UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI
“FEDERICO II”
DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI
CORSO DI STUDI IN
LETTERE CLASSICHE
ELABORATO DI LAUREA TRIENNALE
IN
STORIA GRECA
TRADIZIONI ANTICHE SULLA GIOVINEZZA DI ALCIBIADE
TUTOR:
CANDIDATO:
Ch.mo Prof.
BONAGURA GIANLUCA
EDUARDO FEDERICO
Matr. N59000918
ANNO ACCADEMICO 2017/2018
Indice
Introduzione……………………………………………………………………………………........1
Capitolo primo-L’estrazione sociale di Alcibiade…………………………………………………3
-La famiglia …………………………………………………………………………………………..3
-La discendenza alcmeonidea …………...………………………………………………………….10
-La ricchezza…………….…………………………………………………………………………..13
Capitolo secondo-La giovinezza di Alcibiade…………………………………………………….21
-Il riflesso del giovane Alcibiade nella orazione pseudoandocidea Contro Alcibiade........................21
-Il ritratto plutarcheo…………….…………………………………………………………………..32
Capitolo terzo-La letteratura socratica su Alcibiade…….………………………………………47
-L’amicizia tra Socrate e Alcibiade………………………………………………………………….47
-La letteratura socratica su Alcibiade………...……………………………………………………...49
Conclusioni…………………………………………………………………………………………58
Bibliografia…………………………………………………………………………………………63
Introduzione
Il presente elaborato ha come obiettivo quello di ricostruire, a partire dalla tradizione letteraria, la
giovinezza e, più in generale, gli anni formativi di Alcibiade.
Nel primo capitolo viene sviluppata un’analisi della famiglia di Alcibiade dal punto di vista
prosopografico, analizzando prima la famiglia del padre, Clinia, cercando di definire l’estrazione
sociale del giovane stratego, e poi quella della madre, Dinomache, ricostruendo la discendenza
alcmeonidea di Alcibiade. Successivamente verrà definita la sua ricchezza, analizzando la natura del
patrimonio analizzato.
Nel secondo capitolo vengono analizzate due fonti, che, più di altre, hanno tramandato notizie sugli
anni giovanili di Alcibiade: l’orazione pseudoandocidea Contro Alcibiade e la Vita di Alcibiade di
Plutarco. Per quanto riguardo Pseudo-Andocide, dopo un’analisi generale dei problemi relativi
all’orazione, concernente l’attribuzione e la datazione del testo, viene chiarito come le azioni scorrette
dello stratego verso la città e i privati cittadini in età matura che gli furono attribuite, non siano altro
che un riflesso di un cattivo processo di educazione che affonda le radici negli anni giovanili.
Per quanto riguarda Plutarco invece, inizialmente dopo aver inquadrato la sezione aneddotica della
Vita di Alcibiade, contenenti tutti aneddotti del periodo giovanile, nell’insieme dei bioi, si procederà
ad un confronto tra la tradizione plutarchea e andocidea. Occorre comprendere come la maggior parte
della tradizione antica, per screditare Alcibiade e giustificare le sue azioni empie e malvagie contro
Atene, utilizzasse come accusa il tema della sua cattiva educazione, inventando, come nel caso di
Antifonte, anche notizie false sul suo conto.
Quest’ultimo tema verrà analizzato anche nel terzo capitolo, ma dal punto di vista delle fonti
socratiche e della letteratura socratica su Alcibiade, che proliferò negli anni successivi alla morte di
Socrate, accusato di aver corrotto giovani proprio come l’alcmeonide. Nel capitolo, verranno passate
1
in rassegna le varie fonti socratiche e si approfondiranno le modalità tramite le quali quest’ultime
screditarono Alcibiade pur di salvare la memoria del maestro.
2
I L’ESTRAZIONE SOCIALE DI ALCIBIADE
I.1 La famiglia
Alcibiade nasce verso la metà del V secolo a.C. e, sebbene non si conosca precisamente l’anno,
possiamo dire che egli è nato con ogni probabilità nel 451/450 a.C. o nel 450/449 a.C1. Infatti
Tucidide parlando della sua infanzia e giovinezza2 afferma che ottenne la sua prima strategia nel
420/4193 a.C., non appena ebbe raggiunto l’età legale per ricoprire questo incarico. Questo si
raggiungeva al compimento dei trent’anni, pertanto la data di nascita andrà fatta risalire agli anni
suddetti. Inoltre, sia Isocrate4 che Platone5 scrivono che Alcibiade effettuò il suo primo servizio
militare a Potidea, durante la rivolta che si scatenò nel 432/431, quando la città, respingendo la
richiesta ateniese di abbattere le mura e rimandare a Corinto i magistrati annualmente inviati, fu messa
sotto assedio. Quindi, molto probabilmente, a Potidea il politico ateniese aveva da poco compiuto
diciotto anni, età nella quale si veniva arruolati, sebbene con funzioni ausiliarie. Di conseguenza,
come afferma lo storico Davies6 Alcibiade all’inizio dell’anno 432/421 a.C. sarà stato ὀκτωκαίδεκα
ἔτη γεγονώς e ὑπερ τριάκοντα ἔτη γεγονώς all’inizio dell’anno 420/419 a.C.
Alcibiade era figlio di Clinia7 e Dinomache8. Secondo Isocrate9 il politico ateniese apparteneva agli
Eupatridi per parte di padre e, per parte di madre, discendeva dagli Alcmeonidi. Invece, sia Platone10
che Plutarco11 affermano che il famoso stratego discende dall’eroe eponimo Eurisace, figlio di Aiace
1
Davies 1971, 18.
Thuc. V 43,2.
3
Plut. Alc. 15,1.
4
Isoc. XVI 29.
5
Plat. Sym. 219e-220e.
6
Davies 1971, 18.
7
Thuc. V 43,2.
8
Plat. Alc.I 105d.
9
Isoc. XVI 25.
10
Plat. Alc.I 121a.
11
Plut. Alk. 1,1.
2
3
salaminio. Il problema genealogico quindi verte su quale sia davvero la discendenza della famiglia di
Alcibiade. La soluzione può essere trovata se si riesce a definire con chiarezza cosa siano gli
Eupatridi, ovvero se si tratti di un genos o della definizione di un grado di nobiltà. Wilamowitz12
ritiene che la stirpe di Alcibiade sia quella degli Eupatridi, implicando quindi che quest’ultimi siano
un genos. Dello stesso pensiero è Toepffer il quale nella sua lista dei γἑνη ateniesi13 inserisce gli
Eupatridi. Non è d’accordo con questi Wade-Gery14. Per giustificare la sua tesi egli fa una distinzione
tra il termine genos e il termine οἰκίη: per genos si intende un’aggregazione religiosa la cui parentela
è fittizia. La οἰκίη invece, è formata dai discendenti di un personaggio storico ben definito come gli
Alcmeonidi con Alcmeone e i Pisistratidi, con Pisistrato. Gli Eupatridi quindi non possono essere né
considerati un genos, poiché non hanno una connotazione religiosa né un οἰκία poiché non discendono
da un personaggio storico di nome Eupatros. Essi devono dunque essere considerati come un grado
di nobiltà15. Quindi Isocrate, affermando che il padre di Alcibiade discendesse dagli Eupatridi,
alludeva alla sua appartenenza all’alta nobiltà e non ad un genos specifico. Sulla stessa linea di
pensiero si colloca Davies che per di più ritiene che gli Eupatridi nel quarto secolo fossero ormai una
distinzione sociale priva di contenuto e che da lì in poi verrà utilizzata per motivi di autopromozione
sociale, soprattutto durante il periodo di conquista romana della Grecia, come dichiarazione di
orgoglio patriottico. Davies afferma che lo stesso Isocrate sia conscio del fatto che il termine
Εὐπατρίδαι sia ormai desueto, infatti egli stesso subito dopo lo definisce ἐπωνυμία16 per indicare che
appunto egli non stesse usando un termine tecnico17.
Diverso è il punto di vista di Raubitschek18, secondo il quale Alcibiade davvero apparteneva agli
Eupatridi in quanto la sua famiglia era legata a quella dell’Eupatride Cairione, figlio di Cledico.
Cairione fu un personaggio politico del VI secolo a.C. che ricoprì la carica di τάμιας, ossia di
12
Wilamowitz-Moellendorff 1887, 121 n.1.
Toepffer, 1887.
14
Wade-Gery 1958, 86-109.
15
Wade-Gery 1958, 108.
16
LSJ s.v ἐπωνυμία.
17
Davies 1971, 11-12.
18
Raubitschek 1949, 364.
13
4
tesoriere, riservata ai pentacosiomedimni19. Egli fu sepolto in Eretra20 ma suo figlio Alchimaco eresse
una statua in suo onore sull’acropoli ateniese, forse nel 520 a.C 21. Nell’azione di ricostruzione della
genealogia di Cairione22 , nel terzo quarto del V secolo, ossia circa due generazioni dopo Alchimaco,
il figlio di Cairione, si rintracciano due omonimi: Alchimaco Ἀξιοπείθης23 e Alchimaco III24. Di
questi era parente un Clodico II, forse figlio o fratello di Alchimaco Ἀξιοπείθης, che fu padre a sua
vola di un Clinia25. Raubitschek ritiene che quest’ultimo rappresenti il punto di contatto con la
famiglia di Alcibiade. Le conclusioni di Raubitschek si fondano sue due basi: il Cledico padre di
Clinia è discendente di Cairione e il nome Clinia indica una relazione con Alcibiade e i suoi familiari.
Davies obietta che la prima osservazione è accettabile, la seconda probabilmente non lo è: il demo a
cui apparteneva Alcibiade era quello degli Scambonidi, il nome Clinia però è attestato, oltre che in
questo, in due altri demi nel IV secolo ed è frequentemente attestato in un’altra famiglia nel V secolo.
Inoltre la documentazione per la famiglia dello stratego nel tardo quinto secolo non contiene nessun
Cledico. Pertanto Davies ritiene che i due rami familiari siano separati e ricostruisce in questo modo
l’albero genealogico di Cairione:
19
Wade-Gery, 1931.
IG XII 9,296.
21
Raubitschek 1949, 364.
22
Davies 1971, 13-14.
23
Beazley 1963, 1562.
24
Beazley 1963, 1568.
25
Davies 1971, 13-14.
20
5
Dalle precedenti considerazione si evince che il nostro Alcibiade, molto probabilmente, discendesse
dagli Eurisacidi e allo stesso tempo fosse un Eupatrida, considerando però questo termine come un
alto grado di nobiltà e non come un genos.
Diverso è il discorso circa la discendenza storica di Alcibiade. Secondo Isocrate la stirpe si può far
risalire, seguendo il passo isocrateo, ad un Alicibiade che fu amico di Clistene e lo aiutò a cacciare i
Pisistratidi nel 510 a.C26. Tucidide dice che il nonno dell’Alcibiade stratego, rinunciò alla prossenia
spartana27 mentre Lisia -in un’orazione contro il figlio di Alicibiade in cui lo accusava di aver evitato
il servizio militare e aver dissertato i ranghi durante la guerra corinzia28- e lo Pseudo Andocide – nel
discorso che ha come oggetto l’ostracismo dello stratego29- dichiarano che egli fu ostracizzato.
Quest’ultimo ebbe due figli maschi30: Clinia e Assioco, rispettivamente padre e zio dello stratego. Il
primo -ricorda Plutarco- combatté nella battaglia di capo Artemisio (480 a.C.) e morì poi a Coronea
contro i Beoti nel 447 a.C31.
Le prime difficoltà che riguardano l’Alcibiade amico di Clistene, sono relative all’affermazione di
Isocrate che egli fosse πρόπαππος, bisnonno, dello stratego32, ma Kirchner, nel 1901, propose uno
stemma in cui l’Alcibiade alleato di Clistene era nonno del famoso stratego33:
26
Isoc. XVI 26.
Thuc. V 43,2.
28
Lys. XIV 39.
29
[Andoc. IV 34].
30
Davies 1971, 17.
31
Plut. Alc. 1,1.
32
Isoc. XVI 26.
33
Kirchner 1901, 42.
27
6
Poco dopo, Dittenberger34, presentò una tradizione alternativa che era in linea con il passo di Isocrate
e che è stata generalmente accettata.
Stemma del Dittenberger:
Eugene Vanderpool ritiene invece che l’Alcibiade coinvolto nella cacciata dei Pisistratidi è trisavolo
dello stratego. Secondo Vanderpool Isocrate utilizza il termine πρόπαππος nel senso generico di
antenato preferendolo al più esatto, ma scomodo, τέταρτος γονεύς, oppure, già a quel tempo la
tradizione era incerta a causa del susseguirsi di continue omonimie.
Nel tentativo di salvare la ricostruzione genealogica di Isocrate, Raubitschek35 e Bicknell36 hanno
ipotizzato che l’Alcibiade che fu ostracizzato, sposò una sua cugina di primo grado. La suddetta
ricostruzione è però rigettata da Ellis37, poiché sempre nello stesso passo Isocrate definisce Clistene
bisnonno materno del nostro Alcibiade, ma ciò è inesatto: Ippocrate, fratello di Clistene, era il nonno
di Dinomache e quindi bisnonno di Alcibiade38. Anche da un passo erodoteo39 si evince che Ippocrate,
34
Dittenberger 1902, 1-13.
Raubitschek 1955, 258-262.
36
Bicknell 1975, 51-64.
37
Ellis 1993, 32.
38
Davies 1971, 39.
39
Hdt. VI 131.
35
7
fosse nonno di Dinomache. Ellis ritiene che genealogia fatta da Isocrate non possa essere affidabile a
causa degli errori sopracitati dell’oratore, i quali evidenziano una superficialità nel tentativo di
ricostruire la discendenza di Alcibiade.
Un secondo intricato nodo riguarda la figura di Clinia, il padre del nostro Alcibiade. Il biografo
Plutarco, delineando brevemente il contesto familiare dello stratego, afferma40 che Clinia partecipò
alla battaglia dell’Artemisio (480 a.C.), equipaggiando una trireme a sue spese, e morì a Coronea
nello scontro che segnò una battuta d’arresto per le mire espansionistiche ateniesi (447 a.C.).
Dittenberger41 non ritiene esatta questa affermazione e dello stesso parere sono Ellis42 e Vanderpool43:
un uomo per equipaggiare una trireme a sue spese a quel tempo avrebbe dovuto avere almeno
trent’anni. È improbabile quindi che abbia avuto un figlio (Alcibiade nostro) a sessantadue anni e sia
morto in battaglia a sessantaquattro. L’errore si spiegherebbe, secondo Vanderpool44, poiché Plutarco
ha letto da varie fonti che il padre del famoso Alcibiade, figlio di un Alcibiade più giovane, morì a
Coronea; inoltre Plutarco ha letto in Erodoto che Clinia, padre dello stratego, equipaggiò a sue spese
una trireme e combatté all’Artemisio45. Questa ricostruzione del modus operandi plutarcheo ha messo
d’accordo tutti gli studiosi, i quali sono giunti alla conclusione che il Clinia che partecipò alla battaglia
di capo Artemisio e il Clinia che morì a Coronea, l’uno più anziano di una generazione dell’altro,
sono stati uniti da Plutarco in un’unica persona.
Riassumendo e seguendo le convincenti ricostruzioni di Ellis46 e Vanderpool47, il quadro genealogico
più probabile relativo alla famiglia di Alcibiade risulta essere il seguente: Alcibiade I, nato intorno al
550 a.C., era amico di Clistene e lo aiutò a cacciare i Pisistratidi nel 51048. Suo figlio Clinia I, nato
40
Plut. Alc. 1,1.
Dittenberger 1902, 1-13.
42
Ellis 1993, 30.
43
Vanderpool 1952, 7 n.9.
44
Vanderpool 1952, 7 n.9.
45
Hdt. VIII 17.
46
Ellis 1993, 33-34.
47
Vanderpool 1952, 6.
48
Isoc. XVI,26.
41
8
intorno al 525 a.C., combatté all’ Artemisio nel 480 a.C49. Il figlio Alcibide II, πάππος dello stratego,
nacque nel 500 a.C. ca. e nel 462/1 rinunciò alla prossenia spartana50 e fu poi ostracizzato nel 460
a.C.51, inoltre sia Demostene52 che Plutarco53 menzionano un decreto da lui emesso a favore dei figli
di Aristide. Alcibiade II ebbe due figli maschi e probabilmente una figlia54. Clinia II, padre del nostro
Alcibiade, morì a Coronea55 nel 447 a.C. mentre il fratello Assioco fu coinvolto nella parodia dei
Misteri e fuggì da Atene nel 415 a.C56.
Questo è lo stemma familiare, per parte di padre, ricostruito da Vanderpool:
49
Hdt. VIII 17.
Thuc. V 43,2.
51
Lys. XIV 39; [Andoc.] IV 34.
52
Dem. XX 115.
53
Plut. Ar. 27,2.
54
Davies 1971, 9.
55
Isoc. XVI 28.
56
Andoc. I 16.
50
9
I.2 La discendenza alcmeonidea
Per quanto riguarda il ramo familiare materno, Alcibiade apparteneva agli Alcmeonidi, una delle
famiglie più influenti della storia ateniese. Essi dicevano di essere discendenti di Nestore, il re di Pilo
che partecipò alla guerra di Troia57. Il personaggio storico che dà il nome alla stirpe, Alcmeone,
compare, insieme a Megacle, nella lista degli arconti ateniesi58. Tuttavia in questo caso siamo ancora
in un contesto storico dai caratteri indefiniti59. Il primo membro con un profilo storico certo è Megacle
I, il quale si macchiò di un gesto empio che da lì in poi avrebbe maledetto per sempre sui suoi
discendenti: l’uccisione di Cilone e dei suoi seguaci sull’Acropoli60. Protagonisti di memorabili
imprese furono anche i suoi discendenti: il figlio di Megacle I, Alcmeone II, si impadronì, tramite
uno stratagemma, del patrimonio del re di Lidia e questo, secondo Erodoto, fu l’origine della
ricchezza degli Alcmeonidi61. Il figlio di Alcmeone, Megacle II, fu a capo della famiglia tra il 560 e
il 540 a.C. e divenne leader della fazione dei Parali; suo figlio Clistene fu il famoso legislatore che
attuò la riforma democratica62. Tra i figli di Megacle II vi era Megacle III, il cui figlio (Megacle IV)
fu il padre di Dinomache, la madre di Alcibiade63.
