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Ida GIlda Mastrorosa
ida Gilda maStroroSa
Roman Women e Public History: la creatività del Web
1. Considerazioni preliminari intorno a new media e “condivisione” della storia
La pubblicazione, per via cartacea o informatica, dei risultati
scaturiti da iniziative dedicate anche in ambito italiano alla Public
History,1 ha già reso conto dell’ampio dibattito e dell’interesse ch’essa va suscitando in aree geografiche diverse e non di meno nella
nostra penisola.2 Se da un lato ciò ha contribuito ad accendere i riflettori su questioni come l’“identità” della disciplina, le sue finalità,
i suoi possibili ambiti e forme di applicazione, d’altro canto ha altresì
1
Un’aggiornata ricostruzione sulle fasi che hanno accompagnato e
scandito l’accendersi dell’interesse sulla Public History si ricava dai contributi di
Serge Noiret, Introduzione: per la Public History internazionale, una disciplina globale, in
Paolo Bertella Farnetti, Lorenzo Bertucelli, Alfonso Botti (a cura di), Public History.
Discussioni e pratiche, Milano-Udine, Mimesis, 2017, pp. 9-33; Paolo Bertella Farnetti,
Public history: una presentazione, ibid., pp. 37-56; Maurizio Ridolfi, Verso la Public History.
Fare e raccontare storia nel tempo presente, Pisa, Pacini, 2017; Marcello Flores, Stefano
Pivato, A proposito di Public History, «Novecento.org», agosto 2017, n. 8.
2
Ne è chiara testimonianza l’iniziativa assunta il 21 giugno 2016 dalla Giunta
Centrale per gli Studi Storici presieduta da Andrea Giardina e dalla International
Federation for Public History con l’attivazione di un comitato costituente che ha
portato alla nascita dell’Associazione Italiana di Public History (AIPH) presieduta
da Serge Noiret (European University Institute), cui hanno fatto seguito, fra l’altro,
la prima conferenza nazionale, organizzata all’Università di Bologna, svoltasi nel
campus di Ravenna nei giorni 5-9 giugno 2017, e la seconda conferenza organizzata
all’Università di Pisa e ivi tenutasi nei giorni 11-15 giugno 2018; una terza
conferenza, la cui organizzazione è stata affidata all’Università della Campania, è
prevista a Santa Maria Capua Vetere per i giorni 24-28 giugno 2019.
Storia delle Donne, 14 (2018) <www.fupress.net/index.php/sdd>
DOI: 10.13128/SDD-25658 - CC BY 4.0 IT, 2018, Firenze University Press
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Roman Women e Public History: la creatività del Web
lasciato emergere la complessità delle questioni metodologiche che
sottintende e la difficoltà che comporta anche il solo tentativo di
individuarne un significato univoco.
In questo panorama, che appare estremamente frastagliato anche in ragione della formazione e degli interessi eterogenei di quanti
partecipano alla discussione in corso, si registra attualmente un’attenzione crescente intorno alla Public History anche da parte degli antichisti, intendendo con tale denominazione non solo quanti, all’interno o all’esterno dei ranghi accademici, privilegiano un focus più
fattuale, ovvero gli archeologi, bensì cultori e docenti di storia antica,
in particolare greca e romana. Ne recano prova i programmi delle
conferenze dell’Associazione Italiana di Public History (AIPH)3 e lo
spazio accordatole in consessi collegati alla docenza universitaria.4
Al di là di dati che di per sé rivelano la capacità d’impatto di
quella che va ormai profilandosi come una disciplina autonoma, fra
i fattori che in seno ad essa possono dischiudere nuovi orizzonti d’indagine per gli antichisti vi è il significato riconosciuto alla possibilità
di comunicare e dunque concepire la storia attraverso percorsi alternativi a quelli tradizionali. Se da un lato ciò stimola a procedere
oltre approcci incentrati sul recupero memoriale e collettivo, più facilmente adottabili in rapporto ad epoche meno distanti nel tempo,
o sulla valorizzazione di dati fattuali, privilegiata in sedi museali a
partire da una prospettiva archeologica, d’altro lato sollecita a puntare lo sguardo sui nuovi media e sulle nuove vie d’accesso alla storia
antica che essi predispongono giorno dopo giorno, incoraggiando
ad “appropriarsene” e ad usarla fasce di utenti sempre più larghe.
In questa cornice, che vede il web giocare un ruolo di primo
piano, nella sua veste di strumento di diffusione di prodotti multimediali di genere e qualità assai diversi, trovano posto, fra l’altro, filmati
realizzati da varie tipologie di soggetti che sovente conciliano intenti
didascalici di matrice non necessariamente professionale e istanze
comunicative, esprimendo nel complesso interesse a condividere in3
Si veda in tal senso l’intervento di Silvia Orlandi, L’immagine di Roma antica
nei fumetti: il caso di Murena, presentato nel corso della seconda conferenza AIPH (cfr.
<https://aiph.hypotheses.org/files/2018/03/Seconda-Conferenza-AIPH-PisaLibretto-completo-aggiornamento-10-06-2018bc.pdf>). Va inoltre rilevato che nella
call della terza conferenza, fra le sette aree tematiche di cui il comitato scientifico ha
inteso sollecitare la presenza è incluso Il ruolo della storia antica nella PH.
4
Si segnala al riguardo la ricognizione di iniziative di Public History in corso,
promossa dalla Consulta Universitaria per la Storia Greca e Romana (CUSGR), in
seguito alla Giornata d’Incontro Nazionale degli Storici Antichi, Bologna, 23-24 novembre
2018.
Storia delle Donne, 14 (2018) <www.fupress.net/index.php/sdd>
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formazioni inerenti –per quanto qui interessa– anche alla storia romana. Si tratta di una categoria di “documenti” di per sé variegata,
che include video di valore ed efficacia differenti, incentrati su temi
a carattere più istituzionale, come l’espansionismo, l’organizzazione
militare o ancora questioni di cronologia, ma anche su soggetti più
specifici concernenti, fra l’altro, la società e la quotidianità di Roma
antica, come taluni filmati di produzione anglofona rinvenibili sulla
piattaforma YouTube, ideati allo scopo di illustrare la condizione
della donna romana, vale a dire dedicati alle Roman Women.
Concepiti grazie a soluzioni che sovente denotano fantasia narrativa, creatività artistica e perizia informatica, questi ultimi presuppongono e recuperano secondo modalità differenti nozioni e schemi
interpretativi riconducibili al dibattito storiografico sviluppatosi negli USA e in Europa nella seconda metà del XX secolo su questioni
di gender in Roma antica, di cui occorre tener conto per tentare di
chiarire in quale misura dei prodotti multimediali, segnatamente dei
video caricati su piattaforme di ampio accesso come YouTube, possano concorrere a promuovere una conoscenza attendibile di aspetti
particolari della storia romana. Cionondimeno inducono a chiedersi
se vi si possa cogliere l’effetto di dinamiche caratterizzanti a livello
più generale l’interazione fra media e gender, messe in luce da una
non esigua letteratura del settore5 che pur non appuntandosi su indicatori concernenti l’approccio alla storia antica, sotto il profilo teorico può offrire qualche spunto di riflessione utile anche per indagini
come la presente, impostate a partire da una prospettiva che invece
la presuppone quale focus prioritario.
Sebbene esuli, pertanto, da questa sede, per ragioni di competenza specialistica, ogni proposito di valutare sotto un profilo appositamente mediologico il rapporto fra gender e processi comunicativi
operanti nei video caricati su YouTube sulle Roman Women consi5
Fra numerose messe a fuoco, rispetto a cui si segnala per il suo carattere
pionieristico, nella prima metà degli anni Novanta, il saggio di Liesbet van Zoonen,
Feminist media studies, London-Thousand Oaks-New Delhi, Sage Publications, 1994,
si rinvia a Angharad N. Valdivia (ed.), Feminism, multiculturalism, and the media. Global
diversities, London-Thousand Oaks-New Delhi, Sage Publications, 1995; Carolyn
M. Byerly, Karen Ross (eds), Women and media. A critical introduction, Malden-Oxford,
Blackwell, 2006; Rosalind Gill, Gender and the media, Cambridge, Polity, 2007;
Diane Richardson, Conceptualising gender, in Diane Richardson, Victoria Robinson
(eds), Introducing Gender and women’s studies, Basingstoke-New York, Palgrave, 20154,
pp. 3-22; Anna Lisa Tota (a cura di), Gender e media. Verso un immaginario sostenibile,
Meltemi, Roma, 2008; Mary Kosut (ed.), Encyclopedia of gender in media, Los AngelesLondon-New Delhi, Sage Publications, 2012.
