RIVISTA DI CULTURA
CLASSICA E MEDIOEVALE
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Pubblicazione semestrale fondata da
E T TORE PARATORE · CIRO GIAN N E LLI · GUSTAVO VINAY
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Liana Lomiento, Università di Urbino Carlo Bo, i
Redazione
Luigi Bravi, Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara, i
Giovanna Pace, Università di Salerno, i
Comitato scientifico
Simona Antolini, Università di Macerata, i · Federica Bessone, Università di Torino, i · Umberto
Bultrighini, Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara, i · Tommaso di Carpegna Falconieri,
Università di Urbino Carlo Bo, i · Manuel Castiñeiras, Universitat Autònoma de Barcelona, e ·
Emanuela Colombi, Università di Udine, i · Roberto M. Danese, Università di Urbino Carlo Bo, i ·
Fulvio Delle Donne, Università della Basilicata, i · Grazia Maria Fachechi, Università di Urbino
Carlo Bo, i · Paolo Garbini, Sapienza Università di Roma, i · Massimo Gioseffi, Università di
Milano, i · Benoît Grévin, Centre National de la Recherche Scientifique cnrs - Laboratoire de Médiévistique Occidental de Paris, f · Marek Thue Kretschmer, Department of Historical Studies,
ntnu, Trondheim - Norway, n · Pauline Le Ven, University of Yale, usa · Irad Malkin, Tel Aviv
University, il · Gernot Michael Müller, Katholische Universität Eichstätt - Ingolstadt, d · Bruna
M. Pa lumbo†, Sapienza Università di Roma, i · Alexa Piqueux, Université de Paris Nanterre, f ·
Carmela Roscino, Università di Bari Aldo Moro, i · Helmut Seng, Universität Konstanz, d · Christine Walde, Johannes Gutenberg Universität Mainz, d · Clemens Weidmann, Universität Wien, a
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CLASSICA E MEDIOEVALE
anno l x i i i · nu me ro 2 · lu g l i o- di c e m b r e 2 021
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SOMMARIO
Vittorio Citti, Ricordo di Carlo Odo Pavese
349
letteratura greca
Loredana Di Virgilio, Antiche e moderne colometrie di Ar., Ra., 1264-1277 e
1284-1295
Marco Dorati, Narratologia e storiografia: le indicazioni di fonti erodotee
Daniele Fusi, Introducing Chiron, a Full-Stack Framework for Metrical Analysis. Part 2 - Data Interpretation
Livio Sbardella, Alter Hesiodus. Osservazioni sull’epilogo degli Aitia callimachei
Valentina Caruso, Gli Eraclidi di Eschilo
355
373
407
433
453
letteratura latina
Giacomo Amilcare Mario Ranzani, I discorsi come elemento di caratterizzazione dei personaggi e come strategia narrativa nel de bello Gallico di
Cesare
473
tra epigrafia e letteratura
Giovanna Di Giacomo, Tempi, attori e luoghi dell’Ars gemmaria in Roma
tra epigrafia e letteratura
499
letteratura medioevale e umanistica
Marco Petoletti, Venezia in guerra sulla terraferma nella poesia latina della
prima metà del Trecento
521
Vittoria Vairo, La riscoperta di Pausania nel Rinascimento. Stephanus Niger
551
e l’eredità di Demetrio Calcondila
riscritture dell ’ antico
Giuliano Bascetto, Da uomini a donne. Equivalenze testuali tra le Baccanti
euripidee e la Þrymskviða eddica
579
note di lettura
Francesca Sivo, Schola cordis. Indagini sul cuore medievale
589
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348
sommario
schede e recensioni
Valeria Piano, Il papiro di Derveni tra religione e filosofia (Valentina Dardano)
Viola Gheller, «Identità» e «arianesimo gotico»: genesi di un topos storiografico (Ian Wood)
Massimo Catapano, Sesto Empirico e i tropi della sospensione del giudizio
(Flavia Palmieri)
Stefano Rebeggiani, The Fragility of Power: Statius, Domitian, and the
Politics of the Thebaid (Ludovico Pontiggia)
Vittorio Hösle, Ovids Enzyklopädie der Liebe. Formen des Eros, Reihenfolge
der Liebesgeschichten, Geschichtsphilosophie und metapoetische Dichtung in den
Metamorphosen (Ulrich Schmitzer)
Β ΑΪΟΣ Β ΑΪΟΠΟΥΛΟΣ , Οβίδιος, Ηρωίδες 18-19 (Λέανδρος και Ηρώ). Εισαγωγή-μετάφραση-σχόλια (Thomas Tsartsidis)
Homeric Receptions across Generic and Cultural Contexts, edited by Αthanasios
Efstathiou, Ioanna Karamanou (Vaios Vaiopoulos)
Rebecca Armstrong, Vergil’s Green Thoughts. Plants, Humans, and the Divine (Fulvio Vallana)
Ioanna Karamanou, Euripides, Alexandros. Introduction, Text and Commentary (Giulia Vitali)
Christopher S. Celenza, The Intellectual World of the Italian Renaissance.
Language, Philosophy, and the Search for Meaning (Stefano U. Baldassarri)
605
611
619
624
630
634
637
641
645
650
Sommario dell’annata 2021
655
Lista dei Referees 2019-2020
659
Norme redazionali
661
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A LTE R H E S I OD U S .
O S S ERVA Z I O N I S U L L’ E P I LO G O
D E GLI A I TI A C A L L I M ACH E I
Li v i o S ba r de l la
Abstract · Alter Hesiodus: remarks on the epilogue of Callimachus’ Aetia · There is an open
and complex critic debate on the epilogue of the Aetia (fr. 112 Hard. = 112 Pf.), concerning
both the reconstruction of the fragmentary text and its interpretation. Starting from
some of the most convincing proposals which have been suggested by the scholars for the
reconstruction of the text, this contribute focuses the exegetical analysis on two issues:
the function of the epilogue in the structural frame of the Aetia and its relationship with
the model represented by the Hesiodic poetry.
Keywords · Callimachus, Hesiod, Aetia, Epilogue.
Il fr. 112 Harder (= 112 PF.):
funzione strutturale e ricostruzione del testo
el frammentario testo tràdito degli Aitia di Callimaco, insieme al prologo
dei Telchini (fr. 1 Hard. = 1. Pf.) e al proemio del sogno (frr. 2 + 2a-j Hard. =
2 Pf. + lemmata) l’epilogo (fr. 112 Hard. = 112 Pf.) è una delle parti in assoluto più
discusse dalla critica moderna. Un filo rosso strutturale legava tra loro questi tre
luoghi poetici. Il prologo, che per i suoi contenuti di ampia portata polemica e
teorica non sembra concepito come un’introduzione ai soli Aitia quanto piuttosto come componimento d’ingresso a una raccolta ordinata degli scritti poetici
callimachei, o almeno di parte di essi, stabiliva comunque con gli Aitia un legame
diretto per ragioni di metro e di immediata contiguità nell’ambito della raccolta,
giustificando la posizione di preminenza attribuita al poema eziologico nell’ambito della sequenza degli scritti.1 I suoi quaranta versi, nel complesso piuttosto
D
[email protected], Università dell’Aquila, i.
1 L’ipotesi che il prologo dei Telchini fosse stato concepito in tarda età da Callimaco, il quale reiteratamente vi fa riferimento alla propria vecchiaia, per fungere da composizione introduttiva di una raccolta
degli scritti poetici curata dal poeta stesso risale a Rudolf Pfeiffer, Ein neues Altersgedicht des Kallimachos, «Hermes», lxiii, 1928, pp. 302-341, anche se lo stesso studioso, nei Prolegomena della sua successiva
edizione in due volumi dell’opera callimachea (Callimachus, ii, Hymni et Epigrammata, Oxford, Clarendon
Press, 1953, pp. xxxvi-xxxviii), si dice molto incerto, al di là della sequenza Aitia-Giambi (per cui vedi
oltre), su quale estensione e ordinamento tale raccolta potesse avere (il Papiro milanese delle Diegeseis,
PMilan. 18, rimanda a una sequenza Aitia - Giambi - carmi melici - Ecale - Inni, ma il resto dei testimoni manoscritti non conferma in senso univoco né questo insieme né questa successione); essa è stata contestata
da Alan Cameron, Callimachus and His Critics, Princeton, University Press, 1995, pp. 104-132 con argomenti tendenti a negare che il poeta alessandrino avesse compiuto l’operazione autoeditoriale, ma resta
https://doi.org/10.19272/202106502005 · «rccm», lxiii, 2, 2021
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434
livio sbardella
ben ricostruibili sulla base dalla tradizione diretta e indiretta, erano infatti ‘saldati’ al proemio del sogno da una sezione di raccordo e transizione che, con ogni
probabilità, doveva presentarsi come un’invocazione diretta alle Muse; questa è
andata quasi del tutto perduta, ma ne restano alcuni lemmi che si rintracciano
nei frammenti di un commentario antico (il cosiddetto Commentarius Oxoniensis,
POxy. 2262, fr. 1).1 Il proemio del sogno, che costituiva il vero e proprio incipit dell’opera eziologica, ne definiva la cornice narrativa.2 Di esso resta un unico malridotto brandello testuale (il fr. 2 Hard. = 2 Pf.) insieme ad altri lemmi ricavabili anch’essi da lacunosi passaggi dei commentari antichi (ancora il POxy. 2262, fr. 2 e il
PLit.Lond. 181, col. ii);3 per fortuna, però, l’unico frammento tràdito, unitamente
ad alcune testimonianze indirette, basta a darci una sicurezza: il poeta vi si presentava come un ‘nuovo Esiodo’ che incontrava in sogno le Muse sul Monte Elicona, in Beozia, e qui, nel contesto di una situazione che nei particolari resta per
noi indefinita, dava luogo ai dialoghi eziologici con le dee.4 Infine la sezione epinell’opinione generale della critica un’ipotesi molto fondata che spiega i contenuti del prologo meglio
della sua ‘riduzione’ a semplice prologo dei soli Aitia (per una visione di sintesi delle problematiche critiche concernenti il prologo si vedano, in particolare, Benjamin Acosta-Hughes, Susan A. Stephens,
Rereading Callimachus’ Aetia fragment 1, «CPh», xcvii, 2002, pp. 238-255, i commenti relativi di Giulio
Massimilla, Callimaco, Aitia. Libri primo e secondo, Pisa, Giardini, 1996, pp. 31-40 e Annette Harder,
Callimachus, Aetia, Introduction, Text, Translation and Commentary, ii, Oxford, University Press, 2012,
pp. 6-93, nonché il datato ma sempre valido saggio di Giovanni Benedetto, Il sogno e l’invettiva: momenti
di storia dell’esegesi callimachea, Firenze, La Nuova Italia, 1993, pp. 1-91).
