Corso di Laurea Magistrale
in
Relazioni Internazionali e Studi Europei
Le Rivoluzioni Militari dell’Asia Orientale
nell’Età Moderna.
Relatore: Irene Fattacciu
Candidato: Pietro Schioppetto
Anno Accademico 2018/2019
Il giudice sorrise. Gli uomini sono nati per giocare. Nient’altro. Tutti i
bambini sanno che il gioco è più nobile del lavoro. Sanno anche che il valore
o merito di un gioco non sta nel gioco stesso, ma piuttosto nel valore di ciò
che è messo in gioco. I giochi d’azzardo richiedono una posta per avere
senso. I giochi sportivi coinvolgono l’abilità e la forza dei contendenti, e
l’umiliazione della sconfitta e l’orgoglio della vittoria sono di per sé una
posta sufficiente poiché pertengono al valore degli antagonisti e li
definiscono. Ma, sia questione d’azzardo o di valore, tutti i giochi aspirano
alla condizione di guerra, perché in essa la posta inghiotte gioco, giocatore,
tutto quanto.
Supponiamo che due uomini giochino a carte non avendo niente da puntare
se non la vita. Chi non ha mai sentito una storia del genere? Una carta viene
girata. Per il giocatore l’intero universo si riversa fragorosamente in
quell’istante, che gli dirà se gli tocca di morire per mano di quell’uomo o se
toccherà a quell’uomo morire per mano sua. Quale ratifica del valore di un
uomo potrebbe essere più sicura di questa? Spingere il gioco alla sua
condizione estrema non ammette alcuna discussione concernente la nozione
di fato. La selezione di un uomo a danno di un altro è una preferenza
assoluta e irrevocabile, ed è davvero ottuso l’uomo che considera una
decisione così profonda priva di un agente o di un significato. In giochi del
genere, in cui la posta è l’annichilimento dello sconfitto, le decisioni sono
del tutto trasparenti. L’uomo che tiene in mano una particolare combinazione
di carte è in forza di ciò rimosso dall’esistenza. Tale è la natura della guerra,
in cui la posta in gioco è a un tempo il gioco stesso e l’autorità e la
giustificazione. Vista in questi termini, la guerra è la forma più attendibile di
divinazione. E la verifica della propria volontà e della volontà di un altro,
all’interno di quella più ampia volontà che è costretta a compiere una
selezione proprio perché li lega insieme. La guerra è il gioco per eccellenza
perché la guerra è in ultima analisi un’effrazione dell’unità dell’esistenza. La
guerra è dio.
Cormac McCarthy, Meridiano di sangue
1
Indice
Introduzione.
3
Capitolo 1. La Rivoluzione Militare in Europa.
14
1.1 La Rivoluzione Militare secondo Michael Roberts.
1. 2 Lo sviluppo della tesi della Rivoluzione Militare con Geoffrey Parker.
1. 3 La critica al lavoro di Parker.
1. 4 La cronologia alternativa di Jeremy Black.
1. 5 Le origini della Rivoluzione Militare nella Guerra dei Cento Anni.
1. 6 La questione cronologica.
1. 7 Il problema delle fortificazioni.
1. 8 I costi della guerra e la creazione dello Stato Moderno.
1. 9 La crescita degli effettivi e il problema della professionalizzazione.
1. 10 I grandi temi della Rivoluzione Militare in Europa.
14
20
23
27
29
33
35
39
43
47
Capitolo 2. La Rivoluzione Militare e il mondo extraeuropeo.
49
2. 1 Il confronto con i paesi extraeuropei.
2. 2 La dimensione navale.
2. 3 La tesi culturale: la Western Way of War.
2. 4 I contributi della World History al problema della guerra.
2.5 Tecnologia e Imperi a livello globale all’inizio dell’Età Moderna.
2. 6 Il dibattito sulla Grande Divergenza. Esiste una Divergenza Militare?
49
54
60
63
67
73
Capitolo 3. Le Rivoluzioni Militari in Asia Orientale.
91
3. 1 La guerra nel sistema internazionale e nella cultura dell’Estremo Oriente.
3. 2 La Rivoluzione Militare della Cina Ming
3. 3 Una Rivoluzione Militare coreana.
3. 4 Il Giappone dalla guerra medievale alla guerra moderna.
3. 5 Disciplina e tattiche di tiro in Cina, Giappone e Corea.
3. 6 Fortificazioni e assedi in Asia Orientale nell’era della polvere da sparo.
3.7 La dimensione navale del conflitto in Asia.
3. 8 Un conflitto dell’Età Moderna: la Guerra Imjin.
3. 9 L'ultima fase della Rivoluzione Militare in Asia: l'imperialismo Qing.
3. 10 La smilitarizzazione del Giappone e suoi miti storiografici.
3. 11 La Grande Divergenza Militare 1839-1895
89
112
126
131
138
147
157
174
180
193
200
Conclusioni
208
Bibliografia
224
2
Introduzione
Gli ultimi anni hanno costantemente ricordato agli studiosi e al pubblico una serie di
crisi militari latenti, incentrate sull’Asia Orientale. La penisola coreana, per la quinta volta
nella sua storia (dopo la Guerra Imjin, la Guerra sino-giapponese, la Guerra russo-giapponese
e la Guerra di Corea) rischia di trovarsi al centro di un conflitto per l'egemonia regionale. Il
Mar Cinese Meridionale è al centro delle preoccupazioni dei pianificatori delle strategie
navali americane, mentre la Cina ha affermato chiaramente che festeggerà il centenario della
Repubblica Popolare con la riunificazione con Taiwan nel 2050 e il Giappone, preoccupato
dell’ascesa cinese, rinforza i legami con gli USA e pensa al riarmo.
Sempre la Cina sta cercando di plasmare un sistema di relazioni internazionali a
propria immagine grazie agli investimenti esteri e alle iniziative infrastrutturali delle Nuove
Vie della Seta. La bilancia commerciale cinese è così in attivo da aver scatenato una
controffensiva di dazi e manipolazioni commerciali statunitensi. Il dominio del commercio
passa anche per l’imposizione di standard e il controllo dell’informazione e questo spiega la
battaglia feroce per la raccolta e il controllo dei Big Data.
Intanto i maggiori contendenti di questa partita preparano i conflitti del futuro con
armi sperimentali nei settori tradizionali e su nuovi campi di battaglia. La cyber-guerra
continua quotidianamente a bassa intensità, e una Cina che non vuole competere
simmetricamente con gli USA sta accorciando le distanze nei nuovi settori dell’IA e delle
armi spaziali.
La RPC ha in parte deluso quelle aspettative che la proiettavano verso uno stabile
duopolio con gli USA già all’inizio del millennio. Gli enormi problemi causati dai
cambiamenti economici e sociali interni, nonché la resilienza dell’economia statunitense e del
suo sistema di potere globale continuano a rendere instabile la posizione internazionale
cinese. Tuttavia l’amministrazione Trump ha reso esplicito l’impegno degli Usa a contenere
l’ascesa cinese e il rischio di un conflitto si fa sempre più reale.
In questo quadro piuttosto fosco è tuttavia affascinante notare come le aree in cui si
svolge la competizione siano le stesse dell’inizio dell’Età Moderna: Corea, Taiwan, Mar
Cinese Meridionale, dominio delle vie commerciali, bilancia commerciale, dominio culturale
dei cinesi sui propri vicini e corsa allo sviluppo tecnologico degli armamenti. Oltre 500 anni
fa la Cina lottava per mantenere la propria centralità nel sistema degli Stati dell’Asia
Orientale, si presentava ai suoi vicini come un dispensatore di benessere e incivilimento,
3
curava di mantenere un'economia fiorente e una società armoniosa, basata su paternalismo
agrario e commercio e si manteneva militarmente all’avanguardia. La Corea era divisa tra i
problemi interni e le ambizioni dei suoi potenti e minacciosi vicini mentre il Giappone
cercava modi per mettersi al centro della politica regionale.
Questo parallelismo ci rimanda ad una immagine dell’Asia Orientale molto diversa da
quella a cui ci ha abituato il lungo periodo di predominio occidentale. Dalle Guerre
dell’Oppio alla Seconda Guerra Mondiale i paesi dell’Estremo Oriente sono apparsi incapaci
di respingere gli assalti di Europa, Russia e Stati Uniti, nonché di sviluppare un'economia
moderna. Alcuni riuscivano ad avere successo in un singolo campo. Cina, Corea e Vietnam
vinsero le loro guerre di liberazione e i conflitti con gli USA. Il Giappone e le Tigri Asiatiche
realizzarono il proprio miracolo economico. Tuttavia questi Stati sembravano incapaci di
realizzare quell’insieme coerente di rafforzamento istituzionale, autonomia a livello
internazionale, capacità militari e crescita economica tale da garantirne la piena sovranità.
Le tesi più svariate sono state proposte per spiegare la decadenza dell’Asia Orientale
nell’Ottocento e nel Novecento: la regione sarebbe stata sfavorita dalla staticità delle sue
strutture sociali e dal conservatorismo in campo culturale, dall’isolazionismo, dal dispotismo
orientale-idraulico, dal rifiuto confuciano delle scienze naturali e dell’etica mercantile, dal
raggiungimento troppo precoce di alti livelli di sviluppo tecnologico e produttivo,
dall’assenza di un sistema internazionale competitivo e dal pacifismo insito nella sua cultura.1
Le analisi storiche e sociali hanno tuttora grande difficoltà a distaccarsi dal modello
interpretativo eurocentrico che considerava inevitabile la creazione europea dello Stato
Moderno, del capitalismo e la loro espansione globale con la forza delle armi e dei commerci.
Di conseguenza le storie del mondo extraeuropeo venivano raccontate solo in relazione con
gli sviluppi occidentali o descritte in una fissità atemporale. La scienza sociale classica,
seguendo le tesi di Marx, Weber, Parson e Rostow, aveva basato le aspettative di
cambiamento per l’Asia sul modello della storia europea, cercando di capire cosa avesse fatto
deragliare lo sviluppo della regione dal corretto cammino di sviluppo.
Negli ultimi decenni, via via che la conoscenza della Storia dell’Asia Orientale è stata
approfondita sulla base delle fonti, è invece emerso, con sempre maggiore chiarezza, che
questa regione è stata lungamente la più ricca e potente regione a livello globale, mantenendo
1
Alcuni contributi contemporanei: Bryant M. Joseph, The West and the rest revisited: Debating capitalist
origins, European colonialism, and the advent of modernity. Canadian Journal of Sociology 2006, 31(4), Landes
David, La ricchezza e la povertà delle nazioni, Garzanti, Milano, 2006, Ferguson Niall, Civilization: The West
and the Rest, Penguin, New York, 2011.
4
il primato fino all’inizio dell’Ottocento.2 Una ricchezza non determinata solo dai numeri in
termini di popolazione e territori ma dall’avanzamento tecnologico,e una potenza culturale e
militare spesso impiegata in maniera aggressiva ed espansionistica. 4 In questa prospettiva
nessuna delle spiegazioni tradizionali su come l’Asia Orientale abbia perso il suo primato e
gli stati marginali dell'Europa si siano impadroniti del potere globale appare davvero
soddisfacente.
Queste sono domande chiave della World History che negli ultimi decenni hanno
generato una raffica di nuove tesi e un dibattito acceso. Quasi tutta questa letteratura si è
concentrata sull'economia. 5 Così oggi sappiamo molto di più rispetto al passato sui livelli
salariali cinesi, giapponesi ed europei, sui tassi di fertilità e di produttività agricola e si
possono contestare in punta di dati tutte le tesi sulla stagnazione e l’arretratezza di Cina,
Corea e Giappone rispetto all’Europa. Progressivamente si sta costruendo un’immagine
dell’Estremo Oriente così diversa da quella della storiografia precedente da richiedere tutta
una nuova opera di comparazione con l’esperienza Europea e di descrizione delle dinamiche
globali nell’Età Moderna.
Nonostante l’avanzamento delle nostre conoscenze in campo economico, sociale e
culturale, resta un’area cruciale dell’attività umana che deve essere ancora esplorata e
ricontestualizzata per spiegare la potenza, il declino e il ritorno dell’Asia: quella della guerra.
Sarebbe superfluo dover spiegare la rilevanza del fenomeno bellico nel plasmare le vicende
umane e determinare l’ascesa e il declino delle Grandi Potenze.6 Eppure le analisi centrate
sull’Asia Orientale in Età Moderna lasciano aperte ancora numerose questioni. O meglio, la
storia della guerra deve essere ancora largamente esplorata e contestualizzata sul versante dei
Paesi dell’Asia Orientale, mentre per l’Europa esistono tesi molto consolidate che vedono
nella superiorità militare, garantita dalla tecnologia e dalla polvere da sparo, dalla Rivoluzione
Militare, dall’Arte Occidentale della guerra, la vera molla dell'espansione oltremare.7
2
Arrighi Giovanni, Hamashita Takeshi, Selden Mark, The Resurgence of East Asia: 500, 150 and 50 Year
Perspectives, Routledge, Londra, 2003.
4
La grande opera di Joseph Needham sulla storia della tecnologia e della scienza in Cina, Science and
Civilisation in China, ha cambiato radicalmente la percezione dell’apporto cinese allo sviluppo umano e
l’approccio allo studio delle forme di scienza diverse da quelle scaturite dalla Rivoluzione Scientifica in Europa.
Vedi anche Winchester Simon, L’uomo che amava la Cina, Adelphi, Milano, 2010.
5
Tra i maggiori esponenti di quella che spesso viene definita la tesi della Grande Divergenza possiamo elencare
Pomeranz Kenneth, La grande divergenza. La Cina, l'Europa e la nascita dell'economia mondiale moderna, Il
Mulino, Bologna, 2004; Wong R. Bin, China Transformed: Historical Change and the Limits of European
Experience, Cornell University Press, Ithaca, 1999; Frank André Gunder, (Re)Orient: Global Economy in the
Asian Age, University of California Press, Berkeley, 1998.
6
Kennedy Paul, Ascesa e declino delle grandi potenze, Garzanti Libri, Milano, 1999.
7
Il ruolo della tecnologia è stato studiato da Cipolla Carlo M. , Vele e cannoni, Il Mulino, Bologna, 1999;
McNeill William H. , The Pursuit of Power: Technology, Armed Force, and Society since A. D. 1000, University
5
La tesi della Rivoluzione Militare è stata importante sia per la sociologia storica che
per la storia militare in sé, vista la sua utilità nello spiegare la formazione dello Stato moderno
e l’espansione oltremare europea. 8 Come per l’economia, la vicenda militare è stata
considerata solo dal punto di vista Europeo, con il resto del mondo che entrava a far parte
della Storia e del sistema globale via via che veniva modificato dal contatto con l’Occidente.
Solo negli ultimi decenni una nuova generazione di studiosi ha prodotto una serie di
opere rilevanti sul ruolo della guerra in Cina, Giappone e Corea. Questa serie di saggi e
monografie hanno ottenuto una serie di risultati profondamente divergenti da quelli della
storiografia tradizionale che ci permettono di trarre un primo bilancio di quali furono i reali
sviluppi militari della regione nell’Età Moderna. 9 Prendiamo la dimensione puramente
tecnologica: l’Età Moderna è anche l’Età della polvere da sparo. Gli storici hanno studiato a
lungo gli effetti rivoluzionari della polvere da sparo prestando molta più attenzione
all'Occidente. Allo stesso tempo tutti abbiamo sentito dire che i cinesi hanno inventato la
polvere da sparo ma poi non l'hanno usata per la guerra, un mito storiografico ancora ben vivo
nella cultura popolare e nell’accademia, anche in Cina.10 La realtà è che i cinesi e i loro vicini
hanno usato per secoli la polvere da sparo per scopi militari e civili prima che questa
tecnologia innovativa arrivasse in Occidente.
Gli storici si sono giustamente concentrati sugli effetti dirompenti che i cannoni hanno
avuto sulla società Europea, contribuendo alla fine del potere diffuso dell’epoca feudale e alla
centralizzazione regia nei primi Stati Nazioni. Tuttavia si sono spesso dimenticati del ruolo
cruciale giocato dalle armi da fuoco nell’unificazione del Giappone o nella cacciata dei
mongoli dalla Cina e nell’instaurazione delle dinastie Ming e poi Qing, molto più solide,
centralizzatrici ed espansioniste di quelle che l’avevano precedute.
La tesi della Rivoluzione Militare si concentra sugli sviluppi organizzativi e tattici
avviati alla fine del Medioevo. La ritrovata centralità della fanteria, il professionismo militare,
of Chicago Press, Chicago, 1982. Il dibattito sulla Rivoluzione militare è stato avviato da Roberts Michael,The
military revolution 1560-1660, e formalizzato da Parker Geoffrey, La Rivoluzione Militare, Il Mulino, Bologna,
2014. Il concetto di Arte Occidentale della Guerra/Western way of war, è stato popolarizzato da Keegan John, A
History of Warfare, Knopf Doubleday publishing group, New York, 2012 e Hanson Victor Davis, Massacri e
cultura. Le battaglie che hanno portato la civiltà occidentale a dominare il mondo, Mondadori, Milano, 2017.
8
Tilly Charles, Le rivoluzioni europee 1492-1992, Laterza, Bari, 2002.
9
Tra i principali: Andrade Tonio, The Gunpowder Age: China, Military Innovation, and the Rise of the West,
900-1900, Princeton University Press, Princeton, 2016; Swope Kenneth, A Dragon's Head and a Serpent's Tail:
Ming China and the First Great East Asian War, 1592–1598, University of Oklahoma Press, Norman, 2016;
Lorge Peter, The Asian Military Revolution: From Gunpowder to the Bomb, Cambridge University Press,
Cambridge, 2008; Chase Kenneth, Armi da fuoco. Una storia globale fino al 1700, Libreria Editrice Goriziana,
Gorizia, 2009.
10
Se ne discutono le origini in Lorge Peter, Development and Spread of Firearms in Medieval and Early Modern
Eurasia, History Compass 9(10),October 2011.
6
l’espansione degli organici degli eserciti, la rinascita dell’addestramento e l’invenzione della
trace italienne crearono un modo di fare la guerra radicalmente nuovo rispetto al passato, che
influenzò enormemente la società e la politica internazionale. 11 Ma se questi sono stati
sviluppi esclusivi dell’Europa è sorprendente allora constatare che il Giappone, all’epoca
delle guerre civili, modificava i suoi eserciti e il suo modo di combattere seguendo una logica
estremamente simile; che la Corea creò forse il primo esercito interamente professionale e
armato di armi da fuoco; che la Cina producesse autonomamente manuali di addestramento
sui movimenti della fanteria e la tecnica per ricaricare l’archibugio, incredibilmente simili
nella forma e nei contenuti ai contemporanei manuali europei.12
Come per l’economia, questi dati aprono la possibilità di un nuovo lavoro
comparativo. Ma a quali termini? La comparazione resta un terreno scivoloso perché richiede
competenze in aree diverse e spesso manca di un metro o di un modello di analisi condivisa.
La strada epistemologicamente più corretta sarebbe quella di trovare un metro interpretativo
generale capace di tenere insieme civiltà ed esperienze storiche diverse. Impostando dei punti
fermi nel confronto potremmo evitare di descrivere le connessioni tra l’Europa e il resto del
mondo su quella base eurocentrica che ne universalizza le categorie e le dinamiche. Spiegare
il cambiamento può risultare complesso quanto spiegare l’assenza di cambiamento ma
comprendere perché avvengano rotture o continuità è importante nell’opera di comparazione,
così da evitare di definire - aprioristicamente - certe aree del mondo come “statiche” e altre
come “dinamiche”. Al contempo, abbracciare i fenomeni come processi complessi aiuta ad
evitare l'adozione di spiegazioni ricavate dal solo esito delle vicende storiche che, procedendo
a ritroso, vedono i passaggi verso quell’esito come necessari.
Lo sviluppo culturale e tecnologico e i limiti ambientali e sistemici non costituiscono
alcun cammino prestabilito ma un sistema di possibilità e di scelte contrastanti e alternative
che, anche quando hanno determinato un esito, lasciano tracce delle idee e dei percorsi
alternativi e possono essere oggetto di operazioni di recupero e di reinterpretazione. I
fenomeni di path-dependance coesistono con quelli di rottura improvvisa.
Tenendo a mente questi elementi passiamo ad analizzare gli sviluppi militari in Asia
Orientale e in Europa alla luce delle tesi della Rivoluzione Militare e della Grande
11
Il miglior dibattito sui molteplici volti e interpretazioni della Rivoluzione Militare si trova in Rogers Clifford,
The Military Revolution Debate: Readings On The Military Transformation Of Early Modern Europe, Westview
Press, Boulder, 1995.
12
Andrade Tonio, Kang Hyeok Hweon, Cooper Kirsten, A Korean Military Revolution? Parallel Military
Innovations in East Asia and Europe, Journal of World History, vol. 25, no. 1, March 2014; Morillo Stephen,
Guns and Government: A Comparative Study of Europe and Japan, Journal of World History, vol. 6, no. 1,
1995; Huang Ray, 1587, A Year of No Significance: The Ming Dynasty in Decline, Yale University Press, New
Haven, 1984.
7
Divergenza. La mia analisi suggerisce che nell’Età Moderna sia esistito un peculiare sviluppo
militare dell’Asia Orientale - spinto da elementi tecnologici e politici simili a quelli europei,
dallo sviluppo delle armi da fuoco e dalla necessità di rafforzare lo Stato - che ha avuto
sviluppi ed esiti diversi per via di una società, cultura e contesto geopolitico e di sistema
internazionale differenti. Entrambi i cammini, Europeo ed Asiatico, fanno parte di un più
ampio percorso intrecciato di sviluppo Eurasiatico, che vedeva gli stessi sviluppi negli Imperi
Ottomano, Safavide, Moghul e in una miriade di Stati minori dell’Asia. Tecnologia e modelli
organizzativi si confrontavano tramite il commercio e la guerra su scala globale, con un
modello di diffusione molto più complesso e variegato di quello dell’acquisizione di
tecnologia occidentale da parte degli asiatici, che pure era rilevante.13
L’intento di questa ricerca è quello di mettere a confronto le storie militari di Asia ed
Europa mostrando non solo come l’Oriente si sia differenziato dall’Occidente ma spiegando
perché gli Europei abbiano avuto uno sviluppo alternativo a quello asiatico. Se non
assumiamo quella europea come la traiettoria normalizzatrice, i due casi possono fare luce
l’uno sull’altro. A questo scopo utilizzo il metodo delle “comparazioni reciproche” o
“prospettive simmetriche”, vale a dire lo studio di un certo fenomeno nel suo contesto di
riferimento per poi effettuare una comparazione incrociata con lo stesso fenomeno analizzato
in un contesto diverso e viceversa. Questo è il metodo che gli storici revisionisti R. Bin Wong
e Kenneth Pomeranz hanno applicato con successo allo studio dell’economia, paragonando gli
sviluppi asiatici a quelli europei e viceversa e trovando un sorprendente livello di parallelismo
tra le due realtà fino alla Rivoluzione Industriale.14
Ho scelto di concentrarmi sull’’esperienza Europea e quella dell’Asia Orientale, intesa
come il sistema dei Paesi confinanti con la Cina e influenzati dalla cultura cinese,
prioritariamente Corea e Giappone. Avrei potuto scegliere di comparare all’Europa la sola
Cina, oppure di svolgere un’analisi del fenomeno bellico per l’intera Eurasia, ma nel caso
dello sviluppo delle tattiche e degli armamenti il contesto regionale gioca un ruolo tale
nell’indirizzare lo sviluppo da giustificare la sua scelta come unità di analisi.15
Il raffronto avviene quindi tra due sistemi internazionali, quello Europeo, colto nel
periodo della sua transizione dall’ordinamento Imperiale al sistema di Vestfalia, e quello
13
Subrahmanyam Sanjay, Mondi connessi. La storia oltre l'eurocentrismo (secoli XVI-XVIII), Carocci, Roma,
2014.
14
Cohen Paul, China Unbound. Evolving perspectives on the Chinese past, Routledge, Londra, 2003, pp. 5-6.
15
Per la discussione di un'analisi centrata sulla Cina: Hoffman Philip, Inkster Ian, Morillo Stephen, Parrott
David, Pomeranz Kenneth, Symposium Review of The Gunpowder Age: China, Military Innovation, and the Rise
of the West in World by Andrade Tonio, Journal of Chinese History 2 (2018). Per una tesi di sviluppo eurasiatico
complessivo: Swope Kenneth M. , Reviewed Work(s): Firearms: A Global History to 1700 by Kenneth Chase,
Journal of the Economic and Social History of the Orient, vol. 47, no. 2 (2004).
8
dell’Asia Orientale, centrato attorno all’ordine sinocentrico e al sistema del tributo. In
entrambi i contesti il sistema delle norme e la realtà geopolitica hanno contribuito a
determinare una struttura del sistema internazionale in cui i vari Stati si sono trovati a
competere.16 Diverse erano inoltre le sfide poste dagli avversari posti immediatamente fuori
dal sistema: l’Impero Ottomano attuava una sfida politico-militare simmetrica agli Stati
europei, mentre i Paesi agricoli dell’Asia Orientale si dovevano confrontare con la minaccia
dei nomadi dell’Asia Centrale. Le diverse possibilità e forme di competizione all’interno dei
due sistemi ebbero avuto un peso determinante nell’orientare gli sviluppi tecnologici e
strategici in campo militare.
Questa tesi si pone una serie di obiettivi. Il primo è quello di superare l’idea della
stagnazione militare dell’Asia Orientale e in particolare della postura pacifista della Cina
nell’Età Moderna. Per farlo vedremo come alla luce delle ricerche più recenti i sistemi militari
di Cina, Corea e Giappone fossero reattivi alle innovazioni della loro epoca e competitivi
rispetto all’Europa e come la Cina sia stata una potenza militare espansionista sotto le dinastie
Ming e Qing. Questa considerazione è particolarmente importante per mettere in prospettiva il
duraturo paradigma storiografico del dinamismo dell'Europa rispetto all’Asia determinato del
sistema statale competitivo europeo.
L’antagonismo tra gli Stati europei esercitava una pressione selettiva spingendoli a
migliorare le loro politiche economiche e le strutture militari. La Cina, d'altra parte, aveva un
Impero unificato, che impediva la sperimentazione in campo bellico e portava alla stasi.
Questa idea è vecchia quanto la scienza sociale stessa, da Montesquieu a Karl Marx e Max
Weber fino alle interpretazioni moderne di Immanuel Wallerstein e Jared Diamond.17
La realtà è che il passato della Cina e dei Paesi vicini è pieno di guerra e competizione
interstatale. Solo per il periodo che ci interessa ci sono due lunghissime fasi di conflitto tra la
fine della dinastia Yuan (verso il 1350) fino alle grandi spedizioni militari dell'Imperatore
Ming Yongle verso Mongoli e Corea (1402- 1424). I conflitti diventano endemici con le Tre
Campagne di Wanli (1572-1620), inizio della lunga fase delle guerre con i mancesi e delle
16
Fairbank John K. , The Chinese World Order, Harvard University Press, Cambridge, 1968, Kissinger Henry,
World order, Penguin Books Limited, Londra, 2014.
17
Sul modello di produzione asiatico e la sua spinta conservatrice: Sofri Gianni, Il modo di produzione asiatico.
Storia di una controversia marxista, Einaudi, Torino, 169; McFarlene, Bruce, Steve Cooper, Miomir Jaksic, The
Asiatic Mode of Production: A New Phoenix? (Part 1), Journal of Contemporary Asia 35, no. 3 (2005): 283–318.
Sulla contrapposizione tra sistemi statali competitivi e non competitivi: Wallerstein Immanuel, The Rise of the
States-System: Sovereign Nation-States, Colonies, and the Interstate System In World Systems Analysis: An
Introduction, Duke University Press, Durham, 2004, pp. 42–59; Diamond Jared, Armi, acciaio e malattie. Breve
storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, Einaudi, Torino, 2006.
9
campagne dei Qing per assoggettare il Sud della Cina ed espandersi in Asia Centrale,
campagne che terminano solo verso la metà del diciottesimo secolo.
Le guerre erano quindi frequenti, intense e di una portata ben superiore a qualsiasi
scontro avvenisse in Europa occidentale nello stesso periodo, con eserciti composti da
centinaia di migliaia di uomini che si scontravano usando arsenali di cannoni, bombe, granate
e missili. A questa tesi si lega la riconsiderazione del rapporto militare con i nomadi. Vari
studiosi hanno sostenuto che la Cina fosse troppo impegnata in una forma di guerra non
moderna concentrata sulla difesa dai nomadi e sulle rivolte interne piuttosto che nei conflitti
interstatali e la conquista coloniale, e che questo abbia causato il suo ritardo militare rispetto
all’Occidente. 18 Tesi da reputarsi esagerata in quanto la minaccia nomade è stata sì un
elemento costante della Storia cinese, ma è difficile sostenere che abbia tarpato le ali al suo
sviluppo militare. La Cina di Qing eliminò questa minaccia ben prima dell’Europa nelle sue
colonie e lo fece utilizzando solo tecnologie preindustriali.19
Mi servirò della tesi delle “piccole divergenze”, sviluppata da Tonio Andrade, per
spiegare perché la Cina e i suoi vicini rallentarono lo sviluppo militare nel corso di due
momenti di pace diffusa nella regione: il 1450-1550 e il 1796-1839. Cercherò poi di spiegare
come queste fasi di pacifismo portassero a una perdita di competitività rispetto all'occidente, e
per quali ragioni, mentre la prima venne superata con un balzo in avanti tecnologico e
organizzativo che condusse a una lunga Age of parity, la seconda - nonostante tutti gli sforzi
dell'Autorafforzamento ottocentesco - naufragò miseramente con l’umiliazione della Guerra
sino-giapponese e il disfacimento della Cina Imperiale.20
Il secondo obiettivo è quello di analizzare, relativamente ai problemi militari, i
rapporti complessi tra tecnologia, cultura, società e organizzazione che fanno capo al
problema della modernizzazione e come questi si siano sviluppati in maniera differente tra
Europa ed Asia Orientale. 21 La centralità della questione è evidente per lo sviluppo
dell’Europa ma è stata posta in termini simili per i Paesi dell’Asia Orientale. Vari lavori di
World History hanno evidenziato come le culture asiatiche non fossero affatto “fossilizzate” e
18
Mielants Eric, Europe and China Compared, Review (Fernand Braudel Center), vol. 25, no. 4, 2002, pp. 401–
449.
19
Perdue Peter, China Marches West: The Qing Conquest of Central Eurasia, Belknap, Cambridge, 2005.
20
Andrade Tonio, The Gunpowder Age: China, Military Innovation, and the Rise of the West, 900-1900,
Princeton University Press, Princeton, 2016.
21
Eisenstadt Shmuel Noah, Multiple Modernities, Transaction Publishers, Piscataway, 2003.
10
restie al cambiamento e come l’Età Moderna sia stato un periodo di effervescenza e scambio
culturale su scala continentale.22
Lo stesso ragionamento applicato ai campi della produzione culturale, della religione e
dell’economia, si può applicare alle questioni militari come l'aggiornamento tecnologico e
l’adozione di nuove tattiche e forme organizzative. Gli studiosi di tendenza tradizionalista
tendono a biasimare profondamente caratteristiche culturali e istituzionali di Cina, Corea e
Giappone. 23 Questi Paesi erano stati ostacolati dal loro conservatorismo, dalla mentalità
chiusa, dalla chiusura fisica dei confini e dal confucianesimo. Al confucianesimo è spesso
attribuita una presunta tendenza pacifista che ha impedito a questi Paesi di cogliere le
possibilità di conquistare i confinanti e di espandersi oltremare. 24 In particolare le culture
asiatiche sarebbero state avverse alle armi da fuoco e ad organizzare la loro società per la
guerra, dato che la superiorità attribuita allo studio e all’amministrazione teneva ai margini
della società gli uomini d’arme e la loro cultura.25
Questa analisi mostra invece come quelle stesse élite che sono state accusate di essere
conservatrici sono state invece all’origine di tutti i numerosi e fruttuosi movimenti di
acquisizione tecnologica e riorganizzazione istituzionale, confrontandosi con esperti stranieri
e innovatori provenienti da altri settori della società. Lo studio della vitalità culturale di questi
gruppi e i suoi limiti, che divennero evidenti nell’Ottocento, ci aiuta ad estendere la questione
della modernizzazione alle questioni militari.
Come terzo obiettivo spiegherò le ragioni dell'evidente “Grande Divergenza Militare”
dell’Ottocento, cioè quella fase in cui Cina, Corea e Giappone sono evidentemente incapaci di
contrastare efficacemente la penetrazione occidentale e la cultura tradizionale si rivela
insufficiente a chiudere il gap. Per la storiografia tradizionale qui sembrava evidente come i
percorsi si biforcassero: la Cina, tentando la via della riforma minimale con il movimento
dell’Autorafforzamento, si condannava alla sconfitta mentre il Giappone, abbracciando in
pieno la cultura occidentale con la Rivoluzione Meiji, si metteva al pari delle altre potenze.
Tuttavia la prospettiva della modernizzazione come un processo distribuito nello
spazio e nel tempo ci permette di mettere in prospettiva anche questa interpretazione. Lo
sforzo di modernizzazione della Cina nell’Ottocento è stato in genere considerato un
22
Goody Jack, Rinascimenti. Uno o molti?, Donzelli, Roma, 2010; Pomeranza Kenneth, Wong R. Bin, China
and Europe, 1500 - 2000 and Beyond: What is 'Modern”.
23
Landes David S. , Why Europe and the West? Why Not China?, Journal of Economic Perspectives, 20/2;
Duchesne Ricardo, The Uniqueness of Western Civilization, Brill, Leiden, 2011.
24
Wang, Yuan-kang, Harmony and War: Confucian Culture and Chinese Power Politics, Columbia University
Press, New York, 2011.
25
Neiberg Michael S. , Warfare in World History, Routledge, Londra, 2001.
11
fallimento, ma in realtà Cina e Giappone erano i poteri asiatici modernizzatori di maggior
successo. Si può pensare alla modernizzazione asiatica come a una questione di "recupero",
come se gli asiatici stessero tentando la chiusura di un gap “statico” con l’Europa. In realtà
erano gli stessi Stati europei si stavano modernizzando a un ritmo forsennato. Tutti gli Stati
cercavano di emulare la Gran Bretagna e anch'essa era nel pieno di un cambiamento
rivoluzionario.
La Cina fu sconfitta nel conflitto sino-giapponese e si possono trovare diverse “radici
profonde” di questa sconfitta. Questa ricerca delle ragioni profonde dei fenomeni però ne
spiega solo parzialmente gli esiti. In un periodo di cambiamenti repentini come l’Ottocento le
singole decisioni politiche e militari hanno avuto un peso enorme nel determinare se un Paese
fosse in grado o meno di agganciare il treno della modernità. Vedremo come in quel conflitto
la Cina, rispetto al Giappone, fu sfavorita più da una complicatissima situazione di politica
interna e internazionale, dal mantenere al potere la dinastia e “salvaguardare la faccia” nel
sistema regionale, piuttosto che da una scorretta applicazione delle politiche della
modernizzazione.26
Infine si può riflettere sul concetto stesso di Rivoluzione Militare. Se questo concetto
sviluppato come caratteristica unica dell’Europa perde almeno in parte la sua unicità,
possiamo parlare di molteplici Rivoluzioni o di un fenomeno unico eurasiatico con
caratteristiche locali? Se invece consideriamo le differenze tra Asia ed Europa superiori alle
similitudini come definire questi processi asiatici: una serie di Rivoluzioni Militari asiatiche o
una Evoluzione Militare, dagli effetti meno dirompenti?
Il testo di questa relazione si divide in tre capitoli. Il primo è centrato sull’Europa in
Età Moderna e analizza in dettaglio la nascita e l’evoluzione della tesi della Rivoluzione
Militare a partire dai contributi di Michael Roberts e Geoffrey Parker. Lo sforzo è quello di
individuare gli assunti cardine di questa storiografia e insieme mostrare la grande varietà di
interpretazioni che hanno espanso il concetto iniziale, applicandola a un periodo di tempo e un
numero di società e di temi sempre più ampio. In particolare analizzo il rapporto tra
Rivoluzione Militare ed emergere dello Stato e del sistema degli Stati Moderni, si elencano le
diverse cronologie proposte e si stila una lista di sotto-temi rilevanti che faranno da guida per
applicare un'analisi simile alle vicende militari dell’Asia Orientale.
Il secondo capitolo amplia gli strumenti interpretativi espandendo la questione della
Rivoluzione Militare in senso globale per poi confrontarla con la metodologia di un’altra tesi
26
Peruzzi Roberto, Diplomatici, banchieri e mandarini. Le origini finanziarie e diplomatiche della fine
dell’Impero Celeste, Mondadori Università, Milano, 2015.
12
di sociologia storica quella della Grande Divergenza. Analizzo i maggiori contributi e le
critiche che la tesi della Rivoluzione Militare ha suscitato quando è stata usata per comparare
l’esperienza militare occidentale con quella dei Paesi asiatici. Passo poi a rivedere una serie di
lavori di orientamento World History per individuare differenze e somiglianze nella
descrizione del fenomeno bellico con la tesi della Rivoluzione Militare. Infine espongo la tesi
e la critica della Grande Divergenza, il costrutto sociologico che ha spostato i termini della
discussione del confronto Cina Europa, sostenendo che l’economia cinese ha mantenuto una
parità piena con l’Occidente fino alla Rivoluzione Industriale inoltrata.
La terza parte utilizza tutti questi strumenti interpretativi per analizzare i cambiamenti
militari dell’area dell’Asia Orientale nell'Età Moderna. L’analisi riguarda le esperienze
militari di Cina, Corea e Giappone nel periodo che va dall’instaurazione della dinastia Ming
fino alla prima guerra dell’Oppio. Il capitolo si concentra sul conflitto intra-asiatico e sulle
minacce provenienti dal Nord-Est, i popoli della steppa e i russi e dal Sud, olandesi e
portoghesi. Attingendo alla storiografia e all’analisi delle scienze sociali più recenti, che
hanno messo in discussione le interpretazioni dell'Asia Orientale pacifica e militarmente
stagnante, evidenzio i caratteri del contesto geografico, internazionale, sociale, culturale e
tecnologico per individuare le caratteristiche originali degli sviluppi militari, compararli con
gli sviluppi Occidentali e stabilire se abbiano avuto un ruolo sociopolitico paragonabile a
quello del contesto europeo.
13
Capitolo 1. La Rivoluzione Militare in Europa.
1. 1 La Rivoluzione Militare secondo Michael Roberts.
« The period in the history of the art of war with which I shall try to deal in this
lecture may seem from this point of view to be of inferior importance. But it brought
changes which may not improperly be called a military revolution; when it was
accomplished, it exercised a profound influence on the course of European History. It stand
like a great divide separating mediaeval society form the modern world. Yet it is a
revolution that has been curiously neglected by historians. The experts in military history
have been mostly been contempt to describe what happened, without being overmuch
concerned to trace out broader effects. »27
Stephen Glick ha indicato che lo storico Sir Charles Oman potrebbe essere stato il primo
ad aver avanzato una definizione del concetto di Rivoluzione Militare. Il saggio di Oman del
1898, A History of the Art of War in the Sixteenth Century, comprende un’ampia sezione in
cui, nello spiegare come le formazioni degli eserciti occidentali basati su picche e archibugi
imposero la superiorità militare sulle armate ottomane, lo storico parla di «Rivoluzione
Militare del sedicesimo secolo». 28 Altri riferimenti si possono trovare nella corrente
storiografica che fa riferimento alla scuola tedesca di inizio novecento e in particolare al
lavoro di Hans Delbrück, o, per l’Italia, gli studi Piero Pieri.29
Nel volume Il Rinascimento e la crisi militare italiana Pieri ricostruì la crisi militare degli
Stati italiani tra 1494 e 1530 criticando l’interpretazione classica basata su Niccolò
Machiavelli. In maniera convincente l’autore dimostrò che la crisi militare italiana fu un
riflesso della più generale crisi etica e politica che l’Italia stava attraversando più che essere
dovuta al confronto militare in sé. «In realtà, la crisi militare italiana del Rinascimento non era
il risultato di una pervertita consuetudine guerresca, ma bensì un aspetto, notevole e
interessante al massimo grado, della più generale e profonda crisi costituzionale dell’intera
penisola, la quale doveva dolorosamente risolversi nella più vasta crisi della libertà
italiana.»30
27
Roberts Michael, The military revolution 1560-1660, in Rogers Clifford, The Military Revolution Debate:
Readings On The Military Transformation Of Early Modern Europe, Westview Press, Boulder, 1995. p. 13.
28
Oman Charles, A History of the Art of War in the Sixteenth Century, Cornell University Press, Ithaca, 1953, p.
162.
29
Del Negro Piero, Guerra ed eserciti da Machiavelli a Napoleone, Laterza, Bari, 2001, p. 140.
30
Pieri Piero, Il Rinascimento e la crisi militare italiana, Einaudi, Torino, 1952, p. 615.
14
Tuttavia, l’identificazione del concetto e la definizione delle linee guida sul dibattito si
devono al lavoro di Michael Roberts sulla storia svedese. Partito da interessi piuttosto lontani
dal mondo della tradizionale militare, Roberts ha tuttavia innovato profondamente il settore
con una tesi capace di andare oltre gli aspetti specifici del fenomeno bellico e di riconnetterlo
invece alla storia sociale e politica.
Attirato dalla possibilità di riempire la lacuna negli studi in lingua inglese sul regno di
Gustavo Adolfo e l’intervento svedese nella Guerra dei trent'anni, Roberts si specializzò nello
studio dello svedese, anche se, a causa del trasferimento per insegnare in Sudafrica, le sue
ricerche sulla storia della Svezia rallentarono per alcuni anni.31 Riuscì tuttavia a pubblicare un
articolo su Lo sviluppo costituzionale della Svezia sotto il regno di Gustavo Adolfo e a
tradurre la monografia di Gustav Adolf di Nils Ahlund, all'epoca lo storico più importante
della Svezia, pubblicata nel 1940.
Tornato nel Regno Unito alla fine della Seconda Guerra Mondiale e potendo continuare il
suo lavoro grazie alla collaborazione della biblioteca dell’Università di Uppsala, nel 1953
pubblicò il primo volume del suo studio, dal titolo Gustavus Adolphus: una storia della
Svezia, 1611-1632. Divenuto professore all’Università di Belfast, Roberts ideò un ciclo di
conferenze e nel febbraio 1955 tenne la sua conferenza più significativa, dal titolo «La
Rivoluzione Militare, 1560-1660.»32
Dopo essersi scusato per aver dedicato la lezione ad un argomento così specialistico su
un Paese tendenzialmente periferico nella Storia d’Europa, Roberts utilizzava la sua erudita
conoscenza della prima Storia europea moderna (in varie lingue) per selezionare i
cambiamenti cruciali nell'arte della guerra nel secolo successivo al 1560. «The essentials of
Roberts’s thesis was a mutually sustaining relationship between the professionalism required
for tactical changes and the rise of larger and more permanent state military forces.»33
La Rivoluzione Militare individuata da Roberts ebbe luogo tra il 1560 e il 1660 in
quattro aree distinte. La prima fu una rivoluzione nelle tattiche: una serie di innovazioni,
sebbene apparissero minori all’epoca, furono la causa di cambiamenti sia dentro e che fuori il
campo di battaglia. La principale innovazione nell’utilizzo della fanteria venne costituita dal
progressivo abbandono dello scontro tra massicce formazioni quadrate di picchieri in favore
31
Maylam Paul, Michael Roberts: a profile, South African historical journal, XXXVI (1996), p. 272.
Roberts Michael, The military revolution, 1560–1660: an inaugural lecture delivered before the Queen’s
University of Belfast (Belfast, 1956) ristampata in Rogers Clifford, The Military Revolution Debate Op. cit. Si
può leggere anche la conferenza Gustav Adolf and the art of war Roberts Michael, Essays in Swedish History
(1967) pp. 56–81.
33
Black Jeremy, European Warfare, 1494–1660, Abingdon, 2002, p. 32.
32
15
del confronto tra le più leggere formazioni lineari composte da unità più piccole e
specializzate nel fare fuoco con gli archibugi. Allo stesso modo le forze di cavalleria
ritornavano ad una concezione più offensiva, abbandonando la tattica del caracollo e
caricando i fianchi del nemico. Roberts insiste poi su come queste nuove tattiche sul campo di
battaglia ebbero conseguenze organizzative e logistiche di vasta portata. Riuscire ad eseguire
correttamente queste manovre complesse richiede truppe composte da uomini altamente
addestrati e disciplinati. «Con l’introduzione degli schieramenti lineari, si attribuì sempre più
importanza alla capacità dell’esercito di manovrare come un unico meccanismo perfettamente
disciplinato. Nel Settecento, l’epoca del razionalismo illuminista, ma anche della prima
rivoluzione industriale, il pensiero militare inseguì l’ideale per cui le truppe dovevano
rappresentare un attrezzo ciecamente rispondente alla volontà razionale che le comandava.»34
La ricerca della standardizzazione e dell’omologazione introdusse le divise, i diversi
passi di marcia, la capacità di variare gli schieramenti, la resa in sequenza dei movimenti di
ricarica delle armi da fuoco e i manuali di addestramento a stampa corredati di illustrazione di
tutte queste novità. L’addestramento di grandi masse di fanteria costava enormemente di più
di quello, pur estremamente lungo, di piccole unità di cavalleria feudale. Dato che erano i
Governi delle monarchie centralizzatori della prima Età Moderna ad addestrare e impiegare
queste truppe, Roberts individua all'inizio del Seicento il periodo in cui non risultò più
economicamente sensato sbandare i reggimenti alla fine delle campagne: si affermò la
tendenza per cui gli uomini addestrati dovevano essere mantenuti in pianta stabile dallo Stato.
Il secondo principale aspetto della Rivoluzione Militare secondo la tesi di Roberts è
costituito dalla rivoluzione nella strategia. Con i soldati addestrati nelle nuove manovre era
possibile tentare strategie più ambiziose come attuare campagne con diversi eserciti attivi
contemporaneamente o cercare esplicitamente di forzare il nemico a battaglie decisive senza
paura che le proprie truppe inesperte potessero fuggire.
La terza componente della teoria della Rivoluzione Militare è rappresentata
dall’enorme aumento della portata e dell’intensità della guerra in Europa tra il 1560 e 1660.
La nuova strategia richiedeva un numero molto più elevato di truppe per garantire il successo
della propria esecuzione: indubbiamente una forza articolata di vari eserciti pensata per
operare contemporaneamente secondo un piano complesso avrebbe avuto bisogno di essere
molto più numerosa di una singola armata di tipo feudale, con conseguenze devastanti in
34
Barbero Alessandro, La guerra in Europa dal Rinascimento a Napoleone, Carocci, Roma, 2003, p. 49.
16
termini di perdite negli scontri campali e negli assedi e un tasso di usura altissimo dovuto a
fame, malattie e diserzioni.
Quarto, questo enorme incremento numerico accentuava drasticamente l'impatto dei
conflitti sulla società. La maggiore distruttività delle armi, i maggiori costi economici per
mantenere le truppe e la sfida amministrativa di rifornirle e governarle rendevano il fenomeno
bellico più pesante e problematico che in qualunque altro periodo sia per la popolazione che
per i governanti.
A fianco di questi quattro elementi - tattica, strategia, dimensioni dell'esercito e
impatto generale sulla società - Roberts individuava poi una serie di innovazioni minori ma
comunque rilevanti nel quadro d'insieme come lo sviluppo dell’istruzione militare e delle
accademie militari, l'articolazione del diritto con la progressiva affermazione di leggi di
guerra e l'emergere di un'enorme letteratura su tattiche, strategia, addestramento e storia
militare.
In sintesi la tesi della Rivoluzione Militare di Roberts «presupponeva l’abbandono di
una tradizione storiografica continentale, influenzata, non solo in Italia, dall’ideologia del
cittadino-soldato [-] a favore di un'analisi pragmatica di una fase circoscritta della storia
militare che appariva contraddistinta, tuttavia, sempre nell’ottica dei rapporti tra guerra,
politica e società, d importanti novità strutturali.»35 Ristampata in varie raccolte la conferenza
di Roberts è diventata uno dei testi più citati sul fenomeno bellico nell’Età Moderna.
Quarant'anni dopo Roberts osservò «It is a sobering thought that an obscure inaugural in a
provincial university should provide the pretext for forty years of debate. I can’t help feeling
that for once in my life I did invent something.»36
A partire dal 1976 un gran numero di libri e articoli di vari storici hanno discusso della
Rivoluzione Militare della prima Europa moderna e la lezione del 1955 è ancora oggi il punto
di partenza del dibattito. «Roberts’s lecture was simultaneously bold and brief. It was
Braudelian in its ability to link grand sweeps to particular developments, but Roberts did not
pursue the theme at book length. Instead, it was developed and transformed in a number of
35
Del Negro Piero, Guerra ed eserciti da Machiavelli a Napoleone, Op. cit. , p. 142.
Per una bibliografia sull’influenza di Roberts si possono vedere Rogers Clifford, The Military Revolution in
History and Historiography in Rogers Clifford, The Military Revolution Debate, Op. cit. e Rogers Clifford,
"Revolutions in Military Affairs:" A Historian's Perspective in Gongora Thierry, Toward a Revolution in
Military Affairs? Defense and Security at the Dawn of the Twenty-First Century, Praeger Publisher, Santa
Barbara, 2000.
36
17
fruitful directions by Parker, although he minimized the shift in interpretation by using the
same term.»37
Una centralità non contestata da tesi radicalmente alternative, che ha incanalato il dibattito
storiografico in maniera assai definita. «In retrospect, we can see that the Roberts thesis
gained the high ground it currently occupies through a rather abbreviated process of debate.
The ordinary historiographic dialectic, the discourse of attack and defense that normally
surrounds new ideas, was somehow passed over in this case. Although many historians have
appropriated Roberts's words, no one before Parker had produced a well- articulated version
of the military revolution thesis.»38
La tesi di Roberts è allo stesso tempo elegante e persuasiva nello spiegare come,
nell'arco di un secolo, il modo in cui gli Europei conducevano la guerra cambiò
completamente. Sebbene Roberts non abbia definito concettualmente il termine rivoluzione, il
modello di rivoluzione scientifica definito da Thomas Kuhn, «non-cumulative developmental
episodes in which an older paradigm [was] replaced in whole or in part by an incompatible
new one.» 39 si adatta molto bene alla sua tesi. Questa applicazione delle teorie di Kuhn
all'ambito militare risulta coerente per due ragioni. Da un lato, la comunità militare
responsabile dei cambiamenti nell'arte della guerra è paragonabile alla comunità scientifica
descritta da Kuhn come relativamente coesa, governata dalla tradizione e dotata di un
approccio sempre più scientifico.40 Dall’altro, parte del dibattito sulla Rivoluzione Militare
ruota intorno alla definizione stessa di "rivoluzione": il linguaggio di Kuhn fornisce la
terminologia con cui affrontare la natura della rivoluzione in ambito bellico.41
Una delle critiche più puntuali al lavoro di Roberts è quella espressa da Parrot che
riconosce importanti cambiamenti tattici nel periodo della Guerra dei Trent'anni ma è molto
critico dell’idea che questi abbiamo condotto a un cambiamento della strategia. Roberts
sosteneva che le unità avessero visto diminuire i loro effettivi e fossero diventate più flessibili
ed efficienti. Parrot ritiene che i loro risultati sul campo fossero altalenanti, rendendo difficile
affermare la superiorità dello schieramento lineare su quello profondo. Spesso gli eserciti
37
Black Jeremy, European Warfare, Op. cit. , p. 33.
Hall Bert, DeVries Kelly, Essay Review – the 'Military Revolution' Revisited, Technology and Culture 31
(1990).
39
Kuhn Thomas, The Structure of Scientific Revolutions, University of Chicago Press, Chicago, 1970, p. 92.
40
Kingra Mahinder, The Trace Italienne and the Military Revolution During the Eighty Years’ War, The Journal
of Military History, vol. 57, no. 3 (Jul. , 1993), pp. 431-446.
41
Hollinger David, T. S. Kuhn's Theory of Science and Its Implications for History, The American Historical
Review, vol. 78, no. 2, 1973, pp. 371-378.
38
18
erano sproporzionatamente grandi a causa del reclutamento privato e il sistema degli
impresari causava una profonda inefficienza nel loro uso tattico.42
L’altro assunto di Roberts, cioè che esistesse una differenza chiara tra antiquati e
massicci tercios spagnoli basati sulle picche e flessibili e moderne unità olandesi e svedesi in
cui ormai dominava l’arma da fuoco, è anch’esso discutibile. Per Parrot non si tengono in
considerazione le evidenze storiche di una profonda evoluzione degli schieramenti di fanteria.
Questi progredirono dalle massicce fortezze di picche degli svizzeri nel quindicesimo secolo
alle molteplici possibilità di schierare alternatamente picchieri e moschettieri e variare il
numero di file a seconda della conformazione del terreno.
In aggiunta l’idea di Roberts che il cambiamento tattico abbia generato un valido uso
combinato delle diverse armi è messo a dura prova dall'evidenza di una forte superiorità della
tattica difensiva sul campo di battaglia. Questo aspetto era colto da Roberts, che però riteneva
che Gustavo Adolfo avesse rotto la tattica statica in uso nei decenni precedenti. Un’analisi
delle maggiori battaglie dimostra però come, a parità di forze tra i contendenti, gli scontri del
periodo finivano spesso per diventare logoranti confronti tra le fanterie che favorivano il
difensore o chi poteva sfruttare meglio il terreno per schierarsi.
Esisteva quindi una grande distanza tra le innovazioni tattiche e la possibilità di
sfruttarle sul campo di battaglia. Questo è evidente guardando alle dimensioni degli eserciti
sul campo, quasi uguale a quella del secolo precedente, mentre il numero totale di effettivi per
ciascun Stato era cresciuto vertiginosamente. Il sistema di reclutamento basato su
l'imprenditoria privata distorceva ulteriormente l’uso delle truppe. Permettere ai comandanti
di estrarre risorse tramite saccheggi e riscatti non solo impoveriva i teatri bellici ma
espandeva in modo abnorme le armate.43
Per questo Parrot afferma che la dimensione strategica piuttosto che evolvere si era
involuta riducendosi ad un'erosione delle risorse economiche del nemico tramite l’invasione
del suo territorio. Solo dopo la pace di Vestfalia l’evoluzione delle amministrazioni, la
cosiddetta Rivoluzione Amministrativa, permise una profonda riorganizzazione che creò
l’esercito di Antico Regime come lo conosciamo.44 Dallo studio di Roberts in poi un ampio
numero di autori ha contribuito ad espandere i termini del dibattito, in particolare Geoffrey
Parker.
42
Parrot David, Strategy and tactics in the Thirty Years War: The Military Revolution in Rogers Clifford, The
Military Revolution Debate, Op. cit. , p. 230.
43
Parrot David, Strategy and tactics in the Thirty Years War, Op. cit. , p. 241.
44
Parrott David, Had a distinct template for a 'Western way of war' been established before 1800?, Hew
Strachan, The Changing Character of War, Oxford University Press, Oxford, 2011.
19
1. 2 Lo sviluppo della tesi della Rivoluzione Militare con Geoffrey Parker.
Nel 1976, l'articolo di Geoffrey Parker, The Military Revolution,1560-1660, a myth?
rilanciò il dibattito sulla Rivoluzione Militare. Parker sostenne che Roberts aveva enfatizzato
l'importanza di Gustavo Adolfo a spese degli sviluppi francesi, olandesi e asburgici,
sottovalutato l'importanza della guerra d'assedio e indicato una data troppo recente per l’avvio
della rivoluzione.45
Geoffrey Parker aveva familiarizzato con la tesi della Rivoluzione Militare di Roberts
mentre completava la sua tesi sull'esercito spagnolo di Le Fiandre tra il 1567 e il 1659 poi
confluita nel volume The Army of Flanders and the Spanish Road, 1567–1659. 46 Lavorando
su episodi dissonanti rispetto all’impianto di Roberts, Parker cominciò a formulare in maniera
differente la questione. Ulteriori ricerche su fonti spagnole sembravano gettare ulteriori dubbi
sulla ricostruzione classica, affrontati da Parker nell'ultimo capitolo della sua tesi, intitolato A
military revolution? .47 Lo stesso Roberts prese parte al Comitato di Laurea della Facoltà di
Storia di Cambridge come esaminatore esterno. Sebbene Roberts dedicasse buona parte
dell'esame alla discussione di quel capitolo, fu d'accordo con la critica avanzata da Parker
sulla sua teoria della Rivoluzione Militare e suggerì anche modi per rafforzarla. Al termine
propose a Parker di trovare una conclusione più appropriata per il suo lavoro in vista di una
pubblicazione e pubblicare la sua critica separatamente, come articolo, apparso poi nel 1976.
48
Nella sua critica Parker partiva sostenendo come la scelta temporale di Roberts presentasse
vari problemi, in particolare nella sua lettura dello sviluppo degli aspetti tattici e strategici e
dell’aumento delle dimensioni degli eserciti come rivoluzionari.
A livello tattico, molti degli sviluppi individuati come caratteristici della Rivoluzione
Militare erano già in corso nel Rinascimento. La professionalizzazione delle forze armate, la
creazione di piccole unità permanenti, l’acquartieramento e la standardizzazione degli
armamenti erano fenomeni già esistenti nelle condotte, le forze armate delle città italiane del
Quattrocento. 49 Contrariamente a luoghi comuni già diffusi all’epoca, le forze delle città
italiane erano capaci e all’avanguardia e i loro metodi copiati dai rivali spagnoli, svizzeri e
45
Parker Geoffrey, A 'Military Revolution?, Phd Dissertation.
Parker Geoffrey, The army of the Flanders and the Spanish Road. The Logistics of Spanish Victory and Defeat
in the Low Countries' Wars, Cambridge University Press, Cambridge, 1972.
47
Parker Geoffrey, Michael Roberts (1908-1996), Proceedings of the British Academy, 115, 2002.
48
Parker Geoffrey, The 'Military Revolution,’1560-1660-a myth, Journal of Modern History 48 (1976).
49
Mallett Michael, Signori e mercenari. La guerra nell'Italia del Rinascimento, Il Mulino, Bologna, 2013.
46
20
tedeschi.50 Le innovazioni di Maurizio di Nassau costituirono più dei miglioramenti che degli
strappi vistosi con la tradizione militare.
L’esercito spagnolo delle Fiandre costituiva all’epoca una delle realtà militari più
moderne ed efficaci fino al Seicento avanzato, ridimensionando la portata delle innovazioni
dei Nassau, nonostante queste abbiano comunque contribuito alla difesa delle Province Unite.
