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GEHRY

L a strategia progettuale del MARTa -museo di arte contemporanea, architettura e design-muove dal vincolo imposto dalla Municipalità di Herford di recuperare un frammento di un edificio industriale preesistente. Secondo il programma del 1998, l'edificio industriale doveva quindi essere conservato e dovevano essere creati nuovi spazi espositivi, per un totale di 7.000 m 2 , disposti nei nuovi padiglioni lungo l'asse nord-sud. Il progetto si sviluppa, quindi, intorno a questo nucleo preesistente che occupa circa 1/4 del totale ma, sembra quasi scomparire, nell'abbraccio dello straordinario organismo che Gehry gli ha costruito intorno. Le sue forme squadrate e le superfici d'intonaco bianco fanno risaltare maggiormente la sinuosità organica dei nuovi volumi e il loro singolare trattamento materico. L'accesso al museo è enfatizzato da una corte d'ingresso che funziona anche da spazio urbano pubblico su cui si impone l'elegante lastra in acciaio con il traforo del logo del museo che scherma la fac-ciata dell'edificio industriale. I circa 3.400 metri quadrati del blocco preesistente contengono, al piano terra, un atrio ed uno spazio commerciale, mentre, ai piani superiori, le sale espositive ed i laboratori. I padiglioni a sud si articolano intorno ad uno spazio espositivo principale multifunzionale di circa 445 metri quadrati, da cui si sviluppano un grappolo di sale minori inondate di luce da lucernari in copertura, per un totale di circa 730 metri quadrati. In questa parte del museo sono ospitate due importanti collezioni: la donazione di Karl Keber che consiste in centottanta dipinti dagli anni Settanta a Novanta, e la raccolta privata di opere d'arte contemporanea del direttore artistico del MARTa, Jan Hoet. La parte a nord, di dimensioni più contenute, ospita uno spazio espositivo di circa 345 metri quadrati dedicata al design ed agli eventi speciali. Lungo il lato sud-est è stata organizzata una zona ristoro con caffetteria e ristorante che si affacciano sulla dolce ansa del fiume che definisce il limi-

Involucri in laterizio Doppia curvatura Un sistema multistrato collaborante che vede protagonisti cemento, acciaio e mattone in azzardi statici risolti con agganci tradizionali e barre nei giunti orizzontali. L’ultima declinazione materica dell’architettura di Frank Gehry nel MARTa tedesco Cristina Donati Sopra, pianta del Piano terra e sviluppo tridimensionale dell’edificio per lo studio delle lamine in acciaio della copertura. In basso, prospetto sud di affaccio sul fiume e prospetto est. A sinistra, vista della copertura del MARTa e di un ambiente interno. L a strategia progettuale del MARTa –museo di arte contemporanea, architettura e design- muove dal vincolo imposto dalla Municipalità di Herford di recuperare un frammento di un edificio industriale preesistente. Secondo il programma del 1998,l’edificio industriale doveva quindi essere conservato e dovevano essere creati nuovi spazi espositivi,per un totale di 7.000 m2, disposti nei nuovi padiglioni lungo l’asse nord-sud. Il progetto si sviluppa, quindi, intorno a questo nucleo preesistente che occupa circa 1/4 del totale ma, sembra quasi scomparire, nell’abbraccio dello straordinario organismo che Gehry gli ha costruito intorno. Le sue forme squadrate e le superfici d’intonaco bianco fanno risaltare maggiormente la sinuosità organica dei nuovi volumi e il loro singolare trattamento materico. L’accesso al museo è enfatizzato da una corte d’ingresso che funziona anche da spazio urbano pubblico su cui si impone l’elegante lastra in acciaio con il traforo del logo del museo che scherma la fac- ciata dell’edificio industriale. I circa 3.400 metri quadrati del blocco preesistente contengono, al piano terra, un atrio ed uno spazio commerciale, mentre,ai piani superiori,le sale espositive ed i laboratori. I padiglioni a sud si articolano intorno ad uno spazio espositivo principale multifunzionale di circa 445 metri quadrati, da cui si sviluppano un grappolo di sale minori inondate di luce da lucernari in copertura, per un totale di circa 730 metri quadrati.In questa parte del museo sono ospitate due importanti collezioni: la donazione di Karl Keber che consiste in centottanta dipinti dagli anni Settanta a Novanta, e la raccolta privata di opere d’arte contemporanea del direttore artistico del MARTa, Jan Hoet. La parte a nord, di dimensioni più contenute, ospita uno spazio espositivo di circa 345 metri quadrati dedicata al design ed agli eventi speciali. Lungo il lato sud-est è stata organizzata una zona ristoro con caffetteria e ristorante che si affacciano sulla dolce ansa del fiume che definisce il limi- te del lotto. L’edificio preesistente è stato restaurato nel rispetto del suo carattere originario, il nuovo intervento è invece una creazione che si apre con volumi di plastica matericità, enfatizzata dalla gravitas del laterizio. Abituati agli involucri metallici dell’ultimo Gehry (dal Guggenheim di Bilbao in poi), l’impiego del laterizio faccia a vista è una sorpresa, ma la sorpresa si raddoppia quando esaminiamo le forme assunte dalle pareti e la modalità della