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Roman Women e Public History: la creatività del Web
derati nei paragrafi seguenti, conviene acquisire preliminarmente
che il loro carattere difforme, innanzitutto sul piano dei contenuti,
dei registri narrativi usati per presentarli, delle finalità individuali
perseguite, non consente di assumerli quale repertorio globalmente
utilizzabile per verificare la sussistenza di schemi di nella presentazione di un dato che purtuttavia risulta condiviso dai videomakers,
vale a dire la consapevolezza della posizione subalterna della donna
rispetto all’uomo nell’antica società romana. Non va, d’altro lato,
trascurata la particolarità dell’“ambiente digitale” a cui appartengono, per cui sono stati realizzati e attraverso cui attivano e possono
sviluppare nel corso del tempo processi comunicativi che a seconda
dei casi –come vedremo– possono o intendono profilarsi a livello
meramente informativo.
Occorre cioè tener presente che si tratta di filmati affidati ad un
medium del tutto particolare come YouTube, ossia ad un «archetypal digital creative platform» che si va caratterizzando giorno dopo
giorno come spazio di condivisione sempre più largo. Efficacemente
definito «agnostic about what contributions can be made», esso è
tuttavia in grado di costituire molto più che un «video archive», di
tradursi cioè in «community», offrendo un «framework for participation», usato «to communicate and connect, to share knowledge
and skills, and to entertain».6
In un quadro che di per sé implica una notevolissima quantità di
interazioni, non trascurabili neppure nei video sulle donne romane
scelti quale campione del presente contributo, non è agevole valutarne il significato alla luce di acquisizioni ed osservazioni formulate in
sede specialistica sul tema del rapporto esistente fra YouTube e l’universo femminile. Conviene peraltro ricordare che il dibattito e la
letteratura specialistica che ne dà conto registrano posizioni di segno
opposto, sicché a fronte di quanti hanno individuato nel medium in
questione un ulteriore esempio di strumento tecnologico destinato a
marginalizzare le donne, altri hanno per converso preso atto della
6
Per tali acquisizioni si rinvia a David Gauntlett, Making is connecting. The
social meaning of creativity, from DIY and knitting to YouTube and Web 2.0, Cambridge,
Polity, 2011, pp. 83-108, in modo particolare pp. 88-95. Per ulteriori precisazioni,
sulla varietà di interazioni attivate da tale medium, cfr. anche Jean Burgess, Joshua
Green, You-Tube: Online Video and Participatory Culture, Cambridge, Polity, 2009; Pelle
Snickars, Patrick Vonderau (eds), The YouTube reader, Stockholm, National Library
of Sweden, 2009; Michael Strangelove, Watching YouTube. Extraordinary videos by
ordinary people, Toronto-Buffalo-London, University of Toronto Press, 2010; Phil
Benson, The discourse of YouTube. Multimodal text in a global context, New York-London,
Routledge, 2016.
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loro capacità di servirsene in misura sempre crescente, invitando ad
interrogarsi sull’uso che esse fanno dei video online per rappresentarsi, per sviluppare relazioni, per reagire a tendenze misogine.7
In ogni caso, a riscontro della funzionalità polivalente di internet
nell’offrire dispositivi di diffusione e condivisione a livelli diversi della
conoscenza storica sul tema in esame, va rilevata l’esistenza di video
sulle Roman Women che potrebbero definirsi di natura “amatoriale”.
Per quanto non sia possibile inquadrarli sulla scorta di considerazioni emerse dai feminist media studies, né ricercare strategie comunicative
orientate in prospettiva di gender entro prodotti caratterizzati da un
impianto esilmente didattico-informativo e talvolta ispirati ad una
dimensione performativo-ludica, il taglio descrittivo della regia narrativa e la capacità di immedesimazione di videomakers, anche di
giovane età, impegnate a mettere in scena –come si vedrà– la condizione delle donne romane documentano comunque l’efficacia della
piattaforma YouTube nel farsi canale di realizzazione della Public
History. Ne rivelano cioè la natura di vettore adatto a raccogliere e
stimolare l’interesse per aspetti specifici della società romana recuperando sia pur in forme semplificate ed occasionalmente riduttive
i risultati del dibattito storiografico maturato nei decenni scorsi innanzitutto in area anglofona attraverso passaggi da cui occorre in
ogni caso partire per tentare di comprendere l’approccio dei new
media a temi come l’incidenza del gender in Roma antica.
2. Gender history e antichistica in area anglosassone e oltre: gli orizzonti
dell’era post-femminista
Goddesses, whores, wives, and slaves: basterebbe forse la prima parte
del titolo di un volume dedicato allo studio delle donne nell’antichità
classica da Sarah B. Pomeroy nel 1975,8 per rilevare subito come in
un saggio pionieristico nel campo dei gender studies dell’ultimo cinquantennio, pubblicato nella stagione in cui il femminismo suggeriva
7
Per maggiori approfondimenti sul punto cfr. Strangelove, Watching YouTube,
pp. 84-102.
8
Cfr. Sarah B. Pomeroy, Goddesses, whores, wives, and slaves. Women in Classical
Antiquity, London, Robert Hale & Company, 1975. A testimonianza dell’interesse
suscitato dal volume va ricordata la pubblicazione di tre traduzioni nel decennio
successivo: in italiano presso Einaudi, 1978; in tedesco, per Alfred Kroner, 1985;
in spagnolo per Editorial Kanal, 1987. Per una breve ricognizione biografica
sulla studiosa, cfr. Jennifer Scanlon, Shaaron Cosner, American women historians,
1700s-1990s. A biographical dictionary, Westport (CT)-London, Greenwood Press,
1996, pp. 179-180.
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Roman Women e Public History: la creatività del Web
nuove piste d’indagine per affrontare la materia anche in relazione
ai secoli remoti della civiltà greco-romana,9 una specialista animata da istanze nuove riteneva opportuno fare i conti con l’immagine
stereotipata dell’universo femminile offerta dalle fonti. Studiare le
donne nell’antichità romana voleva cioè dire occuparsene nelle vesti
di dee, prostitute, mogli, schiave, secondo la sequenza illuminante di sostantivi chiamati in causa nel titolo del saggio.
Al di là di questo dato, è utile precisare che in quel lavoro scritto agli albori di una rinnovata stagione di studi sulla storia delle
donne nell’antichità,10 la Pomeroy superava criteri di articolazione
cronologica «onnicomprensiva» preferita da molti studiosi, adottando un approccio capace di conciliare focus tematici e sguardi
sincronici. Ne scaturiva un’attenzione non marginale per la valutazione dell’impatto avuto sull’evolversi della condizione femminile
da fattori quali la «categorizzazione in classi e livelli sociali»,11 o le
distinzioni in funzione dei ruoli, come quelle sussistenti fra lo status
rispettabile di moglie e quello opposto attribuito a donne dedite al
meretricio o di condizione servile.
Concepito a partire da posizioni che peraltro respingevano le
ipotesi dell’esistenza nel mondo greco di una società preistorica in
cui le donne avessero goduto di uno status superiore rispetto agli
uomini o almeno pari, avanzate nei decenni precedenti, nonché
dalla convinzione che l’importanza del matriarcato nella società
greca e nella storia intellettuale fosse un «mito»,12 il percorso scelto dalla studiosa statunitense non rinunciava tuttavia ad avvalersi
di acquisizioni e fonti tradizionali, come storiografia ed arti visive. D’altro lato, valorizzando strumenti messi a punto dalle teorie
femministe, esprimeva in modo nuovo l’esigenza di tener conto di
categorie particolari di fonti, come i trattati ginecologici del corpus
9
Per recenti ed efficaci riflessioni a riguardo cfr. Silvia Giorcelli Bersani,
Donne romane: storie “di genere” vere, possibili, improbabili, in Francesca Cenerini, Ida
Gilda Mastrorosa (a cura di), Donne, istituzioni e società fra tardo antico e alto medioevo,
Lecce-Brescia, Pensa, 2016, pp. 405-430, con ulteriore bibliografia.
