questi sono da menzionare lo stretto legame esistente tra le correnti e i consiglieri (il c.d.
correntismo) e la information asymmetry che pone i membri togati in una posizione privilegiata
rispetto ai membri laici. Se quest’ultimo aspetto ha spinto taluni a ritenere necessario riconsiderare
l’equilibrio tra le componenti15, il fenomeno del correntismo ha comportato che già nel 1990 e nel
2002 i meccanismi di selezione della componente togata fossero riformati – stante peraltro la
difficoltà pratica di un intervento costituzionale di revisione dell’architettura dell’organo. Da
ultimo, come è noto, il c.d. “contratto di governo” giallo-verde sosteneva l’opportunità di «operare
una revisione del sistema di elezione [del CSM], sia per quanto attiene ai componenti laici che
quelli togati, tale da rimuovere le attuali logiche spartitorie e correntizie in seno all’organo di
autogoverno della magistratura»16.
Già prima delle vicende recenti, si era fatta strada la proposta del sorteggio, che però ha ricevuto
aspre critiche anche all’interno della magistratura17. Si tratta di un’idea non nuova che è stata
discussa anche in Francia, senza successo18. In Italia fu avanzata per la prima volta negli anni ’70 su
13
Va detto che la componente laica è riuscita in parte a rispondere a quei requisiti costituzionali di ordine
professionale che, pur nella previsione di un’origine elettiva parlamentare, contribuiscono a introdurre un elemento di
neutralizzazione tecnica. Tali requisiti non hanno comunque evitato che proprio nel sistema del bipolarismo imperfetto
tra gli anni ’90 e 2000 la parte maggioritaria della componente laica avesse operato sulla base di una omogeneità
politica che ha permesso di influenzare in maniera determinante il funzionamento del Consiglio, E. PACIOTTI (a cura
di), Per un nuovo ordinamento giudiziario, Firenze, Passigli, 2006, 170. Sui caratteri della componente laica in
un’ottica diacronica, D. PIANA – A. VAUCHEZ, Il Consiglio superiore della magistratura, Bologna, Il Mulino, 2012, 2751.
14
G. DI FEDERICO, Lottizzazioni correntizie e politicizzazione del CSM: quali rimedi?, in Quaderni costituzionali,
1990, 2, 289 ss.
15
Sul relativo dibattito nel periodo repubblicano mi permetto di rimandare a S. BENVENUTI, Il Consiglio superiore
della magistratura francese, cit., 14-20.
16
Contratto per il governo del cambiamento, 22. A sua volta, il programma di governo giallo-rosso si è limitato a
indicare la necessità di «riformare il metodo di elezione dei membri del Consiglio superiore della Magistratura [e di]
garantire l’indipendenza della magistratura dalla politica».
17
E. ANTONUCCI, Sorteggiare il Csm. L'incostituzionale e inutile proposta di Bonafede, in Il Foglio, 8 ottobre 2018.
18
A. MARTIN, Le Conseil supérieur de la magistrature et l’indépendance des juges, in Revue du droit public, 1997,
3, 764 ss. e L. MONTANARI, Il governo della magistratura in Francia, Padova, CEDAM, 1998, 226.
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iniziativa del MSI ed è stata recuperata, in tempi recenti, in un progetto formulato, nel 2009, dal
Ministro Alfano19. La proposta è rimasta però sempre minoritaria e se ne è sottolineato
alternativamente il carattere irrazionale o incostituzionale. Va chiarito che quanto al sorteggio si
prevedono diverse modalità: nella forma integrale o pura, o piuttosto nella sua forma mista secondo
due versioni, prima o dopo l’elezione. Della soluzione pura (comunque generalmente esclusa) si è
criticato il carattere eccessivamente aleatorio della selezione; delle soluzioni miste si è criticata la
probabile inefficacia in funzione anticorrentizia, soprattutto nel caso in cui il sorteggio intervenga
dopo l’elezione dei candidati da sorteggiare, con l’inconveniente di introdurre un elemento di
casualità.
Favore per la soluzione del sorteggio nella versione mista aveva ad esempio mostrato chi
proponeva che i magistrati designassero i candidati in numero dieci volte superiore ai consiglieri da
nominare e che poi intervenisse il sorteggio entro la rosa così determinata20. Oggi c’è chi propone il
c.d. “sorteggio dei migliori”, in cui la rosa di candidati sarebbe individuata attraverso un punteggio
misurato «sulla base della laboriosità e delle conferme in appello delle decisioni assunte in prima
istanza»21. Sotto il profilo comparatistico, il sorteggio trova parziale accoglimento nell’ordinamento
greco, dove l’articolo 90 della Costituzione lo impone per la scelta dei membri del Consiglio
superiore di giustizia appartenenti alla Corte suprema, con ricadute negative sul tasso di
democraticità e di rappresentatività del Consiglio22.
Come detto, però, appaiono tuttora in maggioranza le voci dissonanti, per considerazioni di
opportunità e non necessariamente attinenti alla costituzionalità della misura. Sotto il secondo
profilo, i dubbi che una soluzione mista possa rientrare nei confini posti dall’articolo 104 della
19
A. ZEI, L'arbitrato del caso: applicazioni del metodo del sorteggio nel Diritto pubblico, in Nomos. Le attualità nel
diritto, 2017, 1, 23 s.
20
Era questa la proposta di Serio Galeotti, riportata in B. PEZZINI, Il CSM come organo costituzionale e la legge n.
44 del 28 marzo 2002, in B. PEZZINI (a cura di), Poteri e garanzie nel diritto costituzionale. L’insegnamento di Serio
Galeotti, Milano, Giuffrè, 2003, 106.
21
Così Michele Ainis, in A. CHIRICO, Il trojan nemico della privacy è anche un problema per la Costituzione, in Il
Foglio, 14 giugno 2019. Tra i sostenitori del sorteggio (nella soluzione mista prima dell’elezione) si segnala anche
Salvatore Mazzamuto, che già aveva ispirato la proposta Alfano e ha reiterato le sue posizioni recentemente in
occasione del Convegno su “Il Consiglio superiore della magistratura: quale riforma elettorale?”, tenutosi presso
l’Università di Roma 3 il 5 luglio scorso.
22
M. VOLPI, I consigli di giustizia in Europa: un quadro comparativo, in E. ALBAMONTE – P. FILIPPI (a cura di),
Ordinamento giudiziario. Leggi, regolamenti e procedimenti, Torino, UTET, 20.
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Costituzione sono condivisi da chi scrive23, per ragioni di conformità anzitutto letterale ma anche
relative alla ratio profonda della scelta del metodo elettivo operata dal costituente.
L’articolo 104 della Costituzione parla di due terzi di componenti «eletti […] da tutti i magistrati
ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie». Non si vede come si possa parlare di elezione in
tali termini se la scelta dei magistrati è effettuata tra sorteggiati appartenenti alle varie categorie, e
ancor meno se invece la selezione è frutto di un sorteggio di magistrati precedentemente eletti.
Oltre alle questioni di interpretazione letterale della norma costituzionale, si ritiene che il
sorteggio muti sostanzialmente la natura e la ratio del meccanismo di selezione elettivo. Esso
distorce infatti la volontà dell’elettore, al punto che una possibilità di tal genere dovrebbe
necessariamente essere stata menzionata in Costituzione, non potendosene accettare un’assunzione
implicita24. Si tratta di osservazioni già condivise dalla Commissione Scotti25. Nella sua relazione
conclusiva si sostiene che «il Costituente, fissando il principio della elettività dei componenti, ha
inteso sia fondare la scelta su base fiduciaria perché, nell’esprimere il voto, l’elettore riconosce
idoneità, capacità, valenza istituzionale all’eligendo, il che è incompatibile con una sua
individuazione meramente casuale, sia valorizzare la caratteristica essenziale del Consiglio
superiore che non è un semplice consiglio di amministrazione; è piuttosto una istituzione di
garanzia nonché rappresentativa di idee, di prospettive, di orientamenti su come si effettua il
governo della magistratura e su come si organizza il servizio di giustizia, anzi su quale sia il ruolo
della magistratura e dello stesso Consiglio superiore».
Queste parole ci ricordano la valenza democratica del metodo elettivo, consentendo esso di
riflettere in seno al Consiglio gli orientamenti culturali plurali presenti in un corpo, pur ristretto, che
si caratterizza però in senso sostanzialmente democratico per la natura del reclutamento concorsuale
(che non a caso trova una formalizzazione nell’articolo 106 della Costituzione), il quale si
23
Tali dubbi sono espressi, tra gli altri, da Stefano Ceccanti, da Giuseppe Di Federico e da Gaetano Silvestri in
diversi articoli di giornale e da N. ZANON – F. BIONDI, Chi abusa dell’autonomia rischia di perderla, in Quaderni
costituzionali, 2019, 3, p. 669.
24
Sembra invece considerare costituzionale il sorteggio Valerio Onida, pur essendovi contrario per altri motivi, F.
OLIVO, Valerio Onida: "Le correnti nella magistratura facciano un passo indietro", in Huffington Post, 8 giugno 2019.
25
COMMISSIONE SCOTTI, Relazione della Commissione ministeriale per le modifiche alla costituzione e al
funzionamento del Consiglio superiore della magistratura, 19.
