Academia.eduAcademia.edu

MARIO BOTTA

L’inter vista Cristina Donati A colloquio con Mario Botta: le nuove forme della memoria L’architettura non è quindi mai ‘dialogo’ con la natura? La natura deve essere parte dell’architettura così come l’architettura deve essere parte della natura;i due termini sono reciprocamente complementari. L’architettura descrive il progetto dell’uomo, l’organizzazione dello spazio di vita e quindi è un atto di ragione, di pensiero, di lavoro. Proprio per questo è sempre ‘dialogo’e confronto con la natura. Esiste una dimensione mistica dell’architettura? Da sempre Mario Botta combatte le inconsistenze e la componente effimera dell’architettura contemporanea con costruzioni solide, compatte, sicure di sé, senza evidenti preziosismi e sofisticazioni, senza retoriche contorte. Il muro è il perimetro unitario che separa ‘natura’ e ‘artificio’ entro il quale si sviluppano spazi netti, globali. Fare architettura per raggiungere l’essenza delle cose tramite un’espressività razionale, così perfetta e pura da sublimare se stessa, comunicare emozioni e simbologie astratte e fortemente liriche. L’ordine geometrico, nato come idea generatrice dell’atto progettuale, con una vena di sovraccarico formale nei progetti dell’esordio - gli edifici e le case unifamiliari dei primi anni ‘80 -, oggi è uno strumento più maturo per delineare forme più ricche e libere che sembrano voler preludere a nuove direzioni plastiche. Le ultime chiese, la sinagoga e centro dell’eredità ebraica Cymbalista a Tel Aviv, il Centro Durrenmatt a Neuchâtel, la biblioteca municipale di Dortmund legano forma e tecnica in geometrie materiche che avvolgono lo spazio in sofisticati passaggi di volumi. E non può essere un riferimento casuale l’inserimento di un catino di vetro all’interno di Dortmund che lo stesso Botta cita come omaggio al padiglione di Bruno Taut. L’architetto ticinese sta quindi abbandonando certi rigidi formalismi ed elaborando nuove spazialità organiche sintomatiche di una sensibilità più matura che raccoglie, quindi, anche il rinnovato interesse internazionale verso la cultura dell’Espressionismo. A Lugano, ospite nello studio dell’architetto, in un pomeriggio di estremo caldo estivo, ne parliamo insieme. gine. Poi, dopo un primo anno di apprendistato, ho capito che il disegno dell’architetto è destinato a diventare realtà, a trasformarsi in spazio: questo mi ha provocato un’emozione talmente forte che non ho più avuto dubbi.A quindici anni sapevo già che ero “condannato” a fare questo mestiere. Lei ha scritto “l’architettura è un fatto artificiale”. Cosa significa questa affermazione rispetto alla città e all’ambiente naturale? La città è un manufatto, è un’invenzione voluta dall’uomo, è la trasformazione di un equilibrio esistente in una nuova condizione che è ‘altro’ rispetto alla natura. L’architettura è una parte di città che ha reso umano un territorio naturale e quindi è anch’essa un ‘artificio’in quanto è un atto di trasformazione di una condizione di natura in una condizione di cultura. R ispetto all’ambiente naturale, l’architettura è sempre ‘artificio’proprio perché attua questa trasformazione. Il primo atto del ‘fare architettura’ non è quello di mettere ‘pietra su pietra’ma ‘pietra sul suolo’. Così l’architettura, spogliata da una interpretazione naturalistica un po’ ambigua e nostalgica, deve essere vista come un atto ‘artificiale’. Come nasce la sua passione per l’architettura? Ho sempre avuto una grande insofferenza per l’istituzione scolastica - fin dalla scuola materna – così quando ho terminato la scuola dell’obbligo sono entrato come apprendista disegnatore presso lo studio dell’architetto Carloni a Lugano. Quando ho cominciato questa attività non ero sicuro di voler fare l’architetto; avrei potuto fare il disegnatore, il grafico, il fotografo o il pittore; rincorrevo un’attività legata all’imma- 40 Edificio Swisscom a Bellinzona, Svizzera, 1988-98 (foto di Pino Musi). CIL 72 Casa unifamiliare a Montagnola, Lugano, Svizzera, 1989-94. Schizzo di studio. Io credo che l’architettura porti con sé l’idea del sacro, nel senso che è espressione del lavoro dell’uomo.L’architettura non è solo un’organizzazione materiale; anche la più povera delle capanne ha una sua storia, una sua dignità, una sua etica che testimonia di un vissuto, di una memoria, parla delle più segrete aspirazioni dell’uomo. L’architettura è una disciplina dove - più che in altri settori la memoria gioca un ruolo fondamentale;dopo anni di lavoro mi sembra di capire come il territorio su cui opera l’architetto si configuri sempre più come ‘spazio della memoria’; il territorio fisico parla di una storia geologica,antropologica,ma anche di una memoria più umile legata al lavoro dell’uomo. Ecco che allora, da questo punto di vista, l’architettura porta con sé un potenziale di sacro perché testimonia una saggezza “del fare” con gioie e fatiche che trasmettono sentimenti ed emozioni che appartengono alla sfera spirituale. Di fronte ad una casa o ad una chiesa proviamo un’emozione che non