ALBERTO BARAUSSE, CARLA GHIZZONI, JURI MEDA
EDITORIAL
«IL CAMPANILE SCOLASTICO»
REVISITING THE LOCAL DIMENSION IN HISTORICAL-EDUCATIONAL RESEARCH
EDITORIALE
«IL CAMPANILE SCOLASTICO»
RIPENSANDO LA DIMENSIONE LOCALE NELLA RICERCA STORICO-EDUCATIVA
Riflessioni generali
L’idea di proporre un numero monografico sul tema della dimensione locale nella
ricerca storico-educativa è nata dalla volontà di riflettere su alcune considerazioni
di carattere generale proposte in questi ultimi anni da coloro che, tra gli storici
dell’educazione, hanno preso in esame il valore euristico di tale dimensione nell’ambito
della storia dell’educazione. In particolar modo, è utile richiamare quanto affermato
dal compianto Davide Montino in uno studio pubblicato postumo nel 2011:
Una storia della scuola e delle istituzioni educative, oggi, che voglia essere complessa, al
tempo stesso attenta sia alle dinamiche politiche ed istituzionali, sia alle culture scolastiche
che si sono intrecciate ed accavallate nel tempo, con tutte le loro implicazioni sociali e antropologiche non può non tenere anche conto di un punto di vista più vicino alle tante (micro)realtà in cui si dipana il concreto realizzarsi del processo della scolarizzazione italiana
in età contemporanea. […] Se consideriamo tutti gli attori del processo di scolarizzazione,
abbiamo una storia che non è né semplice né lineare. Anzi si rivela una storia di conflitti e
resistenze, in primo luogo tra centro e periferia, poi tra spazio pubblico (lo Stato) e spazio
della comunità, tra l’interesse collettivo e l’interesse privato (famiglia) e tra la modernità e la
tradizione (Montino 2011, 126).
Gli studi di carattere locale hanno radici lontane nel campo della storia della scuola
italiana. In più di un’occasione, gli storici dell’educazione italiani hanno richiamato le
radici ottocentesche delle prime indagini avviate con evidente impronta positivistica e
quelle primonovecentesche sviluppate dal gruppo di studiosi raccolti intorno a Luigi
Credaro e alla «Rivista Pedagogica». È noto come quelle prime spinte siano state
soffocate dall’affermazione del paradigma neoidealistico e che, solo nella storiografia
dell’educazione italiana degli ultimi decenni, è venuto meno tale predominio, anche
in seguito alla crisi dello storicismo e del marxismo e all’avanzamento dello strutturalismo. Conseguentemente, da qualche tempo, anche la storia dell’educazione e
quella delle istituzioni scolastiche sembrano aver capitalizzato le suggestioni mosse
Rivista di storia dell’educazione, 1/2018, pp. 7-14
ISSN 2384-8294 – doi 10.4454/rse.v5i1.147
Corresponding author:
Alberto Barausse (Università del Molise),
[email protected]
Carla Ghizzoni (Università Cattolica Sacro Cuore Milano),
[email protected]
Juri Meda (Università di Macerata),
[email protected]
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dal mutamento del paradigma storiografico prodotto dalla scuola delle «Annales» e
dalla nouvelle histoire, dalla storia sociale e quella materiale, dalle indagini che hanno
incrociato le prospettive degli storici con quelle degli antropologi, che hanno prestato
attenzione ai ceti subalterni e alle loro testimonianze (Le Goff 1977); come pure gli
stimoli indotti dallo sviluppo del filone storiografico della microstoria (Burke 2008),
che più di altri – a partire dalle indagini di Edoardo Grendi (1977), Carlo Ginzburg
(1976) e Giovanni Levi (1981) – ha creato le condizioni per un ripensamento in senso
locale anche della ricerca storico-educativa.