9
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contraddistingue – anche storicamente, se solo si guarda alle vicende della sua introduzione – per la
maggiore apertura alla società rispetto ad altri meccanismi di reclutamento26.
Venendo alle osservazioni di merito, secondo alcuni il sistema sarebbe irrazionale nella misura
in cui non svolgerebbe un’efficace funzione anticorrentizia27, dunque non garantirebbe quella
funzione di imparzialità che Yves Sintomer considera uno degli aspetti suscettibili di legittimare il
sorteggio in democrazia28. Altri hanno sollevato il problema che il sorteggio non assicurerebbe la
selezione dei “migliori” non essendo la magistratura un corpo sufficientemente ristretto29; o
piuttosto si sostiene che il sorteggio farebbe venir meno qualunque forma di responsabilità e con
essa di trasparenza30. Infine, c’è chi, contestando a monte anche la costituzionalità del sorteggio,
ritiene che esso abbia l’effetto di delegittimare rispettivamente la magistratura e l’organo di
garanzia della magistratura, laddove si dovrebbe invece favorire il voto alle persone piuttosto che
alle correnti31.
Su tali presupposti, si è recentemente proposto32 un sistema che predilige l’opzione maggioritaria
con collegi uninominali territoriali – e non un unico collegio nazionale oggi vigente – per l’elezione
dei dieci giudici e dei quattro pubblici ministeri33. Tale sistema mirerebbe a spezzare le logiche
nazionali da un lato, favorevoli a realtà organizzate quali sono le correnti, e dall’altro vuole evitare
l’eccessivo localismo, imponendosi l’accorpamento di più circoscrizioni di corte d’appello
all’interno di un collegio. Si prevedono due possibili vie. La prima è il first past the post, dunque
l’elezione in ogni singolo collegio del candidato che raggiunga la maggioranza relativa dei voti. In
26
Sul punto, mi permetto di rimandare a S. BENVENUTI, Il Consiglio superiore della magistratura francese, cit.,
109-113.
27
E. ANTONUCCI, Sorteggiare il Csm, cit.
28
Y. SINTOMER, Sorteggio e democrazia deliberativa. Una proposta per rinnovare la politica del XXI secolo, in
Nomos. Le attualità nel diritto, 2016, 2, 7.
29
Così G. SILVESTRI, Consiglio superiore della magistratura, cit., 27, C. Guarnieri, in E. ANTONUCCI, Sorteggiare il
Csm, cit., V. Onida in F. OLIVO, Valerio Onida, cit. A tale conclusione era giunta anche la COMMISSIONE SCOTTI,
Relazione, cit., 19.
30
Così Carlo Guarnieri, in E. ANTONUCCI, Sorteggiare il Csm, cit. La posizione di Guarnieri rafforza alcuni dubbi
espressi da Y. SINTOMER sul tema dell’irresponsabilità, Sorteggio e democrazia deliberativa, cit., 8.
31
F. PALAZZOLO, La Pdl di riforma del sistema elettorale del Csm: intervista al prof. Stefano Ceccanti, 19 giugno
2019, disponibile su www.radioradicale.it; N. ZANON – F. BIONDI, Chi abusa dell’autonomia, cit., p. 667.
32
Camera dei Deputati, Proposta di legge n. 226 dei Deputati Ceccanti e Marco Di Maio, “Introduzione del sistema
maggioritario per l'elezione del Consiglio superiore della magistratura nonché delega al Governo per la
determinazione dei collegi uninominali”, presentata il 23 marzo 2018, e Camera dei Deputati, Proposta di legge n. 227
dei Deputati Ceccanti e Marco Di Maio, “Introduzione del voto alternativo in collegi uninominali maggioritari per
l'elezione del Consiglio superiore della magistratura nonché delega al Governo per la determinazione dei collegi
uninominali”, presentata il 23 marzo 2018.
33
Per i magistrati di cassazione si prevede invece necessariamente il collegio nazionale.
10
OSSERVATORIO COSTITUZIONALE
alternativa, si propone l’adozione del supplementary vote, con l’espressione in successione di due
voti da parte di ciascun elettore e lo scrutinio del primo voto, al fine di individuare i due candidati
che abbiano ricevuto il maggior numero di voti, e poi un secondo scrutinio delle schede degli
elettori che abbiano votato per i candidati esclusi, al fine di verificare quale dei due candidati
individuati al primo scrutinio abbia ottenuto più voti. Per semplificare, la soluzione del
supplementary vote comprime dunque in un unico turno il principio del ballottaggio, così evitando,
tra l’altro, accordi di corrente in un eventuale secondo turno. Una delle ragioni della proposta
risiede nella limitazione dell’influenza correntizia nel momento elettorale; essa neutralizza dal
punto di vista tecnico l’introduzione, con legge n. 44 del 2002, dei collegi unici nazionali per
l’elezione al CSM dei giudici di merito e dei procuratori.
Con riguardo alla prospettiva di neutralizzare l’influenza delle correnti, è dagli anni ’80 che si
inizia a coltivare l’idea di favorire il voto ai singoli piuttosto che ai gruppi organizzati a livello
nazionale, per mezzo dell’adozione di un meccanismo maggioritario o, appunto, attraverso la
diminuzione della dimensione dei collegi. Il primo sbocco consistette come è noto nella riforma
elettorale del 1990, che rimaneva proporzionale nell’impostazione ma prevedeva, nel progetto
originario, nove collegi circoscrizionali per la scelta dei diciotto magistrati di merito, due per
collegio (la legge ne istituì infine quattro). Dodici anni dopo, si è scelta la strada maggioritaria, con
candidature non di lista bensì individuali sostenute da un numero minimo di venticinque e un
numero massimo di cinquanta magistrati. Tale legge istituiva però nuovamente il collegio nazionale
per l’elezione all’interno delle tre categorie individuate dalla legge – giudici, procuratori e
magistrati di legittimità. Ciò gioca a favore di strutture correntizie organizzate a livello nazionale,
pur formalmente escluse dalla fase di presentazione delle candidature, nella misura in cui esse sono
capaci di coagulare il sostegno necessario nel momento elettorale in senso stretto. Se c’è chi
sostiene un qualche impatto della legge nell’aver permesso di attenuare la presa delle segreterie
delle correnti sulle singole candidature34, rimane condivisa l’opinione che l’effetto generale non sia
stato risolutivo, ritenendo alcuni che la legge abbia avuto la conseguenza di «limitare i candidati ad
un numero corrispondente o comunque di poco superiore a quello degli eleggibili per intese
preventive agevolmente controllate da gruppi associativi»35.
34
35
Intervista dell’autore a un membro del CSM, 17 maggio 2018.
COMMISSIONE SCOTTI, Relazione, cit., 18.
11
OSSERVATORIO COSTITUZIONALE
La proposta in questione pone perciò l’accento sulla limitazione del ruolo delle correnti non solo
nella fase della presentazione delle candidature, ma anche in quello elettivo, considerando il voto
per i singoli candidati uti singuli come presupposto per la neutralizzazione di influenze informali
sulla loro attività di consiglieri. Secondo il proponente, i collegi individuati – per i giudici e in
misura ancora maggiore per i procuratori – avrebbero dimensioni tali da escludere clientelismi
localistici e allo stesso tempo favorirebbero l’aggregazione del consenso in favore di candidature
individuali extra-correntizie. Si tratta di ipotesi che andrebbero necessariamente rimesse alla prova
dei fatti, e del resto lo stesso proponente non esclude che tale sistema, come del resto qualunque
sistema si scelga, possa prestarsi a critiche.
Tra queste, in effetti, vale la pena di sottolineare il rischio che un meccanismo di tipo
maggioritario favorisca l’omogeneizzazione della rappresentanza nel caso in cui le correnti si
dimostrassero ancora capaci di esercitare la propria influenza sul corso elettorale, posto che una
maggioranza preponderante di magistrati è iscritta a una qualche corrente; seppure, d’altro lato, la
riduzione della dimensione dei collegi si presti anche in linea teorica a favorire l’emergere di nuove
formazioni. Tale effetto di omogeneizzazione – comunque da verificare attraverso un’analisi della
distribuzione territoriale del sostegno a ciascuna corrente – andrebbe contro quel principio
pluralistico che sopra ho ricordato essere qualificante il CSM quale organo di tutela
dell’indipendenza e della accountability complessa dei magistrati, con conseguenze in termini di
sclerotizzazione correntizia e accentuato corporativismo.
Quel che però richiede forse una riflessione approfondita da parte degli studiosi è soprattutto il
presupposto logico di una proposta del genere, che non è da tutti condiviso e che anzi taluni
considerano derivare da uno sguardo strabico. La premessa è per l’appunto l’espulsione delle
correnti dal momento elettorale – relegate perciò a un ruolo puramente privatistico – sulla base della
considerazione che esse sarebbero causa ultima delle degenerazioni, per ciò stesso definite
correntizie. Ci si chiede se non si operi così una confusione tra correnti e correntismo. La domanda
che ci si pone è insomma quanta parte di tali degenerazioni derivi dal fenomeno correntizio in sé e
quanta sia invece intrinseca alla combinazione tra i caratteri del corpo giudiziario e l’adozione del
meccanismo elettivo.