è solo data dal fatto costruttivo in sé ma dai significati simbolici e metaforici. Quindi – per rispondere alla domanda – l’architettura porta con sé questa predisposizione al sacro; è strumento idoneo a superare le condizioni unicamente funzionali e tecniche. Proprio per questo io credo che l’architettura si esprima al meglio attraverso il tema della chiesa che, per noi cristiano-occidentali, rappresenta la tipologia architettonica attorno alla quale ci siamo culturalmente formati. Non è un caso che l’80% della storia dell’architettura (fino al Novecento) sia una storia essenzialmente dell’architettura ecclesiale; esiste ovviamente anche una storia dell’architettura militare e civile ma questa riveste, al confronto, un ruolo marginale. Credo proprio che, dopo l’ubriacatura intervenuta con la società dei consumi, oggi si riaffermino con forza i valori più profondi del grande passato. Ci sono quindi tanti motivi che concorrono a far sì che il tema dell’architettura dello spazio sacro sia congeniale alla mia ricerca. Posso forse anche dire che l’architettura ecclesiale mi aiuta a resistere alle lusinghe e alle degenerazioni della cultura effimera ed edonistica. 41 Cosa significa resistere alle lusinghe del Moderno? Per esempio, costruire una chiesa vuole anche dire confrontarsi con il tema della durata, della solidità, vuol dire creare un manufatto come presenza fisica fra terra e cielo. Perché esiste il bisogno di re-inventare la tipologia ecclesiale che dal punto di vista funzionale potrebbe ancora avvalersi dello schema della chiesa bizantina? Ogni atto creativo afferma il bisogno di vincere la morte, rivendica alla nostra cultura la capacità di interpretare una tradizione millenaria e nel contempo parlare in termini positivi del nostro tempo. La chiesa è comunque uno spazio assembleare elementare dove per il fedele si ripete l’evento originale del sacrificio cristiano. Questo necessita di uno spazio fuori dalle mode, ma esige anche un rinnovamento continuo. Quale momento della storia ecclesiale Lei sente più vicino a sé? Il R omanico è per me l’espressione massima della cultura architettonica; mi affascina la sua essenzialità. Ho costruito cinque chiese ed una sinagoga ed ora sto lavorando ad altri cinque progetti di chiese: provo sempre un grande imbarazzo quando devo ritornare a temi più prosaici. Perché ? Come in un processo di innamoramento: nel progetto esiste una parte razionale e un’altra irrazionale. Si ha bisogno continuamente di spinte irrazionali proprio per ricercare la ragione e il senso di un progetto. Il progetto è anche una scuola rigorosa che induce il progettista a continue rinunce per ottenere risultati essenziali. Quindi il desiderio di misurarsi con varianti attorno ad un tema è un processo comprensibile; è un lavoro di valutazione e confronto soprattutto per le rinunce imposte dalle scelte che risuonano come amori mancati, valenze rimaste sospese. Trovo interessante anche il fatto di occuparmi dello spazio della chiesa in una società secolarizzata; è l’alternativa al tema e alle tipologie legate al consumo. Mi piace sentirmi parte di L’ I N T E R V I S T A una storia in cui esistono costanti: il tema di uno spazio di silenzio e meditazione, un luogo dove è possibile rintracciare emozioni che la cultura moderna fatica ad offrire. La cultura contemporanea offre un’architettura di consumo e di frastuono, ma credo sia importante pensare che esiste anche un’architettura del silenzio, dove è possibile evocare altre condizioni, altri sentimenti, altri amori... L’architettura contemporanea è fortemente legata ai fatti tecnici, agli elementi funzionali: questa è una grande limitazione. L’architettura come linguaggio, come presenza fisica, riesce a comunicare oltre il contingente; l’architettura è una “permanenza” che dialoga con il trascorrere delle stagioni, con il ciclo solare, con la nozione del tempo: l’architettura richiede tempi lunghi. E sul Tamaro? Oggi che ruolo riveste la geometria nel contesto del suo linguaggio? Ho sempre cercato di trarre il meglio da ogni commessa ma in realtà mi sono accorto che ognuno alla fine produce quanto gli è più congeniale. Le commesse sono quelle che ti meriti e forse sono anche quelle che inconsciamente desideri. Ho vissuto il periodo delle case unifamiliari,poi il periodo dei palazzi in città, quindi il periodo dei musei. Adesso mi confronto con le chiese… e mai avrei immaginato di costruire anche una sinagoga. I clienti si presentano come delle meteoriti; ricevono quello che gli offri poi scompaiono dal tuo mondo ma il lavoro fatto resta come una forma di credito a distanza;c’è un indotto che premia il lavoro ben fatto. Faccio al meglio delle mie possibilità quello che mi si presenta. La geometria è uno strumento per esprimere la luce;cerco di usare la geometria non come composizione astratta fine a sé stessa, ma come ausilio per ottenere ordine ed equilibrio nello spazio. Lavoro volentieri con una luce zenitale che costituisce la spina dorsale e la struttura primaria dello spazio; successivamente, Sul Tamaro