In realtà le indagini storiche sulla scuola condotte a livello locale in Italia sembrano
aver attinto nuova e ulteriore linfa dall’incontro con il rinnovamento storiografico
seguito allo sviluppo degli studi sulla storia della cultura scolastica piuttosto che dalle
suggestioni della microstoria, i cui esiti sono stati raccolti isolatamente all’inizio degli
anni Ottanta del secolo scorso (Ulivieri 1985). Esistono, insomma, interessi scientifici
di lunga durata ancorati alla dimensione locale che solo attraverso un’ampia illustrazione sarebbe possibile mettere in luce. Ma non può essere questa la sede per una
rassegna storiografica relativa alla dimensione locale della ricerca storico-scolastica,
per la quale ci sarebbe bisogno di uno spazio più ampio, necessario a compiere una
ricognizione specifica, ricollegandosi a quanto già sviluppato sia in altri contributi di
carattere eminentemente storiografico (Ballone 1992; Barausse 2008; Bianchi 2001;
Cambi 1990; Cives 1999; D’Ascenzo 2016; De Fort 2002; Ragazzini 1990; Ricuperati
1982; Ricuperati e Roggero 1978; Sani e Tedde 2003; Soldani 1997; Ulivieri 1983),
sia nei numerosi studi che hanno scandagliato il panorama delle ricerche locali (per
una recente analisi si rinvia a: D’Ascenzo 2016). Ci si limiterà qui a ricordare che il
rilancio delle indagini a livello locale è maturato grazie alle suggestioni e al confronto
avviato tra la fine degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta con la storiografia educativa europea di matrice francese (Julia 1995 e 1996), belga e anglosassone
(Depaepe e Simon 1995; Grosvenor, Lawn e Rousmaniere 1999) e successivamente
iberica (Escolano 2000 e 2007; Vinão Frago 2012). In quel contesto si sono poste le
basi per la promozione di un’indagine storico-educativa che fosse in grado di superare
le prospettive offerte dalle più tradizionali storia delle idee, storia delle istituzioni o
storia sociale quantitativa per pervenire a una storia della cultura scolastica capace
di fare luce su dimensioni generalmente trascurate, come gli aspetti più interni della
vita scolastica, quelli relativi alle pratiche didattiche o ai protagonisti della relazione
educativa. Il tema della dimensione locale della ricerca storico-scolastica contraddistingue quindi un approccio e un esercizio storiografici coltivati anche in altri contesti
nazionali. In tal senso si possono richiamare – come fa Justino Magalhães nel suo
contributo – alcuni tra i molteplici lavori condotti in area lusofona riconducibili alla
valorizzazione della tematica locale.
Ci è parso, dunque, che – di fronte alle spinte per un ulteriore rinnovamento della
storiografia educativa – fosse indispensabile rilanciare l’analisi della dimensione locale
della ricerca storico-scolastica, ponendosi alcuni interrogativi fondamentali.
Innanzi tutto, ci si è interrogati sull’utilità di una storia locale della scolarizzazione
in rapporto alla storia generale e sulle ragioni di una riduzione di scala dell’oggetto di
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studio, al fine di comprendere se fosse questo stesso oggetto ad esigere un approccio
microanalitico. Si è voluto proporre all’attenzione degli storici dell’educazione una
serie di ricerche che contribuisse a mettere in discussione l’assunto che ha accompagnato per decenni le ricostruzioni storico-scolastiche frutto di un pregiudizio ideologico – come già osservava Montino – secondo il quale la dimensione nazionale dell’istruzione pubblica implicherebbe che le vicende scolastiche non possano che essere
lette su scala nazionale. Non v’è dubbio alcuno – infatti – che l’approfondimento delle
vicende scolastiche locali possa contribuire a trovare conferme o meno degli assunti
elaborati dalla storiografia nazionale, così come a individuare continuità o discontinuità rivelatrici di composizioni sociali, interessi economici e resistenze culturali non
conciliabili con schematizzazioni e periodizzazioni generiche. L’esame della dimensione locale risulta allora fondamentale per verificare sul campo, a livello di comunità
e territorio, l’andamento di fenomeni più generali.