In tal caso, a meno che non si intenda seguire la strada – ora costituzionalmente preclusa ma
anche contrastante con principi condivisi in altri ordinamenti simili – di abbandonare il meccanismo
elettivo, ci si dovrebbe piuttosto indirizzare verso la neutralizzazione delle logiche di potere
12
OSSERVATORIO COSTITUZIONALE
all’interno delle correnti. A questa controcritica si aggiunge quella di chi, pur ammettendo
l’imperfezione del sistema, ritiene il collegamento tra correnti e momento elettorale una garanzia di
accountability, posto che il divieto di secondo mandato di consiglieri eletti a titolo individuale non
permette una sanzione, che invece opera a livello di corrente laddove tale collegamento sia
consentito36. Peraltro, aggiungo, la relegazione delle correnti alla loro dimensione precipuamente
privatistica potrebbe avere un duplice effetto negativo. Il primo è di completarne la trasformazione,
da organismi che svolgono anche una funzione culturale di riflessione politico-ideale sugli
orientamenti di politica giudiziaria, in organismi spiccatamente corporativi, meri portatori di
interessi di categoria; il secondo è di relegare (ulteriormente) nell’ambito dell’informalità le attività
di influenza delle stesse sulle attività consiliari.
Dunque, la questione che si pone è piuttosto a livello di regolazione o auto-regolazione delle
correnti e di autonomia dei consiglieri nello svolgimento delle rispettive funzioni: in un’ottica più
generale, come sottolineo in conclusione, di deontologia individuale e di gruppo, piuttosto che di
ridefinizione delle coordinate istituzionali di sistema a partire da quelle elettorali. In definitiva, ai
fini di un’opportuna (ri)calibrazione del sistema elettorale dei membri togati, è forse necessaria una
preliminare riflessione di ordine teorico sulle qualità che si ritiene i consiglieri debbano presentare.
A questo riguardo, mi pare che esista tuttora una generale convergenza sul fatto che il sistema
elettorale debba garantire, per riprendere le indicazioni della Commissione Scotti, «pluralità di idee
e di culture» dei candidati e la piena autonomia degli eletti in particolare «dalle eccessive
interferenze di gruppi organizzati», pur nella consapevolezza che il raggio di azione dell’ingegneria
elettorale presenta limiti di cui dobbiamo prendere atto37.
Come che sia, preme qui ricordare come proprio questo ordine di riflessioni abbia portato alcuni
autori a proporre un ritorno al proporzionale. C’è così chi ha sostenuto l’esigenza di «spezzare
impropri “vincoli di mandato”, che darebbero al Csm un’impronta rappresentativa – senza peraltro
un art. 67 Cost. per attenuarla – che esso non deve assumere, a pena di pericolosi slittamenti verso
una politicizzazione in senso deteriore»; ma anche ha ricordato l’importante ruolo sistemico delle
correnti, da non demonizzare38. Si è così identificato un possibile bilanciamento tra sistema
proporzionale, mantenimento del ruolo delle correnti e valorizzazione della personalità di candidati
36
In questo senso Carlo Guarnieri, in E. ANTONUCCI, Sorteggiare il Csm, cit.
COMMISSIONE SCOTTI, Relazione, cit., 21.
38
G. SILVESTRI, Consiglio superiore della magistratura, cit., 28.
37
13
OSSERVATORIO COSTITUZIONALE
anche indipendenti nel ricorso al modello del vecchio sistema elettorale per il Senato. In questa
ottica si propone la divisione del territorio nazionale in quattordici collegi per l’elezione dei
magistrati di merito (riunendo nuovamente giudici e pubblici ministeri), in cui i candidati non
raggruppati in liste si collegherebbero con almeno due candidati in altri collegi al fine di costituire
un gruppo; ciò verrebbe in rilievo nella distribuzione dei seggi effettuata su scala nazionale con il
metodo D’Hondt. Stessa esigenza di bilanciamento era avvertita dalla Commissione Scotti, che
aveva proposto un sistema misto con un primo turno maggioritario su base territoriale e un secondo
turno proporzionale con liste concorrenti in circoscrizione nazionale, secondo una procedura molto
complessa.
Da ultimo, è forse utile ricordare, tra le tante proposte di riforma del sistema elettorale nel corso
degli anni, quella formulata alla metà degli anni ’80, la quale era volta a introdurre, nel quadro
dell’allora esistente sistema della preferenza plurima all’interno di un’unica lista (accusato di
favorire le c.d. «cordate elettorali») la possibilità di esprimere voti di preferenza per candidati
afferenti a liste differenti39. Il c.d. panachage aveva l’obbiettivo di smussare il fenomeno
correntizio, introducendo nel sistema una razionalità di scelta basata sulle qualità personali piuttosto
che sulla appartenenza, pur non essendo esso esente da critiche40.
Rispetto alle riflessioni sulla riforma del sistema elettorale, sembrano rimanere sullo sfondo altre
opzioni. Tra queste, la possibilità di rivedere il rapporto numerico tra componente laica e togata,
che secondo alcuni è necessaria proprio per controbilanciare quei problemi di asimmetria
informativa sopra segnalati e permettere la partecipazione di membri non giudiziari all’attività di
strutture consiliari comunque importanti, come l’ufficio studi e documentazione, in cui invece
hanno un ruolo esclusivo i magistrati. Su questo versante, occorre segnalare che – senza tener conto
L’ipotesi consisteva nell’attribuire all’elettore tre dei dieci voti di preferenza previsti dal sistema in vigore a
candidati inseriti in una o più liste diverse. I voti non sarebbero serviti per l’attribuzione dei seggi a questa o a quella
lista, bensì per la distribuzione dei seggi all’interno delle liste: di qui le critiche in ordine alla scarsa trasparenza del
sistema per la possibilità di manovre elettorali in danno degli avversari o di manovre di scambio, CONSIGLIO SUPERIORE
DELLA MAGISTRATURA, Relazione annuale inedita, p. 167, in cui vedi anche la ricostruzione delle proposte in materia
elettorale (pp. 168-169). Sull’introduzione del panachage, M. BESSONE, Quale riforma per il Consiglio superiore della
magistratura?, in Giur. it., 1985, IV, 66, e O. FUMAGALLI CARULLI, Il ruolo politico-istituzionale del CSM, in Legalità
e giustizia, 1984, 2-3, 223, e ID., Indipendenza, protagonismo ed efficienza nel governo della magistratura, in Legalità
e giustizia, 1985, 3, 1051 s. Con funzione simile, è stato proposto anche il voto singolo trasferibile, da ultimo in N.
ZANON – F. BIONDI, Chi abusa dell’autonomia, cit., p. 669. Il panachage fu riproposto alla fine del decennio successivo
a iniziativa del senatore ulivista E. Fassone con il sostegno del vicepresidente del CSM Grosso.
40
G. FERRI, Magistratura e potere politico, Padova, CEDAM, 2005, p. 43 s., per il quale il panachage può rivelarsi
inefficace, favorendo gruppi di potere all’interno delle liste.
39
14
OSSERVATORIO COSTITUZIONALE
dei progetti già presentati in Assemblea costituente e all’epoca condivisi soprattutto dalle sinistre –
l’idea di un riequilibrio tra le componenti trova anch’essa voce dagli anni ’70, allorché in area
democristiana (e con l’opposizione del Partito comunista) fu proposta la modifica dell’articolo 105
della Costituzione con l’inversione dei rapporti di forza tra le componenti (e la sostituzione anche,
nella veste di membro di diritto, del Procuratore generale con il Ministro della giustizia): tale
proposta, invero radicale, venne tacciata da Costantino Mortati di espressione del «risentimento
della classe politica dirigente per le manifestazioni di indipendenza provenienti dai giudici, specie
dei gradi inferiori».41 Come si ricorderà, la proposta contenuta nella relazione della Commissione
Bozzi si informava a esigenze di riequilibrio, con l’attribuzione di sedici seggi ai togati e quattordici
ai laici42.
In ogni caso, ritengo che i problemi evidenziati dai recenti fatti coinvolgenti membri dell’organo
di governo della magistratura non appaiono facilmente risolvibili a livello di ingegneria elettorale
né attraverso interventi diretti sull’organo di garanzia.
41
C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, II, Padova, CEDAM, 1976, 1290. Sul tema del rapporto tra le
componenti, S. BENVENUTI, Il Consiglio superiore della magistratura, cit., 8-9 e 14-21.
42
In materia di elezione, vale la pena di ricordare qui anche la proposta avanzata da Sabino Cassese di cadenzare
l’elezione del CSM secondo lo schema dei rinnovi parziali, riprendendo suggestioni risalenti. Già negli anni ’70 l’idea
era stata infatti avanzata in area comunista, con lo «sfalsamento dei tempi [di designazione] che sono già stati adottati
per la Corte costituzionale, in modo che il rinnovamento non avvenga integralmente», G. FERRI, Magistratura e potere
politico, cit., 120 s. La Commissione Balboni nel 1996 aveva pure proposto il rinnovo parziale, che però era stato
ritenuto non fattibile dalla Commissione Scotti nel 2016 per ostacoli di merito e costituzionali, COMMISSIONE SCOTTI,
Relazione, cit., 18 s. Da un lato una soluzione del genere permetterebbe di neutralizzare almeno in parte la
politicizzazione dell’elezione dei membri sia togati che laici, dall’altro consentirebbe di dare maggiore continuità
all’organo attraverso il trasferimento progressivo di competenze, specialmente tra i membri laici che maggiormente
soffrono della suddetta asimmetria informativa rispetto agli insider giudiziari. In ogni caso, sarebbe necessaria una
riforma costituzionale. Non è invece chiaro il senso dell’idea avanzata dal Ministero Bonafede di imporre che chi sia
eletto dal Parlamento non abbia ricoperto ruoli politici nei cinque anni precedenti, posto che questo varrebbe a separare
ulteriormente magistratura e politica con il rischio di accentuare lo spostamento al di fuori dell’istituzione di quei
rapporti, dunque del tutto informali, tra membri del CSM e rappresentanti politici che sono anzi all’origine dei problemi
di cui si discute, La riforma della giustizia dopo il caso del CSM: intervista al Ministro della Giustizia Alfonso
Bonafede, in radioradicale.it, 26 giugno 2019.