Anche se non allo stesso livello, forze simili vennero sviluppate dagli Stati italiani e dai Regni
di Francia e d'Inghilterra. In effetti, sia Gustavo Adolfo che Maurizio di Nassau erano stati
costretti a rivedere completamente sia l'organizzazione che gli armamenti e le tattiche dei loro
eserciti a seguito di varie sconfitte subite dai loro predecessori. La loro attenzione nella
ricerca di modelli si era rivolta a scrittori classici come Frontino, Vegetio e Aeliano, non
meno che ai generali spagnoli.
Questa ricerca di modelli e la volontà di standardizzare confluirono in un’autentica
innovazione: il manuale illustrato di addestramento militare. Il primo esempio, pubblicato ad
Amsterdam nel 1607, passò rapidamente attraverso numerose edizioni in olandese, francese,
tedesco, inglese, danese, e fu talmente popolare da essere riprodotto e plagiato in numerose
pubblicazioni. Un successo determinato dall’utilità del libro nel formare i sempre più
numerosi ufficiali subalterni e sottufficiali a cui era demandato il complesso processo di
addestramento delle reclute nelle formazioni di picchieri e archibugieri. In questo senso
Parker afferma che gli olandesi hanno saputo sfruttare al meglio le innovazioni europee
nell’arte della guerra ma non possono essere identificati come gli autori della Rivoluzione
Militare, come neppure Gustavo Adolfo.
Parker critica anche l’idea della rivoluzione nella strategia, e individua quello che a
suo parere è stato il maggior errore di Roberts: a critica distruttiva alle pratiche dei generali
del sedicesimo secolo «La sterilità della guerra in Europa, ai tempi del principe Maurizio, è la
misura precisa del pensiero strategico dell'epoca. [-] Il pensiero strategico si estinse, la guerra
si eternificò ».51 Un errore determinato, secondo Parker, dallo scarso peso dato da Roberts
all’evoluzione delle fortificazioni, evoluzione che portò ad una riduzione del peso delle
battaglie campali.
Per Parker invece l'influenza cruciale dell'evoluzione del pensiero strategico nel
sedicesimo secolo fu la comparsa di un tipo completamente nuovo di fortificazione difensiva:
la trace italienne, un circuito di muri bassi e spessi, intervallati da bastioni quadrangolari.
Riprendendo dagli studi di Hale, Parker individua il passaggio nelle guerre italiane quando era
50
51
Pieri Piero, Il Rinascimento e la crisi militare italiana, Op. cit.
Roberts Michael, The military revolution 1560-1660, Op. cit.
21
diventato chiaro che i miglioramenti nell'artiglieria avevano reso indifendibili le mura alte e
sottili del Medio Evo e gli architetti militari avevano preso a sperimentare con sistemi di mura
basse in terra e complesse geometrie che eliminassero gli angoli morti e rendessero letale il
tiro incrociato delle artiglierie ospitate nei bastioni. 52 Questi forti non potevano essere
conquistati con l’assalto ma solo tramite un lungo e costoso accerchiamento che si concludeva
con la resa per fame o la presa tramite una metodica conquista e distruzione delle architetture
difensive, rendendo la guerra una serie di assedi prolungati.
Le battaglie erano spesso irrilevanti a meno che non aiutassero a determinare l'esito di
un assedio. Le fortificazioni erette successivamente, vasti complessi a forma di stella che
tenevano l'artiglieria assediata fuori dalla portata delle mura, continuarono ad essere di
importanza vitale per la difesa degli Stati fino alla comparsa delle artiglierie di produzione
industriale nel 1860.
«In addition, the change in fortification technique was important to his attempt to
match Roberts in linking technological developments in warfare to wider socio-political
consequences. Parker focused on the need to deploy larger armies in order to besiege the new
more extensive and stronger fortification systems, protected as they were by cannon. [-] The
net effect was that wars became longer, driving up the resource implications, and ensuring
that war became a Darwinian-type struggle of the capacity of different political systems to
raise resources.»53
Parker ritiene quindi che Roberts fosse in torto ad attribuire una mentalità riluttante
allo scontro ai generali dell’epoca contraria: il fatto che Maurizio di Nassau non avesse alcuna
ambizione a combattere battaglie derivava piuttosto da un'acuta concezione dei limiti
dell’attacco sulla difesa in quel contesto e non da una riluttanza ideologica o interessata. La
guerra per assedi era tipica di aree altamente urbanizzate come le Fiandre o l’alta Italia: le
battaglie erano state frequenti e lo sarebbero rimaste in aree di minor densità di popolazione.
«I generali del diciassettesimo secolo, come i loro predecessori, furono costretti a rispettare i
dettami della geografia militare».54
Sulla questione della crescita delle dimensioni degli eserciti, Parker concorda con il
dato individuato da Roberts di una crescita degli effettivi tra 1550 e 1650 ma non lo accetta
come rivoluzionario visto che era una tendenza chiara già da alcuni secoli. L’aumento delle
52
. Hale J. R. , The Early Development of the Bastion: An Italian Chronology, c. 1450-c. 1534, in Hale j. R. ,
Highfield J. R. L. , Smalley Beverly, Europe in the Later Middle Ages, Northwestern University Press, Evanston,
1965, pp. 466-94.
53
Black Jeremy, European Warfare, 1494–1660, Op. cit. , p. 34.
54
Parker Geoffrey, The 'Military Revolution,’1560-1660-a myth?, Op. cit. , p. 205.
22
dimensioni dell'esercito deriva innanzitutto dal trionfo dei fanti armati di asta al termine del
Medioevo. Il passaggio della cavalleria da arma primaria a forza di supporto rendeva possibile
ai governi di reclutare un numero illimitato di uomini, visto il costo pro-capite del fante
enormemente inferiore a quello del cavaliere. I limiti divennero essenzialmente organizzativi
e logistici dato che nessuno Stato possedeva l'organizzazione necessaria per mobilitare,
pagare e rifornire una tale forza. Mancavano strutture di governo in grado di organizzare
grandi forze militari: i Governi usarono gli imprenditori privati per arruolare i loro soldati e
solo verso il diciottesimo secolo si sarebbe stabilito un legame diretto tra truppe e Governo.55
Tutti questi incrementi richiedevano denaro il cui reperimento fu la sfida principale dei
Governi dal Quattrocento in poi. Nessun Governo riusciva a finanziare una guerra prolungata
grazie alle imposte: gli olandesi per primi perfezionarono tecniche di finanza in tempo di
guerra in grado di sostenere un esercito enorme quasi indefinitamente. Le chiavi di questo
successo erano l'enorme ricchezza di Amsterdam e la disciplina finanziaria del Governo
olandese, che ripagava gli interessi e il capitale. Una grande differenza rispetto alle finanze
spagnole che, pur supportate dal flusso di metalli preziosi dalle Americhe, andarono diverse
volte in bancarotta per supportare Carlo V e i suoi successori.56
In sintesi, per Parker la Rivoluzione Militare si svolge con un andamento simile a
quello individuate da Roberts, ma ha inizio nel Rinascimento. L’imporsi della fanteria,
l’avvento delle armi da fuoco, la diffusione della fortificazione moderna, cambiarono la
tattica, resero gli eserciti sempre più numerosi e modificarono la strategia bellica nell’Età
Moderna.
1. 3 La critica al lavoro di Parker.
Il lavoro di Parker si è imposto come centrale negli studi sulla Rivoluzione Militare e
ha suscitato un vasto contributo critico. Per Peter Paret, Parker ha esposto la sua tesi in modo
chiaro e ricco di dettagli, statistiche e informazioni tecniche. Tuttavia troppi aspetti importanti
sono discussi con una serie di esempi piuttosto che essere sviluppati in modo sistematico. I
confronti tra le diverse pratiche di combattimento europee avrebbero potuto essere rafforzati
55
Parker Geoffrey, La Rivoluzione Militare, Il Mulino, Bologna, 2014, pp. 89-154.
Cardini e Valzania hanno puntualizzato come la gestione disordinata delle finanze asburgiche non dipendesse
dall’assenza di tecniche per gestire l’indebitamento ma dall’assenza di volontà politica. Cardini Franco, Valzania
Sergio, Le radici perdute dell'Europa. Da Carlo V ai conflitti mondiali, Mondadori, Milano, 2006, pp. 85, 146 e
151.
56
23
analizzando come tali innovazioni derivassero delle strutture di comando delle armate, ma la
scarsa attenzione di Parker per i rapporti tra eserciti e società impedisce questo sviluppo. 57
Hall e DeVries individuano un forte determinismo tecnologico in Parker che lo
avrebbe reso riluttante a riconoscere i limiti della tecnologia del Rinascimento. Parker tende a
sottostimare il ruolo delle picche e forza le prove storiche sull’efficacia degli archibugi.
«Assessing the capacities and the influence of firearms is crucial to any analysis of field
warfare in the Renaissance, but Parker, in his eagerness to credit fundamental changes to
alterations in technology, is simply not sufficiently critical.»58 Ad esempio la cavalleria non
temeva le formazioni di archibugieri ma la loro interazione con i picchieri. Un altro caso di
semplificazione eccessiva è la confusione tra il fuoco di fila, volley fire, con la tattica della
contromarcia, che costituisce uno dei modi con cui il fuoco di fila si può realizzare
efficacemente. Parker vede uno sviluppo lineare nell’uso delle armi da fuoco, mentre le
innovazioni hanno seguito un percorso più casuale.
Baumgartner compara il lavoro di Parker con quello di William H. Mc Neill, in
particolare con Pursuit of Power e Keeping Together in Time: Dance and Drill in Human
History per puntualizzare l’importanza dell’addestramento nella Rivoluzione Militare. Anche
se questo tema è toccato da Parker, The military revolution non sembra considerarlo una
differenza cruciale tra Europa e Asia. Per Baumgartner invece il tema dovrebbe avere più
spazio perché capace di spiegare il sorpasso degli eserciti europei su quelli asiatici, come
quello degli Ottomani.59
Mallet difende Parker dalle accuse di determinismo tecnologico, ma ritiene che
l’enfasi sulla tecnica porti ad alcune esagerazioni e lascia altri temi senza risposta. Sulle
guerre italiane riporta: «Parker himself sometimes falls victim to the exaggerations of
Machiavelli and Guicciardini. »60 I cannoni francesi non erano l’unica artiglieria efficiente, i
bastioni iniziarono la loro diffusione già tra 1470 e 1480, le fanterie svizzere erano al proprio
apice e alcune città italiane avevano iniziato ad armare masse di fanti con armi da fuoco
portatili. Da un punto di vista della storia della tecnologia non vengono analizzati i
meccanismi con cui la tecnica filtrava dai laboratori e dalle officine d’Europa fino ai campi di
57
Paret Peter, Geoffrey Parker. The Military Revolution: Military Innovation and the Rise of the West, 1500–
1800, The American Historical Review, vol. 94, iss. 5, December 1989, pp. 1342–1343.
58
Hall Bert, DeVries Kelly, Essay Review – the 'Military Revolution' Revisited, Technology and Culture 31
(1990), p. 501.
59
Baumgartner Frederic J. , The Military Revolution: Military Innovation and the Rise of the West, 1500-1800
by Geoffrey Parker, The Sixteenth Century Journal, vol. 20, no. 2 (Summer, 1989), pp. 368.
60
Mallet Michael, The Military Revolution: Military Innovation and the Rise of the West, 1500-1800 by Geoffrey
Parker, Renaissance Quarterly, vol. 45, no. 2 (Summer, 1992).
24
battaglia: la tecnologia resta un po’un deus ex machina, sganciato dalle dinamiche culturali e
sociali e il confronto tra le varie società si impoverisce.
Anche Barker contesta la decisione di non analizzare le innovazioni militari nel più
ampio contesto dello sviluppo intellettuale e materiale europeo, che per Barker si contrappone
alla staticità del resto del mondo negli stessi secoli. Manca una connessione con la storia
economica, quella della scienza e con i fenomeni sociali come la professionalizzazione degli
eserciti. Inoltre Barker porta una metacritica all’approccio di Parker. Se la Rivoluzione
Militare è durata appunto 300 anni, è corretto definirla una Rivoluzione on piuttosto si
tratterebbe di un processo graduale ed evolutivo basato su una curva ascendente, dove non
sono mancati i periodi di stasi e quelli di avanzamento più rapido della media.61Anche per
Jeremy Black il lavoro di Parker avrebbe avuto giovamento da un raffronto o almeno da una
definizione del problema della modernizzazione e delle sue diverse forme e velocità nella
storia. Rimanendo ancorato al solo dato tecnologico, afferma che le potenze islamiche non
riuscirono ad importare tecniche e organizzazione occidentale pur non fornendo motivazioni
esaustive.62
Weston F. Cook Jr porta alla luce alcune criticità del lavoro seminale di Parker. Il
primo è il quadro cronologico: gli elementi della Rivoluzione Militare sono già ampiamente
diffusi nel quindicesimo secolo e con una portata globale. Secondo, l’idea che le armi da
fuoco abbiano rafforzato unicamente gli Stati centralizzati è una lettura superficiale: fucili e
cannoni furono un vantaggio anche per piccoli attori statali e non. Terzo, Parker non centra
pienamente l’obiettivo di integrare lo sviluppo militare europeo in un movimento globale.
Anche se rifugge dagli stereotipi eurocentrici della stagnazione e dell’inferiorità delle società,
la sua comprensione del fenomeno è limitata dalla mancanza di fonti dirette per quelle aree
geografiche.63
Lo stesso Parker ha affrontato queste critiche in numerose occasioni. Un punto
importante è il chiarimento del concetto di Rivoluzione Militare e del periodo in cui questa
avviene. Parker non concorda né con l’idea di una rivoluzione lunga tre secoli né con il porre
il suo inizio nel quindicesimo o addirittura nel quattordicesimo secolo. Le tre grandi
innovazioni che rendono la guerra moderna completamente diversa da quella medievale sono
per lui lo sviluppo dell’artiglieria navale, l’affermazione della fortificazione moderna e il
fuoco di fila, affermatisi nel corso del sedicesimo secolo. Questo secolo assurge come
61
Barker Thomas M. , Black Jeremy, Cook Weston F. , Geoffrey Parker’s Military Revolution: Three Reviews of
the Second Edition”, The Journal of Military History, vol. 61, (April 1997).
62
Ivi, p. 350.
63
Ivi, pp. 351-352.
25
spartiacque tra stili di guerra ormai incompatibili, e in questo senso è un periodo
rivoluzionario. Le innovazioni apportate fino a quel periodo sono importanti ma ancora non
dirompenti, mentre le innovazioni fino alla Rivoluzione Francese e a quella Industriale non
cambiano la natura del conflitto per il periodo 1500-1800.
Parker spiega la motivazione che l’ha spinto ad analizzare l’ascesa dell'Occidente in
un contesto globale: non certo per political correctness ma bensì per evitare una storia basata
su l'eccezionalismo occidentale, trovandosi ostacolato dalla rarità di studi sull’argomento. In
generale Parker concorda con i suoi critici sull’importanza di connettere le innovazioni
strettamente militari con una serie di altre evoluzioni sociali e culturali. Gli occidentali
massimizzano il loro vantaggio grazie a innovazioni economiche come la finanza statale e le
banche centrali, le compagnie privilegiate e le borse e fenomeni sociali come la migrazione
extraeuropea e un’apertura della società verso gli scienziati e gli inventori. Tutti questi
elementi aiutano a comprendere perché all’alba della Rivoluzione Industriale gli europei
controllassero già un terzo del globo pur partiti da una condizione di debolezza.
Sulla critica concettuale all’uso stesso del termine Rivoluzione Militare per definire un
lungo periodo di tempo, Parker puntualizza come diversi fenomeni pluridecennali siano
definiti con leggerezza “rivoluzioni” e che l’aspetto importante sia la portata e la drammaticità
del cambiamento più che l’estensione temporale. Per Parker le diverse componenti della
questione andrebbero viste come in interazione continua e discorsiva più che rapporti di
causa-effetto: diversi tipi di conflitti creavano un diverso rapporto tra la guerra, l’apparato
statale e la fiscalità che li sosteneva.
L'espansione degli organici delle armate è un problema complesso, soprattutto in
relazione all’uso delle armi da fuoco. Parker avanza diverse spiegazioni del fenomeno: la più
importante è la crescita delle burocrazie statali: l’affermazione di forti sistemi amministrativi
rendeva possibile arruolare e mantenere armate sempre più vaste. David Parrot ha avanzato
l’idea che l’aumento delle truppe conducesse a un circolo vizioso di stagnazione militare; per
Parker invece forze più numerose permettevano disegni strategici più complessi. In effetti
molte delle maggiori guerre del periodo furono combattute in diversi teatri contemporanei
nell’Europa continentale, nel Mediterraneo e fuori dall’Europa.64
La diffusione in Europa delle fortificazioni moderne è uno degli aspetti della
Rivoluzione Militare in cui appare cruciale il ruolo dell’evoluzione tecnologica ma Parker
comunque rifugge dal determinismo tecnologico. Artiglieria e fortificazioni presero a
64
Parker Geoffrey, Postfazione in La Rivoluzione Militare, Op. cit. , pp. 283-311.
26
confrontarsi dalla fine del Medioevo e comandanti, architetti militari e fonditori furono presi
in un continuo processo a escogitare misure e contromisure, in genere improvvisando,
scoprendo empiricamente nuove possibilità e adattando le strutture e le armi disponibili.65
1. 4 La cronologia alternativa di Jeremy Black.
Jeremy Black ha affrontato in varie occasioni la questione della Rivoluzione Militare,
individuando una cronologia diversa da quella di Roberts e Parker e riformulando il tema con
una diversa sensibilità. Secondo Black la questione è diventata rilevante non solo perché
importante per la storia militare ma perché poteva costituire un mattone utile alle tesi sulla
costruzione dello Stato, tesi in voga nella storiografia degli anni ’60 e ’70. Il lavoro di Roberts
e Parker è stato particolarmente rilevante anche per la sua capacità di completare le tesi di
Braudel e Wallerstein sulla creazione dei sistemi mondo basati su l'espansionismo europeo,
aggiungendo un aspetto militare alla riflessione. Tuttavia per Black il periodo posteriore al
1660 fino al 1815 non è stato adeguatamente analizzato dal dibattito, troppo preso su tutta la
fase precedente e poco interessato ad analizzare il periodo 1550-1715 come un'unica era dell'
Ancien Régime che presenta sia elementi di continuità che di rottura che si sono riverberati
sugli sviluppi militari.66
In questo senso sarebbe meglio parlare di due distinte rivoluzioni militari: una tra 1400
e 1550 e la seconda tra 1660-1720. Parker ha descritto i punti salienti della prima, cioè la
trace italienne e l’affermazione delle armi da fuoco, restando saldo sulla tesi di Robert di una
sola fase rivoluzionaria. Per Black invece il periodo centrale individuato da Roberts sarebbe
forse quello meno significativo del lungo arco storico dell’Età Moderna. Piuttosto se si va a
guardare in dettaglio il periodo 1660-1720 si osservano fondamentali cambiamenti di tipo sia
quantitativo che qualitativo.67
La fanteria cambiò in quel periodo il suo volto in maniera completa: in un breve arco
temporale scomparve l’accoppiamento picchieri-moschettieri, dove l’introduzione della
baionetta, la sostituzione delle micce con i meccanismi a pietra focaia e l’introduzione delle
primitive cartucce crearono i moderni reggimenti di fanti di linea, assestando un colpo
ulteriore all’utilità della cavalleria sul campo di battaglia. Inoltre, al di là del continuo
processo di crescita numerica, è in questo periodo che si può parlare dell’affermazione di
65
Parker Geoffrey, Postfazione in La Rivoluzione Militare, Op. cit. , pp. 283-311.
Black Jeremy, A Military Revolution? Military Change and European Society 1550–1800, Red Globe Press,
Londra, 1990.
67
Black Jeremy, European Warfare in a global context 1660–1815, Routledge, Abingdon, 2007.
66
27
eserciti stabili e del progressivo abbandono del modello degli imprenditori militari a favore di
un sistema di reclutamento e addestramento centralizzati.
Il periodo 1660-1720 è interessante anche perché segna la fine della partita militare tra
l'Europa e una serie di potenze asiatiche come l'Impero Ottomano, la Persia, i khanati
dell’Asia Centrale e i Regni dell’India, con cui i paesi europei ebbero scontri diretti e costanti.
Questi confronti militari volsero decisamente a favore delle rivoluzionate armate europee,
comprese quelle di Paesi meno moderni come La Confederazione Polacco Lituana e la
Russia. Più in generale, le nuove tattiche militari che privilegiano il fuoco concentrato e la
capacità di coordinare efficacemente fanteria, cavalleria e artiglieria si dimostrarono vincenti
in tutte le occasioni di confronto con forze che privilegiano la velocità e la forza d’urto,
mettendo in condizione di netta inferiorità le popolazioni marginali, anche europee, che per
millenni avevano costituito una riserva di forza militare per i paesi civilizzati e sancendo il
tramonto della società nomade. Uno sviluppo non limitato all’Europa, visto che nello stesso
periodo la dinastia Qing portava l'Impero cinese alla massima espansione territoriale,
sottomettendo definitivamente i nomadi. «To conclude the revolutionary periods were 14701530, 1660-1720 and (primarily because of the levee en masse rather than tactics 1792-1815.
Robert’s emphasis on 1560’1660 is incorrect. Equally, thought 1660-1720 and 1792-1815
might be periods of fairly dramatic change, the intervening area was not static and
unchanging.»68
Per Black un elemento discriminante è anche il fatto che mentre le prime conquiste
europee, spagnole e portoghesi in America, Africa e Asia, avevano tra i motivi del loro
successo una fortissima componente tecnologica (artiglieria, fortificazioni, acciaio), quelle
successive, adopera di olandesi, francesi e inglesi, furono determinate perlopiù da elementi
organizzativi (come logistica, cartografia, addestramento e istituzioni finanziarie) per le quali
i paesi non europei avevano maggiore difficoltà a confrontarsi, e non potevano importare o
copiare facilmente senza un processo di adattamento culturale, in una fase storica ancora
fortemente osteggiata dalle élite locali.
Anche se in generale si può parlare di una forte espansione europea, gli insuccessi furono
numerosi in particolare nelle aree più distanti dell’Asia Orientale, senza contare gli ancora
fortissimi limiti ecologici all'espansione di insediamenti europei. Il risultato maggiore si ebbe
certamente nel teatro domestico europeo, con il deciso arretramento dell’Impero Ottomano
dalla massima espansione territoriale che aveva raggiunto a metà del diciassettesimo secolo.
68
Black Jeremy, A Military Revolution? A 1660-1792 Perspective, in Rogers Clifford, The Military Revolution
Debate, Op. cit.
28
La conquista britannica dell’India, dal punto di vista militare, si spiega con una risposta
complessa che comprende sia l’introduzione di avanzate tattiche e armi nel subcontinente sia
l’adattamento alle condizioni del conflitto locale con l’arruolamento di forze locali e la grande
importanza accordata alle forze di cavalleria. La stessa combinazione di potenza di fuoco e
mobilità aveva rappresentato la chiave delle grandi vittorie russe sull’Impero Ottomano.
Bisognerebbe inoltre tenere in maggior conto le esperienze dell’Est Europa, in cui le
condizioni del territorio e della distribuzione della popolazione imponevano un diverso stile di
combattimento agli eserciti.
La dimensione geografica e i limiti climatici sono da tenere in considerazione
nell’analizzare il confronto militare nelle aree extra europee. Non solo per il tema dei conflitti
tra eserciti europei e asiatici ma anche per il confronto stesso tra europei in varie aree come
India e Americhe, dove risaltò l’esempio della vittoria delle Tredici Colonie ma dove anche
l'Impero spagnolo mostrò una sorprendente resilienza e addirittura un’espansione nel
diciottesimo secolo.
1. 5 Le origini della Rivoluzione Militare nella Guerra dei Cento Anni.
Per completare la panoramica cronologica è interessante analizzare le tesi alternative
di Clifford Rogers e di Alessandro Barbero che hanno definito una periodizzazione e un
modello alternativo di Rivoluzione Militare.69 Rogers ritiene che rimanendo focalizzati sul
periodo successivo al sedicesimo secolo si possa oscurare l'importanza del periodo in cui si
sono verificati i cambiamenti più drammatici e rivoluzionari nella conduzione della guerra in
Europa: il periodo della Guerra dei Cent'Anni (1337-1453). Anche Barbero fa risalire la
trasformazione all'Europa tre-quattrocentesca. In questo periodo la guerra era tornata ad
essere una questione esclusiva dello Stato, mentre, a cavallo dell’anno Mille, era
prevalentemente fatta dai signori che governavano le campagne: una guerra privata e locale su
piccola scala che coinvolgeva poche centinaia di uomini, per tempi e obiettivi limitati, ma
tuttavia endemica in tutta Europa. 70
La Guerra dei Cent'Anni costituì uno spartiacque in termini di tattica, strategia e
cultura della guerra. Gli eserciti fino agli inizi del quattordicesimo secolo erano composti
principalmente da guerrieri feudali, cioè aristocratici che prestavano il servizio militare come
69
Clifford J. Rogers, The Military Revolutions of the Hundred Years’ War, The Journal of Military History, vol.
57 (1993).
70
Barbero Alessandro, La guerra in Europa dal Rinascimento a Napoleone, Carocci, Roma, 2003, p. 5.
29
compensazione per il possesso di feudi. Al contrario, gli eserciti che conquistarono i primi
imperi extra-europei due secoli dopo erano composti da uomini provenienti da tutti gli strati
sociali, che combattevano per una paga ed erano basati sulla fanteria. Tutti questi
cambiamenti si affermarono nel corso del lungo conflitto tra Francia e Inghilterra mediante le
due rivoluzioni della fanteria e dell'artiglieria.
Rogers riconosce che questi due fenomeni furono seguiti dalla rivoluzione nell’arte
della fortificazione, centro della tesi di Parker, e dalla rivoluzione nell'amministrazione della
guerra, cioè la Rivoluzione Militare originale di Roberts. Sempre Rogers si chiede poi se si
possa parlare di una sola Rivoluzione, e arriva a formulare un paradigma alternativo basato
sul concetto biologico di «evoluzione dell'equilibrio punteggiato», cioè sostenendo che il
dominio militare occidentale è derivato da una serie di rivoluzioni militari sequenziali, ognuna
delle quali era un tentativo di invertire uno squilibrio introdotto dalla precedente, piuttosto che
da un singolo momento rivoluzionario.71 Il punto di avvio è la rivoluzione della fanteria. «In
the thirteenth century, infantry played an important role on the battlefield, but it did not win
battles.» 72 Gli sviluppi che portarono alla rivoluzione della fanteria avvennero in territori
europei periferici. Inghilterra, Scozia, Svizzere e Fiandre iniziarono a schierare masse sempre
più consistenti di fanti armati di picche, alabarde e roncole che, in accoppiamento con armi da
lancio come le balestre e gli archi lunghi, riuscivano a spezzare l’impeto delle cariche di
cavalleria.
Il costo molto inferiore dell’armamento dei fanti permetteva di aumentare le
dimensioni dell’esercito mentre la presenza di ceti sociali che non si sentivano legati agli
ideali della cavalleria medievale rendeva gli scontri molto più sanguinosi. Rogers offre quindi
una spiegazione strutturale e culturale sull’aumento delle perdite nelle battaglie campali,
spiegazione non colta da Parker. Sulla rivoluzione della fanteria, Barbero ha una posizione più
sfumata e insiste sulla prevalenza e sull’evoluzione della cavalleria, fin verso la fine del
Quattrocento, sia in Francia che in Italia. «Troppo spesso, infatti, la storiografia militare ha
enfatizzato l’importanza di alcune battaglie vinte da fanteria appiedata contro eserciti di
cavalieri, come se avessero segnato la fine della cavalleria medievale.»73
Per Barbero il periodo vide la massima evoluzione tecnologica e tattica della cavalleria
piuttosto che la sua decadenza. Questa si può sintetizzare nell’invenzione della lancia: uomini
d’arme e cavalleria pesante, che per operare al meglio ed essere flessibile sul campo doveva
71
Definizione usata originariamente da John F. Guilmartin in riferimento ai progressi della fanteria tra il 1200 e
il 1500, nel suo articolo War, Technology of, nell’Encyclopaedia Britannica, 1991, p. 539.
72
Clifford J. Rogers, The Military Revolutions of the Hundred Years’ War, Op. cit. , p. 247.
73
Barbero Alessandro, La guerra in Europa, Op. cit. , p. 7.
30
essere accompagnata da cavalleggeri e tiratori. «Accompagnato dai suoi ausiliari, dotato di
cavalcature di ricambio e protetto da un’armatura tecnologicamente avanzata, il cavaliere
quattrocentesco era più che mai il re del campo di battaglia.»74 La fanteria aveva il compito di
occupare il terreno e fornire un appoggio alla cavalleria, ma aveva comunque un ruolo
secondario. Infatti durante la guerra dei Cento Anni la proporzione di combattenti a piedi
negli eserciti in campo si era addirittura ridotta rispetto all’epoca precedente.
Per Barbero la rivoluzione della fanteria si dovette, più che agli inglesi, agli svizzeri:
la loro più importante innovazione fu l’introduzione della picca. La cavalleria non aveva
nessuna possibilità di successo davanti a un quadrato di picche che non si limitava a tenere la
posizione ma poteva effettuare movimenti offensivi senza perdere coerenza, contrariamente
agli improvvisati lancieri medievali.
La rivoluzione dell’artiglieria prende il via dall'inizio del quattordicesimo secolo,
quando i cannoni iniziano ad affiancare le macchine d’assedio medievali, e si conclude verso
la metà del secolo successivo, quando le artiglierie sono ormai in grado di abbattere le difese
dei più poderosi castelli medievali. La fabbricazione dei cannoni continuò ad accumulare
progressi tecnici per tutto il periodo, con una punta di innovazioni cruciali tra il 1400 e il
1430. Tali progressi consistevano in una profonda innovazione del progetto dei cannoni, nel
cambiamento delle tecniche di ricarica e nella formulazione e fabbricazione della polvere da
sparo.
Favoriti da un generale aumento della produzione di ferro di Europa, i costruttori
iniziarono a produrre pezzi con canne di lunghezza maggiore, aumentando così precisione,
gittata e potenza. I pezzi risultavano inoltre più semplici da ricaricare, aumentando così la
frequenza di tiro. Allo stesso tempo avvenne un altro importante cambiamento correlato, nella
fabbricazione della polvere da sparo. Intorno al quindicesimo secolo le ricette per la
fabbricazione della polvere arrivarono vicine ad individuare la corretta proporzione di
salnitro, zolfo e carbone mentre si diffondeva la pratica di conservare la polvere in grani. I
grani di polvere risultavano superiore alla cosiddetta polvere serpentina, i cui componenti
tendevano a separarsi, sia perché si conservava indefinitamente sia perché, bruciando
rapidamente, aumentava la potenza esplosiva di ogni colpo sparato. 75 Così, tra il 1400 e il
1430, un'intera serie di innovazioni interconnesse ha sinergicamente migliorato la potenza e
l'efficienza dell'artiglieria. Per Barbero l’Europa tre e quattrocentesca offre sotto questo
74
Barbero Alessandro, La guerra in Europa, Op. cit. , p. 8.
Chase Kenneth, Armi da fuoco. Una storia globale fino al 1700, Libreria Editrice Goriziana, Gorizia, 2009, p.
111.
75
31
profilo l’esempio di una civiltà che ha conquistato una nuova tecnologia, ma è appena
all’inizio del lungo cammino necessario per sfruttarla efficacemente. I primi tentativi di
impiegare armi portatili in combattimento rimasero isolati e non cambiarono l’andamento
delle battaglie campali. Più promettente era l’uso delle artiglierie da assedio.76
L'idea che l'introduzione della polvere da sparo abbia portato a cambiamenti radicali
nella società e nella struttura politica dell'Europa è moneta corrente del pensiero occidentale
dai tempi di Adam Smith, David Hume, Carlyle e Macaulay. Più recentemente, J. F. C. Fuller,
Ferdinand Lot e William H. McNeill hanno avanzato argomenti simili. Le confutazioni sono
numerose ma la logica dell'argomento è tanto potente quanto semplice. Un punto di partenza è
quello dei costi elevati dell’artiglieria. «As early as 1442, the French government was
spending more than twice as much on its artillery train as it spent on more traditional war
materiel». 77 Solo i governi dei grandi Stati potevano permettersi di acquisire e mantenere
grandi treni di artiglieria: i loro sudditi e i loro vicini più piccoli non riuscivano a tenere il
passo.
In guerra la tattica offensiva prendeva per almeno un secolo il sopravvento su quella
difensiva, minando la capacità dei piccoli poteri locali di resistere alle forze centralizzatrici:
gli Stati più piccoli e le regioni autonome vennero progressivamente inglobate dai vicini.
Questo creò una sorta di ciclo di auto-rafforzamento, almeno fino all’introduzione della trace
italienne: i Governi centrali usarono i loro parchi di cannoni e i grandi eserciti per rafforzare
la presa sulle aree periferiche o espandersi a spese dei vicini. Si determinava così un aumento
delle entrate fiscali, che permetteva di disporre di più truppe e artiglieria e al contempo
aumentare ulteriormente la centralizzazione e le entrate fiscali. McNeill ha stimato che tra il
1450 e il 1500 le entrate fiscali dei Governi dell’Europa occidentale raddoppiarono in termini
reali.78
Nell’affrontare dal punto di vista concettuale il tema della “Rivoluzione”, Clifford
Rogers, prende dunque come punto di partenza il quindicesimo secolo ma riconosce che le
innovazioni procedettero fino alla Rivoluzione Industriale. Il «macro parassita militare
europeo» divenne la forza armata più efficace che il mondo avesse mai conosciuto prima e
questo stravolgimento dell’arte della guerra svolse un ruolo cruciale nell'ascesa dell'Occidente
76
Barbero Alessandro, La guerra in Europa, Op. cit. , p. 10.
Clifford J. Rogers, The Military Revolutions of the Hundred Years’ War, Op. cit. , p. 272.
78
McNeill William H. , The Pursuit of Power: Technology, Armed Force, and Society since A. D. 1000,
University of Chicago Press, Chicago, 1982, p. 105.
77
32
al dominio globale.
79
Ma questo processo copre un arco di mezzo millennio, un periodo
talmente lungo da rendere difficile parlare di rivoluzione. «The concept of “revolution” in
history is a flexible one, flexible enough to encompass phenomena as diverse as the Glorious,
French, Copernican, and Industrial revolutions. In each case, though, “revolution” refers to a
rapid reversal in the state of affairs. The length of time involved can range from a year to a
century, depending on the scope of the (-). Furthermore, a revolution – however extended –
must be in essence a single change, from state X to state Y, from front to back or top to
bottom.»80 Per questo è più corretto dire che tra 1300 e 1800 l’Europa ha visto non una ma
una serie di diverse Rivoluzioni Militari.
L’autore riprende da Stephen Jay Gould e Niles Eldredge il modello evolutivo
cosiddetto de "l'equilibrio punteggiato": una concezione dell'evoluzione che combina i
cambiamenti incrementali e quelli rivoluzionari. Dopo un lungo periodo di quasi stasi, la
fanteria iniziò a evolversi molto rapidamente intorno all'inizio del quattordicesimo secolo.
L’artiglieria è apparsa all'incirca in quel periodo, si è evoluta ad un ritmo incrementale per
circa un secolo, poi in pochi decenni ha rivoluzionato la guerra in Europa. Le fortificazioni di
artiglieria cominciarono a svilupparsi all'incirca nello stesso momento in cui l'artiglieria
rinascimentale raggiunse l’apice della sua capacità.
Potremmo continuare questa lista con i cambiamenti all'interno dei sistemi militari
europei del diciassettesimo secolo descritti da Jeremy Black, poi dei cambiamenti del periodo
rivoluzionario francese e della guerra industrializzata. «Once the process of punctuated
equilibrium evolution in the European craft of war got started, it never stopped.»81
1. 6 La questione cronologica.
«Le periodizzazioni si sa sono tutte contestabili. Da un punto di vista puramente tecnico,
l’introduzione delle armi da fuoco ha costituito senza dubbio una grossa rivoluzione che
qualcuno si stupirà di vedere qui in apparenza (-) riassorbita in una sorta di continuum, mentre
si è ritenuto d’individuare un più sicuro spartiacque nel concetto giacobino di guerra di popolo e
79
In Plagues and People, William H. McNeill esplora l'impatto delle malattie infettive sul genere umano nei
tempi antichi e moderni. Nel suo studio propone un curioso confronto tra i microparassiti e ciò che lui definisce
“macroparassiti”. I microparassiti sono gli organismi estranei all'interno del corpo che causano la malattia. I
macroparassiti sono esseri umani che nelle loro varie attività sociali, economiche e militari rendono possibili
quelle condizioni in cui i microparassiti possono crescere e diffondere le malattie.
80
Clifford J. Rogers, The Military Revolutions of the Hundred Years’ War, Op. cit. , p. 276.
81
Clifford J. Rogers, The Military Revolutions of the Hundred Years’ War, Op. cit. , p. 276.
33
nell’avviamento delle guerre politiche, presupposti l’uno e l’altro della guerra totale del XX
secolo.»82
Questa stringata introduzione di alcuni dei contributi maggiori al tema della Rivoluzione
Militare ci permette di dare una sintesi alla questione temporale del problema. Che l’Età
Moderna abbia visto un cambiamento militare rivoluzionario è il dato accettato da tutti gli
storici ma, come abbiamo introdotto e vedremo anche nei paragrafi successivi, non c’è un
accordo su quale o quali cambiamenti siano stati determinanti e se si siano svolti come rotture
o come cambiamenti graduali. Ai fini del raffronto che svolgeremo nella seconda parte del
testo bisogna però tirare le somme delle possibili soluzioni per restringere l’arco temporale e i
temi da comparare con lo sviluppo militare dell’Estremo Oriente. Adotteremo quindi una
prospettiva ampia che coinvolge l’intera Età Moderna con un periodo che va dalla fine della
Guerra dei Trent’anni all’avvio della Rivoluzione Francese. I limiti di questo periodo sono
dati dalle evoluzioni individuate da Clifford Rogers che distinguono nettamente la guerra dei
Cent’anni dalle precedenti medievali e che si sviluppano per tutta l’era successiva: la guerra
basata su combattenti professionisti, la rivoluzione dell’artiglieria e la rivoluzione della
fanteria.
Il limite opposto segna invece l'esaurimento di queste tendenze con l’affermarsi degli
eserciti basati sulla coscrizione universale e l’introduzione degli armamenti prodotti
industrialmente che conseguono alla Rivoluzione Francese e alla contemporanea Rivoluzione
Industriale, Fenomeni che in parte evolvono dalle esperienze dei secoli passati ma che
contemporaneamente costituiscono uno sconvolgimento politico ed economico tale da
distinguere nettamente il fenomeno bellico del diciannovesimo secolo da quello dell'era
precedente.
Vista la lunghezza del periodo considerato ha senso la proposta di Black di suddividerla in
due grandi periodi, divisi abbastanza nettamente dalla fine della Guerra dei Trent’anni e
distinti fondamentalmente dal livello di coinvolgimento dello Stato nell’organizzazione delle
sue forze armate. La prima fase è caratterizzata da una profonda instabilità dei numeri e delle
strutture di comando delle forze armate e dell’assoluta prevalenza del modello
dell’imprenditoria militare, per cui l’intero ciclo di reclutamento e rifornimento delle truppe
era dato in appalto a investitori privati.83 La seconda vede una tendenza alla standardizzazione
82
Cardini Franco, Quell'antica festa crudele. Guerra e cultura della guerra, dal Medioevo alla Rivoluzione
Francese, Mondadori, Milano, 1997, p. 441.
83
Parrott David, The Business of War: Military Enterprise and Military Revolution in Early Modern Europe,
Cambridge University Press, Cambridge, 2012.
34
di armi e tattiche e al controllo diretto da parte dello Stato, che portano alla creazione di un
nucleo permanente dell’esercito anche se permane una gran differenza tra i numero delle forze
militari in tempo di guerra e in tempo di pace.
All’interno di questi due periodi si situano le varie Rivoluzioni Militari individuate dagli
autori di cui sopra: la rivoluzione del professionismo militare, la rivoluzione dell’artiglieria, la
rivoluzione della fanteria, la rivoluzione della trace italienne, la rivoluzione della tattica
lineare, la rivoluzione amministrativa più altri fenomeni che vedremo come la logistica e
l’evoluzione della mentalità e della condizione dei militari.
1. 7 Il problema delle fortificazioni.
Per la tesi di Parker le fortificazioni moderne, la trace italienne, sono un argomento
centrale. Il loro sviluppo avrebbe moltiplicato i costi, influenzato la dinamica attacco-difesa,
favorito la centralizzazione e spinto ad una crescita esponenziale degli effettivi. Difficilmente
si può negare l’importanza della trace italienne nel plasmare la guerra in Età Moderna, ma
una lettura troppo riduttiva del fenomeno si scontra con varie prove che ne riducono
l’influenza. Il costo delle fortificazioni è stato, in alcuni casi, additato come principale
responsabile dell’aumento dei costi della guerra, capace di rafforzare gli Stati maggiori a
svantaggio delle piccole potenze europee. Per contro il fatto che questi costi di costruzione e
mantenimento fossero la principale fonte di spesa militare è contestato da vari storici. I costi
delle fortificazioni potevano essere distribuiti su un orizzonte temporale lungo e in parte
scaricati sulle comunità locali e non erano in realtà enormemente più elevati di quelli
impiegati per mantenere le fortificazioni medievali. L’artiglieria certo aveva un costo
notevole e in effetti i costi dell’artiglieria delle guarnigioni sommata a quella navale, superava
di molte volte i costi dell’artiglieria campale.
Tuttavia l’aumento dei costi per le armi fu totale, non unitario, rispetto all’epoca
precedente all’uso dell'artiglieria.
84
Gli aumenti dei costi per navi, fortezze e artiglierie
impallidiscono di fronte alle cifre spese per stipendiare i soldati e l’enorme e conseguente
numero di ufficiali e sottufficiali necessari a gestirli. Per Adams il costo dei cambiamenti
tattici e tecnologici non aumentò il costo unitario medio di un effettivo, rispetto all’età
feudale, di oltre il 50%, e non contribuì per più di un sesto all’aumento reale delle spese
militari tra 1500 e diciottesimo secolo. Tutto il resto è rappresentato dal costo degli effettivi
84
Adams Simon, Tactics or Politics? 'The Military Revolution' and the Habsburg Hegemony, 1525–1648, in
Rogers, Clifford J. , The Military Revolution Debate, Op. cit. , p. 280.
35
aggiunti alle guarnigioni, alle armate e dalle navi aggiunte alle flotte.
85
Se appunto le
fortificazioni non avevano un costo proibitivo, la loro costruzione era alla portata anche di
Stati minori, indebolendo così l’idea che la trace italienne abbia favorito solo le grandi
potenze. Il loro costo poteva essere distribuito su anni, se non decenni, mentre un'armata
costava denaro contante o prestiti che non potevano essere rimandati.
Piccoli Stati potevano creare un intero sistema di fortificazioni tale da coprire tutti i
punti strategici del territorio. Un esempio è l’insieme delle fortificazioni di Mantova e Casale,
che costituivano “l’assicurazione sulla vita” per il piccolo dominio dei Gonzaga e che con
l’aiuto francese resistettero a due imponenti assedi spagnoli. Questo non era però un esempio
isolato visto che la corsa alle fortificazioni in Italia nel diciassettesimo secolo aveva ridotto il
vantaggio degli Stati principeschi sulle più piccole città Stato e, conseguentemente, delle
potenze straniere sugli Stati italiani. In effetti durante la Guerra dei Trent’anni il Piemonte
non riuscì a conquistare Genova, né la Spagna ad annettersi il Monferrato.86
Nel resto d'Europa si trovano altri esempi di ricorso alle fortificazioni per annullare il
vantaggio di avversari militarmente più forti: le Province Unite contro gli Asburgo, gli
ugonotti francesi contro la Monarchia e i piccoli Stati e città della Germania contro l’Impero.
Potentati che misero la trace italienne al centro delle loro strategie. La fortificazione però non
garantiva da sola la sopravvivenza, tanto che gli Stati che non coltivavano attente alleanze
vennero schiacciati. La situazione del diciassettesimo secolo cambiava così radicalmente
rispetto ai due precedenti. 87
In diverse aree le fortificazioni erano strutturate in teoria secondo i dettami della trace
italienne ma poi adattate alle condizioni geografiche e sociali locali, influenzando così le
strategie belliche. Ad esempio nei Paesi Bassi le fortificazioni erano progettate in stile italiano
ma erano interamente realizzate in terra e la maggior parte di loro incorporavano corsi
d’acqua. Un sistema vantaggioso per piccole città che evitavano di rischiare la sorte di Siena,
città che avendo scommesso su un elaborato e costoso sistema di fortificazioni sull’intero
territorio era stata poi conquistata prima di riuscire a completarle. 88
Adams fa notare come le fortezze fossero ben viste dai governi dei piccoli Stati, nella
speranza che costituissero un sistema di difesa più economico di quello di mantenere grandi
85
Adams Simon, Tactics or Politics? Op. cit. , p. 282.
Arnold F. Thomas, Fortifications and the Military Revolution: The Gonzaga Experience, 1530-1630 in Rogers
Clifford, The Military Revolution Debate, Op. cit. , p. 221.
87
Arnold F. Thomas, Fortifications and the Military Revolution: The Gonzaga Experience, 1530-1630 in Rogers
Clifford, The Military Revolution Debate, Op. cit. , p., p. 222.
88
Pepper Simon, Adams Nicholas, Firearms & Fortifications: Military Architecture and Siege Warfare in
Sixteenth-Century Siena, University of Chicago Press, Chicago, 1986, p. 30.
86
36
eserciti in campo. Tuttavia è anche vero che se le fortificazioni richiedevano tempo e denaro
per essere conquistate, uno Stato che non fosse riuscito a schierare anche delle forze in campo
rischiava di vedersi isolare e conquistare le piazzeforti una dopo l’altra. «The bleeding of field
armies was a consequence of the need to maintain both garrison and the necessary mobile
forces.»89 A questo va aggiunto il fatto, spesso sottovalutato, che le truppe di guarnigione
costituivano l’unica forza che i regnanti potevano utilizzare con funzioni di polizia per
controllare le popolazioni.
La questione della crescita degli effettivi, cioè se questa dipendesse più dalla crescita
delle fortificazioni che dall’aumento delle forze in campo, è spinosa. Nella tesi di Parker, le
innovazioni nell'architettura militare hanno imposto agli Stati europei di reclutare eserciti più
grandi e la sfida di mantenere quelle forze ha costretto all'adozione dell'assolutismo.
Christopher Duffy, che ha dedicato tre importanti libri allo studio delle fortificazioni
moderne, ha invece suggerito che le evidenze storiche sono troppe frammentarie e
contraddittorie sui numeri di soldati impegnati nelle guarnigioni e negli assedi per poter
sostenere questa conclusione. J. R. Hale ha sostenuto che «a five-pointed star was highly
commended for the design of sixteenth century forts and citadels as being the cheapest and
most practical way of enclosing a space which could be defended by a small garrison.»90 Ci
furono assedi che coinvolsero un numero elevatissimo di truppe di guarnigione, ma queste
non riflettono le dimensioni ordinarie molto contenute.
Anche per Lynn, la crescita numerica degli eserciti ha giocato un ruolo cruciale nella
formazione dello Stato Moderno, ma non è d'accordo con l'enfasi posta da Parker sul ruolo
delle fortezze. Per supportare la sua tesi Lynn esamina diversi elementi della guerra d'assedio:
(1) la geometria della trace italienne, (2) la lunghezza delle linee di circonvallazione, (3) la
dimensione delle forze contrapposte, (4) il costo degli assedi in tempo e vittime, (5) il numero
di assedi intrapresi, (6) le proporzioni delle forze di soccorso e di osservazione (7) la quantità
di truppe assegnate al servizio di guarnigione. Le fortificazioni non possedevano una
particolare invulnerabilità: un assediante determinato riusciva generalmente a conquistare la
fortezza assediata. Il grande vantaggio della loro intricata geometria era quello di infliggere
un costo enorme in termini di tempo, denaro e perdite umane all’assediante.
Per Parker gli eserciti aumentavano gli effettivi perché erano necessarie più truppe per
occupare le linee di trincea che circondano una città assediata. Per Lynn era la gittata
dell’artiglieria difensiva, non l’estensione della fortezza, che determinava la distanza iniziale
89
90
Adams Tactics or politics? Op. cit. , p. 260.
Hale John Rigby, Renaissance Fortification: Art or Engineering?, Thames and Hudson, Londra, 1977, p. 45.
37
per scavare la prima linea di circonvallazione e quindi l'estensione delle linee degli assedianti.
È anche discutibile affermare che le forze impegnate nella difesa e nell’attacco siano
aumentate particolarmente. Nel caso francese studiato da Lynn, tra il 1445 e il 1715 vennero
schierati eserciti della stessa dimensione per tutto il periodo. Vauban stabilì le dimensioni
minime di una forza d'attacco alla fine del diciassettesimo secolo a 20.000 uomini, ma si era
già raggiunta questa consistenza alla fine del quindicesimo secolo. Raramente i francesi
condussero contemporaneamente più assedi in diversi teatri di guerra e col passare del tempo,
sia le fortezze che le tecniche d'assedio migliorarono e le forze richieste diminuirono.
L’aspetto della guerra d’assedio che realmente si evolvette fu la crescente importanza
delle forze di soccorso e di osservazione. Gli eserciti di soccorso cercavano di interrompere
gli assedi mentre gli eserciti di osservazione davano copertura alle truppe impegnate in
operazioni di assedio e respingevano le forze di soccorso. Questo fatto sembra dare ragione a
Parker: questi eserciti costituivano una parte delle forze impegnate nella guerra di posizione.
Lynn si contrappone a questa interpretazione e propone una spiegazione più complessa. Le
forze di soccorso e di osservazione non erano coinvolte nell’assedio: poiché non occupavano
né la fortezza né le trincee, le loro dimensioni non potevano essere dettate dalle caratteristiche
tecniche della trace italienne ma derivano piuttosto dall’espansione delle armate in generale e
dal fatto che un esercito in campo non aveva altra scelta che essere coinvolto in un assedio per
prendere il controllo del territorio.
La centralità della fortezza derivava dal contesto politico del diciassettesimo secolo: le
fortezze erano le chiavi per il controllo del territorio e questo moltiplicava gli assedi. Gli
assedi maggiori erano come calamite che attiravano vari eserciti di manovra e rendevano più
probabili le battaglie campali. Per Lynn in definitiva non fu la guerra d’assedio a richiedere
l’espansione numerica delle armate ma l’aumento di queste ultime a renderla possibile.
Un’altra possibilità, che vede Lynn concordare con Parker, è quella che l’aumento delle
dimensioni dell'esercito sia stata sospinta dalla necessità di presidiare la frontiera dei vari
Paesi.
Rispetto a Parker, Lynn propone un modello alternativo basato sullo sviluppo
demografico ed economico. Sempre con riferimento al caso francese, l’esercito rimase
all'incirca delle stesse dimensioni dal 1445 al 1635. Durante questi due secoli, l'Europa
recuperò la popolazione persa per la peste nel tardo Medioevo e la ricchezza mercantile e
finanziaria dell'Europa si espanse. Questo contesto di recupero demografico ed economico
38
aiuta a contestualizzare le tesi di Parker e i numeri di effettivi delle fortezze dell’epoca. 91
Quindi Parker ha esagerato nell’attribuire la Rivoluzione Militare ad un singolo elemento. La
trace italienne è stata piuttosto un singolo componente tra i molti che trasformarono la guerra.
Per tornare al modello di rivoluzione di Kuhn, l'Europa moderna ha sperimentato una
serie di cambiamenti di paradigma in vari aspetti del pensiero militare e politico. Nessun
fattore da solo o area singola ha portato alla rivoluzione. In effetti, la trasformazione militare
ha assunto proporzioni rivoluzionarie a causa della natura disparata e dispersa dei suoi
elementi costitutivi.
1. 8 I costi della guerra e la creazione dello Stato Moderno.
La Rivoluzione Militare generò un aumento egualmente rivoluzionario dei costi della
guerra, contribuendo alla creazione dello Stato Nazione. Per tutta l’Età Moderna i bilanci
degli Stati europei furono essenzialmente bilanci militari, con scarse risorse dedicate alle
Corti, all’amministrazione e al mecenatismo. Per gli storici della Rivoluzione Militare e i
sociologi storici sulla scia di Schumpeter e di Charles Tilly, lo Stato e l’apparato militare si
rafforzarono a vicenda. «La struttura statale europea appariva principalmente come
sottoprodotto degli sforzi dei governanti per acquisire i mezzi di guerra.»92
A causa degli sviluppi dell’artiglieria, delle fortificazioni e degli eserciti professionali di
fanteria gli Stati europei dovevano reperire risorse sempre più ingenti per finanziare i costi
della guerra, determinando così la crescita della tassazione e dell’amministrazione
centralizzata a scapito della distribuzione dispersa del potere tipica del Medioevo. La
ricchezza statale veniva spesa in forze armate professioniste capaci di vincere le resistenze
degli stati più piccoli, dei poteri locali e delle classi subalterne in un ciclo di autorafforzamento dello Stato. 93
La sola coercizione non basta però a spiegare il successo dello Stato fiscale militare. Il
suo trionfo si basò molto sulla capacità di coinvolgere élite e gruppi subalterni in un nuovo
rapporto con l’autorità centrale che richiedeva maggiori risorse ma poteva impiegarle con
migliori risultati, non solo in campo militare. Lo sviluppo di un'organizzazione militare statale
91
Lynn John A. , The trace italienne and the Growth of Armies: The French Case in Rogers Clifford, The
Military Revolution Debate, Op. cit. , pp. 297-330.
92
Tilly Charles, Coercion, Capital, and European States, AD 990-1990, Oxford University Press, Oxford, 1990,
p. 14.
93
Tilly Charles, Le rivoluzioni europee 1492-1992, Laterza, Bari, 2002, p. 45-55.
39
permanente trasformò quindi sia la guerra che l’amministrazione e costituì una precondizione
fondamentale per il decollo economico, l’urbanizzazione e la nascita della società moderna.94
Il modello è lineare e si adatta a spiegare diverse situazioni anche se vari studiosi hanno
evidenziato come pecchi di riduzionismo. L’aumento dei costi per il mantenimento degli
eserciti e il processo di rafforzamento dello Stato per via della Rivoluzione Militare non
sarebbero stati dei processi né lineari né irresistibili e hanno avuto in diversi casi effetti
paradossali per alcuni Paesi europei. Il punto di partenza della riflessione è la diversa
distribuzione di costi della guerra rispetto al Medioevo, dove il costo finanziario e sociale
della guerra era disperso tra una miriade di poteri e classi sociali.
In Età Moderna la gestione della violenza viene progressivamente centralizzata e i
poteri locali perdono la gestione delle proprie forze armate. Da un lato i Governi si trovarono
a gestire interamente la spesa per la difesa del territorio, aumentando esponenzialmente
l’estrazione fiscale. Dall’altro non diminuì il costo per la società che restava esposta al
flagello dei saccheggi e delle contribuzioni forzate che le continue campagne militari
imponevano. Lo scontro militare poteva mirare alla conquista dei territori come pure alla
devastazione e al saccheggio per terra o per mare e richiedere forze regolari e irregolari anche
su vasta scala, come prova il vasto ricorso alla guerra di corsa fino al diciottesimo secolo. Le
campagne di conquista condotte lontano dalle proprie basi richiedevano lo sviluppo di un
apparato amministrativo moderno mentre il mantenimento di forze per la difesa nazionale
poteva essere sostenuto anche contrattando con i centri di potere locali e devolvendo gli
funzioni fiscali e amministrative.95 L’arruolamento affidato ai privati e la devoluzione fiscale
riducevano la necessità di mantenere ampi apparati amministrativi. Si può affermare quindi
che lo sviluppo dello Stato militare-fiscale non sia stato un processo né naturale né
irresistibile e sia stato fortemente legato al tipo di conflitto che gli Stati si sono trovati a
combattere.96
Gli esempi indicano piuttosto che a seconda della situazione gli Stati potevano avviare
un processo di centralizzazione o di disgregazione interna. La Spagna è un chiaro esempio di
questa tendenza. Maggior potenza europea per un secolo e mezzo, soffrì un costo finanziario
altissimo per la “iperestensione imperiale” senza riuscire a creare niente di simile a una
amministrazione moderna e finendo la sua parabola di potenza con uno Stato centrale più
94
Glete Jan, War and the State in Early Modern Europe: Spain, the Dutch Republic and Sweden as FiscalMilitary States, 1500–1660, Routledge, Abingdon, 2001, pp. 213-217.
95
Thompson I. A. A. , "Money, Money, and Yet More Money!" Finance, the Fiscal-State, and the Military
Revolution: Spain 1500-1650 in Rogers Clifford, The Military Revolution Debate, Op. cit. , p. 290.
96
McNeill William H. , The Pursuit of Power: Technology, Armed Force, and Society since A. D. 1000,
University of Chicago Press, Chicago, 1982, pp. 103-106.
40
debole della media europea. 97 «In neither instance is the notion of an ascending cycle of
coercion particularly useful explanatory model of state building. The effective extractive
potential of coercion was not very high in early modern societies, nor was extraction in
practice much applied to domestic coercion and tax enforcement, at least in Spain» 98
La Spagna soffrì per un aumento esponenziale delle spese militari in una serie di
periodi precisi corrispondenti ai maggiori conflitti: 1530-1550, 1570-1590, 1620-1640. In
ciascuna di queste occasioni gli Asburgo si trovarono impreparati e dovettero ricorrere ad
espedienti finanziari che condizionarono pesantemente la loro condotta nei periodi successivi.
Lo stato di guerra praticamente incessante impedì inoltre di razionalizzare e ammortizzare il
costo del ricorso all’indebitamento. Tuttavia, fino a che la situazione economica della
Castiglia fu favorevole, l’asse con il capitalismo finanziario genovese solida e l’autorità della
monarchia salda fu possibile continuare a ricorrere ai prestiti, con impegni molto al di là della
capacità degli Asburgo di pagare.99
Solo nel diciassettesimo secolo l’equilibrio si ruppe irrimediabilmente. Da un lato
avvenne un definitivo declassamento economico della Spagna, dall’altro si completò la
perdita di prestigio della monarchia, che obbligò le autorità a tentare l’estrazione autoritaria
delle risorse dai territori iberici causando la secessione del Portogallo e una costosa ribellione
della Catalogna. Fallito questo tentativo le finanze spagnole collassarono definitivamente.