1 Sulle diverse possibilità di ricostruzione della ‘saldatura’ tra prologo e proemio vedi ora Annette
Harder, Callimachus, Aetia, cit., ii, pp. 96-97; che si realizzasse nella forma di un’invocazione rivolta alle
Muse è stato dapprima supposto da Luigi Torraca, Il prologo dei Telchini e l’inizio degli Aitia di Callimaco,
Napoli, Libreria scientifica editrice, 19732, p. 74, poi argomentato da Arnd Kerkhecker, Ein Musenanruf
am Anfang der Aitia des Kallimachos, «zpe», lxxi, 1988, pp. 16-24, sulla base dei lemmi tràditi dal POxy. 2262,
fr. 1 (lemmi 2c dell’edizione di Harder = fr. 1a. 24-30, ii, p. 101 Pf., su cui si vedano anche Giulio Massimilla, Aitia. Libri primo e secondo, cit., fr. 2 «Musarum invocatio» e relativo commento, pp. 231-233, e Giovan Battista D’Alessio, Callimaco. Aitia, Giambi e altri frammenti, Milano, Rizzoli, 1996, p. 378, nota 26);
e per come tale invocazione si connettesse concettualmente da un lato al prologo e dall’altro al proemio,
nella finale organizzazione della raccolta poetica callimachea, vedi Livio Sbardella, La palingenesi del
poeta. Un nuovo concetto della ‘seconda giovinezza’ in Callimaco, fr. 1. 31-40 + 2 Mass., in Callimachea ii, Atti
della seconda giornata di studi su Callimaco, Università degli Studi di «Roma Tre» (12 maggio 2005), a cura di
Antonio Martina, Adele Teresa Cozzoli, Massimo Giuseppetti, Roma, Scienze e Lettere, 2012, pp. 53-82.
2 Per il quadro ricostruttivo generale e la bibliografia relativa rimando ai commenti di Giulio
Massimilla, Callimaco, Aitia. Libri primo e secondo, cit., pp. 233-246 (ad frr. 3-4) e Annette Harder, Callimachus, Aetia, cit., ii, pp. 93-117.
3 Si tratta dei lemmi 2a-b dell’edizione di Annette Harder, Callimachus, Aetia, cit.; come parte del
proemio, anziché di un’invocazione rivolta alle Muse che lo anticipava (vedi supra, nota 1), la studiosa
preferisce considerare anche i lemmi 2c, ipotizzando che segnassero la transizione al dialogo tra il poeta
e le Muse nella scena del sogno (ii, pp. 97 e 112-113); ma considerare il segno diacritico di coronis che segue
nel POxy. 2262, fr. 1 proprio al commento dei lemmi 2c (= fr. 1a, 24-30 Pf.) come un segno divisorio tra
parti coerenti dell’opera eziologica (il proemio distinto dal resto del poema) piuttosto che tra l’opera
eziologica e un’introduzione che strutturalmente non le apparteneva (il prologo e l’invocazione alle
Muse che funzionava da raccordo) non sembra una scelta convincente.
4 Resta aperta la discussione critica sulla ragione per cui Callimaco avesse scelto di convertire in esperienza onirica il modello esiodeo dell’incontro con le Muse sul Monte Elicona (vedi Annette Harder,
Callimachus, Aetia, cit., ii, p. 94): la spiegazione più articolata resta quella a carattere razionalistico data
dall’importante contributo di Roberto Pretagostini, L’incontro con le Muse sull’Elicona in Esiodo e in
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osservazioni sull ’ epilogo degli aitia callimachei
435
logica, che è quella di cui si tratterà in questa sede. Essa da un lato stabiliva un
rapporto ‘anulare’ di ripresa della situazione descritta nel proemio concludendo
la cornice dell’opera, dall’altro, se si ammette l’ipotesi del liber curato dall’autore,
garantiva raccordo e transizione con quanto seguiva nell’ordinamento della più
ampia raccolta poetica, svolgendo quindi anche una funzione strutturale ‘esterna’, complementare a quella del prologo. Gli elementi di fatto che ‘parlano’ in tal
senso sono tre. Innanzitutto i resti frammentari di questa sezione presentano evidenti richiami contenutistici e verbali al proemio del sogno. In secondo luogo il
testo del frammento è seguito nel papiro che lo trasmette (il POxy. 1011, fol. ii,
verso, ll. 1-10) dalla soscrizione «Aitia di Callimaco, libro iv», poi dal titolo «Giambi di Callimaco» e, quindi, dal testo dei primi cinque versi del Giambo i.1 Infine il
frammento si chiude con un verso in cui, come affermato dalla maggior parte
della critica, sembra potersi leggere un risvolto allusivo proprio alla raccolta della
poesia giambica.2 Fin qui quelli che si possono definire gli elementi di certezza o
di alta probabilità, anche se non sono mancati tentativi autorevoli di metterli in
dubbio.3 Tuttavia il fatto che si tratti solo dei versi finali della sezione epilogica, e
per di più lacunosi in alcuni punti, non rende chiaramente perspicuo il contesto e
ha dato luogo a vari tentativi di ricostruzione e di interpretazione in disaccordo
tra loro.
Callimaco: modificazioni di un modello, «Lexis», xiii, 1995, pp. 157-172, aggiornato in Idem, Studi di poesia
alessandrina ii. Forme allusive e contenuti nuovi, Roma, Quasar, 2007, pp. 13-25, che pure non ha mancato di
suscitare reazioni (vedi Gregorio Serrao, Note esegetiche ai due prologhi degli Αἴτια callimachei (frr. 1-2
PF.), «SemRom», i, 1998, pp. 299-311), ma c’è da chiedersi, e non necessariamente in alternativa, se la scelta
del poeta alessandrino non fosse motivata anche dalla volontà erudita di proporre un’implicita interpretazione in senso onirico del contesto esiodeo a cui si richiamava (come suggerisce ora anche Annette
Harder nel suo commento), giacché nel proemio della Teogonia la processione delle Muse che cantando
e danzando discendevano le pendici del monte beotico è detta avvenire di notte (v. 10 ἐννύχιαι στεῖχον)
e poteva quindi prestarsi all’idea che la visione notturna avvenisse in sogno, a prescindere dal fatto che
questa esegesi fosse giusta o meno; del resto che essa godesse di credito in alcuni autori antichi è rilevato
da Martin L. West, Hesiod. Theogony, Oxford, Clarendon Press, 1966, pp. 158-159 ad vv. 22-34, e nulla vieta che potesse autorevolmente risalire allo stesso Callimaco. Più probabile, tuttavia, che le fonti antiche
in cui trovava spazio l’interpretazione in senso onirico della scena esiodea, tutte di età posteriore a Callimaco, semplicemente risentissero della suggestione esercitata dalla ripresa callimachea dell’incontro
con le Muse.
1 Va inoltre ricordato che anche il Papiro milanese delle Diegeseis rimanda a una sequenza Aitia - Giambi (vedi supra, p. 433, nota 1).
2 Più debole l’ipotesi alternativa che il verso si riferisca alla volontà del poeta ormai anziano di smettere l’attività poetica per dedicarsi esclusivamente a quella erudita in prosa, sebbene sostenuta da vari
importanti studiosi (vedi i riferimenti in Giulio Massimilla, Callimaco, Aitia. Libri terzo e quarto, PisaRoma, Serra, 2010, pp. 519-520 ad fr. 215 e Annette Harder, Callimachus, Aetia, cit., ii, pp. 567-570).
3 Il fatto che la sezione epilogica non sia menzionata nel Papiro milanese delle Diegeseis ha indotto
Peter E. Knox, The Epilogue to the Aetia, «grbs», xxvi, 1985, pp. 59-65 a ipotizzare che essa sia stata spostata da un’originaria posizione che chiudeva i soli primi due libri degli Aitia alla fine dell’edizione aucta
in quattro libri (dallo stesso Callimaco, ipotesi poi rivista dallo stesso Peter E. Knox, The Epilogue to the
Aetia: An Epilogue, «zpe», xcvi, 1993, pp. 175-178 in favore di uno spostamento operato da un più tardo editore); Alan Cameron, Callimachus and His Critics, cit., pp. 143-173, coerentemente con la sua convinzione
che Callimaco non avesse curato alcuna raccolta dei propri scritti poetici, discute varie altre possibili ipotesi di interpretazione accogliendo infine quella di Peter Knox.
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436
livio sbardella
Non renderò conto dello status quaestionis nel suo complesso,1 ma passerò
direttamente a esporre e discutere la mia proposta di ricostruzione e di esegesi,
che va a inserirsi anch’essa nel complesso quadro delle possibili letture già offerte
e argomentate da altri illustri studiosi. Questo il testo del frammento come propongo di leggerlo, per le parti lacunose, sulla base di una serie di integrazioni già
avanzate da altri o con lievi ma significativi ritocchi alle proposte precedenti (l’apparato che segue serve solo a rendere conto delle proposte accettate):
ἀεί]δειν ὅτ᾽ἐμὴ μοῦσα τ[ε κωμ]άσεται·
‘Βάτ]του καὶ Χαρίτων [κηδεύτ]ρια, μαῖα δ᾽ἀνάσσης
ἡμε]τέρης οὔ σε, ψεῦδον [ἐπ᾽οὔνo]μά τι,2
πάντ᾽ἀγαθὴν καὶ πάντα τ[ελ]εσφόρον εἶπεν ὀπη[δό]ς3
κείν[ου] τῷ Μοῦσαι πολλὰ νέμοντι βοτά
σὺν μύθους ἐβάλοντο παρ᾽ ἴχν[ι]ον ὀξέος ἵππου·
χαῖρε, σὺν εὐεστοῖ δ᾽ἔρχεο λωϊτέρῃ’.
χαῖρε, Ζεῦ, μέγα καὶ σύ, σάω δ᾽[ὄλο]ν οἶκον ἀνάκτων·
αὐτὰρ ἐγὼ Μουσέων πεζὸν [ἔ]πειμι νομόν.
5
1 ἀεί]δειν Platt, τ[ε κωμ]άσεται Sbardella (τ[ι κωμ]άσεται già Coppola)
2 Βάτ]του Bignone, [κηδεύτ]ρια Coppola,
3 init. ἡμε]τέρης Murray, fin. [ἐπ᾽ oὔνoμα τι] Sbardella
([ἐπ᾽οὐνόματι] già Murray),
4 ὀπη[δό]ς Sbardella, ὀπη[δό]ν Gallavotti,
5 κείν[ου]
Pfeiffer,
8 [ὄλο]ν Hunt.
… cantare allorché la mia Musa farà parte del komos:
«protettrice di Batto e delle Cariti, nutrice della signora
nostra, non per una fama menzognera
buona in tutto e in tutto capace di portare frutto ti definì il seguace
di colui al quale le Muse, mentre pasceva numerose greggi,
rivolsero insieme parola presso l’impronta del penetrante cavallo.
Salve a te, e che tu venga (a noi) con prosperità ancora maggiore».
Un grande saluto anche a te, Zeus, preserva la casa dei miei signori.
Quanto a me, mi avvio verso il pascolo pedemontano delle Muse.
1 Rimando anche per questo agli esaustivi apparati critici e commenti di Giulio Massimilla, Callimaco, Aitia. Libri terzo e quarto, cit., pp. 510-521 ad fr. 215 e Annette Harder, Callimachus, Aetia, cit., ii,
pp. 855-870.