15
OSSERVATORIO COSTITUZIONALE
4.
Lo status del pubblico ministero, con particolare riguardo alla nomina agli incarichi
direttivi e alla sua organizzazione
È infatti a mio parere fondamentale porre l’accento sul fatto che l’affaire CSM, nel mettere in
discussione l’attività dell’organo di garanzia della magistratura, ha coinvolto un ambito specifico di
tale attività: quella relativa alla nomina agli incarichi direttivi requirenti43, rispetto alla quale si
prefigurano presunte influenze informali e politicizzazione. A essere in causa è, indirettamente, lo
status del pubblico ministero.
Vale la pena di sottolineare che non si tratta di un caso. La cronaca politico-giudiziaria indica
che l’attività requirente esprime un tasso di politicità assai alto per la capacità di fatto di incidere
sulla dimensione della responsabilità politica degli organi rappresentativi e sulla vita degli organi
esecutivi. Questo deriva in primis dai poteri riconosciuti in capo al pubblico ministero, ma in parte
anche dalla contiguità di status tra questo e la magistratura giudicante, specialmente con riguardo
all’assottigliamento dei canali di collegamento con l’ambiente esterno (i quali però si sono appunto
ricostituiti a livello informale, come i recenti fatti indicano)44.
Tale contiguità solleva da tempo interrogativi e del resto l’idea di una differenziazione,
implicante forme di più diretto collegamento tra l’organizzazione del pubblico ministero e la
comunità sociale e politica, caratterizzava come noto entrambi i progetti dei relatori Leone e
Lo rilevano giustamente N. ZANON – F. BIONDI, Chi abusa dell’autonomia, cit., p. 667. Più specificamente, nei
fatti in esame rilevano due problemi: da un lato quella delle influenze informali sulle nomine agli uffici direttivi, le
quali sono consentite anche dalla discrezionalità di cui gode il CSM nell’effettuare tali nomine (ma il discorso potrebbe
essere esteso a tutte le nomine giudiziarie); dall’altro, i ritardi in alcuni conferimenti – all’epoca dei fatti, alcuni uffici
erano vacanti dal 2018 –, tanto che una delle prime iniziative del nuovo presidente della V commissione del CSM,
subentrato alla fine di giugno a uno dei componenti dimissionari, è consistita nell’imporre la regola del criterio
cronologico nell’effettuazione delle nomine.
44
L’ambiguità dello status costituzionale del pubblico ministero è problema ben noto. Da essa deriva una
«obbiettiva incertezza dell’inquadramento sistematico» (M. BIGNAMI, L’indipendenza interna del pubblico ministero, in
Questione giustizia, 2018, 1) che non riguarda solo gli aspetti sostanziali di merito, ma coinvolge la stessa collocazione
della materia nel sistema delle fonti. Come efficacemente sintetizza F. DAL CANTO, Le trasformazioni della legge
sull’ordinamento giudiziario, cit., p. 681, si oppongono infatti due prospettive: «se [al Pubblico ministero] devono
essere riconosciute garanzie di indipendenza analoghe a quelle dei giudici, principalmente fondate sul principio
dell’obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.) e sulla distinzione dei magistrati soltanto per funzioni (art. 104,
comma 3 Cost), o se, al contrario, è da preferire la tesi della decostituzionalizzazione, totale o parziale, della materia
riguardante tale figura di magistrato, muovendo in particolare dall’art. 107, comma 4, Cost., a mente del quale “il
pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario”». V. anche
IDEM, Lezioni di ordinamento giudiziario, cit., 181 ss., dove l’A. riconosce al pubblico ministero una specificità che
ammette una differenziazione sul piano dell’indipendenza interna, non però su quello dell’indipendenza esterna.
43
16
OSSERVATORIO COSTITUZIONALE
Calamandrei in Assemblea costituente45. A distanza di anni, al termine di una disamina storicocomparativa, c’è chi rilevava in tempi non sospetti che «[l]a unificazione costituzionale di tutti i
magistrati, giudicanti e p.m., se vale ad indicare un superamento dell’intrusione del potere esecutivo
nell’ordine giudiziario, apre tuttavia il problema di un adeguato raccordo tra l’ordine giudiziario e
gli altri poteri dello Stato»46. In breve, lo status del pubblico ministero non è una questione
riducibile alle contingenze politiche dell’oggi, ma ha a tutti gli effetti una valenza sistemica e perciò
si presta a una riflessione che, curiosamente, non è stata stimolata in questo frangente.
Non è certo possibile in questa sede affrontare in maniera esaustiva tale delicato tema, che ha
prodotto negli anni ipotesi di riformulazione istituzionale di sistema, incluse la separazione delle
carriere47 e la creazione di un organo di amministrazione distinto o di un CSM a geometria variabile
sul modello francese48, nonché la previsione di forme di collegamento istituzionale o funzionale con
gli organi legislativi, quelli esecutivi o con la società49. Vorrei qui solo accennare in maniera
puntuale a due profili che mi paiono meritevoli di attenzione nell’attuale frangente.
Il primo riguarda più direttamente la nomina dei procuratori capo, che come detto risulta
sottoposta a influenze e forme di politicizzazione di tipo informale da cui, mi pare, può derivare
un’esigenza di riconsiderazione delle relative procedure. Il secondo profilo non è slegato dal primo,
essendone anzi forse in larga parte causa. Esso riguarda infatti la politicità di dette nomine quale
riflesso della natura della funzione requirente, alla cui discrezionalità si accompagna scarsa
accountability sugli indirizzi di politica giudiziaria, e in definitiva limitata intellegibilità delle scelte
di priorità (e dei tempi) nell’esercizio della funzione medesima. Questo porta a guardare ai profili
funzionali dell’organizzazione interna delle procure e dei rapporti tra procure da cui molto
dipendono, in definitiva, le questioni dell’odierno “affaire” CSM.
45
Nicolò Zanon ricorda peraltro come in parte queste esigenze di collegamento fossero sollevate in Assemblea
costituente sulla base del presupposto del conservatorismo della magistratura requirente rispetto a «una classe politica
molto ‘avanzata’ ed aperta ai valori costituzionali e democratici’», N. ZANON, Pubblico ministero e Costituzione,
Padova, CEDAM, 1996, p. 166 s.
46
F. CASAVOLA, Profilo storico comparativo del Pubblico Ministero, in Diritto e Giurisprudenza, 1978, 1, 64 s.
47
Passi in questa direzione sono stati fatti con la riforma dell’ordinamento giudiziario del 2005-2006, poi ritoccata
nel 2007.
48
Come noto, questa possibilità è stata discussa in sede di Commissione parlamentare per le riforme costituzionali
(“Bicamerale”) del 1997.
49
Per alcune di queste ipotesi, si rimanda all’indagine approfondita di N. ZANON, Pubblico ministero e Costituzione,
cit., p. 157-260 e a C. GUARNIERI, Pubblico ministero e sistema politico, cit., pp.27-46.
17
OSSERVATORIO COSTITUZIONALE
Singolarmente, alle modalità di conferimento degli incarichi direttivi (requirenti) non è stata
prestata particolare attenzione nelle riflessioni che sono seguite alle vicende che hanno coinvolto
l’organo di garanzia della magistratura, forsanche per il carattere consolidato del quadro
costituzionale50 e per il fatto che ciò andrebbe a incidere sul corpo giudicante in ragione della natura
unitaria della magistratura.
Ciò contribuisce a spiegare perché gli interventi siano stati sinora solo di natura sub-legislativa, a
opera del Consiglio superiore. L’organo di garanzia della magistratura ha assunto negli anni scorsi
iniziative mirate a rafforzare la pubblicità e la trasparenza dei processi di nomina agli incarichi
direttivi, al fine di disincentivare accordi correntizi nascosti. Il nuovo regolamento interno
approvato il 26 settembre 201651 ha così ampliato la possibilità di pubblicità delle sedute della V
Commissione, competente per il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi (articolo 29), e
ha imposto la pubblicazione, «senza indugio», dei resoconti delle sedute della medesima
commissione (ai suoi articoli 30 e 37). Ispirandosi ai medesimi principi, in via più generale il nuovo
regolamento ha inoltre limitato la possibilità di effettuare nomine c.d. a pacchetto, che favoriscono
dinamiche spartitorie, prevedendo la possibilità di presentare proposte motivate alternative a quelle
della Commissione competente e introducendo la regola del voto separato per ciascun candidato
(articolo 38).