Quindi la vicenda dell’egemonia spagnola, durata quasi 150 anni, mostra come
paradossalmente una situazione di guerra protratta abbia in definitiva impedito l’affermarsi
dell’Assolutismo. Altri Stati come l'Inghilterra, la Svezia e le Province Unite ottennero un
diverso risultato dosando la propria partecipazione ai conflitti europei o estraendo le risorse
necessarie durante le campagne. L’Impero spagnolo, trovandosi invece a combattere lunghe
guerre di logoramento, finì invece per non riuscire a sviluppare niente di simile a una
moderna amministrazione e un sistema di tassazione. Dovette ricorrere così a espedienti
finanziari e di devoluzione del potere che lo resero incapace di partecipare alla rivoluzione
amministrativa, che caratterizzò la seconda fase della Rivoluzione Militare. 100
Anche per questa seconda fase della Rivoluzione Militare non si può sottovalutare la
distanza tra quelli che erano i bisogni dell’esercito e la ridotta capacità statale di soddisfarli.
Lo Stato che ebbe maggior successo in questa fase, la Francia borbonica, non fu mai
97
Kennedy Paul, Ascesa e declino delle grandi potenze, Garzanti Libri, Milano, 1999.
Thompson I. A. A. , "Money, Money, and Yet More Money!", Op. cit. , p. 290.
99
Braudel Fernand, Civiltà materiale, economia e capitalismo (Secoli XV-XVIII), Einaudi, Torino, 1982.
100
Thomspon I. A. A. , Castile: polity, fiscality and fiscal crisis, in Hoffman Philip, Norberg Kathryn, Fiscal
crisi, liberty and representative government, Stanford University Press, Palo Alto, 1994, pp. 160-169.
98
41
pienamente in grado di pagare il proprio enorme esercito: le tasse regolari e straordinarie non
erano mai sufficienti a mantenere le truppe. Prima del 1659 la spesa militare ufficiale fu
integrata dalla confisca violenta principalmente all'interno dei confini francesi. Questo
sequestro di beni entro i confini della Francia è stato etichettato da Lynn come “la tassa della
violenza”, dal carattere così sistematico da doversi considerare una questione di
amministrazione piuttosto che di disciplina.101
L’eliminazione o meglio la trasformazione di questa pratica passa per il regno di Luigi
XIV: per iniziativa del re l'incidenza e l'intensità degli abusi scesero a tal punto da ridurre il
problema a questione disciplinare. Questo tuttavia non significava che lo Stato avesse
finalmente risorse. La tassa della violenza si trasformò nella politica dei contributi, pagamenti
richiesti alle comunità straniere nemiche e neutrali interessate dal conflitto in cambio della
protezione dai saccheggi. Al culmine di uno sforzo bellico, i contributi hanno probabilmente
ammontato a qualcosa come il 25% circa del costo della guerra sul continente.102
Il fatto che Il Re Sole abbia aumentato le sue forze e bandito la requisizione violenta
dimostra che amministrazione e burocrazia avevano compiuto grandi progressi. Il fenomeno è
comune alle altre potenze continentali come l’Austria, la Russia e la Prussia. Tuttavia anche
se i governi degli Stati Assolutisti avevano aumentato le loro capacità di sostenere l’esercito
non riuscivano ancora a pagare l'intero fardello della guerra con le entrate fiscali e il credito.
Nel cercare di far fronte alle spese, la maggior parte degli Stati Moderni si rivolgeva a
qualsiasi espediente: dal prendere a prestito le tasse future alla manipolazione del credito, fino
a richiedere agli ufficiali di spendere il proprio denaro a sostegno delle loro unità. Il
fallimento della monarchia nell’impossessarsi della ricchezza dei francesi per combattere le
sue guerre, espresso nel suo crescente debito pubblico, arrivò a causare la caduta dei Borboni.
103
In parte diverso fu il percorso dei Paesi Europei che rappresentavano il centro
dell’attività finanziaria e in cui si esercitava qualche forma di rappresentanza politica:
Provincie Unite e Inghilterra. La limitazione dell’arbitrarietà del prelievo fiscale unita alla
possibilità di attingere ai mercati finanziari di Amsterdam e Londra resero possibile finanziare
le attività belliche a tassi d’interesse più convenienti di molti dei loro contendenti. 104
L’impegno al pagamento degli interessi e alla restituzione del capitale rese allettante
101
Lynn John A. , How War Fed War: The Tax of Violence and Contributions during the Grand Siècle, The
Journal of Modern History, vol. 65, no. 2 (Jun. , 1993), p. 288.
102
Lynn John A. , How War Fed War, Op. cit. , p. 306.
103
Cardini Franco, Quell'antica festa crudele. Guerra e cultura della guerra dal Medioevo alla Rivoluzione
Francese, Mondadori, Milano, 1997, pp. 274-280.
104
Tilly Charles, Le rivoluzioni europee, Op. cit. p. 109.
42
l’investimento, allontanando la possibilità di bancarotta. Progressivamente il principio
dell’importanza del mantenimento della credibilità e solvibilità del Paese penetrò
nell’amministrazione permeando le nuove istituzioni, vedi la Banca d’Inghilterra, create per
governare la finanza pubblica. L’elemento immateriale della fiducia rese così possibile un
impegno finanziario superiore a quello di Paesi dalla ricchezza simile, favorendo la difesa
delle Province Unite e le vittorie inglesi nei lunghi conflitti con la Francia.
1. 9 La crescita degli effettivi e il problema della professionalizzazione.
L’analisi delle questioni delle fortificazioni e dei costi della guerra ha evidenziato
come uno dei temi di maggior rilievo della Rivoluzione Militare è quello della crescita degli
effettivi delle armate in campo e del totale dell’esercito. Questa è una chiara tendenza per
tutta l’Età Moderna ma il processo non è risultato né lineare né chiaro da spiegare.
Simon Adams mette in guardia sulla grande difficoltà nello stabilire con precisione
quanti fossero i componenti delle forze armate in generale e quanti negli eserciti in campo,
particolarmente lungo il Secolo di Ferro. Con qualche cautela si può indicare che nel
diciassettesimo secolo le forze militari sul campo non fossero aumentate rispetto al secolo
precedente, oscillando per le battaglie maggiori tra i 20 e i 40.000 uomini.
105
Quindi le
armate dei vari contendenti crebbero di numero ma senza che questo influisse sulle
dimensioni dell’esercito in campo e sulla portata delle campagne militari. «The disparity
beetween the strategie ambition of governents and their abilities to realize them reached a
dramatic peak» 106 Questo spiega l’andamento altalenante ed estenuante della Guerra dei
Trent'anni, specialmente al raffronto con il periodo successivo, dominato dalle guerre di Luigi
XIV. Per Adams l’estensione geografica del conflitto fece crescere il numero complessivo
degli effettivi, non l’inverso. La guerra non conobbe grandi sviluppi tecnologici e le tattiche
furono più variazioni di pratiche conosciute che grandi innovazioni. L’attrito fortissimo che
logorava gli eserciti e il fatto che le forze in campo fossero limitate non concedeva a nessuno
dei contendenti, esposti su troppi fronti, un vantaggio decisivo.
Lynn mette in guardia dal lanciarsi in affermazioni assolute sui numeri relativi alla
crescita degli eserciti in Europa nell’Età Moderna. Nell’età precedente allo sviluppo delle
burocrazie centralizzate i dati numerici sono estremamente frammentari e discutibili e queste
riflessioni pongono insidie tecniche e concettuali. La fluidità di truppe provenienti da vari tipi
105
106
Adams Simon, Tactics or Politics?, Op. cit. , p. 255.
Adams Simon, Tactics or Politics?, Op. cit. , p. 258.
43
di reclutamento, dai mercenari alle milizie, e il vasto ricorso all’imprenditoria privata nella
guerra sia terrestre che navale, rendono complesso anche concettualmente stabilire chi debba
essere contato nelle forze armate, rendendo in definitiva complesso indicare quale periodo
abbia costituito la svolta in termini numerici e favorendo interpretazioni.
Per Lynn, una valutazione delle dimensioni degli eserciti in Età Moderna richiede una
metodologia che chiarisca cosa deve essere contato e il tipo di fonti da impiegare. La prima
differenza da tenere a mente è quella tra una forza in campo e l'intero esercito di uno Stato.
Poi bisogna chiarire che debba essere considerato parte di un esercito. Le milizie provinciali
presidiavano il territorio ma non erano supportate dalla monarchia. Tuttavia, i miliziani che
spesso servivano al fronte nei propri battaglioni andrebbero conteggiati con l’esercito. I non
combattenti che viaggiano con l'esercito rappresentano un altro problema. Anche se non si
contano mercati e prostitute al seguito esisteva un enorme numero di civili addetti alla
logistica e ai servizi.
Nel valutare i numeri delle truppe, è anche importante distinguere il periodo in cui le
unità venivano conteggiate. Bisogna differenziare tempo di pace e tempo di guerra, perché nei
diversi periodi le truppe differivano per composizione e dimensioni: gli effettivi in guerra
erano almeno tre volte superiori al numero di truppe mantenute tra i conflitti. Inoltre la forza
delle unità fluttuava notevolmente nel corso dell'anno: i reggimenti erano al completo a
maggio o giugno, ma le perdite in battaglia, le malattie e le diserzioni ne erodevano gli
effettivi nei mesi estivi per arrivare al minimo in inverno.107
Lynn ne dà una dimostrazione, con lo studio dell’esercito francese nel Grand Siècle.
Vari storici tendono a dividere l'espansione militare francese in due fasi. Nella prima,
Richelieu e Luigi XIII riunirono, nel 1635, un esercito almeno due volte più grande di
qualsiasi armata mai mantenuta dalla monarchia. Nella seconda fase una crescita seguì la
riforma militare e amministrativa associata a Luigi XIV, con una punta massima di 400.000
arruolati.
I sostenitori della tesi della Rivoluzione Militare hanno insistito sul fatto che la
necessità di arruolare eserciti così vasti abbia richiesto riforme amministrative agli Stati. Per
Tilly «As they fashioned an organization for making war, the king's servants inadvertently
created a centralized state. First the framework of an army, then a government built around
that framework-and in its shape». 108 A suo avviso, se è stata la necessità militare a spingere la
107
Lynn John A. , Recalculating French Army Growth During the Grand Siècle, 1610-1715 in Rogers Clifford,
The Military Revolution Debate, Op. cit. , p. 884.
108
Tilly Charles, The Contentious French, Belknap Press, Londra, 1989, p. 128.
44
struttura dello Stato, la crescita dell'esercito deve aver preceduto la riforma amministrativa.
Altri studiosi hanno rigettato però questa interpretazione. Parrot, in riferimento alla Francia,
ha sostenuto che nessuna riforma effettiva sia avvenuta sotto Richelieu: anche se
l’amministrazione produceva ordinanze e progetti di riforme questi erano quasi sempre
disattesi per soddisfare le necessità immediate. 109
La sua ricerca ha influenzato Jeremy Black, che attribuisce tutta la crescita militare
francese al regno Luigi XIV e insiste sul fatto che l'espansione militare posteriore al 1660 fu
una conseguenza dell'aumentata capacità amministrativa del Governo, non riconoscendo,
pertanto esercito e guerra come cause di cambiamenti politici ma riducendoli piuttosto a
effetti di queste ultime. 110 In questa scia si situa l'interpretazione estremista di André
Corvisier, il quale sostiene che le forze mobilitate per combattere la guerra di successione
spagnola si avvicinarono al numero di quelle arruolate dalla Francia rivoluzionaria. 111
L'esercito sotto Richelieu era almeno il 60 % più grande di qualsiasi armata reale precedente e
raddoppiò le dimensioni di qualsiasi forza mobilitata in Francia dopo il 1570. Il suo
mantenimento ordinato era impossibile: si dovette rivolgere alle risorse finanziarie degli
ufficiali, che contribuivano al mantenimento dei propri reggimenti sperando di comprare
titoli, uffici e influenza politica. La vera soluzione a questa crisi finanziaria arrivava però dai
soldati stessi, che si rifornivano con il saccheggio.112
Il caos della guerra tra Francia e Spagna si creò proprio perché l'esercito era cresciuto
in modo sostanziale, non perché non fosse cresciuto abbastanza da spingere lo Stato alle
riforme. Mentre l'espansione militare prima del 1659 era stata considerevole, quella che si
verificò dopo il 1659 fu sbalorditiva. Sulla carta gli effettivi superarono i 400.000 durante la
Guerra della Lega di Augusta mentre i livelli in tempo di pace aumentarono, con forze
oscillanti tra i 130.000 e i 150.000. Un’espansione che raggiunse limiti umani e finanziari
strutturali e non poté essere sostenuta in maniera continuativa: alla prova cruciale della Guerra
di Successione spagnola, Luigi XIV poteva infatti schierare solo 255.000 uomini, avendo
esaurito in precedenza le risorse della monarchia. Pertanto i numeri non supportano la tesi di
Corvisier secondo cui le forze raccolte sotto Luigi XIV corrispondevano a quelle arruolate nel
1794, all'apice dello sforzo di difesa della Repubblica. Al suo conteggio dei regolari,
Corvisier aggiunge forze navali, milizie borghesi e guardie costiere per ottenere un totale di
109
Parrott David, "The Administration of the French Army during the Ministry of Cardinal Richelieu" (Ph. D.
diss. , Oxford University, 1985).
110
Jeremy Black, A Military Revolution? Op. cit. p. 98.
111
Contamine Philippe, Histoire militaire de la France, vol. 1, Parigi, 1992, p. 531.
112
Lynn John A. , How War Fed War, Op. cit. , pp. 286-310.
45
600.000 uomini. Applicando le stesse regole il Governo francese arrivò a mobilitare
1.169.000 uomini alla fine dell'estate del 1794.113
L’enorme crescita numerica degli effettivi si accompagnò a profonde trasformazioni
nella composizione degli eserciti e nel loro rapporto con la società con la perdita di prestigio
sociale dei soldati e la nascita e la professionalizzazione del corpo degli ufficiali. Nel
quindicesimo secolo la professionalizzazione della guerra costituiva un'occasione di profitto e
ascesa verso la nobiltà tramite il servizio nelle compagnie reali ma già nel sedicesimo secolo
l’egemonia dei fanti fece cessare l'identificazione fra mestiere delle armi e condizione
nobiliare. Certo i nobili continuarono ad arrogarsi i ruoli di comando ma le forze di picchieri e
archibugieri erano così numerose che non avrebbero potuto essere formate da nobili. I soldati
svizzeri, lanzichenecchi e tercios spagnoli erano professionisti ben pagati, che riuscivano ad
imporre le proprie richieste di salario.114
Il soldato godeva di una condizione sociale propria, modesta ma da non confondere
con quella disperata del soldato d’Ancien Régime. Fino alla guerra dei Trent'anni rimane viva
l’idea dei soldati come professionisti della guerra, “signori soldati” legati a un codice di onore
e coraggio. 115 Con le nuove tattiche di combattimento che potevano essere rapidamente
apprese, la professione militare si inflazionò, con una progressiva riduzione delle
remunerazioni. Già nel corso del diciassettesimo secolo le paghe, i termini di servizio e
l’immagine sociale del soldato erano crollate e arruolarsi l’ultima risorsa dei più poveri.
Parallelamente la nobiltà che stava cristallizzando la sua posizione sociale nelle strutture
dell’Ancien Régime, passando dal servizio militare come obbligo feudale alla partecipazione
nel ruolo di ufficiale, più vicina a quella del funzionario che del guerriero, parte di un
meccanismo organizzato che la compensa in termini di privilegi per la perdita
dell’indipendenza.
L’ufficiale diventava l’equivalente di un funzionario del re, con tutti i privilegi
connessi. Iniziarono a diffondersi accademie e percorsi di studio ma i gradi ancora si
ottenevano attraverso favori e raccomandazioni o pagando una commissione. Intanto, nel
corso del diciottesimo secolo la condizione del soldato crollò ai minimi termini, più vicina a
quella di un forzato che a quella di un professionista. La disciplina feroce, la segregazione in
caserma e le condizioni capestro per l’ingaggio rendevano la truppa una sorta di casta
113
Lynn John A. , Recalculating French Army Growth During the Grand Siècle, Op. cit. , p. 904.
Barbero Alessandro, La guerra in Europa, Op. Cit. , p. 25.
115
Cardini Franco, Quell’antica festa crudele, Op. cit. , pp. 162-202
114
46
sfortunata, temuta dalla popolazione e disprezzata dagli intellettuali. I grandi sforzi
amministrativi degli Stati di Ancien Régime non riuscivano a migliorare la condizione dei
soldati semplici, con connotazioni disumanizzanti e servili del mestiere che erano accentuate
nei Paesi, come Russia e Prussia, dove la truppa era formata dai servi della gleba.
Nonostante
gli
sforzi,
lo
Stato
non
riusciva
a
raggiungere
una
piena
professionalizzazione a causa della resistenza della nobiltà che tentava con ogni mezzo di
mantenere gli uffici di comando come una propria esclusiva, creando una costante situazione
di contrasti tra gli ufficiali di origini nobili e quelli di estrazione borghese o di nobiltà recente.
Verso la fase finale dell’Assolutismo era inoltre evidente come gli sforzi della monarchia,
specie in Francia, per controllare l’esercito e mantenerlo un’istituzione separata dalla società
fossero falliti.116
Il sistema era intrinsecamente contraddittorio. Gli eserciti non potevano continuare ad
espandersi numericamente contando solo su soldati e ufficiali professionisti. La truppa
avrebbe dovuto essere reclutata tra sudditi obbligati legalmente a servire ma non sarebbe stato
possibile assoggettarsi alle condizioni degli eserciti settecenteschi. C’era sempre più bisogno
di ufficiali e la loro preparazione formale era divenuta più importante del rango sociale, ma
l’aristocrazia - ovunque in Europa - resisteva all’ingresso dei borghesi nei ruoli di comando.
La situazione cambiò definitivamente con la Rivoluzione Francese. La leva di massa venne
accompagnata da sforzi propagandistici e pratici per motivare i cittadini al servizio militare,
aprendo almeno formalmente a tutti la possibilità di salire di grado. Diversi paesi europei,
finirono per imitare il sistema, introducendo forme di coscrizione obbligatoria. Per farlo
anch’essi dovettero concedere qualcosa ai propri contadini, abolendo in molti casi il
servaggio.
1. 10 I grandi temi della Rivoluzione Militare in Europa.
Questa panoramica di autori, tematiche e dibattiti mostra la continua vitalità della tesi
della Rivoluzione Militare e la sua utilità come strumento di analisi nel campo delle scienze
sociali. Allo stesso tempo fa emergere come la discussione rimanga aperta. I vari autori,
specialmente in tutti quei casi in cui le generalizzazioni vanno alla prova degli studi
specialistici, restano molto divisi sui rapporti di causa-effetto, sulla questione cronologica e
sulla prevalenza dell’elemento tecnologico o di quello organizzativo.
116
Jones Colin, The Military Revolution and the Professionalisation of the French Army Under the Ancien
Régime, p. 166.
47
In generale gli studi sulla scia di Roberts e Parker, pur senza smontare il loro costrutto
interpretativo, hanno reso sempre più problematica la questione, andandone a indagare i
dettagli e le concatenazioni meno evidenti. Il tema è stato ampiamente problematizzato e gli
esiti della Rivoluzione Militare in Europa (la creazione dello Stato Moderno, l’espansione
oltremare, la Rivoluzione Francese e la Rivoluzione Industriale) non possono essere più
considerati il traguardo di un percorso lineare e necessario.
Questo sviluppo è di grande aiuto per orientare il nostro lavoro di rivalutazione
dell’evoluzione militare dell’Asia Orientale avvenuta nello stesso periodo. Tenendo a mente
che il percorso occidentale è stato tutt’altro che diretto e che ha proceduto per prove ed errori,
producendo fallimenti ed effetti paradossali sotto il peso delle circostanze, è più produttivo
rivolgerci allo studio delle alterne vicende degli sviluppi militari dell’Asia Orientale in Età
Moderna. Nel terzo capitolo analizzeremo gli elementi di avanzamento e quelli di arretratezza
militare dell’Asia nel loro contesto, e cercheremo di formulare un'ipotesi su come e quando i
Paesi dell’Asia Orientale siano passati dalla parità alla divergenza con l’Europa.
Per farlo affronteremo nel contesto asiatico le questioni evidenziate dalla maggior
parte degli storici come tipiche della Rivoluzione Militare: introduzione delle armi da fuoco,
prevalenza della fanteria e ruolo della disciplina, crescita degli effettivi, sviluppo delle
fortificazioni, nascita della guerra navale moderna, sconfitta dei poteri non statali,
colonialismo e imperialismo, logistica, finanziamento della guerra, sviluppo dello Stato
Moderno burocratico-fiscale, ruolo sociale dei militari e rapporti tra poteri militari e civili.
48
Capitolo
2.
La
Rivoluzione
Militare
e
il
mondo
extraeuropeo.
2. 1 Il confronto con i paesi extraeuropei.
Michael Roberts non si era occupato della questione della Rivoluzione Militare e dei
paesi extraeuropei. Parker invece nel suo volume dedica diverso spazio al confronto con i
paesi extraeuropei. Rispetto alle letture tradizionali che tendono ad appiattire il confronto
Europa - resto del Mondo alla contrapposizione tra sviluppo occidentale e stagnazione
orientale, Parker è attento a distinguere tra le varie aree geografiche e i periodi e a tirare un
bilancio dei punti di forza e di debolezza della penetrazione occidentale, oltre che cercare di
individuare le carenze tecnologiche e culturali asiatiche e il loro peso.
Fino alla metà del diciottesimo secolo, quando inizia la conquista dell’India, la
superiorità occidentale era salda solo in poche aree. Le Americhe e parti della Siberia avevano
ceduto di fronte alla superiorità tecnologica e organizzativa, così come alcune aree costiere
dell’Africa subsahariana e delle isole dell’Est Asiatico politicamente molto frammentate. Nel
resto del mondo la penetrazione europea si limitava a reti di basi e fortificazioni costiere.
Parker dedica spazio al confronto con l’Impero Ottomano ma non va molto al di là della
ricostruzione di due fasi della storia militare ottomana: la prima, caratterizzata da grandi
innovazioni tattiche e dal rapido adattamento alle armi da fuoco, la seconda, dalla morte di
Solimano, definita da una progressiva perdita d’iniziativa e tesa a un inseguimento sempre più
faticoso della tecnologia occidentale che però non poteva essere usata al meglio per via delle
strutture sociali e culturali non ricettive. Una ristrettezza culturale che non permetteva di
superare il problema della bassa qualità dei metalli usati per la fabbricazione delle armi.117
Anche nei confronti dell’India Parker riconosce il suo sviluppo militare, la grandezza
degli eserciti e le capacità organizzative dei Moghul ma evidenzia una serie di carenze
tecnologiche nell’artiglieria che riducevano l’efficienza dei suoi eserciti, solo in parte
compensata dalle abilità di consiglieri occidentali. L’autore evidenzia che il vero limite era
culturale: la mancanza di disciplina e i rapporti sociali feudali impedivano di ammodernare a
fondo le forze armate. Infatti l’avvio della conquista dell’India non fu tanto effetto dell’uso
massiccio delle armi europee ma dell’abilità della Compagnia di ricavare una base territoriale
nel Bengala sfruttando la disintegrazione dell'Impero Moghul e di usarne le risorse finanziarie
e umane per creare un esercito indiano addestrato all’europea, i Sepoy. Anche se alcuni Stati
117
Parker Geoffrey, La Rivoluzione Militare, Op. cit. , pp. 226-277.
49
indiani copiarono la fanteria europea la Compagnia li sconfisse comunque, con una strategia e
una diplomazia più coerenti.
Rispetto all'Asia Orientale Parker esprime il giudizio più positivo riconoscendo la
grande resilienza della sua tradizione militare che era dotata di armi da fuoco, eserciti
regolari, burocrazia, fortezze e navi da guerra già prima della Rivoluzione Militare europea.
La sua ricostruzione è molto aggiornata sulla storiografia secondaria disponibile fino agli anni
‘80 e anticipa temi come la capacità dei cinesi di creare artiglierie originali che integravano la
tecnologia occidentale. Cade lo stesso in alcuni errori, come sostenere l’arretratezza
tecnologica degli eserciti Qing (anche se per Parker il problema non era culturale ma
logistico, l’impossibilità di armare eserciti così vasti interamente di archibugi) e l’idea che i
giapponesi dopo aver adottato l’archibugio vi rinunciassero per motivi ideologici. 118
Anticipa comunque un tema che sarà centrale per gli studiosi contemporanei della
Rivoluzione Militare Asiatica: l'Asia Orientale competeva con l'Occidente nel campo delle
Rivoluzione Militare e il suo limite principale erano i lunghi periodi di pace nel sistema
internazionale dell'Asia Orientale, in particolare nel diciottesimo secolo, che ne rallentavano
lo sviluppo.
Uno dei punti più rilevanti della discussione di Parker è il disinteresse degli Europei
nell’Età Moderna al dominio dell’Asia. Lo scopo della proiezione in Oriente era sempre stato
quello del commercio e l'uso della forza non si dimostrava sempre all'altezza delle aspettative
e dei costi. Quindi fino al diciottesimo secolo gli Imperi oltremare concentrarono i loro sforzi
nei campi in cui avevano un vero vantaggio: le fortezze, che se dotate di trace italienne
potevano resistere a forze molto superiori, e le flotte di alto mare.
La tesi nasce dagli studi sulle fortificazioni di Parker, come The Artillery Fortress as
an Engine of European Overseas Expansion, integrati dal celebre saggio di Cipolla Vele e
cannoni.119 Qui veniva evidenziato come la strategia europea di penetrazione in Asia seguì per
tre secoli la strategia impostata dal fondatore dell’Impero Portoghese Alfonso de
Albuquerque. Resosi conto dell’impossibilità per gli Europei di contrastare in un conflitto
terrestre diretto le potenze asiatiche, il governatore basò la sua azione sulla superiorità in
118
Parker Geoffrey, La Rivoluzione Militare, Op. cit. , pp. 238-248.
Parker Geoffrey, The Artillery Fortress as an Engine of European Overseas Expansion In Tracy James D. ,
City Walls: The Urban Enceinte in Global Perspective, Cambridge University Press, Cambridge, 2000, pp. 386416.
119
50
campo navale e nella costruzione di fortezze, creando una rete di capisaldi commerciali
nell’Oceano Indiano. 120
Come molte altre assunzioni di Parker, anche questa è stata criticata da Jeremy Black che
ritiene l’enfasi sulla fortezza di artiglieria eccessivo e cita vari episodi come l’assedio di Fort
Zeelandia e di Hormuz come esempi contrari. Per Black l'aspetto tecnologico deve essere
bilanciato da elementi culturali e sociali che spesso ribaltavano la situazione a favore degli
asiatici.121
Altri storici, come Tonio Andrade, si sono invece espressi favorevolmente verso
Parker, sostenendo che proprio l’aspetto culturale è rilevante per spiegare l’efficacia del forte
di artiglieria.122 Anche Mahinder S. Kingra mette in discussione l’assunto che l’architettura
bastionata sia stata il motore della Rivoluzione Militare. L’errore di Parker deriva
dall’estensione semantica del concetto per riuscire a spiegare l'espansione europea oltremare,
che ha fatto perdere di vista il contesto specifico che aveva ispirato a Roberts questa tesi. 123
L’approccio di Parker al mondo extraeuropeo resta comunque controverso, accusato di
eurocentrismo da un lato e di revisionismo dall’altro. Jeremy Black è piuttosto critico in
relazione alle tesi di Parker. Ad esempio, sul tema del confronto tra Europei e Impero
Ottomano, Parker non tiene conto del contesto in cui si muovevano i Turchi, impegnati
contemporaneamente con le potenze europee, la sorgente potenza russa e i suoi avversari
asiatici come i Safavidi. Questi impegni gravosi avrebbero pesato sul suo declino ben più
delle innovazioni militari europee. In generale il suo lavoro non presta abbastanza attenzione
agli sviluppi militari dell’Asia Orientale. L'espansionismo della Cina tra 1680 e 1795 in
Manciuria, Xinjiang, Mongolia, Taiwan e la regione dell’Amur, che getta una luce positiva
sulle sue capacità militari, non è preso in considerazione.
Brian M. Downing individua in Parker il confronto Occidente-Asia in termini di
confronto culturale, con la superiorità europea garantita da elementi immateriali come la
disciplina e la focalizzazione sulla distruzione delle forze nemiche. 124 Per Thomas Barker
invece l’apprezzamento di Parker per i paesi extraeuropei risulta al contrario eccessivamente
120
Cipolla Carlo M. , Vele e cannoni, Il Mulino, Bologna, 1999, pp. 118-120.
Black Jeremy, The Western Encounter with Islam, Orbis 48, no. 1 (2004), p. 23.
122
Andrade Tonio, The Artillery Fortress Was an Engine of European Expansion: Evidence from East Asia,
Andrade Tonio and William Reger, eds. , The Limits of Empire: European Imperial Formations in Early Modern
World History – Essays in Honor of Geoffrey Parker, Ashgate, London, 2012.
123
Kingra Mahinder, The Trace Italienne and the Military Revolution, Op. cit.
124
Downing Brian M. , The Military Revolution: Military Innovation and the Rise of the West, 1500-1800,by
Geoffrey Parker, American Journal of Sociology, vol. 94, no. 6 (May, 1989), p. 1492.
121
51
apologetico. La sua opera tende a pararsi eccessivamente dalle accuse di eurocentrismo, ma la
trattazione dimostra una chiara superiorità dell’occidente nel periodo trattato. 125
Anche se Parker non si lancia in una critica dell’eurocentrismo e anzi dimostra quanto
l’influenza occidentale sia stata rilevante sul resto del mondo nel periodo analizzato, Barker
trova che comunque fosse da enfatizzare maggiormente l’aspetto dell’esportazione di
tecnologie e tattiche dall’Europa, come già in Ralston. 126 In effetti sul fallimento delle
popolazioni extraeuropee nell’adattarsi alle tecniche belliche occidentali, Parker è lacunoso
anche secondo Mathews. Nel libro riporta i tentativi di importare la tecnologia e la cultura per
competere con l'Occidente ma non arriva ad una spiegazione definitiva del perché questi
tentativi siano così spesso falliti.127
Secondo Mallet i capitoli sul confronto tra Stati europei e Imperi Asiatici lasciano
diverse domande evase. Dato che Parker stabilisce un chiaro nesso tra superiorità tecnologica
ed espansione oltremare si pone la questione se la seconda derivi dalla prima o se la
tecnologia abbia solo facilitato un'espansione già iniziata su altre basi. Gli europei, che
avevano stabilito rapidamente il proprio dominio sulle Americhe, non riuscirono a farlo in
Asia Orientale. Parker non prende una chiara posizione sui motivi, cioè se questo sia avvenuto
per una prolungata parità militare o per motivi interni all’Europa che non aveva motivazioni
abbastanza forti per proseguire un’espansione nell’area.128
Per Hall e De Vries maggiore attenzione poteva però essere dedicata alla questione
degli agenti patogeni visto che questi portarono anche a situazioni ribaltate: le malattie
facilitarono la conquista dell’America mentre le patologie diffuse in Africa bloccarono
l’espansione europea nell’interno fino allo sviluppo della medicina moderna nel
diciannovesimo secolo. Per loro l’opera di Parker tende a tratti all’aneddoto, senza la
necessaria contestualizzazione. Sul confronto con l’Impero Ottomano si citano delle
persistenti leggende storiografiche come la passione degli Ottomani per i cannoni giganti, il
rifiuto dei sipahi di usare armi da fuoco e l’inferiorità nella metallurgia, che vengono spiegate
sempre in chiave comparata con il modello europeo senza trovare spiegazioni endogene.129
William H. Mcneill invece loda particolarmente la capacità di Parker di individuare
diverse forme di confronto tra Occidente e resto del Mondo, variamente derivanti dalle
125
Barker Thomas M. , Geoffrey Parker’s Military Revolution: Three Reviews of the Second Edition, Op. cit. , p.
348.
126
Ralston David B. B. , Importing the European Army: The Introduction of European Military Techniques and
Institutions in the Extra-European World, 1600-1914, University Of Chicago Press, Chicago, 1991.
127
Mathew K. S. , The Military Revolution: Military Innovation and the Rise of the West, 1500-1800, by
Geoffrey Parker, Social Scientist, vol. 18, no. 8/9 (Aug. - Sep. , 1990), p. 112.
128
Mallett Michael, The Military Revolution, Op. cit. , p. 378.
129
Hall Bert, DeVries Kelly, Essay Review, Op. cit. , p. 506.
52
differenze culturali e tecnologiche. Gli europei risultano quasi immediatamente vittoriosi nei
confronti con le popolazioni africane e amerinde che concepivano la guerra come un’attività
volta alla cattura degli schiavi piuttosto che all’annientamento del nemico. Gli stessi
riuscirono a trionfare sulle potenze musulmane solo colmando il divario grazie al più efficace
uso delle armi da fuoco, delle fortezze e delle flotte ma allo stesso tempo non riuscirono ad
avere la meglio in conflitti limitati con i paesi dell’Estremo Oriente, piegati solo
nell’Ottocento avanzato grazie alle nuove risorse della Rivoluzione Industriale. Come dare
una spiegazione convincente alla progressiva incapacità dei paesi extraeuropei di colmare il
divario tecnologico? Parker puntualizza come la tecnologia e gli esperti si muovessero con
grande disinvoltura tra gli schieramenti sia all'interno dell’Europa che verso i paesi
musulmani e dell'Asia Orientale. L’opera illustra i diversi momenti in cui i vari Imperi non
riuscirono più a stare al passo con L’Europa ma non giunge ad una spiegazione univoca e
sistemica.130
Una critica radicale del concetto di Rivoluzione Militare con particolare attenzione per la
dimensione globale del fenomeno bellico è stata espressa Da Frank Jacob e Gilmar VisoniAlonzo.131 L’intera loro trattazione respinge il concetto stesso di Rivoluzione Militare. Tutti
quei cambiamenti che sono stati individuati come tipici dell’Europa hanno invece avuto una
dimensione globale, sono avvenuti più volte indipendentemente e non hanno natura
rivoluzionaria ma evoluzionistica, facendo parte di una dinamica universale di stimolorisposta.
La loro rilettura mira ad attaccare contemporaneamente l’approccio eurocentrico della tesi di
Roberts e Parker e a integrare maggiormente la storia militare con le scienze sociali, uscendo
da interpretazioni obsolete, seguendo l’auspicio di Chambers. 132 Tutta la premessa che sia
stata la Rivoluzione Militare a spingere le potenze europee verso l’egemonia mondiale è
smentita dai fatti. La Conquista dell’America non dipese prioritariamente dagli sviluppi
tecnici e culturali della Rivoluzione Militare.
I Paesi asiatici, nello stesso periodo, svilupparono autonomamente e/o adattarono con
successo quegli stessi avanzamenti tecnologici e tattici che si ritengono unicamente europei. I
contatti e gli scambi di cultura e tecnologia erano frequenti eseguivano via multiple, non solo
una trasmissione Europa-Asia. Questo processo di diffusione è durato per secoli, un fatto che
130
McNeill William H. , The Military Revolution: Military Innovation and the Rise of the West, 1500-1800,
Geoffrey Parker, The Journal of Modern History, 1990, 62:1, pp. 112-114.
131
Jacob Frank, Alonzo Gilmar Visoni, The military revolution in early modern Europe a Revision, Palgrave
Pivot, Londra, 2016.
132
Chambers John Whiteclay, Conference Review Essay: The New Military History: Myth
and Reality, The Journal of Military History 55:3 (1991), p. 395.
53
supporta un modello evoluzionistico non rivoluzionario delle trasformazioni in campo
militare.133
Il concetto stesso di Rivoluzione è problematico perché tende a presentare le questioni
come un cambiamento repentino e violento che influenza la struttura sociale.134 La Storia è, in
realtà, piena di Rivoluzioni militari dall’Antichità a oggi. Una loro lettura interna rivela come
tutti i cambiamenti a cui viene attaccata l’etichetta di rivoluzionari derivino piuttosto da
dinamiche di lungo periodo, fenomeni evoluzionistici che accelerano o rallentano il ritmo del
cambiamento a seconda della contingenza del momento, portando a cambiamenti incrementali
più che a rotture nette.
135
Gli autori alla fine propongono la loro teoria di un persistent,
global, and endless evolutionary process in military affairs che rimpiazza la tesi di
un'esclusiva Rivoluzione Militare europea come strumento di ricerca storica e sociale.136
2. 2 La dimensione navale.
2. 2. 1 La rivoluzione navale europea.
Parallela agli sviluppi della Rivoluzione Militare, l’Europa vive nello stesso periodo
una profonda Rivoluzione Navale alle cui caratteristiche è necessario accennare. Le flotte
erano il vero motore dell'espansione mondiale europea, molto più delle altre innovazioni della
Rivoluzione Militare. «These are the four characteristics of sixteenth-century European
expansion [-]: a starting point of relative geographic and cultural isolation, the subsequent
development of expansive political ideologies focused particularly on trade routes and
maritime navigation, innovation in a few key areas of military and naval technology that made
overseas expansion possible, and an unprecedented intensification of intellectual interest in
the outside world.»137
Fino al 1330-1400 la guerra navale aveva in Europa un ruolo secondario con
l’eccezione del Mediterraneo, in cui gli Stati italiani, i regni iberici e più tardi gli Ottomani
combattevano con grandi flotte di galee, evoluzioni delle navi a remi del Mondo Antico. I loro
133
Raudzens George, Military Revolution or Maritime Evolution? Military Superiorities or Transportation
Advantages as Main Causes of European Colonial Conquests to 1788, The Journal of Military History 63:3
(1999), p. 635.
134
Olsson-Yaouzis Nicolas, An Evolutionary Dynamic of Revolutions, Public Choice 151 (2012), pp. 497–515.
135
Goston Gábor, Firearms and Military Adaption: The Ottomans and the European Military Revolution, 14501800, Journal of World History 25:1 (2014), pp. 99–100.
136
Si veda anche Jacob Frank, Alonzo Gilmar, The Theory of a Military Revolution: Global, Numerous,
Endless?, Revista Universitaria de Historia Militar, vol 3, no 6 (Year 2014).
137
Casale Giancarlo, The Ottoman Age of exploration, Oxford University press, Oxford, 2011, p. 6.
54
arsenali, come quelli di Venezia e di Istanbul, erano i maggiori “impianti industriali”
dell'epoca. 138 Imbarcando grandi equipaggi queste navi erano adatte agli abbordaggi e alle
scorrerie anfibie ma in grande difficoltà nell'affrontare il mare aperto per lunghi periodi e le
condizioni atmosferiche difficili. Nel corso del Rinascimento vennero equipaggiate di
artiglieria e moschetti ma senza cambiare davvero il loro ruolo tattico. 139Al contempo nel
Mare del Nord iniziarono ad essere utilizzate navi cosiddette rotonde, create per il commercio
e inizialmente prive della manovrabilità della galea. In ogni caso i Paesi affacciati
sull’Atlantico fino alla fine della Guerra dei Cento Anni combattevano guerre navali
intermittenti e non possedevano una marina organizzata.
Tra Cinquecento e Seicento si allarga il divario fra la guerra navale nel Mediterraneo e
nell’Atlantico. Le galee, nonostante l’invenzione delle galeazze, non potevano sfruttare al
meglio l’artiglieria per limiti strutturali di costruzione. Un ulteriore problema era il costo:
John Guilmartin ha mostrato come inizialmente la diffusione delle armi da fuoco fu un
vantaggio per le tattiche basate sulle galee ma l’ampliamento delle flotte portava a un costo di
denaro e uomini ingiustificato in termini di efficacia dato che il raggio d’azione di queste
flotte era inversamente proporzionale alla loro dimensione, restringendo così l’utilità. 140 Il
loro utilizzo diminuì parallelamente al decadere delle potenze navali mediterranee,
nell’ambito dello spostamento dei commerci verso l’Atlantico.141
Invece le navi oceaniche, le caracche, richiedevano meno uomini e si dimostrarono
capaci di sopportare le sollecitazioni di un gran numero di pezzi di artiglieria pesante. Le
imbarcazioni iniziarono ad assomigliare a batterie di fuoco mobili quando le loro fiancate
furono modificate per accogliere file di pezzi. Alla metà del sedicesimo secolo le caracche si
evolvettero in galeoni, navi dalla forma più bassa e agile che rappresentano lo standard delle
flotte per un secolo. Gli scontri navali e le incursioni a terra videro diminuire sempre più
l’utilità della fanteria imbarcata e a focalizzarsi solo sul bombardamento a distanza e la
distruzione, non più la cattura, delle navi avversarie. La superiorità del bombardamento venne
dimostrata dalla capacità di piccole flotte piene di artiglieria di tenere testa a squadre più vaste
ma meno armate sia in Europa che in Asia, come nella Battaglia della Manica o di Goa.
Già dalle esplorazioni di Vasco de Gama era evidente che gli Europei erano in
vantaggio in Asia negli scontri in mare aperto, permettendo la conquista di basi che vennero
138
Barbero Alessandro, Il divano di Istanbul, Sellerio, Palermo, 2011
Guillerm Alain, La galea, regina del Mediterraneo da Salamina a Lepanto, in Braudel Fernand, Una lezione
di Storia, Einaudi, Torino, 1988, pp. 30-35.
140 Morillo Stephen, War In World History: Society, Technology, and War from Ancient Times to the Present,
vol. 1&2, McGraw-Hill Education, New York, 2008, pp. 279-296
141
Glete Jan, La guerra sul mare. 1500-1650, Il Mulino, Bologna, 2017.
139
55
rese permanenti grazie alle fortificazioni in stile moderno. Sia gli Imperi Iberici, che i loro
sfidanti come la Francia e le piccole potenze emergenti, Inghilterra e Olanda, investirono
massicciamente in flotte, per difendere le proprie coste e per assicurare i collegamenti con il
Nuovo Mondo e l'Asia e tagliarli ai loro avversari. Questo stato di guerra costante creò
progressivamente flotte ed equipaggi sempre più capaci di agire a distanze di migliaia di
chilometri dalla madrepatria.
Tra 1550 e 1600 i progettisti navali si sbizzarrirono a creare navi sempre più grandi, e
mancò una vera standardizzazione fino all’avvento della marina olandese. Gli Stati europei
continuavano ad avere solo un nucleo di flotta permanente che veniva affiancata da mercantili
armate e navi per la guerra di corsa. La guerra navale privata impegnava infatti risorse
paragonabili a quelle movimentate direttamente dagli Stati. Era comunque evidente una
tendenza all'espansione del settore pubblico in questo campo. Gli Stati europei e le loro
organizzazioni parastatali, le compagnie privilegiate, procedettero a gestire arsenali e altre
fonderie.
Il problema non era solo tecnologico e produttivo, riguardava anche la dimensione
sociale e culturale. Si iniziava standardizzare i percorsi per accedere ai ruoli di ufficiale
navale.
Un'operazione
resa
estremamente
difficile
dalla
necessità
di
conciliare
l'apprendimento di cognizioni tecniche di navigazione con la dignità nobiliare. Per secoli,
infatti, gli ufficiali nobili, inizialmente al comando delle truppe imbarcate e quindi della nave,
si contesero il potere con i comandanti di estrazione non nobile provenienti dalla marineria
commerciale. I francesi affrontarono il problema con la creazione delle prime accademie
navali, gli inglesi con l’apprendistato a bordo della nave, che nell’epoca della vela si rivelò
più efficace.142
L’Età di Luigi XIV vide grandi sviluppi amministrativi che accentuarono le tendenze
alla standardizzazione e all’uso del bombardamento. Si formalizzò la classificazione delle
navi in diversi ranghi a seconda del numero di cannoni imbarcati e si affermò la tattica del
fuoco di linea che richiedeva la coordinazione dell’intera flotta. I pirati venivano sostituiti
dalle fregate, navi più veloci in grado di controllare le rotte commerciali grazie a una rete di
basi coloniali, che costituivano il grosso della presenza europea nei mari asiatici.143 Ancora
nel diciottesimo secolo la capacità di trasporto e di supporto delle navi occidentali era
limitata, e le guerre in America e in India vennero combattute da piccole squadre navali e
piccoli eserciti occidentali con alleati indigeni. Questi sviluppi restano più o meno immutati
142
143
Elias Norbert, Marinaio e gentiluomo. La genesi della professione navale, Il Mulino, Bologna, 2010.
Duffy M. , Military Revolution and the State 1500-1800, Humanities Press, Londra, 1980, pp. 49-85.
56
fino all’avvento del vapore, con alcune innovazioni nel design delle navi e nella tattica. Come
in campo terrestre l’età rivoluzionaria e napoleonica non videro alcun sviluppo tecnologico,
anche se furono perfezionati i pezzi di artiglieria con l’introduzione delle carronate. La fine
dell’Età Moderna vede anche il termine della competizione navale dell’era della vela con
l’affermarsi dell’egemonia marittima britannica nei mari europei, nell’Atlantico e in Asia
grazie al predominio numerico, alle migliori tecnologie e allo sviluppo di una moderna classe
di ufficiali navali. Vinta con mezzi preindustriali verrà resa incontestabile per un secolo grazie
al ricorso alle nuove tecnologie della Rivoluzione Industriale.144
2. 2. 2 Il vantaggio marittimo europeo in Asia: la tesi istituzionale.
Gli europei avevano un complessivo vantaggio in campo navale anche se l’ampiezza
del divario con l’Asia è aperta a discussione. Esiste un dibattito sulle sue cause, visto che non
c’erano ancora consistenti divari tecnologici e l’Asia aveva fiorenti circuiti commerciali. La
spiegazione più comune è quella istituzionale. Si è sostenuto che non ci fosse interesse degli
Stati asiatici per la guerra navale, causa dell’arretratezza tecnologica delle imbarcazioni e
l’assenza di artiglieria a bordo. Le flotte dei Paesi europei e delle loro compagnie privilegiate
non avendo così rivali, monopolizzarono il commercio marittimo nell’Oceano Indiano e nel
Mar Cinese già dalla fondazione dell’Impero portoghese. Diversi storici, come Michael
Pearson, Kitri Chaudhuri e Sanjay Subrahmanyan concordano nel rilevare l’importanza del
supporto che gli Stati europei davano alle imprese private. Esploratori e mercanti europei
ricevettero finanziamenti, supporto militari e privilegi, compreso quello di creare Compagnie
delle Indie che potevano svolgere attività militari e di amministrazione, mentre in genere i
sovrani asiatici tendevano a non regolare e non immischiarsi nel commercio.145
Si è messa in evidenza l’arbitrarietà di trattamento a cui erano sottoposti i
commercianti locali, privi di tutele legali ed esposti alle vessazioni dei governanti. Questo
tradizione rese il commercio asiatico debole davanti alla forte alleanza stato-capitalismo che
caratterizzava le compagnie privilegiate europee. per Kitri Chaudhuri: «Before the arrival of
the Portuguese in 1498 there had been no organized attempt by any political power to control
the sea-lanes and the long distance trade of Asia. ! e Iberians and their north European
144
145
Kennedy Paul, Ascesa e declino della potenza navale britannica, Garzanti Libri, Milano, 2010, pp. 181-2.
Abbattista Guido, L’espansione europea in Asia (sec. XV-XVIII), Carocci, Roma, 2002.
57
followers imported a Mediterranean style of warfare by land and sea into an area that had
hitherto had quite a different tradition.»146
Come proposto da John Wills gli Stati europei riuscirono a creare degli imperi nei mari
Asiatici grazie al loro statismo precoce, 147 definizione con la quale si intende come gli
occidentali fossero più disponibili della media ad utilizzare il potere statale, quindi la forza
militare e l’apparato legale e burocratico per garantirsi il controllo delle rotte marittime. Non
che gli Europei avessero strutture statali più sofisticate di quelle dell’Asia Orientale, ma erano
più decisi nell'utilizzarle per il controllo delle rotte commerciali.
I motivi di questo interesse sono stati individuati da Michael Pearson nella dipendenza
dei regnanti occidentali dalle entrate commerciali. I governi di Spagna e Portogallo e in
seguito di Inghilterra, Francia e Provincie Unite, che si sostenevano largamente con le entrate
commerciali, avevano un atteggiamento diverso rispetto agli Stati asiatici dove la burocrazia
riscuoteva efficacemente le entrate fiscali dal surplus agricolo. Questo determinava il loro
interesse continuativo e sostenuto per l'espansionismo marittimo, ulteriormente stimolato
dalla competizione intra europea. Anche la geopolitica aveva un peso: dato che gli Stati
europei erano più piccoli degli imperi asiatici e non riuscivano a guadagnarsi una posizione
egemonica, tendevano a trovare un accordo tra gli interessi dello Stato e quelli del
commercio, più favorevole per il secondo che in Asia. 148
Ancora di più dipendente dal commercio estero fu la potenza occidentale che più
interessa questa sezione: le Provincie Unite. Gli olandesi fondarono dozzine di Compagnie
delle Indie orientali, inizialmente in competizione tra loro e fallimentari a confronto
dell’organizzazione dei portoghesi e degli spagnoli. Tutto cambiò con la fondazione della
VOC, il prototipo della compagnia privilegiata e del mercantilismo europeo. 149 Dato che i
suoi scopi erano contemporaneamente il profitto e la guerra agli spagnoli, la Compagnia fu
dotata di una serie di diritti tipici di uno Stato sovrano come quello di colonizzare,
amministrare e riscuotere imposte, muovere guerra e stringere trattati con altri Stati. Quindi in
146
Chaudhuri Kitri, Trade and Civilisation in the Indian Ocean: An Economic History from the Rise of Islam to
1750, Cambridge University Press, Cambridge, 1985, p. 14.
147
Wills John Jr. , Was There A Vasco da Gama Epoch? Recent Historiography in Diseny Anthony, Booth
Emily, Vasco de Gama and the linkage of Europe and Asia, Oxford University Press, New Delhi, 2000, pp. 3537.
148
Pearson Michael N. , Merchants and states in Tracy James D. , The Political Economy of Merchant Empires.
State Power and World Trade 1350-1750, Cambridge University Press, Cambridge, 1997, p. 48.
149
La politica della Compagnia si basava sul principio “non c’è commercio senza Guerra e non c’è guerra senza
commercio”. Brocchieri Vittorio Beonio, Storie Globali. Persone, merci e idee in movimento, Encyclomedia,
Milano, 2011, pp. 152-3.
58
Asia la VOC rappresentava lo Stato olandese ma restava una compagnia privata che faceva
gran parte dei suoi profitti da operazioni di guerra di corsa. 150
La compagnia delle Indie olandese costituiva un salto di qualità rispetto alle spedizioni
iberiche. La sua organizzazione privata e volta al profitto, ma parastatale e monopolistica,
rese le operazioni militari-commerciali olandesi molto più profittevoli di quelle olandesi,
dando il via a quello che Giovanni Arrighi ha definito il ciclo di accumulazione capitalistica
olandese. 151 Le sue dimensioni e transazioni costituivano la base della borsa di Amsterdam
attirando capitali da tutta Europa in Olanda e sviluppando a livelli nuovi il settore
finanziario.152 La sua potenza militare le permetteva di internalizzare i costi di protezione,
secondo la definizione di Steensgaard, difendendosi meglio di qualunque altra associazione di
mercanti privata al mondo. La possibilità di usare la forza conduceva al suo abuso e presto la
Compagnia utilizzò le armi per estrarre tributi in forma di tasse di protezione dei mercanti
asiatici e tributi alle popolazioni costiere.153
La lettura tradizionale ritiene che gli Imperi asiatici preferissero una politica di laissez
faire con i mercanti e si limitassero a difendere le proprie coste, e riduce il loro interventismo
nelle questioni commerciali e militari marittime a pochi episodi, scollegati da una tendenza
generale. Il più celebre è quello della Flotta Del tesoro, la serie di 7 spedizioni dei Ming
guidate dall’ammiraglio Zheng He che nel quindicesimo secolo condusse una flotta di
centinaia di navi e decine di migliaia di uomini in viaggi fino all’Africa. Queste navi
disponevano di una tecnologia non eguagliata in tutta l'epoca della vela e la loro potenza
venne utilizzata per affermare il prestigio della Cina e rimuovere una serie di regnanti che
avevano atteggiamenti favorevoli verso i cinesi, come a Ceylon. Una grande occasione di
dominio marittimo per la Cina che tuttavia la necessità di difendersi dalla rinnovata minaccia
mongola rese non perseguibile.154 In questo caso l’assenza di un contesto navale competitivo
e la concentrazione delle risorse tecnologiche in mano alla Stato avrebbero fatto sì che,
diversamente dall’Europa che viveva una competizione tra Stati e tra Stati e privati, una
singola decisione interrompesse un processo di sviluppo.155
150
Van Veen Ernst, VOC Strategies in the Far East (1605-1640), Bulletin of Portuguese/Japanese Studies 3
(2001): 5, pp. 90-96.
151
Arrighi Giovanni, Il lungo ventesimo secolo. Denaro, potere e le origini del nostro tempo, Il Saggiatore,
Milano, 2003, pp. 155-156, 161, 168-174.
152
Israel Jonathan I. , Dutch primacy in World trade, Clarendon Press, Oxford, 1990, pp. 75-76 e 256-258.
153
Steensgaard, Niels. Violence and the Rise of Capitalism, Op. cit. , pp. 259-260.
154
Levathes Louise, When China Ruled the Seas: The Treasure Fleet of the Dragon Throne, 1405-1433, Oxford
University Press, Oxford, 1997.
155
Morillo Stephen, War In World History: Society, Technology, and War from Ancient Times to the Present,
vol. 1&2, McGraw-Hill Education, New York, 2008.
59
Il vantaggio navale europeo non è quindi una questione meramente tecnica, legata i
miglioramenti della cantieristica e dell’artiglieria, né solo culturale, legata allo spirito dell’Età
delle Scoperte, ma riguarda il problema più complesso dell'ascesa dello Stato Moderno e del
capitalismo, in maniera molto più direttamente connessa rispetto alla Rivoluzione Militare in
campo terrestre.
2. 3 La tesi culturale: la Western Way of War.
Abbiamo visto come la tesi della Rivoluzione Militare abbia due principali
interpretazioni:
quella
deterministica-tecnologica
che
la
ritiene
una
conseguenza
dell’introduzione della polvere da sparo e quella evolutiva-amministrativa che la vede come
un effetto del rafforzamento dello Stato alla fine del Medioevo. A partire dagli anni ‘70 è
avvenuta la cosiddetta svolta culturale e lo studio della storia militare è passato dagli sforzi di
creare delle teorie universalistiche a quello di studiare le differenze su base regionale,
individuando nella cultura il discrimine, descrivendo diversi ”modi di fare la guerra” per gli
storici o “culture strategiche” per i politologi. 156 Gli studi di Russell Weigley The American
Way of War, Richard Harrison’s The Russian Way of War e di Robert Citino The German
Way of War hanno aperto la strada a un enorme numero di pubblicazioni simili.157
L’assunto che ha guidato la ricerca è che la cultura sia l'elemento che maggiormente
influenza il modo di fare la guerra, al punto da affermare che diverse culture concepiscono e
conducono i conflitti in maniera completamente diversa. «(war) is always an expression of
culture, often a determinant of cultural forms, in some societies the culture itself». 158 Autori
come Keegan, Lynn e Hanson hanno poi interpretato in maniera comparativa i risultati,
creando nuove grandi sintesi sulla guerra nel tempo e nello spazio. Molto di questo lavoro si
deve all’influenza e alla critica di Victor Davis : partendo dallo studio del legame tra pratiche
agricole e belliche nella Grecia preclassica, lo studioso californiano ha formulato l'idea
dell’Arte Occidentale della Guerra, un sistema di valori e di pratiche che avrebbero
caratterizzato l’Occidente quasi ininterrottamente fino ai nostri giorni.159
Nella visione di Hanson le varie forme di combattimento occidentale sono
riproposizioni dello schema del combattimento tra falangi oplitiche, un modello di guerra che
156
Graff David A. , The Eurasian Way of War Military practice in seventh-century China and Byzantium,
Routledge, Abingdon-on-Thames, 2016, p. 4.
157
Sondhaus Lawrence, Strategic Culture and Ways of War, Routledge, Abingdon 2006.
158
Keegan John, A History of Warfare, Knopf Doubleday, New York, 2012, p. 12.
159
Hanson Victor David, Warfare and Agriculture in Classical Greece, University of California Press, Oakland,
1983.
60
favoriva lo scontro diretto e risolutivo tra masse di fanterie, disdegnava dilazioni, guerriglia e
metodi indiretti, metteva in secondo piano cavalleria e armi da tiro e si basava su un mix di
disciplina e valori democratici.160 L’insieme di queste caratteristiche, aggiornate ai tempi, ai
luoghi e alla tecnologia, avrebbero garantito la vittoria Occidentale prima nel bacino del
Mediterraneo, poi nelle Americhe e infine in Asia.161
Questa idea ha avuto un’influenza notevole a livello accademico: John Keegan l'ha
ripresa nel suo History of Warfare, e ha molto influenzato la Cambridge Illustrated History of
Warfare (1995), scritto da un team di storici, Hanson compreso, diretto da Geoffrey Parker.
Keegan ha dato impeto all’approccio culturale con opere che hanno analizzato l’esperienza
della guerra al microlivello.
162
Il grande successo del suo I volti della Battaglia ha reso
popolare anche nella produzione accademica l’approccio immersivo nello studio della
guerra. 163 Inoltre, Keegan ha contribuito sostenendo l'idea di una via Orientale alla guerra,
speculare a quella Occidentale. Ispirata alle tattiche dei popoli della steppa, la guerra orientale
predilige la velocità il tiro, gli stratagemmi, e l’approccio indiretto.164
Tuttavia le tesi di Hanson sulla guerra oplitica sono state criticate a livello filologico
da numerosi antichisti per le inesattezze, le ricostruzioni fantasiose e l’afflato ideologico
neoconservatore.165 Nel suo libro Battle Lynn esprime una dura critica alle tesi eccezionaliste,
in particolare di Hanson, impostando un discorso che, pur volto ad affermare la centralità
dell’aspetto culturale della guerra, lavora a evidenziare le aderenze e le divergenze tra il
discorso della guerra nelle varie epoche e la realtà del conflitto stesso. Hanson è
particolarmente criticato per l'iperestensione di un concetto tratto dalla vicenda greca ad altri
periodi storici: i suoi paragoni sono spesso stiracchiati e anche richiamarsi al fatto che i
160
Hanson Victor Davis, L’arte occidentale della guerra. Descrizione di una battaglia nella Grecia classica,
Garzanti, Torino, 2001.
161
Hanson Victor Davis, Massacri e cultura. Le battaglie che hanno portato la civiltà occidentale a dominare il
mondo, Mondadori, Milano, 2017.
162
Keegan John, Il volto della battaglia. Azincourt, Waterloo, la Somme, Il Saggiatore, Milano, 2010.