Alla morte di Clinia, Alcibiade fu affidato a Pericle, che divenne suo tutore64. Come sostiene Davies,
in questi casi la tutela dell’orfano veniva affidata alla famiglia del padre o, se non ve ne fosse stata la
possibilità, allo zio materno. Alcibiade aveva entrambi: lo zio paterno Assioco e lo zio materno
Megacle (IV). Tuttavia fu scelto come tutore Pericle e a volere ciò fu lo stesso Clinia o tramite un
57
Paus. II 18,9.
Castor Rhodius, FGrHist 250 F4.
59
L’accusa di empietà verrà utilizzata strumentalmente contro Alcibiade per colpirlo politicamente, anche se egli, come
Pericle, a rigor di logica non era un Alcmeonide poiché erano imparentati con questa famiglia per parte di madre. Per
approfondire vd. Ellis 1993, 26.
60
Thuc. I 126.
61
Hdt. VI 125.
62
Aristot. Ath. resp. 21-22.
63
Ellis 1993, 29.
64
Plat. Alc.I 104b.
58
10
testamento da lui scritto65 o con un accordo privato tra lui e Pericle66. Cromey ritiene la scelta di
Clinia logica poiché in Grecia la legge dell’ἀγχιστεία67 permetteva prima ad Assioco e poi a Megacle
di impadronirsi del patrimonio di Clinia qualora Alcibiade e suo fratello fossero morti.
Sebbene sia ormai assodato che Pericle, insieme al fratello, fu tutore di Alcibiade, alcune fonti antiche
propongono tesi diverse. Cornelio Nepote dice che Alcibiade divenne il privignus, vale a dire il
figliastro di Pericle68, sottintendendo che Dinomache sposò quest’ultimo. Davies respinge la
ricostruzione dello scrittore latino poiché, prendendo per vera quest’affermazione, la sequenza di
matrimoni di Dinomache non sarebbe valida cronologicamente e inoltre, se fosse vero, ci sarebbe
stato un riscontro in qualche altra fonte. Thompson confuta ugualmente l’affermazione di Nepote ma
facendo un’analisi di stampo filologico. Il corrispettivo greco del termine latino prevignus è
πρόγονος. Thompson però ritiene difficile che Alcibiade fosse definito in questo modo e ipotizza che
gli venisse attribuito dalla fonte l’aggettivo μητρυιός, ossia figliastro per parte di madre, termine
speculare a πρόγονος, vale a dire figliastro per parte di padre. È probabile che Nepote abbia letto da
una fonte che Pericle fosse legato, senza specificare il grado, ad Alcibiade per parte di madre, legame
parentale che viene espresso in greco dalla parola μήτρως. Secondo Thompson lo scrittore latino ha
ricavato da quest’ultimo il termine μητρυιός, traslitterandolo poi nel corrispondente latino
prevignus69.
Diodoro invece, definisce rispettivamente Pericle e Alcibiade θεῖος, zio, e ἀδελφιδοῦς, nipote, l’uno
dell’altro70. Presumibilmente segue Diodoro anche Valerio Massimo che afferma che Pericle è
avunculus di Alcibiade71, termine utilizzato quasi sempre72 per indicare un cugino materno o un
65
Zahn 1897, 347.
Davies 1971, 18.
67
Cromey 1984, 385-401; Harrison 1968, 144.
68
Nep. Alc. 2,1.
69
Thompson 1970.
70
Diod. XII 38,3.
71
V.Max 3,1 ext.1.
72
In Sen. Cons.ad Helv. 17 avunculus è applicato al marito della sorella della madre. In questo caso il significato della
parola sarebbe in linea con il ragionamento di Bicknell, il quale ritiene che Pericle sposò la sorella di Dinomache. Per
approfondire vd. Bicknell 1972.
66
11
fratello della madre. Del resto Pericle aveva una sorella di cui non si conosce il nome che morì prima
di lui di peste73. Ma la madre di Alcibiade era Dinomache e chiaramente questa non era sorella di
Pericle. Thompson specifica che il termine θεῖος nel greco moderno può essere riferito ad un cugino
dei due genitori e se fosse stato impiegato in questo modo descriverebbe in maniera esatta il grado di
parentela tra Pericle e Alcibiade. Tuttavia in nessun testo di greco classico si rintraccia questo
significato. L’unica volta in cui un cugino di primo grado di un genitore è menzionato, il termine
usato è ἀνεψιός74. Come giustificare quindi l’errore di Diodoro? Thompson ritiene che Diodoro sia
caduto nello stesso errore di Nepote: la fonte a cui attinge lo scrittore latino non specificava
probabilmente il grado di parentela tra Alcibiade e Pericle ma diceva solo che quest’ultimo era parente
per parte di madre, da qui poi Diodoro ha ricavato la parola cugino75.
I.3 La ricchezza
Alcibiade, essendo un eupatrida, era di conseguenza anche un latifondista. Platone scrive che lo
stratego possedeva ad Erchia, il demo a cui apparteneva, un terreno di circa trecento plettri, ossia
circa 26 ettari76. La ricchezza di Alcibiade si configura quindi come una ricchezza di stampo arcaico.
Tutte le πόλεις di cui era composto il mondo greco dell’età classica, avevano come base economica
la proprietà di terra coltivabile. Inoltre la proprietà fondiaria non aveva soltanto una valenza
economica fondamentale, ma determinava anche la posizione sociale delle famiglie e degli
individui77. Lo stesso Pericle, parente di Alcibiade, era un ricco proprietario terriero. A testimoniarlo
è un passo tucidideo in cui l’alcmeonide promise di donare alla città i suoi possedimenti nel caso in
73
Plut. Per. 36,4.
Dem. XLIII 41; XLIII 49.
75
Thompson 1970, 31-33.
76
Plat. Alc.I 123c.
77
Bravo 1996, 527.
74
12
cui i Lacedemoni avessero risparmiato, durante il saccheggio, le sue terre a causa di un vincolo di
ospitalità con Archidamo, il re degli spartani78.
Tuttavia, è durante i primi anni della guerra del Peloponneso, durante i quali Alcibiade si affaccia ad
una vita adulta, che assistiamo ad uno slittamento dell’economia ateniese verso una dimensione non
più terriera ma artigiana e commerciale. Questo processo economico è ben delineato dall’autore della
Costituzione degli Ateniesi pseudosenofontea, opera che si data alla seconda metà del V secolo e più
probabilmente nei primi anni della guerra, il quale sottolinea come Atene controllasse il traffico di
tutte le materie prime per la costruzione di una flotta79. Il cambiamento economico è evidenziato
anche da Tucidide: nel 431 a.C. scoppia la guerra del Peloponneso e un anno dopo, gli Ateniesi
decidono di celebrare i caduti in guerra con un discorso funebre e di affidare il compito al personaggio
più importante in quel momento: Pericle. Il politico, elogia la democrazia ateniese per il carattere
egualitario delle sue leggi e per l’abolizione di ogni distinzione di ceto per permettere a tutti di poter
vivere godendo della propria libertà individuale e collettiva; ma egli non si limita a considerazioni
etiche e politiche. Pericle, infatti, sottolinea che la ricchezza di Atene non consiste più nei prodotti
che offre la sua terra, ma piuttosto in quelli di altre terre che giungono appunto tramite il commercio80.
La conseguenza di questo sviluppo fu il proliferare di botteghe sempre più grandi, nate per produrre
i beni da poter scambiare al Pireo. Ovviamente il cambiamento economico investì anche l’ambiente
politico: vediamo infatti salire sulla scena politica personaggi quali Eucrate, Lisicle e Agnone definiti
rispettivamente πειοπώλης, προβατοπώλης e βυρσοπώλης ossia ‘mercante di corde’, ‘mercante di
pecore’ e ‘mercante di pelli’. Questi politici testimoniano l’evoluzione economica dell’Atene di V
secolo. Infatti questi poterono permettersi di entrare in politica e sostenere i costi che questa
comportava solo grazie alle trasformazione economiche avvenute in quel periodo81.
78
Thuc. II 13,1.
[Xen.] Ath. resp. II 11-12.
80
Thuc. II 38,1-2.
81
Saldutti 2013, 83.
79
13
Se da un lato assistiamo ad un’ascesa della classe di artigiani e mercanti, dall’altra notiamo una
decadenza di molte nobili famiglie antiche. Euripide sembra richiamare ciò in alcune sue tragedie82
dove viene posto il tema dell’ὰρετή e della sua, complicata, trasmissibilità83. Già alcuni autori del IV
secolo hanno cercato di dare una spiegazione a questa crisi: Platone ritiene che la causa fu la
mancanza di una adeguata educazione e quindi di una conseguente mancanza di ὰρετή84; Aristotele
invece, ritiene che le famiglie nobili sono come i raccolti: discontinui di anno in anno85.
Le ripetute invasioni dei Lacedemoni in Attica provocarono un’ulteriore riduzione dell’importanza
economica della chora come emerge dalle parole di Pericle, scritte da Tucidide nel secondo libro
delle Storie:
οἴεσθε μὲν γὰρ τῶν ξυμμάχων μόνων ἄρχειν, ἐγὼ δὲ ἀποφαίνω δύο
μερῶν τῶν ἐς χρῆσιν φανερῶν, γῆς καὶ θαλάσσης, τοῦ ἑτέρου ὑμᾶς
παντὸς κυριωτάτους ὄντας, ἐφ᾽ ὅσον τε νῦν νέμεσθε καὶ ἢν ἐπὶ πλέον
βουληθῆτε: καὶ οὐκ ἔστιν ὅστις τῇ ὑπαρχούσῃ παρασκευῇ τοῦ ναυτικοῦ
πλέοντας ὑμᾶς οὔτε βασιλεὺς οὔτε ἄλλο οὐδὲν ἔθνος τῶν ἐν τῷ παρόντι
κωλύσει. ὥστε οὐ κατὰ τὴν τῶν οἰκιῶν καὶ τῆς γῆς χρείαν, ὧν μεγάλων
νομίζετε ἐστερῆσθαι, αὕτη ἡ δύναμις φαίνεται: οὐδ᾽ εἰκὸς χαλεπῶς
φέρειν αὐτῶν μᾶλλον ἢ οὐ κηπίον καὶ ἐγκαλλώπισμα πλούτου πρὸς
ταύτην νομίσαντας ὀλιγωρῆσαι, καὶ γνῶναι ἐλευθερίαν μέν, ἢν
ἀντιλαμβανόμενοι αὐτῆς διασώσωμεν, ῥᾳδίως ταῦτα ἀναληψομένην,
ἄλλων δὲ ὑπακούσασι καὶ τὰ προκεκτημένα φιλεῖν ἐλασσοῦσθαι […]86’
«Voi credete di comandare solo i vostri alleati, mentre io vi mostro che,
di due parti che si aprono allo sfruttamento umano, la terra e il mare,
dell’una voi siete signori assoluti, nell’estensione che ora ha l’impero
82
Eur. Hec. 591-602; El. 367-372; Supp. 911-917.
Saldutti 2013, 93.
84
Plat. Lach. 179b-d; Meno 93b-94d.
85
Aristot. Rhet. II 1390b.
86
Thuc. II 62,2-3.
83
14
che ora voi governate: e anche nel caso voi vogliate dominare
un’estensione ancora maggiore, e non vi è nessuno, né un re né un
popolo, che attualmente possa trattenervi quando voi navigate con tutta
la vostra potenza marittima. Sicché questo potere non appare
paragonabile all’uso delle vostre case o della vostra terra, con cui
credete di essere privati di importanti possessi, né ragionevole
addolorarsi per queste cose piuttosto che non darsene cura e
considerarle, se paragonate a questo potere, come un giardinetto o un
oggetto di lusso fornitoci dalla nostra ricchezza. E dovete sapere che la
libertà, se ci prenderemo cura di essa, e la salveremo, facilmente
ricostruirà tutti questi oggetti, mentre, se saremo sudditi di altri, si
assottiglierà anche quello che possediamo in sovrappiù». [Trad. di
Franco Ferrari]
Il discorso fu pronunciato da Pericle in seguito ad un attacco politico nei suoi confronti. Nel 430 a.C.
gli Spartani attuarono una seconda spedizione in Attica devastando il territorio. Gli ateniesi allora,
stanchi della guerra, si ribellarono a Pericle e alla sua strategia difensivista, cercando di intavolare
trattative di pace con i Lacedemoni, ma fallirono. Allora l’alcmeonide convocò un’assemblea e
declamò questa sua apologia politica87. Egli nel passo sopraccitato elogia fortemente la talassocrazia
ateniese ritenendo gli Ateniesi avvantaggiati rispetto a tutti gli altri Greci in quanto non dominano
solo i vari alleati, ma controllano anche uno spazio, il mare, che garantiva la sussistenza e la ricchezza
della polis88. Tutto ciò va a discapito dei cosiddetti ‘rentiers’, i proprietari terrieri, i quali come detto
prima, preoccupati dalle incursioni spartane e dalle conseguenti devastazioni dei loro territori,
attaccarono Pericle e la sua strategia militare. Quest’ultimo invita loro a riflettere sulla proporzione
tra i benefici ottenuti dalla talassocrazia e quelli, molto più limitati, che derivano dai propri beni in
87
88
Thuc. II 59.
Thuc. II 62,1-2.
15
Attica. Proprio per questo Pericle definisce la chora ateniese un κηπίον paragonabile ad un
ἐγκαλλώπισμα89, un ornamento, suggerendo con ciò l’idea che la proprietà fondiaria era ormai un
costoso investimento che garantiva un basso profitto90.
Di conseguenza, la svalutazione del terreno, comportò un incremento dell’emporia, fenomeno che
era già accaduto ad Egina91, dove la coniazione della moneta, sintomo tangibile dello sviluppo
dell’emporia, fu causata da una mancanza di terreno. Tutto ciò non favorì certamente i ricchi
proprietari terrieri che insieme ai contadini furono la classe sociale più danneggiata92. Tra questi vi
erano coloro che, nel 430 a.C., tentarono di screditare Pericle, definiti poi dopo dallo stratego stesso
ἀπράγμονες93. Gli studiosi più recenti concordano che gli ἀπράγμονες fossero proprio gli aristocratici
tradizionalisti94.
Questo dunque è il quadro socio-economico in cui Alcibiade vive. Tuttavia, egli, pur appartenendo
all’aristocrazia latifondista, non sembra risentire della crisi che quest’ultima attraversò in quegli anni.
Alcibiade sfruttò le sue ricchezze sia per un uso ‘pubblico’ sia per un uso ‘privato’. Ma prima di
analizzare il modo in cui impiegò i suoi beni, bisogna chiarire bene quale significato avessero questi
due termini nella Grecia classica. Il rapporto tra pubblico e privato si coglie chiaramente nell’Epitaffio
pericleo scritto da Tucidide95: nel discorso che il politico ateniese tiene per i morti del primo anno di
guerra si capisce come il rapporto tra queste due categorie sociologiche sia stabile ma allo stesso
tempo carico di tensione, e proprio lo stato democratico pericleo si incarica di bilanciarlo. Di fronte
alle leggi, lo spazio pubblico, a tutti spetta un piano di parità, mentre per quanto riguarda gli interessi
privati ognuno può emergere non per la provenienza da una classe sociale ma per ciò che vale. Il
pubblico quindi si presenta più bilanciato in quanto si regge sul principio dell’uguaglianza, mentre il
89
Thuc. II 62,3.
Fantasia 2003, 467.
91
L’incremento della coniazione di monete e lo sviluppo del commercio marittimo è testimoniato da Eforo. Per
approfondire vd. Ephor. FGrHist 70 F176 = Strabo VIII 6,16.
92
Saldutti 2013, 95-96.
93
Thuc. II 63,2; 64,4.
94
Carter 1986.
95
Thuc. II 35-46.
90
16
privato, in cui si creano inevitabilmente delle disuguaglianze sociali, risulta più instabile. Di fatto,
sembra che Pericle voglia dimostrare una superiorità del primo rispetto al secondo, ma non è così. La
politica periclea, come si è detto prima, ha il compito di armonizzare e conciliare e poiché il luogo in
cui l’accordo avviene è quello del politico, lo spazio pubblico appare dominante96. Pericle era ben
consapevole della distinzione tra idion e koinon, infatti secondo Plutarco97 egli si mostrava in
pubblico solo sulla strada che conduceva all’agora e al bouleterion ed evitava di partecipare a
banchetti. La distinzione è rimarcata anche da Tucidide: all’imminente arrivo dell’esercito
peloponnesiaco, nel 431 a.C., Pericle, prima di ogni cosa, dichiara che se i Lacedemoni avessero
lasciato le sue proprietà indenni, egli le avrebbe consegnate allo stato. L’alcmeonide non vuole che il
suo interesse privato interferisca con una faccenda pubblica come la guerra98.
In questo contesto si inserisce Alcibiade, il quale allo stesso tempo sembra avere un comportamento
tradizionalistico e innovativo nella gestione della sua ricchezza nella sfera pubblica. Lo stratego
investe il suo patrimonio in liturgie e altre donazioni per sponsorizzare la sua figura di politico: una
coregia nel 415 a.C.99; un epidosis100, ossia una donazione volontaria, intorno al 420 a.C.; una
trierachia per la spedizione in Sicilia nel 415 a.C101. I cospicui investimenti economici che Alcibiade
fa nelle liturgie testimoniano la sua appartenenza a quella che Davies definisce ‘propertied class’102.
Le liturgie avevano vari costi: la più economica era l’εὐταξία (circa 50 dracme)103, anche se è attestata
una sola volta e probabilmente ebbe breve durata104. La più costosa invece era la trierachia (circa un
talento105). Non bisogna però cadere nell’errore di identificare la ‘propertied class’ con i ricchi
ateniesi, proprietari terrieri ma non tutti in grado di contribuire alle liturgie. Per evitare di cadere in
96
Musti 1985, 7-17.
Plut. Per. 7.
98
Musti 1985, 14.
99
Plut. Alc. XVI 5.