Mi chiedo tuttavia se non sia opportuno riflettere sulla possibilità di circoscrivere la
discrezionalità del CSM dall’esterno, per così dire, superando forme di auto-limitazione. Come è
noto, il conferimento degli uffici direttivi ha determinato storicamente controversie importanti che
hanno contrapposto il CSM al Ministro della giustizia. Queste sono state risolte dalla Corte
costituzionale nel 1990 (in una decisione relativa a un ufficio giudicante) attraverso un
orientamento giurisprudenziale reiterato nel 2003 (in una decisione riguardante a sua volta un
ufficio requirente)52 in giudizi di conflitto tra poteri dello Stato53. In base all’orientamento della
N. ZANON – F. BIONDI, Chi abusa dell’autonomia, cit., p. 670.
Regolamento interno del CSM approvato in data 26 settembre 2016 e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale – serie
generale, 7 ottobre 2016.
52
Sentenza n. 379 del 9 luglio 1992 e sentenza n. 380 del 18 dicembre 2003.
53
In Assemblea costituente non si era mancato di discutere della nomina dei vertici giudiziari, con proposte che
prefiguravano l’elezione dei capi delle corti d’appello ad opera dei magistrati del distretto (soluzione che viene
periodicamente riproposta, v. ad esempio T. E. FROSINI, I confini costituzionali del Csm e la riforma del sistema
giustizia, in Federalismi, 2008, 14, p. 4 s.) o piuttosto l’elezione di questi da parte del CSM, con designazione
presidenziale del primo presidente della Corte di cassazione e del Procuratore generale, su indicazione del Consiglio dei
ministri o del Parlamento (P. CALAMANDREI e G. LEONE, Ass. Cost., II sottocommissione, seconda sezione (potere
50
51
18
OSSERVATORIO COSTITUZIONALE
giurisprudenza costituzionale, il conferimento avviene sì a seguito di una concertazione
istituzionalizzata tra il Ministro e la commissione competente del CSM, secondo quanto previsto
dall’articolo 11,3 della legge n. 195 del 1958, la quale configura un dialogo sostanziale ispirato al
principio di leale cooperazione e non una mera funzione consultiva da parte del primo;
conformemente all’articolo 105 della Costituzione, l’ultima parola è però riconosciuta al CSM54.
A tale riguardo, non è peregrino ricordare che la nomina agli incarichi direttivi (in un’ottica
generale, sia per le funzioni requirenti che per quelle giudicanti) era stata oggetto di riflessione da
parte di un gruppo di lavoro ASTRID istituito successivamente alla riforma del 2006, la quale
aveva normato l’acquisizione del parere del consiglio giudiziario nell’ambito di una procedura
concorsuale per titoli55. Nel rapporto ASTRID si affermava in linea generale (con riferimento, come
detto, a tutti gli incarichi direttivi) l’esigenza di riconoscere il ruolo del Ministro «per il necessario
raccordo con le sue attribuzioni costituzionali in materia di servizi», proponendosi sì la conferma
dei caratteri del concerto quali sono stati determinati dalla giurisprudenza costituzionale, ma con
una specificazione legislativa dei parametri di valutazione al fine di limitare l’ambito di
discrezionalità del Consiglio56.
Da parte mia, vorrei un po’ provocatoriamente avanzare l’ipotesi se non possa pensarsi
all’opportunità di riconsiderare le caratteristiche di questa procedura limitatamente alle nomine agli
incarichi direttivi requirenti: ad esempio, individuando un processo co-decisionale in cui il CSM
giudiziario), 10 gennaio 1947, p. 110 s.). Alla fine si decise di rinviare la scelta al legislatore ordinario, entro il quadro
definito dall’articolo 105 e dall’articolo 107,3. L’articolo 11,3 della legge istitutiva del CSM previde dunque solo la
procedura del concerto con il Ministro, che la giurisprudenza avrebbe poi specificato nei termini del vincolo di metodo
e non di risultato.
54
Tale dialogo istituzionalizzato costituisce un canale di comunicazione con l’esecutivo che certo si giustifica in
ragione dei poteri del Ministro della giustizia ex articolo 110 della Costituzione, ma che, in un’ottica di sistema, è
parallelo a quello che si realizza in seno al CSM nelle dinamiche decisionali ordinarie, che coinvolgono membri di
elezione parlamentare accanto a quelli di estrazione giudiziaria. A fronte della previsione costituzionale e legislativa di
detti canali, sarebbero ovviamente da censurare forme di interazione informale tra magistratura e politica al di fuori
degli stessi, secondo una prassi che il recente scandalo ha evidenziato, ma che non è in realtà nuova né sconosciuta.
55
N. DI GRAZIA, La dirigenza degli uffici, in E. ALBAMONTE – P. FILIPPI (a cura di), Ordinamento giudiziario, cit.,
626.
56
E. PACIOTTI (a cura di), Per un nuovo ordinamento giudiziario, cit., 174. Sono da segnalare qui alcune riflessioni
fatte oggi negli ambienti ministeriali, le quali prefigurano criteri di valutazione delle esperienze professionali, ma di tipo
quantitativo, con sistema a punti e graduatorie, per l’assegnazione degli incarichi (Magistratura, il ministero studia un
nuovo sistema per le nomine al Csm: punteggio per ogni risultato ottenuto, in Il Fatto Quotidiano, 12 giugno 2019;
L’esistenza di questa idea è richiamata in N. ZANON – F. BIONDI, Chi abusa dell’autonomia, cit., p. 670.). L’idea di una
valutazione quantitativa sacrifica però alle esigenze della trasparenza, dell’obbiettività e della prevedibilità, la effettiva
rispondenza delle nomine alle qualità specificamente richieste nella conduzione di un ufficio, con inevitabili rischi di
burocratizzazione e, in prospettiva, di inefficienza.
19
OSSERVATORIO COSTITUZIONALE
non sia più dominus incontrastato. Mi chiedo insomma se non sia opportuno, da un lato,
differenziare le modalità di nomina agli uffici direttivi requirenti, istituzionalizzandone dall’altro un
più palese collegamento con l’ambiente politico al fine di rafforzarne la legittimazione, ma anche di
rendere il processo di nomina più trasparente (ponendolo al di fuori del solo organo di garanzia).
Una possibilità consiste nell’attribuire al Ministro della giustizia un ruolo più incisivo nella
procedura di conferimento degli incarichi direttivi requirenti, attraverso la previsione di un sistema
ispirato a quello della “doppia chiave” (double clef). Tale sistema vige in Francia per la nomina dei
magistrati giudicanti e prevede lì due possibilità: la proposta da parte del CSM al Ministro per le
nomine a giudice di cassazione, primo presidente di corte d’appello e di presidente dei tribunali di
grande istanza; il parere conforme del CSM sulla proposta del Ministro per tutte le altre nomine. In
particolare, nella versione della proposta proveniente dal CSM57 il sistema è in Francia ritenuto
funzionale alle esigenze di indipendenza, la quale è declinata per così dire dinamicamente, essendo
il frutto di un’interazione tra organi diversamente legittimati; tale interazione implicherebbe tra
l’altro una maggiore pubblicità e trasparenza, che verrebbero in evidenza soprattutto per gli
incarichi più importanti. Si devierebbe in tal modo dalla prevalente concezione “statica” che tende
ad appiattire l’indipendenza al mero esercizio di funzioni di nomina da parte di una sola autorità
non politica, ma in cui è determinante l’apporto della componente giudiziaria58.
Si tratta, più che di una proposta, di spunti di riflessione59: un congegno simile non sarebbe
infatti scevro da inconvenienti, se non pericoli, nel contesto italiano. Tralasciando la necessità di
interventi di modifica costituzionale in considerazione della consolidata giurisprudenza
costituzionale, non si possono escludere rischi di conflittualità tra CSM e Ministro della giustizia,
con conseguente stallo delle nomine60, o l’inefficacia del meccanismo della doppia chiave laddove
la prassi prefigurasse un mero adeguamento di Ministri deboli (e dominati dall’apparato
Con riguardo alle nomine derivanti da proposte del Ministro, quest’ultimo esercita infatti un’influenza
determinante attraverso al Direction des services judiciaires, tecnostruttura a sua volta composta principalmente da
magistrati, la quale è l’attore realmente centrale poiché è deputata alla preparazione e alla selezione dei dossier dei
candidati.
58
S. BENVENUTI, Judicial independence and judicial administration in Europe. A socio-legal perspective, Relazione
presentata alla Conferenza inaugurale della sezione italiana dell'International Society of Public Law (ICON-S), Roma,
23-24 novembre 2018.
59
Seguendo riflessioni già operate nei decenni scorsi, sarebbe possibile pensare ad altre forme di collegamento del
pubblico ministero con l’ambiente politico.
60
Seppure il sistema attualmente in vigore non sia stato in grado di garantire la speditezza delle nomine, proprio per
la prassi di procedere a nomine a pacchetto in un’ottica spartitoria tra le correnti.
57
20
OSSERVATORIO COSTITUZIONALE
ministeriale amministrativo-giudiziario) alle indicazioni del CSM. Almeno in linea teorica, esso non
mi pare tuttavia suscettibile di ingenerare forme di politicizzazione (comunque già ora presenti,
seppure di natura informale) né di intaccare l’indipendenza del sistema giudiziario, proprio perché il
processo co-decisionale non configura la subordinazione delle nomine al potere politico, secondo lo
schema invece vigente, per i procuratori, in Francia61.
