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Antropologia e disabilità

2019, Riscoprire l´intersessualità

(Ri)Scoprire l'intersessualità Cosa appare più normale, scontato o "sano" dell'essere maschio o femmina? Cosa significa, al contrario, oscillare continuamente tra due poli opposti, incarnando tratti alterni, palesando e mescolanza e incompiutezza? Nient'altro che problematizzare la prediletta antinomia di sesso e genere, di uomo e donna. In ultima istanza confondere, turbare. Il discorso sull'intersessualità porta alla luce alcuni assiomi di carattere storico-antropologico, quali il vigente predominio del bipolarismo di genus come sistema concettuale di visione, organizzazione ed interpretazione sociale, la stigmatizzazione di un'ambivalenza anatomica, e sua conseguente tabuizzazione, così l'estrema produttività di forme antropopoietiche di impronta "sanatoria", e non di raffinazione estetica, che sfruttano la saggezza, l'apparecchiatura e la liceità del laboratorio clinico in nome di una presunta necessaria normalizzazione. Sotto l'alibi dell'urgenza terapeutica emergono in questa sede le storie silenziose di chi partecipa a un'ambiguità che, pur non sempre coincidente con una disfunzionalità o una minorazione, è trattata come tale, violentemente fronteggiata ed invisibilizzata. La mancata pertinenza di alcune loro qualità, genitali, cromosomiche o gonadiche, ovvero la loro non ammissibilità entro la classica architettura del maschile-femminile, rende il soggetto intersessuale individualizzabile, per "natura", come malato, disabile, screditabile. Il terzo sesso sembra esser quella devianza biologica alla quale è impensabile non porre rimedio e non la realtà di un continuum d'oscillazioni biologiche generosamente offerte dalla natura, che svela la finzione della coerenza dei caratteri fisici umani. Vedremo dunque come l'oltrepassare questa radicalizzata conformità imponga l'automatico avvio di pratiche manipolatorie, miranti unicamente alla "restituzione" (o costruzione arbitraria?) dello stato di "ben-essere".

(Ri)Scoprire l’intersessualità Cosa appare più normale, scontato o “sano” dell’essere maschio o femmina? Cosa significa, al contrario, oscillare continuamente tra due poli opposti, incarnando tratti alterni, palesando e mescolanza e incompiutezza? Nient’altro che problematizzare la prediletta antinomia di sesso e genere, di uomo e donna. In ultima istanza confondere, turbare. Il discorso sull’intersessualità porta alla luce alcuni assiomi di carattere storico–antropologico, quali il vigente predominio del bipolarismo di genus come sistema concettuale di visione, organizzazione ed interpretazione sociale, la stigmatizzazione di un’ambivalenza anatomica, e sua conseguente tabuizzazione, così l’estrema produttività di forme antropopoietiche di impronta “sanatoria”, e non di raffinazione estetica, che sfruttano la saggezza, l’apparecchiatura e la liceità del laboratorio clinico in nome di una presunta necessaria normalizzazione. Sotto l’alibi dell’urgenza terapeutica emergono in questa sede le storie silenziose di chi partecipa a un’ambiguità che, pur non sempre coincidente con una disfunzionalità o una minorazione, è trattata come tale, violentemente fronteggiata ed invisibilizzata. La mancata pertinenza di alcune loro qualità, genitali, cromosomiche o gonadiche, ovvero la loro non ammissibilità entro la classica architettura del maschile-femminile, rende il soggetto intersessuale individualizzabile, per “natura”, come malato, disabile, screditabile. Il terzo sesso sembra esser quella devianza biologica alla quale è impensabile non porre rimedio e non la realtà di un continuum d’oscillazioni biologiche generosamente offerte dalla natura, che svela la finzione della coerenza dei caratteri fisici umani. Vedremo dunque come l’oltrepassare questa radicalizzata conformità imponga l’automatico avvio di pratiche manipolatorie, miranti unicamente alla “restituzione” (o costruzione arbitraria?) dello stato di “ben-essere”.