c’era un rapporto straordinario con il paesaggio. Il pittore Cucchi descrive la chiesa come un chiodo di pietra nella montagna, una bella immagine perché il chiodo è una delle strutture più semplici e nel contempo più essenziali, un gesto primario. La cappella del Tamaro è un segno che permette di re-inventare la fruizione della montagna; l’architettura in questo caso è soprattutto un mezzo per la lettura del paesaggio. Cosa pensa dei “bottiani”? Penso male. In questo momento della sua carriera dove è indirizzata la sua ricerca? Come vede la trasformazione della professione di architetto nel futuro? Case a schiera a Bernareggio, Milano, 1991-99 (foto di Enrico Cano). per dare equilibrio a questo spazio, applico la geometria e anche quel sub-ordine della geometria che è la simmetria. Può sembrare che componga il progetto attraverso regole geometriche ma nel lavoro cerco essenzialmente la luce che solo più tardi viene espressa e sorretta dalla geometria e dai materiali che sono guide al servizio della luce. Nella chiesa di Mogno questo concetto è portato alle estreme conseguenze perché la luce zenitale innonda la totalità dello spazio;in questo caso ho scelto di impiegare la pietra nella muratura di elevazione che trasforma la geometria dell’ellisse in cerchio: un solo materiale per tutto l’edificio. Per Mogno ho disegnato pochissimo;ho individuato un taglio,una sezione inclinata sull’asse minore dell’ellisse in modo tale che lo stesso assuma la dimensione dell’asse maggiore e quindi si trasformi in cerchio: questo è il “miracolo” geometrico di questo spazio. 42 Non ho certezze. Ho momenti di grande ottimismo che si alternano a scetticismo. Fin tanto che esiste l’uomo ci sarà l’esigenza di costruire una casa. L’uomo porta con sé il bisogno primario dell’abitare, la voglia di costruirsi uno spazio di protezione, di difesa, una sorta di utero materno; quindi da questo punto di vista l’architettura ha un sicuro avvenire. D’altro canto, se analizzo i processi in atto nella cultura occidentale c’è poco da stare allegri: l’uomo sa adeguarsi a tutto, e non importa in quale spazio, e così finisce per adattarsi anche al peggio. Questo non è molto edificante per l’architettura. Oggi l’architettura rappresenta una condizione di frontiera, uno spazio di sperimentazione, uno spazio di resistenza. Sì, l’architettura come resistenza ha un avvenire. Il laterizio è uno degli strumenti che Lei adopera: che cosa l’affascina di questo materiale? La sua povertà. Il fatto che sia terra-cotta. È un elemento prefabbricato molto flessibile nell’uso e al tempo stesso anche economico;è un materiale essenziale e forse per questo molto espressivo. Una lastra di acciaio inossidabile ha un processo produttivo molto più complesso. Attraverso il mio lavoro CIL 72 Santa Cruz de la Sierra, Bolivia, 1996 (foto di Pino Musi). cerco di esprimere al meglio anche il materiale apparentemente meno interessante. Poi c’è l’aspetto della durata. Il mattone è uno dei materiali che invecchia meglio, anzi migliora con il tempo. Ed infine esiste l’aspetto autobiografico. Io sono nato ai bordi della pianura padana; è quindi evidente che la pietra della montagna resti per me più lontana; sono attratto dal colore e dall’odore della creta. Secondo Lei l’industria produce laterizio in risposta adeguata alle esigenze della progettazione contemporanea? Credo che ci sia troppa scelta; come per tutti i prodotti dell’era del consumo si offre troppo.Troppi modelli, troppi formati, troppe tessiture, troppi capricci. Come si aggiorna il linguaggio del laterizio? Non si può chiedere al laterizio di essere altro; la capacità espressiva non risiede unicamente nel materiale; il laterizio è un prodotto che può essere usato bene come può essere utilizzato male. Cosa vuol dire ‘usarlo bene’? Vuol dire far sì che la cultura del nostro tempo trovi proprie espressioni che riescano ancora a provocare emozioni. Già da tanti anni uso il laterizio come materiale “portato” e non “portante”;questo mi ha attirato molte critiche poiché è pensiero comune usare unicamente questo materiale come elemento “strutturale”. Credo invece che sia possibile usare il mattone anche “portato”. Si tratta di esprimere questa condizione staccandolo dalla struttura, con onestà e chiarezza. 43 In questo modo il laterizio è però relegato alla sola funzione di immagine. Sì,diventa immagine e protezione con una sua espressione;ma non è un limite. È chiaro che la sua vocazione primaria, per dirla con Louis Khan, è quella di “trasformarsi in arco”. Personalmente mi sono preso la libertà di usarlo anche come elemento portato così come l’hanno fatto in precedenza altri architetti, Peter Behrens e altri maestri. Questo significa che ci sono molte possibilità per rendere omaggio ad un materiale bello e povero come il laterizio. Come giudica l’architettura italiana contemporanea? Ci riferiamo all’architettura delle riviste o a quella costruita sul territorio? Ci sono comunque delle ottime eccezioni che riescono a sopravvivere in un processo di produzione generalmente