163
Spector Ronald, Military History and the Academic World, Army History, no. 19 (Summer 1991), pp. 1-8.
164
Keegan John, A History of Warfare, Knopf Doubleday, New York, 2012, pp. 387–388.
165
«In effetti il «modello greco» di guerra inesausta, di autostima nei confronti del «barbaro» e di preventiva
ostilità e senso di superiorità verso di esso, suggestiona da tempo i moderni [-]. Hanson apriva Massacri e
cultura (Garzanti) con il capitolo programmatico intitolato «Perché l’Occidente ha vinto», che prende le mosse
dalla battaglia di Cunassa e dall’Anabasi senofontea assunta come simbolo del destino di vittoria e della
superiorità dell’Occidente. Hanson compiva con il modello Cunassa (dove i Greci vincono comunque, anche
all’interno di uno schieramento che nel suo complesso perde) la stessa operazione ideologica che avevano fatto i
Greci quando avevano stabilito che la vittoriosa guerra contro Troia era l’antecedente remoto delle altrettanto
vittoriose guerre contro i Persiani». Luciano Canfora, La lezione da Tucidide a Tacito: senza conflitto non c’è
racconto. Hans van Wees in L'arte della guerra nell'antica Grecia critica in particolare la tesi degli opliti
espressione della classe media e dello svolgimento rapido e decisivo delle battaglie. Marco Bettalli in Guerre tra
polemologi riassume il dibattito pluridecennale sulla posizione sociale e il ruolo degli opliti, che vede ormai
molto ridimensionate le tesi di Hanson.
61
pensatori militari coevi si ispirasse al Mondo Antico tende a mascherare il divario tra discorso
e realtà differente.166Lynn contesta inoltre la progressione nel tempo: le tesi di Hanson non
riescono a spiegare l’intera guerra tardoantica, bizantina e medievale, contestando l'idea di
una connessione diretta tra i greco romani e l’Età Moderna. Dall’altro l’Idea dell’Arte
Orientale della Guerra è creata su un campione estremamente selettivo di storia militare, i
popoli delle steppe, che non rispecchia nel suo complesso la grande varietà degli stili bellici
dell'Asia. In particolare fa notare Lynn per l’Asia Orientale «Put in proper context, a stark
contrast between Western battle seeking and Asian battle avoidance evaporates».167
Harry Sidebottom definisce la tesi di Hanson come l’ennesima riproposizione
dell'autorappresentazione dell’Occidente «not so much an objective reality, a genuine
continuity of practices, but more a strong ideology which since its creation by the Greeks has
been, and still is, frequently reinvented, and changed with each reinvention.» 168 Questo
argomento è stato poi analizzato più in dettaglio da Patrick Porter in Military Orientalism,
testo di ispirazione realista ed estremamente critico della svolta culturale. Porter chiarisce
come la natura della cultura sia attiva e dinamica e come la guerra guerreggiata e la cultura
della
guerra
si
influenzino
reciprocamente
in
una
evoluzione
continua.
L'idea
dell’Orientalismo Militare è esplicitamente ripresa da Orientalismo di Said: l’Oriente è una
massa indistinta che viene delineata come un rispecchiamento negativo delle caratteristiche
vincenti dell'autorappresentazione occidentale, capace di mettere acriticamente insieme passi
di Erodoto, tattiche dei condottieri mongoli e massime di Sun Tzu per spiegare fenomeni
come il jihadismo.169
Infine Jeremy Black ha colto i limiti dell’approccio culturalista, che non concettualizza
l’idea di cultura ma la usa come un passe-partout interpretativo «tendency to reify cultural
factors and too readily give them explanatory force».
170
Non riuscendo a definire
rigorosamente la cultura si finisce appunto per renderla un oggetto indistinto, senza poter
distinguere le sue sfumature il suo carattere evolutivo e adattativo, e viziando i risultati delle
ricerche. «Culture is a term so widely and loosely used as to have its analytical value at least
in part compromised.»171
166
Morillo Stephen, Reviewed Work(s): Firearms: A Global History to 1700 by Kenneth Chase; Battle: A
Historyof Combat and Culture by John Lynn, Journal of World History, vol. 15, no. 4 (Dec. , 2004), pp. 525530.
167
Lynn John, Battle: A History of Combat and Culture, Basic Books, New York, 2004. , p. 71.
168
Sidebottom Harry, Ancient Warfare: A Very Short Introduction, Oxford University Press, Oxford, 2005, p. x.
169
Porter Patrick, Military orientalism, Hurst & Company, Londra, 2009.
170
Black Jeremy, Rethinking military history, Routledge, Abingdon, 2004, p. 55.
171
Ivi, p. 57.
62
I differenti metodi di lavoro in storiografia e scienza sociale non aiutano a risolvere il
problema. «In general, historians and political scientists have adopted quite opposite
approaches such that the vices of each mirror the virtues of the other. Military historians
writing in English have bandied the term “culture” about quite freely, attaching enormous
causal weight to it without bothering to offer much in the way of definition; meanwhile
political scientists, or at least the better ones, have been constrained by the construction of
overly cautious definitions.»172
Le scienze sociali tendono a dare definizioni molto ristrette di cultura militare. Un
esempio che torna poi nella discussione è duello di Alistair Johnson: «strategic culture as an
ideational milieu that limits behavioral choices [-] an integrated system of symbols
that acts to establish pervasive and long-lasting grand strategic preferences by formulating
concepts of the role and efficacy of military force in interstate political affairs. » 173
L’approccio storiografico alla guerra basato sulla cultura corre vari rischi come quello di
interessarsi solo alla microstoria e all’esperienza della battaglia, oppure estendere
eccessivamente la persistenza dei diversi modi di fare la guerra nello spazio e nel tempo
creando delle narrazioni, in definitiva ideologiche, come quella di Hanson.
D’altro canto, anche l’approccio delle scienze sociali risulta problematico.
Restringendo a pochi elementi selezionati la definizione di cultura strategica rischia di
analizzare la guerra nel vuoto, come se le decisioni belliche fossero un campo separato dalla
politica e dalla società. La selezione degli elementi di analisi tende a non considerare tutti
quegli aspetti devianti e contraddittori all’interno di una stessa cultura militare e spesso non
riesce ad incorporare la constatazione antropologica della malleabilità e reattività della cultura
al suo contesto.
2. 4 I contributi della World History al problema della guerra.
Abbiamo visto come la tesi della Rivoluzione Militare e la svolta culturale della storia
militare supportino l’idea dell’eccezionalismo europeo in campo bellico. Dalla storiografia
emerge tuttora un certo consenso circa l’ascesa militare inarrestabile dell’Europa nel corso
dell’Età Moderna, coerente con la tesi tradizionale dell’Ascesa dell’Occidente. Tuttavia negli
ultimi decenni l’insieme degli studi (la World History) ha progressivamente modificato la
172
David A. Graff, The Eurasian Way of War, Op. cit. , p. 10.
Johnston Alastair Iain, Cultural Realism. Strategic Culture and Grand Strategy in Chinese History, Princeton
University Press, Princeton, 1998, pp. 36–8.
173
63
visione dell’ascesa lineare degli europei a fronte della decadenza del resto delle civiltà. 174
Definitasi come corrente autonoma e staccatasi dalla storia comparata delle civiltà a partire
dagli anni ’60, la World History parte dall'assunto che la vita di individui, gruppi, nazioni e
civiltà acquista maggior significato se inquadrata nella cornice della storia umana e pone
quindi l’enfasi sui fenomeni transnazionali. Questa prospettiva, diversa dalla storia politica
tradizionale centrata sugli Stati nazionali o dagli studi di area, ha permesso nuovi sviluppi in
molte branche storiche; quello che a noi interessa maggiormente è l’idea che l’avanzata
dell’Occidente non sia stata una marcia trionfale e inevitabile ma parte di una serie di
“modernità multiple” e fenomeni transnazionali che hanno coinvolto l’intera Eurasia.175
Questo tipo di studio ha prodotto grandi sviluppi in campo economico, culturale e
istituzionale, accorciando le distanze tra l’esperienza europea e quella islamica, indiana e
dell’Estremo Oriente. In tutti questo casi si è trattato da un lato di un lavoro di riscoperta delle
fonti, che ha permesso di accumulare nuovi dati su contesti prima poco noti, dall’altro di
un’opera di ri-concettualizzazione, per uscire dalla trappola interpretativa dell’applicazione
meccanica delle categorie del pensiero occidentale e riuscire a comprendere i fenomeni storici
nel loro contesto. Lo studio della guerra ha sempre fatto parte di tutta quella serie di studi che
potremmo definire come Storia Globale, dai lavori ottocenteschi di Leopold von Ranke e
Hans Delbruk alle grandi sintesi di inizio novecento di Oswald Spengler e Arnold Toymbee.
L’approccio World History alla guerra prende il via con il suo decano, William H. McNeill,
che ne ha affrontato il problema in diversi studi.
In The pursuit of power e The Age of Gunpowder Empires McNeill ha dato una lettura
fresca del processo di diffusione delle armi da fuoco su scala mondiale, evidenziando i
fenomeni mondiali di diffusione e i rapporti complessi con lo sviluppo della società e della
tecnologia. La loro tesi centrale è il legame guerra-commercio: la trasformazione
commerciale della società mondiale a partire dall’anno Mille ha fatto sì che il potere militare
prima disperso rispondesse sempre più in maniera centralizzata alle forze di mercato e alla
174
Per le sintesi di World History disponibili in italiano: Di Fiore Laura, Meriggi Marco, World history. Le
nuove rotte della storia, Laterza, Bari 2011; Conrad Sebastian, Storia Globale. una introduzione, Carocci, Roma,
2015; Vanhaute Eric, Introduzione alla World History, Il Mulino, Bologna, 2015.
175
«The self-perception of society as modern, that is, as a distinct cultural and political program and in relation
to other societies, is a feature of modernization which historically emerged in different societies like, for
example, in Europe, Japan, and China. Therefore, modernity re-interprets the paradigm of structural social
change from within, but not as a universalization or a generalization of the social pattern of European
modernization.» Preyer Gerhard, The Perspective of Multiple Modernities On Shmuel N. Eisenstadt’s Sociology,
in Theory and Society, Journal of Political and Moral Theory, 30 2013, 187-225, p. 38.
64
politica. McNeill mostra poi gli effetti disparati che l’introduzione di una stessa tecnologia
poteva avere in un paese a seconda delle strutture istituzionali preesistenti.176
Plagues and people fa entrare la questione delle malattie - limite ecologico e
fenomeno transnazionale - nel conto delle variabili belliche, evidenziando quanto gli
spostamenti umani a fini di conquista siano stati favoriti o sfavoriti dagli agenti patogeni. In
alcuni casi ebbero conseguenze di enorme portata, come l’introduzione della peste da parte
dei Mongoli, l’arrivo delle malattie europee in America, la sconfitta degli inglesi nella
Rivoluzione Americana, favorita dalla malaria, o la mancata penetrazione in Africa degli
Europei fino all’avvento della medicina moderna. 177 Ancora, in Keeping together in time,
McNeill offre una ricostruzione multiculturale e profonda di un fenomeno prettamente
militare come quello dei movimenti di gruppo, analizzato come parte delle pratiche umane di
creazione di legami sociali e di disciplinamento dei corpi, che si ritrova universalmente nelle
attività culturali, religiose, economiche e militari.178
Il lavoro di McNeill ha inoltre contribuito a popolarizzare la tesi dei Gunpowder
Empires di Marshall Hodgson. Precursore dell’approccio World History, Hodgson ha
anticipato la critica dell’Orientalismo di Said e rappresentato l'ascesa dell’Europa come parte
dello sviluppo Eurasiatico invece che come un percorso eccezionale.179L’idea degli Imperi
della polvere da sparo presentata in The venture of Islam spiegava l’affermazione di grandi
Imperi Eurasiatici islamici, dalle caratteristiche burocratiche e centralizzate, grazie alla
capacità dei sovrani di monopolizzare l’artiglieria e liberarsi dalla necessità di negoziare la
potenza militare con le confederazioni dei clan turchi che avevano costituito per secoli
l’ossatura militare dell’Islam. A confronto, nessun sovrano Europeo riuscì a monopolizzare la
potenza militare nello stesso modo, il che spiega perché l’Europa prese la guida militare
dell’Eurasia solo a partire dal tardo diciassettesimo secolo. Invece Russia e Paesi dell'Estremo
Oriente crearono Imperi militari in maniera simile a quelli islamici.180
La tesi oggi è piuttosto contestata visto che non sembra ci sia un legame diretto tra
adozione delle armi da fuoco, autocrazia e conquiste militari, né temporale, né causale. 181
176
McNeill William H. , The Pursuit of Power: Technology, Armed Force, and Society since A. D. 1000,
University of Chicago Press, Chicago, 1982,
177
McNeill William H. , Plagues and Peoples, Anchor Press/Doubleday, Garden City, NY, 1976.
178
McNeill William H. , Keeping Together in Time: Dance and Drill in Human History, Harvard University
Press, Cambridge, 1995.
179
Hodgson Marshall, Rethinking World History: Essays on Europe, Islam and World History, Cambridge
University Press, Cambridge, 1993.
180
Hodgson Marshall, The Venture of Islam: Conscience and History in a World Civilization, vol 1-3. The
University of Chicago Press, Chicago, 1974.
181
Agoston Gábor, Guns for the Sultan: Military Power and the Weapons Industry in the Ottoman Empire,
Cambridge University Press, Cambridge, 2005, p. 192.
65
Tuttavia lo studio di Hodgson ha contributo a mettere in evidenza l’adattabilità militare
dell'Asia in Età Moderna.
Un altro contributo originale, che vedremo più in dettaglio nel terzo capitolo, è stato
quello di Kenneth Chase che in Armi da fuoco. Una storia globale fino al 1700 ha sviluppato
un fruttuoso studio comparativo sulla diffusione delle armi da fuoco in Eurasia, evidenziando
i vari canali di diffusione tecnologica e i limiti allo sviluppo nelle varie aree. 182 Tutte le
maggiori sintesi di World History - come quelle di Eric Jones, Charles Parker e Daniel
Headrik - dedicano spazio alle questioni militari. In particolare Headrik, ne Il predominio
dell’Occidente, è stato capace di articolare gli sviluppi militari per area geografica e periodo,
facendo emergere che lo sviluppo della tecnologia bellica non è un percorso lineare ma
piuttosto risulta legato a specifici momenti di fermento politico e a imprevedibili balzi in
avanti delle conoscenze scientifiche.183
Lo spirito della World History ha poi stimolato alcune scuole di storia militare dei
singoli Paesi a rivedere in senso globale e comparativo gli studi sugli sviluppi nazionali. Gli
esempi sono numerosi: nel caso dell’Italia si sono sviluppati filoni di studi sugli scambi bellici
e culturali del Mediterraneo conteso tra Spagna, Stati Italiani e Stati barbareschi o sulla
professione militare italiana in Europa in Età Moderna. 184 Importanti lavori di sintesi che
cercano di scrivere una storia militare transnazionale sono stati scritti da Stephen Morillo e
Jeremy Black.185
Nonostante questi studi, ritengo che un limite della World History sia quello di non
essere riuscita a sviluppare un approccio originale allo studio della guerra. Rispetto alla mole
delle ricerche in altri campi, il numero di studi su questioni militari è piuttosto esiguo e spesso
dedicato ad aspetti "laterali" rispetto alle questioni più rilevanti della storia militare. Permane
nella World History una certa diffidenza verso il soggetto militare, ereditata dalla storia
sociale degli anni ’70; in qualche modo l’enfasi sulla histoire problème contrapposta alla
histoire evenementielle e histoire bataille che costituiva il cavallo di battaglia della storia
degli Annales, esercita ancora la sua influenza nel mettere da parte la polemologia.186
182
Chase Kenneth, Armi da fuoco. Una storia globale fino al 1700, Libreria Editrice Goriziana, Gorizia, 2009.
Headrik Daniel, Il predominio dell’Occidente. Tecnologia, ambiente e imperialismo, Il Mulino, Bologna,
2010; Jones Eric, Il miracolo europeo. Ambiente, economia e geopolitica nella storia europea e asiatica, Il
Mulino, Bologna, 2005; Parker Charles H. , Relazioni globali nell’età moderna, Il Mulino, Bologna, 2012.
184
Barbero Alessandro, Il castello, il comune, il campanile, in Storia d’Italia. Annali 18. Guerra e pace, Einaudi,
Torino, 2002; Bono Salvatore, Un altro Mediterraneo. Una storia comune fra scontri e integrazioni, Salerno
Editrice, Salerno, 2008.
185
Morillo Stephen, War In World History: Society, Technology, and War from Ancient Times to the Present,
vol. 1 & 2, McGraw-Hill Education, New York, 2008.
186
Di Fiore Laura, Meriggi Marco, World History, Op. cit. , pp. 142-3.
183
66
Tuttavia se consideriamo la Storia di singole aree geografiche non mancano fenomeni
di revisione storiografica che interessano la storia militare non europea. La storia militare
dell’Impero Ottomano ha visto una profonda riconsiderazione. La storiografia ha rivisto i
giudizi negativi sulle forze militari turche dopo l’apogeo dell’Impero, evidenziando una
evoluzione continua e la loro capacità di rimanere una forza militare professionale e
combattiva fino al disfacimento finale dello Stato Ottomano, oltre a rimanere nel ruolo di
formazione privilegiata della classe dirigente fin oltre la caduta dell’Impero, passando questa
tradizione alla Turchia kemalista.187
La storia militare dell’India ha visto uno sviluppo simile. I conflitti che hanno opposto
i Moghul e le altre potenze indiane come i Maratha e i Sikh con la Compagnia delle Indie e il
Raj inglese non vengono più lette come una semplice questione di adattamento più o meno
riuscito alle tattiche e alla tecnologia europea. In epoca moderna l’India fu un’area
militarmente molto competitiva in cui i vari strati sociali e Stati erano in lotta a livelli
d’intensità e frequenza uguali se non superiori quelli europei. I regni indiani integrarono
elementi bellici occidentali e adattarono la loro cultura bellica al contesto locale, le cui
caratteristiche climatiche e sociali non permettevano di combattere in maniera identica alla
stile della guerra coloniale in America o a quello del conflitto europeo. La conquista
britannica del subcontinente ha cause più politiche che di tipo tecnologico e tattico.188
Lo studio delle vicende militari storiche dell’Asia Orientale si è avviato più
lentamente, complice il fatto che nel corso del ‘900 l’attenzione degli osservatori è stata
calamitata dai conflitti contemporanei e dalle categorie della guerra di popolo, che avevano
caratterizzato i conflitti di liberazione in Cina e in Vietnam.
2.5 Tecnologia e Imperi a livello globale all’inizio dell’Età Moderna
Due aspetti connessi con la storia militare e trattati dalla World History sono inoltre
particolarmente degni di nota: quello della tecnologia e della sua circolazione, che analizzo
nella particolare impostazione della “Needham Question” e quello della struttura degli Imperi
nella prima Età Moderna, come evidenziato dai nuovi studi sugli Imperi Iberici. Lo sviluppo
della scienza moderna, l’avanzamento della tecnologia e la sua circolazione internazionale
sono sempre state viste come conferme dell’eccezionalismo occidentale. Dato che lo sviluppo
187
Ágoston Gábor, Firearms and Military Adaptation: The Ottomans and the European Military Revolution,
1450–1800, Journal of World History 25, no. 1 (2014): 85–124.
188
Kaushik Roy, War, Culture and Society in Early Modern South Asia, 1740-184, Routledge, Londra, 2011.
67
scientifico è stato uno degli elementi chiave della Rivoluzione Industriale ma era già rilevate
in Europa durante l’Età delle Scoperte, la “scoperta”, a partire dagli anni ’50, che la Cina nel
tredicesimo secolo avesse un livello di sviluppo molto superiore a quello europeo ha posto
una serie di questioni.
Il ricco dibattito sull’argomento viene spesso indicato come Needham Question o
Needham Puzzle in onore di Joseph Needham, il biochimico, storico e sinologo britannico che
ha cambiato la visione della storia della scienza orientale avviando l’opera in più volumi
Scienza e Civilizzazione in Cina, partita nel 1954 e ancora in corso di pubblicazione. L’opera
nel suo complesso evidenzia l’eccezionale sviluppo della scienza cinese nel corso dei millenni
sia nei campi teorici che in quelli applicati, superiore certamente alla scienza occidentale fino
al 1300 e ancora competitiva fino alla Rivoluzione Industriale. La grande questione che viene
posta è perché il metodo scientifico sia nato in Europa piuttosto che in Cina nonostante la
cospicua base di conoscenze e metodologie presente in Oriente.189 Al di là delle scoperte nei
vari campi della storia della scienza, il valore complessivo dell’opera sta nel dimostrare
l’esistenza di una specifica scienza cinese estesa nel tempo. Oggi può sembrare superfluo
affermarlo, ma all’epoca si usciva da una lunga fase di squalificazione degli aspetti
razionalisti della cultura cinese, ad opera spesso dei cinesi stessi.
Needham non è arrivato a dare una risposta definitiva ma nell’indicare alcuni possibili
elementi che spiegavano la distanza Cina-Europa si è rifatto da un lato a un gruppo di
spiegazioni di natura geofisica ed economica e dall’altro a una serie d’interpretazioni culturali
relative alla filosofia cinese. Sul fronte dei limiti materiali Needham era critico sulle tesi
riduzioniste di Wittfogel ma condivideva l’idea che la centralità della burocrazia nella società
cinese non avesse giovato allo sviluppo scientifico.190 In Cina gli uomini di talento miravano
unicamente alla carriera letteraria e amministrativa mentre chi coltivava interessi scientifici
aveva un ridotto numero di referenti che lo potessero supportare per l'applicazione pratica
delle scoperte. La questione è controversa dato che i letterati avevano capacità e conoscenze
scientifiche che applicavano nel loro lavoro amministrativo: Needham riconosceva
l’importanza della connessione irrigazione-burocrazia ma visti i risultati in termini di resa
agricola lo vedeva più come un elemento di vantaggio della civiltà cinese che un limite.191 Un
189
Yifu Lin Justin, The Needham Puzzle: Why the Industrial Revolution Did Not Originate in China, Economic
Development and Cultural Change, vol. 43, no. 2 (Jan. 1995), pp. 269-292.
190
Needham Joseph, Review of K. A. Wittfogel’s Oriental Despotism, Science and Society 33 (1) 1959, pp. 58–
65.
191
Needham Joseph, Science and Civilization in China, vol. IV, Physics and Physical Technology, part 3: Civil
Engineering and Nautics, Cambridge University Press, 1971.
68
altro dato a cui aderisce è l’idea che la maggiore conflittualità intraeuropea, contrapposta alla
relatività stabilità cinese, abbia fatto da molla allo sviluppo tecnologico.192
Sul fronte sociale e culturale, riprendendo il pensiero di Zilsel che connetteva lo
sviluppo della scienza con lo sviluppo del capitalismo in senso marxista, Needham analizza i
rapporti tra classi sociali e trova che nella società cinese il basso livello sociale di mercanti e
artigiani poteva aver impedito lo sviluppo di quella connessione con le classi intellettuali che
invece è stato base sociale per lo sviluppo tecnologico in Europa. 193 Dal punto di vista
filosofico Needham era critico per l’influenza negativa del confucianesimo sullo sviluppo
scientifico cinese. L’estremo pragmatismo di questa filosofia la rendeva interessata solo agli
aspetti politici e morali della speculazione, mettendo da parte la riflessione sulla filosofia
naturale. Non tutto il pensiero cinese era così, Needham ricordava che invece la filosofia
taoista aveva approcci originali e favorevoli alla comprensione dei fenomeni naturali.194
Una critica comune alla questione di Needham è di tipo epistemologico. Ha senso
chiedersi perché uno sviluppo non sia avvenuto in una data situazione? Piuttosto è più
fruttuoso domandarsi perché la rivoluzione scientifica sia avvenuta in Europa. 195 Come ha
scritto Cohen sembra quasi che Needham ponga la sua questione per mostrarne l’irrilevanza.
In realtà il lavoro di Needham non solo ha riscritto la storia della scienza cinese ma ha
costituito una guida per raccontare lo sviluppo dei paesi non occidentali. 196 Si può piuttosto
intendere come uno studio contraffattale di quali siano le condizioni necessarie per l’emergere
della scienza ma anche come una dimostrazione di come una civiltà dotata di un proprio
sistema cognitivo-scientifico sia capace di importare e incorporare specifiche nozioni teoriche
e tecniche.197
Un approccio vicino alla visione di Ellman, che nei suoi studi evita la questione dello
sviluppo del metodo scientifico ma analizza lo cambio culturale tra Europa e Cina. 198 Per
l’autore lo sviluppo della scienza in Cina in Età Moderna ha visto una dialettica tra pensiero
192
Needham Joseph, The Grand Titration. Science and Society in East and West, Allen & Unwin, Londra, 1969.
Cohen Hendrik, Joseph Needham’s Grand Question, and How to Make Introductive for Our Understanding
of the Scientific Revolution, Science and Technology in East Asia, vol. 9, The Legacy of Joseph Needham.
194
Ronan Colin, The Shorter Science and Civilization in China, vol. I, Cambridge University Press, Cambridge,
1978.
195
Mackerras Colin, Global History, the Role of Scientific Discovery and the ‘Needham Question’ in Europe and
China in the Sixteenth to Nineteenth Centuries in Perez Garcia Manuel, De Sousa Lucio, Global History and
New Polycentric Approaches Europe, Asia and the Americas in a World Network System, Palgrave Macmillan,
London, 2016, p. 31.
196
Cohen Hendrik Floris, The Scientific Revolution. A Historiographical Inquiry, The University of Chicago
Press, Chicago, 1994.
197
Gorelik Gennady, How the Modern Physics was Invented in the 17th Century, part 1: The Needham
Question. Scientific American Website.
198
Elman Benjamin, On Their Own Terms: Science in China, 1550–1900, Harvard University Press, Cambridge
2005.
193
69
occidentale e cinese che è andata avanti per secoli, dal contatto con i
portoghesi fino
all’instaurazione della Repubblica, che ha cancellato definitivamente le istituzioni culturali
imperiali.
L’altro tema, quello dell’organizzazioni delle compagini Imperiali, ci aiuta a orientarci
nella questione del tipo di entità politica che l’attività bellica proteggeva o osteggiava. Gli
Imperi dell’Asia non erano conformi al modello dello Stato Nazione europeo e questa è stata
spesso vista come una delle cause della loro debolezza. Tuttavia se si considerano i paesi
Europei nelle loro connessioni globali e nella creazione di Imperi oltremare, soprattutto nella
prima fase dell’Età Moderna, ecco che questa differenza tende a scemare. Questo è evidente
nella nuova storiografia sugli Imperi Iberici. Già l’opera di Braudel aveva contribuito a
mettere sotto una luce favorevole gli Imperi spagnolo e portoghese, rivalutandone la
dimensione politica mediterranea, ottenuta grazie alla struttura multinazionale, e la portata
economica globale, derivante dalla congiunzione tra le capacità amministrative della
monarchia castigliana e di quelle finanziarie della piazza di Genova.
L’opera di Gruzinski Les quatre parties du monde ha espanso le intuizioni di Braudel
in senso planetario, evidenziando le particolari caratteristiche della proto-globalizzazione
iberica, capace con scarsi mezzi tecnologici e amministrativi di connettere una serie di
territori sparsi su quattro continenti. Questa espansione aveva creato un insieme discontinuo ma funzionale - di diverse unità politiche che si distaccano dai modelli di Stato-Nazione. La
sua flessibilità consentiva l’apertura di nuove connessioni intercontinentali tramite la
navigazione oceanica e la capacità di integrare una società composita e meticcia.199
Dal punto di vista economico, secondo una visione classica del processo di
globalizzazione, gli Imperi Iberici avevano avviato l’economia globale, ma, data la loro
arretratezza sociale, non erano stati in grado di beneficiarne pienamente. Oggi questo modello
non riflette più le acquisizioni della storiografia. Da un lato si è ridiscusso il peso sul totale
dell’economia e la distribuzione dei mercati internazionali, più piccoli e spostati sul
commercio Atlantico più che Asiatico. 200 Dall’altro si è scoperto che la globalizzazione
iberica era parte di un più ampio ventaglio di processi simili in Eurasia. Nel 1500 tutto l’arco
dell’Ecumene, dall’Anatolia alla Cina, era interessato da un momento di espansione imperiale
che passava sia per la creazione di grandi regni territoriali che per la conquista di basi e
199
Gruzinski Serge, Les Quatre Parties du monde: Histoire d'une mondialisation, La Martinière, Parigi, 2004.
O’Brien Patrick, European Economic Development; the Contribution of the Periphery, Economic History
Review, 35, 1–18.
200
70
postazioni oltremare.201 L’aspetto economico va comunque considerato nel suo contesto: la
tecnologia e la demografia del periodo non permettevano il popolamento dell’Impero e un
volume di scambi tale da costituire un volano economico per la madrepatria tramite la
produzione proto industriale.
Dal punto di vista politico l’esperienza degli Imperi Iberici è stata spesso vista come
un caso di mancato sviluppo di moderni Stati nazionali. La presenza dell’Impero avrebbe
distratto le istituzioni e l’economia dalla creazione delle strutture necessarie al decollo come
stato nazionale.202 L’avanzamento delle nostre conoscenze sulle istituzioni della prima parte
della Età Moderna aiuta oggi a mettere in prospettiva anche queste critiche. Gli Imperi
raggruppati attorno a un monarca, che assomma nella sua figura diversi titoli di regalità,
restano fino alla fine del diciassettesimo secolo le entità politiche più comuni in Europa e nel
mondo. Gli Stati nazionali piuttosto sono un'eccezione, e la maggior parte si è formata in
Europa e in America solo nell’Ottocento o dopo la Prima Guerra Mondiale.
Tutti questi imperi sono stati basati su una forma di negoziazione centro-periferia e
una pluralità di centri decisionali. Quello spagnolo non agiva differentemente dai
contemporanei Ottomani, Moghul o Ming.203 Ma in realtà questa prospettiva può essere estesa
anche alle costruzioni imperiali europee successive, gli Imperi d’oltremare di Inghilterra,
Olanda, e in misura minore Francia, dove l’annessione di territori oltremare non implicò mai
una reale centralizzazione del potere in un unico centro decisionale. Darwin, ad esempio, ha
parlato del britannico come di un Impero incompleto.204 Il ruolo di reti familiari e clientelari e
di organismi para- statali nella creazione dei legami economici e politici imperiali ridusse il
peso dell’elemento dello Stato-Nazione, specie nel caso della Olanda.205
Il problema dell’alto costo militare dell’Impero è stato ampiamente trattato da Parker
nei termini dell’iperestensione imperiale. Una questione comune a tutte le compagini
imperiali moderne che portava spesso, come abbiamo visto nel caso spagnolo, a un processo
di devoluzione del carico amministrativo verso le realtà locali. La proiezione globale degli
Imperi Iberici è tale da spostare il focus dai conflitti europei. Nel cercare di stabilire una scala
degli impegni dell’Impero spagnolo, Burbank e Cooper propongono che il maggiore
avversario sia stato fino al diciassettesimo secolo l’Impero Ottomano piuttosto che le
201
Findlay R. ,O’Rourke K. , Power and Plenty: Trade, War, and the World Economy in the Second Millennium,
Princeton University Press, Princeton, 2007.
202
Bernal A. M. , España, proyecto inacabado. Los costes/beneficios del Imperio, Marcial Pons Madrid, 2005.
203
Burbank J. , Cooper F. , Empires in World History: Power and the Politics of Difference, Princeton
University Press, Princeton, 2005.
204
Darwin J. , Unfinished Empire: The Global Expansion of Britain, Allen Lande, Londra, 2012.
205
Adams J. , The Familial State: Ruling Families and Merchant Capitalism in Early Modern Europe, Cornell
University Press, New York, 2005.
71
Province Unite. Entrambi gli Imperi, terminata la propria fase di espansione, dovettero
dipendere sempre più dalla tassazione interna, e per farlo negoziarono una cessione del potere
sempre maggiore con le élite locali.206
Riprendendo da queste tematiche, Yun-Casalilla sostiene che i regni Iberici non erano
tanto dei proto-Stati o delle Nazioni con degli Imperi, quanto piuttosto dei network di entità
politiche di cui due, Castiglia e Portogallo, avevano creato i propri Imperi. 207 Il sistema rimase
efficiente finché per circostanze politiche non sorsero proto-Nazioni capaci di sfidare gli
Imperi Iberici non solo in Europa ma anche sui mari. Quello che fece la differenza per
Inghilterra, Francia e Province Unite fu la capacità di sviluppare istituzioni statali e parastatali efficienti, maggiormente capaci di gestire la compagine imperiale e stimolare
l’economia mediante manovre mercantiliste, più efficaci del network informale che
caratterizzava gli imperi iberici.
La fine dell’egemonia spagnola non significò la fine del suo Impero e una serie di sovrani,
ministri, riformatori, nel corso del diciottesimo secolo agì spesso con successo per rimuovere
le cause istituzionali della debolezza dei loro Stati.208
La storia degli Imperi Iberici aiuta mettere in prospettiva l’idea dell’espansionismo
europeo basato sullo Stato Nazione, e dimostra come le compagini imperiali tradizionali
fossero una struttura politica molto vitale nell’intera Eurasia durante l’Età Moderna. La
capacità di connettere realtà politiche e sociali diverse tra di loro, un apparato statale limitato,
contrattazione e accomodamento con le élite locali e i poteri economici, sembrano quindi
costituire la normalità della struttura degli Imperi, non solo in Asia ma anche in Europa, per
gran parte del periodo di nostro interesse, accorciando notevolmente la differenza tra i due
contesti.
La tendenza oggi è quella di studiarle facendo particolare attenzione alle loro
interconnessioni e scambi, superando il modello della semplice esportazione di merci e
cultura occidentale. 209 Per l’Asia Orientale, partendo dall’intuizione di un Mar Cinese
Meridionale come di un Mediterraneo asiatico, vari studiosi hanno rivisto le politiche
commerciali e militari dei vari paesi rivieraschi, scoprendo un vasto network di relazioni in
206
Pamuk S. , The Evolution of Fiscal Institutions in the Ottoman Empire, 1500–1914 in Yun B. , O’Brien
Patrick, The Rise of Fiscal States. A Global History, 1500–1914, Cambridge University press, Cambridge, 2002,
pp. 304–331.
207
Bartolomé Yun-Casalilla Iberian World Empires and the Globalization of Europe 1415–1668, Palgrave
Macmillan, Londra 2019.
208
Storrs C. , The Spanish Resurgence, 1713–1748, Yale University Press, New Haven, 2016.
209
O’Brien Patrick, Historiographical Traditions and Modern Imperatives for the Restoration of Global History,
Journal of Global History 1 (1), 3–39
72
cui gli europei si inserirono e interagirono, ma che non arrivano a ristrutturare se non verso il
diciottesimo secolo.210
Studiando il caso della base portoghese di Macao si può vedere quale fosse il reale
bilanciamento di potere nella prima Età Moderna: i portoghesi e gli spagnoli non potevano
espandersi militarmente nemmeno sulle coste cinesi, ma la loro presenza non costituiva
un’intrusione totalmente sgradita ai locali. Dopo alcuni scontri si giunse ad un
accomodamento che permetteva il commercio e lo scambio culturale. Le due parti
reclamavano la sovranità sulla stessa area che nella pratica condividevano, visto che i
portoghesi potevano restare solo coltivando buoni rapporti con i cinesi e questi ultimi
tolleravano la presenza di una città piuttosto aliena alla loro cultura per i grandi vantaggi
economici che ne derivavano.211
2. 6 Il dibattito sulla Grande Divergenza economica. Esiste una Divergenza Militare?
2. 6. 1 Il modello revisionista o della Grande Divergenza
Terminata la discussione sulla tesi della Rivoluzione Militare e sugli aspetti militari e
politici che la World History può utilizzare per metterla in prospettiva, passiamo a discutere
una ben affermata critica storica revisionista di ambito economico, quella della Grande
Divergenza, la cui struttura interpretativa utilizzeremo per addentrarci nel problema delle
vicende militari dell’Asia Orientale nell’Età Moderna. La World History più recente ormai
contesta apertamente il modello del Rise of the West. Secondo i revisionisti, le società
dell'Asia Orientale non erano in stasi o in declino nell’Età Moderna e hanno continuato a
svilupparsi con percorsi molto simili all’esperienza occidentale. Il sorpasso europeo, la
Grande Divergenza, non si può più identificare nell’Età delle scoperte geografiche, dato che
ancora nel diciottesimo secolo esisteva una relativa parità economica e tecnologica tra le aree
più sviluppate dell’Asia e dell’Europa. Solo a fine secolo l’avvento della Rivoluzione
Industriale produsse una discontinuità economica e militare tale da favorire l’Europa.
L’idea della divergenza è stata introdotta da Eric Jones in The European Miracle, che
la utilizza come sinonimo del miracolo europeo intendendola come un processo che va dal
210
Wong R. Bin, Entre monde et nation: Les régions braudéliennes en Asie, Annales. Histoire, Sciences
Sociales, 56(1).
211
Ptak Roderich, Portugal and China: An Anatomy of Harmonious Coexistence (Sixteenth and Seventeenth
Centuries), in Jarnagin Laura, Culture and Identity in the Luso-Asian World: Tenacities and Plasticities, Institute
of Southeast Asian Studies, Singapore, 2012, pp. 234-5.
73
1400 al 1800.212 Vari autori come Andre Gunder Frank, Kenneth Pomeranz, Roy Bin Wong e
Jack Goldstone sono partiti dalla critica del suo libro e hanno reinterpretato il termine (fino
agli anni ‘90 le interpretazioni predominanti erano quelle di matrice weberiana e quelle di
matrice marxista). Per questi autori si poteva parlare di una Grande Divergenza tra Europa e
Asia come risultato di un secolare processo di sviluppo occidentale contrapposto alla
stagnazione asiatica. Anche storici dell’economia come David Landes rientrano in questo
approccio, come pure la corrente istituzionalista di economia che associa Rise of the West e
sviluppo del mercato. 213 Dagli anni ‘60 gli approcci neomarxisti della Teoria de la
Dependencia e della World System Analysis si sono concentrati sulla questione dello scambio
ineguale per comprendere la costruzione del moderno sistema economico.
Rispetto alla natura del capitalismo queste analisi si ponevano decisamente nel solco
di Paul Sweezy e della sua risposta al marxismo ortodosso di Dobb centrato sui sistemi di
produzione.214 Sweezy invece giudicava centrali l’ascesa del commercio internazionale e della
classe borghese per spiegare il trapasso dal feudalesimo al capitalismo. 215 Sulla scia di
Braudel i neomarxisti hanno caratterizzato il capitalismo come un sistema sul monopolio, la
coercizione e l’alleanza Stato-capitale. Questa corrente è stata inizialmente ispirata da una
visione eurocentrica, ovviamente critica da sinistra, di cui la miglior espressione è la teoria dei
Sistemi Mondo di Wallerstein che identifica la nascita del mondo moderno con il processo di
assorbimento dei tradizionali sistemi di relazioni politiche e commerciali delle varie aree del
mondo in un unico sistema globale capitalista a guida occidentale.216
Al contempo altri autori hanno iniziato un lavoro di analisi delle fonti storiche che
cominciava a rivedere l’idea della stagnazione e del modo di produzione asiatica, tornato in
auge negli anni ‘60 con la tesi del dispotismo idraulico di Wittfogel. 217 L’interesse per lo
studio della tecnologia cinese a seguito del lavoro di Needham rendeva disponibili nuovi
studi, meno influenzati dalla distorsione eurocentrica. Già Braudel, nelle sue ultime opere,
dedicava molto spazio a una descrizione non comparativa con il modello Occidentale dei
212
Jones Eric, The European Miracle: Environments, Economies and Geopolitics in the History of Europe and
Asia, Cambridge University Press, Cambridge, 1981, p. 242.
213
North Douglass C. , Understanding the Process of Economic Change, Princeton University Press, Princeton,
2005.
214
Dobb Maurice, Problemi di storia del capitalismo, Editori Riuniti, Roma, 1974.
215
Per il dibattito Dobb-Sweezy rimando oltre che al citato volume di Dobb anche a AA. VV, The transition
from Feudalism to capitalism”, Verso edition, London, 1978 e a AA. VV, Dal feudalesimo al capitalismo,
Liguori Editori, Napoli, 1986.
216
Wallerstein Immanuel, Il sistema mondiale dell’economia moderna, Il Mulino, Bologna, 1978.
217
Wittfogel Karl, Il dispotismo orientale. Il sistema di produzione asiatico: dalle origini al suo incontro con il
capitalismo occidentale, Pi Greco, Roma, 2012.
74
sistemi produttivi e mercantili cinesi.218 Partendo dallo studio del Giappone, Tokugawa, Akira
Hayami, Jan de Vries e Kaoru Sugihara hanno proposto la tesi della rivoluzione industriosa
che ha aperto la strada alle ricerche su un modello di produzione asiatica non più centralizzato
e statalista ma basato su piccoli produttori ad alta intensità di lavoro.219 Giovanni Arrighi è
passato dalla lettura sistemica di Il lungo Ventesimo Secolo a quella di Adam Smith a
Pechino, che integra molti risultati della California School e propone la tesi che in Asia, in
particolare in Cina, lo Stato perseguisse lo sviluppo di una politica economica equilibrata e
concorrenziale (smithiana secondo la rilettura che Arrighi fa di Smith) contrapposta alla piena
alleanza anti-mercato di Stato e capitalismo nel sistema europeo.220
Un’altra tesi importante in questo percorso è quella della “trappola dell’equilibrio di
alto livello”. Mark Elvin è partito dallo studio dell’adozione e della caduta in disuso dei filatoi
meccanici in Cina all’inizio dell’Età Moderna per spiegare come mai un paese con una alto
livello tecnologico e un’economia integrata e commercializzata non avesse intrapreso il
percorso della meccanizzazione del lavoro.221 Utilizzando modelli economici lo studioso ha
contrastato l’idea di una stagnazione dell’economia cinese nel corso dell’Età Moderna e ha
spiegato l’assenza di sviluppo industriale come la conseguenza di una situazione di equilibrio
di domanda e offerta. Questa era permessa dalle particolari condizioni di progresso e stabilità
dell’economia cinese, dall’integrazione del mercato favorita dalle vie di comunicazione
acquatiche e dalla struttura demografica della popolazione che offriva una riserva ampia di
manodopera a buon mercato, non rendendo conveniente l’automazione.222
218
Per uno studio delle correlazioni tra scuola californiana e marxismo classico, World System Theory e
Annales, si veda O’Brien Patrick, Ten Years of Debate on the Origins of the Great Divergence, disponibile
online.
219
Hayami introdusse il concetto di Rivoluzione Industriosa nel 1967 per confrontare le tecnologie ad alta
intensità di manodopera del Giappone Tokugawa (1603-1868) con le tecnologie ad alta intensità di capitale della
rivoluzione industriale britannica. Il concetto fu poi formalizzato da De Vries nel 1993 come una nuova strategia
di produzione familiare, diffusa sia in Europa che in Asia, volta alla massimizzazione dell'utilità economica, che
comportava una riduzione del tempo libero e una ridistribuzione del lavoro dalle attività non commerciabili alle
attività di mercato, in modo da consentire un maggiore consumo di beni. Hayami Akira, Japan's Industrious
Revolution: Economic and Social Transformations in the Early Modern Period, Springer, Tokyo, 2015, pp. 95–
97; De Vries Jan, The Industrial Revolution and the Industrious Revolution, Journal of Economic History,1994,
54, 249-270; Sugihara, K. , The East Asian Path of Economic Development: A Long Term Perspective in Arrighi
Giovanni, Hamashita Takeshi, Selden Mark, The Resurgence of East Asia: 500, 150 and 500 Year Perspectives,
Routledge, Londra, 2003. 78–123.
220
Arrighi Giovanni, Il lungo ventesimo secolo. Denaro, potere e le origini del nostro tempo, Il Saggiatore,
Milano, 2003; Arrighi Giovanni, Adam Smith a Pechino. Genealogie del Ventunesimo Secolo, Feltrinelli,
Milano, 2008.
221
Elvin Mark, The high-level equilibrium trap: the causes of the decline of invention in the traditional Chinese
textile industries in Willmott W. E. , Economic Organization in Chinese Society, Stanford University Press,
Stanford, 1972, pp. 137–172.
222
Elvin Mark, The Pattern of the Chinese Past, Stanford University Press, Stanford, 1973, pp. 298-315.
75
Nel corso degli anni ‘90 una serie di autori esperti in vari campi, come gli statunitensi
Kenneth Pomeranz, Roy Bin Wong, Jack Goldstone, James Lee, Feng Wang, Janet AbuLughod, Dennis Flynn, Arturo Giraldez, Robert Marks, James Blaut, Andre Gunder Frank e i
britannici Jack Goody e John Hobson prendono a contestare decisamente i modelli
tradizionali del rapporto Asia-Europa. «Instead of seeing the rise of the West as a long process
of gradual advances in Europe while the rest of the world stood still, they have turned this
story around. [-]Europe was far behind many of the advanced societies elsewhere in the world
and did not catch up with and surpass the leading Asian societies until about AD 1800. The
rise of the West was thus relatively recent and sudden and rested to a large degree on the
achievements of other civilizations and not merely on what happened in Europe.»223
Questa corrente prende slancio con il lavoro del 1998 ReOrient: Global Economy in
the Asian Age di Andre Gunder Frank.224 Per Frank le prove storiche dimostrano che l'Asia
continuò a crescere più rapidamente dell’Europa fino al 1750 e che la tesi del Modello di
Produzione Asiatico di Marx, Weber, Sombart e Wittfogel è viziata da una prospettiva
eurocentrica che la rende inservibile. Non solo la produzione agricola variava i suoi sistemi a
seconda dei climi e dell’evoluzione sociale, ma anche in campo finanziario e tecnologico non
c’erano grandi differenze tra Europa, Cina e India.
L’Asia, esportatrice di prodotti di lusso e manufatti, influenzava l’Europa quanto gli
europei influenzano l’Asia con l’esportazione di metalli preziosi. I livelli di esportazione
erano tali da spingere gli intermediari commerciali a commissionare agli artigiani locali
prodotti studiati apposta per il mercato europeo, spesso dal gusto semplificato, sia per i tessuti
in India che per le porcellane in Cina.225 Non sono state la presunta forza dell’Europa e la
presunta stagnazione dell’Asia a portare alla divergenza, quanto il fatto che il successo
dell'Asia fino al 1750 aveva toccato i limiti dello sviluppo pre-industriale mentre gli Europei
utilizzavano tattiche predatorie per ridurre il divario. Contrariamente alle tesi di O’ Brien non
c’è un filo diretto tra l'età delle esplorazioni e la nascita dell'industria. 226 La Rivoluzione
Industriale non si può spiegare come uno sviluppo interno all'Europa, ma come una strategia
223
Goldstone, Jack, Why Europe? The Rise of the West in World History, 1500–1850, The McGraw Hill
Companies, New York, p. 200.
224
Frank André Gunder, (Re)Orient: Global Economy in the Asian Age, University of California Press,
Berkeley, 1998.
225
Brook Timothy, Il cappello di Vermeer. Il Seicento e la nascita del mondo globalizzato, Einaudi, Torino,
2016. , pp. 59-90.
226
O’Brien Patrick, European industrialization from the voyages of discovery to the industrial revolution in H.
Pohl, The European discovery of the world and its economic effects on pre-industrial society: 1500-1800,
Stuttgart, 1990, pp. 154-177.
76
volta a superare i vantaggi delle manifatture indiane e cinesi sostituendo il vantaggio
dell'intensità di lavoro con quello del vapore,
Questa nuova interpretazione è stata variamente attaccata dagli esponenti più ortodossi
della World System Theory raccolti attorno alla rivista del Fernand Braudel Center. Amir
Samin accusava Frank di abbandonare un’analisi scientifica a favore delle filosofie della
Storia ispirate a Toymbee e Spengler.227 Wallerstein contesta il suo disinteresse per i diversi
modelli di produzione, arguendo che è stato lo sviluppo del modello di produzione capitalista
in Occidente a fagocitare progressivamente le altre economie.228 Giovanni Arrighi non ritiene
che il materiale storico presentato nel libro sia sufficiente per sostenere le sue tesi più ardite,
in particolare il rapido passaggio settecentesco dell’Europa dal sottosviluppo al primato
sull’Asia, riaffermando quell’eccezionalismo europeo che si voleva in principio negare. 229
Sanjay Subrahmanyam evidenzia che lo sforzo intellettuale di Frank, che in buona parte era
volto a rispondere alle tesi di Fukuyama, Huntington e David Landes, fa piazza pulita troppo
facilmente della sociologia classica. Una critica fondata ma carente di strumenti atti a
costruire un modello alternativo teoricamente saldo.230
Un confronto articolato tra le tesi di Landes e Frank evidenzia come il primo enfatizzi
l'elemento culturale per spiegare l’eccezionalismo europeo e rigettare il modello di sviluppo
evoluzionistico, mentre Frank offre una versione aggiornata della teoria dei Sistemi Mondo
per sostenere che lo sviluppo tecnologico segue le necessità dell’economia e non il
contrario.231 Molto più positivo Christopher Chase Dunn, che concorda con la necessità di
uno sguardo nuovo sulla storia economica mondiale e la centralità millenaria dell’Asia,
invitando a trovare una posizione intermedia tra la tesi dello sviluppo europeo partito dal
capitalismo del 1500 e quella di un balzo repentino con la Rivoluzione Industriale. The
emergence within Europe of an interstate system in which the hegemonic core powers were
capitalist states instead of tributary empires was most probably due to an important difference
in strength of capitalist accumulation in Europe compared with the older core regions in South
227
Amin Samir, History Conceived as an Eternal Cycle, Review (Fernand Braudel Center), vol. 22, no. 3, 1999,
pp. 291–326.
228
Wallerstein Immanuel, Proves the European Miracle, Review (Fernand Braudel Center) 22, no. 3 (1999):
355-71.
229
Arrighi Giovanni, The World According to Andre Gunder Frank, Review (Fernand Braudel Center), vol. 22,
no. 3, 1999, pp. 327–354.
230
Subrahmanyam Sanjay, Recensione di (Re)Orient: Global Economy in the Asian Age , Annales de Histoire,
Sciences Sociales, 55e Année, no. 4 (Jul. -Aug. , 2000), pp. 944-946.
231
Buck David D. , Was It Pluck or Luck That Made the West Grow Rich?, Journal of World History, vol. 10,
no. 2 (Fall, 1999), pp. 413-430.
77
and East Asia. 232 Anche secondo Peer Vries, Frank non riesce a dare una spiegazione
convincente dell’emergere dell’industrializzazione in Europa e non in Asia: o esistevano dei
limiti culturali e tecnologici in Asia oppure i mercati mondiali non erano così connessi.233
Frank ha risposto ai suoi critici spiegando che lo scopo dell’opera è proprio quello di
voler uscire dalla spiegazione dell'ascesa dell’Occidente «The alternative European worldeconomy and Modern World-System approaches constructed and inspired by Braudel and
Immanuel himself and Giovanni's recent work have been a big help, but they are far too
limited in their scope and therefore as explanations also still weaker than my modest
effort.»234 Alla questione politico-militare verrebbe attribuita un’influenza eccessiva rispetto
allo sviluppo economico. Il movimento storico in cui ha avuto il peso maggiore è quello della
creazione delle colonie in Africa e in America che ha permesso un certo accumulo di capitale
in Europa a partire dal 1500. Frank non ritiene che lo stato di guerra in Europa abbia avuto
una vera influenza sulla Rivoluzione Industriale che è stata invece stimolata dal mercato
internazionale.
Nel 1997 Roy Bin Wong amplia la prospettiva di Frank puntualizzando l’esistenza di
grandi differenze istituzionali tra la Cina e il sistema degli Stati europei, dove la Cina spicca
per una sua millenaria unità a fronte di differenze economiche regionali più spiccate di quelle
europee.235 Il governo cinese non dipendeva dalla tassazione del commercio e poteva evitare
di cercare l’alleanza con la sua classe mercantile.236 Il sistema europeo non era più efficiente
di quello cinese fino all’avvento della Rivoluzione industriale. Wong coglie dei punti rilevanti
, come la capacità amministrativa dei cinesi, ma finisce per ricadere paradossalmente in una
forma di eurocentrismo per via della sua eccessiva semplificazione che fa sembrare l’unità
cinese un modello privo di evoluzione. Questa apparente stabilità non permette di cogliere
l’impatto dei fattori esogeni come le guerre e invasioni sulla Storia cinese e come la società
abbia reagito e vi si sia adattata.
Anticipati da Frank e da Wong, i termini del dibattito sono stati poi fissati dal volume
di Pomeranz del 2000 The great divergence. Meno estremista di Frank, Pomeranz centra la
232
Chase-Dunn Christopher, Recensione di (Re)Orient: Global Economy in the Asian Age, American Journal of
Sociology, vol. 105, no. 4 (Jan. , 2000), pp. 1196-1197.
233
Vries Peer, Should we really reorient?, Itinerario - European Journal of Overseas History, October 1998.
234
Frank André Gunder, Responses to ReOrient Reviews.
235
Wong R. Bin, China Transformed: Historical Change and the Limits of European Experience, Cornell
University Press, Ithaca, 1999, pp 101-104.
236
Wong, R. B. , The Political Economy of Agrarian Empires and its Modern Legacies in Brook T. , Blue G. ,
China and Historical Capitalism. Genealogies of Sinological Knowledge, Cambridge University Press,
Cambridge, 1999, pp. 210–45.
78
sua analisi in un confronto tra le regioni più avanzate del globo nel diciottesimo secolo: il Sud
della Cina, alcune regioni del Giappone, dell’India, dell'Olanda e dell’Inghilterra, per
sostenere la tesi della “Eurasian similarity”, che afferma come le differenze economiche in età
preindustriale fossero meno rilevanti di quanto si credesse e che ci fossero centri di sviluppo
avanzati nei vari continenti.237 Una tesi apparentemente sensazionale ma in realtà non così
nuova, dato che storici e sociologi “eurocentristi” come Bairoch avevano già individuato
regioni asiatiche con differenze economiche ridotte rispetto all’Europa.238
In particolare la Cina aveva quattro elementi di centralità: era la più grande economia
dell’epoca, aveva i salari reali più elevati, dominava il commercio mondiale come esportatore
di manufatti e prodotti pregiati e attirava la maggior parte dell’argento disponibile. La tesi del
deficit commerciale occidentale e del deflusso di argento in Asia è una di quelle che unisce
vecchie e nuove interpretazioni. La questione era già presente in Braudel, Arrighi e Cipolla
che la vedevano come una molla che stimolò l’Europa a favorire la circolazione commerciale
e poi l’industrializzazione per compensare il deficit.239 Vari studiosi della scuola californiana
la portano piuttosto come prova della centralità economica della Cina e dell'arretratezza
occidentale.240
A livello produttivo Pomeranz mostra come la Cina di metà diciassettesimo secolo
avesse “similarità sorprendenti” (striking similarities) con l’Occidente. La Cina era un Paese
innovatore nei campi dell’agricoltura e del commercio. Era priva di retaggi feudali, con diritti
di proprietà (in particolare della terra) più definiti rispetto alla maggior parte dell’Europa. La
produzione artigianale era caratterizzata da attività tipiche del decollo pre-industriale. I
trasporti e la politica di laissez faire del Governo stimolavano la commercializzazione e il
paese esprimeva una classe di mercanti capaci di rapportarsi con gli omologhi asiatici ed
europei. Pomeranz trova due spiegazioni esterne per lo sviluppo industriale. La prima è
ecologica, sia Europea che Asia soffrivano un grave problema di deforestazione per
alimentare la crescita economica, ma in Inghilterra i depositi di carbone era prossimi alle aree
più sviluppate del Paese contrariamente alla Cina, il dove il delta dello Yangtse e la Manciuria
erano separate da migliaia di chilometri.
237
Pomeranz Kenneth, La grande divergenza. La Cina, l'Europa e la nascita dell'economia mondiale moderna,
Il Mulino, Bologna, 2004.
238
Bairoch Paul, Economics & World History. Myths and Paradoxes, The University of Chicago Press, Chicago,
1993, pp. 533-535.
239
Cipolla Carlo M. , Conquistadores, pirati e mercanti. la saga dell'argento spagnuolo, Il Mulino, Bologna,
1996.
240
Hobson John, The Eastern Origins of Western Civilisation, Cambridge University Press, Cambridge, 2004,
pp. 72, 77-78, 171.
79
L’altra è la sostituzione dei fattori produttivi. Piuttosto che i metalli preziosi, per
Pomeranz sono state la disponibilità di risorse agricole e energetiche extra nelle Americhe, le
derrate coloniali, il legname e la disponibilità del cotone indiano ad alimentare la crescita
dell’industria europea. Queste potevano essere sfruttate estensivamente dagli Europei visto lo
spopolamento del Continente, e permettere di ridurre lo sfruttamento intensivo della terra,
nutrire a un costo più basso la popolazione, liberare manodopera ed evitare la trappola
dell’equilibrio di alto livello, rompendo definitivamente i limiti malthusiani e la dipendenza
dalla terra nell’Inghilterra di fine diciottesimo secolo. Questo permise all’Inghilterra di
rendere profittevole la produzione industriale basata sul lavoro salariato e l’utilizzo di
macchine alimentate da energia a carbone, fino a quel momento utilizzato solo per il
riscaldamento. 241 Per contro la Cina, che disponeva anch’essa di abbondanti risorse
energetiche, aveva una economia ad alta intensità di lavoro tale da non rendere profittevole il
passaggio ad una produzione meccanizzata.
Peter Perdue concorda con la spiegazione ecologica ma critica l’assenza nella
trattazione di una piccola ma rilevante differenza nelle pratiche commerciali tra Cina ed
Europa: le compagnie privilegiate. Non solo queste ebbero un ruolo importante nello sviluppo
economico interno, ma la loro competizione militare mise le fondamenta della penetrazione
occidentale in Asia. Anche se la Cina era un paese bellicoso ed espansionista, la sua
attenzione era rivolta verso l’Asia Centrale e non ci fu mai un’azione statale per proteggere i
propri mercanti o supportare militarmente i traffici oltremare.242
August Maddison, che ha compiuto simili ricostruzioni storiche dell’economia cinese,
trova insufficiente la serie di dati economici e basi teoriche fornite da Pomeranz per
giustificare la sua tesi. Troppi indicatori non economici, come urbanizzazione, speranza di
vita, estroversione del paese, sconfessano l’idea di una parità con l'Europa. Anche se si
restringe il paragone limitatamente alle aree più sviluppate, come Inghilterra, Olanda, delta
dello Yangtse e regione del Kanto, appaiono comunque vistose differenze di reddito medio.