10
Come ricordato espressamente dall’autrice un ventennio più tardi nella
Prefazione all’edizione italiana: Sarah B. Pomeroy, Dee, prostitute, mogli, schiave. Donne in
Atene e a Roma, Milano, Bompiani, 1997, p. 5. Ulteriori indicazioni sul clima fecondo
di dibattiti e fertile d’iniziative determinatosi a partire da quel saggio nel ventennio
successivo si ricavano dalla Preface in Elaine Fantham, Helene Peet Foley, Natalie
Boymel Kampen, Sarah B. Pomeroy, H. Alan Shapiro, Women in the classical world.
Image and text, New York-Oxford, Oxford University Press, 1994, pp. VII-IX.
11
Pomeroy, Dee, prostitute, mogli, schiave, p. 5.
12
Ibidem, p. 7.
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ippocratico o alcune indagini a carattere demografico, traendone in
conclusione elementi sufficienti per insistere sulla «desolata» condizione femminile in Grecia e a Roma.13
Se da un lato questo giudizio formulato dall’autrice in chiusura della prefazione alla versione italiana, uscita a distanza di poco
più di un ventennio dalla prima edizione dell’opera, consente di
comprendere come ancora sul finire del secondo millennio della
nostra era persistesse la tendenza a valutare in termini di parità o
disparità di genere lo status esistenziale della donna nella società
antica, d’altro lato uno sguardo ai capitoli del suo lavoro dedicati
alla condizione femminile nella società romana, lascia emergere fin
dalla metà degli anni Settanta una già nitida percezione del quadro
peculiare e contraddittorio restituito dalle fonti nel rappresentarla.
Rivela cioè una lucida presa d’atto del fatto che modelli, pur non
diffusi, come quello di Cornelia, la matrona madre dei Gracchi,
emblema di prolificità, istruita, indipendente, sicura di sé anche
nella vedovanza, cui fu inoltre tributato l’onore di una statua,14 sussistettero nella cornice di una realtà storico-istituzionale contraddistinta da un apparato normativo che per converso vide le donne
tutt’altro che autonome, bensì soggette alla tutela paterna fino alla
prima età imperiale. Nondimeno, alcune pagine del saggio rendevano evidente la tipicità di un sistema istituzionale in cui malgrado
lo spazio esiguo riconosciuto all’universo femminile per esprimere
la propria volontà, anche in relazione al consenso per il contratto
nuziale, alla fine del I sec. a. C. si registrò “un fenomeno nuovo”: le
donne talvolta avviarono alleanze attraverso il matrimonio e si scelsero accuratamente i pretendenti per giovare alle proprie famiglie.15
D’altro lato, pur sottolineando in chiave comparativa che «Marriage and motherhood were the traditional expectation of well-to-do
women in Rome, as they had been in Greece», considerando la
situazione specifica dell’urbe, segnatamente in relazione ad aspetti
quali contraccezione e aborto,16 alla metà degli anni Settanta Sarah
B. Pomeroy rimarcava la frequenza di morti per parto con una sensibilità che possiamo ritenere maturata anche per effetto di dibattiti
che proprio in quel periodo del Novecento assunsero una valenza
speciale.
13
14
15
16
Ibidem, pp. 9-12.
Cfr. Pomeroy, Goddesses, whores, wives, and slaves, pp. 149-150.
Ibidem, pp. 155-157.
Ibidem, pp. 164; 166-169.
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Roman Women e Public History: la creatività del Web
Arricchita inoltre da pagine puntuali nel ricordare che alcune
Roman Women ebbero un buon livello d’istruzione, ruoli non marginali in chiave politica, onori ed encomi pubblici, quell’indagine costruita a partire da un osservatorio che oggi, a decenni di distanza, rivela
ancor meglio la sua prospettiva americana, manifestava comunque
la certezza che «the upper-class Roman woman –at least from the
time of the late Republic– had far more freedom than woman of
similar status in classical Athens». Pur ammettendo che esse esercitassero la loro influenza solo attraverso i propri uomini e non apertamente e direttamente, così da potersi definire libere se paragonate
alle donne greche, ma non se paragonate agli uomini romani, ripensando alle testimonianze delle fonti antiche che ne attestavano la
presenza a pranzo al fianco dei mariti, nonché nel corso di incontri,
giochi, spettacoli e anche riunioni politiche, Sarah B. Pomeroy non
rinunciava a sostenere: «the notorious part of their lives has been
exaggerated by historians who write of the silent, seething, repressed
women taking out their fury in antisocial desecrations of tradition,
in debauchery, and in cruelty at the games», né a rimarcare la facoltà
delle romane di accedere al denaro e al potere e di vivere non meno
prosperamente degli uomini.17
Superando le posizioni di chi –come Moses Finley– di fronte alle
silent Women of Rome18 ne aveva ricavato l’impossibilità di comprenderne la condizione reale, la studiosa non ignorava che i casi adatti a
offrire riscontro della ottima condizione goduta dalle donne romane
non esaurissero il discorso. Così appuntandosi sulle «lives of lowerclass women... and the poor», sollecitava a spingere lo sguardo verso
categorie femminili tutt’altro che marginali o numericamente irrilevanti, come schiave, ex-schiave, donne lavoratrici.19 Efficace nell’evidenziare l’importanza di aspetti più tardi destinati a trovare approfon17
Ibidem, pp. 188-189.
Cfr. Moses Finley, The silent women of Rome, «Horizon», 7, 1965, pp. 55-64,
poi ristampato in Id., Aspects of antiquity. Discoveries and controversies, Harmondsworth,
Penguin, 19772, pp. 124-136, e da ultimo in Laura K. McClure, Sexuality and gender
in the classical world. Readings and sources, London, Wiley, 2008, pp. 147-160, con
l’emblematica denuncia: «unfortunately there will always be one vital piece missing
– what the women would have said had they been allowed to speak for themselves»
(Ibidem, p. 148). Sulla posizione di Finley e sul suo parziale superamento registratosi
in seguito anche grazie a nuovi metodi di ricerca ha insistito una studiosa occupatasi
a più riprese della condizione delle donne romane, nell’ambito di ricerche dedicate
in particolare alle istituzioni familiari: cfr. Beryl Rawson, Finding Roman Women, in
Nathan Rosenstein, Robert Morstein-Marx (eds), A companion to the Roman Republic,
London, Wiley, 2006, pp. 324-341, in modo particolare p. 324.
19
Ibidem, p. 190.
18
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51
dimenti mirati in area europea,20 la ricostruzione di Sarah B. Pomeroy
registrava la varietà più limitata di impieghi attestata per le donne
rispetto agli uomini anche in caso di status servile, rilevando per converso che le schiave romane avevano sovente un’istruzione superiore a
quella delle greche, potevano inoltre essere usate per mansioni molto
specifiche, nonché per scopi sessuali, con ingenti profitti assicurati ai
proprietari. Per tale via, lo spaccato di vita delle Roman Women offerto
dalla sua indagine rimarcava il persistere di differenze di genere in
relazione allo stato giuridico e a quello sociale e, senza limitarsi ad acquisire genericamente le scarse opportunità di ascesa sociale tramite
nozze con individui di livello sociale superiore, inaccessibili in genere
alle schiave, rendeva conto anche delle posizioni non marginali raggiunte talora da quante fra esse divennero concubine degli imperatori,
grazie a relazioni che di per sé non costituivano motivo di scandalo.21
Ricco di precisazioni e attestazioni tratte inoltre da iscrizioni funerarie, il quadro delineato dalla studiosa americana alla metà degli
anni Settanta del XX secolo proponeva nel complesso uno spaccato
variegato, adatto a far comprendere anche ad un pubblico non necessariamente specialistico come, a differenza delle donne greche, le
Roman Women fossero state spesso occupate nell’esercizio di mestieri
reputati tipicamente femminili quali filatura, lavatura di indumenti,
vendita di merci di lusso o esotiche, di tintura di porpora o profumi,
ma anche di generi di consumo come abiti e cibo: attività talvolta
molto semplici per le quali –stando a quanto riflesso dai graffiti sulle
mura di Pompei– talune erano scelte per lavorare in taverne e banchi
di rivendita di generi alimentari innanzitutto per l’abilità di attirare i
clienti con il loro aspetto avvenente.