100
L’episodio è narrato da Plutarco in Alc. X e segna metaforicamente il primo passo per la carriera pubblica di Alcibiade.
101
Thuc. VI 16,3.
102
Per la definizione di ‘propertied class’ vd. Davies 1984, 9.
103
IG II3 col.1 l.5.
104
Davies 1984, 9 n.1.
105
Dem. XXI 155. Per il costo delle varie liturgie vd. Davies 1971, XXI-XXII.
97
17
questa sovrapposizione è giusto fare un’analisi delle notizie che le fonti ci tramandano. Secondo
Hemelrijk106 πλουσίοι e i πένητες, rispettivamente i ricchi e i poveri, non sono due classi sociali
polarizzate e opposte, ma classi almeno in parte sovrapposte che insieme non coprono tutto lo spettro
economico ateniese. I πένητες sono coloro che lavorano per vivere, da non confondersi con i
mendicanti o i bisognosi chiamati con termini diversi, come ad esempio, δεόμενοι o ἐνδεεῖς.
Hemelrijk, identifica i ricchi ateniesi (πλουσίοι o εὔποροι) in coloro che investono i soldi in liturgie
e servono lo stato con le loro proprietà. Egli riprende una concezione degli antichi: Aristotele
definisce la seconda classe sociale più alta tra le sette presenti e scrive che questa si identifica con
quelli che servono lo stato con le loro proprietà: gli εὔποροι, appunto107. Concorde con questa
distinzione è anche Isocrate, il quale nell’orazione Sulla pace identifica i ricchi proprietari con la
classe liturgica108. Secondo Davies i ricchi proprietari terrieri e la classe liturgica non sono la stessa
cosa ma esisteva una tendenza delle fonti classiche a considerare gli εὔποροι, πλούσιοι e i
κτήματ'ἔχοντες identici ai τριήραρχοι e ai λῃτουργοῦντες109. I membri della classe liturgica
potrebbero essere considerati come una classe a sé stante che rappresentava una parte privilegiata
della classe dei ricchi, i quali avevano le proprietà ma non tutti potevano permettersi di sostenere i
costi di una liturgia110.
Alcibiade quindi apparteneva alla cosiddetta ‘liturgical class’ e addirittura il suo patrimonio,
probabilmente, superava le capacità di coloro che investivano in liturgie. Infatti egli investì le sue
ricchezze per alimentare la sua τρυφή che si manifestava principalmente nell’amore per i cavalli. Un
uomo che poteva permettersi di dedicarsi all’hippotrophia111 doveva avere una capacità economica
maggiore del censo liturgico112. La sua scuderia riportò numerose vittorie: sappiamo da Plutarco che
106
Hemelrijk 1925, 1-52.
Aristot. Ath.resp. 1291a 33-34.
108
Isoc. VIII 128.
109
Crf. [Xen] Ath.resp.. I 13; Lys. XXVII 9-10; Dem. XXI 151,153 e 208.
110
Davies 1984, 13-14.
111
Isocrate scrive che l’hippotrophia era l’occupazione dei facoltosi. Per approfondire vd. Isoc. XVI 33.
112
Davies 1971, XXV-XXVI.
107
18
egli vinse una gara a Nemea e la sua vittoria fu poi rappresentata dal pittore Aristofonte113; un’altra
vittoria a Delfi fu commemorata sul dipinto di Aglaofonte il giovane, commissionato dallo stesso
Alcibiade114; è probabile una vittoria alla corsa dei carri durante le Grandi Panatenee nel 418 a.C115.
La più grande vittoria di Alcibiade però fu quella ai giochi Olimpici del 416 a.C. dove partecipò con
ben sette cocchi e conquistò il primo, il secondo e il quarto posto116. La singolarità dell’evento non
fu soltanto la palese superiorità della scuderia ma il fatto che, come afferma Plutarco117, né un re né
un privato cittadino aveva mai gareggiato con sette carri come lui. La suddetta testimonianza è di
grande importanza perché lascia intendere che la capacità economica di Alcibiade era tale da potersi
permettere terreni per allevare cavalli e allestire ben sette carri. Alcibiade inoltre celebrò la sua vittoria
in modo molto sfarzoso: la gente di Efeso allestì per lui un grande tenda, più grande di quella che
ospitava lo stato maggiore; i Chioti procurarono per i suoi cavalli biada e per lui animali sacrificali;
la gente di Lesbo provvide al vino e ad altre provviste necessarie per una grande celebrazione118.
Addirittura Euripide, in merito alla vittoria, scrisse di lui:
σὲ δ'ἀείσομαι, ὦ Κλεινίου παῖ
καλὸν ἁ νίκα· καλῶν δὲ
κάλλιστον, ὃ μηδεὶς
ἃλλος Ἑλλάνων,
ἅρματι πρῶτα δραμεῖν καὶ δεύτερα καὶ τρίτα
βῆναί τ'ἀπονητὶ Διὸς στεφθέντ'ἐλαίᾳ
κάρυκι βοὰν παραδοῦναι.119
113
Plut. Alc. XVI 7.
Athen. XII 534d.
115
Per approfondire vd. Amyx 1958.
116
Thuc. VI 16,2.
117
Plut. Alc. 11,1-2.
118
[Andoc.] IV 30; Plut. Alc. XII 1. Secondo Ellis il gesto eclatante di far correre sette carri è giustificato dalla rivalità che
a quel tempo c’era tra Alcibiade e Nicia, che a sua volta si era reso protagonista di azioni degne di nota. Per approfondire
vd. Ellis 1993, 98-99.
119
Bowra 1960, 68-79.
114
19
«Canterò te, o figlio di Clinia;
bella è la vittoria, il più bello tra le cose belle però quello che nessun
altro greco fece:
avere nella corsa dei carri il primo, il secondo, il terzo posto120,
e senza fatica, coronato di olivo di Zeus,
venire a dar voce all’araldo» [Trad. di Domenico Magnino]
Quindi, attraverso l’analisi delle fonti, si evince che Alcibiade fece un uso della ricchezza del tutto
nuovo rispetto alle consuetudini del suo tempo. Nella sfera pubblica da un lato agì secondo la tradizione
finanziando liturgie o trierarchie, dall’altro egli sfruttò la sua ricchezza, latifondistica, per mostrare
ostentatamente il suo lusso e ricavare consenso.
120
Euripide ricorda un terzo posto e non quarto come Plutarco (Alc. 11,1-2) e Tucidide (VI 16,2). Per approfondire vd.
Gomme, Andrewes, Dover 1970, 246-247.
20
II LA GIOVINEZZA DI ALCIBIADE
La giovinezza e, in parte la maturità di Alcibiade, è segnata nella tradizione antica da vari episodi
che, in linea con la personalità sui generis del personaggio, si configurano per la loro singolarità.
Moltissimi autori, dai comici agli oratori, hanno parlato di Alcibiade, nel bene e nel male, ma per
quanto riguarda le sue azioni stravaganti, gravide di riflessioni sulla personalità di Alcibiade -in
particolare nei suoi anni formativi- e sulla sua ricezione nel tempo, due sono le fonti principali che
riportano più notizie: la pseudo-andocidea orazione Contro Alcibiade e Plutarco nella Vita di
Alcibiade.
II.1 Il riflesso del giovane Alcibiade in Andocide nell’orazione Contro
Alcibiade
L’orazione Contro Alcibiade, trasmessa all’interno del corpus di Andocide, se da un lato rappresenta
uno dei testi più complessi e intricati su cui la critica letteraria ha indagato, dall’altro è una fonte
essenziale per delineare la particolare personalità di Alcibiade. L’orazione riguarda più precisamente
un’ὀστρακοφορία, ossia una procedura di ostracismo che colpirà uno tra Nicia, Alcibiade e l’oratore
stesso121. Quest’ultimo ha come scopo quello di difendersi dalle accuse rivoltegli dagli avversari
politici per evitare di ricevere il bando decennale, e fa ciò, costruendo una sua apologia, che si
configura, tuttavia, piuttosto come un’accusa nei confronti di Alcibiade.
121
[Andoc.] IV 2.
21
L’ orazione è databile al 415 a.C., precisamente in primavera. L’autore infatti nomina Nicia, il quale
partì per la spedizione siciliana nell’estate del 415 a.C122. Ciò permette di restringere l’arco di tempo
nel quale si immagina recitata l’orazione e fissare il limite non oltre l’estate del 415 a.C. L’autore nel
suo discorso fa riferimento a due precisi eventi storici: la conquista di Melo da parte di Atene,
avvenuta tra il 416 e il 415 a.C.123 e la partecipazione di Alcibiade ai giochi olimpici nell’estate del
416 a.C124. Poiché sappiamo che le procedure dell’ostracismo si tenevano in primavera125 e che
Alcibiade partì per la Sicilia nell’estate del 415 a.C., l’ostracismo si colloca a rigor di logica nella
primavera del 415 a.C126.
Per quanto riguarda l’ambientazione, non pochi sono i problemi che emergono a riguardo. Infatti, dai
marcatori temporali presenti nell’orazione127 sembra che l’oratore pronunci il discorso proprio
durante il giorno dell’ὀστρακοφορία, ricadendo però in una forte contraddizione, in quanto egli stesso
afferma che durante questa procedura non era permesso intervenire128. Quest’ultima affermazione
trova riscontro negli studi fatti riguardo all’ostracismo che effettivamente indicano che le due
votazioni in cui si decideva se applicare o meno l’ostracismo non erano precedute da dibattiti129.
Tuttavia, se i diretti interessati o le loro fazioni politiche non potevano intervenire nell’assemblea
durante le fasi della votazione, potevano farlo in pubblico, molto probabilmente nell’arco di tempo
tra la prima votazione e l’ὀστρακοφορία, cercando di smuovere gli animi degli Ateniesi e persuaderli
a non votare contro di loro ma contro gli avversari. Ed è forse proprio in una di queste assemblee
pubbliche informali che l’orazione venne pronunciata. Ma ciò non spiegherebbe perché l’oratore
afferma di parlare proprio durante l’ὀστρακοφορία. Il motivo potrebbe essere di tipo psicologicostilistico: ipotizzando che l’oratore si trovasse di fronte agli Ateniesi in un’assemblea popolare
122
[Andoc.] IV 16. Cfr. MacDowell 1962, 189; Furley 1966, 126 e 129.
Thuc. V 116,2-3.
124
Thuc. VI 12,1.
125
Aristot. Ath. resp. 43,5.
126
L’ostracismo avveniva prima della settima pritania e si divideva in due fasi: nella prima, l’ἐκκλησία si riuniva e tramite
un’ἐπιχειροτονία decideva se applicare per l’anno successivo l’ostracismo. Cfr. Carcopino 1935. Vd. Siewert 2002.
127
[Andoc.] IV 2 ὲν τῷ παρόντι; [Andoc.] IV 3 ἀγὼν ὁ παρών; [Andoc.] IV 37-38 ἐν ταύτῃ τῇ ἡμέρᾳ.
128
[Andoc.] IV 21-23.
129
Carcopino 1935, 62-71;
123
22
informale, egli avrebbe di proposito ambientato l’orazione nel giorno della votazione per dare al
discorso un timbro ufficiale e non di propaganda in modo tale da presentare quindi il suo discorso
come una legittima difesa. Inoltre dichiarando fittiziamente che il voto fosse imminente avrebbe
potuto velocizzare il processo di persuasione a suo favore130.
Generalmente la critica, riguardo l’orazione, si è confrontata su due questioni principali:
l’attribuzione dell’opera e di conseguenza la sua autenticità e la sua collocazione cronologica.
Alle origini del dibattito va sicuramente collocato il lavoro di M. H. E. Meier che, sebbene non sia il
primo in ordine cronologico, sicuramente è quello più completo riguardo la questione andocidea131.
Nelle sue sei Commentationes alla Contro Alcibiade, nega la paternità andocidea, in quanto,
essendoci troppi errori riguardanti le istituzioni ateniesi e in particolare sulla procedura
dell’ostracismo, l’autore non può essere nato nel V secolo e aver visto operante questa pratica132.
Sono state pertanto avanzate diverse ipotesi di attribuzione, tra le quali hanno goduto di maggior
credito quelle che indicano in Feace, Antistene e Eschine Socratico la paternità dell’opera.
Che l’autore sia Feace è sostenuto da Carcopino133, Treves134 e Furley135. La loro tesi si basa su una
notizia tramandata da Plutarco136 che nomina un’orazione di Feace contenente un episodio molto
simile a quello affrontato nel testo pseudo-andocideo. Inoltre ci sono alcune analogie biografiche tra
l’autore e Feace stesso: Aristofane fa riferimento ad un processo in cui Feace avrebbe rischiato la
vita137, così come l’autore dell’orazione, che afferma di aver subito quattro processi in cui ha rischiato
la pena di morte e la confisca dei beni138. Inoltre quest’ultimo ricorda alcune ambascerie compiute da
130
Gazzano 1999, XXX-XXXII. Non è d’accordo con questa tesi Carcopino, per approfondire vd. Carcopino 1938, 63-64.
Ghiggia 1995, 13.
132
Meier 1861, 74-343.
133
Secondo Carcopino, a causa degli errori commessi dall’oratore sulla pratica dell’ostracismo, bisognerebbe
considerare l’orazione come un falso composto all’inizio del IV secolo da un anonimo che avesse immaginato un discorso
fittizio di Feace prima della votazione finale. Vd. Carcopino 19352, 215-232.
134
Treves 1938, 105-119.
135
Furley 1989, 138-156.
136
Plut. Alc. 12,3.
137
Aristoph. Eq. 1375-1380.
138
[Andoc.] IV 8-9; 38.
131
23
lui in Italia e Sicilia, in Macedonia, Molossia e Tesprozia ed effettivamente siamo a conoscenza di
viaggi compiuti in Sicilia e Italia da Feace come ambasciatore di Atene139.
Secondo Crosara140, il primo a curare una traduzione completa, in Italia, delle orazioni di Andocide,
il testo apparterrebbe ad Antistene Socratico sulla base di un confronto tra una battuta a lui attribuita
in Ateneo141 e un passo dell’orazione stessa142. Tuttavia non si capisce bene se Ateneo in questo passo
citi un’opera di Antistene o se la battuta sia contenuta in un passo di Satiro in cui Antistene è solo un
personaggio.
Anche Cobetto Ghiggia nega l’attribuzione andocidea. Secondo lo studioso italiano l’autore potrebbe
essere identificato in Eschine Socratico, filosofo ateniese vissuto a cavallo tra il V e IV secolo, e
l’opera sarebbe da considerarsi un’orazione fittizia dal carattere di pamphlet. Cobetto Ghiggia basa
la sua tesi su una testimonianza di Diogene Laerzio143 nella vita di Eschine Socratico, in cui si dice
che il filosofo avesse scritto un’apologia del padre dello stratego Feace, considerato da molti il terzo
imputato insieme ad Alcibiade e Nicia. Dallo Pseudo-Plutarco invece, sappiamo che Andocide scrisse
una Difesa contro Feace144. Quindi entrambe le fonti parlando di un’apologia, ma rispettivamente
l’attribuiscono ad autore e soggetti diversi. Nell’ostracismo del 415 lo studioso si chiede perché
Diogene Laerzio faccia riferimento all’orazione in termini così oscuri e per quale motivo, se davvero
fosse esistita un’orazione nel corpus di opere di Eschine Socratico, questa non ci sarebbe dovuta
pervenire come l’orazione in difesa di Erasistrato, padre appunto di Feace. Egli si serve dell’analisi
filologica di Friedrich Blass al passo di Diogene Laerzio che, nel brano in questione, al verso 63,
sostituisce τοῦ πατρὸς con ὑπὲρ. Quindi il testo così tramandato, ὡς δῆλον ἔκ τε τῆς ἀπολογίας τοῦ
πατρὸς Φαίακος τοῦ στρατηγοῦ, verrebbe corretto nel modo seguente: ὡς δῆλον ἔκ τε τῆς ἀπολογίας
[τοῦ πατρὸς] <ὑπὲρ> Φαίακος τοῦ στρατηγοῦ145. Lo stesso Cobetto Ghiggia propone una sua
139
Thuc. V 5,1.
Crosara 1857, 153.
141
Athen. XII 534 c8-d7 = Antisth. Socr. fr. 198 Giannantoni.
142
[Andoc.] IV 30.
143
Diog. Laert. 2,63.
144
[Plut.] Vit. Dec. 835a.
145
Blass 1887, 330.
140
24
alternativa: ὡς δῆλον ἔκ τε τῆς ἀπολογίας τοῦ πατρὸς καὶ Φαίακος τοῦ στρατηγοῦ146. Entrambe le
correzioni permetterebbero di avanzare l’ipotesi di un’orazione di Eschine Socratico in difesa di
Feace, identificabile con la Contro Alcibiade. Quest’ultima sarebbe stata poi inserita nel corpus
andocideo per associazione con La Difesa contro Feace menzionata dallo Pseudo-Plutarco.
Sebbene la maggior parte della critica confuti la paternità dell’orazione andocidea c’è chi ha tentato
di difenderla. Treves, ad esempio, ritiene la Contro Alcibiade un’opera autentica di Andocide in base
agli studi fatti da Gernet , il quale asserisce che la scrittura dell’orazione non è solo del primo decennio
del IV secolo ma addirittura antecedente al Περὶ τοῦ Ζεύγους di Isocrate147. Nell’orazione vi è un
passo in cui l’autore paragona il figlio nato da Alcibiade e la schiava di Melo all’eroe tragico
Egisto148. Ora poiché nella orazione Sui Misteri di Andocide, precedente la Contro Alcibiade, si fa
riferimento di nuovo all’eroe tragico, Treves ritiene che Andocide abbia adattato l’allusione tragica
del suo precedente discorso ad Alcibiade. La conclusione a cui lo studioso giunge è che Andocide,
rientrato ad Atene nel 402 a.C., e animato dalla volontà di impedire il ritorno della politica
imperialistica, di cui Alcibiade era stato il massimo premonitore, scrisse un pamphlet in forma di
orazione, consapevolmente anacronistico149. La tesi però non è accettata dalla Gazzano, secondo la
quale in primis l’orazione non può essere considerata un pamphlet, come ad esempio La Costituzione
degli Ateniesi di Pseudo-Senofonte, poiché a differenza di quest’ultima che si rivolgeva ad un
ambiente ristretto e oligarchico, la Contro Alcibiade era rivolta alla cittadinanza ateniese. Inoltre se
fosse stata davvero un pamphlet di stampo oligarchico, l’oratore non avrebbe difeso i principi
democratici a svantaggio della παρανομία di Alcibiade. Inoltre, la studiosa ritiene che sia
inappropriato considerare l’opera una denuncia volta a screditare la politica di imperialismo, di cui
Alcibiade fu il rappresentante più emblematico. Infatti se fosse stato davvero questo lo scopo, allora
non si capirebbe perché l’oratore decide di screditare Alcibiade narrando episodi della sua vita minori
146
Ghiggia 1995, 113.