L’approccio della scuola californiana ha condotto anche a formulare tesi
dall’approccio più generale, come quelle relative all’unità culturale e al cammino di sviluppo
comune eurasiatici. L’antropologo Jack Goody si esprime «against drawing too sharp a
241
Tesi ripresa da Wrigley che definisce la rivoluzione industriale come il processo che ha rotto il legame
esclusivo dell’uomo e dell’economia con la terra. Wrigley E. A. , Continuity, Chance and Change. The
Character of the Industrial Revolution in England, Cambridge University Press, Cambridge, 1988.
242
Perdue Peter, Review of Pomeranz, Kenneth, The Great Divergence: China, Europe, and the Making of the
Modern World Economy, H-World, H-Net Reviews. August, 2000.
80
contrast between East and West in those features of social organization that could relate to the
onset of capitalism, modernization and industrialization‟ since, economically the distinct
qualitative difference between East and West came only with industrialization.»
243
L’approccio di Jack Goody disegna l’alternarsi del ruolo guida tra le diverse civiltà,
dall’Europa all'Estremo Oriente, accompagnato da un costante scambio culturale.244
La superiorità dell’Europa, avviata da un percorso intellettuale originale nel
Rinascimento, costituisce una fase transitoria. Il concetto stesso di Rinascimento è
universalizzato da Goody in un altro suo testo che indica come questo sia un fenomeno
globale e ricorrente di reinterpretazione attiva delle risorse culturali del passato. 245 La tesi
dell’unità eurasiatica o teoria dell’oikumene, è confermata anche da studiosi di altre civiltà.
come Michelguglielmo Torri, che nella sua Storia dell’India lega strettamente i momenti di
maggior sviluppo del subcontinente alle fasi di sviluppo del commercio internazionale, che
stimolavano i settori più avanzati dell' economia. Il settore manifatturiero indiano era così
capace di produrre qualità e quantità di beni da risultare competitivo con l'industria britannica
ancora a inizio Ottocento e la sua distruzione non fu certo opera della convenienza dei
prodotti britannici, quanto della sistematica distruzione delle strutture agricole e sociali che lo
rendevano possibile ad opera della Compagnia delle Indie.246
Esterno alla scuola, ma su posizioni simili, si situa anche Jared Diamond con il suo
libro Armi, acciaio e malattie. Ispirando la sua tesi alle scienze naturali sostiene che lo
sviluppo eurasiatico fu favorito dall’orientamento Est-Ovest della fascia temperata, area di
sviluppo delle società urbane dall’Europa alla Cina. Le condizioni climatiche meno dissimili
permettevano alle varie civiltà di comunicare agilmente tra di loro e spostare piante e animali
in varie regioni, condividendo il simile livello tecnologico fino all’avvento della Rivoluzione
Industriale. Quest'ultima venne generata quasi casualmente dal combinarsi da una serie di
sviluppi che si erano generati non collegati tra loro: livello di conflittualità acceso ma non
caotico tra gli Stati europei, l’accesso alle risorse americane, lo sviluppo del pensiero
scientifico.247
243
Goody Jack, Capitalism and Modernity: The Great Debate, Polity, Oxford, 2004. pp. . 60 e 102.
Goody Jack, Eurasia. Storia di un miracolo, Il Mulino, Bologna, 2010.
245
Goody Jack, Rinascimenti. Uno o molti?, Donzelli, Roma, 2010.
246
Torri Michelguglielmo, Storia dell’India, Laterza, Bari, 2007.
247
Diamond Jared, Armi, acciaio e malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, Einaudi,
Torino, 2006.
244
81
2. 5. 2 Il dibattito Bryant-revisionisti.
La tesi della scuola californiana sono state criticate da vari studiosi. In particolare un
importante dibattito, avente per protagonisti Joseph M. Bryant e diversi studiosi revisionisti,
si è svolto sulla rivista Canadian Journal of Sociology. In un articolo del 2006 Bryant attacca
la California School dal punto di vista analitico e fattuale e sostiene che «the revisionist
position is both empirically suspect and analytically incoherent».248
Innanzitutto non ci sarebbe un vero divario qualitativo tra gli studi di storia e
sociologia classica relativi all’Europa e all’Asia. I lavori di Chaudhuri, Needham, Spence,
Wittfogel, Fairbank e Granet sostanzialmente confermano la lettura europea di matrice
weberiana «that neither in the Indian subcontinent, nor in China, nor in the Islamic world was
a breakthrough to capitalist modernization in the offing. [-] The leading powers of the East [-]
were keyed to their own specific institutional arrangements and cultural traditions, and
situated within historical currents that flowed accordingly.»249 Al contrario, il lavoro della
scuola californiana contesta le spiegazioni eurocentriche e le sostituisce con una vaga storia di
unità e sviluppo complessivi dell’Eurasia, di pratiche sociali isomorfe e omologhe e di
progressi comparabili nei campi della razionalizzazione, dell’individualismo, della tecnologia
e della produttività, durati fino all’avvento dell’industrializzazione.
Per Bryant questa lettura appiattente, che attribuisce la Rivoluzione Industriale ad una
serie di congiunture aleatorie ed accidentali, riafferma paradossalmente l’eccezionalismo
europeo che voleva negare. Le interpretazioni tradizionali meglio concepite scansavano la tesi
dell’inerzia dell’Asia ma spiegavano che i fermenti mercantili e produttivi non alterarono la
struttura degli imperi a struttura fiscale tributaria, né riuscirono a modificare in profondità la
mentalità.250 Bryant attacca sia i dati che il metodo di Pomeranz. La ricostruzione di serie
economiche sulla base di dati incompleti finisce logicamente per essere lacunosa e viene
colmata da proiezioni, basate sui dati di altri periodi, che risultano speculative e inficiano la
tesi della parità eurasiatica. «An abstractive economism that neglects or obscures the causally
determinant implications of markedly variant social structures can hardly provide compelling
grounds for a new narrative of comparative world history.»251
248
Bryant Joseph M. , The West and the rest revisited: Debating capitalist origins, European colonialism, and
the advent of modernity, Canadian Journal of Sociology 31(4). p. 403.
249
Bryant Joseph M. , The West and the rest revisited, Op. cit. , p. 407.
250
Wickham Chris, The Uniqueness of the East Journal of Peasant Studies 12/1: 166-96.
251
Bryant, M. Joseph, The West and the rest revisited, Op. cit. , p. 433.
82
Le pratiche dell’agricoltura e della manifattura ad alta intensità di lavoro non hanno
costituito un elemento di vantaggio ma piuttosto velocizzato il raggiungimento dei limiti
malthusiani. 252 Questo processo di crescita dell’output senza sviluppo di tipo tecnico, alla
lunga ha costituito una forma di involuzione dell’economia: tutti i miglioramenti a livello di
abilità dei lavoratori non potevano compensare il peggioramento del rapporto terrapopolazione.253
L’assenza di dinamismo impedì la nascita di economie di scala e limitò lo stimolo alla
domanda di manufatti e l’accumulo di capitale.254 I mercanti cinesi, infatti, si limitavano a
raccogliere e commercializzare la produzione manifatturiera rurale senza stimolare la
diffusione di nuovi metodi di produzione.255 Per Bryant il problema interpretativo di Goody,
Frank, Wong, e Pomeranz deriva da una distinzione incerta tra capitale mercantile e
industriale, che li porta ad affermazioni discutibili sull’evoluzione storica del capitalismo e
dei metodi di produzione in Asia, dove invece la semplice presenza di commercializzazione e
mercanti non creava necessariamente delle relazioni sociali capitalistiche, come invece stava
avvenendo in Europa grazie al commercio transoceanico e al più alto livello di scambio
intraeuropeo. 256
In definitiva il problema maggiore della scuola californiana è la distorsione
interpretativa della casualità. «In place of cumulative, path-dependent lines of causality and
densely contextual interdependencies, the revisionist paradigm offers a more episodic and
atomistic view of social change, wherein determinant efficacy is vested [-] with the
autonomous play of variables and the re-routings occasioned by extraneous contingencies.»257
Ma questa fissazione sulle variabili costituisce per Bryant un autentico errore ontologico,
perché disconosce il fatto che le condizioni casuali non controllabili diventano occasioni di
sviluppo solo in presenza di una struttura socio-culturale capace di renderle tali.
Per Langlois la critica di Bryant è eccessivamente centrata sulle dinamiche interne e
poco aggiornata sull’evoluzione degli studi sull’impatto decisivo del commercio oceanico
252
Maddison Angus, Chinese Economic Performance in the Long Run, OECD, Parigi, 1998.
Huang Philip, Development or Involution in Eighteenth-Century Britain and China?, Journal of
Asian Studies, 2002, 61/2: 501-38.
254
Brenner Robert, Isett Christopher, England's Divergence from China's Yangzi Delta: Property Relations,
Micro economics, and Patterns of Development, Journal of Asian Studies 2002 61/2: 632-636.
255
Elvin Mark, Another History: Essays on China from a European Perspective, Wild Peony, Canberra, 1996,
pp. 48-60.
256
«Even for England, the world's foremost trading nation by 1800, commerce beyond the bounds of Europe
contributed less than 10% to the English total» O'Brien Patrick, Intercontinental Trade and the Development of
the Third World Since the Industrial Revolution, Journal of World History 1997 8/1: 75-134.
257
Bryant, M. Joseph, The West and the rest revisited, Op. cit. , p. 436.
253
83
nello sviluppo del capitalismo europeo.258 Questo lo porta a sottovalutare l’importanza delle
risorse americane che invece la teoria della Grande Divergenza enfatizza come decisive per la
modernizzazione europea. Anche la sua avversione al determinismo geografico risulta fuori
fuoco. Gli storici revisionisti rimangono ancorati ad un approccio materialista derivante dal
marxismo classico, che non nega che siano stati gli sviluppi sociali e tecnologici ad aver reso
possibile lo sfruttamento di risorse inaspettate, e li distingue dall’approccio della contingenza
assoluta di matrice costruttivista, tipica di studiosi post marxisti come Ernesto Laclau.
Il maggior problema di Bryant è quello di non voler vedere i limiti epistemologici e
fattuali delle ricerche di Weber, da cui molti sociologi storici cercano ormai di distanziarsi.259
Senza nulla togliere alla fecondità del suo pensiero, i contributi più recenti, alla luce di nuove
ricerche specialistiche, stanno rivalutando la sua influente posizione eurocentrica come «more
grand mythopoeic fantasy of European superiority than grounded empirical theory.»260
Goldstone punta il dito su numerose incomprensioni e distorsioni concettuali nella
critica di Bryant. I revisionisti non sostengono che le maggiori civiltà stessero avanzando in
contemporanea su un cammino di modernizzazione, ma piuttosto che nessuna di queste,
Europa compresa, stesse affrontando un processo di modernizzazione nel corso dell’Età
Moderna.261
La modernizzazione è intimamente legata con la Rivoluzione Industriale il cui avvio avviene
in un periodo di tempo piuttosto limitato, tra il 1750 e il 1850. È in questa fase che si
concentrano i cambiamenti lineari che Bryant invoca come determinanti, presenti e
cronologicamente concentrati. Goldstone non nega che anche il periodo precedente abbia
avuto progressi rilevanti, anche se di natura diversa, cumulativa e non determinante. Ad
esempio, l’industrializzazione deriva certamente dai progressi della ricerca scientifica dal
1500 al 1700, tuttavia prima della metà del diciottesimo secolo lo studio del vapore e della
pressione erano rimasti agli stadi teorici senza aver raggiunto l’affidabilità necessaria per
trasformarsi tecnologia.
Nel discorso di Bryant si ritrovano a tratti pregiudizi eurocentrici che negano una serie
di sviluppi asiatici o li leggono come segni di arretratezza, gli stessi che per l’Europa sono
portati come esempi di progresso. Bryant elenca tra i vantaggi dell’Europa la stampa, ma non
258
Acemoglu Daron, Simon Johnson, Robinson James, The rise of Europe: Atlantic trade, institutional change
and economic growth, American Economic Review, 2005, 95(3): 549-550.
259
Campbell Colin, Do today’s sociologists really appreciate Weber’s essay The Protestant Ethic and the Spirit
of Capitalism?, Sociological Review, 2006, 54(2): 207–223.
260
Langlois Rosaire, The closing of the sociological mind?, Canadian Journal of Sociology, 2008, 33(1):136.
261
Goldstone Jack, Capitalist origins, the advent of modernity, and coherent explanation: A response to Joseph
M. Bryant, Canadian Journal of Sociology, 2008, 33(1): 119–133.
84
considera la ricca storia della stampa asiatica che in Cina e Giappone rivaleggiava con quella
europea prima dell’applicazione delle tecnologie industriali.
262
Ancora, condanna le
regolamentazioni e i monopoli degli Stati Asiatici ma vede le Compagnie privilegiate (la
massima espressione del mercantilismo, statalista e monopolista) come precursori del
capitalismo.
Nel suo contributo al dibattito, Mark Elvin abbraccia con alcune riserve le tesi di
Bryant sugli sviluppi europei lenti e lineari prima del diciannovesimo secolo, in particolare
relativamente al legame Rivoluzione Scientifica-Rivoluzione Industriale. «It was modern
science that turned what might have been a relatively brief efflorescence of 18th and early
19th century Western technological, economic, and military advantage into a process that
created the runaway dynamism that has been the hallmark of economic modernity.»263 Elvin
mostra che sia Bryant che Goldstone ritengono che in Cina non ci fossero le condizioni per un
decollo scientifico.264 Nella Cina del sedicesimo secolo il livello scientifico era avanzato ma
mancava una formazione sociale ed intellettuale capace di disseminare questi risultati.265
Tornando alla questione e rispondendo ai suoi critici, Bryant continua a fustigare la
tesi revisionista; «The new sociology that discounts or flattens variations in the institutional
and the cultural is here met by a new kind of history that dispenses with the tracking of deep
lines of cumulative causation and reconfigures the past in terms of long-persisting similarities,
protracted lulls, and sudden discontinuities.»
266
Il loro approccio, slegato dalla
contestualizzazione dei concetti e delle strutture, porta a vedere esempi di democrazia,
sviluppo e modernità in ogni tempo e luogo, negando sia la specificità della modernità
occidentale che degli sviluppi delle altre civiltà. In particolare Goldstone propone una
sociologia storica implausibile, che si serve di indici di sviluppo umano costruiti
arbitrariamente per effettuare comparazioni poco sensate tra società lontane nel tempo e nello
spazio.
Bryant appare scettico in relazione alla visione di Goldstone, che separa nettamente lo
sviluppo delle scienze esatte da quello tecnologico. La storia della scienza ha superato queste
262
Brook Timothy, The Confusions of Pleasure: Commerce and Culture in Ming China, University of California
Press, Berkeley, 1998.
263
Elvin Mark, Defining the explicanda in the ‘West and the rest’ debate: Bryant’s critique and its critics,
Canadian Journal of Sociology, 2008, 33(1), p. 171.
264
Elvin Mark, Some reflections on the use of ‘styles of scientific thinking’ to disaggregate and sharpen
comparisons between China and Europe from Song to mid-Qing Times (960–1850 CE), History of Technology,
2006, 25:53–103.
265
Elvin Mark, L’esprit scientifique dans la Chine impériale au début du XVIIème siècle. , disponibile online.
266
Bryant Joseph M. , A new sociology for a new history? Further critical thoughts on the Eurasian similarity
and great divergence theses, Canadian Journal of Sociology, 2008, 33(1): p. 151.
85
letture “internaliste” a favore di una comprensione del rapporto tra scienza e società,
sostenendo l’esistenza di un rapporto tra scienza esatta e innovazioni pratiche già dal tardo
Rinascimento.267
In altre sedi di dibattito, Broadberry e Gupta criticano l’idea di una parità Eurasiatica
utilizzando lo studio dei flussi commerciali e della circolazione dell’argento per dimostrare
che le regioni più produttive dell’Asia erano paragonabili sì all’Europa, ma alle regioni
Meridionali e Orientali meno dinamiche.268 Lo sviluppo del Nord Europa è testimoniato da un
lato dall'urbanizzazione e dallo sviluppo di attività manifatturiere di beni da esportazione,
dall’altro dai salari, in termini di moneta d’argento, più elevati che nelle zone unicamente
agricole e nell’area mediterranea. Lo sviluppo della Cina assomiglia molto di più a quello
delle aree meno sviluppate visto che i suoi lavoratori avevano bassi salari in argento, modesti
salari in termini di grano, vivevano in un contesto di attività quasi esclusivamente agricole e
scarsamente urbanizzato. I salari in termini di grano decrebbero ulteriormente in epoca Qing e
i bassi salari in argento riflettevano una scarsa produttività per addetto nei settori di beni da
esportazione.
L’assorbimento dell’argento americano è una questione controversa. Da un lato la
stabilizzazione della base monetaria favorì la creazione di imprese agrarie e manifatture
specializzate su base regionale e la commercializzazione dei beni.269 Dall’altro questo afflusso
di argento può aver causato un deflusso di ricchezza reale dalla Cina, vuoi per il costo di
arbitraggio, vuoi perché la Cina avrebbe potuto continuare a utilizzare come in passato la
carta moneta. Le grandi esportazioni di tè e porcellana si possono considerare il costo sociale
del mantenimento del sistema monetario argenteo.270
Peer Vries ha analizzato la questione della Grande Divergenza in diversi interventi.271
Pur apprezzando l’impostazione della questione revisionista è critico sulle comparazioni che
267
Rossi Paolo, I filosofi e le macchine (1400-1700), Feltrinelli, Milano, 2002.
Broadberry Stephen, Bishnupriya Gupta, The early modern great divergence: Wages, prices, and economic
development in Europe and Asia,1500–1800, Economic History Review, 2006, 59(1): 2–31.
269
Dennis Flynn, Giráldez Arturo, Cycles of Silver: Global Economic Unity through the Mid-Eighteenth
Century, Journal of World History, vol. 13, no. 2, p. 416.
270
Dennis Flynn, Giráldez Arturo, Money and Growth without Development: The Case of Ming China in
Kawakatsu H. , Latham A. J. H. , Asia Pacific Dynamism 1550–2000, Routledge, London, 2000, pp. 199–215.
271
Vries Peer, Should We Really ReORIENT (A Review-Article of Andre Gunder Frank’s ReOrient), Itinerario –
European Journal of Overseas History, 22 ⁄ 3 (1998): 19–38; Vries Peer , Reply to Professor Frank, Itinerario –
European Journal of Overseas History, 22 ⁄ 4 (1998): 16–24); Vries Peer, Are Coal and Colonies Really Crucial?
Kenneth Pomeranz and the Great Divergence, Journal of World History, 12 (2001a): 407–46; Vries Peer,
Governing Growth: A Comparative Analysis of the Role of the State in the Rise of the West, Journal of World
History, 13 (2002): 67–138; Peer Vries, The California School and Beyond: How to Study the Great
268
86
tendono a parificare lo sviluppo dei Paesi europei ed extraeuropei.272 Una delle sue critiche
più originali è quella delle differenze politiche tra Cina e India Britannica. Contrariamente
alla visione che vede la prima come statalista e la seconda libertaria, Vries ribalta i termini
mostrando come lo Stato e l’Impero britannico fossero forme di governo invasive nella vita e
nelle finanze dei loro cittadini e più capaci di influenzare l'economia rispetto a quella cinese.
Tassazione pesante, creazione di debito pubblico e banca centrale, Compagnie privilegiate e
gestione diretta di arsenali e cantieri navali contrastano nettamente con il paternalismo agrario
cinese, centrato sul mantenimento dell’equilibrio sociale e la gestione delle eccedenze per
affrontare le carestie.273
Un aspetto poco considerato dagli studiosi della Grande Divergenza è quello della
profonda trasformazione economica e di costume che in Europa venne stimolata dal
commercio con l’Asia. Carmagnani ha notato come l’attività di importazione dei beni di lusso
e di riesportazione verso gli altri Paesi europei stimola nelle potenze commerciali una
profonda rivoluzione delle pratiche del commercio. Nascono le prime grandi strutture
logistiche e si aggiornano le politiche daziarie, mentre la nascente scienza dell’economia
politica esalta il consumo cospicuo e mette in discussione i vantaggi del mercantilismo,
preparando l’avvento dell'età del libero commercio.274
Un discorso simile viene affrontato anche da Anievas e Nisancioglu, contrari a
considerare sia l'eccezionalismo culturale che la contingenza come cause dello sviluppo
europeo. I due autori cercano di andare oltre le tesi revisioniste e anti-revisioniste e spiegare
la Grande Divergenza come un fenomeno repentino nel suo manifestarsi e influenzato a
livello strutturale dai processi di lungo periodo nei secoli precedenti. 275 A riprova della
complessità dei fenomeni portano l’esempio della conquista britannica dell’India, che fu
avviata dai contrasti tra gli europei, stimolata dalle politiche mercantiliste e resa possibile da
una situazione temporanea di disunità interna dell’India. La guerra marciò in contemporanea
con la Rivoluzione Industriale e fornì poi le risorse militari ed economiche per affermare la
Divergence? History Compass 8/7 (2010): 730–75; Peer Vries, Escaping Poverty: The Origins of Modern
Economic Growth, V&R Unipress, Gottingen, 2013.
272
Per una critica della visione di Peer Vries del processo di industrializzazione e un apprezzamento delle tesi
della Grande Divergenza vedi De Vries Jan, Escaping the Great Divergence, TSEG/ Low Countries Journal of
Social and Economic History, 2015, 12(2), pp. 39–50.
273
Giovanni Arrighi sostiene esattamente la stessa tesi: la Cina aveva una economia liberista di mercato in
termini Smithiani mentre l’Inghilterra era caratterizzata da una economia capitalista e monopolista in termini
marxisti. Arrighi Giovanni, Adam Smith a Pechino. Genealogie del Ventunesimo Secolo, Feltrinelli, Milano,
2008.
274
Carmagnani Marcello, Le isole del lusso. Prodotti esotici, nuovi consumi e cultura economica europea, 16501800, Utet, Milano, 2010, pp. 19-35.
275
Anievas Alexander, How Did the West Usurp the Rest? Origins of the Great Divergence over the Longue
Durée, Comparative Studies in Society and History, vol. 59 (1).
87
nuova politica liberista con cui l’Inghilterra si impose nel commercio e nella politica in Asia
Orientale.276
In definitiva i revisionisti continuano a lavorare partendo dal presupposto di una
World History eccessivamente eurocentrica, dato che le grandi teorie teorie storiche e delle
scienze sociali sono nate in un’epoca di trionfo occidentale e di scarsa conoscenza della realtà
asiatica. Per la scuola californiana il massiccio aumento di studi specialistici permette di
impostare nuove teorie e letture generali. Per contro gli antirevisionisti insistono sul problema
dell’influenza dei fenomeni di lunga durata e sulla selezione dei dati, in un dibattito che
continua a essere acceso.277
2. 5. 3 La Rivoluzione Militare come parametro di controllo della tesi della Grande
Divergenza.
Questa introduzione alle tesi e alla critica della Grande Divergenza dovrebbe aver reso
chiaro quanto spazio ci sia per una narrazione diversa e più puntuale della divaricazione
economica tra Europa ed Estremo Oriente. Per quanto siano valide le tesi di una vitalità
economica asiatica che ha tenuto testa allo sviluppo europeo fino alla Rivoluzione industriale
devo evidenziare che i fattori culturali e sistemici, la conflittualità dei sistemi internazionali,
hanno giocato un ruolo più rilevante nel creare cambiamenti di lungo periodo, di quanto vari
autori della California School ammetterebbero. Questo è evidente se proviamo ad applicare
l’orientamento e il metodo revisionista in campo economico al campo della storia militare. La
questione militare non è centrale nelle spiegazioni dei revisionisti, pur essendo stata più volte
portata dai loro critici come controprova dei loro limiti esplicativi. Tra gli sviluppi lineari
dell’Occidente, precedenti la Rivoluzione Industriale, Bryant cita esplicitamente la
Rivoluzione Militare di Roberts e Parker, che non ebbe pari in Asia e permise l’espansione
oltremare europea.278
Nella sua risposta, Goldstone propone un contro argomento: gli Europei non furono in
grado di utilizzare il loro piccolo vantaggio tecnologico nel campo degli armamenti per
penetrare in Asia prima di metà Ottocento. Stati organizzati, come la Cina e il Giappone,
avevano capacità simili nell’addestramento e nella fabbricazione di fucili. La loro resistenza
276
Tesi molto simile a quella di Arrighi e Silver in Caos e governo del mondo: la conquista dell’India fornisce
all’Imperialismo inglese sia la motivazione che le risorse per forzare l’apertura commerciale della Cina.
277
La sintesi più recente del dibattito in Vries Peer, What we do and do not know about the Great Divergence at
the beginning of 2016, Historische Mitteilungen der Ranke-Gesellschaft 28 (2016), pp. 249-297.
278
Bryant Joseph M. , The West and the rest revisited, Op. cit. , p. 410.
88
agli europei invalida le tesi del Rise of the West. Quindi piccoli avanzamenti nel campo degli
armamenti non contano come un balzo generale della tecnologia. 279 Anche per Langlois il
livello tecnologico europeo nel campo delle armi era nella media delle aree sviluppate
dell’Eurasia, e bisogna riconsiderare la sua influenza anche nelle più spettacolari conquiste
europee in America: armi di metallo, alleanze con i locali e le epidemie di malattie del
vecchio Mondo furono più rilevanti delle armi da fuoco.280
Bryant ribatte che il vantaggio tecnologico era rilevante e cruciale già da prima del
diciannovesimo secolo e permette un’espansione commerciale e coloniale oltremare che non
ha termini di paragone storici. Un vantaggio che è un riflesso della superiorità statuale,
culturale e tecnologica delle società europee. Gli asiatici infatti potevano competere con
l’Occidente solo copiandone le armi e le loro vittorie si spiegano più per le ridottissime forze
inviate dagli Europei che per la propria capacità bellica. 281 Come abbiamo visto, i sostenitori
della Rivoluzione Militare sono tutt'altro che concordi nel valutare la sua efficacia nel
confronto con i popoli extraeuropei, in particolare nel confronto con gli asiatici, che fino al
Settecento non subiscono sconfitte e occupazioni degne di nota.
Si pone la domanda se si possa utilizzare la questione militare come un parametro di
controllo della tesi della Grande Divergenza. Ri-orientando l’analisi sull’Asia e sul suo
sviluppo interno, non solo in termine di paragone con l’Europa, possiamo chiederci: gli
Europei erano o meno in vantaggio militare sull’Estremo Oriente tra 1400 e 1800? In quali
aree? Se sì, lo erano per ragioni sistemiche, culturali o tecnologiche? Se no, quali motivazioni
hanno portato alle sconfitte della Cina a partire dalla Guerra dell’Oppio e alla completa
ristrutturazione del sistema internazionale dell’Estremo Oriente?
La questione è resa complessa dal limitato sviluppo degli studi specialistici in questo
campo. Tuttavia come per gli studi economici possiamo fare riferimento ad una serie di autori
che definiremo come esponenti della Scuola della Rivoluzione Militare Cinese (per comodità
sinologia militare), che hanno dato una profonda scossa agli studi in questo campo.282
Come vedremo in dettaglio nel terzo capitolo, questo gruppo ha una posizione
originale che non corrobora pienamente né la tesi revisionista né quella antirevisionista, anche
se propende per la prima nell’affermare che esistesse in campo militare un comune percorso
di sviluppo eurasiatico. I sinologi militari non hanno problemi ad ammettere che in alcuni
279
Goldstone Jack, Capitalist origins, Op. cit. , p. 128.
Langlois Rosaire, The closing of the sociological mind?, Op. cit. , p. 136.
281
Bryant Joseph M. , A new sociology for a new history?, Op. cit. , p. 435.
282
Andrade Tonio, An Accelerating Divergence? The Revisionist Model of World History and the Question of
Eurasian Military Parity: Data from East Asia, The Canadian Journal of Sociology 36(2) · December 2010.
280
89
momenti come nel 1500 le armi occidentali fossero superiori a quelle cinesi e giapponesi, ma
i cinesi furono rapidi nelle accorgersene e nell'aggiornarle adattandole al proprio contesto
produttivo.
L’intera questione fa parte dei fenomeni di diffusionismo tecnologico tra Asia ed
Europa. Quindi in campo militare ci sarebbe spazio per parlare di linee di sviluppo similari
eurasiatiche, rinforzando la tesi revisionista, anche se gli antirevisionisti ribattono con il
classico argomento che i miglioramenti alle armi da fuoco e le tattiche europee fanno
categoria a sé, superiore a tutte le altre opzioni. Analizzando la letteratura disponibile, in
particolare le guerre interstatali tra Stati asiatici e gli scontri con gli europei, cercheremo di
capire quale fosse il reale bilancio di forze.
90
Capitolo 3. Le Rivoluzioni Militari in Asia Orientale
«Chinese military history has become part of the discipline of military history and is
contributing to a new, broader and more inclusive approach to the subject. [-] As China
gains a military history, it will become a more “normal” subject of comparison rather than
an exotic and abstract other. It will cease to be that strange place where wars didn’t happen
and the elites had no interest in military matters, yet it somehow invented perhaps the most
consequential military technology in human history. Putting war into Chinese history thus
puts Chinese history into history itself.»
283
3. 1 La guerra nel sistema internazionale e nella cultura dell’Estremo oriente
3. 1. 1 Il contesto.
Per affrontare il tema della guerra in Asia Orientale è necessario prima definire alcuni
elementi che influenzeranno l’intera argomentazione. La questione geopolitica: individuando
un certa area geografica, Asia Orientale o Estremo Oriente, è importante stabilire quali
fossero i rapporti di forza nella regione, influenzati dalla geografia e dalla politica, e quale
forma di sistema internazionale determinassero. La tipologia del conflitto: sistema
internazionale, geografia e società hanno determinato diverse modalità di espressione del
fenomeno bellico nel tempo. La questione culturale: se definiamo quest'area come unita da
una comune cultura è rilevante valutare come vi si situi la concezione del fenomeno bellico
per il periodo che ci interessa. Infine la questione della storiografia: quali siano a oggi sia il
livello degli studi che le idee dominanti sulla storia militare asiatica.
3. 1. 2 Il sistema tributario e il rapporto con i nomadi.
Cosa intendiamo come Asia Orientale o Estremo Oriente? I geografi variano la loro
definizione, che comprende come minimo Cina, Taiwan, Corea e Giappone e in senso esteso
anche Vietnam, Mongolia e Province orientali della Federazione russa. Questa porzione di
Eurasia è delimitata dall’Oceano Pacifico, dal Mar Cinese Meridionale, della catena
himalayana, dai deserti centroasiatici e dal deserto del Gobi, ed è caratterizzata al contempo
da grandi sistemi fluviali e da una orografia complessa, elementi che hanno dato vita ad una
283
Lorge, Peter, Discovering War in Chinese History, Extrême-Orient Extrême-Occident, no. 38, 2014, p. 43.
91
civiltà agricola che doveva supplire con l'intensità di manodopera al problema della scarsità di
terre arabili. I territori aridi, le steppe e le montagne che circondano Cina e Corea hanno
determinato uno sviluppo iniziale della civiltà urbana lungo il bacino del Fiume Giallo.
Questa si è contrapposta, già ai tempi delle prime dinastie, con le bellicose civiltà nomadi e
pastorali dell’Asia Centrale. L’ampio territorio dell’Asia Orientale comprende una enorme
varietà di climi e popolazioni, scarsamente unite e integrate tra loro se non dal comune
denominatore dell'influenza plurimillenaria della cultura cinese. Vi rientrano quindi «the
modern countries that can trace some degree of evolutionary continuity back to the earliest
Neolithic and Bronze Age developments in what is now China.»284
La regione è stata influenzata dalle culture centroasiatiche, indiane e austronesiane e, a
partire dal 1500, da quella occidentale, pur vantando una sorprendente unità culturale
originata dalla progressiva espansione della cultura scritta cinese, nata alla fine del Neolitico
nell’area della Cina del Nord «The continuous use for over 3,000 years of this same language
and this same script (with some modifications) lies at the very heart of the Chinese cultural
tradition, and literature written in the classical Chinese language also forms the most critical
link binding China to the other, non-Chinese, parts of East Asia, very visibly demarcating
them from the rest of the world.»285
La centralità e la continuità dell’influenza cinese sulla regione non sono unicamente
culturali. Il sistema internazionale dell’Asia Orientale è storicamente l’opposto di quello
Europeo. Mentre in Europa, dalla caduta dell’Impero romano, nessuna potenza è riuscita a
imporre un’egemonia indiscussa, la Cina, a partire dall’instaurazione dell’Impero Qin (221 a.
C. ), ha assunto una posizione di superiorità economica, culturale e militare, interrotta solo da
periodi più o meno lunghi di divisione interna. «China’s problematic centrality in Asia is even
more basic to it external relations than is its preponderance of power. In contrast to the
traditional West [-] China has been Asia’s ‘solid center of greatest productivity and
population. Its centrality has been the source of its preponderant power in times of unity, and
the temptation of its neighbors in times of weakness and disunity.»286
Le dinastie più potenti (Han, Tang e Qing) hanno integrato le regioni prossime
all’Indocina, dominato a più riprese lo Xinjiang e il Tibet, rigettato i nomadi nelle aree più
periferiche e mantenuto uno stretto rapporto con la Corea, con fasi di occupazione e di
284
3
Holcombe Charles W. ,The Genesis of East Asia, 221 B. C. – A. D. 907, University of Hawaii Press, 2001, p.
285
Ivi, p. 8
Womack Brantly, Traditional China and the Globalization of International Relations Thinking in Womack
Brantly, China Among Unequals, World Scientific Press, Singapore, 2010.
286
92
interventi militari volti ad evitare che la penisola, che costituisce un veicolo di penetrazione
verso il cuore del Nord della Cina, cadesse nelle mani di Dinastie del Nord o dei giapponesi.
Dal canto suo, il Giappone si è integrato nel sistema sinico con l’instaurazione della dinastia
Yamato nel 645, che diede al Paese un Governo unificato e importò elementi di cultura e
governo cinesi, avviando l’interazione con il resto dell’Asia Orientale.
La classica definizione di questo sistema viene fornita da Fairbanks. Il sistema
sinocentrico «handled the interstate relations of a large part of mankind through most of
recorded history», basandosi sull’idea di centralità e superiorità della civiltà cinese che si
irradiava dal Centro, l’imperatore Figlio del Cielo, fino all'estrema periferia, i barbari non
sinizzati, escludendo in teoria la possibilità che gli altri Stati potessero godere di una piena
sovranità e di relazioni paritarie con la Cina stessa. 287 A livello ideologico, la virtù e la
benevolenza dell'Imperatore, espresse simbolicamente in cerimonie, gli conferivano il
prestigio e il potere anche sui popoli non Han, dando ordine al sistema. Nella pratica, la Cina,
molto più potente dei propri vicini, li obbligava, per entrare in relazioni non conflittuali, a
rapportarsi a lei grazie al meccanismo del tributo, definizione coniata sempre da Fairbank nel
1940, che costituiva l’unico strumento accettabile di relazioni diplomatiche nel sistema.288
A grandi linee il sistema tributario consisteva nell’accettazione, da parte dei Paesi
minori, del Mandato del Cielo dell'Imperatore cinese. Riconoscendolo, questi popoli si
elevavano culturalmente agli occhi dei cinesi e i loro sovrani venivano legittimati al governo
dei propri territori come subordinati all’Imperatore. Il riconoscimento apriva la strada alle
missioni tributarie, grandi spedizioni in cui i dignitari stranieri omaggiavano la Cina con dei
doni ricevendone in cambio regali di valore superiore che testimoniavano l'avanzamento della
civiltà cinese. Alla spedizione si associava una missione commerciale e culturale, con
notevolissimi vantaggi economici per gli Stati vassalli.289 La Cina cercava così di aumentare
la sua influenza all’estero e minimizzare il risentimento che sorgeva nelle popolazioni
tributarie nel dichiarare esplicitamente la propria posizione subordinata.
Il sistema tributario aveva anche una dimensione militare, escludendo la guerra tra i
due Paesi e implicando la protezione del vassallo da parte della Cina. Questi obblighi erano
meno strutturati del sistema commerciale ma non per questo poco rilevanti: l'Imperatore
287
Fairbank John K. , A preliminary framework in Fairbank John K. , The Chinese World Order, Harvard
University Press, Cambridge, 1968, p. 1.
288
Fairbankand John K. , Shu-yu Teng, On the Ch’ing tributary system, Harvard Journal of Asiatic Studies, 6
(4), (1941), pp. 135–148.
289
«Korea could get certain luxuries and necessary medicines from China. The Ryukyu received the privilege of
carrying trade goods duty-free to China’s southeast coast and missions stayed in China at the expense of the
Chinese court», Ta-tuan Ch’en, Investiture of Liu-ch’iu kings in the Ch’ing period in Fairbank John K. , The
Chinese World Order, Op. cit. , p. 161.
93
cinese non poteva lasciare che un leale tributario venisse attaccato e non aiutarlo, pena una
grave perdita di legittimazione. Più era stretto il legame più gravoso risultava l’obbligo, come
vedremo nel caso della Corea. Questo sistema di pratiche costituiva dunque il diritto
internazionale della regione e contribuiva alla sua particolare conformazione geopolitica. 290
Lungi dall’essere un’istituzione statica, il sistema tributario raggiunse la sua massima
espansione e standardizzazione in Età Moderna, sotto le dinastie Ming e Qing, quando Paesi
estremamente distanti come Russia, Nepal, Laos, Birmania, Annan, inviavano regolarmente
missioni a Pechino.291
La descrizione schematica resa nota da Fairbanks e dalla sua scuola risulta però
lacunosa nello spiegarne il reale funzionamento, al punto da essere completamente respinta da
alcuni studiosi. Callahan ha criticato il paradigma di Fairbank come «idealized version of a
hierarchical Sinocentric world order with the Chinese empire at the core and loyal tributary
states and barbarians at the periphery». 292 Peter Perdue nega che esistesse un vero e proprio
sistema tributario: la maggior parte delle manifestazioni erano ritualistiche e poco influenti
nella gestione concreta della politica estera. 293 Il concetto è talmente idealizzato dai suoi
ideatori e dalla realtà storica che non esiste neppure un termine cinese che lo definisca come
tale.294 Il tributo/rispetto (gong) è, come vedremo, una realtà più sfaccettata.
Westad si pone a metà strada ritenendo che il sistema tributario fosse uno degli
strumenti a disposizione della politica estera cinese, importante per l'identificazione delle élite
cinesi e per mantenere una serie di relazioni con confinanti pacifici. Questo però conviveva
senza grossi attriti con la politica di potenza attuata in Asia Centrale, con guerre di intensità
tale da comprendere episodi di genocidio, o la diplomazia, come nel caso dei trattati con la
Russia.295 Per altri storici il tributo aveva aspetti ben poco benevoli e costituiva un artificio
propagandistico volto a coprire il dominio della Cina sui suoi vicini.296
290
Hamashita Takeshi, China, East Asia, and the Global Economy: Regional and Historical Perspectives,
Routledge New York, 2008.
291
Wang Gungwu, Early Ming relations with South east Asia: a background essay in Fairbank John K. , The
Chinese World Order, Op. cit. , pp. 34–62.
292
Callahan William A. , Introduction: tradition, modernity and foreign policy in China in Callahan William A. ,
Barabantseva Elena, China Orders the World: Normative Soft Power and Foreign Policy, Woodrow Wilson
Center Press, Washington, 2011, p. 6.
293
Perdue Peter, The tenacious tributary system, Journal of Contemporary China 24(96), (2015).
294
Lo facevano notare anche alcuni collaboratori di Fairbanks: «The Confucian scholar-bureaucrat did not
conceive of a tribute system (there is no Chinese Word for it) as an institutional complex complete within itself
or distinct from the other institutions of Confucian society», Mancall Mark, The Ch’ing tribute system: an
interpretive essay in Fairbank John K. , The Chinese World Order, Op. cit. , p. 63.
295
Westad Odd Arne, Restless Empire: China and the World since 1750, Basic Books, New York, 2012, pp. 9–
10.
296
Chusei Suzuki, China’s Relations with Inner Asia in Fairbank John K. , The Chinese World Order, Op. cit. ,
pp. 180–97.
94
Comune tra le diverse interpretazioni resta comunque l’idea che ci fosse una profonda
asimmetria nei rapporti tra la Cina e suoi vicini. Womak ha parlato di asimmetria e di un
complesso rapporto tra «unequal empires» per descrivere le relazioni tra la Cina e il Vietnam
e criticato l’uso che storici e politologi continuano a fare applicando al contesto dell’Asia
Orientale le categorie di multipolarismo e politica di potenza sviluppate dallo studio del
contesto europeo. 297 L'asimmetria era ancora più marcata nel tormentato rapporto con i
nomadi. Mentre i regni stanziali trovavano conveniente avere relazioni tributarie con la Cina, i
nomadi trovavano spesso più efficace estrarre con la violenza le risorse di cui avevano
bisogno. Non mancarono gli accordi con le tribù della steppa ma la normalità della relazione
era piuttosto il conflitto.298
La Cina e suoi vicini cercavano costantemente di piegare i termini della relazione a
proprio vantaggio reinterpretando la relazione di tributo. Per la Cina mantenere la pace
tramite rituali e commercio era spesso più vantaggioso di un intervento militare mentre un
vassallo fedele poteva assimilare gli elementi materiali e culturali della tradizione cinese che
meglio si adattavano alle proprie specificità.299 Questa flessibilità si spiega meglio ragionando
non in termini di sistema tributario ma, appunto, di tributo. Il termine tributo è una delle
possibili traduzioni del più sfumato concetto di gong, termine che a grandi linee indica
l’azione di omaggiare con doni un superiore da parte di un inferiore. L’intera società cinese
imperiale era basata sul gong, dell'Imperatore verso il cielo, dei funzionari verso l'Imperatore,
del popolo verso i funzionari, etc. Dato che si trattava di un atto ritualistico il gong poteva,
nella concezione cinese, essere esercitato anche dagli stranieri. La lettura di Fairbanks ha
esagerato l’importanza degli elementi rituali a svantaggio dei rilevanti interessi materiali che
questa forma di scambio metteva in gioco. 300
Questa relazione era soggetta a un'interpretazione diversa da parte dei suoi giocatori.
301
Se per la Cina il gong implica il riconoscimento della sua sovranità esclusiva e del
297
Womack Brantly, China and Vietnam. The politics of asymmetry, Cambridge University Press, Cambridge,
2006.
298
Kang David, East Asia Before the West: Five Centuries of Trade and Tribute, Columbia University Press,
New York, 2010).
299
Anderson, J. , Recensione di China and Vietnam: The Politics of Asymmetry by Brantly Womack, Journal of
Vietnamese Studies, 4, no. 3, (Fall 2009).
300
Perdue, Peter C. , China and Other Colonial Empires, The Journal of American-East Asian Relations, vol. 16,
no. 1/2, 2009, p. 88.
301
Gli episodi di malafede e falsificazione erano frequenti «Siam responded to the tributary system, it did not
accept the Chinese perception of world order. In Siamese letters to the Chinese emperor, the Siamese court
preserved its identity as an independent kingdom equal to the Qing court. [-] When the tributary missions arrived
in the Chinese port, Guangzhou, the Chinese officials edited the letters in their translation to comply with the
Chinese hierarchical concept before presenting them to the Chinese emperors. The Chinese letters from the Qing
court to the Siamese court, written in hierarchical terms, were similarly edited in translation and arrived in the
95
Mandato del Cielo, i coreani si adeguavano a tale dettato mentre i Vietnamiti contestavano
l’unicità della posizione dell'imperatore. I giapponesi furono lungamente esclusi dal sistema
per l'impossibilità di trovare un comune terreno diplomatico. I popoli della steppa vedevano i
rituali come un obbligo formale per poter commerciare. I russi che pure riscuotevano tributi
dalle tribù siberiane e si adattavano pragmaticamente al tributo, lo intendevano come podarki
regalo e non dan, tributo formale.302
Pur fortemente gerarchico il sistema lasciava in realtà grande libertà ai suoi attori,
evitando al contempo che si confrontassero in un contesto di bilanciamento delle potenze.303
Data l’asimmetria di potenza tra la Cina e i suoi vicini, questi ultimi avevano un incentivo ad
accettare opportunisticamente delle relazioni pacifiche e formalmente impari con una potenza
che così gli concedeva un riconoscimento e, in teoria, rinunciava a mire espansionistiche nei
loro confronti.304 La storiografia e la sinologia tradizionali hanno enfatizzato il lato pacifico
dell’egemonia cinese e la strategia militare difensiva, addirittura come un'autolimitazione
dell’espansionismo. Nel suo classico studio sull’Imperialismo, Hobson parlava di una politica
estera cinese dalle linee incomprensibili: una nazione autosufficiente che aveva impostato le
sue relazioni internazionali in maniera tale da poter evitare qualunque legame e connessione
stabile con le altre nazioni, mantenendo una politica pacifica e avversa all’espansionismo. 305
Contributi recenti hanno messo in luce l’assenza di remore dei cinesi nel ricorrere alle
armi e anche l’opportunismo espansionistico. Diverse dinastie come Tang, Ming e Qing, non
si limitavano ad accettare sottomissioni rituali, e spinsero le loro pretese di suzeranità a
richieste molto concrete ai loro confinanti se non a campagne di conquista verso Asia
Centrale, Sud-Est asiatico, area himalayana.306
3. 1. 3 I diversi tipi di conflitto
I Paesi della regione hanno visto storicamente tre modalità di conflitto. La prima è il
conflitto civile: le differenze regionali, la struttura della società e l’ideologia confuciana, che
Siamese court as diplomatic documents exchanged between two equal rulers.», Suisheng Zhao, Rethinking the
Chinese World Order: the imperial cycle and the rise of China, Journal of Contemporary China, 24:96, (2015),
pp. 961-982.
302
Perdue, Peter C. , China and Other Colonial Empires, Op. cit. , p. 89.
303
Paul Evans, Historians and Chinese world order: Fairbank, Wang and the matter of indeterminate relevance,
in Zheng Yongnian, ed. , China and International Relations, the Chinese View and the Contribution of Wang
Gungwu (London: Routledge, 2010), pp. 42–55.
304
JamesC, Hsiung, A re-appraisal of Abrahamic values and neorealist IR theory: from a Confucian-Asian
perspective’, in Zheng Yongnian, ed. , China and International Relations, pp. 17–37.
305
Hobson John Atkinson, L’imperialismo, Newton Compton, Roma, 1996, p. 252.
306
Suisheng Zhao, Rethinking the Chinese World Order, Op. cit. , p. 970.
96
collegava la legittimità dei governati alla loro presunta rettitudine che doveva tradursi nel
benessere del popolo, hanno portato a frequenti rivolte delle classi subalterne, spesso causa
dei ricambi dinastici.307 Un percorso talmente ricorrente nella storia cinese da essere già stato
teorizzato dai suoi intellettuali «When Chinese statesmen thought they discerned the classic
symptoms of dynastic decline, they qualified the support they gave to the ruling house and
thus contributed to its ultimate collapse.»308
Lo Stato cinese era strutturato per evitare l'insorgere di poteri regionali, ma nei
momenti di debolezza le rivolte contadine si intrecciarono spesso con l’insurrezione dei
notabili locali e le rivendicazioni millenaristiche di sette religiose portando a diversi momenti
di frammentazione pluridecennale, con diversi Stati in lotta tra loro per la supremazia. 309 Un
percorso che si ritrova anche in Corea e con modalità diverse anche in Giappone. Questi
conflitti erano in genere caratterizzati da una notevole simmetria tra gli avversari visto che le
rivolte si trasformavano spesso in rivendicazioni dinastiche e adottavano modalità di
reclutamento e tattiche in battaglia simili a quelle dei legittimisti.
La seconda modalità era il conflitto con i nomadi e in subordine quello con le
popolazioni periferiche e gli attori non statali. Cina, Corea e almeno in un'occasione il
Giappone, furono costantemente in lotta contro le incursioni e le invasioni dei popoli della
steppa, che in genere costituivano la prima preoccupazione militare di ogni dinastia. Il
costante stato di guerra è stato variamente interpretato come determinato dalla necessità per i
nomadi di procurarsi una serie di beni essenziali (metalli, tessili e grano) che potevano
procurarsi solo con il commercio, spesso osteggiato dai cinesi, o la guerra. 310 Una visione
alternativa è che i nomadi muovessero guerra per l'accesso a una serie di beni lusso e per
procurarsi una legittimazione da parte dei potenti vicini, necessaria per emergere nelle lotte
tra i vari khanati. 311 Per altri studiosi, senza negare le motivazioni ecologiche e politiche
elencate, la povertà e l’attitudine bellicosa dei nomadi costituivano delle spinte troppo potenti
per rinunciare a procurarsi ricchezza con il saccheggio a danno dei sedentari.312
307
Per una spiegazione classica delle guerre civili che partivano come rivolte contadine e portavano
all’instaurazione di una nuova dinastia e il loro legame con l’ideologia confuciana vedi Collotti Pischel Enrica,
Storia della Rivoluzione Cinese, Editori Riuniti, Roma, 2005, pp 13-45.
308
Wright Arthur F. , On the Uses of Generalization in the Study of Chinese History in Gottschalk Louis,
Generalization in the Writing of History, University of Chicago Press, Chicago, 1963), p. 42.
309
Graff David A. , State Making and State Breaking in Graff David A. , Higham Robin, A Military History Of
China, Westview Press, Boulder, 2000.
310
Sechin Jagchid, Van Jay Symons, Peace, War, and Trade Along the Great Wall: Nomadic-Chinese
Interaction through Two Millennia, Indiana University Press, Bloomington, 1989.
311
Barfield Thomas J. , The Perilous Frontier: Nomadic Empires and China, 221 BC to AD 1757, Basil
Blackwell, Oxford,1989.
312
Khazanov, Anatoli M. , Nomads and the Outside World, Cambridge University Press, Cambridge, 1984.
97
Questo tipo di conflitto era particolarmente asimmetrico: le civiltà agrarie erano in
svantaggio sia tatticamente, la fanteria non riusciva a contrastare la mobilità dei nomadi, sia
strategicamente: i limiti logistici ed ecologici impedivano una strategia di conquista dei
nomadi. Per quanto cinesi e coreani abbiamo cercato per tutta la storia Imperiale di creare
forze di cavalleria capaci di contrastare i nomadi, la strategia difensiva, gli accordi e una
politica volta a stimolare le rivalità e trovare alleati tra i popoli della steppa, tendevano a
prevalere. Meno rilevante ma comunque presente era il conflitto con le popolazioni tribali non
nomadi. La Cina ha impiegato millenni a conquistare e integrare le popolazioni non Han del
Sud e in Giappone l’evoluzione di una classe guerriera è strettamente connessa con la lotta
con le popolazioni tribali del Nord dell’Arcipelago.
Molto frequente e interessante per questa analisi anche il conflitto con altri attori non
statali. L’Età Moderna vide un proliferare di potenti organizzazioni di pirati e mercanti nel
Mar Cinese. Questi gruppi dalla composizione multietnica costituivano una potenza nei mari e
nelle regioni costiere ed erano capaci di combattere e relazionarsi, fino a diventare alleati o
integrarsi nei poteri locali, i governi centrali e con le organizzazioni europee nell’area. 313
Infine era presente il conflitto interstatale classico, forse la modalità bellica meno
frequente. Non mancano le guerre tra Stati Asiatici nell’Età Moderna: la Guerra Imjin,
l’occupazione Ming del Vietnam, le spedizioni Qing in Nepal e Birmania, ma il loro elenco è
decisamente meno impressionante della lista dei conflitti europei nello stesso periodo. A
questo si aggiungono i conflitti con gli Europei, di piccola scala ma di notevole intensità.
La spiegazione è di natura essenzialmente sistemica: con la Cina saldamente al centro
del sistema, gli Stati minori, posti ai margini e fisicamente e culturalmente distanti tra loro,
avevano pochi incentivi a far scoppiare conflitti tra di loro o contro la potenza dominante. La
Guerra Imjin è il chiaro esempio del tentativo fallito di alterare il sistema a vantaggio di una
potenza minore.
Questa classificazione dei conflitti è solo analitica e due precisazioni sono importanti.
La prima: anche se questi elementi sono ricorrenti non significa che siano immutabili. La
struttura della società sia sedentaria che nomade, il peso delle differenze regionali (in
particolare lo spostamento del primato economico dal Nord al Sud della Cina), la
penetrazione dello Stato, il rapporto tra militari e civili, si sono evolute nel tempo e nessun
313
Tra 1700 e 1800 I pirati del Mar Cinese Meridionale stabilirono una proficua collaborazione con la ribellione
Tay Son nel Vietnam, che creò il primo regno unito nella regione dopo vari secoli, agendo come marina del
nuovo Stato in cambio di basi sicure, vedi Antony Robert, Maritime violence and state formation in Vietnam:
Piracy and the Tay Son Rebellion, 1771–1802, in Stefan Eklöf Amirell, Leos Müller, Persistent Piracy.
Maritime Violence and State-Formation in Global Historical Perspective, Palgrave Macmillan, London, 2014.
98
cambio dinastico, guerra contro i nomadi o conflitto tra Stati è stato uguale al precedente.314
La seconda: i vari tipi di conflitto che ho descritto si sovrapponevano frequentemente. La
caduta dei Ming fu causata dalla contemporanea insurrezione contadina e dall’invasione
mancese, la cui organizzazione statale aveva trasceso i limiti della società nomade. I Qing
abbatterono un altro Impero nomade organizzato, quello degli Zungari. I conflitti con gli
Europei erano al limite del conflitto tra attori statali, vista la natura ibrida di entità come la
Compagnia delle Indie o gli esploratori cosacchi. La pirateria wokou era un fenomeno ibrido,
certo un attore non statale ma inserito e patrocinato dai clan giapponesi in lotta per la
supremazia in patria.
L’elemento che emerge e che distingue maggiormente il conflitto in Asia da quello in
Europa è il fatto che in Asia le diverse modalità di conflitto si ritrovano nello stesso teatro
bellico. Gli Europei combattevano e si rapportavano simmetricamente nei conflitti interni
all'Europa e con i loro immediati vicini, come gli Ottomani, ma il conflitto era totalmente
asimmetrico verso i non europei in Europa, Africa e in molte aree dell’Asia, dove ci si
confronta con popoli dal livello tecnologico inferiore e la guerra era spesso appaltata ad attori
privati. Invece i governi dell’Asia Orientale, i cinesi più di tutti, vista la loro posizione
centrale, si trovavano a confrontarsi sul proprio territorio con diversi tipi di conflitto
contemporaneamente e dovevano mostrare maggiore adattabilità per destreggiarsi tra minacce
differenti.
3. 1. 4 Wen e Wu: contrapposizione e continuità.
La Storia e la cultura cinesi, in particolare il confucianesimo, sono spesso associate a
un presunto pacifismo (pacifist bias) o perlomeno una conscia restrizione del ricorso alla
guerra e una postura difensiva a cui si associano una svalutazione dei valori marziali e della
professione delle armi. «Warfare was disesteemed in [Confucianism]. The resort to warfare
(wu) was an admission of bankruptcy in the pursuit of wen [civility or culture]. Consequently,
it should be a last resort. Herein lies the pacifist bias of the Chinese tradition. Expansion
through wen was natural and proper; whereas expansion by wu, brute force and conquest, was
never to be condoned.»315
314
Dreyer Edward L. , Continuity and Change, in Graff David A. , Higham Robin, A Military History Of China,
Op. cit.
315
Fairbank, John K. , Varieties of the Chinese Military Experience in Fairbank John K. , Chinese Ways in
Warfare, Harvard University Press, Cambridge, 1974, pp. 7–9.
99
Wen (文) e Wu (武) sono termini polisemici: Wen sta per scrittura, civiltà, cultura,
diplomazia, linguaggio; Wu indica vigore fisico, armi, soldati, guerra. La classe dirigente
confuciana, almeno in teoria, si rifaceva ai valori del Wen, lasciando quelli del Wu a uomini
non adatti allo studio e all’amministrazione. Non c’è lo spazio nella dissertazione per trattare
in maniera compiuta il problema, ma esiste un luogo comune che riporta come la Cina
Imperiale non valorizzasse la sua cultura militare.
Molti elementi supportano tradizionalmente questa tesi. Abbiamo visto che i testi
confuciani contengono passaggi che ritengono il ricorso alla forza come inferiore alla mostra
della virtù nell’esercizio del Governo. Anche Mencio contiene passaggi che parlano della
guerra come di un fenomeno inutile e controproducente. 316 Gli ufficiali civili godettero in
Cina di un prestigio e di un potere superiore a quelli militari, su cui spesso esercitavano anche
in guerra un ruolo di supervisione.317 Esistevano personaggi capaci unire con successo le virtù
civili e militari, ma si trattava di eccezioni. I soldati, a tutti i livelli, godevano di bassa
considerazione sociale, almeno dall’epoca Song in poi. Questa mentalità permeava la classe
dirigente ma filtrava anche in quelle popolari.318
Gli effetti di questa svalutazione della guerra avrebbero prodotto una strategia
essenzialmente difensiva refrattaria all’espansione territoriale oltre i confini della
civilizzazione Han. 319 Quando il ricorso alla guerra diveniva indispensabile per difendere
l’Impero, gli obiettivi erano limtati «Campaigns were designed to deter an enemy and to repel
him, or to protect Chinese outposts and communication lines, rather than deliberately to
destroy an enemy or to annex his territory.»320 L’insieme di queste limitazioni costituiva lo
“yizhan”, la guerra virtuosa, una sorta di equivalente laico della “guerra giusta”
cristiana.321Rimando ai paragrafi successivi l’analisi delle politiche espansionistiche cinesi,
del rapporto civili-militari e la considerazione culturale della guerra in epoca Ming e Qing, ma
già qui si possono citare delle critiche di massima.
316
Wyatt Don J. , In Pursuit of the Great Peace: Wang Dan and the Early Song Evasion of the Just War
Doctrine,in Wyatt Don J. , Battlefronts Real and Imagined: War, Border, and Identity in the Chinese Middle
Period, Palgrave Macmillan, New York, 2008, p. 98.
317
Adelman Jonathan R. , Chih-yu Shih, Symbolic War: The Chinese Use of Force, 1840–1980, Institute of
International Relations, Taipei, 1993. P. 30-31.
318
«Chinese society has undeniably produced the military schools of thought (bingja) as well as folk stories
glorifying famed generals and military heroes. Yet Chinese culture as a whole has produced a perception of itself
as one that fundamentally places civil values above military values.» Wang, Yuan-kang. Harmony and War:
Confucian Culture and Chinese Power Politics, Columbia University Press, New York, 2011.
319
«China’s sense of its civilization did not include an aggressive mission either to civilize the rest of the world
or to shoulder its burdens.» Mancall Mark, China at the Center: 300 Years of Foreign Policy, Free Press, New
York, 1984, p. 11.