Così, grazie ad una ricognizione che per altro verso non trascurava indicatori della condizione elevata raggiunta da alcune Roman
20
Significativa l’attenzione prestata al tema del rapporto donna-lavoro nella
prima edizione del saggio della studiosa che ha il merito di aver introdotto in Italia
gli “studi di genere” in relazione alla storia romana: cfr. Francesca Cenerini, La
donna romana, Bologna, il Mulino, 2002 (20092), pp. 137-150, nonché nella cornice
di due apposite iniziative dalla stessa co-promosse: cfr. Alfredo Buonopane,
Francesca Cenerini (a cura di), Donna e lavoro nella documentazione epigrafica. Atti
del I Seminario sulla condizione femminile nella documentazione epigrafica (Bologna, 21
novembre 2002), Faenza, Fratelli Lega Editori, 2003; Iidem (a cura di), Donna e vita
cittadina nella documentazione epigrafica. Atti del II Seminario sulla condizione femminile nella
documentazione epigrafica (Verona, 25-27 marzo 2004), Faenza, Fratelli Lega Editori,
2005. Fra i lavori più recenti, si segnala anche Bernard Rémy, Nicolas Mathieu,
Les femmes en Gaule romaine (Ier siècle avant J.-C. – V e siècle après J.-C.), Paris, Éditions
Errance, 2009, pp. 95-111.
21
Pomeroy, Goddesses, whores, wives, and slaves, pp. 196-197.
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Roman Women e Public History: la creatività del Web
Women, talora divenute proprietarie di fabbriche di mattoni e di imprese edilizie e finanche assurte a ruoli di gestione di corporazioni,22
né rinunciava ad interrogarsi sulla frequenza di divorzi anche nei
matrimoni contratti fra soggetti di classi inferiori, oltre un quarantennio fa emergeva con chiarezza la complessità di elementi e fattori
a tratti contraddittori con cui avrebbe dovuto misurarsi chiunque
avesse inteso studiare la condizione delle donne nell’antica Roma. Si
metteva infatti a fuoco una società che, per quanto incline a circoscrivere gli spazi d’autonomia femminile, vide talvolta imporsi sulla
scena donne forti e spregiudicate, come le matronae della tarda età
repubblicana o le Augustae dell’epoca imperiale, e d’altra parte assegnò alle donne un ruolo tutt’altro che marginale nella sfera religiosa.
Dedicando a quest’ultimo tema un capitolo specifico,23 l’indagine di Sarah B. Pomeroy consentiva inoltre ai lettori di acquisire
la peculiarità di un sistema istituzionale contraddistinto da pratiche
cultuali in grado di consolidare le differenze di genere ma anche da
un pantheon che, riflettendo il desiderio dei Romani di indurre la
donne ad attenersi ad una condotta moralmente ineccepibile e la
capacità di perseguirlo sacralizzando valori in grado di esprimerlo,
finiva con il riconoscere alla parte femminile del corpo civico un
ruolo tutt’altro che secondario. Significativo, in tal senso, che oltre
a comprendere culti come quello della Pudicitia o di divinità quali la
Fortuna Virginalis o quella Primigenia, protettrici rispettivamente delle
fanciulle giunte alla maggiore età e delle madri e del parto, la prassi
religiosa romana riservasse alle donne direzione e gestione del culto
di Vesta, la dea patrona del focolare sia pubblico che domestico, simbolo della famiglia e al contempo della comunità e della loro continuità.24 In quella cornice, le sacerdotesse deputate ad occuparsene,
ovvero le vestali –come vedremo, oggetto di particolare attenzione
da parte del web– erano vincolate dall’obbligo di mantenersi caste
durante il loro incarico trentennale onde assicurare la salvezza di
Roma, al punto da esser punite con la morte qualora vi avessero
contravvenuto, con grave danno non solo della loro immagine bensì
dell’urbe intera, la cui sopravvivenza risultava in definitiva affidata
22
Ibidem, pp. 200-202.
Ibidem, pp. 205-226.
24
Per maggiori approfondimenti sul tema, oggetto di numerosi studi e saggi
negli anni successivi alla ricerca di Sarah B. Pomeroy, dei quali non è possibile render
conto in questa sede, si rinvia a Nicole Boëls-Janssen, La vie religieuse des matrones dans
la Rome archaïque, Rome, École française de Rome, 1993 e Maria Cristina Martini,
Le vestali. Un sacerdozio funzionale al «cosmo» romano, Bruxelles, Éd. Latomus, 2004.
23
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53
alla capacità di una categoria speciale di donne di mantenere intatta
la propria purezza.
Al di là di costumi emblematici per comprendere ambiguità e
contraddittorietà caratterizzanti la posizione delle donne in un quadro sociale come quello romano, la pluralità di aspetti chiamati in
causa per delinearne status e condizione dall’autrice di Goddesses,
whores, wives, and slaves consente di acquisire che nell’era del postfemminismo il suo approccio abbia reso disponibile, innanzitutto
ma non solo in ambito anglosassone, un patrimonio di informazioni
articolato in modo da sollecitare l’interesse di un pubblico non solo
specialistico, creando le premesse per nuovi percorsi di ricerca destinati nei decenni successivi a concentrarsi sulla identificazione delle
condizioni di vita quotidiana delle Roman Women e del loro ruolo fuori dalle pareti domestiche, al di là del piano letterario e della caratterizzazione più o meno convenzionale restituita da talune tipologie
di fonti. Non è questa la sede per ripercorrere bibliograficamente
l’impact factor del saggio della Pomeroy, cionondimeno si può constatare che nei decenni successivi, oltre all’accresciuta attenzione
negli studi di settore per questioni a carattere sociale, si è registrato
il fiorire di iniziative culturali che hanno concorso a promuovere
l’interesse per problematiche di genere in relazione al mondo antico,
sperimentando anche spazi di azione ed approfondimento che andavano oltre il tradizionale piano dell’impresa editoriale.
Ne ricaviamo esempio fra l’altro dall’attivazione di un network
quale il Women’s Classical Caucus25 sorto nel 1972 in seno all’American Philological Association (un’organizzazione nordamericana di classicisti, filologi, storici, studiosi di filosofia antica, cultura
materiale, papirologia, epigrafia), istituito con il fine scientifico e
professionale di «incorporate feminist perspectives in the study and
teaching of all aspects of ancient Mediterranean cultures, particularly the study of women in classical antiquity». Sorto anche allo
scopo di consolidare criteri di eguaglianza e diversità nell’esercizio
della professione legata alla disciplina Classics, nonché per sostenere
il confronto con studiosi impegnati in prospettiva femminista in ambiti diversi, esso è stato accompagnato inoltre dalla pubblicazione
di una annual newsletter, intitolata Cloelia. Analogamente, va almeno
annoverata l’attivazione, dall’inizio degli anni Novanta del secolo
scorso, di un apposito sito web sugli studi di genere, intitolato Dioti-
25
Consultabile all’indirizzo: <https://wccaucus.org/>.
Storia delle Donne, 14 (2018) <www.fupress.net/index.php/sdd>
54
Roman Women e Public History: la creatività del Web
ma e strutturato come banca dati a carattere bibliografico,26 ancorché in effetti concepito con l’ambizione di promuovere a più largo
spettro la riflessione sull’argomento, in chiave didattica e non solo.