2 È il verso più complesso per la ricostruzione: leggo ψεῦδον come participio neutro riferito a οὔνoμα
in funzione aggettivale («non per una fama menzognera»); quanto al τι che chiude il secondo hemiepes
dell’elegiaco è inconsueto ma tollerabile per la sua natura enclitica che forma gruppo verbale con
οὔνoμα, e il suo allungamento per posizione reduplica simmetricamente quello del σε, anch’esso enclitico, alla fine del primo colon. Una ricostruzione alternativa che offre una soluzione metrica più comune
assumendo un senso sostanzialmente analogo, se intesa con valore incisivo assoluto, è quella proposta
da Carlo Gallavotti, ψεῦδον [ἔπος στό]ματι, «parola falsa per la / sulla bocca».
3 εἶπέν, con un accento d’enclisi segnato, è lettura di Lobel (riferita da Goffredo Coppola, Callimachus senex, «rifc», lviii, 1930, pp. 273-291: 274), ma non dell’editor princeps Arthur Hunt, come si evince
dalla trascrizione diplomatica nel vii volume degli Oxyrhynchus Papyri, p. 28; varie, inoltre, le proposte
di integrazione a seguire con parole non enclitiche avanzate da diversi studiosi: non è chiaro se l’accento
ci fosse sul papiro, e ammesso che ci fosse poteva essere erroneo.
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osservazioni sull ’ epilogo degli aitia callimachei
437
2. L’epilogo nel contesto dell ’ opera
Il verbo κωμάζομαι, accompagnato dalla congiunzione enclitica qui con valore
enfatico,1 stabilisce un rapporto con due diversi piani temporali: quello di un futuro auspicato e atteso, nel quale una terza persona definita «la mia Musa» farà
senz’altro parte di un komos, e quello di un presente narrativo che fa da sfondo alla
sezione epilogica e di cui, a mio avviso, è protagonista il poeta. La situazione che
lega questi due piani temporali, dunque, è quella di un komos a cui, come tutto lascia pensare, il poeta partecipa sul monte Elicona insieme alle Muse; in seno al loro collegio, infatti, il poeta era stato accolto in sogno nel proemio e a una Musa
per così dire aggiuntiva fa riferimento, con il futuro κωμάσεται, il primo verso lacunoso del frammento.
Normalmente tuttavia, nella realtà o nella finzione letteraria, un komos aveva
luogo come prosecuzione di un simposio.2 E questo porta in modo inevitabile a
porsi la questione di quale fosse il contesto più generale nel quale si svolgeva il
dialogo tra il poeta e le Muse introdotto dal proemio del sogno: è certo che tale
dialogo facesse da cornice ai primi due libri dell’opera, ma in quali specifiche circostanze si svolgesse non si ricava né dall’unico frammento tràdito del proemio
(fr. 2 Hard. = 2 Pf.) né dalle testimonianze indirette che lo menzionano.3
Secondo un’ipotesi avanzata da Barigazzi, l’incontro onirico tra Callimaco e le
Muse sul Monte Elicona prendeva la specifica forma di un simposio, nel corso del
quale si svolgeva il dialogo tra il poeta e le dee sui temi eziologici che costituivano
la sostanza tematica del poema, o almeno dei suoi primi due libri.4 La proposta di
1 L’integrazione τ[ε κωμ]άσεται parte dalla precedente proposta di Goffredo Coppola τ[ι κωμ]άσεται ma la modifica anche nel senso, poiché lo studioso italiano intendeva il verbo nel senso traslato di
«tripudiare» con l’accusativo di relazione τι.
2 Superflua in tal senso una rassegna dei ben noti luoghi sul komos presenti nelle fonti letterarie di età
arcaica e classica, dalla poesia lirica (elegiaca e melica) al teatro attico di v secolo (commedia e dramma
satiresco), fino alla prosa di età classica (storiografica e filosofica); di una prassi comune del komos come
prolungamento del simposio rende conto anche l’arte figurativa, in particolare l’iconografia ceramica
attica tra la fine del vi e tutto il v secolo a.C., che presenta varie raffigurazioni di comasti nell’atto di uscire dall’ambiente domestico in cui si svolgeva il simposio per la processione festosa all’aperto.
3 Per l’insieme di queste testimonianze si veda l’apparato critico al fr. 4 di Giulio Massimilla,
Callimaco, Aitia. Libri primo e secondo, cit., p. 71 e quello al fr. 2 di Annette Harder, Callimachus, Aetia,
cit., i, p. 126.
4 Adelmo Barigazzi, Saghe sicule e beotiche nel simposio delle Muse di Callimaco, «Prometheus», i, 1975,
pp. 5-56, secondo il quale, più precisamente, il poeta una volta condotto in sogno sul monte della Beozia
veniva lì invitato a partecipare insieme alle Muse a un «simposio» o «grande banchetto» (pp. 21-23), con
un’oscillazione tra i due termini del tutto ammissibile in relazione agli usi della cultura ellenistica, che
con ogni probabilità ai livelli sociali più alti aveva ridato impulso agli usi simposiali, ma senza quei connotati rituali, tipici della cultura di età arcaica e classica, che distinguevano il vero e proprio momento
simposiale da quello più largamente conviviale. Prima di Adelmo Barigazzi, già Alfred Körte, Literarische Texte mit Ausschluss der christlichen, «apf», x, 1932, pp. 19-70 aveva formulato un’ipotesi analoga, che
le Muse si manifestassero in un banchetto celebrato in loro onore sull’Elicona al quale partecipava il
poeta (p. 38); ma mi sembra più complessa e meno efficace strutturalmente di quella proposta dallo
studioso italiano.
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438
livio sbardella
Barigazzi è basata essenzialmente su due elementi indiziari. Il primo, e più
rilevante, è rappresentato dal molto discusso fr. 43 Hard. = 43 Pf. + 43a Hard., un
aition sulle fondazioni delle poleis siceliote collocabile nel secondo libro
dell’opera.1 I versi 12-17 ben ricostruibili grazie alla coincidenza con una citazione
di Stobeo (che li attribuisce appunto al secondo libro), pur nel lacunoso contesto
iniziale del componimento restituito dai testimoni papiracei (POxy. 2080, col. i, ll.
1-47 e POxy. 2210, fr. 16, ll. 1-12), danno voce a una persona loquens che fa riferimento
a un’occasione conviviale di cui ha ritenuto solo brevemente, in senso corporeo,
la parte prettamente materiale (corone, unguenti profumati e cibo), ma ha ancora
presente nella memoria quanto in essa fu detto e ascoltato dalle sue orecchie: per
lo studioso italiano chi parla è il poeta stesso con riferimento al contesto del banchetto/simposio nel corso del quale aveva colloquiato con le Muse e udito le loro
risposte («il poeta con un intervento personale commenta la scena del banchetto»).2 L’ipotesi è rafforzata da due lemmi trasmessi dal Commentarius Oxoniensis
per la sezione iniziale del proemio del sogno (fr. 2b Hard., lemmi 2 e 3 = 2a Pf. ll.
64-65), δαίσατε e πανθοιν[, che sembrano richiamare a un contesto conviviale.3
1 Anche in questo caso non rendo conto dell’ampia discussione critica relativa alla collocazione e alla
cornice di riferimento di questo frammento, limitandomi a rimandare agli esaustivi commenti di Giulio
Massimilla, Callimaco, Aitia. Libri primo e secondo, cit., pp. 320-324 (ad fr. 50) e Annette Harder, Callimachus, Aetia, cit., ii, pp. 299-311.
2 Un’ipotesi alternativa è quella secondo cui il fr. 43 faceva parte dello stesso contesto conviviale descritto nel fr. incertae sedis 178 Hard. = 178 Pf., il cosiddetto «banchetto di Pollide», per cui tutta la situazione del convivio reale ivi descritta sarebbe da collocare nel ii libro degli Aitia, come parentesi di narrazione del poeta nella cornice del dialogo con le Muse; essa è sostenuta da vari studiosi (per lo status
quaestionis si vedano Emanuele Dettori, Appunti sul “Banchetto di Pollis” (Call. fr. 178 PF.), in La cultura
ellenistica. L’opera letteraria e l’esegesi antica, Atti del Convegno cofin 2001, Roma «Tor Vergata» (22-24 settembre 2003), a cura di Roberto Pretagostini, Emanuele Dettori, Roma, Quasar, 2004, pp. 35-37 e il commento di Annette Harder, Callimachus, Aetia, cit., ii, pp. 953-957) e non mi sento di escluderla; ma, alla
luce di un’attenta disamina delle sue motivazioni troppo articolata da sviluppare in questa sede, non mi
appare più solida di quella avanzata da Adelmo Barigazzi: sono più incline a pensare, con altri (vedi Gregory O. Hutchinson, Hellenistic Poetry, Oxford, University Press, 1988, p. 44 n. 36 e Adrian S. Hollis,
Attica in Hellenistic Poetry, «zpe», xciii, 1992, pp. 1-15: 15), che il «banchetto di Pollide» trovasse collocazione nei libri iii o iv degli Aitia (anche se non all’inizio del iii libro, come supposto da Rudolf Pfeiffer,
Callimachus, i, Fragmenta, Oxford, Clarendon Press, 1949, p. 155 ad frr. 178-185 prima che l’evidenza della
tradizione papiracea collocasse lì la Victoria Berenices), e che i due banchetti, quello onirico con le Muse
e quello reale in casa di Pollide, coesistessero nell’opera e costituissero un ricercato elemento di simmetria strutturale con variatio tra la prima coppia di libri e la seconda, i cui precisi risvolti purtroppo sfuggono alla nostra conoscenza largamente incompleta del testo.
3 La principale obiezione posta dalla critica a questa ipotesi è che nessuna testimonianza antica sugli
Aitia sembra confermarla: se l’opera o parte di essa avesse avuto come cornice un convivio che coinvolgeva Callimaco insieme alle Muse, di una tale circostanza resterebbe memoria in qualche luogo della tradizione (vedi p. es. Giulio Massimilla, Callimaco, Aitia. Libri primo e secondo, cit., p. 321 ad fr. 50, 1-17). È
un argomento rilevante, al quale però si può controbattere che le testimonianze antiche, a parte riferirsi
genericamente alla situazione onirica in cui avveniva l’incontro del poeta con le Muse, non dicono nulla,
in alcun senso, su come tale incontro si articolasse; eppure un’articolazione circostanziale esso doveva
averla per fare da cornice narrativa a due interi libri del poema: la scena entro cui si svolgeva un dialogo
molto esteso e articolato doveva avere dei connotati specifici adeguati ai suoi contenuti. È chiaro dunque
che nelle fonti antiche a nostra disposizione c’è un difetto di informazione, probabilmente giustificato dal
fatto che la sovrastruttura onirica della narrazione tendeva a ‘oscurare’ quanto era subordinato ad essa.