scialbo e cinico.La cultura del geometra e le elucubrazioni di una critica arrogante e sclerotica ha prodotto tanti disastri; si alimentano equivoci che inducono l’architettura a rinunciare ai propri principi che sono quelli di esprimere strutture che trasmettono i carichi al suolo. Quello che rincresce è che in generale il processo di produzione edilizia stenta ad aggiornarsi; in tal modo molti architetti restano ai margini, esclusi dal processo di produzione. Ritiene che sia anche un problema di committenza o meglio di carenza di “committenze illuminate”? È difficile fare dei processi. Il vero committente per l’architetto è sempre la storia e anche una storia modesta può dare buone realizzazioni. Il problema è che oggi la storia sociale è una storia di grandi contraddizioni. È impossibile trovare una L’ I N T E R V I S T A Edificio residenziale e amministrativo a Mendrisio, Svizzera, 1989-98. Dettaglio prospetto nord e sezioni. città che esprima una buona immagine se la città sociale che la sorregge è cattiva.L’architettura è l’espressione formale della storia. Per esempio, noi tutti stimiamo l’architettura dei Paesi nordici perché, al di là del bello o del brutto, riesce ad esprimere un rapporto di grande dignità tra l’uomo e la natura; vi si legge un rispetto e una forma di fruizione equilibrata. Dove questa educazione non è presente,ci si illude che tutto sia possibile ma in realtà tutto risulta impossibile.Tutto appare come se … come se… E nel panorama internazionale? Nel panorama internazionale impera oggi un liberismo d’arrembaggio che ha bisogno di nuove immagini. Ci si è accorti che l’architettura può aiutare con la propria presenza a vendere o a fare pubblicità; può risultare uno status simbol. Questo è un aspetto che è entrato nello star-system, dove i committenti cercano continue complicità con gli architetti….Tocca agli architetti operare in modo da utilizzare o essere utilizzati da questa tendenza. Potrà stupire ma penso che l’architettura è una delle rare discipline che si può imparare ma che non si può insegnare. Tutti i programmi che ho tracciato per la nuova scuola sono tesi a proporre l’insegnamento di discipline a supporto dell’architettura: storia del pensiero, storia dell’arte, storia del territorio, storia dell’architettura. Si cerca di capire cosa c’è stato nella storia per interpretarla nel nostro tempo. Sono contento di essermi occupato della scuola dopo i 50 anni. Prima ho lavorato e adesso porto quel minimo di esperienza che mi sono fatto. È interessante affrontare i temi teorici dopo aver operato. Per fare non è necessario un sapere assoluto. Tracciando il profilo di questa scuola ho scoperto nuovi interessi. Q uesta è una scuola nata da poche intuizioni (per l’architetto oggi sono prioritarie le discipline umanistiche rispetto a quelle tecniche) e sta diventando un progetto continuo. Mario Botta. Monumento a Santa Cruz de la Sierra, Bolivia, 1996. Sezione. A cosa si riferisce? Nel 1996 ha fondato la nuova Accademia di Architettura in Ticino nell’ambito della costituzione dell’Università della Svizzera Italiana. Come è impostata la scuola e come prepara alla professione? 44 Il progetto è uno strumento per cercare di comprendere il senso del vivere. Gli attuali processi caratterizzati da una continua accelerazione portano forse “progresso” per l’uomo? ¶ CIL 72 45 L’ I N T E R V I S T A
Progetti Cristina Donati Come scrive Rafael Moneo, “Edificare significa oggi intervenire sull’ambiente, sul paesaggio in cui viviamo, assai più che erigere un palazzo. (…) L’architettura si dissolve nell’ambiente: l’architetto è incapace di “isolare” un edificio. Ma, l’ampliare l’orizzonte, per me, non consente di prescindere dalle considerazioni circa la relazione tra forma e architettura. Poiché, se costruire è poter formare,poter dare forma e senso ai materiali, sarà sempre indispensabile che la costruzione sia fondata sulla forma”(1). La riflessione di Moneo sul dialogo tra costruzione e paesaggio, quale ineludibile impegno della contemporaneità al mario botta Museo della ceramica Leeum Samsung a Seoul, Corea Mario Botta. Schizzo di progetto. Nella pagina a fianco: il fronte principale con l'accostamento delle diverse tessiture del laterizio. FOTOGRAFIE Pietro Savorelli valore eterno dell’architettura, come arte di dar forma e senso al materiale, diviene particolarmente appropriata quando si osserva l’opera di Mario Botta che a Seoul ha recentemente realizzato due interventi dove forma e materiale determinano la loro forte presenza urbana. La solida monumentalità dell’imponente grattacielo in laterizio della torre Kyobo (26 piani, 58.000 m2 di superficie utile) ha generato un nuovo riferimento urbano per la città che, come afferma Botta,“resiste all’appiattimento proprio del linguaggio contemporaneo, nel tentativo di restituire alla costruzione quel ruolo di testimonianza e di memoria che costituisce la ragione stessa d’essere della città”. Nel 2004, ad un anno di distanza dalla torre, Botta termina il suo secondo importante intervento a Seoul, il Museo