Questo conduce al secondo profilo, che riguarda i riflessi della funzione requirente sulla
dimensione organizzativo-funzionale del pubblico ministero. Una problematica irrisolta della
funzione requirente consiste nel fatto che essa è caratterizzata da elevata discrezionalità62, senza che
però a questa corrispondano chiare linee di responsabilità-accountability. Sotto questo profilo,
vengono in evidenza diversi aspetti: l’organizzazione interna delle singole procure, i rapporti tra le
procure e i poteri dei ventisei procuratori generali presso le corti d’appello, il loro inquadramento
entro la struttura generale del Pubblico ministero, con particolare riguardo alla posizione del
Procuratore generale della Corte di cassazione.
Come è noto, il d.lgs n. 106 del 20 febbraio 2006, così come modificato dalla legge n. 269 del 24
ottobre 2006 (poi soggetto alle interpretazioni per mezzo di circolari del CSM che ne hanno
ulteriormente attenuato la portata63), ha reintrodotto forme di gerarchizzazione interna agli uffici
delle procure e, in parte, tra singoli uffici e Procure generali presso le corti d’appello64. Ciò
rispondeva da un lato all’esigenza di dare maggiore coerenza alle iniziative requirenti, eliminando
elementi di schizofrenia in nome, tra l’altro, del principio costituzionale del buon andamento
dell’ufficio; dall’altro mirava alla responsabilizzazione del dirigente «rispetto ai risultati e alle
modalità di esercizio dell’azione penale»65. Senza riuscire a eliminare i dissidi interni alle procure,
61
Sul Pubblico ministero in Francia, si veda R. GELLI, Il Pubblico Ministero in Francia, in A.A. CERVATI – M.
VOLPI (a cura di), Magistratura e Consiglio superiore in Francia e in Italia, Torino, Giappichelli, 2010, pp. 121- 132.
Peraltro, sull’ipotesi di collegare Ministro e PM, ma attraverso la mera attribuzione del potere di nomina al Ministro
(considerata inopportuna e problematica ma non completamente in contrasto con il principio di indipendenza della
magistratura), si veda l’analisi di N. ZANON, Pubblico ministero e Costituzione, cit., 171 ss.
62
M. FABRI, Discrezionalità e modalità di azione del pubblico ministero nel procedimento penale, in Polis, 1997, 2,
pp. 171-192. Sul punto, anche C. GUARNIERI, Pubblico ministero e sistema politico, cit., pp. 32 e 37, F. DAL CANTO,
Lezioni di ordinamento giudiziario, Torino, Giappichelli, 2018, pp. 199-201 e N. ZANÒN – F. BIONDI, Il sistema
costituzionale della magistratura, Bologna, Zanichelli, 2011, p. 176.
63
F. DAL CANTO, Lezioni di ordinamento giudiziario, cit., pp. 192-194.
64
F. DAL CANTO, Lezioni di ordinamento giudiziario, cit., pp. 194-196.
65
B. DEIDDA – M. GUGLIELMI, Doveri e responsabilità del pubblico ministero “organo di giustizia, promotore di
diritti”, in Questione Giustizia, 2014, 4. S. LEONE, L’ufficio del pubblico ministero tra gerarchia e impersonalità: simul
stabunt simul cadent?, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, pp. 554-557; F. DAL CANTO, Le trasformazioni della legge
sull’ordinamento giudiziario e il modello italiano di magistrato, in Quaderni costituzionali, 2017, 3, p. 682. In tema di
21
OSSERVATORIO COSTITUZIONALE
si è finito in realtà per spostare almeno teoricamente il problema verso l’alto – i capi degli uffici –,
accentuando la tensione tra i poteri di cui questi dispongono66 e l’assenza di vincoli di
responsabilità verso la comunità sociale e politica67. Ciò contribuisce a rendere ancor più sensibile,
dal punto di vista politico, la figura del procuratore capo; inoltre se da un lato rende più trasparente
la responsabilità di scelte che l’attività requirente necessariamente implica, non scioglie però il
nodo della loro legittimazione democratica. Il problema – come assai bene è stato detto – «non è
tanto in sé il fatto di privilegiare l’uno piuttosto che l’altro procedimento, quanto [la] mancanza di
programmazione, di obbiettività, di trasparenza e di uniformità nell’esercizio, che rischia
costantemente di diventare arbitrio»68, a cui aggiungerei la mancanza di accountability.
In definitiva, la questione a fondo sceverata dalla dottrina, quella della determinazione dei criteri
di priorità nell’esercizio dell’attività requirente, rimane tutta interna alla magistratura. Oltre a
esservi un ormai diffuso accordo sul fatto che il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale
comporti scelte di priorità (laddove inizialmente si disconosceva che esse venissero effettivamente
operate), è la prassi stessa ad ammetterle. Ciò è avvenuto anzitutto per iniziativa di singoli dirigenti,
come nel caso delle note circolari Zagrebelsky (1990) e Maddalena (2007), con cui i due
procuratori della Repubblica, di fronte a un forte carico giudiziario, avevano delineato criteri di
priorità di trattamento, in un caso, e indicazioni per l’“accantonamento” di talune categorie di
procedimenti, nell’altro69. Il CSM non solo ha riconosciuto la legittimità della determinazione dei
responsabilizzazione dell’attività requirente, si possono menzionare diversi casi, ad esempio le dispendiose e infruttuose
inchieste condotte a Trani su possibili complotti delle agenzie di rating, frutto di esposti di associazioni dei
consumatori. Sul punto, si veda anche G. Di Federico, Ordinamento giudiziario. Uffici giudiziari, CSM e governo della
magistratura, Padova, CEDAM, 2012, p. 341 s.,
66
Inclusi, ad esempio, l’assicurazione del «corretto, puntuale e uniforme esercizio dell'azione penale e il rispetto
delle norme sul giusto processo da parte del suo ufficio» (art. 1.2 d.lgs n. 106 del 20 febbraio 2006), la determinazione
dei criteri di assegnazione procedimenti (art. 1.6[b-c]), il potere di revoca (art. 2.2). Entro tale quadro, il procuratore
generale presso la corte d’appello ha il potere di verificare il corretto e uniforme esercizio dell’azione penale e
dell’esercizio da parte dei procuratori della Repubblica dei poteri di direzione, controllo e organizzazione degli uffici,
potendo anche acquisire dati e notizie dalle procure della Repubblica del distretto e inviando al Procuratore generale
presso la Corte di cassazione una relazione annuale (art. 6). Tuttavia, la dottrina ha inquadrato i poteri del Procuratore
generale non in un’ottica gerarchica, bensì funzionale all’esercizio della funzione disciplinare da parte del Procuratore
generale della Corte di cassazione, N. ZANÒN – F. BIONDI, Il sistema costituzionale della magistratura cit. p. 185.
Anche Ma anche se così non fosse, permarrebbero in ogni caso problemi di carente accountability democratica dei
procuratori generali e della struttura del pubblico ministero nel suo insieme.
67
C. GUARNIERI, Pubblico ministero e sistema politico, cit., pp. 32 e 37.
68
V. PACILEO, Pubblico ministero. Ruolo e funzioni nel processo penale e civile, Torino, UTET, 2011, p. 207.
69
N. ZANON – F. BIONDI, Il sistema costituzionale della magistratura, cit. 2011, p. 177, F. DAL CANTO, Lezioni di
ordinamento giudiziario, cit., p. 200, e V. PACILEO, Pubblico ministero, cit., p. 209.
22
OSSERVATORIO COSTITUZIONALE
criteri di priorità70, ma a ben vedere ne è stato storicamente il promotore, se si pensa che già alla
fine degli anni ‘70 aveva suggerito forme di programmazione del lavoro tali da «consentire […] la
trattazione sollecita dei processi più gravi, intesi anche con riferimento alla tutela giurisdizionale
dei beni collettivi»71. Permangono, nel quadro così delineato, due ordini di problemi parimenti
importanti. Il primo riguarda la titolarità della competenza a determinare i criteri di priorità, che il
CSM, facendo ricorso a poteri paranormativi, ha assegnato ai procuratori. Oltre al fatto di
determinare il rischio di frammentazione territoriale degli orientamenti di politica giudiziaria, si
lamenta però la carente legittimazione democratica del procuratore capo. Ne derivano quelle
proposte de jure condendo che tentano un collegamento tra l’attività di definizione delle priorità e
gli organi esecutivi (il Ministro della giustizia) o legislativi.72 La formalizzazione di un ruolo del
CSM (che si è peraltro esso stesso chiamato fuori73) incontrerebbe invece ostacoli di natura
costituzionale senza risolvere la questione della legittimazione democratica delle scelte74.
La dottrina mostra favore per l’ipotesi parlamentare, con definizione dei criteri di priorità per via
legislativa75. Soprattutto nel caso si utilizzasse lo strumento legislativo, ciò consentirebbe forme di
garanzia e di pubblicità che non sarebbero soddisfatte qualora fosse, per dire, il Ministro a fissare
gli indirizzi di politica requirente. Oltre alle considerazioni di merito, è stato segnalato che il
70
È il caso di una decisione della sezione disciplinare del 20 giugno 1997 e della delibera del 17 maggio 2007 che
avallava la circolare “Maddalena”, fornendone una interpretazione costituzionalmente conforme, N. Zanòn – F. Biondi,
Il sistema costituzionale della magistratura, cit., p. 176 e s.