Gernet 1931, 313.
148
[Andoc.] IV 22.
149
Treves 1938, 180 n.1.
147
25
rispetto ad altri molto più gravi, quali la profanazione dei misteri o il suo appoggio alla politica
spartana. Per di più, non si capirebbe il perché l’autore, se avesse voluto davvero inserirsi nel dibattito
politico di inizio IV secolo su un eventuale ritorna alla politica imperialistica di Atene dopo la sua
sconfitta nella Guerra del Peloponneso, si sia dilungato sull’utilità dell’ostracismo150, che inoltre ad
Atene, dopo quello che coinvolse Iperbolo nel 417151, non fu più utilizzato152.
La paternità andocidea è difesa anche da Dover che ritiene inoltre che il terzo imputato
nell’ostracismo, ossia colui che attacca Alcibiade, sia il padre dell’oratore, Leogora, che come
l’accusatore, ha compiuto un viaggio in Macedonia153 e aveva buone ragioni per odiare Alcibiade,
poiché lui e la sua famiglia furono vittime delle false denunce fatte dagli amici dell’alcmeonide154.
Se per la paternità andocidea ci sono moltissimi dubbi non meno ce ne sono per la datazione
dell’opera. Quest’ultima oscilla all’interno di un arco temporale che va dal 415 a.C., anno della presa
di Melo, evento menzionato dallo stesso autore155, che costituisce il terminus post quem, e il 349 a.C.,
data dell’orazione Contro Midia di Demostene che trae informazioni dall’orazione pseudoandocidea156. Nel corso degli anni si è tentato di ridurre questa forbice cronologica utilizzando come
punti di riferimento l’orazione De Bigis di Isocrate e il discorso Contro Alcibiade per diserzione di
Lisia. Il De Bigis è databile fra il 399-398 e il 396-395 a.C.157 e vede il figlio di Alcibiade essere
accusato da Tisia poiché il padre si era appropriato illecitamente del carro da corsa di Diomede per
poi farlo gareggiare ad Olimpia. L’orazione pseudo-andocidea richiama l’episodio, ma con una
differenza di estrema importanza per la datazione. L’identità dell’accusatore, infatti, differisce nei
due autori: secondo Isocrate è Tisia, per lo Pseudo-Andocide è Diomede. Secondo Cobetto Ghiggia
il problema può essere risolto considerando Tisia un successore legale di Diomede, o il figlio o il
150
[Andoc.] IV 18-46.
Philoch. FGrHist 328 F 30; Plut. Nic. 11,6-7 e Arist. 7,4.
152
Gazzano 1999, XLIX-L.
153
IG I2 57.50 f.
154
Dover 1968, 191-192.
155
[Andoc.] IV 22-23.
156
Ghiggia 1995, 80-82.
157
Treves 1938, 113-120.
151
26
socio. Il processo intentato da Diomede contro Alcibiade risalirebbe al 407 a.C. e si sarebbe
prolungato fino al 396 a.C., anno in cui Diomede era già morto e gli era successo Tisia. Le due
orazioni registrerebbero dunque due momenti dello stesso episodio, una prima fase del processo
sarebbe registrato dalla Contro Alcibiade, una seconda nella De Bigiis. Quindi l’orazione di Isocrate
dovrebbe essere posteriore alla Contro Alcibiade158. Per quanto riguarda invece il discorso Contro
Alcibiade per diserzione di Lisia, databile al 395 a.C.159, si istituisce un immediato confronto con
l’orazione pseudo-andocidea per via del tema degli ostracismi subiti dagli Alcmeonidi, ricordati in
entrambe. Lisia parla di due ostracismi che colpirono Megacle IV e Alcibiade II160, mentre PseudoAnodcide uno solo161. Secondo Gernet per giustificare un legame tra le due opere bisognerebbe
pensare che Lisia prendesse le notizie riguardo agli ostracismi dalla Contro Alcibiade, ma
commettendo un errore o che l’avverbio δίς (due volte) fosse una glossa penetrata nel testo lisiano
successivamente:
καὶ γὰρ ὁ τῆς μητρὸς πατὴρ Μεγακλῆς καὶ ὁ πάππος Ἀλκιβιάδης
<δὶς> ἐξωστρακίσθησαν ἀμφότεροι, ὥστ᾽ οὐδὲν θαυμαστὸν οὐδ᾽
ἄτοπον πείσεται τῶν αὐτῶν τοῖς προγόνοις ἀξιούμενος162.
Se fossero corrette le osservazioni di Gernet, l’orazione di Lisia costituirebbe a sua volta il terminus
ante quem. L’orazione sarebbe pertanto stata composta nel decennio o poco più che va dal 407 al
395, in anni vicini a quelli finali di Alcibiade. La cosa non è priva di importanza, perché quale che
sia l’autore dell’opera e il suo intento, anche nel caso di un testo che non fu mai recitato in un
158
Ghiggia 1995, 82-85.
Per approfondire vd. Bizos, Gernet 1989, 221; Carey 1989, 141; Medda 1991, 413.
160
Lys. XIV 39.
161
[Andoc.] IV 34.
162
[Andoc.] IV 34,5-6.
159
27
tribunale, ma pensato per la lettura, la vicinanza cronologica alla vita di Alcibiade la rende una fonte
di grande interesse per la sua ricostruzione163.
L’oratore dopo aver criticato la procedura dell’ostracismo, chiesta l’imparzialità dei giudici e
raccontato alcune sue disavventure giudiziarie164, passa alla critica della vita di Alcibiade,
caratterizzata, secondo lui, dalla παρανομία, ossia dal disprezzo delle leggi165. L’idea di fondo che
l’oratore pseudo-andocideo vuole far passare è quella di un tentativo da parte di Alcibiade di
sottomettere i cittadini alla sua personalità fuori dagli schemi e far accettare tutte le sue azioni contro
natura, quando poi in realtà in Grecia era la polis a controllare i cittadini e reprimere eventuali azioni
sui generis. L’oratore dichiara esplicitamente il suo intento biografico166, infatti la materia di cui
tratterà è definita πλῆθος τῶν ἁμαρτημἁτων, ossia la quantità di crimini, e in particolare quelli
commessi colposamente167. Di questi egli scarterà quelli ‘minori’ per enunciare quelli gravi contro la
città, i parenti, i cittadini e gli stranieri.
Gli episodi che l’oratore utilizza per infangare l’immagine di Alcibiade sono vari: in primo luogo egli
viene accusato di aver raddoppiato il tributo che ciascun alleato doveva versare ad Atene, cosa che
era stata decisa in precedenza da Aristide:
Πρῶτον μὲν οὖν πείσας ὑμᾶς τὸν φόρον ταῖς πόλεσιν ἐξ ἀρχῆς τάξαι
τὸν ὑπ᾽ Ἀριστείδου πάντων δικαιότατα τεταγμένον, αἱρεθεὶς ἐπὶ
τούτῳ δέκατος αὐτὸς μάλιστα διπλάσιον αὐτὸν ἑκάστοις τῶν
συμμάχων ἐποίησεν, ἐπιδείξας δ᾽ αὑτὸν φοβερὸν καὶ μέγα δυνάμενον
ἰδίας ἀπὸ τῶν κοινῶν προσόδους κατεσκευάσατο168.
163
Gernet 1931, 317.
[Andoc.] IV 1-9.
165
[Andoc.] IV 1-34.
166
L’oratore scrive: ὧν ἕνεκα περὶ ἐμαυτοῦ παραλιπὼν Ἀλκιβιάδου τὸν βίον ἀναμνῆσαι βούλομαι. Vd. [Andoc.] IV 10.
167
Aristotele distingue un atto ingiusto commesso colposamente (ἁμάρτημα), un atto ingiusto commesso colposamente
senza premeditazione e uno premeditato (entrambi chiamati ἀδικήματα): cfr. Aristot. Eth.Nic., 1135b 19-27.
168
[Andoc] IV 11.
164
28
«In primo luogo egli vi persuase a ritoccare il tributo per le città
alleate, che venne stabilito da Aristide, sin dalle origini, nella misura
più giusta possibile: eletto per decimo fra gli ellenotami incaricati del
provvedimento, fu lui a raddoppiare quasi il tributo a ciascuno degli
alleati e, dimostratosi temibile e assai potente, si procurò guadagni
personali dalle entrate pubbliche». [Trad. di Pietro Cobetto Ghiggia]
Il primo aneddoto che l’oratore decide di raccontare mette subito in evidenza il contrasto tra
l’interesse pubblico e quello privato. Da un lato abbiamo la figura di Aristide, che la tradizione ci
ricorda essere stato il fondatore della lega delio-attica e colui che fissò inoltre la tassa da pagare per
gli alleati, necessaria per far parte della lega: il φόρος169. L’oratore ritiene che la tassa fu stabilita
πάντων δικαιότατα, ossia nel miglior modo possibile. Quest’ultima espressione, spia dell’equa
giustizia ateniese, rappresentata in questo caso dalla figura di Aristide, entra in forte contrasto con
Alcibiade e il suo gesto. Infatti l’alcmeonide sfruttando la sua forte posizione politica, aumentò il
φόρος per intascarne poi una parte170. Al gesto politico di Aristide, volto completamente al bene della
città di Atene, si contrappone quello dello stratego, che a sua volta antepone l’interesse privato a
quello pubblico.
Alla dicotomia interesse pubblico-interesse privato si aggiunge anche quella che vede contrapposta
la giustizia pubblica di Atene a quelle privata del singolo cittadino. Un aneddoto fondamentale per
quest’ultimo tema è rappresentato dall’episodio riguardante Ipparete, la moglie di Alcibiade:
169
Plut. Arist. 24,1.
La modifica del φόρος a cui allude l’oratore potrebbe risalire al 425-4 a.C., quando la tassa raggiunse i 1460 talenti
(IG I3,71). Ma risulta molto improbabile che Alcibiade potesse essere stato l’ideatore di tutto ciò, data la sua giovanissima
età. Per approfondire vd. Ghiggia 1995, 199.
170
29
λαβὼν δὲ τοσαύτην προῖκα ὅσην οὐδεὶς τῶν Ἑλλήνων, οὕτως ὑβριστὴς
ἦν, ἐπεισάγων εἰς τὴν αὐτὴν οἰκίαν ἑταίρας, καὶ δούλας καὶ ἐλευθέρας,
ὥστ᾽ ἠνάγκασε τὴν γυναῖκα σωφρονεστάτην οὖσαν ἀπολιπεῖν,
ἐλθοῦσαν πρὸς τὸν ἄρχοντα κατὰ τὸν νόμον. οὗ δὴ μάλιστα τὴν αὑτοῦ
δύναμιν ἐπεδείξατο: παρακαλέσας γὰρ τοὺς ἑταίρους, ἁρπάσας ἐκ τῆς
ἀγορᾶς τὴν γυναῖκα ᾤχετο βίᾳ, καὶ πᾶσιν ἐδήλωσε καὶ τῶν ἀρχόντων
καὶ τῶν νόμων καὶ τῶν ἄλλων πολιτῶν καταφρονῶν171.
«Ricevuta quindi una dote tale quale nessun uomo greco mai ottenne,
fu talmente tracotante che, portandosi in casa prostitute, schiave o
libere, costrinse quell’esempio di virtù di sua moglie a chiedere il
divorzio, recandosi di persona dall’arconte come prescrive la legge.
Proprio in quella circostanza mostrò la sua potenza: fatti intervenire i
suoi compagni di eteria, bloccò la moglie e la portò via di forza
dall’agorà, ostentando a tutti il suo disprezzo verso gli arconti, le leggi
e gli altri cittadini». [Trad. di Pietro Cobetto Ghiggia]
L’oratore anche in questo caso strumentalizza un episodio della vita di Alcibiade per mettere in
mostra il disprezzo di quest’ultimo verso la democrazia ateniese. La dialettica giustizia pubblicagiustizia privata è espressa brillantemente dallo Pseudo-Andocide: la δύναμιν che Alcibiade
ἐπεδείξατο, dimostrò il suo disprezzo, rappresentato in questo caso dal participio presente
καταφρονῶν, verso gli arconti, le leggi e i cittadini172.
171
[Andoc.] IV 14.
Plutarco dice che Alcibiade agì secondo la legge (Alc. 8,4-6). Il biografo fa riferimento, probabilmente, ad un’usanza
greca secondo cui alla donna era permesso andare dal magistrato per permettere proprio al marito di riprendersela.
Vd. Bowra 1971, 47. Secondo Ellis invece non esisteva nessun’usanza, ma semplicemente, in una società maschilista
come quella greca, è probabile che il gesto di Alcibiade agli occhi dell’opinione pubblica non sembrò così fuori dagli
schemi. Vd. Ellis 1989, 71.
172
30
La Contro Alcibiade rappresenta senz’altro un’opera di assoluta importanza per ricostruire il βιός di
Alcibiade, tuttavia sebbene l’oratore decida di criticare Alcibiade sulla base di azioni e
comportamenti avuti nella età matura, quest’ultimi possono essere fondamentali per interpretare la
sua giovinezza ed educazione. Dal ritratto andocideo, se pur in maniera implicita, emerge la figura di
un politico privo di educazione che sembra non aver assimilato i principi cardine della παιδείᾳ
ateniese. Alla σωφροσύνη tipica di Socrate, il suo maestro, si contrappone una dirompente ὕβϱις che
sfocia in episodi quali quello del prelievo forzato della moglie Ipparete dal tribunale, al quale si era
recata per chiedere il divorzio. Un riflesso della cattiva educazione durante gli anni di formazione,
può essere intravisto anche nella totale assenza di moderazione di Alcibiade, atteggiamento
sicuramente non ben visto dagli Ateniesi, che egli ad esempio mostra dopo la sua vittoria olimpica
nel 416 a.C. I presunti doni che le città di Efeso, Chio e Lesbo concedono ad Alcibiade per celebrare
la sua vittoria vengono visti dall’oratore come segni di un eccessivo atteggiamento lascivo tipico di
un tiranno173.
Alla luce di ciò si potrebbe dunque avanzare la tesi che la Contro Alcibiade non solo è senza dubbio
un’opera cardine per ricostruire la vita di Alcibiade, ma per di più un punto di riferimento per
comprendere la giovinezza e l’educazione del politico ateniese, in quanto i vari aneddoti raccontati
dall’oratore non sono altro che un riflesso e una conseguenza di un’educazione fuori dagli schemi.
Tutto ciò sarebbe dimostrato anche dal fatto che, considerando l’orazione un’opera di fine V secolo
e inizio IV, essa rientra a sua volta in un mutamento di pensiero che si stava diffondendo in Grecia
proprio in quegli anni. Infatti ora gli uomini politici non possono più contare su un totale appoggio
della polis derivato dal prestigio familiare come era capitato a Milziade, Temistocle e allo stesso
Pericle ma sono continuamente sollecitati a riaffermare la loro autorità. Proprio per questo le nuove
tendenze filosofiche e retoriche si concentravano sull’educazione individuale, il modo di comportarsi
e l’autocontrollo. Tre categorie sociali analizzate e criticate proprio dallo Pseudo-Andocide nei
173
Ghiggia 1995, 238.
31
confronti di Alcibiade174. Alcibiade, da questo punto di vista, rappresentava il soggetto perfetto per
le nuove speculazioni filosofiche e retoriche e per di più egli era stato discepolo di Socrate, che nel
399 a.C. fu condannato a morte per aver arrecato mali alla città e aver educato male i giovani.
II.2 Il ritratto plutarcheo di Alcibiade
La fonte più importante e quella che dà più notizie sulla vita di Alcibiade ed in particolare sulla sua
giovinezza è Plutarco. Il biografo infatti delineando nelle Vite i vari profili dei personaggi greci e
romani più illustri, inserisce anche Alcibiade, confrontandolo con il generale romano Coriolano. La
biografia di Plutarco è di estremo interesse per due motivi: da un lato egli impiega numerose fonti e
di diversa natura, contribuendo a delineare un ritratto più complesso rispetto a quello tramandatoci
dai soli storiografi; dall’altro l’intento programmatico del biografo fornisce numerosi materiali utili
alla ricostruzione degli anni giovanili, quelli formativi, di Alcibiade. Il biografo utilizza Tucidide dal
capitolo tredici fino al capitolo ventisette con molta fedeltà mentre per gli episodi successivi
all’autunno del 410 a.C. Plutarco sembra rifarsi alle Elleniche di Senofonte, e a quelle di Teopompo,
citato esplicitamente nel paragrafo trentadue. Tra le fonti che il biografo ebbe presenti bisogna
aggiungere inoltre anche Eforo e Diodoro175.
Tutti questi, che possono essere definiti gli autori guida dell’opera, sono completati da altre fonti
raggruppabili in tre categorie: autori comici e tragici, autori di opere filosofiche e autori
contemporanei ad Alcibiade e impegnati come lui nella vita politica. Al primo gruppo appartengono
sicuramente Aristofane, di cui abbiamo una sua citazione dalle Rane176 e Euripide con il suo Epinicio
174
Momigliano 1974, 48.
Per un’idea generale su quali fonti utilizza Plutarco nella Vita di Alcibiade, vd. Prandi 1992, 257-281.
176
Plut. Alc. 16,3.