messa in opera. Le superfici in sezioni si presentano come fogli di carta variamente curvati per sostenere coperture leggere metalliche e una seconda serie di volumi liberi disassati, anch’essi definiti da superfici laterizie con coperture in metallo. Un simile mondo di forme era stato sognato dagli architetti visionari dell’Espressionismo Tedesco (pensiamo ai disegni fantastici di Hermann Finsterllin,per citare un solo esempio) o era stato tentato, ma con ben altra disciplina in anni più precedenti da Eladio Dieste. Le costruzioni di quest’ultimo usavano superfici a doppia curvature in laterizio come strutture portanti o di copertura, strutture cioè resistenti per forma. Per il MARTa, Gehry impiega invece il laterizio come una semplice ‘pelle’ di rivestimento che copre e maschera possenti strutture in cemento (al livello inferiore) e acciaio (al livello superiore). I nuovi volumi si presentano quindi come forme plastiche staccate da ogni corrispondenza forma-funzione e le pareti (ondulate morbide e continue) rinunciano a ogni tradizionale connotazione cioè non ci sono né porte né finestre né marcapiani,né cordoli… Il mattone diviene così astratto e leggero, quasi un materiale plastico di ultima generazione che enfatizza un gioco di volumi sotto la luce fatto per mettere in scena il museo, trasformandolo in un oggetto da esporre,in un’opera d’arte analoga a quelle che dovrebbe contenere. D’altronde la lunga amicizia di Frank Gehry con Claes Oldenburg, autore di gigantesche sculture pop (tra le quali “l’ago e il filo” di Milano),aveva cominciato a dare i suoi frutti fin dal gigantesco binocolo usato per l’ingresso nell’edificio aVenice in California (1975-1991). Ciò che, in questa occasione, interessa del mattone è l’aspetto materico, la sottile tessitura ed il colore.I volumi curvi e Dettaglio dell’attacco a terra della muratura inferiore. A destra, l’edificio durante il cantiere. In alto, immagine delle fasi costruttive della struttura portante superiore prima della posa dei listelli in cotto. 1102 1103 Un segno architettonico Se negli anni ‘80 Colin Davis si chiedeva se l’High-Tech fosse una tecnica o uno stile; oggi, Charles Jencks si interroga sul significato di una buona o una cattiva icona. Se l’High-Tech radicale esasperava il rapporto tra funzione e rappresentazione, il Decostruttivismo mette in crisi quello tra forma e significato tra contenuto ed espressione, attraverso la distorsione tipologica e strutturale: l’intento è quello di realizzare un segno architettonico forte, un segno iconico che sollevi la cultura della globalizzazione dal pericolo dell’omologazione urbana. La nuova “architettura iconica” rinnega quindi la regola per affermare la regola di se stessa, per glorificarsi di autoreferenzialità giustificata dal valore artistico dell’opera. La decodificazione della matrice artistica del progetto diviene il nuovo paradigma dell’architettura contemporanea. Così, quale enigma è nascosto dentro l’ultima de-costruzione di Gehry ad Herford? Non è facile rispondere e rimane affascinante la teoria di Jencks che associa la decostruzione alla rappresentazione in architettura delle ultime scienze del disordine che stanno riscrivendo il futuro del nostro pianeta: un cosmo non più regolato dal meccanicismo newtoniano, o dalla immutevole eternità di Einstein, ma piuttosto un universo generato da una sequenza di processi di cosmogenesi rivelati dalle teorie della complessità. L’immagine di questo nuovo mondo si propone come nuova iconografia che Gehry ben rappresenta nelle sue “vele in laterizio” del MARTa. Contro la monumentalità dell’ architettura affiora quindi l’ iconicità dell’architettura: se la cattedrale gotica, massima espressione della monumentalizzazione del potere ecclesiale, celebrava il potere della religione; oggi, in una società sempre più laica, quali valori, quale etica può esprimere l’architettura se non i valori delle forze di mercato che gli consentono ancora di esistere? Allora, in questa ottica, Bilbao è la migliore interpretazione che l’architettura abbia mai fatto di se stessa e della sua società. In sintesi, si potrebbe azzardare l’ipotesi che l’edificio iconico è un’architettura che aspira a diventare monumento ma non sa ancora cosa monumentalizzare e quindi sceglie di diventare monumento di se stessa dietro l’alibi di essere arte, oggetto scultoreo, espressione del potere o della vulnerabilità dell’enigma racchiuso in sé. 1104 spigolosi, le superfici come di carta gonfiata dal vento hanno poco a che vedere infatti con la classica impostazione tettonica del laterizio che qui perde peso e massa:ma forse questo è il senso dell’innovazione di Gehry ed il futuro dei nuovi laterizi. D’altro canto, non è la prima volta che Gehry utilizza il mattone - i blocchi ovest del complesso del Neue Zollhof a Düsseldorf sono in laterizioma la novità al MARTa è la sua assoluta innovazione costruttiva: un sistema multistrato collaborante che non era mai stato impiegato in Germania e che ha richiesto speciali test e certificazioni di sicurezza prima di avere l’approvazione al collaudo. Segue a pagina 1200 Vista del MARTa a Herford e sopra del Guggenheim a Bilbao.