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osservazioni sull ’ epilogo degli aitia callimachei
439
L’ipotesi di una cornice conviviale introdotta dal proemio, articolata nei primi
due libri del poema e poi ripresa a distanza nella sezione epilogica con una scena
di komos, per chiudere ad anello la struttura dell’opera in quattro libri, ritengo
dunque che si possa considerare in assoluto il miglior scenario ricostruttivo in accordo con gli elementi indiziari interni a nostra disposizione. Credo, inoltre, che
anche questa cornice fosse stata ispirata a Callimaco dalla riproposizione in senso
interpretativo del modello arcaico, ossia del proemio della Teogonia esiodea. Nel
proemio esiodeo, infatti, il rapporto tra il poeta e le Muse si presenta articolato in
due momenti (vv. 22-34):
αἵ νύ ποθ᾽ Ἡσίοδον καλὴν ἐδίδαξαν ἀοιδήν,
ἄρνας ποιμαίνονθ᾽ Ἑλικῶνος ὕπο ζαθέοιο.
τόνδε δέ με πρώτιστα θεαὶ πρὸς μῦθον ἔειπον,
Μοῦσαι Ὀλυμπιάδες, κοῦραι Διὸς αἰγιόχοιο·
‘ποιμένες ἄγραυλοι, κάκ᾽ἐλέγχεα, γαστέρες οἶον,
ἴδμεν ψευδέα πολλὰ λέγειν ἐτύμοισιν ὁμοῖα,
ἴδμεν δ᾽εὖτ᾽ἐθέλωμεν ἀληθέα γηρύσασθαι’.
ὣς ἔφασαν κοῦραι μεγαλοῦ Διὸς ἀρτιέπειαι,
και μοι σκῆπτρον ἔδον δάφνης ἐριθηλέος ὄζον
δρέψασαι, θήητον· ἐνέπνευσαν δέ μοι αὐδήν
θέσπιν, ἵνα κλείοιμι τά τ᾽ἐσσόμενα πρό τ᾽ἐόντα,
καί μ᾽ἐκέλονθ᾽ ὑμνεῖν μακάρων γένος αἰὲν ἐόντων,
σφᾶς δ᾽αὐτὰς πρῶτόν τε καὶ ὕστατον αἰὲν ἀείδειν.
Il primo, nell’ordine testuale, è rappresentato dall’uso del verbo ἐδίδαξαν del v. 22,
che descrive l’azione non momentanea, ma protratta nel tempo dell’insegnamenDebole nei suoi presupposti iperazionalistici è invece l’altro argomento di contestazione secondo cui il
fatto che ai vv. 12-17 del fr. 43 si parli di una dimensione materiale, fisica dell’atto conviviale (corone appassite e cibo digerito) mal si adatterebbe a un banchetto con le Muse (vedi da ultima Annette Harder,
Callimachus, Aetia, cit., ii, p. 302). Di contro mi pare che anche un altro dato pesi a favore dell’ipotesi di
Adelmo Barigazzi: nell’ordinamento strutturale dei primi due libri degli Aitia, quale si ricostruisce dai
frammenti, le Muse si alternavano nel rispondere alle domande del poeta (vedi in particolare Giulio
Massimilla, Callimaco, Aitia. Libri primo e secondo, cit., p. 33), il che poteva riprodurre in forma dialogica
l’uso tipicamente simposiale delle corone di canto. Inoltre, il tema del bere acqua di fonte, che doveva essere presente nel proemio del sogno in riferimento sia al protagonista della scena onirica, cioè Callimaco,
sia anche probabilmente al suo predecessore Esiodo, come si ricostruisce in particolare da un insieme di
testimonianze epigrammatiche greche e da alcuni luoghi dell’elegia latina di Properzio (per l’insieme di
queste testimonianze e la loro approfondita discussione rimando soprattutto a Giulio Massimilla, Callimaco, Aitia. Libri primo e secondo, cit., pp. 234-237 ad fr. 2), in che specifico contesto si inseriva? Si è pensato,
direi piuttosto genericamente, a un atto simbolico di iniziazione (così Athanasios Kambylis, Die Dichterweihe und ihre Symbolik, Heidelberg, Winter, 1965, pp. 23-30). Ma nella tradizione culturale greca sappiamo che l’acqua, anche se usata per abluirsi e non per bere, era parte del rituale di purificazione preliminare che segnava il passaggio dal momento conviviale all’atto sacrale del simposio; ed è anche possibile
che nel corso di una circostanza conviviale sul Monte Elicona le Muse invitassero Callimaco, così come
forse (sempre secondo quanto emergeva dal testo callimacheo) avevano già fatto in precedenza con Esiodo, a bere acqua pura anziché vino per varie possibili ragioni: a) perché a un convivio con le Muse non si
addiceva il consumo di vino; b) perché il poeta era ancora molto giovane quando le incontrò in sogno
(ἀρτιγένειος, «con la prima peluria sul viso», secondo ciò che attesta lo Scolio fiorentino, fr. 2d Hard. = i,
p. 11, Pf.); c) perché i contenuti del colloquio in quella circostanza richiedevano massima sobrietà.
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livio sbardella
to del canto da parte delle Muse: sebbene il valore puntuativo della voce verbale
sintetizzi l’azione come un fatto compiuto nel passato, le dee avevano istruito il
pastore all’arte del canto con un processo didattico. Il secondo è rappresentato, invece, dall’apparizione delle dee al poeta che, letto in una logica di hysteron / proteron rispetto all’ordine testuale, si può intendere come la rievocazione del primo
momento in cui le Muse apparvero al poeta istaurando con lui un rapporto didattico e, nello steso tempo, di riduzione sintetica di questo rapporto al suo effetto
finale:1 la conoscenza di un canto vero nei suoi contenuti, perché divinamente
ispirato, e il riconoscimento anche simbolico dello status di poeta per il pastore
eletto dalle Muse.2 Ricollocando nell’ordine logico questi due momenti, si poteva
quindi interpretare la scena esiodea e riproporla in forma variata come una
successione in cui a un primo contatto tra poeta e Muse, ossia all’epifania delle
dee, si faceva seguire un prolungato processo di insegnamento dei contenuti del
messaggio poetico: la circostanza nella quale la sezione proemiale degli Aitia riproponeva l’epifania era costituita dal sogno, quella in cui i primi due libri del poema riproponevano il processo didattico era invece il banchetto/simposio, un’istituzione che nella tradizione culturale greca aveva da sempre rappresentato un
luogo deputato sia ai processi educativi sia all’uso della poesia, in particolare proprio elegiaca, come mezzo per comunicare contenuti paideutici (nella situazione
del Sogno il poeta si rappresentava come giovane). Il dialogo in contesto conviviale diveniva così il modo callimacheo di circostanziare il processo educativo che
l’ἐδίδαξαν del testo esiodeo aveva lasciato indefinito nelle sue modalità.
1 In realtà, sono convinto (vedi Livio Sbardella, Le Muse, Esiodo e i rapsodi: Theog. 22-35 e la struttura
del proemio, in Esiodo e il corpus Hesiodeum. Problemi aperti e nuove prospettive, a cura di Andrea Ercolani,
Livio Sbardella, «SemRom», n. s. v, 2016, pp. 63-82) che la scena quale si è venuta a configurare nel proemio esiodeo a noi tràdito sia il frutto di una stratigrafia compositiva che ha sovrapposto due facies testuali
diverse; ma è chiaro che qui si deve guardare alla ricezione del testo esiodeo da parte del poeta erudito
ellenistico, che può aver anche ignorato questa stratigrafia.
2 Non mi soffermo sui complessi risvolti ideologici che Callimaco vedeva nel proemio esiodeo come
scena di investitura poetica e primo momento di affermazione esplicita dei contenuti di verità della poesia, soprattutto in rapporto alla sua scelta di praticare una poesia a carattere eziologico; essi sono stati
ampiamente evidenziati da un importante filone della critica moderna, da Athanasios Kambylis, Die
Dichterweihe und ihre Symbolik, cit., a Roberto Pretagostini, L’incontro con le Muse sull’Elicona in Esiodo
e in Callimaco, cit., fino a Richard Hunter in Marco Fantuzzi, Richard Hunter, Muse e modelli. La
poesia ellenistica da Alessandro Magno ad Augusto, Roma-Bari, Laterza, 2002, pp. 71-81 (solo per ricordare alcuni dei titoli più importanti). Una voce parzialmente dissonante è quella di Alan Cameron, Callimachus and His Critics, cit., pp. 362-386, che tende a ridurre i rapporti della poesia elegiaca di Callimaco, in
particolare degli Aitia, con il modello dell’epica rapsodica esiodea alla ripresa di espedienti strutturali e
formali e alla presenza della voce poetica nel tessuto della narrazione (i riferimenti del cantore a se stesso
nell’epos esiodeo, Callimaco personaggio dialogante con le Muse negli Aitia), svalutando invece gli
aspetti di concezione della poesia che l’autore alessandrino vedeva anticipati ed esaltava in quanto tali
nel modello arcaico; ma per un’analisi d’insieme delle forti consonanze tra la poesia callimachea e quella
attribuita a Esiodo, comprendendo non solo la Teogonia, ma anche gli Erga e il Catalogo delle donne, si
vedano anche Hannelore Reinsch-Werner, Callimachus Hesiodicus. Die Rezeption der hesiodeischen
Dichtung durch Kallimachos von Kyrene, Berlin, Nikolaus Mielke, 1976 e più recentemente Evina Sistakou,
Callimachus Hesiodicus Revisited, in Brill’s Companion to Hesiod, a cura di Franco Montanari, Antonios
Rengakos, Christos Tzagalis, Leiden-Boston, Brill, 2009, pp. 219-252.
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osservazioni sull ’ epilogo degli aitia callimachei
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3. La «mia Musa»
Si deve tuttavia considerare che l’insieme dell’opera, in quattro libri, di cui la sezione epilogica era posta a conclusione aveva un’articolazione strutturale diversa
tra la prima coppia di libri (i-ii), incentrata sulla cornice del dialogo onirico con le
Muse, e la seconda coppia di libri (iii-iv), dove questa cornice veniva meno in favore di un ‘esoscheletro’ encomiastico incentrato sulla figura della regina Berenice II: la Victoria Berenices (frr. 54-60j Hard., SH 254-261, 54-59 + 383 Pf.) e la Coma Berenices (frr. 110-110f Hard., 110 Pf.), rispettivamente all’inizio del libro terzo e alla
fine del quarto, aprivano e chiudevano la sequenza di componimenti eziologici
che non si inquadrava più nella situazione del dialogo con le Muse sul Monte
Elicona. La migliore spiegazione di questa differenza di struttura ritengo risieda
nell’ipotesi di una vicenda di composizione stratificata degli Aitia che si può così
sintetizzare:1
– una prima redazione dell’opera, che si componeva di materiali poetici riconducibili alla giovinezza e alla prima maturità dell’autore e che prese forma già negli anni a ridosso del 270 a.C., fu realizzata in due libri (libri i-ii). La sua cornice
strutturale era garantita dal costante modulo del dialogo tra il poeta e le Muse
introdotto nel cosiddetto proemio del sogno;
– una seconda redazione fu realizzata più tardi con l’aggiunta dei libri iii e iv, che
raccolsero materiali di composizione cronologicamente più avanzata rispetto
alla prima redazione, cioè altri carmi di struttura eziologica accumulati in modo progressivo dall’autore, e in origine probabilmente destinati a singole occasioni di performance e/o a circolazione scritta autonoma. Questo secondo blocco di materiali eziologici rinunciava alla cornice strutturale interna del primo,
ovvero il dialogo tra autore e Muse, ed era invece tenuto insieme da una semplice impalcatura eulogistica dedicata alla regina Berenice II: con richiamo anulare tra l’inizio del iii libro e la fine del iv, all’incipitaria Vittoria di Berenice faceva
da pendant la conclusiva Chioma di Berenice, due componimenti sicuramente posteriori al 246 a.C. (anno in cui la principessa cirenaica era divenuta regina
d’Egitto avendo sposato Tolemeo III). A quest’ultima fase di composizione si
deve anche il prologo dei Telchini.