175
32
per Alcibiade177. Alla seconda categoria, gli autori di opere filosofiche, appartiene Teofrasto. Questi
è citato ben tre volte. La prima per un giudizio sull’abilità oratoria di Alcibiade178; la seconda quando
viene ricordata l’alleanza Alcibiade e Feace contro Iperbolo nell’ ὀστρακοφορία del 415 a.C.179 e la
terza quando richiama l’affermazione dello stratego ateniese Archestrato secondo cui la Grecia non
avrebbe potuto sopportare due Alcibiade180. Il terzo gruppo invece è formato da autori attivi
politicamente negli stessi anni di Alcibiade quali Antifonte, Crizia e Andocide. Antifonte fu un
politico ateniese del partito oligarchico che promosse il colpo di stato dei Quattrocento nel 411 a.C.181
Da lui Plutarco riprende l’episodio della fuga di Alcibiade presso uno dei suoi amanti, Democrate,
creando scalpore tra il popolo, e l’episodio in cui uccise uno degli addetti alla palestra di Sibirtio con
un bastone182. Crizia invece fu amico di Alcibiade e come lui discepolo di Socrate. Anche egli come
Antifonte partecipò al colpo di Stato oligarchico del 411 e per di più fu capo dei Trenta tiranni ad
Atene, quando quest’ultima fu sconfitta da Sparta nel 404 a.C. nella guerra del Peloponneso183. Di
Crizia Plutarco riprende un’elegia in cui l’autore rivendica la paternità del decreto con cui Alcibiade
fu richiamato in patria184 dopo l’esilio nel 407 a.C. Andocide come Alcibiade era un rampollo
dell’élite ateniese e fu accusato come l’alcmeonide della mutilazione delle erme. Successivamente fu
scagionato denunciando quattro membri della su eteria aristocratica185. Egli però rappresenta una
fonte un po' diversa dalle altre poiché il debito plutarcheo nei suoi confronti, e in particolare verso
l’orazione Contro Alcibiade, è grande. Richiami indiscutibili si evincono sulle vicende matrimoniali
di Alcibiade186, sui contributi e i regali che le città alleate diedero ad Alcibiade per la sua vittoria con
la quadriga ad Olimpia187, sugli aneddoti riguardanti il rapimento del pittore Agatarco affinché questo
177
Plut. Alc. 11,3.
Plut. Alc. 10,4
179
Plut. 13,8. Cfr. Plut. Nic. 11,10 dove l’autore individua Teofrasto come fonte per la notizia.
180
Plut. Alc. 16,8. Cfr. Plut. Lys. 19 in cui l’autore afferma che la fonte di questa notizia è Teofrasto.
181
Thuc. VIII 68,2.
182
Plut. Alc. 3,1-2.
183
Musti 2006, 438-444.
184
Plut. Alc. 33,1.
185
Plut. Alc. 21,1-6.
186
Cfr. [Andoc.] IV 13-15.
187
Cfr. [Andoc.] IV 30.
178
33
gli dipingesse il quadro da lui commissionato, riguardo alla lite con il corego Taurea sfociata poi in
un gesto di violenza di Alcibiade verso quest’ultimo e sulla presunta relazione con la donna di
Melo188. Tuttavia, il giudizio di Plutarco appare molto più mitigato rispetto a quello dell’oratore: il
recupero ‘forzato’ della moglie Ipparete non fu un atto di violenza in quanto vi era una legge che lo
permetteva189; le città non furono sfruttate ma agirono per emulazione; Agatarco fu pagato e
congedato; l’episodio con la donna di Melo e la probabile nascita di un figlio fu un gesto di umanità.
Numerose informazioni sono tratte da Plutarco dalla biografia di Alcibiade scritta da Satiro e citata
da Ateneo190: la notizia sulle offerte degli alleati dopo la vittoria ad Olimpia191, l’episodio di Anito,
quando Alcibiade recatosi a casa sua, ubriaco, ordinò ai servi di portare via metà delle coppe d’oro e
d’argento192, e le notizie sullo scudo di Eros porta-fulmine, il quadro commissionato per celebrare le
sue vittorie sportive193.
La Vita di Alcibiade plutarchea è sostanzialmente un Vita aneddotica. Russell ha dimostrato come i
primi sedici paragrafi sono piccole storie a sé stanti, giustapposte tra loro senza collegamenti causali.
Sebbene siano presenti dei marcatori cronologici in cui si dice che Alcibiade è giovane o è maturo
non è possibile costruire una linea cronologica precisa. Russell ritiene che tentare di fare ciò
porterebbe ad uno svilimento della funzione dell’aneddoto plutarcheo il quale non ha come fine quello
di costruire una narrazione degli anni della giovinezza di Alcibiade ma di illuminare e illustrare il suo
carattere194. A tal proposito è pertinente il prologo dalla biografia di Alessandro e Cesare in cui il
biografo scrive:
188
Cfr. [Andoc.] IV 17-23.
Vd. nota 51.
190
Cfr. Athen. XII 534b-535e.
191
Plut. Alc. 12,1.
192
Plut. Alc. 4,5.
193
Plut. Alc. 16,1.
194
Russell 1966, 37-47.
189
34
Tὸν Ἀλεξάνδρου τοῦ βασιλέως βίον καὶ τοῦ Καίσαρος, ὑφ᾽ οὗ
κατελύθη Πομπήϊος, ἐν τούτῳ τῷ βιβλίῳ γράφοντες, διὰ τὸ πλῆθος τῶν
ὑποκειμένων πράξεων οὐδὲν ἄλλο προεροῦμεν ἢ παραιτησόμεθα τοὺς
ἀναγινώσκοντας, ἐὰν μὴ πάντα μηδὲ καθ᾽ ἕκαστον ἐξειργασμένως τι
τῶν περιβοήτων ἀπαγγέλλωμεν, ἀλλὰ ἐπιτέμνοντες τὰ πλεῖστα, μὴ
συκοφαντεῖν. οὔτε γὰρ ἱστορίας γράφομεν, ἀλλὰ βίους, οὔτε ταῖς
ἐπιφανεστάταις πράξεσι πάντως ἔνεστι δήλωσις ἀρετῆς ἢ κακίας, ἀλλὰ
πρᾶγμα βραχὺ πολλάκις καὶ ῥῆμα καὶ παιδιά τις ἔμφασιν ἤθους ἐποίησε
μᾶλλον ἢ μάχαι μυριόνεκροι καὶ παρατάξεις αἱ μέγισται καὶ πολιορκίαι
πόλεων, ὥσπερ οὖν οἱ ζῳγράφοι τὰς ὁμοιότητας ἀπὸ τοῦ προσώπου καὶ
τῶν περὶ τὴν ὄψιν εἰδῶν, οἷς ἐμφαίνεται τὸ ἦθος, ἀναλαμβάνουσιν,
ἐλάχιστα τῶν λοιπῶν μερῶν φροντίζοντες, οὕτως ἡμῖν δοτέον εἰς τὰ τῆς
ψυχῆς σημεῖα μᾶλλον ἐνδύεσθαι καὶ διὰ τούτων εἰδοποιεῖν τὸν ἑκάστου
βίον, ἐάσαντας ἑτέροις τὰ μεγέθη καὶ τοὺς ἀγῶνας195.
«Nell’accingermi a scrivere in questo libro la vita di Alessandro il
Grande e di Cesare, il vincitore di Pompeo, considerata la massa dei
fatti, null’altro dirò a modo di prefazione se non questo: i lettori non mi
diano addosso se non riferisco tutti i fatti né narro in modo esaustivo
quelli presi in esame tra i più celebrati, ma per lo più in forma
riassuntiva. Io non scrivo storia, ma biografia; e non è che nei fatti più
celebrati ci sia sempre una manifestazione di virtù o di vizio, ma spesso
un breve episodio, una parola, un motto di spirito, dà un’idea del
carattere molto meglio che non battaglie con migliaia di morti, grandi
schieramenti di eserciti, assedi di città. Come dunque i pittori colgono
le somiglianze dei soggetti dal volto e dell’espressione degli occhi, nei
quali si avverte il carattere, e pochissimo si curano delle altre parti, così
195
Plut. Alex. 1,1-3.
35
mi si conceda di interessarmi di più di quelli che sono i segni
dell’anima, e mediante essi rappresentare la vita di ciascuno, lasciando
ad altri la trattazione delle grandi contese.» [Trad. di Domenico
Magnino].
Plutarco avverte il lettore che non per forza le grandi imprese militari, le guerre vinte, le città
conquistate sono dimostrazioni di forza e virtù, ma alcune volte anche i piccoli dettagli, gli episodi
minori o i singoli gesti possono rivelare il carattere di una persona. Ed egli, proprio come un pittore
che si concentra sui dettagli della faccia quali gli occhi, si soffermerà su quelli che chiama τὰ τῆς
ψυχῆς σημεῖα, ossia i segni dell’anima, che possono offrire notizie più pertinenti per illuminare il
carattere di un personaggio.
Gli aneddoti sono presenti in ogni punto delle Vite di Plutarco ma solitamente sono concentrate in
due sezioni della narrazione: all’inizio, quelli relativi alla giovinezza, o quando il personaggio
analizzato si trova all’apice del potere e del successo196. La funzione dell’aneddoto plutarcheo
potrebbe essere anche quella di spiegare l’evoluzione del personaggio: ad esempio eventi che lo
hanno potuto traumatizzare, l’assenza di un genitore o la sua eccesiva incombenza. Plutarco era
certamente capace di fare una tale analisi dei personaggi, ma sceglie di concentrarsi sull’educazione
e come questa abbia influenzato il carattere del personaggio biografato. Soprattutto per i politici
romani l’educazione rappresentava un fattore determinante per il loro successo o fallimento197.
Generalmente il ‘curriculum scolastico’ di un personaggio è analizzato superficialmente da Plutarco,
in quanto per il biografo non sono importanti le modalità specifiche di formazione di un individuo,
ma piuttosto gli aneddoti della giovinezza sono finalizzati a dare indicazioni sul carattere del
196
Per gli aneddoti della giovinezza vd. Cic. 2,1-5; Them. 2,1-3; Alex. 4,8-10; Cato min. 1,3-3,10; Demetr. 3,1-4,5. Per gli
aneddoti all’apice del successo vd. Lys. 18,4-19.6; Them. 18.1-9; Cic. 41,1-27,6.
197
Vd. Cor. 1,4-5; Cato Maj. 23,1-3; Mar. 2,2-4.
36
personaggio adulto198. Lo stesso avviene nella biografia di Alcibiade, nella quale i vari aneddoti della
giovinezza hanno come fine quello di mettere in luce l’indole sui generis di Alcibiade. Quest’ultima
emergerà poi in maniera preponderante durante gli anni della maturità.
Dopo un breve excursus sulla famiglia di Alcibiade, tipica tecnica di apertura delle Vite plutarchee199,
il biografo apre la sezione aneddotica con una chiara e inoltre l’unica esplicita descrizione del
carattere di Alcibiade adulto200:
Tὸ δ᾽ ἦθος αὐτοῦ πολλὰς μὲν ὕστερον, ὡς εἰκὸς ἐν πράγμασι μεγάλοις
καὶ τύχαις πολυτρόποις, ἀνομοιότητας πρὸς αὑτὸ καὶ μεταβολὰς
ἐπεδείξατο. φύσει δὲ πολλῶν ὄντων καὶ μεγάλων παθῶν ἐν αὐτῷ, τὸ
φιλόνεικον ἰσχυρότατον ἦν καὶ τὸ φιλόπρωτον, ὡς δῆλόν ἐστι τοῖς
παιδικοῖς ἀπομνημονεύμασιν201.
«Il suo carattere presentò più tardi grande incostanza e fu soggetto a
numerosi mutamenti, come del resto è naturale, dati i grandi
avvenimenti e le svariate vicende che dovette affrontare. Benché per
natura numerose e violente fossero in lui le passioni, tuttavia più forte
di tutte fu l’ambizione e il desiderio di primeggiare, come appare chiaro
dalle testimonianze relative alla sua infanzia». [Trad. di Luisa Prandi]
Plutarco qui fa una distinzione tra la φύσις, la natura e l’ῆθος, il carattere. La φύσις è qualcosa di
innato, genetico diremmo noi; l’ῆθος, collegato alla φύσις, dipende dal tipo di vita che uno ha vissuto
e dal modo in cui questa l’ha plasmato202. Il carattere di Alcibiade è definito incoerente e capace di
198
Duff 2003, 91-92.
Vd. Per. 3,3-7; Alex. 2,1-4,7; Phoc. 4,1-5,10; Cato Maj. 1,1-10; Pyrrh. 1,1-3,9; Mar.1,1-3,1; Demetr. 2.1-3.
200
Per quanto riguarda l’analisi degli aneddoti relativi alla giovinezza di Alcibiade presi in questione mi rifaccio agli studi
di Timothy Duff in particolare 2003, 89-117 e 2005, 157-166.
201
Plut. Alc. 2,1.
202
Duff 2003, 94 n.19.
199
37
plasmare se stesso in base alle circostanze, ma la sua natura è definita costante e facile da definirsi:
contiene vari vizi, tra cui, primi fra tutti, l’ossessione di vincere e di essere primo. E proprio sulla
base di queste sue due ossessioni Plutarco racconta alcuni aneddoti sviluppatisi durante il processo
formativo ed educativo di Alcibiade. Questi, sono ambientati in contesti prettamente giovanili, quindi,
pur tenendo conto delle osservazioni di Russell sull’impossibilità di ricavare da questi episodi una
cronologia precisa, sono certamente datati agli anni giovanili.
Ad Atene la giovinezza di un aristocratico veniva trascorsa in luoghi quali la palestra e la scuola.
Alcibiade era un aristocratico e di conseguenza poté permettersi un’educazione secondo i canoni
classici ateniesi. Ad Atene, l’educazione era un privilegio. Essa era una prerogativa della vita
aristocratica, ossia del grande latifondista ricco, ma ozioso. Di certo, come abbiamo dimostrato nel
primo capitolo, Alcibiade era uno di questi, e anzi, molto probabilmente apparteneva ad un gradino
più alto ancora, la classe liturgica, che era così forte economicamente da potersi permettere di
investire in liturgie pubbliche oltre che possedere grandi terreni. La cultura aristocratica aveva come
suo fondamento l’educazione militare: i giovani che venivano educati erano destinati a diventare i
futuri opliti. Di conseguenza, molta importanza veniva data all’esercizio fisico: corsa, lancio del disco
e del giavellotto, lotta e pugilato. Essendo un’arte non facile, i giovani erano posti sotto la
supervisione di un maestro, il παιδοτρίβης. Alcibiade ovviamente, da giovane trascorse parte del suo
tempo esercitandosi in questo modo, infatti Plutarco ci dà informazioni a riguardo:
ἐν μὲν γὰρ τῷ παλαίειν πιεζούμενος, ὑπὲρ τοῦ μὴ πεσεῖν ἀναγαγὼν
πρὸς τὸ στόμα τὰ ἅμματα τοῦ πιεζοῦντος, οἷος ἦν διαφαγεῖν τὰς χεῖρας.
ἀφέντος δὲ τὴν λαβὴν ἐκείνου καὶ εἰπόντος: ‘δάκνεις, ὦ Ἀλκιβιάδη,
καθάπερ αἱ γυναῖκες,’ ‘οὐκ ἔγωγε,’ εἶπεν, ‘ἀλλ᾽ ὡς οἱ λέοντες203.
203
Plut. Alc .2,2-3.
38
«Una volta, durante un incontro di lotta, poiché l’avversario lo
stringeva saldamente, per non cadere, avvicinatosi alla bocca le braccia
di quello che lo teneva stretto, per poco non gli divorò le mani; quello
abbandonò la presa e gli disse: ‘Ma tu mordi come le donne,
Alcibiade!’; al che lui ribatté: ‘Non come le donne, ma come i leoni».
[Trad. di Luisa Prandi]
Un ruolo non secondario ricopriva l’aspetto musicale nella παιδεία ateniese, lo stesso Platone nella
Repubblica afferma che l’educazione si basava sulla ginnastica per il corpo e sulla musica per
l’anima, e che anzi, il processo educativo dovesse iniziare prima con la musica piuttosto che con
l’esercizio fisico204. Alcibiade inizialmente seguì questo percorso educativo anche se poi
successivamente decise di ripudiare l’utilizzo dell’αὐλός:
ἐπεὶ δὲ εἰς τὸ μανθάνειν ἧκε, τοῖς μὲν ἄλλοις ὑπήκουε διδασκάλοις
ἐπιεικῶς, τὸ δ᾽ αὐλεῖν ἔφευγεν ὡς ἀγεννὲς καὶ ἀνελεύθερον: πλήκτρου
μὲν γὰρ καὶ λύρας χρῆσιν οὐδὲν οὔτε σχήματος οὔτε μορφῆς ἐλευθέρῳ
πρεπούσης διαφθείρειν, αὐλοὺς δὲ φυσῶντος ἀνθρώπου στόματι καὶ
τοὺς συνήθεις ἂν πάνυ μόλις διαγνῶναι τὸ πρόσωπον. ἔτι δὲ τὴν μὲν
λύραν τῷ χρωμένῳ συμφθέγγεσθαι καὶ συνᾴδειν, τὸν δ᾽ αὐλὸν
ἐπιστομίζειν καὶ ἀποφράττειν ἕκαστον τήν τε φωνὴν καὶ τὸν λόγον
ἀφαιρούμενον. ‘αὐλείτωσαν οὖν,’ ἔφη, ‘Θηβαίων παῖδες: οὐ γὰρ ἴσασι
διαλέγεσθαι: ἡμῖν δὲ τοῖς Ἀθηναίοις, ὡς οἱ πατέρες λέγουσιν, ἀρχηγέτις
Ἀθηνᾶ καὶ πατρῷος Ἀπόλλων ἐστίν, ὧν ἡ μὲν ἔρριψε τὸν αὐλόν, ὁ δὲ
καὶ τὸν αὐλητὴν ἐξέδειρεν.’ τοιαῦτα παίζων ἅμα καὶ σπουδάζων ὁ
204
Plat. Rep. 376.
39
Ἁλκιβιάδης αὑτόν τε τοῦ μαθήματος ἀπέστησε καὶ τοὺς ἄλλους. ταχὺ
γὰρ διῆλθε λόγος εἰς τοὺς παῖδας ὡς εὖ ποιῶν ὁ Ἀλκιβιάδης
βδελύττοιτο τὴν αὐλητικὴν καὶ χλευάζοι τοὺς μανθάνοντας. ὅθεν
ἐξέπεσε κομιδῇ τῶν ἐλευθέρων διατριβῶν καὶ προεπηλακίσθη
παντάπασιν ὁ αὐλός205.