della Ceramica: un intervento strategico che si inserisce in un master- 18 CIL 113 plan comprendente due altri poli museali a firma di Jean Nouvel e Rem Koolhaas. La morfologia dell’area, caratterizzata da un andamento collinare con forti dislivelli, crea una naturale ambientazione scenografica per l’inserimento dei nuovi volumi che prevede l’edificio di Nouvel a –10 m rispetto al piano di campagna e quello di Botta a +3 m, che rappresenta la quota più elevata rispetto al complesso degli insediamenti. La posizione stessa, al culmine di questa particolare condizione orografica, enfatizza il valore di rappresentanza del nuovo museo come centro della nuova urbanizzazione voluta dalla Fondazione Samsung. Una simbologia riproposta nella presenza di alberi, alla sommità dell’edificio, che intendono richiamare l’immagine delle bandiere sulle torri e sugli avamposti di controllo. Così, forma, materia ed inserimento ambientale continuano ad essere i temi ricorrenti che riconfermano Mario Botta autore di un profondo dialogo tra costruito e natura: un dialogo, come sostiene l’architetto stesso, che “a realizzazione avvenuta, riprende ad essere dinamico e a definire con l’opera architettonica rapporti continuamente mutevoli. In un certo senso si può dire che il territorio dialoga con la propria architettura in modo continuo come il mutarsi del tempo e della storia”(2). La forza della natura interagisce con la forza della costruzione in uno scambio che valorizza entrambe, grazie ad un rapporto tra architettura e ambiente progettualmente intenso e vissuto come autentica prova di forza dell’architettura, quale simbolo della presenza dell’uomo sul territorio. Una prova di forza che Botta esprime con volumi potenti, dalle geometrie leggibili ed orgogliose che si elevano dal terreno con chiarezza di intenti. Non è quindi un caso che, anche in questa occasione, l’architettura del museo si esprima con un oggetto isolato, che nasce da un piano inclinato verde di raccordo fra la Planimetria. strada a monte e quella a valle, e si eriga fuori terra come l’insieme di due volumi elementari incastrati tra loro: un edificio a forma di parallelepipedo, nella parte superiore, e un volume a forma di cono rovescio (più largo nella parte alta) che entra nel terreno verso la strada inferiore. All’interno, il visitatore viene indotto a scendere attraverso un nucleo centrale di luce e a confrontarsi, piano per piano, con la corona circolare che offre uno spazio di percorso con pareti oblique. La vetrina dell’oggetto esposto è, al contrario, elemento che ripropone la verticalità che privilegia un rapporto unico e diretto con il visitatore. I volumi sono avvolti da un innovativo rivestimento in elementi prefabbricati in laterizio, composto da strisce orizzontali di pannelli piatti (di ca. 50 cm di altezza) per il volume parallelepipedo e di elementi a pianta trapezoidale (sempre di ca. 50 cm di altezza) per il volume a cono rovescio. Per risolvere con un unico sistema modulare il rivestimento inclinato e circolare del contenitore espositivo è stato quindi realizzato uno specifico componente in terra cotta a sezione triangolare: un elemento estruso, a cuspide, la cui forma regala valenza plastica alla superficie muraria. Il ritmo e la comunicazione architettonica della facciata si esprimono quindi grazie alla combinazione di questo nuovo componente, che sporge leggermente dal filo della facciata stessa, realizzata con classici elementi in “cotto” liscio. Questo sistema avvolge completamente l’edificio, sia nel volume parallelepipedo che in quello conico: nel parallelepipedo, le due tessiture creano un’alternanza di ricorsi orizzontali, mentre l’elemento a cuspide riveste completamente il volume conico, caratterizzandolo con un particolare effetto di vibrazione dinamica della superficie. Le problematiche del rivestimento delle murature a curvatura variabile, già esplorate da Eladio Dieste, non sono una novità per Botta che, da tempo, sperimenta con le geometrie complesse e con le potenzialità degli effetti di luce sulla generazione dello spazio. Luce, geometria e materia determinano l’architettura ed il suo linguaggio espressivo in una logica che regala nuovo valore alla forma secondo quella tradizione espressionista oggi tornata a fare tendenza; come testimonia anche l’ultima sfida laterizia di Frank Gehry per il museo MARTa ad Hereford, anch’esso risolto con un innovativo sistema costruttivo multistrato che consente ai listelli di avvolgere in modo omogeneo le curvature variabili delle superfici. Ma al di là della risposta tecnica e funzionale data da Dieste, Gehry o Botta, è interessante sottolineare il significato della composizione di volumi primari del nuovo Museo “Leeum Samsung” che propone un linguaggio figurativo 20 CIL 113 Veduta del fronte continuo del volume a cono rovescio. Pianta secondo piano. Nella pagina a fianco: pianta piano terra. 