Un sottile filo rosso, in realtà, si lasciava intravedere tra le due diverse scelte strutturali che segnavano, su una linea di evoluzione temporale e biografica, la prima
e la seconda parte dell’opera: la dimensione dell’ispirazione poetica abbandonava
la sfera onirica (libri i-ii) per entrare in quella reale di un rapporto vissuto (libri
1 Quest’ipotesi, formulata per la prima volta da Peter J. Parsons, Callimachus: Victoria Berenices,
«zpe», xxv, 1977, pp. 1-50, è ora accreditata anche da Annette Harder, Callimachus, Aetia, cit., i, Introduction, pp. 2-4; l’argomento in realtà è oggetto di un’ampia e complessa querelle critica sulla quale non
mi soffermo, rimandando anche in questo caso alle ottime sintesi di Giulio Massimilla, Callimaco, Aitia. Libri primo e secondo, cit., pp. 34-40 e Annette Harder, Callimachus, Aetia, cit., i, pp. 2-8.
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livio sbardella
iii-iv), la subordinazione paideutica rispetto alle precettrici divine legata alla
giovane età del poeta (libri i-ii) lasciava il posto al legame privilegiato tra un poeta
ormai maturo o anziano e una giovane regina sua conterranea (libri iii-iv), dalla
pluralità dei soggetti ispiranti si evolveva verso la singolarità (le Muse come collegio nei libri i-ii, la sola Berenice nei libri iii-iv). E l’insieme di queste linee di
sviluppo tendeva evidentemente ad accreditare il concetto – non possiamo dire se
in modo implicito o esplicito perché abbiamo comunque a che fare con contesti
poetici ampiamente frammentari – che la regina tolemaica consorte di Tolemeo
III fosse la nuova Musa, non più sognata ma vivente, della poesia callimachea, in
presenza della quale le nuove ‘verità’ eziologiche potevano prendere forma senza
più bisogno del precedente impianto di trasposizione dei loro contenuti sul piano
del contatto, ancorché fittizio, col mondo divino.1
La sezione epilogica, affinché avesse senso in relazione a tutti e quattro i libri
del poema, doveva garantire all’opera un ‘finale’ che si riallacciasse a entrambe le
linee strutturali adottate nelle due metà, ovvero da un lato a quella del dialogo
onirico con le Muse nei libri i e ii, dall’altro a quella del rapporto privilegiato del
poeta con la regina Berenice II che si traduceva in un esordio e in un finale a carattere encomiastico dei libri iii e iv.2 E questo rende altamente probabile che il
soggetto a cui si riferisce il primo verso leggibile del fr. 112, la «mia Musa», sia la
regina Berenice II, elevata nei libri iii e iv al rango di ‘nuova’ Musa ispiratrice della
poesia eziologica prodotta nella fase più matura della vita del poeta: l’aggettivo
possessivo «mia» indica una dimensione epicorica della Musa che la rende vicina
e accessibile al poeta, diversamente dalle dee che aveva incontrato solo nella
dimensione del sogno sul lontano Monte Elicona.3 L’uso del verbo κωμάσεται
tuttavia, accompagnato dalla congiunzione enclitica con valore enfatico, tende a
1 L’Epigramma callimacheo 51 Pf., nel quale una Berenice regina tolemaica (non si specifica quale) è
presentata come quarta nel gruppo Grazie (Charites), in aggiunta alle tre tradizionali, viene comunemente interpretato come un componimento ecfrastico ispirato a un’opera d’arte (dipinto o gruppo marmoreo), ma potrebbe in realtà riferirsi proprio a Berenice II ed essere una figurazione del processo di
composizione che interessò gli Aitia nella loro interezza: alle tre Grazie celebrate nel primo aition della
prima coppia di libri (frr. 3-7b Hard. = 3-7 Pf.) si aggiungeva la quarta, Berenice, celebrata come la Grazia
(Charis) dei libri iii e iv (è un’ipotesi di Ivana Petrovic, Andrej Petrovic, Stop and Smell the Statues.
Callimachus’ Epigram 51 Pf. reconsidered (four times), «md», li, 2003, pp. 179-208 favorita anche da Annette
Harder, Callimachus, Aetia, cit., i, p. 7). Ciò aggiungerebbe un ulteriore elemento di continuità e al tempo stesso di variatio tra la prima e la seconda parte dell’opera, con Berenice che assommava in sé non
solo l’identità della nuova e unica Musa, ma anche quella della nuova e unica Grazia (Charis).
2 Come sottolinea Annette Harder, Callimachus, Aetia, cit., i, p. 7, «the evidence suggests that the
final redaction of the Aitia was more than a mechanical framing of the dialogue with the Muses and the
later aitia and that, in fact, a new overall composition come into being in which the elements were carefully arranged and introduced so that the work’s ‘message’ was subtly reinterpreted and adapted to the
new situation». E non c’è dubbio che anche l’epilogo doveva essere funzionale in tal senso.
3 L’ipotesi più accreditata (vedi anche Giulio Massimilla, Callimaco, Aitia. Libri terzo e quarto, cit.,
p. 512 ad fr. 215, 1 e Annette Harder, Callimachus, Aetia, cit., ii, p. 857 ad v. 1), per cui l’espressione «la
mia musa» avrebbe un valore astratto di riferimento all’ispirazione poetica callimachea, contrasta con
un contesto in cui tutti gli elementi della rappresentazione tendono ad assumere un valore concreto e
personificato (le Cariti al v. 2, forse Batto al v. 2, le Muse al v. 5, il «seguace di Esiodo» ai vv. 5-6).
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osservazioni sull ’ epilogo degli aitia callimachei
443
creare un legame proiettato nel futuro tra questa nuova Musa e quelle con cui il
poeta si era incontrato in sogno sul Monte Elicona e aveva dialogato banchettando. Il legame è dato dalla situazione evocata nel presente narrativo, che credo di
poter dire, quindi, con maggior precisione, si configurasse in questo modo: richiamando la cornice dei primi due libri e ritornando conclusivamente a essa, il poeta
si immagina di nuovo in compagnia delle Muse sul Monte Elicona, ma ora nel
komos che in quella circostanza dovette fare seguito al convivio. E questo da un
lato gli permetteva di riprendere e dare compiutezza alla cornice della prima metà
dell’opera, con buona probabilità lasciata volutamente aperta nella stesura dei
libri i-ii in previsione di successivi ampliamenti, dall’altro di usare questa ripresa
come contesto per un ultimo spunto encomiastico rivolto alla singola Musa alla
quale era dedicata la seconda metà dell’opera: un giorno anche costei è destinata
a far parte della schiera divina.
Si deve infatti considerare, sul piano strutturale, anche un altro elemento molto
rilevante: l’ultimo componimento nella sequenza eziologica del iv libro e dell’intera opera era costituito dalla Chioma di Berenice (frr. 110-110f Hard. = fr. 110 Pf.)
che di fatto, con la celebrazione del catasterismo del ricciolo della regina reciso e
offerto come ex voto, costituiva un’implicita previsione della futura divinizzazione della sovrana cirenaica.1 Probabilmente già nel caso della precedente regina tolemaica Arsinoe II la poesia callimachea aveva costruito una strategia encomiastica che associava l’apoteosi post mortem all’inclusione nel novero delle Muse. Il fr.
228 Pf. restituisce in modo lacunoso un carme lirico (incluso da Pfeiffer tra i Μέλη),
composto subito dopo la morte della regina Arsinoe, che sembra celebrarne l’assunzione tra gli dèi olimpî – anche se il titolo «Divinizzazione di Arsinoe», tràdito
dal Papiro milanese delle Diegeseis, potrebbe essere posticcio.2 E se si dà credito allo Scolio Londinese (PLit.Lond. 181, col ii, 35 sgg., fr. 2e Harder) e al Commentario
Oxoniense (POxy. 2262, fr. 2a, col. i, fr. 2f Hard.), che lo tramandano e lo commentano come uno dei lemmi tratti dalla sezione di transizione tra il prologo e il proemio (fr. 2a, Hard. = fr. 1, 41 Pf.), il termine δεκάς indicava l’aggiunta proprio della
regina Arsinoe nel numero tradizionale (nove) delle Muse.3 L’epilogo dunque, facendo immediatamente seguito alla Chioma, ne avrebbe proseguito e concluso il
messaggio di lode rivolto alla regina di origine cirenaica con l’esplicitazione che
anch’ella, come forse già prima di lei Arsinoe, si sarebbe unita dopo la sua morte
e divinizzazione al gruppo delle Muse.
1 Si veda da ultimo il commento di Annette Harder, Callimachus, Aetia, cit., ii, p. 798 (ad frr. 110110f ): «Berenice’s claims of divine status: the fate of the lock, which is promoted to the world of the
immortals, may foreshadow the fate of Berenice […]».
2 Senza soffermarmi qui sulla ricca bibliografia riguardante il fr. 228 e più in generale i frammenti di
carmi éditi da Rudopf Pfeiffer sotto il titolo Μέλη (frr. 226-229), mi limito a rimandare al lavoro monografico di Emanuele Lelli, Callimachi Iambi xiv-xvii, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 2005, il quale ritiene
che essi costituissero la parte conclusiva del libro dei Giambi (xiv-xvii), in particolare alle pp. 67-71 per il
commento al fr. 228.
3 Giuste considerazioni in tal senso nei commenti di Giulio Massimilla, Aitia. Libri primo e secondo,
cit., pp. 237-238 ad fr. 3.1 e Annette Harder, Callimachus, Aetia, cit., ii, pp. 106-107 ad fr. 2a, 1.
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livio sbardella
L’opera dunque, seppur al termine di un percorso di composizione complesso
e stratificato nel tempo biografico della vita dell’autore, si apriva con l’epifania
delle Muse nel proemio del sogno, che a sua volta si raccordava al prologo dei Telchini attraverso una sezione invocativa intermedia rivolta loro, e si chiudeva, nel
componimento epilogico, con un komos che vedeva di nuovo il poeta in compagnia delle dee preannunciando il futuro ingresso nel loro collegio di una nuova
Musa. Questo schema circolare, che poneva le Muse e il contatto diretto con loro
come tema d’esordio e di chiusura dell’intero percorso creativo legato alla poesia
eziologica, era anch’esso uno studiato prodotto della profonda confidenza di Callimaco con l’epica esiodea e della programmatica volontà del poeta erudito alessandrino di rappresentarsi come il nuovo Esiodo. Nel Proemio della Teogonia, infatti, sono le stesse Muse appena apparse al cantore che gli rivolgono la seguente
raccomandazione (vv. 33-34):
καὶ μ᾽ἐκέλονθ᾽ ὑμνεῖν μακάρων γένος αἰὲν ἐόντων,
σφᾶς δ᾽αὐτὰς πρῶτόν τε καὶ ὕστατον αἰὲν ἀείδειν.