«Quando cominciò a studiare, mentre obbediva docilmente agli altri
maestri, si sottraeva invece all’insegnamento del flauto, ritenendo
quella disciplina ignobile e indegna di un libero; infatti l’uso del plettro
e della lira non nuoce affatto né all’atteggiamento né all’aspetto che si
confanno ad un uomo libero, mentre quando uno soffia con la bocca
dentro a un flauto, perfino i suoi parenti stentano a riconoscere il volto.
Inoltre la lira accompagna la voce e il canto di chi la suona, mentre il
flauto chiude e tappa la bocca, togliendo la possibilità di usare sia la
voce che la parola. ‘Suonino il flauto’ diceva ‘ i fanciulli Tebani, che
non sanno parlare; noi Ateniesi, come ci insegnano i nostri padri,
abbiamo per capostipite Atena e per protettore Apollo, dei quali l’una
gettò via il flauto e l’altro scuoiò addirittura il flautista’. Così un po’ per
scherzo e un po’ sul serio, Alcibiade si sottrasse all’insegnamento di
quella disciplina e presto ne allontanò anche gli altri; infatti tra i ragazzi
si sparse subito la voce che Alcibiade a ragione detestava l’arte di
suonare il flauto e derideva quelli che l’apprendevano: così il flauto
scomparve del tutto dal novero delle arti liberali e divenne oggetto di
disprezzo». [Trad. di Luisa Prandi]
205
Plut. Alc. 2,5-7.
40
L’aneddoto in questione è molto importante. Da un lato Plutarco presenta Alcibiade addirittura come
un innovatore della παιδεία ateniese di V secolo. Infatti, il modello educativo ellenistico non vedrà
più l’utilizzo dell’αὐλός come strumento musicale, ma quello della lira. Lo stesso Aristotele nella
Politica esclude l’αὐλός dal piano di educazione206. Molto importante è anche la giustificazione che
Alcibiade dà per il suo rifiuto, ricordando Atena, Marsia e Apollo. Secondo la tradizione Atena dopo
aver creato l’αὐλός lo gettò via perché gli gonfiava le gote. Lo raccolse Marsia il quale subito si
distinse per la sua bravura. Convinto del suo talento osò sfidare Apollo che con l’astuzia lo sconfisse
e per vendicarsi lo scuoiò207. Il tentativo di accostarsi alle divinità era una tendenza del
comportamento del politico ateniese: Alcibiade rifiuta l’αὐλός seguendo l’esempio di Atena. Il
paragone con la divinità ritorna anche nella parte finale della sezione aneddotica del bios plutarcheo,
quando si ricorda che Alcibiade per la sua vittoria ai giochi di Olimpia commissionò uno scudo
raffigurante Eros e un quadro in cui egli posava con la dea Nemea208.
L’ambiente culturale di formazione per eccellenza nella società greca era l’ἑταιρεία ateniese e il
συμπόσιον, entrambi ambienti maschili. Il giovane greco per conquistarsi un posto nella società
doveva avere un grande bagaglio culturale che era costituito principalmente dalla conoscenza dei
poemi di Omero, divenuti fin dall’età arcaica opere classiche. Alcibiade era molto legato a questi, il
richiamo al modello omerico è presente spesso negli aneddoti che si collocano nel periodo giovanile
del personaggio. Infatti egli si rese protagonista di un episodio eclatante in cui diede un pugno al
proprio γραμματοδιδάσκαλος poiché non possedeva un libro di Omero:
Tὴν δὲ παιδικὴν ἡλικίαν παραλλάσσων ἐπέστη γραμματοδιδασκάλῳ
καὶ βιβλίον ᾔτησεν Ὁμηρικόν. εἰπόντος δὲ τοῦ διδασκάλου μηδὲν ἔχειν
Ὁμήρου, κονδύλῳ καθικόμενος αὐτοῦ παρῆλθεν209.’
206
Aristot. Pol. VIII 1341a-1342b.
Apollod. I 4,2.
208
Plut. Alc. 16, 1-7.
209
Plut. Alc. 7,1.
207
41
«Alcibiade era ormai uscito dalla fanciullezza quando si recò presso una
scuola elementare e chiese al maestro un libro di Omero; avendogli
quello risposto che di Omero non aveva nulla, lo colpì con un pugno e
se ne andò». [Trad. di Luisa Prandi].
In questo episodio è presente un marcatore temporale, rappresentato dall’espressione τὴν δὲ παιδικὴν
ἡλικίαν che ci proietta certamente in un periodo giovanile di Alcibiade anche se, in linea con
l’opinione di Russell, non ci possiamo calcolare con esattezza quale momento dell’età del giovane.
Importante è anche la figura del γραμματοδιδάσκαλος, che insieme al παιδοτρίβης sono figure che
appartengono ad un contesto educativo tipicamente aristocratico.
I vari aneddoti elencati presentano un quadro molto chiaro dell’ambiente e delle dinamiche che
segnarono la formazione giovanile di Alcibiade. Da un lato, sembra emergere una personalità che in
parte si attiene al modello educativo aristocratico frequentando i suoi luoghi tipici e apprendendo le
arti basilari: Alcibiade si allena in palestra, studia l’arte musicale, legge i grandi classici, primo fra
tutti Omero. Dall’altro lato però, come accadde spesso durante il corso della sua vita, emerge la
personalità sui generis che in un modo o nell’altro rompe lo schema tradizionale etico a vantaggio di
un comportamento egocentrico. I punti di rottura sono rappresentati da vari gesti: nel primo aneddoto
Alcibiade pur di non perdere l’incontro di lotta, morde le mani dell’avversario, cosa che non era
certamente permessa dal regolamento210. Il paragone del morso con quello del leone è spia del
tentativo di superare l’etica tradizionale a favore di un atteggiamento individuale, che in quel
contesto, l’Atene di V secolo, veniva spesso collegato con quello del tiranno. Lo stesso Aristofane
infatti paragona lo stratego all’immagine di un leone nelle Rane211, in cui a sua volta si allude forse
210
Alcibiade non fu il primo a compiere un tale gesto. Negli Aποφθέγματα Λακωνικά, un’opera plutarchea catalogata
all’interno dei Moralia, si narra di uno spartano che fece la stessa cosa (Plut. Ap. Lac. 234d-e.).
211
Htd. V 56; V 92; VI 131,2; Aristoph. Eq. 1037.
42
ad un passo dell’Agamennone di Eschilo212 dove si dice che il cucciolo di leone all’inizio è gentile e
innocuo ma poi rivela la sua natura aggressiva in età matura. L’aneddoto, quindi, alluderebbe da un
lato alla natura violenta dell’alcmeonide, dall’altro al fatto che in Alcibiade fin da piccolo vi era una
tendenza alla tirannide. Lo stesso Tucidide, infatti, scrive che proprio a causa dei suoi comportamenti
oltraggiosi e violenti gli Ateniesi sospetteranno di un suo desiderio di diventare tiranno213. Ed è
proprio questo forse il tema centrale. Nella sezione aneddotica è presente una forte impronta
eziologica: i vari aneddoti non fanno altro che prefigurare le future decisioni e azioni politiche di
Alcibiade. Duff infatti ritiene che l’Alcibiade giovane non sia altro che una miniatura dell’Alcibiade
adulto214.
La tradizione storica, nei confronti di Alcibiade, per giustificare le sue azioni contro la città di Atene
(la mutilazione delle erme e la parodia dei misteri eleusini), non ha fatto altro che alimentare le dicerie
nei confronti dello stratego. Lo stesso Plutarco ci fornisce un’informazione importantissima a
riguardo:
ἐν δὲ ταῖς Ἀντιφῶντος λοιδορίαις γέγραπται ὅτι παῖς ὤν, ἐκ τῆς οἰκίας
ἀπέδρα πρὸς Δημοκράτη τινὰ τῶν ἐραστῶν: βουλομένου δ᾽ αὐτὸν
ἀποκηρύττειν Ἀρίφρονος, Περικλῆς οὐκ εἴασεν, εἰπών: εἰ μὲν
τέθνηκεν, ἡμέρᾳ μιᾷ διὰ τὸ κήρυγμα φανεῖσθαι πρότερον, εἰ δὲ σῶς
ἐστιν, ἄσωστον αὐτῷ τὸν λοιπὸν βίον ἔσεσθαι: καὶ ὅτι τῶν
ἀκολουθούντων τινὰ κτείνειεν ἐν τῇ Σιβυρτίου παλαίστρᾳ ξύλῳ
πατάξας. ἀλλὰ τούτοις μὲν οὐκ ἄξιον ἴσως πιστεύειν, ἅ γε λοιδορεῖσθαί
τις αὐτῷ δι᾽ ἔχθραν ὁμολογῶν εἶπεν.215
212
Aesch. Ag. 730-735.
Thuc. VI 15,4.
214
Duff 2003, 111.
215
Plut. Alc. 3.
213
43
«Fra le ingiuriose calunnie di Antifonte contro Alcibiade è scritto che
da ragazzo egli fuggì di casa per andare da uno dei suoi amanti,
Democrate, e mentre Arifrone voleva denunciare il fatto, Pericle non
glielo permise dicendo che, se il ragazzo era morto, il proclama
pubblico avrebbe diffuso la notizia con un solo giorno di anticipo, se
invece era sano e salvo, sarebbe stato disonorato per il resto della sua
vita. Inoltre Alcibiade avrebbe ucciso uno degli inservienti della
palestra di Sibirtio, colpendolo sulla testa con una bastone di legno; ma
forse non è opportuno prestar fede a questi fatti riferiti da una persona
che ammise espressamente di aver voluto diffamare Alcibiade per odio
personale». [Trad. di Luisa Prandi]
Il biografo allude ad un libello contro Alcibiade scritto da Antifonte di Ramnunte, vissuto nel V sec.
a.C., intitolato le Λοιδορίαι, ossia le calunnie. Plutarco non sceglie di omettere questi episodi ma è
lui stesso a dire che non bisogna credere alla veridicità di questi in quanto lo stesso Antifonte ammise
di aver voluto diffamare Alcibiade per un suo odio personale. Il sofista visse nello stesso periodo di
Alcibiade e ciò dimostra che già allora, Alcibiade ancora vivo o morto da poco, la tradizione nei suoi
confronti stava cambiando, in negativo. A cavallo tra V e IV secolo il dibattito su Alcibiade era già
molto acceso e a dimostrarlo sono le varie opere scritte in quel periodo, aventi come oggetto di
discussione proprio l’alcmeonide: la Contro Alcibiade dello Pseudo-Andocide, il De Bigis di Isocrate,
la Contro Alcibiade per diserzione di Lisia. Non tenendo conto in questo caso delle orazioni di
Isocrate e Lisia, poiché non sono pertinenti per un’analisi sugli anni di formazione del politico
ateniese, Andocide e Antifonte invece possono dare un prezioso aiuto, in quanto facce di una stessa
medaglia. Sebbene Antifonte si configura come una fonte non veritiera, il motivo per cui le Λοιδορίαι
vengono scritte, ossia l’odio personale dell’autore verso lo stratego, fa capire che già negli stessi anni
in cui Alcibiade viveva, la sua formazione giovanile e il suo passato adolescenziale rappresentavano
44
un valido argomento per giustificare le sue successive azioni contro Atene. E proprio quest’ultime
sono oggetto di analisi della Contro Alcibiade, che nell’elencare i vari gesti eclatanti e negativi dello
stratego, non fa altro che mostrare le conseguenze di un’educazione al di fuori dell’etica tradizionale
e basata principalmente su un atteggiamento egocentrico.
Il biografo Plutarco scrive circa sei secoli dopo Andocide e Antistene e la sua testimonianza non può
essere considerata ‘negativa’ e ‘demonizzante’ nei confronti di Alcibiade. Molti studiosi216 hanno
posto l’attenzione sul fatto che Plutarco nelle sue Vite non presenta solo modelli che dal punto di vista
etico non presentano difetti, ma anche personaggi politici che proprio a causa della loro vita, costellata
da vizi e azioni non moralmente lecite, divennero famosi. Del resto è lo stesso Plutarco ad ammettere
ciò affermando che mescolando personaggi virtuosi ad altri viziosi e abietti non avrebbe fatto altro
che far risaltare ancora di più quei modelli di vita che necessariamente dovevano essere seguiti. A
questi eroi non completamente candidi sul piano etico appartiene sicuramente Alcibiade, che insieme
a Coriolano va inserito nell’insieme di biografie appunto ‘negative’217. Nella maggior parte dei casi
Plutarco non prende posizione ma si limita a raccontare l’aneddoto come nel caso dell’episodio del
pugno sferrato al maestro218 o quando Alcibiade portò via metà delle coppe d’oro e d’argento da casa
di Anito219. Altre volte Plutarco minimizza l’accaduto: quando Alcibiade sferra un pugno ad
Ipponico220, il padre di Ipparete, sua moglie, il biografo lo giustifica dicendo che era motivo di una
scommessa fatta con i suoi amici. Allo stesso modo, legittima l’atto di violenza che Alcibiade compie
nei confronti della moglie Ipparete, recatasi in tribunale per chiedere il divorzio, portandola via con
la forza, con il fatto che era la stessa legge ateniese a permetterlo221. Ugualmente, il biografo definisce
un atto di umanità l’allevare il figlio che Alcibiade aveva avuto da una schiava di Melo222. La presenza
216
Barrow 1967, 55; Russell 1973, 108 e 135; Wardman 1974, 34 e 51.
Mazzarino 1966, 139; Russell 1973, 108; Wardman 1974, 51; Marasco 1976, 22 n.64.
218
Plut. Alc. 7,1.
219
Plut. Alc. 4,4-6.
220
Plut. Alc. 8,1.
221
Plut. Alc. 8,4-6.
222
Plut. Alc. 16,6.
217
45
di eroi non perfetti sul piano etico, quindi, sarebbe motivata da una scelta ben precisa: Plutarco
narrando le imprese di quest’ultimi, spinge i lettori a non imitarli223. Da ciò si evince che il biografo,
il quale scrive molto tempo dopo gli anni in cui ha vissuto Alcibiade, non può essere considerato una
fonte che mira a demistificare il politico ateniese. Ciò è ancora più chiaro dalla stessa affermazione
plutarchea in merito alle calunnie che il sofista mosse verso Alcibiade, ἀλλὰ τούτοις μὲν οὐκ ἄξιον
ἴσως πιστεύειν, ἅ γε λοιδορεῖσθαί τις αὐτῷ δι᾽ ἔχθραν ὁμολογῶν εἶπεν224. Plutarco avverte subito i
lettori della probabile falsità della testimonianza antifontea. Tuttavia, si potrebbe tentare di spiegare
il motivo per cui Plutarco, sebbene egli stesso non creda alla veridicità degli aneddoti antifontei, li
inserisce ugualmente nella biografia. La ragione sembra rispondere sia ad un’esigenza di imparzialità
sia ad uno motivo storico, poiché la biografia si basa sull’erudizione e sull’antiquaria, elementi
necessari al biografo per creare la più vasta e ricca ricostruzione storica del personaggio. Ecco perché
Plutarco riporta anche versioni a cui non crede, come nel caso di Antifonte o a proposito
dell’assassinio di Efialte225 nella Vita di Pericle riguardo al quale erano state tramandate due versione
differenti: o era stato lo stesso Pericle ad ucciderlo secondo Idomeneo226, o gli oligarchi secondo
Aristotele227. Quindi, è lo stesso genere letterario, quello della biografia, a spingere Plutarco a
raccogliere più notizie possibili che altrimenti sarebbero andate perdute. Ciò dimostra anche perché
nelle biografie degli eroi positivi, quali Solone, Temistocle e Pericle, sono tracce di una tradizione
non elogiativa ma ‘nera’228.
223
Piccirilli 1989, 16.
Plut. Alc. 3.
225
Plut. Per. 10,7-8.
226
FGrHist 338 F 8.
227
Aristot. Ath. resp. 25,4.
228
Per approfondire il concetto di tradizione nera nelle biografie plutarchee vd. Piccirilli 1989, 5-21.
224
46
III LA LETTERATURA SOCRATICA SU ALCIBIADE
III.1 L’amicizia tra Socrate e Alcibiade
La storicità del rapporto di amicizia tra Socrate e Alcibiade è indiscutibile. Non è possibile
determinare con precisione l’anno in cui il filosofo e l’alcmeonide si incontrarono, ma, da ciò che
hanno tramandato le fonti, si può affermare che i due si conoscevano fin da quando Alcibiade era
molto giovane. Il Protagora di Platone è ambientato all’incirca nel 435 a.C., quando Alcibade aveva
quindici anni e Socrate trentacinque, e dalla parte iniziale del dialogo229, in cui un amico anonimo
accusa il filosofo di correre dietro Alcibiade, si capisce che i due si conoscessero già da tempo. Il
solido legame che intercorre tra i due è reso evidente da due esperienze militari che entrambi
condivisero.
La prima fu quando Alcibiade fece il suo primo servizio militare a Potidea nel 432/431 a.C. Secondo
Tucidide, la questione di Potidea fu una delle cause scatenanti che portarono allo scoppio della Guerra
del Peloponneso tra Sparta e Atene. La colonia corinzia era entrata nella lega delio-attica, tuttavia
non aveva mai perso il suo legame con la madrepatria, Corinto, che ogni anno inviava un suo
magistrato (l’epidamiurgo). Atene, non contenta di questo legame in una fase crescente di attriti con
la città istmica, decise di scioglierlo, imponendo alla citta calcidese di non accogliere più il magistrato
corinzio e, inoltre, di abbattere le mura verso Pallene. Il rifiuto di Potidea alle pretese ateniesi causò
un intervento di Atene e la sua successiva conquista230. Lo stesso Alcibiade, nel suo discorso finale
nel Simposio di Platone, racconta la sua esperienza militare nell’assedio di Potidea che condivise con
Socrate, aggiungendo inoltre che il filosofo gli salvò la vita, e addirittura, sebbene Alcibiade avesse
229
230
Plat. Prot. 309a-c.