21 PROGETTI Primo piano dell’elemento in laterizio a sezione triangolare. Scheda tecnica Luogo: 747-18, Hannam-Dong, Yongsan-Gu, Seoul, Korea Progettista: Mario Botta Collaboratori: Maurizio Pelli, Ugo Früh, Francis Blouin, Guido Medri, Paola Pellandini, Nicola Salvadé, Davide Macullo, Antonello Scala,Tommaso Botta, Marco Strozzi Architetto Partner: Samoo archtiects&engineers, Seoul Strutture: Ove Arup and Partners Area terreno: 2.333 m2 Superficie utile: 10.000 m2 Volume: 42.000 m3 Dimensioni: 45 x 10 m, rotonda raggio mass. 12 m, altezza 20 m Cronologia 1995-97/2002, progetto; 2002-2004, realizzazione Sezione tecnica sulla facciata ventilata. Dettagli esecutivi dell’ancoraggio del rivestimento in laterizio: sezione verticale ed orizzontale. 22 CIL 113 di immagini astratte: è evidente come il cono rovescio esprima il cuore di tutto il sistema espositivo e proprio la sua purezza geometrica lo trasformi in potente segno figurativo ed architettonico insieme. Questo ritorno all’importanza della forma in architettura è una tendenza diffusa che dal rigore di Botta giunge al post-espressionismo plastico di Gehry. Senza voler entrare in merito ad una critica estetica “sul concetto di arbitrarietà in architettura”, come suggeriva Moneo, è doveroso sottolineare quanto l’innovazione del settore del “faccia a vista” consenta oggi al laterizio di essere pienamente partecipe anche di queste ultime visioni e potenzialità dell’architettura contemporanea. ¶ Note 1. Rafel Moneo, Sul concetto di arbitrarietà in Architettura, in “Casabella”, luglio/agosto 2005. 2. Mario Botta, Architettura e Ambiente. Note per una conferenza, in Mario Botta 1978-1982, Electa 1983, p. 115. Sezione trasversale. Veduta dei tre interventi che compongo il nuovo polo culturale di Seoul. Scorcio dell'interno del museo. 23 PROGETTI
Ouverture I volumi che ospitano le aule e i laboratori Le torri strette della distribuzione separano i volumi funzionali della didattica Il Nuovo Polo si affaccia sul Parco Europa 1 Il nuovo fiore della memoria per il futuro della ricerca «IL FIORE» È L’EVOCATIVO E SIMBOLICO NOME DEL NUOVO CAMPUS DI BIOMEDICINA DI PADOVA. EVOCATIVO, PER L’AUGURIO CHE LA RICERCA POSSA FAR SBOCCIARE INNOVATIVI ESITI; SIMBOLICO, PER LE ASSOCIAZIONI CULTURALI CHE LE FUNZIONI INTRECCIANO CON L’INEDITA MORFOLOGIA CHE LE OSPITA di Cristina Donati, foto di Enrico Cano «Memoria, materia e gravitas» si rinnovano ancora una volta nell’opera per l’Università di Padova che, come ricorda Mario Botta, «parla aldilà delle sue funzioni per assumere aspetti metaforici e simbolici che diventano parte strategica della rigenerazione della città». In più occasioni, Botta ha ribadito quanto l’architettura sia un atto che deve dare un significato al suo esistere funzionale, rinforzare il legame con la memoria, valorizzare il territorio e arricchire il contesto con un gesto riconoscibile della presenza dell’Uomo. Obiettivi che rendono omaggio a Maestri come Le Corbusier, Scarpa e Louis Kahn, da cui, rispettivamente, Botta ha appreso il valore del costruire come trasformazione culturale, come amore per la materia e come rivisitazione della memoria intesa anche come arte del costruire e, non ultimo, elogio della gravitas. 12 progettare 0115 2 A questo proposito, è eloquente l’espressione di Mario Botta «senza gravità non esiste architettura». Un messaggio che ricorda le parole di Paul Goldberger quando scrive: «L’architettura è una disciplina culturale, il cui fine ultimo è quello di concepire la costruzione alla luce dei bisogni culturali e sociali, che vanno oltre le mere considerazioni funzionali ed economiche che seppur rilevanti non devono diventare mai determinanti» (in: Why Architecture Matters, New Heaven/ London, Yale University Press, p.35) Come si declina quindi questo ambizioso manifesto progettuale nel nuovo Polo Biomedico di Padova? Il complesso è parte di un articolato campus universitario che rigenera un tessuto urbano da tempo degradato. Sorge all’interno dell’ex Rizzato, un lotto industriale dismesso che ospitava un’antica fabbrica di biciclette: i magazzini, le fabbriche e i depositi, sono stati progressivamente sostituiti da centri direzionali e, in gran parte, universitari. Un importante processo di riqualificazione della città a cui l’Ateneo ha attivamente partecipato coinvolgendo protagonisti italiani di alto SCHEDA Il Fiore - Polo di Biologia e Biomedicina dell’Università di Padova Committente Università degli studi di Padova Progetto Mario Botta Strutture Studio Frigo; Studio di Ingegneria Giuseppe Tranchida Impianti Manens Tifs Impresa Fiore Scarl (A.T.I.: Svec, Clea) Cronologia Progetto: 2009-2011; inizio cantiere: 2011; inaugurazione: settembre 2014 Dimensioni Altezza: 18,50 mt, volume: 34.115 mc, superficie calpestabile per piano: 1.727 mq, parcheggio interrato: 2.927 mq Progetto funzionale 18 aule per 1.668 posti, 25 laboratori per 728 posti, di cui 450 posti in 15 laboratori di microscopia, altri 400 nei laboratori chimico-biologici, 2 aule studio per 200 posti, 2 aule informatiche con 96 postazioni. Prodotti utilizzati SanMarco Terreal 450mila Mattoni; Listelli e Angolari con vari spessori; pozzali per colonne D4-11, tutti realizzati con argilla