320
Loewe Michael, The Campaigns of Han Wu-Ti in Fairbank John K. , Chinese Ways in Warfare, Op. cit. , p.
106.
321
Don J. Wyatt, In Pursuit of the Great Peace, Op. cit. , p. 77.
100
La tesi tradizionale ha essenzialmente due problemi: primo, assume senza vaglio
critico le tesi elaborate da una classe sociale, quella dei letterati, che aveva un chiaro interesse
a ridurre l’influenza dei militari.322 Secondo, come la tesi del tributo, è astorica e supporta
l'idea di una continuità strettissima almeno fin dall’età della Primavera e degli Autunni, l’età
di Confucio, ignorando come le istituzioni cinesi, in particolare la selezione degli ufficiali, il
sistema degli esami e il canone confuciano si siano plasmate nel tempo, giungendo a quella
immagine che spesso pensiamo come ancestrale solo verso la fine dell’Impero.323 Le diverse
dinastie regnarono su società differenti, influenzate di volta in volta da culture anche distanti
da quella confuciana e la posizione sociale dei militari era così soggetta a variazioni rilevanti.
Tenendo a mente solo le dinastie autoctone, sotto i Tang la società era permeata di buddhismo
e i militari erano protagonisti della vita politica. Il rapporto tra Wen e Wu variò nel tempo,
spesso legandosi all’alternarsi di episodi di pace e di guerra.324
L’idea di una strategia strettamente difensiva del nucleo Han semplicemente non regge
alla prova dei fatti. Fin dalla fondazione dell’Impero l’autorità imperiale fu diffusa con le armi
dal nucleo originario centrato sul fiume Giallo verso il fiume Azzurro e le aree del sud,
Sichuan e Yunnan. Vaste aree dell’Asia Centrale vennero dominate a più riprese. La guerra
contro i nomadi è il caso in cui la presunta postura difensiva dei cinesi sembra dominare,
esemplificata in pietra dall’edificazione della Grande Muraglia. Non si può enfatizzare a
sufficienza quanto la società cinese fu influenzata dalla necessità di difendersi dai nomadi ma
la mancata conquista della steppa, più volte tentata, non dipendeva da un presunto pacifismo.
Vedremo meglio come i cinesi avessero uno specifico problema strategico con i loro avversari
che contribuì a rendere difficile la soluzione del problema nomade.325 I Qing - come vedremo
- portarono l’Impero a raggiungere confini molto più ampi di quelli della Cina attuale. I limiti
322
«Chinese history, as well as military literature has been written by the educated people, so-called wenren, thus
the contents of historical records have been largely shaped by the needs and interests of civil officials or ordinary
literati, and the role they played is always overstated or exaggerated.» Yimn Zhang, The Role of Literati in
Military Action during the Ming- Qing Transition Period, Phd Dissertation, McGill University Montreal, Quebec
June 2006,
https://core. ac. uk/download/pdf/41887276. pdf
323
Ci si tende a dimenticare della centralità del fenomeno bellico in epoca pre-imperiale: «War was perceived as
an impetus of positive change rather than a negative feature of social life.» Rand Christopher C. , Military
Thought in Early China, Suny Press, Albany, 2017, p. 6.
324
«Civil affairs and military affairs theoretically played an equal role in the imperial central government. [-]
Vivid descriptions from primary data remind us that in order to examine this relationship we must distinguish
between times of peace and times of war rather than applying an abstract concept of the relationship between
them. [-] In practice, Wen and Wu were the means by which the central government, local authorities and private
military forces negotiated their relationship, and, it was military commanders, not civil officials, who played the
crucial role in deciding the destiny of local societies.» Yimn Zhang, The Role of Literati, Op. cit.
325
Rawski Evelyn, Chinese Strategy and Security Issues in Historical Perspective in Womack Brantly, China’s
Rise in Historical Perspective, Rowman and Littlefield, New York, 2010.
101
dell'espansionismo cinese erano più materiali, tecnologici e geografici che autolimitazioni
culturali e infatti i confini della Cina rimasero sempre turbolenti.326
3. 1. 5 Storiografia: dall'assenza di una storia militare dell’Oriente alla tesi della
Rivoluzione Militare Asiatica.
Nel sistema internazionale dell’Asia Orientale, profondamente asimmetrico e
sbilanciato verso la Cina, i rapporti basati sul tributo avessero immensa importanza simbolica
e pratica. Al contempo la diffidenza confuciana verso le armi produceva una perdita di
efficienza degli eserciti cinesi. Tuttavia ho riscontrato che il ricorso alla guerra, sia difensiva
che espansionistica, non ne è stato inibito, almeno non per il periodo di storia preso in esame.
Il soft power della civilizzazione cinese è stato un fondamentale strumento di influenza, ma
come per altri grandi esempi di vantaggiosa influenza culturale in ambito internazionale - vedi
quella bizantina sugli Slavi, quella francese nell’Europa del 1600-1700, o quella statunitense
tuttora prevalente - i momenti decisivi della storia delle civiltà sono stati decisi in guerre
egemoniche e conflitti interni.
Eppure la storiografia sulla Cina conserva un'impronta, adottata sia da storici
occidentali che orientali, che la guerra sia stata poco importante nella sua Storia. Una
convinzione che nasce dall’applicazione di un paradigma culturale focalizzato unicamente sul
pensiero militare cinese antico invece che sugli aspetti sociali, tecnologici ed esperienziali.
Fin dalle prime traduzioni, i Classici Militari hanno esercitato un profondo fascino esotico
sull’Occidente. Una fama che ha però oscurato le reali dimensioni del pensiero militare
cinese: oltre 500 scritti sopravvissuti, a carattere prettamente militare; un enorme spazio
dedicato al conflitto negli Annali e nelle Storie ufficiali; l’immensa mole dei memoriali e
delle discussioni di Corte sulle questioni militari; le numerose riflessioni filosofiche sparse nel
corpus letterario cinese da Mozi al Libro dei Riti al Tao Te Ching oltre alla centralità della
guerra nei classici della letteratura come il Romanzo dei Tre Regni e Sul bordo dell’acqua.327
L’approccio culturale, viziato da letture parziali, ha identificato quindi una “via cinese alla
guerra” dai tratti astorici, che avrebbe influenzato il fenomeno bellico in Cina in maniera
unica, costante e uniforme per tutta la sua storia. Facendo riferimento alla ricca produzione
326
«China’s objectives in maintaining a regional order based on the tributary system extended far beyond
considerations of obtaining legitimacy. It was more often the very practical considerations of maintaining
stability in the border regions at minimum cost that drove China’s strategy» Fangyin Zhou, Equilibrium Analysis
of the Tributary System, The Chinese Journal of International Politics, vol. 4, iss. 2, 1 July 2011, p. 177.
327
Sawyer Ralph D. , Military Writings in Graff David A. , Higham Robin, A Military History Of China,
Westview Press, Boulder, 2002.
102
dei manuali militari da Sunzi in poi e alle pagine di Confucio e Mencio sui conflitti, si
afferma che la cultura cinese sarebbe stata opposta alla conflitto violento e l’arte militare volta
a vincere senza l’uso della forza ma per mezzo di stratagemmi.
Un testo importante in questa direzione è il volume di Frank Kierman e John Fairbank
Chinese Ways in Warfare. Il testo supporta l’idea che le condizioni geografiche e lo sviluppo
culturale originale della Cina determinarono uno stile bellico differente, la cui origine si trova
nei testi prodotti nel periodo degli Stati combattenti «The Sun-tzu became a classic that
summed up the ancient military advisers’accumulated wisdom as to how warfare should be
conducted, through what means and toward what ends. Placed beside his contemporary the
Mencius, the Sun-tzu’s emphasis on unsettling the mind and upsetting the plans of one’s
opponent obviously shares the early Confucian assumption as to the primacy of mental
attitudes in human affairs.»328
Non c’è spazio per un'analisi completa di questo grande corpus letterario, ma a grandi
linee l’interpretazione prevalente nel ventesimo secolo è che il confucianesimo abbia
un’istanza pacifista e i testi di argomento militare siano schierati con l’approccio indiretto al
conflitto al punto da ritenere il ricorso alla violenza uno spreco e un rischio inutile. Per i testi
confuciani possono anche non porre in alto le virtù militari preferendogli quelle civili, ma ci
sono anche brani che dimostrano l’accettazione del fenomeno bellico, seppur subordinato al
benessere del popolo. Fa però giustamente notare Peter Lorge quanto sia curioso che la civiltà
occidentale medievale e moderna si sia basata su un testo dalla forte impronta pacifista, il
Nuovo Testamento, senza per questo cessare di essere studiata come una società basata sulle
armi.329
Lo stesso discorso vale per Sun Tzu e Sun Pi. Una lettura filologica dei loro testi non
supporta un'interpretazione pacifista ma piuttosto una visione realista e complessa del
fenomeno bellico, prescrivendo di affrontarlo come una questione di vita o di morte usando al
meglio tutte le risorse disponibili (il tempo, lo spazio, il dominio dell'informazione e della
logistica) per spiazzare il nemico e mettersi sempre in una condizione di vantaggio. 330 In
questo senso il vincere senza combattere è il risultato ipotetico del raggiungimento del
massimo risultato con il minimo sforzo. 331 Secondo alcuni storici l’analisi critica delle
campagne militari non supporta l’idea che i comandanti preferissero l’approccio indiretto a
328
Fairbank John K. , Chinese Ways in Warfare, Op. cit. p. 5.
Lorge, Peter, Discovering War in Chinese History, Extrême-Orient Extrême-Occident, no. 38, 2014, pp. 24.
330
Sun Tzu, L’arte della guerra. Commento di Jean Levi, Einaudi, Torino, 2013.
331
Volendo fare un riferimento a Clausewitz, la vittoria senza combattere è po’ il contraltare del concetto di
guerra totale. Entrambe costituiscono un estremo teorico, almeno secondo l’interpretazione classica di Raymond
Aron.
329
103
quello diretto. Questo emerge da una lettura acritica dei resoconti, scritti da letterati che
vedevano più di buon occhio la vittoria della mente che quella della forza. Gli stratagemmi
facevano parte delle risorse tattiche dei comandanti ma non erano necessariamente le loro
scelte privilegiate.332
L’analisi della guerra in Cina basata sui testi pone vari problemi: la loro circolazione,
la reale influenza sulla conduzione della guerra, il rapporto tra la prescrizione e la realtà. Una
delle tesi che ha fatto i danni maggiori è stata quella della contrapposizione idealtipica tra Sun
Tzu e Clausewitz. Impostata da Basil Liddell Hardt, che a inizio ‘900 aveva arruolato Sun Tzu
tra i fautori dell’approccio indiretto da contrapporre a Clausewitz, l’idea è rimasta nella
cultura militare ed è stata poi popolarizzata da Hanson e Keegan.333A history of Warfare, del
1993, lega direttamente la guerra in Cina nel ‘900 con i suoi testi classici, riprendendo in
maniera forzata le tesi di Fairbanks, che parlava comunque di una pluralità di approcci alla
guerra in Cina. L’espansione del problema della strategia ai campi economici e decisionali ha
poi dato il via a una serie di comparazioni ben poco filologiche tra i due modelli, che di solito
identificano SunTzu con le nozioni di anti eroismo, potenzialità della situazione contrapposta
all’attrito, logica condizione-conseguenza opposta a quella mezzi-fini e logica della
trasformazione contrapposta a quella dell’azione.334
Il problema è che ad oggi mancano grandi studi che comparino l'intero corpo del
pensiero militare cinese con la realtà del conflitto. Da un lato il continuo rinvio a queste
letture poco filologiche di Sun Tzu è stato deleterio: «In large measure the problems of this
literature stem from a heavy reliance on Sun Zi’s Art of War as the textual basis of Chinese
strategic culture.» 335 Dall’altro gli storici hanno fatto i conti con la scarsità di materiale
disponibile in lingue occidentali, finendo spesso per rappresentare in maniera stereotipata il
conflitto in Asia. Ad esempio, William H. McNeill in Keeping Together in Time: Dance and
Drill in Human History, sostiene che la danza e gli esercizi militari in formazione abbiano
contribuito a creare coesione sociale ed efficacia militare, proponendo vari esempi non
europei. Nel parlare della Cina, a causa delle fonti scarse, finisce per affermare la tesi
332
Graff David A. , Medieval Chinese Warfare, 300-900, London: Routledge, London, 2002.
Danchev Alex, Liddell Hart's Big Idea, Review of International Studies - 25. 29-48, 1999.
334
Jullien Francois, Pensare l'efficacia in Cina e in Occidente, Laterza, Bari, 2008, pp. 19-52.
335
Johnston Alastair Iain, Cultural Realism: Strategic Culture and Grand Strategy in Chinese History, Princeton
University Press, Princeton, p. 26.
333
104
inverosimile che i movimenti in formazione fossero esistiti in epoca pre imperiale ma fossero
stati persi e poi recuperati dal generale Ming Qi Jiguang.336
Alcuni approcci parziali hanno comunque fornito spunti d’interesse. Tra questi,
Cultural Realism. Strategic Culture and Grand Strategy in Chinese History di Johnston, che
parte dell'assunto che «within the China field there seems to be little controversy about the
proposition that deep history and culture are critical sources of strategic behavior»337 Il suo
lavoro analizza l’insieme di manuali militari noto come i Sette Classici come base della
comune cultura strategica cinese, condivisa da civili e militari. L’idea è che i testi in questione
fossero largamente letti da nobili, letterati e militari plasmando in maniera uniforme la cultura
e la strategia. Al loro interno Johnston individua due set di culture strategiche. Quella
Confuciana-Menciana, che mette in secondo piano l'opzione militare e preferisce gestire la
politica tramite la diplomazia, gli incentivi economici e l’influsso. Affermata nel discorso e
nei simboli, questa cultura avrebbe avuto in realtà scarsa influenza pratica, sopravanzata da un
approccio estremamente realista (parabellum paradigm), per cui le minacce devono essere
affrontate con il ricorso alla forza. 338 Non esisteva quindi una vera postura pacifista nella
cultura cinese, ma una razionalizzazione filosofica dell’inevitabilità del conflitto, che la
rendeva così sensibile alla realpolitik e meno distante dal pensiero occidentale.339
La tesi è interessante nel mostrare sia l’importanza dei testi militari sia le letture
alternative che potevano essere fatte. Tuttavia risulta eccessiva nell’affermare che le decisioni
belliche venissero prese solo in termini di cultura militare. Qualunque analisi delle fonti
dimostra che gli alti ufficiali avevano una vasta gamma di problemi politici, sociali ed
economici (con il relativo bagaglio culturale confuciano di riferimento) da tenere in
considerazione per una decisione militare. Questi testi sono inoltre lacunosi e contraddittori
nell’illustrarci come cinesi si confrontassero con culture militari diverse dalla loro, come
quelle centroasiatiche.340 Dall'altro la centralità stessa del corpus letterario è discutibile, visto
336
McNeill William H. , Keeping Together in Time: Dance and Drill in Human History, Harvard University
Press, Cambridge, 1995. , pp. 110–12, 122–4, e 127.
337
Johnston Alastair Iain, Cultural Realism, Op. cit. , p. 22.
338
«The strategy indicated by the parabellum paradigm coincides perfectly with what would have been predicted
by structural realism» Dittmer Lowell, The Culture of Structural Realism - Alastair Iain Johnston: Cultural
Realism: Strategic Culture and Grand Strategy in Chinese History, The Review of politics, vol. 59, iss,1 Winter
1997, p. 192.
339
«Possibly, then, military behavior contrary to (actually normative) Confucian-Mencian values reflects the
tendency of states in all cultures to reinvent the "hard realpolitik" tradition. Ideals may vary from culture to
culture, but military realities take similar forms.» Dreyer Edward L. , Review of Cultural Realism: Strategic
Culture and Grand Strategy in Chinese History by Alastair Iain Johnston, The American Historical Review, vol.
104, no. 2 (Apr. , 1999), pp. 525-526.
340
«All his texts discuss the relations between the barbarians (yi) and the Hans who constitute one family in
civilisational terms. Can the intra-family and intra-civilisation categories provide the beginnings of an essentially
105
che i testi militari erano meno frequentati e richiesti dai letterati e i comandanti militari di
carriera erano spesso illetterati. 341 Inoltre la collezione venne concepita nell'ambito della
cultura mandarina con il chiaro scopo di subordinare l'autorità militare e quella civile, «A
distinctly Confucian bias is evident in the manual, which is not surprising when we consider
that it was created to educate officers in both strategy and loyalty.»342
Harmony and War di Yuan-Kang Wang partendo da un presupposto opposto a quello
di Johnston, cioè che l'elemento culturale fosse ininfluente nella pianificazione militare
cinese, giunge però a conclusioni simili: la realpolitik prevaleva nelle decisioni strategiche. Le
dinastie Song e Ming di cui analizza i processi decisionali elaborarono le proprie strategie con
un preciso calcolo costi-benefici, ispirato ad un approccio che non si potrebbe definire altro
che di realismo strutturale. 343 Wang si pone esplicitamente in opposizione a Johnston
affermando che la strategia militare non veniva determinata dalla cultura militare ma dalla
struttura internazionale anarchica del sistema, similmente alla situazione in Occidente. 344
Wang riconosce un profondo antimilitarismo nella cultura confuciana a cui gli esponenti della
classe militare non potevano opporre un bagaglio ideologico di peso comparabile. 345 Questo
non impediva alle classi dirigenti delle dinastie Song del Nord e del Sud e ai Ming di avere un
comportamento strategico in linea con il realismo strutturale, in cui le considerazioni
sull’equilibrio di potenza dominavano le decisioni circa il ricorso alla guerra.
Il discorso confuciano poteva a volte schermare il mancato ricorso allo strumento
bellico quando questo era impedito da risorse insufficienti e gli stessi letterati che
esprimevano posizioni pacifiste marcavano spesso che la dinastia doveva ricorrere alla forza
international and inter civilisational strategic culture? [-] At the same time, ideas like ’cultural moralism’are not
very useful either because they valorise the ’Han’and ‘yi’relations in such a way as to see them in absolutely
non-conflictual terms.» Deshpande G. P. Recensione di Johnston Alastair Iain, Cultural Realism: Strategic
Culture and Grand Strategy in Chinese History, Cina Report 39, 3 (2003) pp. 421-423.
341
«Based on surviving records from Yingtian (modern Nanjing, Jiangsu), Benjamin Elman estimates that a
Jiangnan provincial examinee in the latter half of the Ming had a 15. 8 percent chance of encountering a question
on military matter.» Elman Benjamin, A Cultural History of Civil Examinations in Late Imperial China,
University of California Press, Berkeley, 2000, p. 719.
342
Peter Lorge, Discovering War in Chinese History, Op. cit. p. 33.
343
La differenza tra realismo culturale e realismo strutturale rimanda in arte a quella tra realismo classico e
strutturale «The difference between the cultural realist and structural realist arguments is only found when
addressing the source (culture or structure) of the realpolitik approach. This separation, of course, is much harder
to accomplish from the distant viewing platform upon which modern scholars of ancient history are relegated»
Tessman Brock F. , Review of Harmony and War, Perspectives on Politics 11(02), p. 706.
344
«In contrast to Johnston, Wang sees material (power) premises, not cultural precepts, as the founding
strategies of the Imperial state, and subsequently subsumes Johnston’s cultural realism under structural realism.»
Kubat Aleksandra, Review of Harmony and War: Confucian Culture and Chinese Power Politics, (2012), The
China Quarterly, 209, pp. 223-225.
345
Wang, Yuan-kang. Harmony and War: Confucian Culture and Chinese Power Politics, Columbia University
Press, New York, 2011.
106
avendo risorse disponibili. 346 Anche il periodo Song del Sud, caratterizzato da debolezza
militare e trionfo del neoconfucianesimo, non vedeva una vera influenza di questa corrente di
pensiero nelle scelte militari.347 Anche nei confronti dei nomadi, particolarmente nel periodo
Ming, la postura difensiva non era la preferita del Governo, che condusse offensive incessanti
contro i Mongoli, adattandosi a una difesa statica solo in periodi di scarse risorse.
Paradossalmente la cultura confuciana produsse dei danni nello spingere a chiusure di
principio verso il commercio e i contatti con i nomadi che non riconoscevano pienamente la
centralità cinese, creando degli attriti inutili.348
Come Johnston, Wang ha indubbiamente successo nel mostrare che le opzioni
strategiche dell’Impero non erano limitate al rituale, all’accomodamento e alla difesa statica,
ma fallisce nel mostrare come l'approccio del realismo strutturale riuscisse ad emergere nel
contesto confuciano. 349 In alcuni passaggi l’autore mostra l'esistenza di una dialettica tra i
diversi approcci ma è spesso sbrigativo nello spiegare come da un approccio pacifista si
potesse passare a uno realista, come nel caso dell’invasione Ming del Vietnam.350 Il problema
maggiore è la visione eccessivamente semplificata del confucianesimo come pacifismo
ideologico. Il confucianesimo non è un’ideologia monolitica ma un universo intellettuale
vibrante e conflittuale e l’analisi dei quesiti degli esami e dei memoriali prodotti dai letterati
mostra il loro approccio pragmatico alle questioni di Stato.351 Arthur Waldron si è spinto fino
a identificare nella corrente del legalismo l’equivalente cinese del realismo classico nella
tradizione di Machiavelli, Hobbes etc.352 Anche se si sceglie come Wang di identificare il
confucianesimo con il Wen (la cultura) in contrapposizione al Wu (la forza) non possiamo
dimenticare che questi concetti, nella cultura cinese, sono in continuità e non in
contrapposizione, condividendo idee di auto-controllo, integrità, onore, giustizia e lealtà.353 Il
limite maggiore è il non considerare la tesi recente secondo cui le dinastie Song e Ming
346
Wang, Yuan-kang. Harmony and War , Op. cit. Ivi. p. 74.
Ivi p. 99.
348
Ivi p. 144.
349
«Confucianism has plenty of concepts and vocabulary for doing the things other states do. There is no need to
call what China does “realism” unless one is going to show how the precepts of realism are concealed somehow
in the Confucian canon, which is the real cultural source of behavior. Furthermore, key aspects of Confucianism
and of Chinese policy such as universalism and insistence on status are not aspects of realism» Waldron Arthur,
Review of Harmony and War: Confucian Culture and Chinese Power Politics (2011). The Journal of Asian
Studies, 70, pp. 1146-1148.
350
Dinh Julia, Review of Harmony and War: Confucian Culture and Chinese Power Politics, Asian Politics &
Policy—vol. 4, no. 4—pp. 571–578.
351
Smith Paul Jakov, Review of Harmony and War: Confucian Culture and Chinese Power
Politics by Yuan-kang Wang, Journal of Song-Yuan Studies, vol. 42, 2012, pp. 492-501.
352
Waldron Arthur, Review of Harmony and War, Op. cit, p. 964. Sul legalismo come corrente filosofica
militarista si veda anche Rand Christopher C. , Military Thought in Early China, Op. cit. , p. 23.
353
Zurndorfer Harriet T. , Review of Harmony and War: Confucian Culture and Chinese Power Politics, Journal
of Chinese Military History 1 (2012) 87-104.
347
107
attuarono esplicite politiche di controllo dei militari, cercando di ridurne in tutti i modi il peso
politico(tra le cause della caduta della dinastia Tang) a vantaggio di una classe dirigente
mandarina in cui prevaleva un’attitudine pacifista ma che tendeva a un atteggiamento
collaborativo con l’Imperatore.354
Un altro approccio, quello di Victoria Tin-bor Hui in War and State Formation in
Ancient China and Early Modern Europe, mette in discussione il pensiero unilineare che
sostiene come gli assetti degli Stati dell'Europa e dell'Asia derivino da impostazioni culturali
oppure da restrizioni sistemiche e che siano il risultato di un processo dinamico e di scelte
strategiche precise dei governanti.355 «Why is it that political scientists and Europeanists take
for granted checks and balances in European politics, while Chinese and sinologists take for
granted a coercive universal empire in China? »356 si chiede l’autrice, contestando da un lato
che la tesi dell’equilibrio di potenza, elaborata alla luce dell’esperienza Europea, sia una
norma universale e dall’altro che l'unificazione cinese fosse un inevitabilità storica. Adottando
il principio dell’interpretazione simmetrica sostenuto da R. Bin Wong, cerca di guardare al
caso cinese con una lente interpretativa occidentale (la politica di potenza) e al caso europeo
con una lente interpretativa orientale (l’Autorafforzamento).357
Il testo parte dalla questione dell'unificazione cinese nel primo Impero al termine dei
periodi della Primavera e dell'Autunno dei Regni Combattenti (656/221 A. C) e lo compara
con l'Europa nell'Età Moderna per dimostrare che in entrambi i casi l'unificazione o il
mantenimento di un sistema conflittuale non erano esiti prestabiliti. L'autrice propone una
dynamic theory of world politics basata sull'interazione dinamica tra le forze che favoriscono
il dominio e quelle che lo ostacolano. I governanti della Cina pre-imperiale riuscirono a
completare l'unificazione di un sistema multi-statale grazie a un processo di autorafforzamento, impadronendosi degli strumenti del capitale sociale ed economico, creando la
burocrazia e costituendo eserciti basati sulla coscrizione universale. In questo caso prevalse
quella che l’autrice definisce logica del dominio. Di particolare importanza fu l'abilità dello
354
«The civil officiaIs have a common upbringing and a strong sense of being the guardians of the moral
tradition that is the basis of all civilized society, and this gives them a strong feeling of corporate unity [-], their
loyalty to Confucianism and to the reigning dynasty was always dependable. Military officers, on the other hand,
did not have a selection process that endowed them with a common outlook and common values, and their
loyalties in consequence tended to be particularistic, directed to the official or commander who had furthered
their careers, rather than to the state as a whole.» Dreyer Edward L. , Military Continuities: The PLA and
Imperial China in Whitson William W. , The Military and Political Power in China in the 1970s, Praeger
Publishers, New York, 1972), pp. 9-10.
355
Tin-bor Hui Victoria, War and State Formation in Ancient China and Early Modern Europe, Cambridge
University Publishing, Cambridge, 2005, p. 224.
356
Ivi p. 1.
357
Wong R. Bin, China Transformed: Historical Change and the Limits of European Experience, Cornell
University Press, Ithaca, 1999, p. 2.
108
Stato di Qin di completare l’unificazione unendo un'accorta diplomazia giunta all’uso
spregiudicato di stratagemmi, inganni e corruzione all’uso brutale della forza militare
I regnanti Europei dell'Età Moderna, da parte loro, accettarono compromessi con altri
centri di potere, limitando l’accesso alla tassazione e alla manodopera e ricorrendo a costosi e
inefficienti eserciti mercenari, politica favorita dal maggiore sviluppo dell’economia
commerciale e dalle risorse estratte dal Nuovo Mondo. La persistenza di molteplici centri di
potere in Europa non nasceva quindi da limiti sistemici ma dalla debolezza dei regnanti,
facendo trionfare la logica del bilanciamento. Questi espedienti di auto-indebolimento hanno
poi aperto la strada all'idea di Governo Costituzionale. 358 Solo con la Rivoluzione Francese
gli Stati europei hanno adottato strategie di Autorafforzamento ma senza riuscire a cogliere il
successo della unificazione cinese.
Il modello ha dei punti di forza come analisi politologica, in particolare
nell'applicazione del concetto di Autorafforzamento, anche se la costruzione di una teoria
rigorosa viene sabotata dal costante ricorso a elementi come le condizioni geografiche ed
economiche, la path dependency, l’innovazione militare e la personalità dei leader. 359 La tesi
regge meno alla luce della ricerca storica, soprattutto per il fatto che i regnanti in Cina e in
Europa non agivano nel vuoto ma influenzati da sistemi di norme, valori, e dagli interessi
delle formazioni sociali.360
La scelta delle fonti è selettiva e tende ad accettare acriticamente l’idea della Cina
Imperiale come precursore del totalitarismo. 361 Certo la filosofia legalista, incentrata sui
concetti di legge, posizione di forza, tecniche di controllo, disegna una concezione totalitaria
del potere allo stato puro, incentrata unicamente sulla figura del sovrano.362 Ma che l’Impero
Qin fosse realmente dominato seguendo le ferree leggi del legalismo è una tesi ormai smentita
da storici e archeologici.363 Allo stesso tempo dimentica che anche la politica estera europea
era giocata con astuzia e brutalità, che non conoscevano limiti quando il confronto si spostava
358
Tin-bor Hui Victoria, War and State Formation, Op. cit. , p. 50.
Sinno Abdulkadeer, Recensione di Tin-bor Hui Victoria, War and State Formation in Ancient China and
Early Modern Europe, Comparative politics, March 2007 | vol. 5, no. 1, p. 187.
360
Wood Alan T. , recensione di Tin-bor Hui Victoria, War and State Formation in Ancient China and Early
Modern Europe, American Historical Review, October 2006, p. 1133.
361
Wallacker Benjamin E. , Recensione di Tin-bor Hui Victoria, War and State Formation in Ancient China and
Early Modern Europe, Journal of Asian History, vol. 42, no. 1, 2008, pp. 97–98.
362
Cheng Anna, Storia del pensiero cinese, Einaudi, Torino, 2000, p. 243.
363
«Hui accepts the old interpretation that exceedingly harsh Qin laws that stipulated death for nearly all
infractions were responsible for sparking the popular uprisings that toppled the dynasty. Yet recent
archaeological evidence has in fact demonstrated that Qin punishments were not nearly as harsh as reported in
later Han-era sources, which were designed to paint the Qin in as poor a light as possible» Hansen Valerie, The
Open Empire: A History of China to 1600, Norton, New York, 2000, pp. 109-12.
359
109
fuori dall'Europa. 364 Attribuire l’espansionismo oltremare europeo e la staticità dei confini
cinesi solo alla decisione politica non tiene conto dei limiti ecologici e sociali determinati
dalla presenza della steppa e dei nomadi, che rendevano difficile e costoso l’insediamento
degli Han, mentre gli europei poterono contare su climi più favorevoli e popolazioni più facili
da sottomettere nelle Americhe per il loro insediamento.365
Pure Swope esprime delle critiche: la scelta di una documentazione piuttosto datata, in
cui mancano i riferimenti alla tesi della Grande Divergenza, inficia l’opera, che tende a
semplificare eccessivamente le prospettive eurocentrica e sinocentrico. 366 Un esempio è la
contrapposizione tra coscrizione cinese e mercenariato europeo, viste come antitetiche, che
ignora come i fenomeni fossero sfumati ed entrambe le aree abbiano fatto ricorso a tutte le
possibili fonti di reclutamento a seconda delle necessità e delle possibilità. In definitiva il
limite maggiore emerge nelle conclusioni: nonostante tutto la sforzo per evitare le
interpretazioni ideologiche e sistemiche, si abbraccia l’idea che l’unificazione della Cina ne
abbia favorito la stagnazione mentre la lotta nel sistema degli Stati europei sia stata la
principale molla al loro sviluppo politico, militare ed economico.
Questo insieme di tesi e di critiche ci introduce a quello che è il focus della ricerca
contemporanea. Piuttosto che applicare meccanicamente i concetti di strategia elaborati a
partire dall’esperienza europea nel contesto cinese o cercare di ricostruire la dottrina
strategica cinese su una base unicamente testuale, gli storici contemporanei stanno lavorando
a recuperare il ricchissimo apparato di documenti relativi ai conflitti per enfatizzare il peso
della guerra nella storia dell'Asia e vedere, nel concreto, quali erano le attitudini verso la
grande strategia, l'aggiornamento tecnologico e il rapporto militari-civili.367
Questi storici prendendo come base le tesi della Rivoluzione Militare elaborate da
Roberts e Parker, sono andati alla ricerca di prove testuali di attività comparabili nel contesto
asiatico, giungendo a risultati spesso sorprendenti che ribaltano da un lato l’idea di
stagnazione e passività e dall'altro sfidano la concezione della Rivoluzione Militare stessa,
364
Graff A, David, Recensione di Victoria Tin-bor Hui, War and State Formation in Ancient China and Early
Modern Europe, Bulletin of the School of Oriental and African Studies / vol. 69 / iss. 03 / October 2006, pp. 492.
365
Perdue Peter C. , Recensione di Victoria Tin-bor Hui, War and State Formation in Ancient China and Early
Modern Europe,Journal of Global History / vol. 2 / iss. 01 / March 2007, pp. 120 – 21.
366
Swope Kenneth M. , recensione di Victoria Tin-bor Hui, War and State Formation in Ancient China and
Early Modern Europe, The Journal of Asian Studies, vol. 66, no. 2 (May, 2007), pp. 536-538.
367
«But if the study of Chinese history is no longer resolutely undermilitarized, the military dimensions might
still be seen as undertheorized, with few efforts undertaken to thematize the role of war in Chinese history
overall.» Di Cosmo Nicola, Military Culture in Imperial China, Harvard University Press, Cambridge, 2009, pp.
2–3.
110
evidenziando modalità e conseguenze sociopolitiche diverse dell’evoluzione delle attività
militari in Asia Orientale.
Lo storico coreano No Yonguu è stato tra i primi ad applicare i concetti della
Rivoluzione Militare al contesto coreano.368 Sempre nello stesso contesto sono seguiti articoli
e monografie di Tonio Andrade, Kirsten Cooper e Hyeok Hweon Kang. Parti importanti della
produzione di Kenneth Swope, Tonio Andrade, Peter Lorge e Sun Laichen sulla storia cinese
in epoca Ming si sono avvalse dello stesso approccio. L’epoca Qing è stata analizzata in modo
originale dal punto di vista militare nelle opere di Nicola di Cosmo e Peter Perdue. Il
Giappone era un campo di studi in cui si erano riscontrate delle similitudini con la
Rivoluzione Militare europea già con Parker, ma gli studi si sono ulteriormente affinati con
gli interventi di Karl Friday, William Farris e Stephen Turnbull. Storici dagli interessi più
globali come Stephen Morillo e Jeremy Black hanno prodotto interventi importanti che
evidenziano gli sviluppi asiatici in Età Moderna.
Questa serie di studi sta sgombrando il campo dagli stereotipi di staticità e passività
militare della civiltà asiatica. Nella Storia cinese non mancano diversi elementi di continuità a
influenzare la geopolitica, la strategia e la tattica. La persistenza di una base economica
agricola, la presenza di uno Stato più forte e burocratico della media eurasiatica,
l’immutabilità degli elementi geografici (grandi differenze climatiche tra Cina del Nord e del
Sud, vie di comunicazione garantite dai corsi d’acqua, steppe, deserti, montagne e giungle
nelle aree di confine del Paese) hanno avuto un peso considerevole.
Tuttavia nel corso dei millenni sia la società sinizzata che quella nomade si sono
evolute e diversamente stratificate più volte; la popolazione è cresciuta; le vie e le forme di
comunicazione
sono
aumentate;
l’economia
è
passata
dalla
sussistenza
alla
commercializzazione a lunga distanza e la tecnologia ha avuto un lento ma costante sviluppo.
L’arrivo degli europei ha poi ulteriormente stimolato la circolazione commerciale, culturale e
tecnologica. In Età Moderna la guerra ha cambiato il suo volto in Asia Orientale come già
aveva fatto più volte nel passato, passando dalla guerra nobile ed eroica degli Zhou a quella di
massa dell’epoca dei Regni combattenti, dalla prevalenza della fanteria a quella della
368
No Yŏng-gu 盧永九. 2007. “Kihoek nonmun: chŏnjaeng-ŭi sidaejeok yangsang; ‘kunsa hyŏngmyŏngron
(Military Revolution)’ kwa 17~18 saegi chosŏn-ŭi kunsajeok byŏnhwa” ‘군사 혁명론 (Military Revolution)’과
17~18 세기 조선의 군사적 변화 [Featured Articles: The Historical Aspects of Warfare; “Military Revolution”
and Chŏson Dynasty’s Military Reforms in the 17th and 18th Centuries]. Sŏyangsa yŏngu 西洋史研究 5. 5
(2007), pp. 39-43.
111
cavalleria nel Medioevo 369 . Resta da vedere se il cambiamento fu costituito solo da
un'acquisizione tecnologica senza conseguenze sociali oppure scatenò effetti rivoluzionari,
come in Occidente, oppure se si situa da qualche parte a metà strada tra questi due estremi.
3. 2 La Rivoluzione Militare della Cina Ming
«The founding of the Ming dynasty in 1368 started the ‘military revolution’, not only
in Chinese but also world history in the early modern period.» 370
3. 2. 1 Gli eserciti Ming: continuità e discontinuità con la storia militare cinese ed
europea.
La Cina Ming è stata il teatro della rivoluzionaria applicazione dell’uso di massa della
polvere da sparo sui campi da battaglia. Questo cambiamento avvenne in condizioni molto
diverse da quelle europee, generando sviluppi originali e una breve fase di ritardo militare
rispetto all’Europa che gli storici hanno definito Prima Divergenza. I sovrani Ming, come la
precedente dinastia cinese Song, mantenevano forze permanenti ma su una base numerica
molto più ampia. I numeri sono controversi perché fluttuanti nel tempo e basati spesso su
registri in affidabili ma oscillano da un minimo di un milione a un massimo di quattro milioni.
Eserciti ad altissima intensità di manodopera supportati e supervisionati direttamente dalla
burocrazia imperiale, diversi quindi da quelli reclutati dall’imprenditoria militare, sia i piccoli
eserciti mercenari europei del periodo della Guerra dei Cent’anni che le forze molto più
numerose - ma fluttuanti e poco inquadrate – del Rinascimento e del Secolo di Ferro.
Il livello tecnologico dei cinesi, la produzione centralizzata e la disponibilità di risorse
naturali rendevano abbondanti le risorse materiali per armare le truppe, eccetto che per i
cavalli, oggetto di grandi ma sempre insufficienti programmi di allevamento.371La logistica
era superiore a quella delle epoche precedenti ed Europea e l’espansione del Grande Canale
del sistema viario rendeva possibile convogliare risorse agricole dalle province meridionali
verso la frontiera della steppa, dove era stanziato il grosso delle truppe.
369
M. Neiberg, Warfare in World History (Themes in World History), p. 17.
Sun Laichen, Military Technology Transfers from Ming China and the Emergence of Northern Mainland
Southeast Asia (c. 1390–1527), Journal of Southeast Asia Studies 34, no. 3 (2003): 495–517, p. 31.
371
«When imperial control extended over the grasslands of the steppe margin, state herds of as many as 700,000
head [-] When control over the pastures was lost, however, the cavalry component dwindled and Chinese armies
found themselves at a grave disadvantage against mounted opponents.» Graff David A. , Higham Robin, A
Military History Of China, Op. cit. , p. 6.
370
112
In questa fase storica il reclutamento si era profondamente trasformato dalla milizia
universale delle prime dinastie e si basava sull’ereditarietà del servizio militare, con famiglie
di coloni-soldati che coltivano appezzamenti di terra destinati in linea di principio al
sostentamento delle truppe, con somiglianze con i sistemi bizantini, ottomani e russi prepietrini. 372 Il sistema era inefficiente e afflitto da malversazioni e le truppe regolari vennero
via via affiancate da mercenari reclutati dietro il pagamento di un salario e da truppe ausiliarie
reclutate nelle aree tribali e tra i nomadi.373
I ruoli di comando avevano visto la maggior trasformazione portando a termine un
processo plurisecolare di subordinazione dell’autorità militare a quella civile. Le dinastie Han,
Sui e Tang non avevano visto una chiara distinzione tra gli incarichi civili e quelli militari,
con gli alti gradi spesso occupati da membri della famiglia imperiale e da generali di grande
peso politico. In tarda epoca Tang e poi decisamente sotto i Song, avvenne invece un processo
di rafforzamento delle burocrazie civili con la regolarizzazione del sistema degli esami e delle
carriere e con la costituzione di una vera e proprio élite sociale di letterati, dalla cultura
avversa al militarismo. 374 La carriera civile venne via via considerata più prestigiosa e
appetibile e i ranghi degli ufficiali si riempirono di personale di più umili origini, spesso
illetterato.375
Nonostante la dinastia Ming fosse arrivata al potere a seguito di poderose campagne
militari, gli imperatori - già a partire dal fondatore Hongwu - trovarono più semplice
controllare la burocrazia piuttosto che i generali e presero a favorirla, sottoponendo i
comandanti di campo alla supervisione di ufficiali civili ed eunuchi. D’altro canto gli studi più
recenti contestano l’idea dell’irrilevanza dei militari, dato che, specialmente nei momenti di
crisi, i comandanti erano in competizione con i mandarini per l'influenza a Corte e potevano
essere investiti della doppia autorità civile e militare, così come i letterati non erano
totalmente astratti dalla dimensione bellica. Le realtà civili e militari non erano certo isolate:
funzionari svolgevano il lavoro amministrativo presso le forze in campo e mandarini di alto
livello venivano investiti di ruoli militari, a volte con grande successo come il filosofo Wang
372
Graff David A. , Higham Robin, A Military History Of China, Op. cit. , p. 10.
Chase Kenneth, Armi da fuoco, Op. cit. , p. 151.
374
«The dynasty's Civil Service had gained maturity roughly within the hundred years from the mid-fifteenth
century to the mid-sixteenth century. During the same period, the prestige of army officers had sunk to the
lowest level.» Huang Ray, 1587, A Year of No Significance: The Ming Dynasty in Decline, Yale University
Press, New Have, 1984, p. 158.
375
«Stellar careers were not made from martial achievements, and the man who could lead either a campaign or
a court conference with equal facility was a very rare anomaly. Although lip service was paid to the principle of
integrating wen and wu in men of elite status, in actuality officiaIs clung to their civil identities.» Struve Lynn A.
, The Southern Ming: 1644-1662, Shangai’s People Publishing House, Shangai, 2017.
373
113
Yangming o il teorico militare Qi Jiguang.376 «It would be more accurate to say that Wen and
Wu have stood and still stand in a dialectical relationship to one another, and that interchange
between the two fields of activity has been much more fluid than had previously been
supposed.»377
Yimin Zhang sostiene che sia controproducente cercare di definire un modello astratto
di relazione tra militari e civili. La distinzione tra i periodi di pace e di guerra è il vero
elemento rilevatore. L’inizio e la fine della dinastia furono i periodi di massimo sforzo bellico
e quelli in cui i generali ebbero la maggior influenza politica. Nei due secoli centrali gli
imperatori, che avrebbero dovuto bilanciare il potere civile e militare, propesero per favorire
quello civile. La tendenza invadente della burocrazia civile nella sfera militare peggiorò alla
fine del sedicesimo secolo e contribuì all'inefficienza dell’esercito nelle guerre con i mancesi.
Nella fase finale dell’Impero Ming i militari erano tornati saldamente al potere. Di
conseguenza «it was military rather than civil officials who played the decisive role in the
turbulence of wartime; the civil officials ‘superior position could only be realized in times of
peace.»378
In questo campo risalta la differenza con l’Europa, dove quella di ufficiale era una
posizione di tale peso sociale e politico da spingere la nobiltà a perseguire carriere militari
anche in perdita economica e cercare di mantenerla chiusa ai non nobili, mentre la burocrazia
civile, aperta alla borghesia, stava muovendo i primi passi per divenire una struttura stabile.
3. 2. 2 Lo sviluppo cinese delle armi a polvere da sparo.
L’origine cinese della polvere da sparo è ormai un'ovvietà storiografica. Tuttavia, il
fatto che i cinesi avessero sviluppato questa tecnologia fino alla creazione del cannone e poi
continuato a sviluppare autonomamente le sue possibilità fino (e dopo) al contatto con gli
europei è stato assodato solo in tempi recenti. Il fondamentale quinto volume dell’opera di
Needham sulla tecnologia cinese, dedicato alla chimica e tecnologia chimica, ha aperto una
via di ricerche che continua tuttora, cercando di evidenziare il contributo cinese allo sviluppo
delle armi a polvere da sparo.379
376
Swope Kenneth, Civil-Military Coordination in the Bozhou Campaign of the Wanli Era, War and Society 18.
2 (October 2000), pp. 49-70.
377
Waley-Cohen Joanna, Civil- Military Relations in Imperial China: Introduction, War & Society 18(2):1-7,
October 2000, p. 7.
378
Yimin Zhang, The Role of Literati, Op. cit. p. 270.
379
Needham Joseph, Science and Civilisation in China, vol. 5. Chemistry and Chemical Technology, Military
Technology: The Gunpowder Epic, Cambridge University Press, Cambridge, 1987.
114
Un’operazione necessaria visto che il suo sviluppo da parte dei cinesi è ancora spesso
descritto dagli studiosi come lento, erratico o perlomeno incompleto. «The Ming dynasty
could muster large armies when it saw fit (particularly for the steppe campaigns of the first
half of the fifteenth century), but failed to exploit gunpowder technology as effectively as
Europeans.» 380 Molto comune è anche l'argomentazione dell’ostilità governativa «China
preferred not to experiment too much with the new technologies for fear of disrupting the
Confucian order of society and state.»381 O quella del pacifismo cinese da contrapporre al
conflitto imperante in Europa. «Although gunpowder was probably invented in China, it was
Europe that quickly took the lead in developing guns [-] Europe at this time was a competitive
system whereas China was not, and it therefore had a much greater need to hone its skills of
survival»382
Anche in una recente popolare sintesi di macrostoria si può leggere «La più importante
invenzione militare nella storia della Cina fu la polvere da sparo. [-] Si potrebbe pensare che
gli alchimisti taoisti avrebbero fatto della Cina la padrona del mondo. Invece i cinesi usarono
il nuovo composto soprattutto per fare fuochi d’artificio. Persino quando l’Impero Song fu
travolto dall’invasione mongola, a nessun imperatore venne in mente di istituire un “Progetto
Manhattan” medievale per salvare l’Impero inventando un’arma di inaudita forza
distruttiva.»383
Lo stesso anche per alcuni importati sinologi come Fairbanks. «It is a striking fact...
that gunpowder had been created by Chinese alchemists in the ninth century. . . . [But] this
great breakthrough in military technology evidently had little significance for the classically
trained Song statesmen. Here we find Confucianism slow to mount on the back of
technology.» 384 Domina l’idea che lo sviluppo della polvere da sparo in Cina sia stato
innaturalmente lento «The Chinese also arrived at the use of gunpowder for military purposes,
but not before the thirteenth century. This was a long time after the Greeks had arrived at such
a use of gunpowder and only a short time before we find references to formulas for powder
and to firearms in the Occident.»385
L’idea di una via errata dell’Asia allo sviluppo delle artiglierie contrapposta alla via
razionale europea è un luogo comune che non tiene conto delle condizioni iniziali di sviluppo
380
Morris Ian, The Measure of Civilization: How Social Development Decides the Fate of Nations, Princeton
University Press, Princeton, 2014 , p. 203.
381
Neiberg Michael S. , Warfare in World History, Routledge, Londra, 2001, p. 37.
382
Kristinsson, Axel, Expansions: Competition and Conquest in Europe since the Bronze Age, Reykjavikur
Akademian, Reykjavik, 2010, p 258-259.
383
Harari Yuval Noah, Da animali a Dei, Bompiani, Milano, 2015, p. 314.
384
Fairbank John K. , Goldman Merle, China: A New History, Belknap, Cambridge, 2006, p. 155.
385
Delbruck, Hans. The Dawn of Modern Warfare, University of Nebraska Press, Lincoln, 1990, p. 24.
115
di questa tecnologia. Le acquisizioni storiografiche e archeologiche convergono invece nel
delineare un periodo che va dal 1000 al 1250 in cui le prime armi a polvere da sparo, bombe
esplosive e incendiarie, razzi, frecce esplosive e lance di fuoco evolvettero in primitivi ma
efficaci pezzi di artiglieria.386 In contralto, l'assenza per l’Europa, l’India e il mondo islamico,
di una fase di sperimentazione sembra confermare che le armi da fuoco arrivarono nella forma
di artiglierie - tubi di metallo capaci di scagliare proiettili tramite la combustione della polvere
da sparo - con le invasioni mongole e la disseminazione di questa tecnologia nell’intera
Eurasia.
Lo sviluppo delle armi da fuoco nella forma che conosciamo si lega quindi a un
particolare periodo della storia cinese, legato alla dinastia Song e a grandi fermenti sociali,
sviluppo tecnologico e competizione militare. Inventata in un momento imprecisato della
dinastia Song del Nord (960-1127), la polvere da sparo passò da arma rudimentale a proto
artiglieria durante la Dinastia Song del Sud (1127-1279). La dinastia Song presenta la
situazione paradossale di aver regnato nel periodo in cui la Cina era in rapporto al resto del
mondo «the most advanced civilization on earth, [-] showing the most pronounced features of
enlightened modern capitalism.» ma si trovava in una condizione di greve debolezza
internazionale. 387 I Song non riuscirono mai a dominare la Cina del Nord e vaste aree
dell’Est, in costante lotta con i regni dei Liao e dei Xia nella prima parte della dinastia e dei
Jin, Xia dell’Ovest e Dali nella seconda, per essere infine abbattuti dai Mongoli.
La spiegazione prevalente di questa situazione è stata per lungo tempo il predominio
intellettuale del neoconfucianesimo che portava a un atteggiamento di sdegno verso l’attività
militare. Anche qui la storiografia recente ha messo in discussione questa lettura sia dal punto
di vista fattuale che filosofico.388 Peter Lorge ha definito l’esercito Song un esercito moderno,
disciplinato, professionale e diretto centralmente anche se armato di armi premoderne. 389 Il
periodo Song vide un grande attivismo militare con frequenti campagne militari e immensi
programmi di reclutamento e fabbricazione di armamenti. L’esercito poteva anche godere di
poca considerazione nei circoli intellettuali ma era al centro della società, sia per i numeri e la
386
«The documentary record of this evolution is surprisingly clear. China has the deepest and most continuous
historiography of any civilization on earth, and its sources allow us to trace the emergence of many weapons and
date them to within fifty years or a couple decades, remarkably accurate for the medieval period.» Andrade
Tonio, The Gunpowder Age: China, Military Innovation, and the Rise of the West, 900-1900, Princeton
University Press, Princeton, 2016.
387
Kuhn Dieter, The Age of Confucian Rule: The Song Transformation of China, Belknap, Cambridge, 2009.
388
Di Cosmo Nicola, Military Culture in Imperial China, Op. cit. pp 1–22.
389
Lorge Peter, War, Politics and Society in Early Modern China, 900-1795, Routledge, London, 2005.
116
spesa che comportava, sia come importanza simbolica, che veniva espressa nei cerimoniali di
corte.390
Altri studiosi hanno mostrato come il Wu e il Wen non fossero visti in maniera
antitetica ma complementare dagli intellettuali del periodo, letterati che infatti dirigevano lo
sforzo bellico della dinastia. 391 Debole sulla terra la Cina Song divenne per la prima volta una
potenza navale «Maritime commerce and naval wars spurred the development of technology
and the expansion of geographical knowledge.» 392 Il limite maggiore dei Song non è stato
quello di una mancata attitudine marziale quanto il drammatico problema delle lotte politiche
tra fazioni di funzionari. Questo fenomeno, si ritrova tra le cause delle sconfitte dei Ming
contro i mancesi e dei coreani contro i Giapponesi, rendeva difficile perseguire una strategia
generale in maniera continuativa.393
Un’altra spiegazione della posizione precaria dei Song si trova più che nella loro
debolezza nella forza dei loro nemici. Gli Stati confinanti, fondati da dinastie di nomadi, si
erano rapidamente sinizzati, occupavano aree ricche di risorse e popolazione e utilizzavano
con successo strutture amministrative e tecnologie militari simili a quelle dei Song, favoriti
dalle frequenti migrazioni di tecnici e intellettuali. 394 «The rapid evolution of Inner Asian
statecraft [-] offset agrarian China’s advantages in wealth and numbers thereby blocking [the]
Song from assuming a position of supremacy at the center of a China-dominated world order
and relegating it to a position of equal participant in a multistate East Asian system.»395
Questa situazione di equilibrio di potenza, comune in Europa ma insolita nella storia
cinese, resse circa tre secoli, con i vari Stati stabili all’interno e militarmente in equilibrio tra
loro e con i Song che, per quanto indeboliti, ressero a tutti gli assalti fino all’epoca mongola.
Sviluppo culturale, tecnologico e debolezza geopolitica non sembrano più così in
contraddizione ma anzi, l’effervescenza sociale del periodo Song sembra essere stata una
390
Wyatt Don J. , Battlefronts Real and Imagined, Op. cit. , pp. 1-11.
Butler Marcia, Reflections of a Military Medium: Ritual and Magic in Eleventh and Twelfth Century Chinese
Military Manuals, PhD dissertation, Cornell University, 2007.
392
Jung Pang, The Emergence of China as a Sea Power During the Late Sung and Early Yuan Periods, The Far
Eastern Quarterly, vol. 14, no. 4, Special Number on Chinese History and Society (Aug. , 1955), p. 500.
393
«But the effective deployment of these sophisticated technologies was impeded by the baleful effects of
arbitrary governance, which undermined the court’s ability to reach broad-based, well-considered decisions
about issues of war and peace and paralysed the Song policy-making apparatus at the very moment that the
dynasty confronted its greatest threat» Smith Paul Jakov, Eurasian Transformations of the Tenth to Thirteenth
Centuries: The View from Song China, 960–1279, Medieval Encounters 10, nos. 1–3 (2004): p. 301.
394
«For following the fall of the Northern Song, the most important locus of innovation in statecraft passed from
China to the steppe, providing the Mongols with a repertoire of organizational means to draw on as they finally
conquered all of China and integrated it into a vast Eurasian empire» Ivi, p. 308.
395
Smith Paul Jakov, Twitchett Denis, The Cambridge History of China, vol. 5, part. 1, The Sung Dynasty and
Its Precursors, 907–1279, Cambridge University Press, Cambridge, 2009, pp. 1–37.
391
117
risposta creativa alle difficoltà dello stato cinese in quel periodo.396 Gli sforzi dei Song nella
creazione di armi esplosive sempre più potenti rientrano in questo processo.
Nello sviluppo dell'arma da fuoco l'evoluzione da sostanza incendiaria a propellente fu
un processo complesso, inizialmente lento ma progressivamente sempre più rapido grazie alla
sperimentazione e all’uso in guerra, attuato nel contesto di una società sempre più presa in
una spirale bellica. I risultati sono stati i prototipi di armi a tutt'oggi in uso: cannoni, bombe,
granate e razzi. Peter Lorge fa notare anche che il momento di maggior sviluppo, il tardo
tredicesimo secolo, fu caratterizzato da un elevato numero di assedi e battaglie navali, più
adatti a dispiegare queste armi ancora ingombranti e instabili armi. 397 Le critiche ai Song,
incapaci di usare l’artiglieria per sconfiggere i Mongoli, non hanno quindi sostanzialmente
senso. L’artiglieria in Europa avrebbe impiegato secoli a raggiungere un livello tecnico tale da
fermare forze di cavalleria molto meno efficienti di quelle Mongole. Piuttosto la capacità dei
nomadi di assorbire le tecniche di assedio, la guerra navale e l’uso della polvere da sparo negò
ai Song anche gli ultimi vantaggi militari che gli restavano.398
Ereditando le tecnologie cinesi, i Mongoli utilizzavano con successo le armi da fuoco
nelle loro campagne verso il Medio Oriente, Vietnam, Burma, Java e l’Europa. L’uso fu
talmente sistematico che secondo Stephen Haw sarebbe corretto parlarne come di precursore
degli Imperi della polvere da sparo.
399
Queste rapide evoluzioni furono favorite
dall’atteggiamento bellicoso della dinastia Yuan e dalle guerre che ne causarono la caduta ad
opera della nuova dinastia autoctona dei Ming. Nei conflitti che opposero il signore della
guerra Zhu Yuanzhang, poi Imperatore Hongwu, ai Mongoli, le armi da fuoco erano ormai un
elemento irrinunciabile dell’arsenale dei contendenti. Ascesi al potere i Ming equipaggiarono
largamente le loro enormi forze con armi da fuoco, che divennero comuni come arma
personale e fissa, per la difesa delle mura.400 Risulta corretto, in questo senso, parlare della
396
Deng Gang, The Premodern Chinese Economy: Structural Equilibrium and Capitalist
Sterility, Routledge, London, 1999, pp. 301-305.
397
Lorge Peter, The Asian Military Revolution: From Gunpowder to the Bomb, Cambridge University Press,
Cambridge, 2008. , p. 42.
398
Ivi, p. 43
399
Haw Stephen G. , The Mongol Empire. The First Gunpowder Empire?, Journal of the Royal Asiatic Society
23, no. 3 (August 2013): 1–29, p. 8.
400
«By 1380, Ming policies stipulated that gunners should comprise 10 percent of soldiers. Since the total
number of soldiers at that period was likely between 1. 3 and 1. 8 million, the number of gun specialists must
have been on the order of 130,000 to 180,000, meaning that there were more gunners in early Ming China than
knights, soldiers, and pages in France, England, and Burgundy combined. Under Hongwu’s successors, the
percentage of gunners climbed higher. By the 1430s and 1440s, it reached 20 percent. By 1466, it had risen to 30
percent. 5 In Europe, on the other hand, it wasn’t until the mid-1500s that gunners made up 30 percent of
infantry units» Andrade Tonio, The Gunpowder Age, Op. cit. , p 56.
118
Cina Ming come del primo vero e proprio Impero della polvere da sparo al mondo.401 Questo
periodo vide la trasformazione delle lance di fuoco nei primi cannoni, completamente
realizzati in metallo simili a quelli che in Europa, un secolo dopo, venivano definiti scoppi,
cioè piccoli e corti tubi di metallo di 3-5 kg di peso usati come arma anti uomo. Queste armi
ebbero una grande influenza nelle battaglie campali e negli scontri navali.
La battaglia del lago Poyang nel 1363, che secondo le fonti coinvolse 500.000
combattenti (una dimensione simile alla battaglia di Lepanto), si può considerare il primo
scontro navale in cui le armi da fuoco ebbero un ruolo determinante. 402 In questa fase i
cannoni, in Cina, non sono ancora utilizzati come armi d’assedio, dato che gli sono preferite
le armi tradizionali. Il motivo di questa netta differenza con l’Europa, ma anche con gli
Ottomani dove l’artiglieria era di grosso calibro e divenne prima fondamentale negli assedi e
solo dopo iniziò a diffondersi sui campi di battaglia, è stato molto dibattuto.
McNeill ha visto lo sviluppo europeo dell’artiglieria pesante come il vero inizio della
Rivoluzione dell’Artiglieria e della supremazia militare europea. La sua interpretazione della
divergenza tecnologica cinese verte intorno alla questione dell’unità politica «Since China
was under a single sovereignty, gunpowder weapons were only needed on ships and for
defence of fortified places against barbarian harassment. For both these purposes, smaller and
more mobile guns alone made sense.»403 Ma come si è visto la Cina non fu unificata per
lunghi periodi e i suoi nemici erano tra i migliori eserciti dell’epoca.