Musti 2008, 397.
47
proposto di riconoscere il valoroso gesto di Socrate, il filosofo non volle essere premiato, ma
appoggiò la scelta dei generali, ossia di premiare Alcibiade a causa del suo elevato rango sociale231.
Esiste un dibattito su quando effettivamente Alcibiade e Socrate parteciparono alla campagna
militare. Secondo Isocrate232 Alcibiade partì quando al comando dell’esercito c’era lo stratego
Formione. Tucidide però, dice che quest’ultimo arrivò a Potidea quando l’assedio era già avvenuto233.
Secondo Hatzfeld, Isocrate commette un errore, in quanto ha voluto accostare Alcibiade al nome di
un grande stratego234. Molto probabilmente il politico ateniese servì da oplita sotto il comando o di
Archestrato, comandante della flotta inviata in quel periodo contro Perdicca II in Macedonia, e
successivamente intervenuto nella questione di Potidea, o di Callia, inviato quando la rivolta
scoppiò235. Emergono contraddizioni riguardo alla campagna militare anche in Platone. Infatti egli,
nel Carmide, presenta Socrate come appena tornato dalla battaglia di Potidea236, mentre nel Simposio,
il filosofo afferma che Socrate partecipò ad una campagna militare invernale237, che dovette per forza
o precedere o seguire la battaglia di Potidea, avvenuta tra la primavera e l’estate. Una datazione
precedente al periodo invernale si scontra con la testimonianza di Tucidide, secondo cui che
Archestrato, quando giunse a Potidea, questa era già in rivolta238. A sua volta la ribellione non può
essere scoppiata prima del giugno del 432 a.C., poiché Potidea pagò il φόρος nella primavera di
quell’anno239. Secondo Ellis il Carmide non è preciso, da un punto di vista storico. Alcibiade si
arruolò nell’estate del 432 a.C., partecipò alla battaglia di Potidea avvenuta a settembre di quell’anno
e dopo, poiché era stato ferito, tornò ad Atene nell’inverno del 432/431 a.C240.
231
Plat. Sym. 220d-e. Cfr. Thuc. I 56-65.
Isoc. XVI 29.
233
Thuc. I 64.
234
Hatzfeld 1940, 65 n.1.
235
Ellis 1989, 58-59.
236
Plat. Charm. 153a-155b.
237
Plat. Sym. 220a-b.
238
Thuc. I 59,1.
239
ATL II, lista 22, col. 2 1,70.
240
Ellis 1989, 62.
232
48
La seconda esperienza condivisa da Alcibiade e Socrate fu durante la battaglia di Delio241, in Beozia,
nel 424 a.C. Questo fu un anno molto difficile per Atene. Alla consueta spedizione spartana in Attica,
Atene aveva risposto con un attacco alla Beozia. Qui, gli Ateniesi insieme ai Beoti filo-ateniesi,
subirono una pesante disfatta242 presso il santuario di Apollo. Sia Socrate che Alcibiade furono
coinvolti nella rotta che seguì la sconfitta, infatti nel Simposio Platone racconta lo stupore di Alcibiade
nel vedere la calma di Socrate in un momento così critico243. Inoltre nel Lachete, dialogo platonico
che prende il nome dallo stratego che a Delio era con Socrate, il comandante si congratula con il
filosofo per il coraggio dimostrato244.
III.2 La letteratura socratica su Alcibiade
La popolarità di Alcibiade sia durante gli anni in cui visse sia dopo la sua morte, fu elevata. A
dimostrarlo, come abbiamo visto, sono le numerose opere letterarie concernenti il politico ateniese:
le presunte Λοιδορίαι di Antifonte composto molto probabilmente quando Alcibiade era ancora vivo;
la Contro Alcibiade dello Pseudo-Andocide; il De Bigiis di Isocrate e la Contro Alcibiade per
diserzione di Lisia. L’interesse della tradizione antica verso l’alcmeonide aumentò spropositatamente
in seguito alla condanna a morte di Socrate, nel 399 a.C. Poiché il filosofo fu accusato di corrompere
i giovani, tra i quali Crizia e Alcibiade, cosa che spinse i socratici ad indagare il rapporto tra i due.
Il processo a Socrate avvenne nel 399 a.C., quando Atene si era da poco risollevata dal caos
istituzionale causato dal regime dei Trenta Tiranni245, e i capi d’accusa furono due: θεοὺς οὐ νομίζειν,
241
Plat. Sym. 221a.
Thuc. IV 89-101.
243
Plat. Sym. 221a-c.
244
Plat. Lach. 181a-b.
245
La data del processo non è casuale. Molti studiosi si sono chiesti perché Socrate non fu processato prima. Secondo
Musti, che a sua volta riprende la tesi di Taylor, Atene processò Socrate in quell’anno perché prima non c’era stato il
242
49
non rispettare gli Dei, e τοὺς νέους διαφθείρειν, cioè corrompere i giovani246. I suoi accusatori furono
Anito, Meleto e Licone247. Sul piano letterario, l’opera più importante che ebbe come scopo quello di
screditare la figura di Socrate e di supportare le accuse che gli furono mosse contro, fu la Κατηγορία
Σωκράτους di Policrate.
La paternità di Policrate dell’opera è attestata nella tradizione antica da varie fonti248, tuttavia
dell’autore si sa poco e nulla. La sua data di nascita e la sua data di morte sono oscure, ma
probabilmente egli fu un contemporaneo di Isocrate che era nato nel 436 a.C.249 L’opera fu scritta
poco dopo la condanna a morte di Socrate, molto probabilmente intorno agli anni 393/2 a.C.250, e
suscitò un sentimento di difesa dei discepoli socratici, infatti l’intera letteratura socratica su Alcibiade
non è altro che una risposta alle accuse di Policrate251 per difendere il ricordo del proprio maestro. Il
fine dei Socratici fu quello di dimostrare come il comportamento poco etico di Alcibiade non fosse il
risultato dell’influenza socratica, ma che anzi quest’ultima avesse cercato di reprimerlo, e che la vera
personalità dell’alcmeonide fosse emersa solo dopo che Alcibiade smise di frequentare Socrate252.
La letteratura socratica generalmente presentava Alcibiade in un dialogo protrettico che aveva come
interlocutore ovviamente Socrate. L’immagine dell’ateniese che emergeva da questi scritti era quella
di un giovane che, non sapendo controllare la sua personalità sui generis, non riusciva a perseguire
gli insegnamenti socratici253. A questa linea di rappresentazione si adeguarono tre Socratici, quali
Eschine, Antistene e Platone, tuttavia quest’ultimo, come vedremo più avanti, analizzò il rapporto tra
Alcibiade e Socrate sotto varie forme e aspetti.
tempo materiale. Il caos politico che sconvolse Atene alla fine del V secolo, coinvolse anche il corpus legislativo ateniese,
che fu revisionato da cima a fondo dai 500 νομοθέται. Cfr. Musti 2008, 484 e Taylor 1952, 75.
246
Diog. Laert. II 40.
247
Plat. Apol. 23e-24.
248
Diog. Laert. II 39-40; Quint. Inst. II 17,4;
249
Chroust 1957, 70.
250
Chroust 1957, 72.
251
Chroust 1957, 174.
252
Giannantoni 1990, 349. Dello stesso pensiero è Field, secondo cui i Socratici si impegnarono a dimostrare che tutta
la malvagità presente nella carriera dell’alcmeonide fosse causata da una sua inclinazione naturale. Cfr. Field 1967, 150.
253
Gribble 1999, 217.
50
Eschine Socratico, sebbene fosse uno dei discepoli di Socrate che seguì alla lettera la morale del
filosofo, tanto da non fondare, a differenza di altri, una scuola, non godé di grande considerazione
dalla critica antica. A differenza di Socrate egli scrisse delle opere, e infatti Diogene Laerzio le elenca,
ma allo stesso tempo il biografo dice che di queste i dialoghi, tra i quali era presente anche uno con
protagonista Alcibiade, non erano considerati autentici da Panezio254. La tradizione ostile al filosofo
socratico era rappresentata, maggiormente, oltre al sopraccitato Panezio, da Menedemo di Eretria e
Ateneo. Menedemo accusò Eschine di essersi appropriato delle opere del suo maestro Socrate e di
averle spacciate come sue255. Ateneo invece, nei suoi Deipnosofisti, criticava fortemente l’autenticità
delle notizie provenienti dal circolo Socratico, di cui faceva parte proprio Eschine256. Il forte dubbio,
che le fonti ci tramando, che circolava intorno al corpus di Eschine, è spia di come già a quel tempo,
dopo la morte di Socrate, vi fosse una corrente di pensiero che mirava a screditare i Socratici, rei di
aver inventato notizie sul loro maestro pur di salvare la sua memoria. Inoltre, gli stessi Socratici si
accusavano a vicenda di non raccontare la verità sul loro maestro257. Tra i dialoghi che la tradizione
riteneva non autentici, vi era anche l’Alcibiade. Quest’ultimo non era un dialogo diretto, ma il
racconto di una conversazione che Socrate aveva avuto precedentemente con Alcibiade, in cui il
filosofo aveva cercato di educare il giovane ateniese ad un comportamento corretto eticamente nella
vita politica, utilizzando come esempio morale Temistocle258. Nel dialogo che si instaura tra i due,
infatti, l’autore descrive Socrate intento ad educare Alcibiade, esortandolo a prendersi cura di se
stesso, prima del suo ingresso nella vita politica ateniese. Addirittura il Socrate di Eschine accusa
Alcibiade di ἀσέβεια, ossia di non avere rispetto dei dodici dei259. Quest’ultima accusa è molto
importante poiché non fa altro che inserire Eschine in quell’insieme di fonti antiche che
stigmatizzavano la cattiva educazione di Alcibiade, rappresentata in questo caso dalla noncuranza
254
Diog. Laert. II 60-64.
Diog. Laert. II 60.
256
Athen. V 215c-216d.
257
Xenoph. Mem. I 4,1; IV 3,2.
258
Giannantoni 1997, 357-363.
259
Aesch. fr. 5 Dittmar.
255
51
verso le divinità, come offesa verso il maestro. L’importanza della παιδεία è quindi fondamentale.
Non è un caso che nel dialogo, Socrate invita il giovane alcmeonide ad essere più prudente,
utilizzando come modello di paragone Temistocle, il quale, pur avendo educato se stesso nel migliore
dei modi possibili, è caduto in disgrazia260.
La figura di Alcibiade è oggetto di discussione anche di Antistene. Egli nacque ad Atene261 e visse
tra il 445 a.C. e il 365 a.C262. Il filosofo parlò sicuramente di Alcibiade in due opere: nel Ciro minore
e nell’Alcibiade. Per quanto riguarda l’Alcibiade, sebbene non sia pervenuto (conserviamo numerosi
frammenti), possiamo ricostruire il suo contenuto grazie ad una testimonianza di Satiro presente in
Ateneo263. Nell’opera, da un lato viene esaltata la forza e la bellezza di Alcibiade, dall’altro viene
fortemente criticata la sua mancanza di παιδεία, testimoniata dall’assenza nel giovane alcmeonide del
coraggio morale, che invece Socrate aveva264.
Di Alcibiade Antistene parlava sicuramente anche nel Ciro minore265. L’opera dovrebbe configurarsi
come un dialogo tra Alcibiade e Socrate, avente come oggetto di discussione Ciro il giovane266. Da
una testimonianza di Erodico Crateteo, in Ateneo267, l’opera sembrava contrapporre la figura di Ciro
il giovane ad Alcibiade. All’ ἡδονή e δουλεία del politico ateniese, veniva contrapposta il πονεῖν,
l’ἁπλότης e l’ἐλευθερία del giovane persiano. Nel dialogo inoltre Antistene accusò Alcibiade di aver
avuto rapporti incestuosi con la madre, la sorella e la figlia268. Sebbene molto probabilmente questi
comportamenti non furono di Alcibiade né Antistene269 li accreditò allo stratego, la testimonianza è
importante perché, ancora una volta, vediamo come anche in questo caso ritorni il tema di un’etica
260
Aesch. fr. 1, 49-55 Kraus = fr. 8 Dittmar. Per le varie interpretazioni date a questo passo vd. Farri 1975, 176-177 n.3132.
261
Plat. Phaedo 59b.
262
Per un’analisi dettagliata della cronologia vd. Giannantoni 1990, 199-201.
263
Athen. XII 534c.
264
Giannantoni 1990, 348.
265
Cfr. Giannantoni 1990, 295-308.
266
Giannantoni 1990, 301.
267
Athen. V 220c.
268
Athen. V 220c.
269
Molto probabilmente si pensa che il filosofo cinico avesse voluto raccomandare questi rapporti incestuosi sotto la
figura di Alcibiade. Ciò sarebbe in linea alle presunte critiche che Antistene fece ai matrimoni privati e alla famiglia. Vd.
Giannantoni 1990, 303-304.
52
scorretta dello stratego che l’ambiente socratico cercò di allontanare dalla figura di Socrate,
attaccandolo proprio sul piano etico e quindi educativo.
Tra i Σωκρατικοὶ λόγοι, non può non essere menzionato Platone, il quale, all’interno del suo ingente
corpus letterario, ha più volte posto l’attenzione sulla figura di Alcibiade. Senza dubbio l’allievo di
Socrate è mosso da un motivo apologetico nei confronti del maestro. L’analisi del rapporto tra
Alcibiade e Socrate, se da un lato segue il modello degli altri Socratici, quali Eschine e Antistene,
ossia quello del dialogo protrettico in cui Socrate cerca di indirizzare Alcibiade verso un giusto
modello etico (come nell’Alcibiade primo), dall’altro, appare più velata in altri dialoghi. Infatti, in
due opere platoniche, il Gorgia e la Repubblica, sembra che il fondatore dell’Accademia abbia voluto
criticare velatamente la figura di Alcibiade, e di conseguenza salvare la memoria del suo maestro270.
Nell’Alcibiade primo, Platone mette l’alcmeonide al centro del discorso. Il carattere protrettico
dell’opera è chiaro fin dall’inizio, infatti è lo stesso Socrate ad affermarlo: il filosofo ha deciso di
parlare con Alcibiade, poiché questi si appresta ad entrare, per la prima volta, in politica e, conscio
del forte desiderio di ambizione del giovane ateniese, vuole interrogarlo su alcuni temi, ritenendo che,
così facendo, possa aiutarlo a realizzare i suoi progetti
271
. Come negli altri dialoghi protrettici di
Eschine e Antistene, anche in questo l’immagine che si delinea di Alcibiade, è quella di una
personalità arrogante, convinta che la sua ambizione, la sua giovinezza e la sua sfrontatezza possano
fargli riscuotere successo272. Socrate proprio all’inizio del dialogo, dice che la sicurezza di Alcibiade
si basa principalmente sul suo aspetto fisico, sulla sua ricchezza e sul prestigio della famiglia273. Il
fatto che Alcibiade venga presentato con una personalità non ancora matura è la prova che Platone
abbia voluto accostare Socrate ad un Alcibiade privo di educazione274. La mancanza di quest’ultima
è ancor più marcata dal fatto che, durante il dialogo, Alcibiade cambia più volte pensiero per tentare
di tener testa a Socrate. A questo tipo di atteggiamento, Socrate risponde accusando Alcibiade di non
270
Per approfondire vd. Gribble 1999, 214-260.
Plat. Alc. I 104d-105e.
272
Gribble 1999, 20.
273
Plat. Alc. I 104a-c.
274
Giannantoni 1997, 366.
271
53
essere consapevole della propria ignoranza e per questo egli si propone di aiutarlo, affermando che
all’ignoranza si può sfuggire solo tramite la conoscenza di se stessi275. L’eco delle accuse mosse nel
processo a Socrate e del fine apologetico del dialogo si rintraccia quando Socrate si rivela essere
preoccupato per Alcibiade, temendo infatti che egli diventi amante del popolo e si faccia rovinare da
quest’ultimo276.
All’immagine del giovane immaturo dell’Alcibiade primo, si contrappone quella di un arrogante
uomo nel Simposio. Anche in questo dialogo, Platone, velatamente, mette in contrasto il figlio di
Callia e Socrate, in modo tale da evidenziare la distanza etica e morale che c’è tra i due. Infatti,
all’atteggiamento violento con cui Alcibiade irrompe nella casa di Agatone e alla conseguente
violazione delle leggi simposiali277 si contrappone la calma del suo maestro che, essendo stato
criticato duramente dallo stratego, chiede aiuto al padrone di casa278. Ma è sul piano delle parole che
Platone dimostra la lontananza tra i due. Nel lungo discorso che Platone fa pronunciare ad Alcibiade,
a tratti elogiativo, a tratti critico verso Socrate, egli non dimostra altro che la inferiorità etica del primo
verso il secondo. La superiorità di Socrate si impone in due aspetti principali: quello fisico,
rappresentato dall’episodio di Potidea in cui il filosofo non solo si distinse per la sua capacità di
resistere alla fame e al freddo, ma per di più salvò anche la vita ad Alcibiade279; e quello della capacità
oratoria. Quest’ultimo aspetto è importantissimo, poiché è proprio Alcibiade a dichiarare il suo stato
di subalternità causato dalle parole di Socrate, che lo spingono a vergognarsi di se stesso e del modello
di vita che egli segue. Non a caso Alcibiade paragona le parole di Socrate al canto delle Sirene280.
Secondo Gribble un riflesso di Alcibiade e del suo rapporto con Socrate può essere rintracciato in un
altro dialogo platonico, il Gorgia, al quale però Alcibiade non partecipa. Nel dialogo Socrate cerca
275
Plat. Alc. I 118b-135e.
Plat. Alc. I 132a.
277
Per i Greci la capacità di rimanere sobri, soprattutto durante un simposio, era indice di autocontrollo. Al contrario, la
smoderatezza nel bere era dannosa e tipica dei barbari. Inoltre le leggi simposiali imitavano quelle della città, quindi la
loro violazione poteva essere vista come un’inclinazione alla tirannide. Vd. Gribble 1999, 251.
278
Plat. Sym. 213c-215.
279
Plat. Sym. 219e-220e.
280
Plat. Sym. 215e-216c.