Uscendo dal contesto nordamericano, è utile ricordare che gli
studi di genere inerenti più in generale all’ambito antico, nell’ultimo quarantennio hanno battuto piste nuove anche al di qua dell’oceano, sfociando in risultati d’équipe come quelli confluiti nel primo dei cinque volumi dedicati alla Storia delle Donne in Occidente nella
cornice di un’iniziativa promossa dall’editore Laterza alla fine degli
anni Ottanta.27 Concepita nell’ambito di un progetto che si collocava in una congiuntura particolare, in cui il dibattito maturato
nel ventennio successivo agli anni Settanta aveva identificato il gender, cioè «le relazioni fra i sessi», quali «prodotti» derivanti da una
«costruzione sociale» che occorreva «scomporre», l’opera rifletteva
inoltre la convinzione che al di là dell’opportunità di far riferimento
alla periodizzazione abituale quale scansione valida per studiare la
storia occidentale, fosse necessario non trascurare elementi di continuità e discontinuità operanti a più largo spettro nei vari periodi.28
Così, muovendo dall’intento di concentrarsi su una storia delle
donne da studiare nella sua evoluzione, a «tutti i livelli della rappresentazione, dei saperi, dei poteri e delle pratiche quotidiane, nella
città, nel lavoro, nella famiglia, nel pubblico e nel privato» senza
negare «l’esistenza di un dominio maschile –e dunque di una subordinazione, di una soggezione femminile– all’orizzonte visibile della
storia»,29 il primo volume, sull’età antica, curato da Pauline Schmitt
Pantel puntava lo sguardo sulle peculiarità romane sotto versanti specifici. In questa cornice, l’indagine di un giurista del calibro
di Yan Thomas poneva l’accento su elementi adatti ad esprimere
le “incapacità” femminili nel diritto pubblico e in quello privato,
sottolineando inoltre come in un assetto culturale avvezzo a considerare la città come «un circolo di uomini», alle donne fosse negata
26
Consultabile all’indirizzo: <http://www.stoa.org/diotima/>.
Sulle vicende che dal 1987, in seguito alla costituzione di un’équipe l’anno
seguente, portarono alla pubblicazione di cinque volumi a partire dal 1990, cfr.
Georges Duby, Michelle Perrot, Per una storia delle donne, in Pauline Schmitt Pantel
(a cura di), Storia delle donne in Occidente. L’Antichità, Roma-Bari, Laterza, 1990, pp.
V-XVII, in modo particolare p. XVI.
28
Ibidem, p. XIII; XV, dove i direttori Georges Duby e Michelle Perrot non
esitavano a sottolineare: «questa vuole essere storia del rapporto dei sessi più che
storia delle donne. Questo rapporto è senza dubbio il nodo del problema e quello
che definisce l’alterità e l’identità femminile».
29
Secondo l’efficace definizione di Duby e Perrot, ibidem.
27
Storia delle Donne, 14 (2018) <www.fupress.net/index.php/sdd>
Ida GIlda Mastrorosa
55
la «facoltà di assicurare un servizio che andasse oltre la sfera dei
loro interessi», assumendo la «soggettività della loro azione» quale impedimento a «conferirle il senso astratto di una funzione».30
Per altro verso, un reputato specialista della religione romana come
John Scheid, pur facendo emergere lo spazio riservato alle matrone
in campo cultuale, rimarcava lucidamente come esse lo occupassero
adattandosi al modello religioso degli uomini.31 Su queste basi, in
chiusura di una corposa raccolta di studi che non tralasciava neanche la peculiarità rappresentata dalle esponenti delle élites cristiane
nella tarda antichità32 e nel complesso lumeggiava per la romanità
un panorama fatto di luci e ombre, Pauline Schmitt Pantel poneva
l’accento, sotto il profilo metodologico, sui risultati ottenuti attraverso un approccio costruito a partire dalla divisione tra i sessi, formulando considerazioni sullo stato di avanzamento delle ricerche
di gender e sui limiti di taluni indirizzi che a distanza di quasi un
trentennio appaiono ancora di straordinaria efficacia.
Sebbene non sia possibile renderne conto in questa sede, merita
d’esser notata la restituzione in quelle osservazioni dell’evoluzione
registratasi nel giro di tre decenni, ovvero la presa d’atto del fatto
che dopo gli anni Settanta, accompagnati dall’incertezza sulla effettiva possibilità di circoscrivere e mettere a fuoco la storia delle
donne, e dopo gli anni Ottanta, scanditi dalla domanda sulla legittimità di inquadrarla come relazione fra i sessi, negli anni Novanta in
cui la studiosa scriveva si fossero create le condizioni per porre «la
storia delle donne al centro dei processi sociali, economici, politici
e delle forme di pensiero tradizionalmente studiate dalla storia».33
Numerose indagini, fino a tempi recenti, hanno dimostrato la
proficuità di orientare gli “studi di genere” nella direzione delineata
e suggerita da ricerche e iniziative editoriali “pionieristiche” come
quelle sopra considerate, insistendo fra l’altro sul ruolo giocato dalle
donne nella società e nelle strutture politico-istituzionali di Roma
antica,34 ma anche sull’opportunità di non tralasciare particolari
30
Cfr. Yan Thomas, La divisione dei sessi nel diritto romano, in Storia delle donne in
Occidente. L’Antichità, pp. 103-176, in modo particolare p. 166.
31
Cfr. John Scheid, Indispensabili «straniere». I ruoli religiosi delle donne a Roma,
Ibidem, pp. 424-464.
32
Cfr. Monique Alexandre, Immagini di donne ai primi tempi della cristianità,
Ibidem, pp. 465-513.
33
Cfr. Pauline Schmitt Pantel, La «storia delle donne» nella storia antica oggi,
Ibidem, pp. 537-548, in modo particolare p. 547.
34
Entro una bibliografia tutt’altro che circoscritta di cui non è possibile
tener conto in questa sede, approfondimenti dedicati anche a figure specifiche si
Storia delle Donne, 14 (2018) <www.fupress.net/index.php/sdd>
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Roman Women e Public History: la creatività del Web
fasi di transizione,35 contribuendo a vario titolo ad attirare l’attenzione di fasce di pubblico non necessariamente dotato di competenze specialistiche su temi intorno ai quali possono fungere da catalizzatore anche alcune risorse rese disponibili da internet, come
dimostrano non pochi filmati rinvenibili sulla piattaforma YouTube
dedicati alle Roman Women.
3. YouTube e le Roman Women: fra Public History e strategie di didattica social
Volendo verificarne i caratteri a partire da un campione che
include un numero circoscritto di esempi, selezionati allo scopo di
vagliare varietà di approccio ai dati e criteri d’uso delle informazioni entro percorsi più o meno efficacemente costruiti in vista della
comunicazione, conviene anticipare che dai video sotto esaminati si
evince una rappresentazione della condizione della donna romana
progettata facendo leva su precisi registri narrativi e tecniche di visualizzazione. Se da un lato ciò implica che si tratti di prodotti multimediali alieni da forme di immediatezza che spesso pur caratterizzano i dispositivi caricati sulla piattaforma YouTube, d’altro lato
non consente comunque di assimilarli per significato e funzionalità
a filmati a carattere documentaristico realizzati nei decenni passati
in vista della divulgazione tramite il mezzo televisivo.
Articolati in modo da illustrare il contenuto scelto in pochi minuti, i video sulle Roman Women denotano soluzioni alternative a quelle
tradizionali che implicano in qualche misura una certa semplificadevono a Vito A. Sirago, Femminismo a Roma nel Primo Impero, Soveria Mannelli,
Rubbettino, 1983; Augusto Fraschetti (a cura di), Roma al femminile, RomaBari, Laterza, 1994; Francesca Cenerini, Dive e donne. Mogli, madri, figlie e sorelle
degli imperatori romani da Augusto a Commodo, Imola, Angelini, 2009; Anne Kolb
(heraus.), Augustae. Machtbewusste Frauen am römischen Kaiserhof ? Herrschaftsstrukturen
und Herrschaftspraxis II, Berlin, Akademie Verlag, 2010; Virginie Girod, Les femmes
et le sexe dans la Rome antique, Paris, Tallandier, 2013; Emily A. Hemelrijk, Hidden
lives, public personae. Women and civic life in the Roman West, Oxford, Oxford University
Press, 2015; Anne Bielman Sánchez, Isabelle Cogitore, Anne Kolb (dirs), Femmes
influentes dans le monde hellénistique et à Rome (IIIe siècle avant J.-C. – Ier siècle après J.C.), Grenoble, Ellug, 2016; Francesca Cenerini, Francesca Rohr Vio (a cura di),
Matronae in domo et in re publica agentes. Spazi e occasioni dell’azione femminile nel
mondo romano tra tarda repubblica e primo impero, Trieste, EUT Edizioni Università di
Trieste, 2016.