Rosso Classico 3 1 Il Fiore sorge all’estremità di un campus ideale che si estende lungo l’asse del Piovego: dal Portello, primo nucleo a sud del fiume, dove si trova il Polo scientifico e la Facoltà di Medicina fino all’espansione più recente a nord, che comprende anche la Facoltà di Psicologia 2 Schizzo preliminare di studio planimetrico che evidenzia i rapporti tra i volumi Un parcheggio a raso e uno interrato accolgono il volume di traffico veicolare funzionali e quelli della distribuzione 3 L’impianto planimetrico semicircolare articola volumi staccati e disposti a raggiera che suggeriscono l’immagine metaforica di un “fiore con cinque petali”. I cinque volumi, intervallati dalle torri dei vani scala, ospitano i laboratori e le aule per la didattica con dimensioni differenti in funzione del loro uso La forma circolare scandita da edifici separati che confluiscono nell’atrio centrale ha sollecitato la metafora del Fiore con i petali che si innestano in un unico centro Ouverture Quando gli architetti riescono a definire uno spazio di vita migliore compiono la loro missione. Che è anche perpetuare quella forza umanistica che ha alimentato le città europee e che dobbiamo trasmettere alle generazioni future. La bellezza come antidoto ai conflitti è un valore che ci illumina e che ci aiuta a programmare la società post-industriale nella quale il sapere è la vera materia che vogliamo contribuire a diffondere Mario Botta 4 4 Schizzo preliminare del prospetto d’ingresso 5 Veduta del fronte d’ingresso del nuovo Polo lungo via Pescarotto 6 Pianta del piano terra 7 Pianta del piano tipo CONTEMPORANEITÀ DEL LATERIZIO Mario Botta a colloquio con Cristina Donati nel suo studio di Lugano Il laterizio è una costante che caratterizza la sua opera: che cosa l’affascina di questo materiale? La sua povertà. Il fatto che sia terra-cotta. È un elemento prefabbricato molto flessibile nell’uso e al tempo stesso anche economico; è un materiale essenziale e forse per questo molto espressivo. Poi c’è l’aspetto della durata. Il mattone è uno dei materiali che invecchia meglio, anzi migliora con il tempo. Cosa vuol dire rendere contemporaneo un materiale antico come il laterizio? Vuol dire far sì che la cultura del nostro tempo trovi proprie espressioni che riescano ancora a provocare emozioni. Già da tanti anni uso il laterizio come materiale “portato” e non “portante”; questo mi ha attirato molte critiche poiché è pensiero comune usare unicamente questo materiale come elemento “strutturale”. Credo invece che sia possibile usare il mattone anche “portato”. Si tratta di esprimere questa condizione staccandolo dalla struttura, con onestà e chiarezza. In questo modo non si riduce il laterizio alla sola funzione di immagine? È chiaro che la sua vocazione primaria, per dirla con Louis Khan, è quella di “trasformarsi in arco”. Personalmente mi sono preso la libertà di usarlo anche come elemento portato così come l’hanno fatto in precedenza architetti come Peter Behrens e altri maestri. Questo significa che ci sono molte possibilità per rendere omaggio ad un materiale bello e povero come il laterizio. 5 I blocchi della distribuzione nelle parti terminali del fronte L’ingresso lungo via Pescarotto 14 progettare 0115 profilo, come Giò Ponti e Gino Valle che hanno rispettivamente firmato il Liviano e la Facoltà di Psicologia. Oltre ad essere presenza urbana rigeneratrice, la specificità del «Fiore» è insita nella sua concezione semantica dello spazio che interpreta il programma in sintonia con la cultura della ricerca e della formazione del futuro. La planimetria consiste in cinque edifici disposti a raggiera che si affacciano su di un invaso circolare lungo cui corre la distribuzione ai quattro piani, dove si trovano i laboratori e le aule didattiche. Un impianto che segue la lezione kahniana degli spazi serviti e di servizio che prevede i blocchi scala inseriti, in modo autonomo, tra i volumi funzionali e alla base del semicerchio lungo le fasce terminali del prospetto d’ingresso. In un edificio complesso come un Polo universitario, la chiarezza dei percorsi è fondamentale per facilitare il flusso degli utenti; nel caso del «Fiore», questa leggibilità del wayfinding diventa anche linguaggio architettonico. Le torri strette dei vani scala ritmano infatti la scansione dei prospetti, l’alternarsi dei pieni e dei vuoti, i rapporti di scala dei volumi laterizi. L’elemento ad avere maggiore connotazione metaforica è però l’atrio pluripiano che riveste il ruolo di «agorà pubblica», simbolicamente centrale e 6 7 In quest’opera, l’Ateneo ha investito il massimo impegno di risorse, competenze e passione. In un periodo in cui portare a termine grandi opere è sempre più difficile, l’Università di Padova può rivendicare con orgoglio di saper raggiungere con coerenza i propri obiettivi. Cinque sono i petali del nostro Fiore e cinque i suoi obiettivi: funzionalità, economicità, flessibilità, sicurezza e, naturalmente, bellezza. Il nuovo Polo didattico “Fiore di Botta” ospiterà i corsi di laurea triennale e