71
V. PACILEO, Pubblico ministero, cit., p. 209.
72
Sul tema, non può che rimandarsi alla classica e ampia analisi di N. ZANON, Pubblico ministero e Costituzione,
cit., 174-262.
73
V. PACILEO, Pubblico ministero, cit., p. 220.
74
Su questi aspetti V. PACILEO, Pubblico ministero, cit., pp. 215-2018. Una quarta ipotesi prevede la riforma
organica del Pubblico ministero con l’assegnazione di una funzione specifica al Procuratore generale. Si
giustificherebbe in questa prospettiva un intervento organico che andasse a toccare la struttura d’insieme del Pubblico
ministero, anche ridefinendo la posizione del Procuratore generale sia all’interno che nella sua proiezione esterna ai fini
di un collegamento con la comunità sociale e politica, su cui si rimanda all’analisi di N. ZANON, Pubblico ministero e
Costituzione, cit., 164 ss. Vale la pena ricordare una recente proposta di Luciano Violante che risolve il problema non
tanto in termini di competenza, quanto piuttosto di processo dinamico che coinvolgerebbe presidenti di Corte d’appello
e Procuratori generali con funzione di determinazione dei criteri, il CSM con funzione di vaglio, le commissioni
giustizia di Camera e Senato con funzione consultiva e successivamente di controllo, e il Ministro della giustizia con
funzione di controllo. Mi pare che, se lo schema dialogico è in linea di principio auspicabile, l’intervento di molteplici
autorità così impostato rende macchinoso il sistema e contribuisce a diluire le linee di accountability, perlomeno nella
percezione generale. Per i dettagli di questa proposta, L. VIOLANTE, Magistrati, Torino, Einaudi, 2009, pp. 173 s.
75
N. ZANON – F. BIONDI, Il sistema costituzionale della magistratura p. 178, V. PACILEO, Pubblico ministero, cit.,
p. 217. È invece criticata la possibilità di attribuire tale potere al Ministro della giustizia, attraverso direttive, per via del
più legame dello stesso con la maggioranza parlamentare di governo e l’inefficacia del meccanismo di responsabilità
politica, che tra le altre cose dovrebbe coinvolgere l’intero Governo, stante il limitato utilizzo dell’istituto della sfiducia
individuale al singolo ministro e le conseguenze che la stessa, qualora approvata, comporterebbe sull’intera compagine
governativa.
23
OSSERVATORIO COSTITUZIONALE
Parlamento ha già determinato per via legislativa criteri di priorità nella trattazione dei
procedimenti, seppur non direttamente con riferimento al Pubblico ministero76. Inoltre, non mi pare
necessario un intervento di natura costituzionale sull’articolo 112 che specificasse l’obbligo di
esercitare l’azione penale «secondo i criteri stabiliti dalla legge», come previsto in alcuni progetti di
revisione costituzionale77.
Il secondo problema è come rendere effettive le priorità nella loro attuazione pratica. Si
osserverà ad esempio che i criteri di priorità nel trattamento dei procedimenti sopra richiamati
abbiano ricevuto un basso grado di osservanza da parte degli uffici giudiziari78. Per quanto riguarda
il pubblico ministero, nonostante le tendenze verso la gerarchizzazione evidenziate dalla riforma
dell’ordinamento giudiziario del decennio scorso, l’osservanza dei criteri di priorità si scontra con il
carattere diffuso del potere giudiziario (e dunque anche del pubblico ministero)79. Il principio
dell’orizzontalità tra gli uffici e quello di autonomia del singolo procuratore ha fatto parlare studiosi
attenti dell’ordinamento giudiziario di «monadi giudiziarie» e «atomismo diffuso» in riferimento
all’organizzazione del Pubblico ministero80. Anche questo farebbe propendere per la soluzione che
sia il Parlamento per via legislativa, e non un altro organo (ad esempio il Ministro della giustizia) a
determinare i criteri, pur permanendo un’esigenza di controllo effettivo della prassi81.
Comunque questa è la sede non già per puntuali proposte di riforma, ma piuttosto per indicare
principi. Basti dunque ribadire che l’affaire CSM solleva l’esigenza di responsabilizzare l’attività
requirente, la quale deve allo stesso tempo prendere forma in un quadro di garanzia, non essendo
concepibile un ritorno al passato della dipendenza del Pubblico ministero dall’esecutivo: si tratta
dunque di invocare non già una mera responsabilizzazione politica del Pubblico ministero, ma
76
N. ZANON – F. BIONDI, Il sistema costituzionale della magistratura, cit. 2011, p. 178 s., F. DAL CANTO, Lezioni di
ordinamento giudiziario, cit., p. 200, e V. PACILEO, Pubblico ministero, cit., p. 219 s..
77
N. ZANON – F. BIONDI, Il sistema costituzionale della magistratura, cit. 2011, p. 178. Ricordo che Calamandrei in
sede costituente aveva proposto l’inserimento di una formula simile («in conformità della legge»), soluzione che venne
poi scartata, Ass. Cost., II sottocommissione, seconda sezione (potere giudiziario), 10 gennaio 1947, p. 104. In un’ottica
più generale e a monte, sarebbe poi opportuno ricorrere a «strumenti deflattivi dell’azione penale» (V. PACILEO,
Pubblico ministero, cit., pp. 210 e 218) e in particolare alla depenalizzazione, nel senso di sollevare la giustizia penale
dalla responsabilità primaria di risolvere una varietà di problemi di ordine sociale e politico: Seppure debba riconoscersi
realisticamente che il quadro delle forze politiche attuali – sia a destra che a sinistra – non sembra granché favorevole a
questa prospettiva…
78
V. PACILEO, Pubblico ministero, cit., p. 219.
79
N. ZANON – F. BIONDI, Il sistema costituzionale della magistratura cit. p. 178.
80
N. ZANON – F. BIONDI, Il sistema costituzionale della magistratura cit. p. 186.
81
Così, le responsabilità potrebbero farsi valere in sede disciplinare e di valutazione, ma non si può dimenticare che
entrambi sono strumenti di accountability generalmente considerati inefficienti.
24
OSSERVATORIO COSTITUZIONALE
piuttosto il suo mantenimento «nel complesso del potere giudiziario», conformemente del resto alla
stabile giurisprudenza costituzionale.
5.
Guardando oltre: deontologia giudiziaria, identità professionale e apertura del corpo
giudiziario
A mo’ di conclusione, sia consentito l’inquadramento dell’affaire CSM nel contesto più
generale, oltre gli aspetti puntuali che esso solleva. In definitiva, il funzionamento del sistema
giudiziario è infatti condizionato non soltanto dalle norme giuridiche e dalle istituzioni che trovano
una regolamentazione costituzionale, legislativa o regolamentare. Esso è bensì il frutto di elementi
immateriali quali la cultura giudiziaria e l’identità professionale del magistrato, che pure da tali
norme e istituzioni sono in parte determinati: il c.d. “behavior management”, che è appunto spesso
considerato avere rilievo interno. In una prospettiva più ampia, culturale, l’affaire CSM porta a
riconsiderare più ampiamente i caratteri della magistratura italiana. Se correttivi immediati sono
possibili e forse necessari, nondimeno uno sguardo di più lungo periodo non dovrebbe mancare,
anche al fine di evitare interventi dettati dall’urgenza del dibattito politico e non ispirati a una
approfondita considerazione dei problemi della magistratura italiana.
Per concludere, mi pare utile indicare tre direttrici che in tale prospettiva sono suscettibili di
riflessione. La prima direttrice è quella della professionalità. Sul punto, si apre la vexata quaestio
delle attività che si pongono a monte di ogni processo di nomina e in particolare dell’attività di
valutazione della professionalità. Si tratta di un problema enorme, sul quale un giurista attento
all’ordinamento giudiziario non ha mai smesso di richiamare l’attenzione82. Va detto che il nodo
della valutazione professionale, oltre a essere ben noto, varca i confini dell’ordinamento italiano; in
Francia – il cui ordinamento è comparabile tanto per alcune caratteristiche organizzative di fondo
quanto per il contesto fattuale a partire dalle dimensioni stesse del corpo giudiziario – sono ad
82
Da ultimo, segnalo l’intervento del Professore emerito al 41° Congresso del Partito Radicale Nonviolento,
Transnazionale e Transpartito, nella giornata di sabato 6 luglio 2019, reperibile sul sito www.radioradicale.it, che in tale
occasione pure ricorda come dai documenti del CSM sia sparito ogni riferimento alle promozioni, pur
costituzionalmente previste. Sul tema delle valutazioni di professionalità, si vedano G. DI FEDERICO, Ordinamento
giudiziario, cit., 238 ss., e P. FILIPPI, La valutazione di professionalità, in E. ALBAMONTE – P. FILIPPI (a cura di),
Ordinamento giudiziario, cit., 351-404.