35
Per uno status quaestionis si veda Ida Gilda Mastrorosa, Donne e Tardoantico:
considerazioni preliminari, in Cenerini, Mastrorosa (a cura di), Donne, istituzioni e società,
pp. 13-18.
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Ida GIlda Mastrorosa
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zione e stereotipizzazione nella trattazione del tema, ma anche lo
sforzo, in alcuni casi, di includere aspetti complementari idonei a
collocare il soggetto-chiave in una cornice più ampia, sì da rendere
il filmato un sussidio efficace per diverse categorie di pubblico non
specializzato e non precluderne l’uso a scopo didattico. In questa
direzione, non stupisce la ricerca di particolari soluzioni vocali oltre
che lessicali intese a conciliare chiarezza e toni enfatici adatti a colpire l’immaginazione dell’osservatore.
In tal senso, si segnala ad esempio un video dedicato ad una
speciale categoria di Roman Women, ovvero le vestali, chiamate in
causa fin dal titolo di evidente impostazione didascalica Who Were
the Vestal Virgins?36 Focalizzandosi con notevole perspicuità sulla sorte di una giovane fanciulla fin dal principio presente sulla scena nei
panni di una sacerdotessa di Vesta di cui i condannati cercano d’incrociare lo sguardo per aver salva la vita, il canovaccio diegematico
si dipana sottolineando subito la sepoltura da viva inflittale per esser contravvenuta all’obbligo della castità. Ne scaturisce un percorso comunicativo che rivela la perizia specialistica dell’autrice e la
sua esperienza in attività di podcasting37 in campo storico. Concepito, infatti, in modo da informare l’osservatore sui requisiti previsti
per essere selezionate a prendere il posto della disgraziata vestale, il
racconto si avvale in modo puntuale della tradizione antiquaria per
rievocare aspetti come il numero massimo di candidate ammesse,
la provenienza da ceti aristocratici, i requisiti previsti per i membri
della famiglia d’origine, rendendo finanche conto dei timori delle
aspiranti sacerdotesse e dell’orgoglio dei genitori nel consacrarle ad
un ufficio religioso di grande prestigio civico. D’altro canto, rivela
una speciale attenzione per la dimensione emotiva, come dimostra
la scelta di porre al centro della scena la giovane destinata a succedere alla vestale condannata a morte per aver violato il vincolo
della castità. Così, attraverso gli occhi della fanciulla candidata a
36
Pubblicato da Peta Greenfield il 30 maggio del 2017, il video della
durata di minuti 4.32, è accessibile all’indirizzo: <https://www.youtube.com/
watch?v=ER0Cu0KQFqM>. Alla data dell’ultima consultazione (17 dicembre
2018) registrava 3.507.093 visualizzazioni.
37
Come si ricava dalla rete (cfr. <https://sydney.academia.edu/
PetaGreenfield>), l’autrice, Peta Greenfield, ha compiuto i suoi studi conseguendo
un Bachelor in Ancient History nel 2007 presso la Macquarie University e un PhD
in Classics and Ancient History nel 2012 presso la Sydney University, dove lavora come
tutor dal 2007, dedicandosi in particolare a tematiche concernenti la religione
romana. Per la sua attività di divulgazione di contenuti storici via web cfr. inoltre
<https://partialhistorians.com/about-the-ancient-roman-podcast/>.
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Roman Women e Public History: la creatività del Web
prendere il suo posto, Licinia, l’autrice del racconto informa il pubblico su talune attività cui dovrà attendere la futura sacerdotessa
di Vesta, come la custodia del fuoco sacro, ma anche sui pericoli
incombenti su Roma nel caso in cui esso si spenga, nonché su altri
compiti giornalieri come la raccolta dell’acqua dalla fonte e la consultazione dei Fasti.
Oltre alla ricognizione e alla ripresa di informazioni tratte dalle
fonti antiche, il video denota l’ingegno creativo della regia nello
sperimentare strategie discorsive adatte a render conto della status
della vestale anche a partire dal suo punto di vista, sicché l’osservatore si trova di fronte ad una giovanetta che comprendendo la
delicatezza del suo incarico e la necessità di svolgerlo con assoluta
dedizione avanza con lo sguardo basso, impegnandosi a fare del
suo meglio quasi nella consapevolezza di correre il rischio di subire
lo stesso castigo abbattutosi sull’incauta vestale che l’ha preceduta.
Così, con grande efficacia comunicativa, YouTube diventa medium
adatto a veicolare contenuti rispondenti a quanto riportato dalla
tradizione antiquaria (Gellio, Notti Attiche I, 12) a proposito della
captio delle vestali e dalla storiografia romana per alcuni episodi che
le videro protagoniste, grazie ad un video che si segnala inoltre per
talune scelte cromatiche nient’affatto casuali e di notevole impatto
scenografico, come lo sfondo rosso che accompagna lo storytelling
evocando il colore simbolo per eccellenza del fuoco di Vesta.
Nel complesso si tratta di un filmato che denota innanzitutto
acutezza nella rappresentazione di un episodio adatto a far cogliere la posizione subalterna riservata alla donna nell’antica Roma in
un particolare contesto della sfera religiosa che pur le riconosceva
una funzione di primo piano a tutela della salvaguardia dell’intera
comunità. In parallelo ne emerge il tentativo di inquadrare i fatti
a partire da una prospettiva femminile, grazie ad una partecipata
messa in scena dell’angosciato stato d’animo della malcapitata vestale, che di per sé sembra esemplificare la capacità di YouTube di
farsi strumento di una «intense emotional experience».38
Al di là di un video che appare innovativo sul piano didattico
per lo sguardo puntato sul rapporto fra gender e religio nella società
romana, evidentemente apprezzato dal pubblico, come inducono a
ritenere i circa tre milioni e mezzo di visualizzazioni raccolte nell’arco di un anno e mezzo, l’efficacia dei new media nel rappresentare
38
Come sottolinea Michael Strangelove, Watching YouTube. Extraordinary videos
by ordinary people, p. 6; cfr. inoltre Gauntlett, Making is connecting, p. 93.
Storia delle Donne, 14 (2018) <www.fupress.net/index.php/sdd>
Ida GIlda Mastrorosa
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i limitati spazi d’azione delle donne romane si ricava anche da un
filmato sulle Women in Roman Society.39
Se da un lato le figurine femminili che vi campeggiano con tratti
fumettistici, muovendosi fra didascalie fluttuanti usate per evocare i
concetti illustrati contestualmente dalla voce narrante, possono dare
l’impressione che si tratti di un agile corto d’animazione, d’altro lato
la tecnica di visualizzazione scelta accentua l’orizzonte tematico
privilegiato dall’autrice del filmato, ovvero la messa a fuoco della
diversa condizione delle donne a seconda della loro appartenenza a
lower classes e upper classes. Nell’insieme, lo spettatore percepisce nitidamente in cosa potesse consistere la vita piacevole riservata a talune Roman Women, o per converso il loro coinvolgimento in mestieri
come la filatura, la gestione di attività commerciali, l’educazione dei
figli. D’altra parte, grazie all’impiego di una grafica stilizzata che
conferisce alla prima parte della presentazione un tono gioioso, si
delinea un quadro adatto a far emergere meglio nella seconda parte
del video modi e forme dell’assoggettamento femminile alla componente maschile della comunità, nei contesti privati dominati dalla
figura paterna, nonché in quelli pubblici su cui si appunta la scena
finale del filmato. Popolata da una congerie di figurine maschili la
cui sovrapposizione sembra suggerire il controllo invasivo esercitato sull’intera comunità, essa denota l’acutezza della videomaker nel
servirsi di strategie di visualizzazione adatte a far cogliere in poco
più di due minuti ed ictu oculi la dimensione inequivocabilmente androcentrica della società romana.