La struttura complessiva degli Aitia, alla fine del percorso che portò alla loro
configurazione in quattro libri, traduceva nella forma dell’opera letteraria, affidata complessivamente al libro, la raccomandazione esiodea di collocare all’inizio e alla fine del canto la celebrazione delle Muse, coniugando però, nel contempo, quest’istanza di riproposizione del modello epico arcaico con quella, non
meno rilevante, dello sviluppo di una strategia encomiastica rivolta alle regine e
patrone tolemaiche. Molto probabilmente, infatti, questa strategia abbracciava
nell’assimilazione alle Muse due generazioni di regnanti in perfetta coerenza con
l’intero arco esistenziale nel quale si era svolta la produzione eziologica callimachea: se, stando allo Scolio Londinese e al Commentario oxoniense, la δεκάς delle dee che si presentavano in sogno al poeta nel proemio comprendeva in sé la
figura divinizzata di Arsinoe II, moglie di Tolemeo Filadelfo, sotto la cui protezione Callimaco non più che quarantenne aveva dato forma ai primi due libri
dell’opera, la proiezione in avanti che nella sezione epilogica prefigurava l’aggiungersi al komos di un’ulteriore futura Musa, particolarmente vicina al poeta,
era l’atto di omaggio conclusivo rivolto a Berenice II, moglie cirenaica di Tolemeo Evergete, intorno alla cui figura il poeta ormai in là con gli anni aveva costruito l’unità dei libri iii e iv.
4. Cirene e il Mouseion
Due sono gli elementi che, a questo punto, necessitano ancora di definizione: chi
sia il soggetto al quale si rivolgono in forma invocativa i versi 2-7 del frammento
112 e quale senso abbia nel contesto il verso conclusivo.
Se si accetta che la persona celebrata come «la mia Musa» al v. 1 sia la regina
Berenice, conterranea del poeta, l’ipotesi che s’impone come più logica è che i
vv. 2-7 siano un epainos rivolto a Cirene, patria comune del poeta e della regina
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osservazioni sull ’ epilogo degli aitia callimachei
445
tolemaica.1 E un insieme di elementi testuali, che si leggono nelle parti integre
del frammento o si lasciano ricostruire in quelle lacunose, sembrano tutti potersi
ben conciliare in questo senso: il riferimento all’eroe ecista Batto, secondo
l’integrazione della lacuna iniziale del v. 2 proposta da Bignone, e alle Cariti, sia
l’uno sia le altre oggetto di culti locali cirenaici;2 la conciliabilità delle tre tracce
di scrittura dopo lacuna [. . . . . .]ρια, al v. 2, con un nomen agentis femminile,
sintatticamente reggente dei due genitivi precedenti,3 che secondo la proposta di
Coppola potrebbe essere [κηδεύτ]ρια, «protettrice, custode»; la lettura congetturale μαῖα δ᾽ἀνάσσης (/ ἡμε]τέρης) proposta da Platt per la sequenza
μοιαδ᾽ἀνάσσης tràdita dal Papiro, che non solo restituisce un significato di per
sé accettabile con il minimo adeguamento paleografico (sebbene Platt pensasse
l’espressione riferita alla dea Afrodite), ma risulta specificamente appropriata in
relazione alla città di Cirene, definita μαῖα anche in un epigramma sepolcrale di
Eratostene attribuito a Dioniso di Cizico (AP, vii, 78 = HE, 1443).4 Nell’epainos si
celebrava la polis greca in Libia in quanto πάντα ἀγαθή e πάντα τελεσφόρος,
«buona in tutto e in tutto capace di portare frutto», poiché poteva vantare come
suoi ‘prodotti’ la sovrana tolemaica e il poeta stesso e propiziare il compimento
di un destino glorioso per entrambi, la regina che sarebbe stata divinizzata e il
poeta che sarebbe stato ricordato e celebrato per la sua opera di cui la sovrana
era stata in parte Musa ispiratrice.
Anche per la comprensione di questo aspetto tematico della sezione epilogica
e del ruolo che essa giocava nella struttura complessiva del poema si dimostra essenziale il rapporto con il modello esiodeo. Così articolato l’epilogo degli Aitia si
presentava, non sappiamo se in modo implicito o esplicito (per la sua lacunosità),
come un anathema, cioè un’offerta conclusiva del poema non solo alle Muse ispiratrici, in particolare a quella cirenaica (Berenice), ma anche alla patria del poeta
che era comune con una di esse. Il modo in cui Cirene vi viene descritta, attraverso
l’aggettivazione (πάντ᾽ἀγαθὴν καὶ πάντα τ[ελ]εσφόρον), costituisce una ripresa
per contrasto del modo in cui, negli Erga esiodei, veniva descritta Ascra in Beozia
(vv. 639-640):
1 Questa ipotesi di interpretazione è stata avanzata per primo da Goffredo Coppola, Callimachus
senex, cit., pp. 273-276 (e poi riaffermata in altri suoi scritti successivi) e viene appoggiata, da ultimo, nel
commento di Giulio Massimilla, Callimaco, Aitia. Libri terzo e quarto, cit., p. 514 ad vv. 2-5; per le proposte alternative mi limito a rimandare al quadro di sintesi che emerge dai commenti di Giulio Massimilla, Callimaco, Aitia. Libri terzo e quarto, cit., pp. 512-517 ad fr. 215. 2-7 e Annette Harder, Callimachus,
Aetia, cit., ii, pp. 858-864 ad vv. 2-7.
2 La menzione associata delle Cariti e di Batto nell’ambito di un contesto di lode legato a Cirene, al
suo passato mitico e al suo sistema di culti si riscontra già nella Pitica v di Pindaro, ai vv. 43-57; inoltre un
riferimento nella sezione epilogica al culto locale cirenaico delle Cariti rappresenterebbe, rispetto al
culto pario delle stesse dee celebrato nel primo aition del primo libro (frr. 3-7b Hard. = 3-7 Pf.), un perfetto
parallelo di ripresa e traslazione nella realtà vicina al poeta del binomio divino con cui aveva inizio
l’opera: dalle Muse dell’Elicona e le Cariti di Paro si passava, nella seconda metà del poema, alla Musa e
alle Cariti cirenaiche.
3 Vedi da ultima Annette Harder, Callimachus, Aetia, cit., ii, p. 858 ad v. 2.
4 Così nota giustamente Giulio Massimilla, Callimaco, Aitia. Libri terzo e quarto, cit., p. 514 ad vv. 2-5.
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livio sbardella
νάσσατο (ἐμός τε πατὴρ καὶ σός, parlando a Perse) δ᾽ἄγχ᾽ Ἐλικῶνος ὀιζυρῇ ἐνὶ κώμῃ,
Ἄσκρῃ, χεῖμα κακῇ, θέρει ἀργαλέῃ, οὐδέ ποτ᾽ἐσθλῇ.
E la ripresa è chiaramente denunciata dal fatto che nello stesso giro di frase il poeta
alessandrino, a cui si riferisce, nella presente ricostruzione, l’εἶπεν reggente dello
stesso verso (v. 4),1 è messo in stretta relazione con Esiodo: secondo la plausibile
ipotesi ricostruttiva di Gallavotti, vi era definito come un suo ὀπηδός, «seguace,
epigono», in un contesto di fedele ripresa verbale della situazione proposta nel
proemio del sogno (vv. 5-6, κείν[ου] τῷ Μοῦσαι πολλὰ νέμοντι βοτά / σὺν μύθους
ἐβάλοντο παρ᾽ ἴχν[ι]ον ὀξέος ἵππου, cfr. fr. 2 Hard. = 2 Pf.).2 Dove Callimaco
descrivesse la sua terra natale, Cirene, con gli attributi elogiativi che vengono richiamati nell’epilogo degli Aitia, esattamente non sappiamo; ma data l’ampia
frammentarietà dell’opera callimachea quale è tràdita, è piuttosto ovvio che il
riferimento fosse a uno o più specifici luoghi degli Aitia stessi, o forse dell’intera
produzione poetica, che non conosciamo. Mi azzardo a dire, dato l’insieme di forti
e studiati rimandi tra l’inizio e la fine del poema, che si trattasse proprio di un passo del proemio. A prescindere da ciò, tuttavia, va rilevato il fatto che negli Erga
esiodei la descrizione in termini negativi di Ascra si colloca nello stesso contesto
nel quale trova spazio anche il riferimento all’agone per Anfidamante (vv. 631-659):
dopo aver parlato del proprio legame familiare con Ascra e la regione del Monte
Elicona, il cantore racconta che, a seguito della vittoria ottenuta nel confronto
rapsodico in Eubea e al riconoscimento della sua eccellenza poetica, era tornato
in patria portando con sé il premio materiale di tale eccellenza (un tripode ansato)
per offrirlo come anathema alle Muse della propria regione, pegno per l’ispirazione che lì aveva da loro ricevuta. L’omaggio del cantore epico è insieme alle Muse
e alla propria terra di origine, così che si può parlare di una ripresa con variazione
(Cirene come opposto di Ascra), da parte di Callimaco, dell’intera situazione presentata nell’epica esiodea.3
1 La parziale obiezione posta da Annette Harder, Callimachus, Aetia, cit., ii, p. 862 ad v. 4 «Callimachus would be the obvious candidate, but as he refers to himself in the first person in 1 and 9, this would
imply a switch to a third-person presentation in between (unless 2-7 were not his words […])», si risolve,
come la studiosa stessa riconosce, con una diversa ipotesi circa il soggetto parlante che pronunciava i vv.
2-7 (vedi oltre).
2 Insieme alla situazione che si delineava nel proemio del sogno, è questo passaggio dell’epilogo la
più esplicita dichiarazione, da parte di Callimaco, di dipendenza della propria ispirazione poetica dal modello esiodeo (come giustamente rileva Giulio Massimilla, Callimaco, Aitia. Libri terzo e quarto, cit., p.
516 ad v. 5 s. «ponendo la figura di Esiodo all’inizio e alla fine degli Aitia, Callimaco indica di averlo assunto
come modello letterario dei propri Aitia»); il tentativo operato da Alan Cameron, Callimachus and His
Critics, cit., p. 371 di negare che qui Callimaco parli di se stesso quale seguace o imitatore di Esiodo, come
aveva già fatto all’inizio del poema (implicitamente o apertamente non ci è dato saperlo), mi pare proprio
si scontri con l’insieme dei dati di contesto.