magistrale per i 4.500 studenti di area biologica e biomedica e sarà in grado di erogare 22.000 ore di didattica frontale e 33.000 ore di laboratorio sperimentale per anno accademico. L’edificio vanta 1.400 apparati audiovisivi comandati da un sistema di building automation. Non mancano diffusori acustici che assicurano qualità molto elevata di riproduzione e totalmente made in Italy. Un edificio pilota ad alta tecnologia, che promuove la ricerca e anche la sostenibilità con un sistema di pannelli fotovoltaici in grado di garantire gran parte della copertura energetica. Giuseppe Zaccaria, Magnifico Rettore dell’Università di Padova Gerolamo Lanfranchi, Direttore del Dipartimento di Biologia 15 progettare 0115 Ouverture Il lucernario in copertura inonda di luce zenitale l’atrio e i percorsi della distribuzione I listelli in legno creano un elegante design lungo le fughe semicircolari delle balaustre 8 8 Il cuore dell’edificio è costituito da un ampio atrio inondato di luce da un imponente lucernario che taglia la copertura 9 Sezione 10 Dettaglio del fronte lineare dell’atrio d’ingresso che ricorda i tagli geometrici sui prospetti esterni in laterizio 11 Veduta dell’Atrio d’ingresso su cui si affaccia la distribuzione ai quattro piani dove si trovano 18 aule, 25 laboratori e due aule informatiche 12 Sull’atrio si affacciano i vani scala e i percorsi della distribuzione caratterizzati da balaustre con listelli in legno intervallati da vuoti equidistanti che concorrono ad un design dall’illusoria bicromia 13 I prospetti disegnano profonde linee d’ombra che evidenziano i nastri neri delle finestrature. Questi aggetti materici in laterizio servono anche a schermare i volumi in vetro retrostanti, contribuendo al risparmio energetico dell’edifico. Strategie rivolte invece alla produzione energetica riguardano l’impiego di pannelli fotovoltaici 9 10 11 illuminata dall’alto da un lucernario in copertura. La morfologia a ventaglio con la «piazza» al centro è una chiara sollecitazione alla massima condivisione dello spazio e, soprattutto, delle idee. Una condizione oggi indispensabile alla ricerca scientifica che enfatizza il valore del dialogo e della multidisciplinarità, sempre più al centro dell’innovazione biomedica. Non a caso, la multidisciplinarità è il prerequisito anche per il rinnovamento della gestione e del progetto ospedaliero che cerca di superare le vecchie logiche 16 progettare 0115 Il sistema di rivestimento è a doppia pelle o ad intercapedine areata con doppio sistema di fissaggio Gli aggetti del rivestimento schermano i fronti vetrati e concorrono al risparmio energetico dell’edificio 13 LA FACCIATA VENTILATA E IL SISTEMA DEI FISSAGGI «Il tipo di muratura utilizzata è a doppia pelle o ad intercapedine areata, per la quale sono stati previsti due tipi di fissaggio. Il primo sistema di fissaggio, ovvero di sostegno, prevede mensole in carpenteria metallica fissate alla struttura portante con tasselli in corrispondenza del cordolo marcapiano. Il secondo sistema di fissaggio, ovvero di ritenuta, collega le due pareti della muratura a doppio strato, in modo da creare un insieme più stabile e resistente, soprattutto all’azione del vento. Tale tipo di fissaggio è stato realizzato attraverso l’applicazione di elementi di tenuta puntiformi (graffaggi o clampe) in acciaio inox austenitico ( 18% cromo, 8% nichel). Nelle graffe è stato anche previsto un dispositivo a rondella per impedire il passaggio di umidità dallo strato esterno della muratura a quello interno. Sono stati previsti 3-4 tasselli al mq, secondo una maglia di 45 cm di altezza per 90 cm di larghezza, provvedendo a intensificare il numero in prossimità delle bucature o nei bordi liberi in corrispondenza di un giunto di dilatazione. Una volta fissato il tassello nella parete portante e collocato il manto di isolamento termico e acustico, si è proceduto a collocare la parte libera della graffa nella malta di allettamento dei mattoni del rivestimento esterno, eventualmente piegando la parte eccedente in modo da nasconderla nel giunto di malta». Davide Desiderio, SanMarco Terreal dipartimentali per approdare ad una visione olistica della persona in cui è il «malato», e non la «malattia», ad essere al centro della diagnosi e della cura. L’innovazione, nei suoi diversi momenti della ricerca, formazione specialistica e assistenza, ha quindi sempre più bisogno di spazi aperti e condivisibili, dove clinici, docenti, ricercatori e studenti possono incontrarsi all’insegna dell’interrelazione e dello scambio per il massimo avanzamento e diffusione della cultura scientifica. Con questo spirito, il «Fiore» arricchisce l’Ateneo e interpreta con appropriatezza formale e contemporaneità di linguaggio i temi della cultura biomedica avanzata. Senza cadere in avulsa firma autoreferenziale, Botta coniuga la poetica della memoria con le aspettative del futuro in un’opera che appartiene all’Università e alla città di Padova con innovativa identità. © RIPRODUZIONE RISERVATA www.progettarearchitettura.it/PENLf 12 17 progettare 0115