Una spiegazione plausibile risiede nella diversa struttura delle fortificazioni cinesi,
basse e spesse, costruite in terra compressa e inclinate, capaci di assorbire i colpi delle prime
artiglierie, mentre le mura europee, alte, sottili e in pietra si sgretolavano facilmente sotto il
bombardamento, incentivando la fabbricazione di artiglierie d’assedio. La vera innovazione
europea fu l’applicazione di principi geometrici per eliminare gli angoli morti nel tiro delle
artiglierie difensive. La dialettica trace italienne-cannoni non sembra però sufficiente a
spiegare perché l’artiglieria occidentale divenne così efficiente nel giro di un paio di secoli
dalla sua introduzione, mentre quella cinese conobbe un forte rallentamento nel suo sviluppo
nel corso del quindicesimo secolo.
401
Laichen Sun, Military Technology Transfers from Ming China and the Emergence of
Northern Mainland Southeast Asia (c. 1390–1527), Journal of Southeast Asian Studies 34, no. 3 (2003): 495–
517. pp 103-102.
402
Dreyer Edward, The Poyang Campaign, 1363: Inland Naval Warfare in the Founding the
Ming Dynasty, in Fairbank John K. , Chinese Ways in Warfare, Harvard University Press, Cambridge, 1974, pp.
202–42.
403
McNeill William, Men, Machines, and War In Haycock Ronald, Neilson Keith, Men, Machines, and War,
Wilfrid Laurier University Press, Waterloo, 1988, p. 14.
119
Una possibile risposta è quella del “vantaggio dell'arretratezza” europea «Free from
preconceived notions [Europeans] set off with renewed creativity. Progress in China
continued slowly.»404 Questo dato è però contraddetto dal rapido sviluppo tecnologico dei
secoli precedenti. Inoltre, per il quindicesimo e il del sedicesimo secolo non reggono né una
spiegazione tecnologica, la metallurgia cinese era superiore sia nelle tecniche che nella
capacità produttiva, né culturale, perché la classe dirigente cinese era tutto tranne che
refrattaria nell’innovazione della tecnologia militare.405
La spiegazione sembra derivare più dalla situazione del sistema internazionale. Tra il
1350 e il 1449 la guerra era stata una presenza costante, e gli scontri avevano fatto un ampio
uso di armi da fuoco. Dopo il 1449 la Cina Ming, tornata stabilmente al centro del sistema
sinocentrico, entrò in un periodo di relativa pace senza più minacce esistenziali alla propria
supremazia. Al contrario l’Europa si preparava ad una fase di intensi conflitti, che sarebbero
iniziati con le guerre italiane e che avrebbero stimolato l’innovazione tecnologica.
Un altro elemento da considerare è il diverso tipo di conflitto nella tarda era Ming,
ormai confinato solo al conflitto con la rinnovata minaccia mongola proveniente da Nord.
Kenneth Chase ha scritto pagine importanti sul fatto che lo sviluppo delle armi da fuoco in
Asia viene rallentato perché risultavano non particolarmente utili nel conflitto con i nomadi.
Nel suo libro Firearms. A Global History to 1700 Chase rigetta le spiegazioni culturali, cioè
l’idea che la cultura crei differenti modi di fare la guerra.406 L’autore non supporta neppure
un’interpretazione sistemica, l’idea che la maggiore bellicosità del frammentato sistema
europeo favorisse l’innovazione tecnologica, sottolineando come la guerra fosse una costante
in tutta l’Eurasia. 407
Chase utilizza piuttosto un modello simile a quello di Jared Diamond in Armi, acciaio e
malattie, enfatizzando l’importanza della geografia e del clima per dare una spiegazione dello
sviluppo delle armi da fuoco in Eurasia. In generale, visto che tutte le civiltà urbane
dell’Eurasia hanno adottato le armi da fuoco all’inizio dell'Età Moderna, la velocità nel loro
404
Lorge Peter, The Asian military revolution, Op. cit. , p. 17.
«Data show that until the mid-1400s, Chinese guns had length-to-bore ratios very similar to those of
European guns of the same period, an average of seventeen to one [-] Even more intriguingly, evidence suggests
that Chinese gun design was following a similar trend of development. Some historians in China have noted that
between the beginning of the Hongwu reign (1368) and the end of the Yongle reign (1424), there was a marked
increase in barrel lengths.» Andrade Tonio, The Gunpowder Age, Op. cit. , p. 107.
406
Smither James R. , Firearms: A Global History to 1700 by Kenneth Chase, The Sixteenth Century Journal,
vol. 36, no. 1 (Spring, 2005), pp. 202-204.
407
Chase Kenneth, recensione di Firearms: A Global History to 1700, Journal of Asian History, vol. 39, no. 1
(2005).
405
120
sviluppo è stata influenzata principalmente dal fatto che una civiltà fosse esposta o meno alla
minaccia dei nomadi. Dato che contro i nomadi le prime armi da fuoco erano poco efficaci,
paesi come Cina, Russia e Persia hanno visto uno sviluppo rallentato mentre i Paesi in cui il
confronto militare era prevalentemente contro avversari armati di armi da fuoco, come Europa
e Giappone, hanno proseguito in maniera più rapida.
L’impostazione di Chase ha il grande pregio di fare piazza pulita di una serie di miti
storiografici come l’etica guerriera dei Mammalucchi avversi all’artiglieria, la pacificità della
Cina, il ritorno alla spada dei Giapponesi, e dà una spiegazione più oggettiva nella creazione
di un vantaggio europeo nel campo degli armamenti. 408 Tuttavia, lo sforzo di Chase incontra
dei limiti, sia per lo schema interpretativo eccessivamente riduttivo, una sorta di determinismo
geografico e tecnologico, sia per una selezione temporale tronca del cruciale periodo
ottocentesco. Sembra quasi un passo indietro rispetto alle acquisizioni della tesi della
Rivoluzione Militare, che avevano superato l’idea della Rivoluzione della polvere da sparo
per abbracciare un più ampio ventaglio di innovazioni tattiche, amministrative e culturali.409
Risulta forse esagerato sostenere che disconosca la tesi della Rivoluzione Militare ma certo lo
schema concettuale esalta i fattori esogeni della geografia piuttosto che quelli endogeni e di
sviluppo culturale e tecnologico interno alle civiltà. In alcuni casi Chase disconosce
testimonianze chiare sulle resistenze culturali all’adozione delle armi da fuoco.410
Riguardo alla Cina, anche facendo un confronto tra repressione della pirateria e lotta ai
nomadi, manca una dinamica completa delle minacce interne ed esterne, militarmente
eterogenee, che i Ming affrontarono con le armi da fuoco.411 Se ci sono testimonianze sulla
difficoltà nell'usarle sul campo di battaglia contro i nomadi, non mancano testimonianze sul
fatto che i comandanti Ming trovassero comunque i cannoni di grande utilità e ne avessero
fatto uno strumento difensivo diffuso. Inoltre non si capisce perché la stessa argomentazione
non valga per i russi, che affrontano nemici simili in Asia Centrale e con successo con le
408
Hall Bert S. , Reviewed Work(s): Firearms: A Global History to 1700 by Kenneth Chase, The International
History Review, vol. 27, no. 2 (Jun. , 2005), pp. 338-340.
409
Morillo Stephen, Reviewed Work(s): Firearms: A Global History to 1700 by Kenneth Chase; Battle: A
History of Combat and Culture by John Lynn, Journal of World History, vol. 15, no. 4 (Dec. , 2004), pp. 525530.
410
Kleinschmidt Harald, Reviewed Work(s): Firearms: A Global History to 1700 by Kenneth Chase, The Journal
of Military History, vol. 68, no. 1 (Jan. , 2004), pp. 242-243.
411
«The strategic dilemma along the southeast coast was oddly similar to that along the northern border in
certain respects, so much so that officials who submitted memorials on naval policy sometimes borrowed
examples from steppe warfare. Both the north and the southeast were classic frontiers, in the sense that their
inhabitants were skilled at mediating between the two sides of the frontier but were correspondingly difficult to
control.» Chase Kenneth, Armi da fuoco. Una storia globale fino al 1700, Libreria Editrice Goriziana, Gorizia,
2009,p. 128.
121
stesse armi. 412 Le carenze di documentazione spingono a sostenere tesi antiquate come
l’inferiorità dell’artiglieria dei cinesi rispetto ai Giapponesi nella Guerra Imjin.413
Un argomento tecnico portato più volte come spiegazione alternativa del maggior
successo delle armi da fuoco in Europa è quello dell’invenzione della polvere da sparo in
grani (corning).414 L’argomentazione di Hall è che per superare il problema del salnitro di
bassa qualità, gli armaioli europei sperimentarono una polvere granulare con il risultato di
creare un composto più potente e meno deperibile. In Asia non ci sarebbe stato bisogno di
farlo grazie al miglior salnitro. Questa tesi è stata in parte smentita dalla scoperta
dell’esistenza della polvere granulare anche in Asia già nel 1370 e dal fatto che la sua
diffusione non fu un fenomeno uniforme in Europa.415
Qualunque sia stata la causa, all’inizio del sedicesimo secolo le artiglierie cinesi erano
inferiori a quelle europee che avevano visto un’evoluzione rapidissima grazie alla Guerra dei
Cent’anni e alle Guerre Italiane. Questa condizione, che Tonio Andrade ha definito Prima
Divergenza Militare, venne riconosciuta rapidamente dai governanti cinesi ai primi contatti
con i portoghesi. Il governo imperiale fu molto rapido nel riconoscere la maggiore efficacia
delle armi occidentali e ad avviare un rapido programma di riarmo.
La cronologia della diffusione del cannone europeo in Cina è confusa. Inizialmente si
riteneva che i cinesi l’avessero riprodotto dopo i primi scontri con i portoghesi, mentre ormai
si tende a ritenere che fosse arrivato già in precedenza per un processo di diffusione
tecnologica, forse prima del 1510, perché adottato dai pirati e dai commercianti delle aree
costiere del Sud. Non sarebbe l’unico caso, grazie alla diffusione nell’Oceano Indiano portata
412
Altri storici pongono la Russia tra i ritardatari nell'evoluzione delle armi da fuoco a causa dei frequenti
conflitti con i nomadi «while Muscovy used gunpowder as early as the 1380s, at the end of the sixteenth century
Russia's basic orientation “was still toward steppe warfare, with horsemen and bows and arrows. ” [-] Indeed, it
may be offered as a working hypothesis that those states and cultures with a lengthy history of interaction with
the nomads [-] were the more reluctant to accept the new technology diffused by the Mongols, the more hesitant
to join the “gunpowder revolution, ” while those peoples on the extreme periphery of Eurasia, Europe and Japan,
whose contact with the nomads was restricted and intermittent, were the more eager to interrogate and exploit its
possibilities.» Allsen Thomas T. , The Circulation of Military Technology in the Mongolian Empire in Di Cosmo
Nicola, Warfare in Inner Asian History (500–1800), Brill, Leiden 2002, p. 286.
413
Swope Kenneth M. , Reviewed Work(s): Firearms: A Global History to 1700 by Kenneth Chase, Journal of
the Economic and Social History of the Orient, vol. 47, no. 2 (2004), pp. 284-286.
414
Hall Bert S. , Weapons and Warfare in Renaissance Europe: Gunpowder, Technology,
and Tactics,Johns Hopkins University Press, Baltimore 1997, pp. 69-104.
415
Andrade Tonio, Early Gunpowder Warfare, Journal of Medieval Military History, vol. 13, p. 274.
122
dagli Ottomani e dai portoghesi.416 Altri storici sostengono una diffusione diretta del cannone
da parte degli Ottomani attraverso le vie commerciali dell’Asia Centrale.417
L’entusiasmo per queste armi da parte dei letterati fu notevole e molti ufficiali di
rilievo spinsero per la loro adozione. I cannoni europei si diffusero rapidamente come arma
per munire le fortezze, in dotazione alla fanteria e come arma navale. A dimostrazione che
non sembra esserci nessuna ostilità preconcetta tra confucianesimo, militarismo e progresso
tecnologico, uno dei maggiori sostenitori dei falanji, il cannone franco, fu Wang Yangming (
王陽明, 1472–1529), il maggiore filosofo cinese dell’Età Moderna, noto anche come politico
e comandante militare.418 L'aspetto più notevole è il forte adattamento della tecnologia, dato
che le tecniche metallurgiche e la comprensione dello strumento non erano inferiori a quelle
occidentali, i cinesi non si limitavano a copiare ma inserivano su modelli cinesi le innovazioni
occidentali, come le canne allungate o il caricamento a retrocarica, e producevano inoltre
innovazioni proprie.
Ancora più notevole la velocità e la coordinazione nella loro adozione. Dopo il
secondo conflitto con i portoghesi nel 1523, gli arsenali imperiali impiegarono appena un
anno nello studiare una serie di pezzi catturati, produrne un certo numero come
sperimentazione e avvviarne una produzione di massa in termini di migliaia di pezzi di
falanji. A inizio diciassettesimo secolo il processo si ripeté con l’introduzione e l’adattamento
di pezzi in ferro di derivazione olandese e britannica.419
All'introduzione delle artiglierie pesanti sia accompagna una rapida diffusione delle
armi da fuoco portatili, che portò all’adozione di tattiche originali per il fuoco continuo
almeno a partire dal 1560. Le masse di archibugieri furono particolarmente utilizzate nelle
guerre contro i pirati del Sud della Cina. Queste bande, a volte delle dimensioni di piccole
armate, avevano massicciamente adottato la tecnologia delle armi da fuoco. Dal 1550 i Ming
iniziarono a produrre migliaia di archibugi per contrastarli.420 Questa facile adozione, insieme
416
I cannoni portoghesi erano stati, ad esempio, adottati in India nel 1508 copiando esemplari recuperati da
naufragi. Eaton Richard, Wagoner Philip B. , Warfare on the Deccan Plateau, 1450–1600: A Military Revolution
in Early Modern India?, Journal of World History 25, no. 1 (2014): pp. 5–50.
417
«Ottoman firearms reached the Chinese along two routes, by land and by sea. The land route was a series of
caravan routes connecting the cities of Transoxania with those of China [-]. The sea route of course passed
through
the
Indian
Ocean.
[-].
Chinese
records
indicate
that
Ottoman
emissaries
visited Beijing in 1524.» Rossabi Morris, The 'decline’ of the Central Asian caravan trade in ,Tracy James D. ,
The rise of merchant empires: Long-distance trade in the early modern world, Cambridge University Press,
Cambridge 1990.
418
Needham Joseph, Science and Civilisation in China, Op. cit. , p. 372.
419
Andrade Tonio, The Gunpowder Age, Op. cit. , p. 142.
420
«In 1558, for example, the Central Military Weaponry Bureau (兵仗局) ordered the manufacture of ten
thousand muskets.» SoKwan-wai, Japanese Piracy in Ming China during the 16th Century, M ichigan State
University Press, East Lansing, 1975, p. 149.
123
ad altre innovazioni del periodo, mostra come la dinastia Ming, per quanto vigile nei confronti
degli Europei non avesse un atteggiamento di chiusura verso l’esterno. Venne così
rapidamente colmato il primo divario in termini di armamenti che si era creato nel corso del
quindicesimo secolo.
3. 2. 4 Consiglieri militari europei in Cina. Il ruolo dei Gesuiti.
Nel periodo Ming l’acquisizione e l'adattamento della tecnologia occidentale furono
dunque un successo. Abbiamo visto come il fenomeno non costituisca una mera importazione
di tecnologia ma certo gli influssi occidentali furono rilevanti. «Jesuits published Chinese
books on European military arts; Dutchmen served alongside Chinese and Japanese in Korean
armies; Germans and Danes offered Ming generals advice on tactics and strategy.» 421 Il
fenomeno, nella prima fase dell’Età Moderna, è comune a tutta l’Eurasia e se certo testimonia
un elemento di superiorità militare occidentale non rappresenta la prova di un divario
insuperabile, vista la capacità delle società asiatiche di incorporare, adattare e far circolare la
tecnologia. Per la Cina ci furono importanti fenomeni di diffusione delle nuove armi verso la
Corea e l’Indocina, sia promossi dal Governo che per i movimenti di attori privati.422
La vicenda dei Gesuiti in Cina e il loro ruolo di intermediari culturali è un caso
particolarmente interessante. Da un lato i gesuiti erano un ordine religioso con spiccate
competenze scientifiche e militari e poche remore ad utilizzarle per la diffusione del
cattolicesimo.423 Dall’altro erano disponibili a condividerle in maniera incondizionata con i
governanti cinesi allo scopo di impressionarli e provocare una conversione della classe
dirigente.424 Il fatto che la cultura cinese della fine del sedicesimo secolo vedesse una ripresa
421
Lorge Peter, The Asian Military Revolution, Op. cit. , p. 302.
Laichen Sun, Military Technology Transfers from Ming China and the Emergence of
Northern Mainland Southeast Asia (c. 1390–1527), Journal of Southeast Asian Studies, no. 34, pp.
495-517.
423
«In their efforts to shield the Catholic Church from its many enemies, Jesuits mathematicians not only
managed to successfully use and disseminate their knowledge about the nature and usefulness of
mathematically-designed fortifications among an unusually large international audience, but also to goad [-] their
brighter students to improve upon all those innovative refinements that distinguished Baroque fortifications and
siegeworks from their sixteenth century predecessors. This largely forgotten contribution of the Jesuits in the
realm of defensive and offensive military operations was mainly targeted at assisting those absolute rulers of the
Baroque age who had chosen to remain faithful to Rome.» De Lucca Denis, Jesuits and Fortifications. The
Contribution of the Jesuits to Military Architecture in the Baroque Age, Brill, Leiden, 2012, p. 334.
424
La penetrazione gesuitica in Cina venne organizzata da Matteo Ricci con la doppia strategia
dell’accomodamento culturale, autorizzato da Ignazio da Loyola, e della propaganda scientifica “propagatio fidei
per scientia”. Pagani Catherine, Clockwork and the Jesuit Mission in China in O'Malley John W. , The Jesuits II:
Cultures, Sciences, and the Arts, 1540-1773, University of Toronto Press Toronto, 2006.
422
124
d’interesse per le scienze naturali favorì la loro tattica di penetrazione nella classe dirigente
cinese.425
La nomina di Matteo Ricci a mandarino nel 1601 e l'apertura della prima casa professa
gesuita a Pechino aprirono ai Gesuiti le porte della Corte Imperiale. Particolarmente
importante nel campo degli armamenti fu l'operato dei suoi successori Johann Adam Schall
von Bell (1591–1666) e Ferdinand Verbiest (1623–1688). Le nuove artiglierie d’influenza
occidentale avevano dato ottima prova di sé nella Guerra Imjin, e vari convertiti cinesi di
elevata posizione sociale fecero pressione a corte per l'adozione dei nuovi modelli di
artiglieria portoghese nella lotta contro i mancesi, contribuendo alla vittoria Ming nell’assedio
di Ningyan nel 1626, in cui l’artiglieria cinese devastò le cariche di cavalleria degli Jurchen
uccidendo lo stesso condottiero Nurhaci.426
Questo successo spinse la Corte a richiedere istruttori e fonditori ai portoghesi a
Macao e a insistere con Shall perché assumesse la direzione delle fonderie imperiali, con
l'esplicito compito di creare pezzi di artiglieria più leggeri e potenti di quelli in uso. La
direzione gesuita produsse centinaia di pezzi e Shall stesso compose un manuale di tiro
Huogoniz Geiyao—Essenziali dell’Artiglieria.427 Tale era il prestigio di Shall da permettergli
di passare indenne il cambio di regime e anzi di migliorare la propria posizione, nominato da
Kangxi direttore dell'Ufficio Imperiale di Astronomia.
I suoi sforzi nel campo degli armamenti furono nuovamente apprezzati dai Qing nel
corso della Rivolta dei Tre Feudatari, la ribellione dei generali cinesi traditori dei Ming che
cercavano di ritagliarsi dei domini autonomi e che quasi travolse il neonato Impero Qing. Tra
i vantaggi dei ribelli c’era l’elevata disponibilità di artiglieria e solo aumentando la
produzione di pezzi pesanti con il supporto dei gesuiti di Pechino fu possibile ribaltare le sorti
del conflitto. Lo stesso Kangxi invitò un secondo padre gesuita dalle notevoli conoscenze
militari, il matematico belga Ferdinand Verbiest.428 La sua direzione contribuì al riarmo e alla
standardizzazione delle artiglierie delle Otto Bandiere e all'introduzione di metodi matematici
per il calcolo delle traiettorie tra gli artiglieri cinesi.
Il periodo di intensi conflitti favorì lo sviluppo di diversi tipi di cannoni e mortai adatti
all'assedio e al combattimento campale, usati in tutte le campagne del regno Di Kangxi. «The
casting of ancient cannons reached its peak in the Kangxi reign. [-] Not only was the amount
425
Cheng Anna, Storia del pensiero cinese, Op. cit. , p. 592.
Swope Kenneth, The Military Collapse of China's Ming Dynasty, Routledge, London, 2014, p. 58.
427
Denis De Lucca, Jesuits and Fortifications, Op. cit. , p. 178.
428
Stary Giovanni, The "Manchu Cannons" Cast by Ferdinand Verbiest and the Hitherto Unknown Title of His
Instructions, Ferdinand Verbiest, 1623-1688: Jesuit missionary, scientist, engineer and diplomat / ed. by John W.
Witek, Monumenta serica monograph series, 30.
426
125
of cast cannons enormous, but also the level of casting techniques, the variety of the cannons,
and
the
quality
of
the
cannons
had
been
proved
to
the
utmost.»
429
Gli sforzi militari di Verbiest hanno di certo contribuito alla decisione di Kangxi di
autorizzare la diffusione del cattolicesimo nel 1692. Tra gli altri contributi dei gesuiti si
possono ancora ricordare la prima traduzione europea di Sun Tzu di Padre Amiot e la
collaborazione di Baldassarre Castiglione e di altri padri alla politica culturale di Qianlong,
volta a glorificare l’elemento marziale nella cultura imperiale, di cui si parla in dettaglio più
avanti.
Sfortunatamente la Controversia dei Riti minò lo sforzo dei Gesuiti e mise i cattolici in
cattiva luce presso la Corte. Lo sforzo di propagazione scientifica dei padri continuò fino allo
scioglimento della Compagnia, anche se in misura assai meno influente.
3. 3 Una Rivoluzione Militare Coreana.
«Most intriguing of all, neither China nor Japan was the East Asian state most
influenced by the musket. That honour belongs to Korea, which in the seventeenth century
developed one of the most effective musket forces in the world, its developments closely
paralleling those of Western Europe: an increasing predominance of muskets over other
traditional weapons, the relative decline of the cavalry, the growth of standing infantry
armies, and the professionalization of the officer corps.»430 Lo sviluppo delle armi da fuoco in
Corea seguì piuttosto da vicino quello cinese ma ebbe un autentico decollo intorno e subito
dopo gli anni della Guerra Imjin. La trasformazione dell’armata da una forza di tipo
medievale a un esercito moderno basato sull’artiglieria innescò profondi cambiamenti sociali,
tali da aver fatto discutere di una Rivoluzione Militare coreana.
Questa tesi è stata lanciata da uno storico militare coreano, No Yŏnggu, che ha
insistito sulle similitudini nello sviluppo militare e politico tra Paesi europei e Corea, seguito
da diversi interventi di Tonio Andrade, June Park, Hyeok Hweon Kang e Kirsten Cooper.431
La Corea era tradizionalmente lo stato tributario più vicino alla Cina, quello che
maggiormente ne imitava i costumi, facilitando così il trasferimento tecnologico. Non stupisce
429
Liguang Shu, Ferdinand Verbiest and the Casting of Cannons, Ferdinand Verbiest, 1623-1688: Jesuit
missionary, scientist, engineer and diplomat / ed. by John W. Witek, Monumenta serica monograph series, 30, p.
244.
430
Andrade Tonio, The Gunpowder Age, Op. cit. , p. 166.
431
Yŏnggu No, Kihoek nonmun: chŏnjaeng-ui sidaejeok yangsang; ‘kunsa hyŏngmyŏngron (Military
Revolution)’-gua 17~18 saegi chosŏn-ui kunsajeok byŏnhwa” [Featured Articles: The Historical Aspects of
Warfare; "Military Revolution" and Chŏson Dynasty’s Military Reforms in the 17th and 18th Centuries],
Sŏyangsa yŏngu 西洋史研究 5, no. 5 (2007), pp. 39-43.
126
quindi che l'evoluzione delle armi a polvere da sparo seguisse da vicino gli sviluppi cinesi. I
coreani utilizzavano tutte le proto armi da fuoco di epoca Song, conobbero gli scoppi e i
cannoni a mano del periodo Mongolo e importarono i primi cannoni dalla Cina con l’avvento
della dinastia Ming. Nel corso del quindicesimo secolo l’artiglieria ebbe un ruolo importante
negli scontri navali con i giapponesi e il Paese si rese indipendente nelle tecniche di
fabbricazione e nella produzione di polvere da sparo, dotandosi di un apposito ufficio del
Governo che ne organizzava la produzione. I coreani, ben consapevoli della validità delle
nuove armi, cercarono di conseguenza di prevenirne la diffusione in Giappone.432
All’inizio del conflitto Imjin la Corea veniva da un periodo prolungato di pace ed era
all'avanguardia nelle artiglierie pesanti, piazzate su fortificazioni e navi da guerra, ma indietro
nei dispositivi portatili. I coreani facevano uso di quattro tipologie di cannoni fusi in bronzo,
capaci di sparare palle di piombo o grossi dardi, oltre che di una specie di spingarda. 433
Nell’arsenale coreano erano anche presenti mortai, dotati di primitive spolette, razzi e granate
e a mano.434 La provenienza di questo arsenale era variegata con influenze Ming, portoghesi e
giapponesi, che avevano generato una serie di innovazioni locali. Nel corso del conflitto
Imjin, i coreani, oltre a veder confermata l’utilità dell’artiglieria pesante sia terrestre che
navale, realizzarono l’utilità delle armi da fuoco portatili e durante il conflitto iniziarono
quegli inventivi dispositivi a polvere da sparo che avevano caratterizzato la guerra nel
Medioevo in Cina, come le frecce esplosive o incendiarie, e a equipaggiare unità di
archibugieri.435
Tecnologia e tattiche vennero inizialmente assorbite dai cinesi e dai prigionieri
giapponesi ma è possibile anche un’influenza occidentale, nonostante l’isolamento del paese.
Un soldato olandese di nome Jan Janszoon Weltevree venne catturato dai coreani nel 1626 e
visse il resto della sua vita nel Paese adottando un nome coreano e diventando un consigliere
militare del re e ufficiale, il che denota che deve aver imparato il coreano e il cinese classico.
Le fonti attestano la sua direzione nello sviluppo di un avanzato modello di cannone.
432
Jeon Sang-woon, Science and technology in Korea: Traditional instruments and techniques, Cambridge: MIT
Press, 1974, pp. 233-57.
433
Turnbull Stephen, Samurai Invasion: Japan’s Korean War, 1592–1598, Cassell and Co. , London, 2002, pp.
89-90.
434
Boots J. L. , Korean Weapons and Armor, Transactions of the Korea Branch of the Royal Asiatic Society 33,
no. 2 (December 1934).
435
Tonio Andrade, Hyeok Hweon Kang, Kirsten Cooper, A Korean Military Revolution? Parallel Military
Innovations in East Asia and Europe*, Journal of World History, vol. 25, no. 1, March 2014, p. 65.
127
Considerato il suo background militare non è impossibile che abbia anche stimolato
innovazioni tattiche.436
Nel 1593 Re Sŏnjo (1552–1608) avviò una riforma militare di vasta portata. In
maniera molto simile alle riforme in Europa, l’esercito passò da una base di cavalleria a una
base di fanteria; i soldati, abbandonando l’alternanza con il lavoro nei campi, divennero
professionisti a tempo pieno salariati dal governo. Muniti di moschetti fabbricati in serie nelle
officine governative, venivano addestrati al tiro sulla base di tecniche studiate a tavolino e
pubblicate in manuali a stampa.437 Questa riorganizzazione dell’esercito generò una serie di
cambiamenti, come l'ampliamento numerico dell’esercito e la fornitura centralizzata degli
armamenti. Come in Europa, i costi di questo esercito di nuovo modello finirono per crescere
molto al di là delle possibilità economiche del regno Joseon, che si trovò in crisi finanziaria
per tutto il diciassettesimo secolo. «Military expenditure as a percentage of total state budget
in late seventeenth century Chosŏn was probably comparable to that of France during Louis
XIV's reign and the English Commonwealth in the 1650s, which were, respectively, 75
percent and over 90 percent, though the latter is an extreme anomaly.»438
La situazione portò ad una riforma che cercava di spostare il carico fiscale sui
proprietari terrieri, ridurre le differenze regionali e stimolare il commercio, con un grande
sforzo di registrazione catastale e censitaria da parte del Governo. «The wide-ranging impact
of the musketry revolution on the Chosŏn state remains an intriguing matter of further
research, but available sources suggest that Chosŏn was increasingly concerned with
managing its military through centralized conscription methods and tax reforms during the
seventeenth century.»439 La riforma Teadong nel 1608 iniziò il processo di rimpiazzamento
del tributo con una tassa sulla proprietà terriera, ma solo sotto il regno di Re Sukchong (16741720) venne estesa all’intero paese.440 Le similitudini con l’Europa sono evidenti ma i risultati
della Rivoluzione Militare coreana furono alla fine limitati all'organizzazione dell’esercito
436
Andrade Tonio, Kang Hyeok Hweon, Cooper Kirsten, A Korean Military Revolution? Parallel Military
Innovations in East Asia and Europe, Journal of World History, vol. 25, no. 1, March 2014, p. 83.
437
«In 1594, only a year after the outbreak of the Imjin War, they constituted 54 percent of the Military Training
Agency and quickly replaced traditional units such as archers and cavalry. Musketry troops continued to grow
within the agency, replacing all archers by 1682 and reaching 80 percent of the entire force by 1708, which
amounted to as many as 4,000 musketeers.» Ivi, p. 52.
438
Kang Hyeok Hweon, Big Heads and Buddhist Demons: The Korean Musketry Revolution and the Northern
Expeditions of 1654 and 1658, Journal of Chinese Military History 2 (2013), p. 145.
439
Atwell William S. , A Seventeenth-Century ‘General Crisis’ in East Asia?, Modern Asian Studies 24. 4
(October 1990), p. 680.
440
Park Eugene Y. , Between Dreams and Reality: The Military Examination in Late Chosŏn
Korea, 1600-1894, Harvard University Asia Center, Cambridge, 2007, p. 52.
128
senza riuscire veramente a far cambiare la struttura sociale del regno, che nell’Ottocento si
trovò indebolito e conteso tra Cina, Russia e Giappone.441
Le spiegazioni sono in parte legate alla tattica militare, in parte al contesto
internazionale e infine alla struttura della società coreana. A livello militare ha almeno in
parte senso l’osservazione mossa da Kenneth Chase, cioè che i Paesi dell’Asia Orientale non
riuscirono a sviluppare pienamente le potenzialità dell’artiglieria perché questa non riusciva a
opporsi efficacemente alle tattiche della cavalleria nomade. Nei riguardi dei Joseon
l’argomento è vero almeno nella prima parte degli scontri con i mancesi: in diverse battaglie a
inizio diciassettesimo secolo i moschettieri coreani vennero travolti prima di essere riusciti ad
arrestare l’impeto delle cariche dei Qing. Tuttavia i coreani non misero in discussione la
validità dei fucili e adottarono rapidamente schieramenti difensivi supportati da truppe con
armi ad asta supportate da trincee e migliorarono il regime di tiro cogliendo vari successi.
Alla fine il conflitto (1636-1637) venne in effetti vinto dalla schiacciante superiorità
dell'esercito Qing che comprendeva i reparti cinesi esperti di artiglieria.
L’argomento geopolitico ha maggior peso. Instaurata l’egemonia mancese su tutte le
regioni di confine della Corea, con le ambizioni russe sull’Amur rintuzzate e il Giappone
pacificato, la Corea si trovò per quasi due secoli senza alcun nemico da affrontare. Senza che
ci fossero stimoli ad ammodernare l’esercito si rafforzò la reazione aristocratica che si
opponeva ai cambiamenti sociali giustificati dallo sforzo bellico. La Corea era piagata da un
grave problema finanziario causato dalle spese militari unite a una generale riduzione delle
entrate dell’agricoltura, generate dal mutamento climatico del diciassettesimo secolo.
Contrariamente all'Europa, che nello stesso periodo affronta gli stessi problemi ma trova una
soluzione con l’affermarsi da un lato degli assolutismi e dall’altro del finanziamento della
guerra con un’oculata gestione della finanza pubblica, la Corea optò piuttosto per la riduzione
delle spese militari.
Nel corso del diciassettesimo secolo il processo di Rivoluzione Militare coreana
permise ai regnanti di spingere verso una riforma del regno, sforzi che culminarono con la
figura di Sukchong, abile politico capace di sfruttare le rivalità tra le fazioni dei letterati per
raggiungere i propri obiettivi. Questo obiettivo era però minato dalla natura del sistema: dato
che la relazione tra re e ufficiali è stata descritta come un sistema di “checks and balances” era
difficile esprimere pienamente i poteri reali.
442
Il sistema coreano prevedeva una
collaborazione tra il sovrano e i letterati, provenienti dalla classe dei proprietari terrieri, gli
441
442
Kang Hyeok Hweon, Big Heads and Buddhist Demons, Op. cit. , p. 148.
Palais James B. , Politics and Policy in Traditional Korea, Harvard University Press, Cambridge, 1991, p. 14.
129
yangban, e non si realizzò mai la perdita del potere da parte dell'aristocrazia a vantaggio di
quello centralizzato del re.443
In Corea il contesto poteva giustificare l’interessata postura pacifista dell'aristocrazia
che portò ad una costante riduzione delle spese militari e alla denigrazione del mestiere delle
armi.444 «The most salient divergence is the unique presence in Chosŏn Korea of an antimilitary, land-holding yangban aristocracy and its stalwart opposition to radical fiscal
reforms. By the turn of the seventeenth century, the yangban aristocrats had achieved
unassailable political, social and economic clout in Chosŏn Korea [-], (They) harbored a deepseated cultural bias against military men and patronized soldiers of all ranks as of lowly
profession.»445
Quindi la situazione internazionale e la spinta conservatrice dell’aristocrazia coreana
cospirarono nell’impedire una rivoluzione fiscale che avrebbe potuto rafforzare il processo di
Rivoluzione Militare e avviare un ciclo di rafforzamento dello Stato, paragonabile a quello
europeo. June Park ha evidenziato come in Corea venne a mancare un elemento
centralizzatore: in Europa il re poteva sfruttare due meccanismi di centralizzazione, diminuire
i poteri della nobiltà di creare un potere politico autonomo, rafforzare il rapporto tra sovrano e
popolo. In Corea il re non aveva la forza per ridurre i privilegi di censo e poteva solo
effettuare un'opera di monitoraggio degli aristocratici, ma in questo modo era molto difficile
superare le resistenze degli yangban contro le riforme.
Un regnante capace poteva superare fino a un certo punto le opposizioni ma non
poteva riuscire a imporre una monarchia centralizzata. 446 Ovviamente il concetto di
centralizzazione va visto in prospettiva: la Corea aveva all’epoca un’amministrazione molto
più uniforme della maggior parte degli Stati europei, grazie alla sua unitarietà geografica e
culturale.447 Però per i motivi che abbiamo visto l’autorità reale non riusciva ad espandersi
ulteriormente. L’Europa, che all’inizio del Rinascimento non aveva nulla di simile alle
burocrazie confuciane, godette del paradossale “vantaggio dell’arretratezza” che permise di
sviluppare le strutture dello Stato centralizzato, capaci di reggere lo sforzo finanziario e
443
Park June, The Age of Gunpowder as a Vehicle for the Power Aggrandizement of King Sukchong, Emory
Endeavors in History 2013, p. 25.
444
«King Sukchong and the Board of Military Affairs discussed the household tax (hop’o) [-] even though he
actively pushed for the household tax, the aristocrats won the intense dispute, which lasted about a year. ».
Haboush JaHyun Kim, The Confucian Kingship in Korea: Yŏngjo and the Politics of Sagacity, Columbia
University Press, New York 2001, p. 100.
445
Palais, James B. , Confucian Statecraft and Korean Institutions: Yu Hyongwon and the late Chŏson,
University of Washington Press, Seattle, 1996, p. 575.
446
Haboush JaHyun Kim , The Confucian Kingship in Korea, Op. cit. , p. 31.
447
Duncan James B. , Origins of the Choson Dynasty, University of Washington Press, Seattle, 2014, p. 283.
130
amministrativo necessario a sostenere gli eserciti moderni. 448 Come per la Cina Qing, in
Corea l’insufficiente base fiscale e l’impossibilità di andare oltre il patto sociale tradizionale
impedirono un ruolo propulsore dello Stato pari a quello Europeo.
3. 4 Il Giappone dalla guerra medievale alla guerra moderna.
La Storia giapponese vive la curiosa contraddizione di suscitare un grande interesse
per la storia militare e gli studi comparativi nei confronti di un Paese che ha avuto un ruolo
militare di rilievo regionale e mondiale solo in pochi circoscritti periodi. Inoltre l’applicazione
meccanica dei modelli analitici occidentali, come quelli di feudalesimo e cavalleria,
sovrapposti alle strutture sociali e militari del Giappone, ha prodotto in passato numerose
distorsioni interpretative come la tesi del “ritorno alla spada” di Perrin o di “feudalesimo
burocratico” di Strayer.449
La sua posizione periferica rispetto al sistema internazionale dell'Asia Orientale, la
povertà di risorse e la civilizzazione tarda, hanno contribuito a far sì che il Paese si
concentrasse maggiormente sulle vicende interne. Tuttavia nell’Età Moderna il Giappone
partecipò attivamente al processo di Rivoluzione Militare che esercitò profondi ma
paradossali effetti sulla sua struttura militare e sociale. I termini del dibattito sono stati a
lungo centrati all'introduzione delle armi da fuoco nel sedicesimo secolo. L’introduzione fu
opera dei portoghesi, ma è possibile ci fossero state esperienze di contatto precedenti.450
Le armi da fuoco cambiarono il modo giapponese di combattere ma questo mutamento
non avvenne in maniera repentina, fucili e cannoni si inserirono nella scia di cambiamenti in
corso. e in un contesto sociale e politico che favoriva l’adozione delle armi da fuoco. L’effetto
finale sulle strutture sociali fu l’inverso di quello che le premesse sembravano suggerire, visto
che la fine dei conflitti, che avevano indebolito il potere della classe guerriera a favore di
quelle popolari, alla fine paradossalmente cristallizzarono i rapporti sociali a favore della
prima.
La storia militare del Giappone è stata una vicenda tutt’altro che statica e ha visto un
alternarsi tra coscrizione e professionismo, prevalenza del controllo centralizzato e poteri
448
Pomeranz Kenneth, The Great Divergence, Op. Cit. , pp. 262-263.
Strayer J. R. , The Tokugawa Period and Japanese Feudalism in Hall John W. , Jansen Marius, Studies in the
Institutional History of Early Modern Japan, Princeton University Press, Princeton, 1968, p. 6.
450
Brown Delmer, The Impact of Firearms on Japanese Warfare, 1543–98, The Far Eastern
Quarterly, 7/3 (May 1948), pp. 236–7.
449
131
regionali, vantaggio della fanteria o della cavalleria. La classe guerriera emerse nella guerra
Gempei (1180–5) che dette inizio al primo shogunato ma la loro ascesa sociale non iniziò che
con la fine del bakufu-shogunato Kamakura nel quattordicesimo secolo e la posizione sociale
venne cristallizzata solo nel periodo Tokugawa. Nel periodo Heian (794–1185), una casta
guerriera, i bushi, iniziarono a soppiantare le forze di contadini coscritti che il Governo
imperiale aveva organizzato imitando il modello cinese. Istituite nel timore di un'invasione da
parte della Cina Tang, che aveva esteso il suo dominio alla Corea, queste forze di fanteria
vennero poi abolite nel 792. Emergono forze composte da guerrieri, prevalentemente arcieri a
cavallo, organizzate dai potenti locali o membri dell'aristocrazia provinciale distanti dalla
potente aristocrazia di Corte basata su Kyoto.451
Nel lungo periodo questo processo aumentò i poteri delle élite provinciali a scapito di
quelle centrali. Almeno inizialmente le autorità centrali avevano buon gioco nel volgere i
diversi clan l'uno contro l’altro mentre questi non avevano ambizioni politiche nazionali. La
competizione militare era confinata a frequenti scontri di piccola e piccolissima scala a livello
locale. 452 Prevalgono in questa fase le forze di cavalleria e l’enfasi sull'uso e l’abilità
individuale di archi, spade e alabarde. In questo contesto iniziano a nascere un orgoglio e una
separazione di casta e i primordi di un’ideologia guerriera. Bisogna puntualizzare che i bushi
non avevano, come erroneamente si crede, il prestigio e il ruolo sociale della cavalleria in
Europa.453
Progressivamente i signori provinciali prevalsero sulle vecchie aristocrazie con la
creazione di una doppia struttura di Governo in epoca Kamakura. Le due invasioni mongole
del 1274 e del 1281 contribuirono a far crescere il prestigio e il potere della classe guerriera
nonostante l'assenza di avvenimenti militari di rilievo.
451
Friday Karl F. , Hired Swords: The Rise of Private Warrior Power in Early Japan, Stanford University Press,
Stanford, 1992.
452
Farris William Wayne, Heavenly Warriors: The Evolution of Japan’s Military, 500–1300, Harvard University
Press, Cambridge, 1992.
453
Stephen Morillo, nell’analizzare le differenze tra cavalieri occidentali e bushi, trova l’origine del diverso
livello di prestigio, socialmente riconosciuto di per sé per i primi, completamente legato al proprio signore per i
secondi, nella diversa base economica. I samurai furono sempre dipendenti dall'autorità centrale per
l’assegnazione delle loro risorse economiche e la loro condizione finanziaria peggiorò progressivamente nei
secoli. «The control exercised by the Japanese warrior class over the peasants was extensive, in that the class as a
whole could extract taxation and rents at customary levels from any of the lands under the control of the
government. But it was not especially intensive: the division of Japanese land into estates reflected decisions
made at the center, either at the civil capital in Kyoto or (after 1185) in the military capital at Kamakura, which
still derived its power of assignment from Kyoto. Individual warriors were assigned income from particular
estates rather than control over the estates themselves. Contact between the warrior class and the peasantry, in
other words, was somewhat indirect and insecure, both before and even after 1185, as it was mediated by the
central courts.» Morillo Stephen, Cultures of Death: Warrior Suicide in Medieval Europe and Japan, The
medieval History Journal, 4, 2, (2001), p. 249.
132
La prima invasione si risolse con uno scontro campale e la ritirata delle truppe
Mongole, in realtà costituite prevalentemente da soldati coreani e jurchen. La seconda flotta
d'invasione fu dispersa da una tempesta. Anche se è probabile che siano state utilizzate armi a
polvere da sparo, queste non influenzarono in maniera determinante il conflitto. Nel
complesso queste guerre non modificarono il modo di combattere dei giapponesi. La
situazione cambiò nuovamente con l’avvio dell'epoca Sengoku, il periodo delle guerre civili,
1467–1568, dalla guerra Onin alla conquista di Kyoto da parte di Nobunaga, anche se alcuni
storici lo estendono fino alla battaglia di Sekigahara (1600) o all’assedio di Osaka (1614) o
alla ribellione di Shimabara (1637), che avviò l’unificazione del Paese,.
In questo periodo l'autorità centrale collassò completamente e il potere finì nelle mani
dei clan provinciali, in aperto conflitto tra loro. Nel giro di alcuni decenni da diverse centinaia
di poteri autonomi si passò al confronto tra pochi clan maggiori che riuscivano a controllare
territorio, popolazione e forze armate, amministrazione della legge e tassazione. Si può
considerare il Giappone un sistema di piccoli stati regionali in conflitto per l’egemonia.454
Il combattimento appiedato tornò in auge, anche tra i bushi. Gli arcieri montati, adatti
alle schermaglie, erano poco utili negli scontri sempre più massicci e organizzati. Le battaglie
erano diventate conflitti di massa in cui contavano la disciplina, le formazioni e la
coordinazione più che l’abilità individuale «The great generals of Momoyama times thought
in terms not of samurai but of samurai armies, where individual prowess was valued in terms
of its contribution to a carefully planned strategy involving massive troop movement, wise
use of terrain, concentrated firepower, and supplies of food and ammunition assembled on a
scale not unlike that of contemporary Europe, and with a degree of skill which contemporary
Europeans might well have envied.»455
Il conflitto imperante aumentò la mobilità sociale visto che la guerra richiedeva un
numero di truppe superiore al ristretto numero della classe guerriera. I signori della guerra
arruolarono massicciamente in tutte le classi sociali, addestrando grandi formazioni di fanti
(ashigaru) armati di picche e archi e successivamente di archibugi. I contadini, per il caos
politico e la propria stratificazione sociale, formavano spesso autonomamente le proprie
milizie di autodifesa, che venivano integrate nelle armate dei daimyo. Questa connessione tra
454
Birt Michael P. , Samurai in Passage: The Transformation of the Sixteenth-Century Kanto, Journal of
Japanese Studies 11 [1985]: p. 369.
455
Turnbull Stephen, Samurai Armies, 1550–1615, Osprey Publishing, Londra, 2002, p. 3.
133
contadini armati e Signori della guerra contribuiva a subordinare la vecchia élite guerriera al
potere dei daimyo stessi.456
I termini bushi, ashigaru e samurai hanno bisogno di una minima contestualizzazione.
I primi erano i guerrieri, spesso a cavallo, che provenivano dalle famiglie di combattenti che
avevano dominato la politica locale dall’istituzione dello shogunato. Combattenti
professionisti distinti dalle abilità marziali con arco e spada, da un retaggio familiare e da un
orgoglio di casta. I secondi erano invece i soldati comuni, fanti di origine contadina che
divennero la maggioranza dei componenti degli eserciti durante l’epoca Sengoku, solitamente
armati di armi ad asta o archibugi. Tuttavia nel corso del conflitto l’armamento dei due gruppi
divenne identico e le tattiche indistinguibili.457
Il termine samurai (dal verbo saburau, servitore) viene spesso inteso come sinonimo di
bushi ma in realtà nel periodo Sengoku indicava semplicemente il fatto di essere seguaci di un
certo daimyo, quindi tutti i combattenti, qualunque fosse l’armamento e l’origine sociale
potevano essere samurai. Ovviamente non tutti i soldati erano considerati tali e all’interno del
gruppo esistevano diverse sottoclassi. 458 Comunque fino a che infuriavano gli scontri il
confine tra combattenti e non combattenti, soldati semplici e samurai, fino ai vertici della
gerarchia sociale, rimase permeabile. Solo nel periodo Tokugawa vennero fissate per legge i
requisiti per essere considerati samurai, che divennero una sorta di personale amministrativo
dei daimyo, una casta a cui si accedevano solo con matrimoni o pagando tangenti.
I rapporti tra i daimyo e i propri sottoposti persero progressivamente i caratteri
originali di “legame familiare” per divenire più simile a forme contrattuali. Il servizio era
ricompensato con una sorta di stipendio, molto più affine al mercenariato che a un legame
“feudale”. La formalizzazione dell’etica dei samurai, il bushido, avvenuta nel periodo di pace
successivo, ha oscurato il fatto che nell’epoca Sengoku la fedeltà dei samurai, era assicurata
dalla forza e dall’opportunità politica non certo dall’ideologia. L'allargamento delle armate e
la necessità di compensarle in denaro, come in Europa, fu un banco di prova per sviluppare
nuovi metodi amministrativi e logistici. Intorno ai castelli iniziarono a formarsi aggregati di
abitazioni e attività produttive che saranno la base dell’urbanizzazione nel periodo successivo.
I contadini e i mercanti presero ad affidarsi ai Signori più vicini per la protezione e si creò una
456
Birt Michael P. , Samurai in Passage, Op. cit. , pp. 381–88.
Morillo Stephen, Milites, Knights and Samurai: Military Terminology, Comparative History, and the
Problem of Translation in Bachrach B. , Abels, R. , The Normans and their Adversaries at War: Essays in
Honor of C. Warren Hollister, Boydell and Brewer, Suffolk, 2001, pp. 178-179.
458 Arena Leonardo Vittorio, Lo spirito del Giappone. La filosofia del Sol Levante dalle origini ai giorni nostri,
Bur, Milano, 2008, p. 108.
457
134
nuova amministrazione più capillare delle epoche precedenti. 459 I daimyo stimolarono il
commercio estero, aprendo i porti a navi europee e partecipando a spedizioni commerciali a
lunga distanza. Questo è anche il periodo d’oro della pirateria giapponese, affine alla guerra di
corsa europea, visto che i pirati agivano con la copertura dei clan dominanti nelle aree costiere
dove avevano le proprie basi.460
Nel 1543 quando i portoghesi introdussero gli archibugi in Giappone la guerra civile
era già nella sua fase conclusiva. 461 La storia di questo passaggio è molto famosa perché
venne descritta dal viaggiatore Fernão Mendes Pinto (1509–1583) in un libro di viaggi
dell’epoca. Ci sono comunque evidenze che gli archibugi portoghesi avrebbero potuto aver
già raggiunto il Giappone in precedenza, per altri corridoi commerciali. Gli archibugi erano
già utilizzati ampiamente nel Sud-Est asiatico prima del 1540 e l’area era frequentata da
migliaia di marinai e mercanti giapponesi.
L’arma venne rapidamente adattata all’estetica giapponese e riprodotta in centinaia di
migliaia di pezzi dagli armaioli che creavano variazioni e adattamenti. L’archibugio si
integrava perfettamente con le masse di fanti poco addestrati aumentando le capacità in
battaglia ma non ebbe un vero effetto nel farne crescere il numero totale. La crescita della
percentuale di tiratori fu inizialmente lenta: le prime vittorie di Oda Nobunaga che era uno dei
massimi sostenitori dell'artiglieria gli furono dovute solo in piccola parte. 462 Gli archibugieri,
teppo, verso il 1580 costituivano fino a un terzo degli effettivi delle armate più potenti. 463
Solo a inizio Seicento i tiratori costituivano la maggioranza delle truppe e i generali
ordinavano ai loro sottoposti di equipaggiare di fucili anche i samurai e di non scendere in
campo con le armi bianche. 464 Durante il conflitto coreano si fece il massimo sforzo per
armare quanti più uomini possibili con armi da fuoco, ottenendo risultati spettacolari sul
campo di battaglia nella prima parte del conflitto.465
459
Steenstrup Carl, Hojo Soun's Twenty-One Articles. The Code of Conduct of the Odawara Hojo, Monumenta
Nipponica, vol. 29, no. 3, 1974, p. 296.
460
Lorge Peter, The Asian Military Revolution, pp. 78-81.
461
Olof G. Lidin, Tanegashima: The Arrival of Europe in Japan, NIAS Press, Copenhagen, 2002.
462
Berry Mary Elizabeth, Hideyoshi, Council on East Asian Studies Harvard University, Cambridge, 1982, p.
37.
463
Keith Matthew, The Logistics of Power: The Tokugawa Response to the Shimabara Rebellion and Power
Projection in 17th-Century Japan,PhD dissertation, Ohio State University, 2006, pp 90-91.
464
Stavros Matthew, Military Revolution in Early Modern Japan, Japanese Studies
33, no. 3 (2013), pp. 250-251.
465
«As the campaign progressed, Japanese commanders sent requests home for still more guns: ‘‘Please arrange
to send us guns and ammunition. There is absolutely no use for spears. It is vital that you arrange somehow to
obtain a number of guns. Furthermore, you should certainly see to it that those persons departing [for Korea]
understand this situation. The arrangements for guns should receive your closest attention. And similarly:
‘‘When troops come [to Korea] from the province of Kai, have them bring as many guns as possible, for no other
135
Queste modifiche nell’arruolamento e nell’armamento delle truppe si accompagnarono a
profonde innovazioni tattiche. Un lungo dibattito ha discusso se i Giapponesi avessero
iniziato a utilizzare il fuoco cadenzato a partire dalla battaglia di Nagashino nel 1575.466 Per
Thomas Conlan questo sarebbe improbabile ma ci sarebbero chiare evidenze della diffusione
di tattiche di tiro organizzato nel 1615.467
Non è chiaro invece perché la rapida accettazione degli archibugi non si accompagnò a
quella dell’artiglieria pesante. Questa non era sconosciuta, ci sono testimonianze del suo uso
in campo navale e terrestre sia sul campo che negli assedi. Tuttavia i giapponesi non
svilupparono modelli propri né fecero grandi sforzi per importare cannoni dagli Europei o
dalla Cina, Alcuni storici hanno proposto che mancassero alcune competenze per fondere
questo tipo di oggetti o che comunque questo tipo di arma ingombrante e difficile da spostare
non si adattasse al contesto fluido del conflitto civile.468
Si può fare un parallelo europeo, nei conflitti civili in Francia durante le Guerre di
Religione e nella Guerra Civile inglese, che pure furono combattuti utilizzando tutte le
innovazioni della Rivoluzione Militare, i treni di artiglieria erano disponibili ma poco
utilizzati, visto che i contendenti che non controllavano saldamente i propri territori non si
fidavano a muoverli, a rischio di farli intercettare dal nemico.469 Ancora, è possibile che la
fine delle ostilità abbia troncato l’interesse per queste armi o che non fossero davvero
necessarie per espugnare le fortificazioni poco sviluppate del periodo.
Verso la fine del conflitto la Rivoluzione Militare aveva completamente cambiato la
società, abbattendo il potere delle vecchie aristocrazie e dei monasteri buddisti, militarizzando
la popolazione a livelli elevatissimi (300.000 mobilitati su una popolazione di massimo diecidodici milioni per la guerra di Corea) e portando alla ribalta politici provenienti dagli strati
equipment is needed. Give strict orders that all men, even the samurai, carry guns» Brown D. M, ‘The Impact of
Firearms, Op. cit. , pp. 240-241.
466
«The story of volley fire and the use of three thousand musketeers at Nagashino comes from a chronicle
written years later that features heavy embellishment, the Shinchōki. The commonly accepted story that
attributes the victory to three thousand harquebusiers who, arrayed in three ranks, alternated rank by rank in
stepping forward to fire enfilades and rearward to reload their weapons, is a myth. It is not found in Shinchō-Kō
ki» Brown D. M. , The Impact of Firearms, Op. cit. , p. 245.
467
Conlan Thomas, Weapons and Fighting Techniques of the Samurai Warrior, 1200–1877 AD, Amber Books,
London, 2008, p. 170.
468
Lorge Peter, From Gunpowder to the bomb, Op. cit. , p. 56.
469
«The Wars of Religion witnessed a decline in the heavy use of artillery, probably owing to the limited
resources available to all parties. For example, at Dreux, the Protestants had five guns for 11,500 troops,
dropping the ratio to. 43 guns per thousand troops. The seventeenth century saw a return to the intensive
investment in artillery that had typified the French before the Wars of Religion.» Lynn John A. , Tactical
Evolution in the French Army, 1560-1660, French Historical Studies, vol. 14, no. 2 (Autumn, 1985), p. 186.
136
più poveri della classe guerriera o popolari, come lo stesso Hideyoshi, che era di estrazione
contadina.470
Per Stephen Morillo il caso del Giappone è una sorta di controprova del dibattito sulla
Rivoluzione Militare: la questione se sia stata la tecnologia della polvere da sparo ad avviare
la creazione dello Stato Moderno o se il rafforzamento delle capacità amministrative dei regni
medievali e la loro capacità di organizzare forze di fanteria sia stato il terreno su cui
l’artiglieria ha potuto dispiegare la sua efficacia.
Per il Giappone si può convenzionalmente indicare una data per l’introduzione
dell’artiglieria, il 1543. In quel momento, le altre componenti della Rivoluzione Militare, un
sistema di piccolissimi Stati in competizione (i vari domini regionali dei daimyo), la crescita
economica, le élite militari al potere e una rivoluzione della fanteria che aveva portato a
schierare eserciti di massa invece che élite di cavalieri, erano già stabilite. La Rivoluzione
Militare giapponese non fu causata dai moschetti, che piuttosto assecondarono un trend già in
atto. 471 «The sort of military and political changes that characterized both the military
revolution in Europe and the development of warfare in Sengoku Japan were driven in Japan
by deep structural changes in rulership, administration, and social structures and conflicts, in a
context of altered terms of political and military competition and supported by economic
growth.»472.
Un modello di costruzione dello Stato che segue a grandi linee lo schema proposto per
l’Europa da Charles Tilly. Le due vere differenze tra Europa e Giappone sono che nel primo
caso i regnanti per abbattere gli elementi di feudalesimo che limitavano il loro potere
entrarono in un rapporto collaborativo con le classi mercantili e che, per finanziare le guerre
sul continente, allargarono il campo di azione commerciale e militare a livello globale. 473
Il Giappone non attraversò un periodo di anarchia feudale: il conflitto Sengoku è più affine
alle guerre tra gli Stati italiani rinascimentali che ai conflitti dell’alto Medioevo. Il paese
riuscì invece a ritrovare un’unità politica con i Tokugawa ma la guerra di Corea aveva
470
«Estimates place the total fighting strength of Japan at the time at 563,000, a staggering figure given the
country’s small size and total population of perhaps 12 million. Contemporary European armies rarely exceeded
40,000 men, and even 30,000 was by no means the norm.» Swope Kenneth, A Dragon's Head and a Serpent's
Tail: Ming China and the First Great East Asian War, 1592–1598, University of Oklahoma Press, Norman,
2016, p. 67.
471
Birt Michael P. , Samurai in Passage, Op. cit. , pp. 381–88.
472
Morillo Stephen, Guns and Government: A Comparative Study of Europe and Japan, Journal of World
History, vol. 6, no. 1, 1995, p. 100.
473
Downing Brian C. , The Military Revolution and Political Change, Princeton University Press, Princeton,
1992.
137
evidenziato che il Giappone, nonostante la militarizzazione, non aveva le capacità per
raggiungere una posizione egemonica nella regione e quindi la violenza non poteva essere
convogliata verso l'esterno del paese.
Una situazione ancora potenzialmente esplosiva sia a livello politico - per le ambizioni dei
daimyo - che sociale - per il protagonismo crescente altre classi sociali - che lo shogunato
Tokugawa risolse con una soluzione inaspettata: la smilitarizzazione forzata della società.
3. 5 Disciplina e tattiche di tiro in Cina, Giappone e Corea.
3. 5. 1 La diffusione globale delle tecniche del fuoco cadenzato.