È altrettanto vero che certi filoni di ricerca esigono di essere studiati da una prospettiva eminentemente locale. Se ci si interessa, ad esempio, alla circolazione dei libri
di testo, è necessario scandagliare gli archivi scolastici e le biblioteche presenti sul
territorio, al fine di comprendere quali manuali circolassero e fossero adottati nelle
scuole in un determinato periodo; né si potrà prescindere dalle dinamiche territoriali
di carattere editoriale e industriale che alimentarono l’espansione della scolarizzazione. Ovvero, come già osservato da D. Montino, potremmo dire che «l’analisi a
livello locale o micro si impone laddove vogliamo avvicinare gli uomini e le donne
che concretamente hanno vissuto certi processi storici. Se vogliamo misurare la vita
quotidiana, gli immaginari, le paure e le speranze, le strategie di sopravvivenza, le
resistenze e le lotte, le culture diffuse, le forme di appartenenza così come sono state
esperite nella realtà di vite, lavori e professioni, dobbiamo definire orizzonti di studio
ben delimitati, precisi e localizzati» (Montino 2011, 11).
La centralità della dimensione locale ci è parsa tanto più rilevante in quanto i recenti processi di internazionalizzazione della ricerca storico-educativa stanno mettendo
in evidenza i rischi derivanti dal superamento del paradigma nazionale e/o nazionalistico. Di qui l’esigenza di riproporre ed estendere su scala globale l’approccio
locale per l’analisi di fenomeni come i processi di scolarizzazione, specifici dell’età
contemporanea, che non possono prescindere dai rispettivi contesti nazionali i quali
costituiscono, a loro volta, i micro-contesti geografici nei quali si articola il processo di
scolarizzazione su scala globale. L’obiettivo è quello di giungere ad una “storia molecolare della scuola”, la quale – pur partendo dall’analisi del microcosmo locale – non
si chiuda entro gli angusti confini dell’erudizione locale, ma si ricolleghi al più generale contesto politico, sociale, culturale ed economico e si fondi sull’ampio spettro di
fonti sondato dalla storiografia educativa negli ultimi due decenni.
Proprio riflettendo sulla dimensione locale della ricerca storico-scolastica Justino
Magalhães ricorda all’interno del presente monografico come l’istituzione scolastica –
con le sue specificità, la sua rappresentazione, la sua appropriazione – costituisca un
veicolo di modernizzazione soggetto a un processo di mondializzazione. Lo studioso
portoghese sottolinea come interi gruppi sociali, nonché singoli individui, includano
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la scuola nella propria quotidianità e nei propri orizzonti di vita con tempi e modalità
estremamente diversificati, nonché diversi gradi d’istruzione. Da ciò consegue che –
nel momento in cui la scuola è fatta oggetto di molteplici contestualizzazioni storiche
– l’approccio microstorico è l’unico in grado di consentire una analisi approfondita
della realtà e una visione meno monolitica, più duttile e multisfaccettata.
Ci sembra questo uno degli esiti più rilevanti di questo numero monografico, come
pure di alcuni testi inseriti nelle sezione miscellanea, caratterizzati dalla presentazione
di esperienze educative condotte in ambito locale in Spagna, Francia, Italia, Brasile,
Portogallo, Argentina e Bosnia-Erzegovina.
Presentazione del numero monografico
I saggi contenuti in questo monografico puntano dunque a raccontare vicende particolari che aiutano, però, a comprendere fenomeni più ampi e generali. Pur illustrando specifici casi di studio, essi hanno la «pretesa di poter essere letti come esempi
particolari di temi più generali» (Montino 2011, 9), senza per questo incorrere nel
rischio del particolarismo
La dimensione locale appare prolifica, ad esempio, sul versante della storia della cultura scolastica, della professione magistrale e della percezione sociale dell’insegnante
in Italia tra Otto e Novecento, come è possibile constatare negli approfondimenti
proposti da Mirella D’Ascenzo, Marcella Bacigalupi e Maria Cristina Morandini, che
mostrano come – attraverso l’analisi delle fonti conservate negli archivi storici locali –
sia possibile scandagliare la formazione, il reclutamento e il percorso professionale di
singoli insegnanti, al di là dei modelli in vigore per l’intero corpo docente.