25
OSSERVATORIO COSTITUZIONALE
esempio molti gli interrogativi che si pongono sulla possibilità di effettuare validi controlli della
professionalità e sulla compatibilità degli stessi con l’indipendenza. A tale riguardo, se, come si
suggerisce da tempo83, occorre che nomine e trasferimenti siano operati sulla base di considerazioni
di merito e non in funzione di collegamenti correntizi grazie all’ampia discrezionalità consentita
dalla prassi della promozione senza demerito84, è proprio un’esperienza come quella francese a
ricordarci che il tema della professionalità non va messo unicamente in relazione a quello che
rappresenta solo un passaggio nella costruzione della stessa, appunto la valutazione. Detto
passaggio è da un lato conclusivo del processo di costruzione della professionalità, dall’altro opera
unicamente nella forma di una sanzione positiva o negativa. Senza sminuire l’importanza della
valutazione (ma ricordando le difficoltà concrete di renderla efficace) occorre mettere in rilievo che
la professionalità è per l’appunto anzitutto (il risultato di) un processo: un processo che coinvolge in
primis la fase del reclutamento e successivamente si concretizza in una dinamica edificazione
dell’identità professionale (e più ampiamente culturale) del magistrato. Se in Italia, ancora una
volta, questo ruolo di formazione dell’identità professionale è svolto primariamente
dall’associazionismo giudiziario e in seno alle istituzioni giudiziarie, in altri ordinamenti esso si
realizza invece attraverso una maggiore apertura verso l’esterno.
In connessione a quanto ora espresso, la seconda direttrice è quella deontologica, posto che
l’affaire CSM pone il tema della deontologia del magistrato. Per usare le parole di Cesare Mirabelli,
già vicepresidente del CSM negli anni caldi della presidenza Cossiga, in definitiva nessuna riforma,
a partire da quella del sistema elettorale, può infatti sostituire il necessario «sforzo culturale»; in
tale quadro, la deontologia costituisce un canale (che dovrebbe essere) privilegiato per allentare «il
rapporto bidirezionale […] tra i magistrati e la politica […] sia nei rapporti personali che
nell’esercizio delle funzioni»85. Anche su questo tema, va detto, sono poche le voci che hanno
evidenziato l’esigenza di porvi l’attenzione, nonostante lo stesso Capo dello Stato nel plenum
straordinario del 21 giugno, dopo aver evocato i «doveri basilari dell’ordine giudiziario» e
l’esercizio delle funzioni con «disciplina, onore e disinteresse, personale e di gruppo», abbia
83
G. DI FEDERICO, Statuto, carriera e indipendenza dei magistrati ordinari in Italia, in Rivista Trimestrale di
Diritto e Procedura Civile, 1973, 4, 1577-1594. Di Federico ha reiterato questa posizione in E. ANTONUCCI,
Sorteggiare il Csm, cit.
84
G. SILVESTRI, Giustizia e giudici, cit., 162-169; C. GUARNIERI, Judicial Independence in Europe: Threat or
Resource for Democracy, in Representation, 2013, 3, 350.
85
Così Cesare Mirabelli in S. DE MARTIS, Caos sul Csm. Mirabelli (presidente emerito Corte costituzionale):
“Servono regole di costume e linee di deontologia”, in SIR, 6 giugno 2019.
26
OSSERVATORIO COSTITUZIONALE
richiamato l’esigenza del «rispetto della deontologia professionale». La questione deontologica sta
peraltro prendendo sempre più piede, e non solo con riguardo alla magistratura86.
La deontologia è stata infatti tradizionalmente compressa nel concetto di responsabilità
disciplinare, ma si assiste oggi a un processo di differenziazione, assumendo essa rilevanza e
caratterizzazione autonoma anche in relazione a esigenze più ampie relative alle qualità richieste
alle élites dirigenti nei sistemi democratici87. Il tema della deontologia giudiziaria solleva
ovviamente una pluralità di problemi, ma due forse meritano particolare attenzione nel caso
italiano, dove come è noto un primo codice deontologico venne adottato nel 1994 dall’ANM. Il
primo è chi sia responsabile della definizione delle regole deontologiche: se dunque esse debbano
avere un’origine prevalentemente interna o se sia invece auspicabile il contributo di istanze esterne
alla magistratura. Il secondo è come vadano costruite le regole deontologiche. In particolare, sul
secondo aspetto, è il caso di ricordare l’interessante esperienza del Recueil des obligations
déontologiques approntato dal Conseil supérieur de la magistrature francese. Il Recueil è il risultato
di un approccio dinamico. Esso è redatto periodicamente sulla base di un vero e proprio dialogo dei
magistrati – che nel corso della loro vita professionale si confrontano con problemi deontologici da
loro stessi percepiti come tali – con il Service d’aide et de veille déontologique, creato nel 2016 in
seno al Conseil e composto da un giudice, un procuratore (entrambi non più in servizio) e un
membro esterno scelti dal Conseil. I magistrati, dunque, possono richiedere aiuto ricevendo risposte
non scritte secondo un processo anonimo basato su un dialogo che invita alla riflessione reciproca.
Nella costruzione della identità deontologica e più ampiamente professionale del magistrato
giocano un ruolo fondamentale gli organi di formazione. Anche qui, il riferimento si impone
all’esperienza francese, dove è generalmente condivisa l’opinione positiva sul ruolo svolto
dall’Ecole nationale de la magistrature (ENM) quale fattore di identità e integrità professionale88.
86
Il tale tema è sollevato oggi anche in relazione al mondo politico, ForInCIP, La déontologie politique, Rapports
nationaux du V Forum, 20,21, et 22 juin 2019, Université de Lille. Tra coloro che hanno posto l’accento sugli aspetti
deontologici, è Ginevra Cerrina Ferroni in un articolo sul Corriere fiorentino.
87
Ricordo a titolo di esempio l’adozione nel 2002 dei principi di Bangalore sulla condotta dei giudici. Per l’Italia, si
deve rimandare a L. ASCHETTINO – D. BIFULCO – H. EPINEUSE – R. SABATO, Deontologia giudiziaria. Il codice etico
alla prova dei primi dieci anni, Napoli, Jovene, 2006. Sul tema ha riflettuto recentemente anche L. FERRAJOLI,
Deontologia giudiziaria, in Diritto e questioni pubbliche, 2013, 13, 496-511. Si veda anche D. SALAS – H. EPINEUSE,
L'éthique du juge: une approche européenne et internationale, Paris, Dalloz, 2003.
88
Diverse interviste svolte sul tema dall’autore con operatori giudiziari hanno mostrato questa convergenza
trasversale di giudizio, seppure non manchi chi ritiene che la Scuola sia un fattore di chiusura della magistratura. Su
questo tema, per l’Italia, si vedano le concise ma interessanti osservazioni di V. ZAGREBELSKY, Nozione e portata
27
OSSERVATORIO COSTITUZIONALE
In un’ottica di ricerca, e tenendo presenti i numerosi studi condotti in Francia specialmente dai
sociologi del diritto sul ruolo dell’ENM nel determinare i caratteri della magistratura francese
contemporanea, sarebbe perciò opportuno focalizzare l’attenzione sulle modalità di riproduzione
culturale della magistratura italiana e sul ruolo sinora svolto dalla Scuola della magistratura di
recente creazione, la cui ratio peraltro risiede anche in considerazioni di tal fatta89.
Questo ci conduce infine al tema del reclutamento. Anche qui, senza considerare i problemi della
efficacia selettiva del sistema attualmente in vigore, si pone la questione dell’apertura del
reclutamento a percorsi alternativi a quello classico, secondo una tendenza rilevabile in altri
ordinamenti e che risponde in definitiva ai caratteri mutati della funzione giurisdizionale: da un lato
sempre più espressione di esigenze politico-sociali di fronte alla crisi del legislatore; dall’altro
sempre più complessa e differenziata, secondo l’ottica che richiede un bilanciamento tra sapere
pratico e teorico. Si tenga ad esempio conto che, per richiamare ancora il modello francese, il 50%
dei magistrati d’oltralpe sono ormai reclutati ogni anno tra chi abbia pregresse esperienze
professionali attraverso forme di integrazione diretta o concorsi c.d. tour extérieur, in alternativa
alla via classica dell’auditorat.
Si tratta di un tema strettamente collegato, in definitiva, all’emergere sempre più pressante,
accanto al discorso dell’indipendenza, di quello della rispondenza della magistratura a esigenze
differenziate (nella letteratura anglofona: accountability90). Essa richiede forse di tornare a riflettere
sui profili teorici dello stesso concetto di indipendenza: anche per evitare che le spinte verso una
maggiore responsabilità/accountability giudiziaria di fronte a episodi come quelli emersi
nell’affaire CSM finiscano per concretizzarsi in attentati all’indipendenza del giudice.
dell’indipendenza dell’Ordine giudiziario e dei giudici. Ruolo del Consiglio superiore della magistratura, Relazione
svolta il 5 novembre 2019 nel Corso di formazione della Scuola superiore della magistratura, dal titolo Garanzie
istituzionali di indipendenza della magistratura in Italia, in Osservatorio Costituzionale, 2019, 3, p. 91 s.
89
V. ONIDA, Perché la scuola della magistratura deve essere autonoma, in Questione Giustizia, 2016, 1, 7-11.
90
D. KOSAŘ, Perils of Judicial Self-Government, cit.; S. BENVENUTI, The Politics of Judicial Accountability in Italy:
Shifting the Balance, in European Constitutional Law Review, 2018, 4, 369-393.
28