276
54
di convincere Callicle, il quale critica fortemente l’utilità della filosofia281 e delle leggi, inventate a
parer suo, dai deboli per evitare di essere assoggettati dai più forti, che invece meriterebbero di
governare. Il sofista inoltre afferma che nella vita tutti i desideri devono essere assecondati, poiché la
ricchezza e il potere sono le uniche cose fondamentali282. Non è un caso che queste affermazioni sono
in linea con la personalità di Alcibiade e per di più Callicle, come esplicitamente detto da Socrate nel
dialogo283, cambia pensiero in base alle circostanze, come appunto Alcibiade 284, perciò nominato il
camaleonte. Tuttavia lo studioso non forza questa sua tesi, infatti è egli stesso a dire che così come ci
sono elementi che potrebbero far pensare ad un riflesso di Alcibiade in Callicle, così ne esistono altri
che allontano i due personaggi285. L’idea di Gribble è più sottile: il Gorgia, secondo lo studioso, è un
dialogo platonico dal carattere apologetico mirante a difendere Socrate dall’accusa di corruzione dei
giovani. I richiami al processo contro il filosofo si hanno sia quando Callicle afferma che, se Socrate
fosse accusato dagli Ateniesi, non saprebbe difendersi adeguatamente, sia quando Socrate risponde
che un’eventuale accusa di corruzione dei giovani contro la sua persona, avrebbe minato la sua
credibilità etica e filosofica
286
. Di conseguenza, seguendo questo ragionamento, Callicle sarebbe
l’emblema di una generazione di giovani corrotti287, a cui apparteneva anche Alcibiade, che Socrate
cercò di educare ad una vita basata sulla moderatezza e sulla ricerca del bene, principi che egli stesso
afferma nel monologo finale del dialogo platonico, cercando appunto di convincere Callicle288.
Una critica platonica alla figura di Alcibiade, secondo alcuni studiosi289, sarebbe nascosta nella
Repubblica, e precisamente nel sesto libro, quando Socrate descrive la natura del filosofo, e come
questa possa essere corrotta290. Il filosofo afferma che la natura filosofica di un uomo può essere
281
Plat. Gorg. 484c-486c
Plat. Gorg. 492c.
283
Plat. Gorg. 482a-b.
284
Plat. Gorg. 482b.
285
Gribble 1999, 235-236.
286
I riferimenti al processo a Socrate, secondo Gribble, sono: Plato Gorg. 486a-b; 521e-552c;
287
Per approfondire l’argomento, vd. Gribble 1999, 231-245.
288
Plat. Gorg. 506c-522e.
289
Adam 1965, 25-27; Taylor 1976, 64; Gribbe 1999, 219-221.
290
Plat. Rep. 489d-502c.
282
55
corrotta specialmente se questo, vivendo in una grande città, è ricco e nobile e di bell’aspetto. Infatti,
queste condizioni lo porteranno a crearsi smisurate aspettative su se stesso e ad essere sfruttato dai
suoi concittadini per fini personali. In questo modo, uomini del genere procureranno alla città e ai
cittadini grandi mali291. Il richiamo alla carriera politica di Alcibiade è evidente.
Non può essere escluso dai Σωκρατικοὶ λόγοι sicuramente Senofonte. Egli, essendo discepolo di
Socrate, scrisse alcune opere riguardanti il maestro. Tra queste, i Memorabili sono un’opera che può
essere inserita nella lettura socratica su Alcibiade.
L’intento apologetico dell’opera è chiaro fin dall’inizio, ma importanti sono i primi due capitoli del
primo libro, i quali, possono essere considerati una memoria difensiva di Senofonte a favore del suo
maestro292. La posizione dello storico greco è forse la più chiara ed esplicita di tutta la letteratura
socratica su Alcibiade. Senofonte stesso dichiara di non voler difendere Alcibiade e Crizia, ma anzi,
egli stesso ritiene che Crizia fu τῶν ἐν τῇ ὀλιγαρχίᾳ πάντων πλεονεκτίστατός τε καὶ βιαιότατος e
Alcibiade τῶν ἐν τῇ δημοκρατίᾳ πάντων ἀκρατέστατός τε καὶ ὑβριστότατος293. Lo storico ci presente
i due giovani come gli Ateniesi più ambiziosi in quel periodo, i quali vollero sfruttare l’amicizia
socratica per puri fini sofistici ed oratori, in quanto non realmente interessati al modello di vita
socratico, basato sulla moderazione. Infatti, Senofonte afferma che i due Ateniesi avrebbero preferito
morire piuttosto che vivere come Socrate. Tutto ciò sarebbe dimostrato, a detta di Senofonte, dal fatto
che Crizia e Alcibiade, appena si considerarono più forti dei compagni, lasciarono l’ambiente
socratico. Se avessero davvero imparato da Socrate la moderazione, non l’avrebbero dimenticata.
Poiché ciò non accadde, Socrate a loro non insegnò nulla294. La presunta accusa di corruzione dei
giovani, secondo Senofonte, sarebbe sconfessata anche dal corso della carriera politica che i due
291
Plat. Rep. 494B-495a.
Giannantoni 1997, 372.
293
Xenoph. Mem. I 2,12.
294
Xenoph. Mem. I 2, 14-20.
292
56
intrapresero: Crizia fu esiliato in Tessaglia295, Alcibiade viziato da uomini corrotti e dalle donne,
trascurò se stesso296.
Dall’analisi compiuta delle fonti antiche è evidente che la figura di Alcibiade fu al centro
dell’attenzione dell’opinione pubblica ateniese. L’alcmeonide, al pari di Pericle, influenzò molto
quest’ultima e, nel bene e nel male, fece parlare di sé. Il suo carattere eccentrico e la sua forte
ambizione politica rappresentarono per Atene un vero e proprio problema sociale che doveva essere
risolto. Dal punto di vista storico, Atene decise di condannare lo stratego, ma dal punto di vista
letterario venne costruita una vera e propria ‘macchina del fango’ mirante a screditare Alcibiade. Da
questo punto di vista, l’ateniese fu un facile obiettivo, la sua indole egocentrica, manifestatasi
soprattutto durante gli anni giovanili e volta a demolire la tradizionale etica greca, rappresentò un
perfetto tema con cui infangare Alcibiade. E infatti, le critiche della Contro Alcibiade e del presunto
libello di Antifonte si mossero in questa direzione. Il tema dell’immorale παιδεία del giovane ateniese,
venne ripreso anche dagli ambienti socratici, i quali, lo strumentalizzarono per cercare in tutti i modi
di difendere il ricordo di Socrate. Il dibattito letterario su Alcibiade fu così rilevante, che venne ripreso
secoli dopo anche da Plutarco, tuttavia il biografo non sembra prendere una posizione a sfavore
dell’alcmeonide, ma si limita a raccontare i fatti che lo riguardarono.
295
296
Crf. Xenoph. Hell. II 3,36.
Xenohph. Mem. I 2, 24.
57
CONCLUSIONI
Alla luce dell’analisi compiuta sulla figura di Alcibiade, possiamo trarre delle conclusioni su come
la tradizione ha tramandato le notizie riguardo la sua giovinezza e ai suoi anni formativi.
Il tema preso in analisi nel primo capitolo è di carattere prosopografico. Sebbene Alcibiade sia stato
una delle figure più famose ed influenti della seconda metà del V secolo, le fonti antiche riguardo la
sua discendenza non sono coerenti tra di loro. Isocrate afferma che lo stratego appartenesse agli
Eupatridi, invece Platone e Plutarco agli Eurisacidi, un’antica famiglia che collegava le sue antiche
origini al figlio dell’eroe Aiace, Eurisace. L’intricato nodo può essere sciolto analizzando la natura
degli Eupatridi, se fossero cioè, realmente un genos o un grado di nobilità. Secondo Wade-Gery,
molto probabilmente gli Eupatridi erano una classe sociale di alto rango e non un genos, poiché per
essere definiti tali dovevano avere una connotazione religiosa, né un’οἰκίη, in quanto non risultano
discendere da un eroe eponimo di nome Eupatros. Raubitschek invece, ritiene davvero che Alcibiade
discendesse dagli Eupatridi, poiché, a parer suo, la famiglia di Clinia, il padre dello stratego, avrebbe
avuto dei legami con l’Eupatride Cairione, un personaggio politico vissuto nel VI secolo a.C. In base
alle osservazioni fatte, il quadro genealogico più probabile è questo: Alcibiade discendeva dal genos
degli Eurisacidi, ma allo stesso tempo era anche un Eupatrida, ossia apparteneva all’alta nobiltà
ateniese. Il seguente ragionamento spiegherebbe la confusione e gli errori delle fonti antiche.
Per quanto riguarda invece la ricostruzione dell’albero genealogico, sia paterno che materno, il quadro
non appare essere meno complicato. Le fonti antiche sono caratterizzate dall’incertezza dei dati e
dalla confusione, soprattutto riguardo la figura di Alcibiade I, e di Clinia, il padre del politico ateniese.
Alla luce delle considerazioni fatte, molto probabilmente Alcibiade I, sulla base degli studi di
Vanderpool ed Ellis, fu il trisavolo del nostro Alcibiade e deve essere indentificato in colui che le
fonti dicono essere l’amico di Clistene che intorno al 510 a.C. lo aiutò nella cacciata dei Pisistratidi
da Atene, mentre il padre dell’alcmeonide, Clinia, per motivi cronologici non può essere colui che,
secondo Plutarco, partecipò sia alla battaglia dell’Artemisio nel 480 a.C. sia a quella di Coronea nel
58
447 a.C., dove trovò per giunta la morte. Chiaramente, si tratta di due Clinia differenti, l’uno
discendente dell’altro e divisi da una generazione.
Non è chiaro nemmeno il legame familiare tra Pericle e Alcibiade. In base alle considerazioni fatte,
i due furono sicuramente imparentati, poiché la madre di Alcibiade, Dinomache, era cugina di Pericle
e inoltre quest’ultimo, alla morte di Clinia, divenne il tutore di Alcibiade. Tuttavia dalle notizie tradite
dalle fonti, in primis Cornelio Nepote e Diodoro, non risulta essere così. Gli errori di quest’ultimi
potrebbero essere causati dalle fonti a cui a loro volta attinsero, le quali, non specificando bene il
grado di parentela tra Pericle ed Alcibiade, lasciarono libero spazio all’interpretazioni dell’autore
greco e di quello latino.
Dopo la ricostruzione genealogica della famiglia di Alcibiade, si è analizzato la sua ricchezza.
Quest’ultima, si basava principalmente sul possesso di grandi latifondi, che nell’Atene di V secolo
andavano via via scomparendo, lasciando spazio ad una ricchezza di tipo commerciale, che aveva
come fonte principale di guadagno il mare e il Pireo. Per di più Alcibiade, apparteneva anche alla
‘liturgical class’, ossia quella classe sociale formate da ricche famiglie che oltre a possedere vasti
latifondi, potevano permettersi di investire in liturgie. Tuttavia, alla luce delle considerazioni fatte,
Alcibiade non sembrò risentire della crisi che colpì i grandi latifondisti ateniesi, ma anzi sfruttò la sua
ricchezza in maniera del tutto innovativa, ossia per mostrare il suo status tramite il lusso e guadagnarsi
consenso nell’opinione pubblica.
Nel secondo capitolo sono state analizzate due opere letterarie, l’orazione Contro Alcibiade dello
Pseudo-Andocide e la Vita di Alcibiade di Plutarco, con una particolare attenzione alle notizie che
queste hanno tramandato sulla giovinezza di Alcibiade.
Per quanto riguarda la Contro Alcibiade, si è cercato di spiegare e semplificare lo spinoso problema
della questione andocidea, con gli annessi problemi di attribuzione e datazione. Le tesi avanzate dagli
studiosi sono numerose, ma quelle che hanno avuto più seguito sono state quelle avanzato da quattro
studiosi Carcopino, Treves, Furley e Cobetto Ghiggia. I primi tre studiosi ritengono che l’autore sia
Feace, basando la propria tesi sulle analogie biografiche tra quest’ultimo e le vicende raccontate
59
dall’oratore durante l’orazione. Cobetto Ghiggia invece, ritiene che l’opera debba essere attribuita ad
Eschine Socratico sostenendo che il filosofo avesse scritto un’orazione in difesa di Feace,
identificabile con la Contro Alcibiade, e che poi col passare del tempo fosse stata inserita nel corpus
andocideo.
In base alle considerazioni sviluppate, l’opera è ambientata nella primavera del 415 a.C., per
l’accenno nell’orazione ad alcuni eventi storici databili proprio in quel periodo, ma diverso fu l’anno
in cui l’orazione è stata scritta: sebbene non sia possibile individuare l’anno preciso, la critica ritiene
che fu composta all’inizio del IV secolo.
L’orazione non presenta nessun riferimento o aneddoto al periodo giovanile di Alcibiade, anzi tutti
quelli menzionati sono ambientati in anni successivi a questo. Tuttavia, alla luce dell’analisi fatta,
abbiamo visto che i vari episodi di violenza che Alcibiade compì contro i cittadini e addirittura contro
la città possono essere giustificati solo presupponendo una cattiva educazione che spinse a sua volta
l’alcmeonide ad aver un atteggiamento egocentrico volto ad un superamento dell’etica tradizionale.
Per quanto concerne Plutarco, la situazione è ben diversa. Il biografo è forse l’autore che più di altri
ci fornisce notizie sugli anni di formazione di Alcibiade, dedicando a quest’ultimi ben sedici paragrafi
della Vita di Alcibiade. La figura descritta nella sezione aneddotica è quella di un giovane che segue
la classica educazione ateniese, andando in palestra, suonando uno strumento musicale e leggendo
Omero. Ma ad ogni momento educativo, come Plutarco indica, corrisponde un’azione fuori dagli
schemi di Alcibiade: durante un incontro di lotta, il giovane ateniese viola il regolamento mordendo
l’avversario; durante la lezione di musica egli si rifiuta di suonare l’αὐλός; quando chiede al maestro
un libro di Omero, poiché non ne era in possesso, lo colpisce con un pugno.
È evidente che Alcibiade sia durante gli anni in cui visse sia nel periodo successivo alla sua morte, fu
oggetto di discussione. Autori come Andocide, seppur in maniera indiretta, e Antifonte, il quale
scrisse forse un libello contro Alcibiade, rientrano in quell’insieme di testimoni che, attaccarono
l’alcmeonide per la sua educazione. Probabilmente alcuni degli aneddoti su Alcibiade furono
fabbricati ad arte, infatti è lo stesso Plutarco a dire che Antifonte inventò notizie false su di lui perché
60
mosso da odio personale. Il biografo greco invece, sebbene anch’egli menzioni aneddoti che mettono
in cattiva luce Alcibiade nei suoi anni di formazione, non è spinto da nessun motivo personale né può
essere inserito in quella corrente letteraria volta a infangare l’immagine del politico ateniese, nata
negli anni contemporanei e successivi alla sua morte. Il motivo della scelta del biografo è di tipo
letterario, poiché Plutarco, avendo come principi letterari l’erudizione e l’antiquaria, deve raccogliere
più materiale possibile, considerando, come in questo caso, anche notizie che probabilmente non
avevano nessun fondamento storico.
Nel terzo capitolo abbiamo analizzato il rapporto tra Alcibiade e Socrate, figura, quest’ultima,
fondamentale per il processo educativo del giovane ateniese. Dal punto di vista storico i due furono
senza dubbio grandi amici, infatti condivisero due esperienze militari nelle battaglie di Potidea e
Delio. Dal punto di vista letterario, Alcibiade fu il principale bersaglio del circolo socratico,
soprattutto dopo che il filosofo fu condannato a morte nel 399 a.C. con l’accusa di corrompere i
giovani, tra i quali vi era proprio Alcibiade. In base all’analisi compiuta, è evidente che numerosi
furono i discepoli socratici che criticarono fortemente l’alcmeonide pur di salvare la memoria del
maestro. Anche nei Σωκρατικοὶ λόγοι Alcibiade veniva criticato dal punto di vista educativo, come
nel caso di Eschine Socratico, che nel dialogo Alcibiade, tramite la figura del proprio maestro
accusava Alcibiade di ἀσέβεια, mettendolo a paragone con Temistocle. Lo stratego fu giudicato
negativamente anche da un altro discepolo di Socrate, Antistene, il quale parlò di Alcibiade in due
opere: l’Alcibiade e il Ciro minore. I due dialoghi seguono anche essi il modello di Eschine, ossia
quello di un dialogo socratico in cui Alcibiade viene criticato sul piano educativo e messo a confronto
con una grande figura del passato, in questo caso il re persiano Ciro.
Ovviamente, non potevano mancare all’appello i due discepoli più autorevoli di Socrate: Platone e
Senofonte. Per quanto riguarda quest’ultimo, lo storico, nei Memorabili, fu forse colui che più
esplicitamente sostenne l’integrità etica del maestro, criticando apertamente Alcibiade e Crizia, rei di
aver seguito Socrate per acquisire non il suo modello etico ma piuttosto la sua capacità oratoria, arte
fondamentale per la loro carriera politica.
61
Platone invece cerca di difendere il ricordo del suo maestro in più opere. Da un lato, nel Simposio e
nell’Alcibiade primo, egli esplicitamente critica l’alcmeonide, presentandolo nel primo dialogo come
un giovane arrogante, nel secondo come un adulto immaturo. Dall’altro, seguendo la tesi di Gribble,
Platone, velatamente, critica il politico ateniese. È il caso della Repubblica e del Gorgia, nei quali
secondo lo studioso, sono presenti dei richiami alla natura corrotta di Alcibiade. Nella Repubblica, la
critica all’alcmeonide sarebbe presente nel sesto libro dell’opera, in cui Platone descrive come la
ricchezza e il bell’aspetto possano far degenerare la natura del filosofo, facendo accenno forse proprio
alla figura di Alcibiade e alla sua carriera politica. Nel Gorgia invece, Alcibiade potrebbe essere
identificato in Callicle, uno degli interlocutori del dialogo platonico, il quale sia nel comportamento
sia nel pensiero ricorda molto lo stratego.
62
Bibliografia:
Adam 1975 = J. Adam, The Republic of Plato, Cambridge 1975.
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