L’approccio metodologico adottato in questa sede risulta ricco di spunti di riflessione anche in ordine alla funzione di nazionalizzazione affidata alla scuola primaria
e secondaria nei diversi contesti presi in esame, in quanto, tra l’altro, consente di
mettere in luce gli eventuali ostacoli incontrati e le modalità attraverso le quali si cercò di superarli. Significative in tal senso le considerazioni relative alla dialettica tra le
esigenze avanzate dal centro e quelle espresse dai singoli contesti locali. Gli studi relativi al ruolo del personale ispettivo francese, analizzato da Jean-François Condette, e
all’organizzazione dei tempi scolastici nel microcosmo sardo esaminato da Fabio Pruneri dimostrano che il tentativo di imporre a livello locale modelli culturali e organizzativi uniformi incontrarono forti opposizioni, determinando tentativi di adattamento
e/o applicazioni parziali, accolte solo al fine di non mettere in discussione quelle che
erano ritenute delle priorità nazionali. Non a caso, il contributo di Pruneri indulge
sul dibattito relativo all’introduzione del calendario scolastico come strumento di organizzazione del tempo scolastico, intorno al quale emersero tensioni tra le richieste
avanzate dagli insegnanti e le esigenze delle comunità locali.
Gli adattamenti concepiti al fine di far coincidere gli orientamenti nazionali con le
specificità territoriali si riflettono anche nelle dinamiche che vedono coinvolti amministratori scolastici e/o politici locali. Su tali dinamiche si soffermano i saggi relativi a
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specifiche istituzioni educative, come il collegio poi liceo di Saint-Étienne studiato da
Solenn Huitric, il collegio destinato a formare i ceti dirigenti brasiliani esaminato da
Rosa Fátima de Souza e Carlos Alberto Diniz o anche la scuola rurale Butantan analizzata da Diana Gonçalves Vidal e da Ariadne Lopes Ecar. Nel primo caso le problematiche
poste dalla concorrenza fra strutture secondarie vicine o private determinarono la messa
in campo di strategie diversificate da parte dei diversi attori istituzionali coinvolti; nel secondo caso, invece, emerge il confronto tra istituzioni locali all’indomani della creazione
del primo ginnasio statale aperto a Matâo sulla scia dell’impulso fondamentale garantito
all’istruzione pubblica dalle amministrazioni comunali; nell’ultimo, infine, si nota come
proprio la concentrazione su un’area del tutto marginale sia in grado di mostrare la
valenza su scala globale dell’espansione delle pratiche didattiche legate alla diffusione
delle proposte pedagogiche attivistiche provenienti dalle scuole nuove.
L’approccio locale può contribuire a dar conto della molteplicità di fattori che storicamente incisero su alcuni fenomeni di grande rilievo, come ad esempio quelli della
nazionalizzazione/denazionalizzazione o quelli di fascistizzazione/defascistizzazione
della scuola italiana. In tal senso, le analisi condotte in contesti diversi da María de
los Milagros Pierini – inserito nella miscellanea – e Annemarie Augschöll, da un lato,
e quelle di Brunella Serpe, Fabio Stizzo e Fabio Targhetta, dall’altro, appaiono molto significative. Il bacino periferico argentino di Santa Cruz costituisce un campo di
indagine estremamente interessante per cogliere le resistenze e gli ostacoli incontrati
dalle scuole nel processo di nazionalizzazione imposto dai gruppi dirigenti argentini
a partire dalla fine dell’Ottocento. Le vicende che invece accompagnarono il processo di italianizzazione delle scuole del piccolo centro di Chiusa alla fine della Prima
guerra mondiale rappresentano la cartina di tornasole della rilevanza della dimensione micro-scolastica per puntuali verifiche delle dinamiche ideologiche sviluppatesi
nell’ambito dei processi di nazionalizzazione e denazionalizzazione che investirono
le comunità altoatesine al termine di quel conflitto. I microcontesti del borgo calabrese di Ferruzzano e di Padova risultano emblematici delle capacità di adattamento
opposte a livello locale alle pressanti spinte conformistiche provenienti dal centro e
sono in grado di fornire nuovi interessanti sviluppi. In particolar modo, il contributo
di Targhetta ci introduce allo studio del processo di defascistizzazione del personale
scolastico, tanto di quello dirigente quanto di quello insegnante, in una fase storica
assai complessa e – attingendo alla normativa e ad alcuni fondi archivistici ancora inesplorati – contribuisce a spiegare le complesse ragioni che determinarono l’inefficacia
delle procedure epurative.