L’inclinazione a delineare la condizione delle Roman Women in
rapporto a strutture sociali e vincoli familiari che si evince dal caso
sopra considerato, si ricava più esplicitamente da un altro video di
fattura pregevole, che vede protagoniste Four Sisters in Ancient Rome.40
In questa cornice, mettendo a frutto competenze specialistiche di tipo
accademico, Ray Laurence, docente di storia antica alla Macquarie
University (Australia), si appunta sui legami familiari di una giovane di
nome Domizia, prima di indugiare sugli altri membri del suo nucleo
familiare chiamandoli in scena secondo un iter comunicativo dietro
39
Pubblicato da Soraja Batlak nel maggio 2016, il video della durata di minuti
2.28, è accessibile all’indirizzo <https://www.youtube.com/watch?v=lGiuFBqpFk>. Il 17 dicembre 2018 registrava 4.161 visualizzazioni.
40
Pubblicato da Ray Laurence nel maggio 2013, il video della
durata di minuti 8.39 è accessibile all’indirizzo: <https://www.youtube.
com/watch?v=RQMgLxVxsrw>. Il 17 dicembre 2018 registrava 6.203.378
visualizzazioni.
Storia delle Donne, 14 (2018) <www.fupress.net/index.php/sdd>
60
Roman Women e Public History: la creatività del Web
cui si percepisce l’intento di illustrare il funzionamento dell’onomastica romana. Al di là delle finalità didascaliche, il filmato si serve
dell’illustrazione dei rapporti parentali traendone lo spunto per ampliare lo sguardo fino ad abbracciare alcune particolari dinamiche
sociali attive all’interno della domus tipo, come la salutatio matutina offerta dai clienti al capofamiglia. Nel complesso, grazie ad un percorso
argomentativo lineare e accattivante risulta egregiamente illustrata
la condizione di giovani componenti femminili di una familia di alto
lignaggio, accompagnando la quale l’autore riesce a sollecitare l’interesse dell’osservatore su numerosi aspetti basilari della società romana e della sua quotidianità, dando ulteriore esempio di competenza e
maestria nell’uso dei new media applicato alla storia romana.41
Diverso nell’impostazione grafica e più nitidamente orientato
a far emergere discriminazioni di gender appare un filmato sulle
Women in the Roman Empire,42 nel quale si affaccia subito l’immagine stilizzata di un personaggio femminile abbigliato con austerità
professionale sufficiente a far immaginare un ruolo didattico, che
si presenta come Raye Merlin e presenta i suoi collaboratori, Brad
e Angelina, prima di procedere con un’esposizione didascalica in
effetti affidata ad una sequenza di pannelli per lo più privi di immagini. Interrogandosi sul trattamento riservato alle donne nell’impero
romano, il video vi si sofferma dopo aver offerto una rapidissima
definizione di quest’ultimo di taglio istituzionale, sviluppando un
percorso aperto dalla denuncia della dimensione maschilista della
società romana, sicché il Roman Empire risulta subito una «male dominated society». In seguito avvalendosi di asserzioni utili ad insistere sulle differenze di genere, rende conto delle limitazioni imposte
alle donne romane in rapporto alle nozze e più in generale nella vita
civile, facendo emergere aspetti come la diversa punizione, ovvero
finanche l’uccisione, prevista in caso di adulterio per loro ma non
per i coniugi, o ancora il mancato riconoscimento del diritto di voto.
È in rapporto ad un quadro dipinto come fortemente penalizzante
che la narrazione evidenzia la capacità di talune donne di reagire in
modo combattivo, sufficiente ad ottenere un rovesciamento di posi41
Ne reca prova un video sull’adolescenza romana pubblicato nel 2012,
intitolato A glimpse of teenage life in ancient Rome, ampiamente apprezzato, come si evince
dai più di 8 milioni di visualizzazioni, rinvenibile al seguente indirizzo: <https://
www.ted.com/talks/ray_laurence_a_glimpse_of_teenage_life_in_ancient_rome>.
42
Pubblicato da Raye Merlin nel novembre 2014, il video della
durata di minuti 4.16 è accessibile all’indirizzo: <https://www.youtube.com/
watch?v=IrxXgNZHhNc>. Il 17 dicembre 2018 registrava 1.100 visualizzazioni.
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Ida GIlda Mastrorosa
61
zioni, sicché in chiusura appaiono in scena Roman Women in grado
di conquistarsi spazi di primo piano, come Livia, Agrippina Minore,
fino a Melania la Giovane nella Tarda antichità, selezionate quasi
allo scopo di metterne in luce i meriti nel ritagliarsi spazi di potere
politico ed economico. Se da un lato non vi è dubbio che in termini
di restituzione storica tale dicotomia risulti fortemente semplificatoria, d’altro lato vi si può intuire l’intento più in generale sotteso alla
creazione del video, ovvero il tentativo di valorizzare al di là dello
scenario di Roma imperiale la capacità delle donne di combattere
allo scopo di ottenere spazi e condizioni migliori, sì da incoraggiare
ad assumere le Roman Women come un modello.
Una finalità illustrativa e a tratti ludica connota d’altro canto un video
dedicato a far luce sulla Daily Life for a Woman in Ancient Rome,43 in cui due
ragazze abbigliate come due giovani romane dialogano per una decina di minuti tra loro presentandosi nei panni di due sorelle intente
a sottolineare la differenza fra la vita giornaliera delle donne e degli
uomini nell’antica Roma. È interessante segnalare che, in tal caso,
la cornice della fiction è un’abitazione moderna, in cui le protagoniste si muovono ragionando di acconciature e gioielli con fare che a
dispetto del tono discorsivo svela comunque l’ambizione di chiarire
didascalicamente aspetti come il coinvolgimento delle donne romane in attività artistiche e nella lavorazione della maglia. Così, grazie
ad una messinscena semplice e lineare, lo spettatore vede rievocato
l’antico lanam fecit, in effetti chiamato in causa dalle due giovani allo
scopo di rimarcare la propria “reclusione” nell’ambiente domestico,
nonché esibiti i gioielli offerti come pegno di fidanzamento. Nel complesso, si tratta di un prodotto multimediale concepito in modo dinamico, secondo schemi che riflettono la logica dell’immedesimazione
e il bisogno di «communicate and connect with an audience, often
on an emotional or intimate level» che costituisce un tratto tipico dei
makers e dei consumatori di YouTube..44 Per questa via due teenagers
americane si dilettano in conversazioni che superano la dimensione
informativa, puntando piuttosto a decantare la possibilità di aggirarsi per il giardino, di avvalersi delle terme, l’uso in particolari circostanze di bagnarsi a corpo nudo, o ancora di recarsi nelle palestre.
Così fra richiami a dettagli inerenti fra l’altro alle funzioni diverse
43
Pubblicato nel dicembre 2014, il video della durata di minuti 10.27, è
accessibile all’indirizzo: <https://www.youtube.com/watch?v=ACEi41Rn01k>. Il
17 dicembre 2018 registrava 6.281 visualizzazioni.
44
Come evidenzia Gauntlett, Making is connecting, p. 93.
Storia delle Donne, 14 (2018) <www.fupress.net/index.php/sdd>
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Roman Women e Public History: la creatività del Web
di tepidarium, calidarium, frigidarium ed una voluta mescolanza di ambientazione antica e moderna che a tratti attutisce la verosimiglianza
della fictio lasciando intravvedere la dimensione ricreativa sottesa alla
messa in scena delle due protagoniste, il filmato ottiene comunque
di mantenere lo spettatore nello spazio scenico teatro dell’azione accompagnandolo di tanto in tanto con l’immaginazione in luoghi-tipo
dell’antica Roma, accorciando le distanze fra questa e la realtà extraurbana statunitense, grazie a strategie che rivelano inoltre un’accezione disimpegnata di Public History applicata alla storia antica.
Soluzioni parzialmente analoghe sono usate anche in prodotti
diversi, come ricaviamo da un altro video intitolato Women in Ancient Rome,45 in cui la presenza in scena di un globo e di un vettore
che unisce una località americana con l’antica Roma evoca subito
il viaggio virtuale lungo cui due ragazzine conducono lo spettatore
con l’ausilio di una voce fuori campo chiamata a leggere passaggi adatti ad illustrare la condizione femminile incisi su finte lapidi.