3 Ha ragione Alan Cameron, Callimachus and His Critics, cit., p. 369 nel sottolineare come uno degli
elementi di più forte ‘fascino’ che il modello esiodeo esercitava su Callimaco fosse rappresentato dalla
presenza, interna all’opera, della figura del poeta-personaggio che parla di sé e della propria ‘dimensione
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osservazioni sull ’ epilogo degli aitia callimachei
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Quale fosse il soggetto dell’ἀείδειν al v. 1, da chi, cioè, venissero pronunciate le
parole dei vv. 2-7 introdotte dal verbo all’infinito, non è dato definirlo con sicurezza, data la mancanza di elementi oggettivi su cui basarsi.1 Tuttavia, se il quadro di
ricostruzione sin qui proposto è corretto, l’ipotesi logicamente più stringente è
che a eseguire in prospettiva futura il canto celebrativo per la città natale del poeta
e della sua sovrana saranno le stesse Muse, quando anche Berenice farà parte del
loro coro: rispetto al presente narrativo di un komos al quale il poeta stava partecipando con le Muse sul Monte Elicona, il testo prefigurava un’analoga situazione
futura in cui del collegio delle Muse avrebbe fatto parte anche Berenice divinizzata e in suo onore sarebbe stato intonato un epainos rivolto alla patria che l’aveva
generata. La menzione del poeta seguace di Esiodo e conterraneo di Berenice
nell’ambito del futuro epainos pronunciato dalle stesse Muse completava gli Aitia
con la medesima immagine, quella dell’assimilazione tra i due (Esiodo e Callimaco), da cui l’opera aveva preso le mosse nel proemio; ma costituiva anche la promessa di una memoria imperitura del poeta e della sua opera sancita dalle dee, sicché Cirene avrebbe avuto un doppio motivo di vanto. E anche in questo passaggio
il rapporto esplicito col modello esiodeo si sostanzia di una ripresa concettualmente forte. L’affermazione che il poeta non dice qualcosa «per una fama menzognera», ψεῦδον [ἐπ᾽οὔνo]μά τι, per di più proferita per bocca delle stesse Muse, costituisce un chiaro rimando ai vv. 26-28 della Teogonia, dove le dèe rivolgendosi al
cantore dicono di sé stesse:
ἴδμεν ψεύδεα πολλὰ λέγειν ἐτύμοισιν ὁμοῖα,
ἴδμεν δ᾽εὖτ᾽ἐθέλωμεν ἀληθέα γηρύσασθαι.
Così il messaggio strutturalmente portante di tutti gli Aitia, ossia che il poeta è
stato veracemente ispirato dalle Muse nei contenuti della sua poesia, sugella anche il finale dell’opera riecheggiando i versi esiodei.
Dunque, nel contesto della sezione epilogica degli Aitia quale si sta profilando
sul piano ricostruttivo, tutti gli elementi della rappresentazione sembrano risentire di un rapporto molto stretto col modello della poesia esiodea. E se è vero che
la situazione descritta, in cui il frammento 112 si inseriva come parte conclusiva,
era un komos sul Monte Elicona del quale Callimaco si rappresentava protagonista
insieme alle Muse, anche questa situazione trovava i suoi codici interpretativi nella precisa relazione stabilita con il proemio della Teogonia. Nel proemio esiodeo,
biografica’; lo studioso inoltre fa rilevare che, in tal senso, gli Erga non dovevano essere meno presenti
della Teogonia all’attenzione del poeta alessandrino (vedi anche Evina Sistakou, Callimachus Hesiodicus
Revisited, in Brill’s Companion to Hesiod, cit., pp. 227-232): il passo in questione, costituito dai vv. 631 ss., si
può considerare quello a più alta concentrazione di elementi ‘biografici’ dell’intero poema esiodeo (sulla
sua interpretazione si veda ora Livio Sbardella, La eris dei cantori: gli Erga e la tradizione rapsodica, in
Esiodo e il corpus Hesiodeum. Problemi aperti e nuove prospettive, a cura di Andrea Ercolani, Livio Sbardella,
«SemRom», n. s. v, 2016, pp. 99-104).
1 Per un chiaro quadro di sintesi di tutte le ipotesi formulate dalla critica si veda in particolare il commento di Giulio Massimilla, Callimaco, Aitia. Libri terzo e quarto, cit., p. 511 ad fr. 215.
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livio sbardella
infatti, quella che si descrive ai vv. 2-21 è una processione notturna delle Muse:
muovendo dalla parte più alta del Monte (v. 7 ἀκροτάτῳ Ἑλικῶνι χοροὺς
ἐνεποιήσαντο), dove stanno danzando intorno a una fonte e a un altare sacro a
Zeus, le dee si dirigono verso un altro luogo mentre intonano un prosodio a Zeus
e agli altri numi olimpici (vv. 9-11 ἔνθεν ἀπορνύμεναι κεκαλυμμέναι ἠέρι πολλῷ /
ἐννύχιαι στεῖχον περικαλλέα ὄσσαν ἱεῖσαι / ὑμνεῦσαι Δία τ᾽ αἰγίοχον …). Quale
sia questo luogo non è detto esplicitamente, ma la sezione successiva del proemio
le vede incontrarsi con Esiodo ed educarlo al canto Ἑλικῶνος ὕπο ζαθέοιο (v. 23),
alle pendici del Monte Elicona. In questi riferimenti è stata letta una geografia reale della disposizione dei luoghi di culto nella regione del Monte Elicona, per cui
le Muse percorrendo una via sacra che partiva da un santuario montano di Zeus
discendevano verso la zona pedemontana, dove si situava il luogo di culto a loro
specificamente consacrato, il Mouseion, e dove si trovavano i terreni di pascolo frequentati dai pastori.1
Le Muse che formavano un komos sulle pendici del monte Elicona, al quale si
aggiungeva anche il poeta, richiamavano l’immagine iniziale del proemio della
Teogonia esiodea e la facevano diventare immagine finale degli Aitia, come in un
ideale ciclo poetico che cominciava con la poesia di Esiodo e si rinnovava e
prolungava nel poema eziologico callimacheo. Persino la geografia originaria di
questa immagine veniva ripresa nel contesto callimacheo: il komos si muoveva da
un luogo sacro a Zeus, nei cui pressi probabilmente si era svolto l’incontro tra il
poeta e le Muse e il loro intrattenimento conviviale, secondo indicazioni topografiche forse già presenti nel proemio del sogno, per dirigersi verso il santuario
sacro alle dee, il Mouseion. Il che spiega perfettamente la successione dei due versi finali e il loro senso. Il fatto che l’ultima invocazione fosse rivolta proprio a
Zeus, con il v. 8 χαῖρε, Ζεῦ, μέγα καὶ σύ, σάω δ᾽[ἐμὸ]ν οἶκον ἀνάκτων, era giustificato dal luogo di provenienza del komos, per cui le Muse, e il poeta con loro,
1 Questa linea interpretativa si deve a Massimo Vetta, Esiodo e i due santuari sull’Elicona, in I luoghi e
la poesia nella Grecia antica, Atti del Convegno (Università di Chieti 20-22 aprile 2004), a cura di Massimo Vetta,
Carmine Catenacci, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2006, pp. 53-72, il quale fornisce tutti i riferimenti topografici, relativi alla regione beotica dell’Elicona, che risultano utili a sostanziarla (pp. 59-63): un temenos
montano, nella zona più alta del massiccio montuoso detta oggi Diakopì o Motsara o Zagarà, consacrato
al culto di Zeus ὄμβριος, cioè delle acque piovane e sorgive, quali quelli documentati proprio in Beozia
per il Monte Citerone e per il Monte Laphystion presso Lebadia, e un santuario agreste pedemontano
«che all’epoca di Esiodo doveva essere poco più che un recinto, con le prime offerte votive, tra cui il lebete
vinto dal poeta a Calcide», situato nella sottostante Valle delle Muse presso il territorio di Tespie e
dell’antico villaggio di Ascra, dove più tardi sarebbe sorto un vero e proprio Mouseion architettonico. Tra
l’altro, proprio questo Mouseion architettonico di Tespie, che nei secoli successivi era divenuto sede di un
gruppo sacerdotale di Heisiodeioi dedito al culto delle Muse (cfr. IG vii, 1785), fu oggetto in età ellenistica
di particolare attenzione da parte dei sovrani Lagidi che, sotto il regno di Tolemeo IV Philopator, ne
finanziarono la ristrutturazione favorendo la riorganizzazione in grande stile della festività locale dei
Mouseia (vedi Peter M. Fraser, Ptolemaic Alexandria, i, Oxford, University Press, 1972, p. 313 e relative
note 55 e 56); ma è altamente probabile che già al livello cronologico di Callimaco l’attenzione verso le
antiche tradizioni di culto dell’Elicona fosse ben presente nell’ambiente culturale alessandrino tra gli
eruditi del locale Mouseion.
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osservazioni sull ’ epilogo degli aitia callimachei
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all’inizio del loro movimento dovevano avere celebrato Zeus nel canto, così come nella Teogonia esiodea il loro prosodio (vv. 11-21) segna l’allontanamento delle
dee dal santuario montano di Zeus lungo la via processionale. Il legame di Zeus
con i sovrani della casa regnante, che si chiede al dio di proteggere, è sancito anch’esso nel modello arcaico del proemio esiodeo, là dove, nello sviluppo della
composizione, si crea un netto parallelismo nel rapporto di tutela che le Muse e
Apollo, da un lato, esercitano sui cantori, e Zeus dall’altro sui re, seppur nel comune possesso, per entrambi i soggetti collettivi umani, del dono della parola di
origine divina (vv. 94-97):
Ἐκ γάρ τοι Μουσέων καὶ ἑκηβόλου Ἀπόλλωνος
ἄνδρες ἀοιδοὶ ἔασιν ἐπὶ χθόνα καὶ κιθαρισταί,
ἐκ Διὸς βασιλῆες· ὁ δ᾽ὄλβιος, ὅντινα Μοῦσαι
φίλωνται· γλυκερή οἱ ἀπὸ στόματος ῥέει αὐδή.
Il tema encomiastico, che si esplica nell’omaggio conclusivo reso alla casata regnante tolemaica, viene inserito in un’architettura concettuale che è basata sul
dialogo intertestuale con la poesia esiodea e viene posto in rapporto diretto con
l’epainos che immediatamente prima, nel canto delle Muse prospettato come futuro, coinvolge in modo specifico la regina Berenice: se si accetta al v. 8 l’integrazione [ὄλο]ν proposta da Hunt, il komos che si svolge nel presente narrativo, costituito dalle Muse e dal poeta, chiede salvezza per tutto il genos regale, ampliando
la portata dello spunto di lode concentrato nei versi precedenti solo sulla figura
femminile della moglie di Tolemeo III. Il che con ogni probabilità, riecheggiando
il modello esiodeo, avveniva nel momento in cui il komos si allontanava da un
luogo sacro a Zeus, divinità protettrice dei sovrani.