Altrettanto significativo ci è parso l’approccio locale per un altro ambito di ricerca, ovvero quello relativo alla cultura materiale e all’editoria scolastica. Il contributo
di Alexandra Lima da Silva prende le mosse da un altro particolare contesto urbano, quello carioca, per focalizzare l’attenzione sulla circolazione dei libri di testo e
il ruolo dell’editoria nell’espansione dell’istruzione, attraverso lo studio di cataloghi
commerciali, almanacchi editoriali e annunci pubblicitari, ma anche diari e memorie.
Questa tendenza è confermata anche dal saggio di Wiara Rosa Alcantara, pubblicato
all’interno della sezione miscellanea del presente numero, che – prendendo in esame
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il contesto paulista – getta nuova luce sulle procedure amministrative e sulle dinamiche economiche relative all’acquisto di sussidi didattici e materiali per l’insegnamento
delle scienze naturali nella capitale dello Stato di São Paulo alla fine del XIX secolo,
e documenta come gli interessi commerciali delle ditte produttrici di questi oggetti
abbiano contribuito allo sviluppo della scolarizzazione di massa.
Sulle problematiche relative alla modernizzazione delle pratiche didattiche si concentra, invece, lo studio di Valeria Viola dedicato alla nascita e allo sviluppo del Museo artistico e industriale di Baranello, destinato alla formazione degli artigiani, un
settore di studi ancora poco studiato nel nostro Paese.
Non meno ricco di stimoli e suggestioni appare l’articolo di Antonio Viñao Frago
e Maria José Martinez Ruiz-Funes, i quali hanno scelto il caso della scuola di Nostra
Signora di Bonanova di Barcellona per verificare il difficile rapporto tra tradizione e
modernità nella rappresentazione collettiva che del proprio istituto intendevano offrire i padri lassalliani attraverso le cartoline fotografiche postali impiegate come veri e
propri mezzi pubblicitari.
Se è vero – come abbiamo detto – che la dimensione locale costituisce un punto
di vista privilegiato per verificare le caratteristiche assunte da diversi processi che
caratterizzano la parabola storica dell’istruzione, sarebbe tuttavia un errore ridurre la
storia della scuola nel suo complesso a una dimensione locale. Gli articoli qui raccolti
dimostrano infatti come lo studio delle questioni che hanno maggiormente caratterizzato lo sviluppo dei processi di scolarizzazione non possa prescindere dall’analisi dei
condizionamenti dei rispettivi contesti nazionali o sovranazionali. Al tempo stesso,
essi ben esemplificano come l’approccio locale arricchisca quelle ricostruzioni storiografiche che puntino a porre in relazione dialettica la dimensione nazionale con
quella locale e finanche con quella sovranazionale. Per questo motivo, questo numero
monografico si contraddistingue per un approccio comparativo, che cerca di mostrare
come il taglio locale possa aiutare a fare ulteriore luce sui processi di scolarizzazione
che hanno connotato la contemporaneità a livello globale, senza scadere nel localismo
ed evitando al contempo generalizzazioni di carattere sociologico.
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