Focalizzandosi soprattutto sull’obbligo di procreare previsto per le
donne, l’iter scelto dall’autrice evidenzia in tal caso che il venir meno
di tale capacità costituiva per il coniuge condizione sufficiente per
ottenere il divorzio, prima d’insistere sulla preferenza delle famiglie
per i figli maschi, attraverso un linguaggio che intreccia evocazione
di situazioni lontane nel tempo e quotidianità della provincia americana. Tutto ciò, ancora ad opera di due giovani attrici, in verità non
sempre a proprio agio di fronte alla telecamera, ma in ogni caso selezionate all’insegna del politically correct, ovvero una afroamericana
e una caucasica, allo scopo di realizzare un prodotto che s’intuisce
concepito partendo da un uso della storia in chiave di gender e ispirato da istanze attualizzanti.
Ne offre in qualche misura esempio anche il percorso comunicativo della giovane voce femminile assunta a guida narrante in un
filmato espressamente incentrato sul Role of Women in Ancient Rome.46
Localizzato subito nell’intera penisola italica ormai assoggettata da
Roma il teatro del suo storytelling, l’autrice s’ingegna in tal caso a
restituire i caratteri peculiari della donna romana-tipo facendone un
45
Pubblicato nell’aprile del 2016 da Joliana Magee Van der Veen and
Michelle Arnel, il video della durata di minuti 5.16 è accessibile al seguente
indirizzo: <https://www.youtube.com/watch?v=0SG1FA1IzxA>. Il 17 dicembre
2018 registrava 535 visualizzazioni.
46
Pubblicato nel marzo 2012 da Frida Johansson, il video della durata di
minuti 2.56, è accessibile al seguente indirizzo: <https://www.youtube.com/
watch?v=cCUvB7niWIo>. Il 17 dicembre 2018 registrava 3.210 visualizzazioni.
Storia delle Donne, 14 (2018) <www.fupress.net/index.php/sdd>
Ida GIlda Mastrorosa
63
soggetto essenzialmente deputato a mansioni quali i lavori domestici
e la preparazione dei pasti. Così, pur non ignorando le differenze
legate al divario di status, il discorso risulta orientato in modo da
ribadirne lo scarso potere, sicché punta il dito su dati ineccepibili
come il fatto che nessuna delle Roman Women raggiunse mai la carica
imperiale o ancora sull’uso di esporre neonati di sesso femminile,
disconoscendone dunque la paternità, sì da far emergere che nel
complesso la loro identità non fu percepita come qualcosa di autonomo bensì di connaturato ai ruoli di figlie, madri, mogli ed in essi
circoscritto e confinato.
4. Conclusioni
Sufficiente per trarne riscontri di un uso del medium talora appositamente orientato in prospettiva di gender, il ristretto campione di
sette video YouTube sulle Roman Women preso in considerazione nelle
pagine precedenti permette di rilevare che all’inizio di questo nuovo
millennio narrare e rappresentare la condizione della donna nell’antica Roma non costituisca prerogativa univoca di storici specialisti
del mondo antico operanti in ambito accademico, bensì solleciti l’interesse di soggetti pronti ad esperire strategie comunicative diverse
per farsene interpreti e comunicatori.
Non è agevole stabilire se la prevalenza di makers di sesso femminile nel caso dei filmati considerati possa essere assunta quale indice
di un’attitudine a dare rilievo al tema nel tentativo di reperire le
fondamenta della condizione di subalternità patita dalle donne nel
corso dei secoli. Resta comunque interessante rilevarne l’impegno e
l’abilità nel produrre soluzioni comunicative che malgrado semplificazioni e tratti stereotipati dimostrano quali opportunità possano
essere offerte da una risorsa come il web nell’incentivare la condivisione dei contenuti in materia. Di ciò recano prova la competenza
eterogenea degli autori e specularmente l’ampio interesse riscosso
dalle loro produzioni fra gli utenti della rete. Quanto al primo aspetto è significativa la presenza nel campione esaminato anche di due
coppie di teenagers e d’altro lato di due operatori provenienti dal
mondo accademico (Ray Laurence e Peta Greenfield). Per il secondo, è interessante segnalare il maggior riscontro ottenuto proprio
dai prodotti di questi ultimi. Sebbene non sia possibile ascriverlo alla
maggiore esperienza maturata nell’esercizio di particolari mansioni
didattiche, il fatto che l’interesse riscosso dai loro video sia quantificabile in termini di milioni di visualizzazioni a differenza di quello
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Roman Women e Public History: la creatività del Web
riservato agli altri, computabile nell’ordine di migliaia o poche centinaia, induce a domandarsi se malgrado la disponibilità indifferenziata di accesso al medium, la possibilità di veicolare contenuti di
Public History non sia comunque favorita all’interno di percorsi di
maggior livello specialistico.
In ogni caso, concorrendo a mostrare ancora una volta che
«la storia delle donne romane merita particolare attenzione» perché «non è un passato remoto», vale a dire che «è il nostro passato
prossimo. E forse in qualche misura, è anche una parte del nostro
presente»,47 la creatività con cui il web e segnatamente la piattaforma
YouTube riporta in vita le Roman Women merita di essere acquisita e
valutata come un indicatore di cui tener conto per studiare il potenziale futuro di una Public History applicata alla storia romana.
Abstract: Partendo dal dibattito sviluppatosi negli USA alla metà degli Anni
Settanta sulla condizione femminile nel mondo antico, l’articolo sottolinea che ha
contribuito a dare una lettura articolata dell’immagine delle donne romane. Ciò ha
inciso non solo sulla storiografia posteriore, bensì oltre, come si ricava da alcuni
recenti video YouTube sulle Roman Women, rinvenibili in rete. Essi mostrano la
creatività dei loro autori, i loro diversi livelli di conoscenza e capacità tecniche.
D’altro lato, proiettano lo spettatore nella vita quotidiana delle donne dell’antica
Roma. In tal senso, questo genere di produzione può essere considerato un ottimo
esempio di Public History applicata e risultare efficace a promuovere studi di gender
in relazione alla storia romana.
Moving from the mid-seventies’ debate in the USA on women’s role in the
Ancient World, this paper highlights its contribution to a more articulated view
of Roman women. It has left its mark not only on subsequent historiography, but
also well beyond, as seen in recent YouTube videos on Roman women available on
Internet. These latter display the creativity of their authors with their various levels
of knowledge and technical expertise while catapulting the viewer into women’s
daily lives in ancient Rome. In this perspective, such efforts can be seen as an excellent example of applied Public History and may well be useful in promoting gender
studies relating to Roman history.
Keywords: Public History, storia romana, storia di genere, Sarah Pomeroy,
donne romane; Public History, Roman history, gender history, Sarah Pomeroy, Roman
Women.
Biodata: Ida Gilda Mastrorosa (PhD 1998), è professoressa associata di Storia
Romana e Antichità Romane e Cultura Moderna presso l’Università di Firenze
(Dipartimento SAGAS). È membro del Dottorato di Ricerca Scienze dell’Antichità
e Archeologia (Università di Pisa-Firenze-Siena), e Membre associée de l’UMR 6298
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Come osservava lucidamente Eva Cantarella, Passato prossimo. Donne romane
da Tacita a Sulpicia, Milano, Feltrinelli, 1996, p. 146.
Storia delle Donne, 14 (2018) <www.fupress.net/index.php/sdd>
Ida GIlda Mastrorosa
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Archéologie, Terre, Histoire, Sociétés de l’Université de Bourgogne (Francia). I suoi
argomenti di ricerca includono: storiografia romana e oratoria giudiziaria nell’Impero Romano; propaganda politica nella storia romana; il ruolo sociale e lo status
giuridico delle donne nella Roma repubblicana e imperiale; interpretazioni moderne
della storia romana e delle istituzioni romane (
[email protected]).
Ida Gilda Mastrorosa (PhD 1998), is Associate Professor of Roman History and
Roman Antiquities and Modern Culture at Florence University (Department SAGAS).
She is a member of the Doctoral Program Scienze dell’Antichità e Archeologia (PisaFlorence-Siena University), and Membre associée de l’UMR 6298 Archéologie, Terre,
Histoire, Sociétés de l’Université de Bourgogne (France). Her topics of research
include: roman historiography and judicial oratory in the Roman Empire; political
propaganda in Roman history; women’s social role and juridical status in Republican
and Imperial Rome; modern interpretations of Roman history and Roman institutions
(
[email protected]).
Storia delle Donne, 14 (2018) <www.fupress.net/index.php/sdd>