E nella stessa prospettiva va interpretato anche il senso dell’ultimo verso, molto
discusso dalla critica:1 esso doveva indicare il luogo dove era diretto il komos al quale il poeta stava partecipando. Alludendo alla geografia del proemio esiodeo, questo luogo, che viene definito come Μουσέων πεζὸν … νομόν in unione al verbo di
movimento [ἔ]πειμι, indicava il Mouseion posto nella zona di pascolo pedemontano del massiccio dell’Elicona. Tuttavia il senso proprio dell’espressione, che indicava il Mouseion, se traslato nella dimensione storica e biografica dell’Alessandria
della prima età ellenistica, assumeva una valenza anfibologica. Il poeta, infatti, lasciava capire di voler spostare l’ambiente di destinazione del proprio messaggio
poetico dalla corte tolemaica, a cui gli Aitia guardavano nella loro ‘intelaiatura’
encomiastica, al Museo alessandrino, dove avrebbe ambientato, almeno nel senso
della destinazione prioritaria del messaggio, quanto seguiva nell’articolazione del
liber poetico, con un modulo espressivo di transizione chiaramente riconoscibile
1 Per i termini della polemica interpretativa e i relativi riferimenti bibliografici rimando sempre ai
commenti di Giulio Massimilla, Callimaco, Aitia. Libri terzo e quarto, cit., pp. 519-521 ad fr. 215. 9 e Annette Harder, Callimachus, Aetia, cit., ii, pp. 866-870 ad v. 9, con un orientamento esegetico che si dimostra diverso anche tra i due commentatori.
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livio sbardella
nel nesso incipitario di verso αὐτὰρ ἐγώ.1 Si guardi inoltre, sempre nell’ambito della poesia esiodea, al passaggio narrativo rappresentato dalla fine della sezione
proemiale degli Erga (vv. 9-10), là dove, in un contesto nel quale precedentemente
si sono invocate le Muse affinché cantino Zeus (vv. 1-8), a essere poi invocato in
seconda persona è lo stesso Zeus:
κλῦθι ἰδὼν ἀίων τε, δίκῃ δ᾽ ἴθυνε θέμιστας
τύνη· ἐγὼ δέ κε Πέρσῃ ἐτήτυμα μυθησαίμην.
Alla richiesta rivolta al dio con un enfatico pronome di seconda persona τύνη segue una transizione dal valore oppositivo col pronome di prima persona e la particella avversativa, ἐγὼ δέ, così come nel frammento dell’epilogo callimacheo al
καὶ σύ del v. 9, sempre rivolto a Zeus, segue la formula di transizione, anch’essa
di valore oppositivo, αὐτὰρ ἐγώ. Alla sezione proemiale degli Erga seguiva il corpo
di una poesia rapsodica a carattere sapienziale in cui una o più voci di cantori si
confrontavano con un interlocutore, Perse, al quale con funzione esortativa venivano insegnati i fondamenti etici di un comportamento socialmente corretto, giusto e pacifico;2 e tutto questo, in una visione lineare sul piano logico e temporale
della poesia esiodea, faceva seguito alla Teogonia, il poema che si riteneva fosse stato direttamente ispirato dalle Muse sul Monte Elicona.3
Il primo Giambo della raccolta callimachea, così come si ricostruisce sulla base
della Diegesis e degli altri testimoni papiracei che ne tramandano il testo seppur in
forma lacunosa, e tra questi soprattutto il POxy. 1011 in cui l’inscriptio e i primi cinque versi del componimento compaiono in immediata successione rispetto all’epilogo degli Aitia (fr. 112),4 si caratterizzava proprio come una composizione dal
marcato carattere sapienziale rivolta all’ambiente degli eruditi del Museo alessandrino: il giambografo arcaico Ipponatte, tornando dall’Ade, chiama a raccolta
1 Che il nesso αὐτὰρ ἐγώ avesse un valore di transizione è rilevato da molti interpreti (si vedano i commenti ad locum di Massimilla e Harder, anche per i loci similes); questo valore di transizione poteva essere
soltanto virtuale e simulato, senza implicare di necessità un seguito, come rileva Alan Cameron, Callimachus and His Critics, cit., pp. 154-156, e quindi fare del nesso un’espressione a carattere semplicemente
conclusivo, ma nell’interpretazione che qui si sta dando dell’epilogo il nesso era impiegato per avere sia
valore conclusivo, rispetto alla situazione narrativa del komos sull’Elicona con cui si chiudevano gli Aitia,
sia di transizione a un diverso ambito poetico e contesto di destinazione.
2 Sulla natura degli Erga come poesia sapienziale, nella quale cioè i contenuti di sapere e di saggezza
tipici di tutta la poesia attribuita a Esiodo si esprimono nella forma più esplicita del confronto su temi
etici con forti accenti di interlocuzione parenetica (rivolti a Perse), si vedano, in particolare, Andrea Ercolani, Esiodo. Opere e giorni, Roma, Carocci, 2010, Introduzione, pp. 39-51, Idem, La contesa di Esiodo e
Perse, tra fatto storico e motivo sapienziale, «SemRom», n. s. iv, 2015, pp. 1-13, Livio Sbardella, La eris dei
cantori: gli Erga e la tradizione rapsodica, cit., quest’ultimo anche per il rapporto tra il ‘poema’ e la tradizione epico-rapsodica.
3 Sulla continuità rapsodica tra Teogonia ed Erga vedi Idem, La eris dei cantori: gli Erga e la tradizione
rapsodica, cit.
4 Sul PMilan. 18 (Papiro delle Diegeseis) e sul POxy. 1011, che attestano entrambi la sequenza Aitia Giambi, vedi supra, p. 433, nota 1; per l’insieme dei testimoni che tramandano il testo del primo Giambo,
oltre l’apparato di Rudolf Pfeiffer, Callimachus, i, Fragmenta, cit., al fr. 191, si veda ora anche il commento di Arnd Kerkhecker, Callimachus’ Book of Iambi, Oxford, University Press, 1999, pp. 17-18.
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osservazioni sull ’ epilogo degli aitia callimachei
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presso il Serapeo di Parmenione i numerosi dotti alessandrini (φιλόσοφοι corretto
in φιλόλογοι sul testo del Papiro, ma è più opportuno pensare sia a eruditi sia a
poeti)1 per invitarli e a non avere un atteggiamento litigioso e competitivo, ma a
rispettarsi vicendevolmente, e porta a sostegno del suo invito l’aneddoto della
coppa di Baticle e dei Sette sapienti. L’ambiente sociale al quale il componimento
si rivolgeva era chiaramente quello degli intellettuali che facevano parte del Museo alessandrino o si riunivano intorno a esso, come dimostra anche il confronto
con un frammento satirico di Timone di Fliunte (SH 586 = fr. 12 Di Marco) che
sottolinea la smodata litigiosità dei dotti ospiti del Museo di Alessandria. La storia
dei Sette sapienti, inoltre, collegava in modo esplicito il componimento alla tradizione della letteratura sapienziale che, in ambito poetico, aveva avuto proprio nell’epica rapsodica esiodea, e in particolare negli Erga, il suo modello più antico.2
5. Concludendo
Il verso finale della sezione epilogica degli Aitia, assumendo dei precisi valori di
senso che, come quelli di tutto il contesto in cui era inserito, si arricchivano nel
rapporto con il modello della poesia esiodea, aveva con ogni probabilità la funzione di creare un preciso raccordo tra la fine del poema eziologico e il primo componimento della raccolta dei Giambi. Questo raccordo svolgeva la sua funzione
nella struttura sequenziale di un liber costruito dal poeta stesso, che doveva contenere quantomeno gli Aitia e i Giambi se non anche altri componimenti. Ma questa sequenza libresca delle due raccolte di componimenti aveva una relazione anche con la realtà dell’esecuzione orale della poesia callimachea e con gli ambienti
sociali a cui essa era destinata. Essa infatti, prima che nel libro, doveva aver trovato
luogo, almeno in parte, nella dimensione ‘viva’ della performance.3 Tanto gli Aitia
quanto i Giambi ripercorrevano le orme della tradizione arcaica e classica di poesia
simposiale in un’epoca, quella del primo ellenismo, in cui l’istituzione del simposio, o più probabilmente di banchetti che ‘rispolveravano’ più antiche usanze simposiali, aveva ritrovato funzionalità negli ambienti delle élite sociali: occasioni
conviviali dovevano caratterizzare la vita sia della corte alessandrina sia della comunità di intellettuali e di dotti che si riuniva nel Museo, ed erano proprio questi
1 Così Idem, Callimachus’ Book of Iambi, cit., pp. 24-25 ad vv. 12-25.
2 Per la ricca bibliografia sull’argomento mi limito a rimandare a Arnd Kerkhecker, Callimachus’
Book of Iambi, cit., pp. 35-36 ad vv. 31 ss., a cui si deve aggiungere quantomeno Massimo Di Marco, Baticle nel Giambo i di Callimaco, in Callimachea ii, Atti della seconda giornata di studi su Callimaco, Università
degli Studi di «Roma Tre» (12 maggio 2005), a cura di Antonio Martina, Adele Teresa Cozzoli, Massimo Giuseppetti, Roma, Scienze e Lettere, 2012, pp. 83-97.
3 Sulla performance orale della poesia elegiaca callimachea e, più in generale, della poesia elegiaca del
primo ellenismo si veda ora Livio Sbardella, Dai canti simposiali alla ‘grande donna’: Mimnermo e i suoi
epigoni nel prologo dei Telchini di Callimaco, «rifc», cliv, 2017, pp. 47-74 e Idem, Aulodes and Rhapsodes: Performance and Forms of Greek Elegy from Mimnermus to Hermesianax, «Aitia [on line]», viii.1, 2018 (importanti
considerazioni di ordine generale riguardanti in tal senso l’insieme della poesia di età ellenistica si trovano in Alan Cameron, Callimachus and His Critics, cit., pp. 25-30).
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livio sbardella
due ambienti, molto contigui tra loro nell’Alessandria tolemaica, che costituivano
i contesti di destinazione prevalenti per alcuni componimenti dell’una e dell’altra
raccolta (gli Aitia e i Giambi). Ci si può chiedere come mai Callimaco collegasse
così strettamente la sua ‘rilettura’ dotta della poesia di tradizione simposiale al
modello epico esiodeo, se cioè vedesse una continuità tra i due elementi della sua
imitazione erudita. E la risposta può venire forse da un filone di studi che negli ultimi decenni ha intravisto nella tradizione antica degli spazi di esecuzione simposiale anche per la poesia epica esiodea, almeno nelle fasi più avanzate del suo riuso
e al di fuori degli originari e più comuni contesti di performance rapsodica, spazi di
riproposizione per cui essa fu accostata col tempo al patrimonio della poesia simposiale.1 Ma resta comunque il fatto che il rapporto con il modello esiodeo costituiva una delle chiavi di lettura più importanti per la comprensione della poesia
di Callimaco: costante fu il dialogo tra l’opera attribuita al grande cantore arcaico
e quella del suo alter ego alessandrino.
1 Per (ri)esecuzioni in ambito simposiale della poesia esiodea si veda soprattutto Antonio Aloni,
Esiodo a simposio. La performance delle Opere e giorni, in Tra panellenismo e tradizioni locali: generi poetici e
storiografia, a cura di Ettore Cingano, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2010, pp. 115-150, ma anche Hugo
Koning, Hesiod: The Other Poet. Ancient Reception of a Cultural Icon, Leiden-Boston, Brill, 2010 («Mnemosyne», Suppl. 325), pp. 46-51 (per il rapporto tra poesia esiodea e tradizione lirica Richard Hunter,
Hesiodic Voices: Studies in the Ancient Reception of Hesiod’s Works and Days, Cambridge, University Press,
2014, pp. 150-166).
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Ottobre 2021
(cz 2 · fg 21)
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