Le grandi capacità tecnologiche non esauriscono gli sviluppi della storia militare
dell’Estremo Oriente. I paesi asiatici mostrano nell’Età Moderna una sorprendente capacità di
adattamento nelle tattiche, particolarmente impressionante nel modo in cui adottarono le
tecniche del fuoco a salve cadenzate e della contromarcia (volley fire).
Questo aspetto della Rivoluzione Militare asiatica è particolarmente rilevante se si
considera quanto la tecnica di fuoco cadenzato sia stata ritenuta un unicum dell’Occidente, tra
i maggiori responsabili del Rise of the West, a cui al massimo i non europei potevano
accedere per imitazione, perché incapaci di esigere dai propri soldati la disciplina e
l’addestramento necessari. Questo elemento è stato solo di recente riapprezzato dagli storici,
dopo che per un lungo periodo lo si era riscontrato solo come una copia di tecniche
occidentali limitata al Giappone. In realtà non solo la tecnica era diffusa in tutti i paesi
dell’area, e veniva diffusa come in Occidente mediante manuali di addestramento illustrati a
stampa, ma è anche probabile che si tratti in gran parte di un'innovazione autoctona, parallela
a quella occidentale.474
In effetti, l’origine del fuoco cadenzato come invenzione di Maurizio di Nassau è
messa in discussione da più parti. «One possibility is that muskets, slow to load and relatively
inaccurate, naturally pushed their users into developing coordinated firing techniques, at least
for gun corps that fought in battlefield formations».475 Quindi il fatto che la tattica sia stata
474
«Between 1550 and 1644, Chinese presses put out at least 1,127 military manuals, at a steadily increasing
clip, with 42 manuals published each year of the warlike Chongzhen reign (1627–1644).» Sun Laichen, The
Century of Warfare in Eastern Eurasia, 1550–1683: Repositioning Asian Military
Technology in the ‘Great Divergence’ Debate. Paper presented at the Emory University Seminar in World
History, 18 March 2014.
475
Andrade Tonio, Hyeok Hweon Kang, Kirsten Cooper, A Korean Military Revolution? Parallel Military
Innovations in East Asia and Europe, Journal of World History 25, no. 1 (2014).
138
inventata autonomamente in più contesti è possibile. Alcuni hanno anche suggerito
un’invenzione cinese del 1300 derivante dalle tattiche autoctone di fanterie. Come per lo
sviluppo della tecnologia delle armi da fuoco, gli Ottomani, con tecniche di fuoco alternato
attestate da prima del 1594, potrebbero aver avuto un ruolo nella disseminazione questa
innovazione.476
3. 5. 2 Movimenti in formazione e manuali illustrati in Cina.
Una delle basi della tesi della Rivoluzione Militare è che nell’Età Moderna siano stati
reintrodotti la disciplina e la capacità di compiere movimenti coordinati sul campo di
battaglia, andati perduti alla fine dell’Antichità. Alcuni medievalisti non concordano con
l’idea che per tutto il Medioevo si combatté in maniera disordinata ed individualistica, ma non
c'è dubbio che l’Età Moderna segnò una discontinuità per i motivi che abbiamo visto nel
capitolo primo, aiutato dalla riscoperta dei testi dei classici militari e dalla diffusione della
stampa.477
Anche la Cina conosceva una tradizione antica di addestramento, risalente all’Epoca
dei Regni Combattenti. Geoffrey Parker ha riscontrato che « only two civilizations have
invented drill for their infantry: China and Europe. Moreover, both of them did so twice: in
the fifth century BC in North China and in Greece, and again in the late sixteenth century.
Exponents of the second phase—Qi Jiguang in Imperial China and Maurice of Nassau in the
Dutch Republic—explicitly sought to revive classical precedents, and in the West, marching
in step and standing on parade became a permanent part of military life.»478
Ma in realtà la differenza tra Cina ed Europa è che nel primo caso l’addestramento e la
disciplina dei fanti non venne mai eclissata, né dalla nascita dell'Impero né dai secoli di
superiorità della cavalleria sulla fanteria. Non solo la tradizione delle manovre in formazione
era ben viva, ma in epoca Tang vennero attuate delle manovre di fuoco cadenzato con
balestre, l'arma da tiro più diffusa negli eserciti cinesi. Questo prevede l'alternarsi di file di
balestrieri per mantenere un tiro costante sulle file nemiche. La tecnica rimase in uso e venne
affinata in epoca Song e Ming, affiancata a un addestramento costante delle truppe.
Rimangono abbondanti testimonianze e manuali dell'epoca, con schemi che illustrano come
476
Ágoston Gábor, Firearms and Military Adaptation: The Ottomans and the European Military Revolution,
1450–1800, Journal of World History 25, no. 1 (2014).
477
Barbero Alessandro, La guerra in Europa, Op. cit.
478
Parker Geoffrey, The Cambridge Illustrated History of Warfare, Cambridge University Press, Cambridge,
2008.
139
effettuare la manovra dell’alternanza, in maniera simile agli schemi adottati nei manuali
europei.479
Per l’epoca Ming l'influenza dei manuali sull’addestramento delle truppe era
estremamente rilevante. Circa il 33% dei testi di argomento militare cinese risalgono a questo
periodo. Tra i maggiori si annoverano il Wubei zhi-Enciclopedia della preparazione militare,
di Mao Yuanyi, lo Shenqi pu-Trattato sulle armi da fuoco, di Zhao Shizhen e il Chouhai
tubian-Dizionario della difesa costiera di Zheng Ruozeng. tutti testi che includevano
descrizioni tecniche, illustrazioni e mappe.480
I dati sono incerti, ma è possibile che i primi imperatori Ming abbiano applicato gli
stessi movimenti alle truppe dotate di cannoni in mano nel 1300-1400.481 In ogni caso queste
truppe, la cui proporzione cresceva costantemente, venivano integrate in una cultura che dava
grande importanza alla disciplina e ai movimenti in formazione, il che rende convincente
l’idea di un'origine autonoma cinese della tattica del fuoco cadenzato. L’utilizzo della tecnica
è comunque attestato in maniera certa per le guerre contro gli wokou a metà del sedicesimo
secolo, periodo in cui i Ming adottarono e produssero in massa archibugi di ispirazione
occidentale per farne il perno delle proprie forze e contrastare le forze dei pirati che erano
abbondantemente dotate di armi da fuoco portatili.482
A queste guerre è legato il nome di Qi Jiguang (1528-1588), il grande innovatore
tattico dell’epoca Ming. Inventore di diversi tipi di formazione, autore di numerosi influenti
manuali e comandante prestigioso, era inoltre un entusiasta dell’adozione del moschetto, della
contromarcia e del tiro cadenzato. I suoi manuali dettagliano il regime di addestramento, le
ispezioni, i movimenti di ricarica e di spostamento nella formazione e sul campo, proponendo
varie soluzioni adatte alle diverse condizioni che venivano a crearsi. 483 Le sue truppe,
vittoriose nei conflitti con i wokou e poi impiegate con successo in Corea, comprendevano un
elevato numero di tiratori con una ratio ideale di 8 armi bianche per 5 armi da fuoco,
proporzioni raggiunte in Europa solo a fine sedicesimo secolo.484
La storiografia sulle sue innovazioni è divisa: alcuni storici sono poco convinti del suo
afflato innovatore nel campo delle armi da fuoco.485 Per Huang «even in the later years of his
479
Andrade Tonio, The Gunpowder Age, Op. cit, p. 156.
Needham Joseph, Science and Civilisation in China, vol. 5, pt 6.
481
Andrade Tonio, The Gunpowder Age, Op. cit, p. 158.
482
So Kwan-wai, Japanese Piracy, Op. Cit. , p. 149. .
483
Gontier Jean-Marie, Qi Jiguang, un stratège de la dynastie Ming (1528—1587), Paris: Institut de Stratégie
Comparée, Commission Française d’Histoire Militaire, 2002.
484
Hall, Bert S. , Weapons and Warfare in Renaissance Europe, Op. cit. , pp. 178–79.
485
Haskew Michael, Fighting Techniques of the Oriental World, AD 1200–1860, Thomas Dunne, New York,
2008.
480
140
career, he authorized only two muskets for each infantry squad and maintained that each
company of musketeers must be accompanied by a company of soldiers carrying contact
weapons. Any ratio that favored firearms would be unrealistic and might endanger the army
as a whole.»486 Al contrario, alcuni studiosi cinesi ne fanno un precursore di Maurizio di
Nassau e Gustavo Adolfo, avanti un secolo sull’Europa. Sicuramente le tecniche di Jiguang,
espresse pienamente nel volume Ji xiao xin shu del 1560 erano all’avanguardia per la sua
epoca ed esercitarono un peso notevole sull’evoluzione militare cinese e coreana. 487
La differenza con l’Europa, che ha iniziato a usare le artiglierie a fine del 1200 e sviluppato il
fuoco cadenzato solo tre secoli dopo, è evidente.
Stephen Morillo sostiene che la causa sia essenzialmente nella debolezza degli Stati
europei in quel periodo e nella ridotta importanza attribuita alla fanteria « the reason that
European infantries didn’t drill in the medieval period is simple: there were no centralized
states to make them do it. Drill [-] may only be instituted where there is a central authority
strong enough to gather sufficient numbers of men together, and rich enough to maintain them
while they are trained [-] In effect, strong infantry depends on strong government.» 488
Quindi gli Europei avviarono la propria Rivoluzione Militare, da una condizione di
maggiore arretratezza materiale e organizzativa rispetto alla Cina, dovettero letteralmente
riscoprire l‘efficacia della formazione di picche, tramite l’esperienza degli Svizzeri. I Ming,
che possedevano eserciti permanenti, tecniche di addestramento, burocrazie e sistemi di
tassazione efficienti, non avevano invece bisogno di rivoluzionare le proprie tattiche per
integrare le armi da fuoco.
3. 5. 3 Il dibattito sull’invenzione giapponese del fuoco cadenzato.
Nel 1550 le conseguenze tattiche dell'adozione degli archibugi tra le forze dei Signori
della guerra giapponesi furono rilevanti. In tempi brevi il combattimento ravvicinato venne
sostituito da confronti di fucileria: le battaglie si decidevano con poche salve prima ancora
che avvenisse un contatto diretto tra gli avversari. Le armi bianche non scomparvero ma il
loro ruolo cambiò in quello di supporto alle forze di archibugieri.
486
Huang Ray, 1587, A Year of No Significance: The Ming Dynasty in Decline, Yale University Press, New
Haven, 1984, p. 171.
487
Andrade Tonio, The Gunpowder Age, Op. cit. , p. 173.
488
Morillo Stephen, The Age of Cavalry Revisited in Kagay Donald J. , Villalon Andrew L. J. The Circle of War
in the Middle Ages, Boydell Press, Woodbridge, 1999, p. 52.
141
Il primo cambiamento riguardò la cavalleria, la cui centralità era già stata messa a dura
prova dall'aumento numerico delle forze in campo, che vide declinare ulteriormente il suo
ruolo, ridotto all'esplorazione e alla copertura dei fianchi dell’armata. 489 Il secondo effetto
coinvolse le truppe sul campo, che vennero riorganizzate in formazioni diverse. In genere il
fronte dell’armata era coperto da una forza di archibugieri seguiti da compagnie di arcieri,
picchieri e spadaccini. Il generale e il suo seguito si situavano al centro mentre altre
compagnie di fanti coprivano i fianchi. Questa formazione massimizzava la potenza di fuoco
degli archibugi che, in caso di difficoltà, potevano rifugiarsi tra i fanti posti alle loro spalle.490
Rimane aperta la questione del fuoco cadenzato, se i giapponesi l’abbiano sviluppato
autonomamente o meno. I testi evidenziano che i generali giapponese favorivano la creazione
di strutture protettive sul campo di battaglia, palizzate o lavori in terra, posti a protezione dei
propri tiratori. Così era avvenuto nella famosa battaglia di Nagashino, in cui i 3000
archibugieri di Oda Nobunaga dimostrarono la potenza del fuoco concentrato devastando tutte
le successive cariche della cavalleria del clan Takeda. 491 Gli archibugi ebbero un ruolo
fondamentale, insieme a molti errori tattici dei Takeda, ma non è chiaro se già fosse in atto
una tecnica di fuoco continuo o gli archibugieri si limitassero a far fuoco in massa da dietro il
loro riparo.492 Le stesse tattiche vennero adottate con successo da Hideyoshi e garantirono
grandi successi nella guerra di Corea, almeno in tutte le occasioni in cui i Giapponesi avevano
tempo di prepare il campo di battaglia. 493 Non risulta chiaro però se venisse adottata una
modalità di fuoco concentrata o continua.
Alcuni storici della Rivoluzione Militare sono propensi ad attribuire ai giapponesi
addirittura l’invenzione del fuoco cadenzato: per Parker ha «Oda Nobunaga devised the idea
of the musketry volley some twenty years before it emerged in the West.»494 Successivamente
489
«An army of Takeda Shingen in 1573 included approximately one cavalryman to two infantrymen,44 but in
1590 Hideyoshi ordered that Date's army should be supplied with only thirty horses.» Brown Delmer, The
Impact of Firearms on Japanese Warfare, Op. cit. , p. 244.
490
«Military accounts of the latter half of the sixteenth century abound in charts showing the organization of
armies.» Ibidem.
491
«In the battle of Nagashino in 1575, Oda Nobunaga placed three thousand gunners behind stockades that were
hastily built on hills opposite the Takeda camps. He sent out small forces to make surprise raids on the enemy
rear and to feint frontal attacks. Finally these tactics caused Takeda to order his center to move against
Nobunaga's breastworks; Takeda apparently hoped to storm the stockades before Nobunaga's gunners could
reload their muskets for a second volley. » Ivi, p. 245.
492
Lamers Joeren P. , Japonius Tyrannus: The Japanese Warlord Oda Nobunaga, Hotei, Leiden, 2000, pp. 112–
13.
493
«Since the Korean soldiers were not armed with muskets in the early years of the war, the Japanese had no
difficulty under circumstances of the first type. Whenever they found themselves faced with a Korean force in a
well-fortified position, they often succeeded in erecting breastworks and then planning tactics that would trick
the Koreans into making a frontal attack.» Brown Delmer, The Impact of Firearms on Japanese Warfare, Op.
cit. , p. 246.
494
Parker Geoffrey, The Artillery Fortress as an Engine of European Overseas Expansion, Op. cit. , p. 414.
142
ha sostenuto che sia possibile che la tecnica del fuoco cadenzato sia stata ispirata agli europei
da resoconti di viaggiatori occidentali in Giappone, anche se non sono mai emerse prove
documentali.495
Molte analisi si concentrano sulle cronache della battaglia di Nagashino ma a causa
della contraddittorietà delle fonti è molto difficile giungere a una conclusione definitiva. 496
Ōta, Elisonas e Lamers scrivono che «the commonly accepted story that attributes the victory
[at Nagashino] to three thousand harquebusiers who, arrayed in three ranks, alternated rank by
rank in stepping forward to fire enfilades and rearward to reload their weapons, is a myth.»497
Un mito che deriva dalla discrepanza tra due cronache della battaglia. Quella più nota, scritta
alcuni decenni dopo lo scontro, fa intendere che i soldati si alternassero a sparare. Un’altra
fonte, più vicina all’evento ma scoperta di recente, non menziona invece il fuoco cadenzato.
La descrizione dettagliata della battaglia attribuisce la vittoria al volume di fuoco degli Oda
ma sembra intendere che sparassero in massa quando il nemico era vicino alle proprie linee.498
Al di là della battaglia di Nagashino ci sono prove dell’uso di tattiche di fuoco
cadenzato in numerosi altri scontri. 499 Parker ha avuto ragione nell’evidenziare l’origine
autonoma e precoce di questa tattica in Giappone, ma l’enfasi sui suoi effetti dirompenti,
slegati dal contesto, è stata probabilmente eccessiva. Questa profonda evoluzione tattica
rispetto al modo di combattere in piccola scala, individualistico e disordinato dei secoli
precedenti, era il risultato della frammentazione del Paese in piccole unità seguita dal
rafforzamento e dell’accorpamento in piccoli stati regionali retti dai vari daimyo.
Il parallelo con l’Europa è più stretto che nei casi della Cina e della Corea. Il Giappone
prima delle guerre civili non aveva una tradizione amministrativa burocratica così sviluppata
e anche se, come abbiamo visto, parlare di feudalesimo giapponese è una forzatura, il sistema
comunque si reggeva sulle reti di parentela e la fedeltà personale. Di conseguenza
l’accentramento del potere militare tra i Signori regionali, la coscrizione di massa e la
diffusione delle armi da fuoco, generarono, in una scala più ridotta, evoluzioni tattiche molto
simili a quelle europee.
3. 5. 4 L’esperienza tattica coreana.
495
Parker Geoffrey, The Limits to Revolutions in Military Affairs, Op. cit. , pp. 336-7.
Stavros Matthew, Military Revolution in Early Modern Japan, Op. cit. , pp. 248-252.
497
Gyūichi Ota, Elisonas J. S. A, Lamers Jeroen Pieter, The Chronicle of Lord Nobunaga, Brill, Leiden, 2011,
pp. 34 e 42.
498
La descrizione dettagliata della battaglia è alle pagine 222-227.
499
Conlan Thomas, Weapons and Fighting Techniques of the Samurai, Op. cit. , p. 170.
496
143
I coreani inventarono una forma di fuoco cadenzato già nel 1447, per i progenitori dei
moschetti e delle lance di fuoco di cui abbiamo parlato a inizio capitolo.500 Le armi portatili
non ebbero però grande successo nell'esercito coreano, che era invece all'avanguardia in fatto
di cannoni e mortai. Nel corso della Guerra Imjin i coreani scoprirono a proprie spese il potere
distruttivo delle salve di fuoco dei giapponesi, che bloccavano gli assalti e falcidiavano i
ranghi esponendoli a letali attacchi all’arma bianca.
I coreani fecero quindi sforzi considerevoli per acquisire questa padronanza già
durante il conflitto, copiando le armi catturate e salvando la vita ai prigionieri giapponesi che
potevano fungere da istruttori. Il vero cambiamento nella tattica avvenne negli anni successivi
alla guerra, quando l’esercito divenne una forza permanente basata su una fanteria armata di
moschetti, fino alla scomparsa, nel diciottesimo secolo, delle unità armate unicamente di armi
bianche.501
La Hullyŏndogam, Agenzia dell’Addestramento Militare, fungeva sia da forza permanente
che da ispettorato per l’armata e stampava e diffondeva i manuali di addestramento. Prima
cinesi, a partire dai testi di Qi Jiguang, poi quelli prodotti da letterati coreani.502
L’analisi di questi testi, ricchi di illustrazioni e schemi che come i loro paralleli
europei smontano ogni azione individuale e collettiva in una precisa sequenza di movimenti,
mostra una profonda comprensione e capacità di adattamento dei generali coreani alle tattiche
di fuoco cadenzato. L’accento è sempre posto sulla disciplina, ma è interessante vedere come
il riferimento filosofico sia prettamente orientale. In Europa l’addestramento era intriso di
filosofia razionalista e meccanicista, e l’accento era posto sulla spersonalizzazione, con
l’azione dell’esercito paragonata a quella di una macchina. In Oriente la formazione militare
era vista piuttosto come un riflesso della società e dell’ordine celeste, e l’ideologia militare
era influenzata dal concetto di ordine sociale Neo confuciano.
Altri elementi di similitudine con l’Europa sono l’utilizzo della musica ritmata, anche
se i coreani aggiungevano complessi segnali di bandiere suoni di corni e buccine, e la capacità
500
Andrade Tonio, Kang Hyeok Hweon, Cooper Kirsten, A Korean Military Revolution?, Op. cit. , p. 81.
Kang Hyeok Hweon, Big Heads and Buddhist Demons, Op. cit. , p. 150.
502
«Orientation to the Military Arts (Pyŏnghak chinam 兵 學指南 ) The Orientation to the Military Arts
(Pyŏnghak chinam) was the standard military manual used during the seventeenth and eighteenth centuries
before the Clear Treatise of the Military Arts (Pyŏnghakt‘ong) was published in 1787. The earliest known copy
of the former is dated 1649 but some scholars speculate there were previous versions from the early seventeenth
century. This manual includes a diagram labeled the “Continuous Fire Musket Shot” (Choch’ong yunbangdo 鳥
501
銃輪放圖), which shows the sequence of musketry volley technique used by the Korean musketry squads.
Multiple copies of this manual exist today.» Andrade Tonio, Kang Hyeok Hweon, Cooper Kirsten, A Korean
Military Revolution?, Op. cit. , p. 68.
144
di cambiare rapidamente formazione, permessa in Corea da una formazione di piccole unità
disposte in ordine profondo.
Il nuovo sistema militare dei coreani, dopo alcune sconfitte subite contro i Jurchen,
dette buone prove contro i nomadi grazie al miglioramento costante dell'addestramento e alla
creazione di unità scelte di tiratori.503 La Corea tuttavia ma non resse contro l’invasione Qing
del 1636, scatenata dal sostegno dei Joseon ai generali lealisti Ming. 504 Le armate dei Qing
disponevano delle risorse dell’Impero e avevano pienamente incorporato le risorse e le truppe
cinesi con tutta la loro perizia nella tecnologia e nella tattica dell’artiglieria, che era pari o
superiore a quella coreana.505
3. 5. 5 Due episodi di confronto con truppe europee.
Gli eserciti dei paesi dell’Asia Orientale avevano dunque integrato le armi da fuoco sia
a livello tecnologico che tattico. Si pone la domanda se questi sviluppi avessero avuto
un'efficacia paragonabile a quella occidentale. Visti i risultati positivi nei confronti intraasiatici, la diffusione delle armi da fuoco e la capacità di effettuare manovre sul campo
conferivano un chiaro vantaggio a chi li praticava. Si possono analizzare alcuni esempi di
confronto tra le truppe asiatiche ed europee:Analizzo il primo sul confronto tra truppe cinesi e
olandesi e il secondo tra coreani e russi che mostrano che l’addestramento europeo non
costituiva un vantaggio decisivo contro truppe orientali disciplinate e capaci di tattiche
comparabili.
Nel diciassettesimo secolo gli olandesi erano all’avanguardia sia nella tecnologia che
nell’addestramento. Nel 1652 un piccolo contingente di moschettieri della Compagnia delle
Indie sconfisse una forza quaranta volte superiore di rivoltosi cinesi che cercavano di
scacciarli da Taiwan. Disciplina e scariche di fucileria abbatterono migliaia di avversari.506
Tuttavia nel 1661 le forze di Zheng Chenggong sbarcarono sull’isola per dare il via
all’assedio di Fort Zeelandia, di cui si parla nella sezione sulle fortificazioni. In questa
occasione fu prima combattuta una battaglia campale tra forze basate sui moschetti che vide i
503
«In the Battle of Kimhwa, the Korean infantry delivered controlled, sustained musketry fire and inflicted
heavy casualties on Manchu horsemen.» Kang Hyeok Hweon, Big Heads and Buddhist Demons, Op. cit. , p.
153.
504
Wakeman Frederic, The great enterprise: the Manchu reconstruction of imperial order in seventeenth-century
China, University of California Press, Oakland, 1986.
505
Swope, Kenneth M. (2014), The Military Collapseof China's Ming Dynasty, 1618–44, Op. cit. , p. 115.
506
Andrade Tonio, How Taiwan Became Chinese: Dutch, Spanish, and Han Colonization in the Seventeenth
Century, Columbia University Press, New York, 2008, p. 173.
145
cinesi vittoriosi grazie alla disciplina superiore.507 Le truppe cinesi erano state preparate da un
generale molto versato nell’addestramento che aveva sviluppato efficaci tattiche di tiro e di
movimento in formazione. «The details of his training are difficult to reconstruct, because
there is no known extant copy of his manual, but descriptions of battles indicate that the
drilling patterns were elaborate and effective.»508Anche negli scontri campali successivi gli
olandesi vennero costantemente messi in scacco dalla tattica elaborata dei cinesi.509
Il secondo episodio riguarda gli scontri tra truppe coreane e cosacche nella regione
dell’Amur. Rientrati nel ruolo di tributari dell’Impero di Mezzo, i coreani vennero obbligati a
maggiori obblighi militari ed ebbero un ruolo rilevante negli scontri tra Qing e russi alla fine
del diciassettesimo secolo. Questa guerra offrì un paio di occasioni di confronto tra le tecniche
di fuoco occidentali e quelle orientali. Nel 1643 i cosacchi al servizio di Mosca avevano
raggiunto l’Amur e si trovavano a combattere con i mancesi per la supremazia nella
regione.510 Inizialmente contesero con successo il territorio ai Qing dato che si confrontavano
con reparti che avevano scarsa dimestichezza con le armi da fuoco. 511 I mancesi comunque
rafforzarono rapidamente il loro dispositivo bellico e chiamarono reparti coreani in aiuto.
Nel 1653 le truppe cosacche di Onifrey Stepanov si scontrarono per terra e per mare
con le truppe francesi e coreane alla foce del fiume Sungai. Sconfitti per mare dall’artiglieria
russa i soldati cinesi e coreani spostarono la battaglia sulla terraferma edificando una linea
difensiva di trincee. L'attacco dei russi venne inaspettatamente bloccato dal tiro dei
moschettieri coreani, ribaltando le sorti della battaglia. Il conflitto continuò per diversi anni e
le fonti russe attestano la fama dei coreani per la disciplina e l'abilità nel tiro. In un successivo
scontro, nel 1658, una battaglia terrestre e navale sulla foce dell’Amur, i contendenti avevano
un numero probabilmente pari di armi da fuoco, ma i russi furono nuovamente sbaragliati dal
fuoco dei coreani.
507
«As the Dutch divided themselves smartly into rows of twelve and prepared to fire, the Chinese troops stood
immobile. The Dutch began shooting volleys, but instead of scattering like untrained rebels, these soldiers
surged forward in formation, yelling war cries. At first the Dutch kept shooting, supported by vessels in the bay
nearby, which emptied cannonloads of shrapnel into the Chinese ranks at point blank range. But the Chinese kept
advancing in tight formation. The Dutch lost their composure, their fear inflamed by the fact that the canny
Chinese commander had managed to outflank them, sending a smaller force around the side. They dropped their
guns and fled.» Andrade Tonio, The Gunpowder Age, Op. cit. , p. 191.
508
.» Andrade Tonio, The Gunpowder Age, Op. cit. , p. 192.
509
Andrade Tonio, Lost Colony: The Untold Story of China’s First Great Victory over the West, Princeton
University Press, Princeton, 2011. , pp. 316–21.
510
«They were often, if not always, outnumbered, but their superior firearms and military engineering skills
conferred a salient advantage against the natives, particularly when their guns were fired from behind defensive
structures.» Kang Hyeok Hweon, Big Heads and Buddhist Demons, Op. cit. , p. 134.
511
«The initial Manchu response was weak, as shown in the Siege of Achansk in 1652 when a few hundred
Russians, each armed with a musket, allegedly defeated two thousand Manchu bannermen.» Mancall Mark,,
Russia and China: Their Diplomatic Relations to 1728, Harvard University Press, Cambridge, 1971.
146
Risulta difficile fare un confronto tra la qualità delle tattiche dei contendenti: si tratta
di piccoli scontri combattuti in aree periferiche in cui gli asiatici avevano certamente la
superiorità numerica. Sembra comunque certo che la tattica dei coreani fosse superiore a
quella mancese e almeno pari a quella dei russi anche se va specificato che si trattava di
irregolari cosacchi.512
Questi confronti si legano all’assedio di Albayzin, di cui si parla nella sezione successiva e
che condussero alla pace di Nerchinsk in 1689, sancendo la sicurezza della frontiera
dell’Impero Qing, fino ai trattati di Aigun 1858 e Pechino 1860, che la modificarono a favore
della Russia. «Borders were drawn and a pax manjurica prevailed, creating “breathing space”
for the Manchus while indirectly frustrating Korea’s dreams of northern conquest. In this way,
the Amur conflicts mark both the pinnacle and the denouement of the Military Revolution in
continental East Asia.» 513
Questi piccoli scontri portati a esempio non sono probabilmente esaustivi per un
confronto complessivo tra Asia Orientale ed Europa, ed è difficile dire quale fosse il livello
delle truppe impiegate rispetto alla media degli eserciti di riferimento. In genere gli Europei
combattevano in svantaggio numerico e di conoscenza del terreno. L’assenza di un vero
grande conflitto rende questa comparazione in parte speculativa. Comunque analizzarli
dimostra che gli Europei non riuscivano a realizzare in Asia Orientale quelle vittorie
spettacolari in condizioni d'inferiorità numerica che erano la regola contro i popoli meno
sviluppati. Inoltre confermano che addestramento e tattiche di tiro non erano un’esclusiva
europea e non gli conferivano alcun vantaggio incolmabile. Insieme alla distanza e al
vantaggio economico e numerico, anche la parità nella tattica contribuiva a mantenere l’Asia
militarmente competitiva rispetto all’Europa nell’Età Moderna.
3. 6 Fortificazioni e assedi in Asia Orientale nell’era della polvere da sparo.
3. 6. 1 Le fortificazioni come vettore dell’espansionismo europeo oltremare
Nel primo capitolo abbiamo evidenziato come la diffusione della trace italienne, la
fortificazione moderna, influenzò l'andamento della guerra in Europa per tutta la durata
dell'Età Moderna. Anche se i contributi più recenti hanno evidenziato dei limiti alla teoria
classica di Parker, la centralità della trace italienne nel fenomeno della Rivoluzione Militare
512
513
Andrade Tonio, Kang Hyeok Hweon, Cooper Kirsten, A Korean Military Revolution?, Op. cit. , pp. 78-81.
Kang Hyeok Hweon, Big Heads and Buddhist Demons, Op. cit. , p. 171.
147
resta indiscussa. Nel secondo capitolo abbiamo evidenziato come questa tecnologia fu uno dei
maggiori vantaggi degli Europei nel corso dei lunghi conflitti con l’Impero Ottomano e nella
loro opera di espansione oltremare. Qui sviluppo l’analisi in due direzioni. Da un lato è
necessario andare a vedere come la diffusione delle artiglierie nei paesi dell’Asia Orientale
influì sull'importante tradizione della fortificazione di origine cinese e se avvennero
mutamenti nel modo di condurre i conflitti intra-asiatici paragonabili a quelli avvenuti in
Europa. Dall’altro è interessante analizzare alcuni assedi che videro le forze cinesi e mancesi
assediare delle fortificazioni europee.
3. 6. 2 Le fortificazioni in Cina.
All'inizio dell'Età Moderna la Cina dispone di una tradizione millenaria di
fortificazioni.514 Le sue grandi città erano difese da muraglie alte e spesse e i suoi strateghi e
pensatori si erano occupati di fortificazioni e assedi sviluppando diverse scuole di pensiero sul
loro utilizzo. Queste fortificazioni cinesi avevano in genere una geometria abbastanza
semplice: squadrata dove il terreno lo permetteva o che ne seguiva le curve se accidentato. I
cinesi erano inoltre soliti edificare immensi barbacani, strutture quadrangolari che sporgevano
dal perimetro delle mura. Per contro la struttura del muro era simile a quello poi favorito
dall’architettura rinascimentale, basso e massiccio. Le muraglie in terra battuta cinese erano
sorprendentemente resistenti, alcune hanno retto a fenomeni di erosione millenaria. Il nucleo
del muro in terra battuta era inoltre ben capace di assorbire l’impatto cinetico dei proiettili. A
partire dall'epoca Song si iniziò a rinforzarle con muri esterni in pietra o mattoni. Inoltre le
mura erano inclinate già prima dell’Età Moderna, aumentando la loro capacità di smorzare
l’impatto delle armi d'assedio.
La diffusione delle armi da fuoco aumentò le opzioni a disposizione dei comandanti
cinesi ma non mutò in maniera decisiva la natura della guerra in Asia. Questo è
particolarmente vero nel campo degli assedi. Lungo la durata delle dinastie Ming e Qing, la
frequente guerra di assedio, prima dei Ming contro gli Yuan, poi dei Qing contro le
fortificazioni della Grande Muraglia e quindi dei Qing contro gli Stati periferici, si avvalse di
514
«Walls were culturally significant in traditional China, symbolizing political authority, kingship. The most
commonly used character for “city” means “wall,” and the character for “state” or “polity” also depicts walls.
Constructing city walls was interpreted as equivalent to establishing the state.» Xu Yinong, The Chinese City in
Space and Time: The Development of Urban Form in Suzhou, University of Hawaii Press, Honolulu, 2000, p.
65.
148
artiglierie sia per l’attacco che per la difesa ma le strutture difensive non videro progressi
significativi.
I cinesi tendevano a seguire molto rapidamente l'avanzamento tecnologico nella
fabbricazione dei cannoni e ad adattare le tattiche sul campo, ma probabilmente il fatto che in
questi secoli la Cina non si frammentasse in piccoli Stati, unito al fatto che le muraglie in stile
cinese offrivano già una resistenza notevole ai cannoni, non rese in qualche modo appetibile
l’introduzione dell’architettura bastionata.515
Architettura che i cinesi ebbero modo di conoscere e confrontare, dato che gli europei
ne edificarono esempi in tutte le loro piazzeforti. Il disinteresse cinese non era comunque un
rifiuto assoluto di questa novità. Andrade e Swope riportano di una serie di ufficiali cinesi che
si erano interessati alla questione dell’architettura bastionata, comprendendo e scrivendo nelle
loro opere dei vantaggi del fuoco incrociato.516 Alcune fortezze nel Nord della Cina sarebbero
state riadattate con elementi europei nell’ambito del programma di fortificazioni atte a
contrastare le incursioni dei mancesi, ma un programma generale di ammodernamento non
venne mai messo in azione.517
In particolare il tardo periodo Ming fu un'epoca di interesse e sperimentazioni nel
campo delle fortificazioni. I generali Ming utilizzarono con successo l'artiglieria per difendere
alcune città ma il deterioramento del sistema di governo imperiale impediva l'ulteriore
miglioramento delle difese. Zheng Cheng ha evidenziato come le sconfitte sul campo contro i
mancesi e il loro rapido apprendimento delle tecniche di artiglieria, spinsero molti ufficiali a
farsi promotori di programmi di aggiornamento delle fortezze.518 L’analisi dei loro memoriali
inviati alla corte imperiale, che ponevano la ricostruzione delle mura di Pechino e di molte
altre città, rivelano una comprensione non superficiale dei vantaggi dell’architettura
bastionata, una conoscenza ottenuta probabilmente dal rapporto con i Gesuiti e dai rilievi
ottenuti da parte di mercanti e spie osservando le mura spagnole di Manila.
Si è identificato almeno un trattato, Paotai tushuo (La fortezza di artiglieria), ad opera
di Han Lin, che dettaglia attacco e difesa di una città protetta da un sistema di bastioni. Suo
fratello Han Yun produsse un ulteriore capitolo intitolato Xiyang chengbao zhi (Sul metodo
europeo di difendere le città e i forti) che l’analisi testuale e delle illustrazioni fa ritenere
515
«He supposed that in China heavy guns were certainly employed to defend the massive wall, but were seldom
used offensively in sieges (except during the 1670s, during the Revolt of the Three Feudatories)» Zheng Cheng,
The Introduction of European Fortification in the Late Ming Period, Chinese Annals of History of Science and
Technology 1, no. 2, 2017, p. 59.
516
Andrade Tonio, The Gunpowder Age, Op. cit. , pp. 212-216.
517
Swope Kenneth, The Military Collapse, Op. cit. , p. 48.
518
Zheng Cheng, The Introduction of European Fortification, Op. cit. , p. 21.
149
ispirato all’opera Della fortificazione delle città di Jacopo Fusto Castriotto (1510–1563),
probabilmente studiata e diffusa in Cina dal gesuita Alfonso Vagnone.519
Anche in questo campo fu importante l’influenza del gesuita Adam Schall von Bell. Il
suo trattato The Essentials of Gunpowder Warfare conteneva anche un capitolo Brevi note
sulla difesa delle muracon spiegazioni sull'architettura bastionata. Un letterato che aveva
studiato con lui, Ma Weicheng, adattò le difese di alcune città cinesi settentrionali allo stile
occidentale. Non ne rimangono tracce archeologiche, ma la notizia della loro edificazione è
suffragata da più fonti.520
Al contempo i Qing avevano integrato l’artiglieria nel loro esercito, utilizzandola negli
assedi.521 I mancesi incorporarono le ultime tecnologie e la loro forza di artiglieria arrivò a
contare centinaia di pezzi in stile europeo, più efficaci di quelli tradizionali cinesi contro le
muraglie. A quel punto i generali cinesi non avevano più il tempo e le risorse per avviare un
programma di ristrutturazione in stile europeo. La corsa al miglioramento delle fortificazioni
si interruppe con la vittoria Qing. Terminati gli sconvolgimenti della conquista dei lealisti
Ming e la successiva rivolta dei Tre Feudatari, il nucleo Han della Cina rimase
sostanzialmente in pace fino alla Guerra dell’Oppio e alla ribellione dei Taiping, rimuovendo
lo stimolo all’ammodernamento delle fortificazioni. Non che la conoscenza dell’architettura
bastionata fosse scomparsa nel periodo Qing, se ne trova traccia in numerose opere, ma
l’interesse e i programmi di costruzione ripresero solo con il conflitto con il Regno Unito.
3. 6. 2 Le fortificazioni in Giappone
All’inizio dell’Età Moderna il Giappone non disponeva di una grande tradizione di
fortificazioni. Tuttavia la disgregazione del Paese nel corso del quindicesimo secolo, che
sfociò nell’era Sengoku, portò il paese a riempirsi di piazzeforti. «The story of the castle town
has its origins in the early Middle Ages in Japan, in the era of transition from the classical age
of aristocratic rule to the feudalism of the rising military class.» 522 Non solo i daimyo
fortificavano i punti chiavi dei loro territori ma anche i grandi monasteri buddisti e le basi
delle forze ikko ikki (briganti, ronin, contadini armati seguaci di sette buddiste) si
519
Zheng Cheng, The Introduction of European Fortification, Op. cit. , pp. 38-43.
Andrade Tonio, The Gunpowder Age, pp. 214-215.
521
Li Bin, The impact of the Western-style weapons on the combat in the earlier period of the Qing dynasty,
Journal of Dialectics of Nature 2002 24(4):45–53.
522
Hall John Whitney, The Castle Town and Japan's Modern Urbanization, The Far Eastern Quarterly, vol. 15,
no. 1, 1955, p. 38.
520
150
trasformarono in fortezze. In origine palizzate e muri, questi vennero progressivamente
sostituite da bastioni costruiti su spesse basi di pietra, in genere piazzate su un’altura.523
Mentre i piccoli clan non avevano risorse per grandi progetti edilizi e la maggior parte
dei loro forti erano strutture provvisorie, i maggiori clan fortificarono in maniera estensiva,
giungendo a creare piazzeforti simili alle cittadelle europee, con castelli centrali circondati da
una rete di fortilizi. Quelle collegate con la difesa di una città potevano ospitare anche decine
di migliaia di difensori.524 Le difese di Osaka, ad esempio, si estendevano per oltre 13 km e
vennero edificate su una base di blocchi di pietra con muraglie spesse fino a 19 metri.525
Non sembra nel caso giapponese che questa diffusione dell'arte della fortificazione sia
dipesa dalla diffusione delle artiglierie. I primi castelli concepiti per rispondere all’artiglieria
appaiono solo alla fine del sedicesimo secolo. Il processo di incastellamento iniziò prima della
diffusione dei moschetti nell’arcipelago a causa del crollo dell’autorità centrale e abbiamo
visto come i cannoni, usati sporadicamente, non ebbero molto impatto sui conflitti in era
Sengoku. Negli assedi non furono molto utilizzati né come arma offensiva né difensiva. Gli
assedi venivano risolti con metodi medievali: accerchiamento, presa per fame, lento
avvicinamento alle mura, assalti e tradimenti.
Solo verso la fine del conflitto l’esperienza accumulata e la maggiore disponibilità di
risorse permise alle fortezze di raggiungere una complessità e una durevolezza paragonabile
alle fortificazioni della moderna Europa, rendendo gli assedi ugualmente lunghi e costosi.
Anche se i Tokugawa vinsero il conflitto con una grande battaglia campale, gli ultimi fuochi
delle guerre civili vennero spenti in due lunghi e costosissimi assedi, che coinvolsero
centinaia di migliaia di uomini: quello di Osaka del 1614-1615 e l’assedio del castello di Hara
nel 1638. L’artiglieria moderna, schierata in entrambi questi assedi, non risultò decisiva. Nel
caso di Hara lo shogunato si rivolse agli olandesi che fornirono delle batterie moderne e
bombardarono il castello dal mare, ma senza grandi risultati.526
Visto che le strutture difensive si svilupparono progressivamente e raggiunsero una
forma compiuta solo alla fine del conflitto civile, la tesi di Parker che la dimensione delle
523
Parker Geoffrey, La Rivoluzione Militare, Op. cit. , p. 244.
«Thus as wider and wider domains were consolidated, the daimyo moved their headquarters from the narrow
confines of mountain defenses to larger moat-and-tower fortresses placed at the strategic and economic centers
of their holdings. In most instances the daimyo selected locations from which their castles could dominate the
wide plains which formed the economic bases of their power and from which they could control the lines of
communication stretching into the countryside. Here the daimyo was able to assemble and support his growing
corps of officers and foot soldiers.» Hall John Whitney, The Castle Town, Op. cit. , p. 44.
525
Parker Geoffrey, La Rivoluzione Militare, Op. cit. , p. 246.
526
« The Tokugawa tried to acquire mortars (capable of lobbing explosive shells at high angles over castle walls)
from the Dutch to address some difficulties they had had with rebel fortresses in 1637-38, but the Dutch were not
entirely cooperative and the Japanese eventually lost interest.» Chase Kenneth, Armi da fuoco, Op. cit.
524
151
fortificazioni abbia limitato l’utilità dell'artiglieria in Asia, pertinente alle vicende cinesi, si
adatta meno bene al caso giapponese.527 Lo sviluppo delle fortificazioni in Giappone è forse
più paragonabile al Medioevo che all’Età Moderna europea. Le guerre civili avevano portato i
signori locali, i daimyo a sostituirsi alla vecchia aristocrazia di corte, alle città e ai monasteri
buddisti, spostando la sede del potere nelle province, in un processo di ri-feudalizzazione.528 Il
Giappone ebbe una brevissima fase, tra ‘500 e ‘600, in cui gli assedi assomigliavano a quelli
europei, ma la poliorcetica non raggiunse mai un livello di sofisticazione paragonabile
all'approccio scientifico occidentale.
La fine dei conflitti civili vide anche la fine dell’evoluzione delle fortezze, nell’ambito
del programma di demilitarizzazione della società portato avanti dallo shogunato. Nel 1615 il
regime ne limitò strettamente il numero a uno per provincia, facendo demolire centinaia di
castelli. Durante il periodo Tokugawa queste fortezze, persa la funzione militare, evolvettero
in città dalle funzioni amministrative ed economiche, contribuendo all’urbanizzazione del
Paese. Tutte le modifiche e le costruzioni dovevano essere approvate a livello centrale e il
mantenimento di queste strutture, simboli di potere ma militarmente inutili, pesava
gravemente sulle finanze degli Han, causando un diffuso malcontento.529
« Edo, the shogun's capital, symbolized the hierarchal unity of the daimyo under the
Tokugawa house [-]. The daimyo's castle towns were but miniatures of this pattern. The
morphology of the castle town was in essence a cross-section of the pattern of Japanese feudal
society. [-] The castles, which occupied the center of these cities, were built to protect the
aristocracy.» 530 Questi castelli, concepiti come simbolo della gerarchia della società
giapponese, parteciparono al paradossale processo del suo sgretolamento. Come centri urbani,
favorendo il commercio, le attività finanziarie, la nascita della cultura di massa che hanno
caratterizzato lo sviluppo preindustriale del Giappone, contribuirono a svuotare di senso la
struttura feudale della società, processo che colmò nell’abolizione del feudalesimo in epoca
Meiji.
Con la modernizzazione non ci furono opposizioni all'abbattimento della maggior
parte dei vecchi castelli, visti come spiacevoli retaggi del passato feudale.531 I pochi rimasti,
527
Parker Geoffrey, La Rivoluzione Militare, Op. cit. , p. 247.
Hall John Whitney, The Castle Town, Op. cit. , p. 42.
529
Benesch Oleg, Castles and the Militarization of Urban Society in Imperial Japan, Transactions of the Royal
Historical Society, 2018, pp. 107-134.
530
Hall John Whitney, The Castle Town, Op. cit. , p. 46.
531
Keirstead Thomas, Inventing Medieval Japan: The History and Politics of National Identity, The Medieval
History Journal, 1(1), 47–71.
528
152
assurti più tardi a simboli della cultura nazionale, testimoniano la breve storia delle
fortificazioni moderne della storia giapponese.
3. 6. 4 Le fortificazioni in Corea e nel conflitto coreano
Al contrario di Cina e Giappone, lo sviluppo delle fortificazioni in Corea e il loro uso
durante il conflitto Imjin, è complessivamente povero di dati interessanti. All’alba del
conflitto i coreani facevano affidamento sul proprio sistema di fortezze situato in aree
montane di difficile accesso per bloccare l’avanzata giapponese, ma la loro strategia difensiva
fu frustrata da comandanti riluttanti al combattimento e dall’abile approccio dei giapponesi
che, muovendo diverse armate contemporaneamente su diverse direttrici, frustravano i
tentativi di difesa statica
Le maggiori città vennero prese senza colpo ferire, abbandonate dai difensori. La fase
dell’intervento cinese e il secondo conflitto videro le forze Ming assediare sia le città
occupate che una rete di fortezze al Sud. Almeno per la battaglia di Pyongyang è attestato un
uso massiccio dei cannoni per aprire brecce nelle mura.532
Ma gli altri assedi, come il disastroso episodio di Ulsan, videro lunghe ed estenuanti
operazioni di accerchiamento, sortite e tentativi di assalto. Nonostante i Ming vedessero il
vantaggio del bombardamento questo era spesso difficoltoso per via del terreno montuoso su
cui erano piazzati i capisaldi da catturare. 533 Quello degli assedi è l’aspetto del conflitto
coreano in cui la guerra evolvette di meno.
3. 6. 5 Il confronto con le fortificazioni occidentali.
Gli Europei in Asia Orientale non riuscirono a catturare nessuna città o piazzaforte di
rilievo fino al diciannovesimo secolo. Questo contrasta nettamente con l’esperienza
nell’Oceano Indiano dove portoghesi e olandesi dominarono a più riprese nodi cruciali come
Hormuz, Goa e Malacca, strappandoli a capi locali militarmente più deboli delle loro flotte
moderne. In Asia Orientale invece, i capisaldi occidentali erano mantenuti in collaborazione
con le autorità locali, come Macao o Nagasaki, oppure costruiti ex novo in aree poco
532
Turnbull Stephen, The Samurai Invasion, Op. cit. , p. 60.
Hawley Thomas, The Imjin War. Japan's Sixteenth-Century Invasion of Korea and Attempt to Conquer
China, Institute of East Asian Studies Press, Berkeley, 2005, p. 291.
533
153
sviluppate come Manila, Fort Zeelandia e Albazin. 534 Con forze ridotte e senza un vero
dominio dei mari sarebbe stato impossibile catturare una grande città fortificata della regione.
Quindi non ci sono esempi significativi di assedi da parte di forze occidentali su fortezze
asiatiche.
Possiamo invece analizzare due rilevanti esempi di assedi cinesi e mancesi a
fortificazioni occidentali costruite con lo schema della trace italienne: l’assedio di forte
Zeelandia a Taiwan da parte dei lealisti Ming 1661–1662 e l’assedio di Albayzin sull’Amur
da parte delle truppe mancesi 1686. Nel primo caso, il generale lealista Ming Zheng
Chenggong doveva conquistare una fortezza marittima posta a protezione di una baia in modo
da scacciare gli olandesi da Taiwan e assicurarsi una base per la sua guerra con i Manciù.
Evitato un confronto tra la sua flotta e l’artiglieria della fortezza, le sue truppe sbarcarono a
distanza e si disposero a circondare la fortificazione. Il primo attacco fallì per il cattivo
posizionamento dei cannoni cinesi, che pure erano in numero superiore. I cannoni olandesi
disposti secondo i criteri della copertura incrociata dei bastioni inflissero gravi danni ed
impedirono la presa d'assalto del forte.
La fortezza poteva essere rifornita via mare non poteva quindi essere presa per fame. I
cinesi fecero diversi tentativi di edificazione di lavori in terra, mirando alla conquista di una
ridotta posta di fronte alle fortificazioni. Anche questi furono bloccati dal tiro degli olandesi,
che potevano coprire tutti gli angoli. Solo con l’aiuto di un disertore fu possibile creare grandi
bastioni in terra disposti in modo da permettere il bombardamento e la conquista della
fortezza.
Per quanto fossero truppe esperte e con armamenti all'avanguardia, i cinesi furono seriamente
danneggiati dalla mancanza di conoscenza dell’architettura bastionata.535
Anche la vicenda dell’assedio Albazin rivela la grande difficoltà dei cinesi a condurre
un assedio a una fortezza occidentale, compensato però da altri elementi di forza del loro
sistema militare. Albazin era un insediamento lungo il corso del fiume Amur colonizzato dai
Russi nel corso del diciassettesimo secolo e fortificato inizialmente con lavori in terra e
palizzate. La volontà dell’Imperatore Kangxi di riaffermare il suo dominio nella regione portò
alla pianificazione di una campagna militare contro il centro abitato. La maggiore difficoltà
che i Qing avevano individuato per la campagna era la grande distanza dalle aree popolate
534
La storia della fondazione di Macao è controversa ma sembra aver coinvolto un mix di corruzione,
opportunismo da parte delle autorità locali e accettazione da parte dei portoghesi di precisi limiti di
comportamento e giurisdizione. Perdue Peter,, 1557: A Year of Some Significance in Tagliacozzo Eric, Asia
Inside Out: Changing Times, Harvard University Press, Cambridge, 2015, p. 105.
535
Andrade Tonio, The Gunpowder Age, Op. cit. , p. 216-219.
154
della Cina. Come per le campagne contro gli Zungari in Asia centrale, venne quindi
predisposto un elaborato sistema di depositi e studiato il periodo migliore per inviare
l’attrezzatura d’assedio comprensiva di artiglieria pesante. 536 «The preparations took years,
but eventually all was ready, testimony to the genius for logistics that was making the Qing
such a great power.»537
Il primo assedio nel 1685, condotto da un’armata Qing molto più numerosa della
guarnigione che difendeva una città ancora priva di architettura bastionata, fu un successo. Il
massiccio bombardamento cinese rovinò le difese e abbatté il morale dei difensori che
trattarono la resa. L’insediamento venne distrutto, ma i Qing non stabilirono un proprio
caposaldo nell’area. L’anno successivo i russi rioccuparono l’area ed edificarono una fortezza
di artiglieria con bastioni in terra. Non è chiaro quanto le fortificazioni fossero di tipo
avanzato ma avevano almeno alcuni elementi geometrici di architettura bastionata.538
I Qing lanciarono una seconda campagna nel 1686. Jeremy Black, che pure ha più
volte sostenuto che la fortificazione moderna non fosse un ostacolo insuperabile nelle guerre
tra europei e asiatici, ha sostenuto che l’assedio fu vinto per fame «in capturing Albazin, the
Manchu allowed hunger, backed up by superior numbers, to do their work.»539 Questo è in
parte vero, il forte di Albazin cedette in realtà con la conclusione del trattato di Nerchink,
senza aver mai formalmente capitolato, ma prima della consegna della fortezza l’esercito
mancese tentò vari approcci, frustrati dall’architettura bastionata della fortezza e subì perdite
considerevoli. «An artillery fortress, of course, is designed to strike with flanking fire, to hit
the enemy from various angles, and also to cover forces that sally forth. For those accustomed
to traditional fortifications, this capacity for crossfire comes as a surprise. Each time the Qing
constructed batteries or siegeworks the Russians worked to destroy them with cannon fire or
sorties. The Qing were forced to move their positions, and the new positions also proved
vulnerable. The parallels with the Dutch case are clear.»540
In entrambi i casi i cinesi ottennero delle vittorie estremamente costose e non furono
capaci di rispondere simmetricamente alla particolare sfida posta dalle fortificazioni moderne.
I comandanti cinesi erano esperti di assedi ma di solito si confrontavano con le tradizionali
536
Perdue Peter, Military Mobilization in Seventeenth and Eighteenth-Century. China, Russia, and Mongolia,
Modern Asian Studies 30, no. 4 (1996): 757–93.
537
Andrade Tonio, The gunpowder Age, Op. cit. , p. 221.
538
Paul Michael C. , The Military Revolution in Russia, 1550–1682 , Journal of Military History 68, no. 1 (2004,
p. 30 e pp. 35-36.
539
Black Jeremy, War and the World: Military Power and the Fate of Continents, 1450–2000, Yale University
Press, New Haven, 2000, p. 72.
540
Andrade Tonio, The gunpowder Age, Op. cit. , p. 228.
155
architetture cinesi, mura spesse e barbacani, non bastioni angolati. Di conseguenza i
comandanti asiatici tendevano ad utilizzare le tattiche a cui erano abituati: l’assalto, la guerra
di mina, il bombardamento di un tratto di muraglia. La cultura militare cinese era inoltre
sfavorevole al confronto diretto tra le forze, l’assedio ne è uno degli esempi tipici, e tendeva a
raccomandare di evitare l’assedio ricorrendo a stratagemmi. Per esempio, le forze degli Zheng
preferivano nell’ordine il tradimento, l’assalto con le scale e da ultimo il bombardamento
come mezzo per risolvere gli assedi. 541 Tuttavia tutti i loro approcci soffrivano per il tiro
incrociato degli occidentali che, grazie ai bastioni angolati, non lasciavano angoli ciechi da
cui avvicinarsi alle mura.
Anche le tecniche di bombardamento cinesi erano diverse da quelle occidentali.
Mentre in un assedio occidentale si cercava di creare linee di lavori in terra per proteggere la
propria artiglieria e piazzarla di modo da zittire l’artiglieria difensiva, e quindi aprire una
breccia, i cinesi cercavano in genere di distruggere l’area del cancello. Questo dipendeva
probabilmente dallo spessore delle mura cinesi e dal fatto che in assenza di bastioni angolati si
poteva evitare il fuoco d’infilata e conquistare l’area della porta.
Queste pratiche mettevano quindi in difficoltà i comandanti cinesi nel confrontarsi con
i bastioni all’occidentale e confermano quanto queste fossero cruciali nel fornire un piccolo
ma vitale vantaggio agli Europei. «Tactics of this sort weren’t possible against angled
bastions. The success of Russian and Dutch defenses suggests that the renaissance fortress did
indeed confer a significant advantage on Europeans. Even in East Asia, whose military forces
were among the most powerful in the world, it acted as a force multiplier, allowing small
garrisons to stand up against more numerous foes.»542
Le vittorie cinesi furono in definitiva dovute all’eccellente logistica. Sia gli Zheng, ma
ancora di più i Qing, curarono con attenzione tutti gli aspetti del rifornimento di armi e viveri
riuscendo a proiettare forze militari di grandi dimensioni in aree estremamente remote e
povere di risorse e a mantenerle efficienti per i lunghi periodi di tempo necessari agli
assedi.543
541
Andrade Tonio, The Artillery Fortress Was an Engine of European Expansion: Evidence from East Asia,
Andrade Tonio and William Reger, eds. , The Limits of Empire: European Imperial Formations in Early Modern
World History – Essays in Honor of Geoffrey Parker, Ashgate, London, 2012.
542
Andrade Tonio, The Gunpowder Age, Op. cit. , p. 234.
543
Perdue Peter, Military Mobilization in Seventeenth and Eighteenth-Century. China, Russia, and Mongolia,
Modern Asian Studies 30, no. 4 (1996): 757–93.
156
3. 7 La dimensione navale del conflitto in Asia Orientale.
3. 7. 1 Una nuova storia marittima dell’Asia.
La superiorità europea in campo navale è la componente della Rivoluzione Militare
che meglio ha retto tutti gli argomenti revisionisti. Già dal sedicesimo secolo le navi,
l'armamento e le tattiche europee erano superiori a quelle di tutti gli Stati asiatici e
l’espansione sul mare tramite il commercio e la guerra costituì una strategia coerente
perseguita da tutte le potenze europee nell’Età Moderna. 544 Tuttavia gli assunti di un
incontestabile dominio europeo dei mari già a partire dal sedicesimo secolo e di un totale
disinteresse dei regni asiatici per la dimensione marittima sono contestabili e la storiografia
sta delineando un quadro nuovo del confronto navale nell’Oceano Indiano e nel Mar Cinese.
Innanzitutto il commercio intra asiatico movimentava un valore di merci enormemente
superiore a quello europeo e restò in larga parte dei mercanti asiatici e delle comunità della
diaspora armena ed ebraica. 545 La conoscenza dei mercati locali e la sofisticazione delle
tecniche contabili e finanziarie di questi gruppi li rendeva competitori spesso insuperabili per
gli europei in quella che Braudel ha definito “la super-economia mondo dell’Estremo
Oriente”.546
Il vantaggio militare, con cui portoghesi, spagnoli e poi olandesi potevano estrarre
risorse, pedaggi e privilegi commerciali, permetteva agli europei di inserirsi come
intermediari nel commercio asiatico e di organizzare la spedizione di merci verso l’Europa ma
senza riuscire a dominare i flussi di merci. In questa fase gli europei potevano colpire il
funzionamento del sistema commerciale asiatico ma non disarticolarlo.547 Per Braudel, nella
prima fase della sua espansione l’Europa ha concepito e avviato, ma non realizzato, una
sorveglianza dei traffici marittimi interasiatici. 548 Portogallo e Spagna avrebbero potuto
esercitare un maggior controllo sui mari asiatici ai tempi dell’Unione Iberica (1580-1640)
544
« From a pan-Eurasian perspective, European states were unusual in their willingness to use privateers to
further strategic and economic interests abroad. European seamen enjoyed state support and were therefore better
able to project a lethal combination of maritime force and economic enterprise than were most of their Asian
counterparts.» Andrade Tonio, The Company's Chinese Pirates: How the Dutch East India Company Tried to
Lead a Coalition of Pirates to War against China, 1621-1662, Journal of World History, vol. 15, no. 4, 2004, pp.
415–444.
545
Gordon Stewart, Quando l’Asia era il mondo, Einaudi, Torino, 2009. pp. 79-80.
546
Braudel Fernand, Civiltà materiale, Op. cit. p. 505.
547
Arrighi Giovanni, Silver Beverly J. , Caos e Governo del Mondo. Come cambiano le egemonie e gli equilibri
planetari, Mondadori, Milano, 2003, p. 257.
548
Braudel Fernand, Espansione europea e capitalismo 1450-1650, Il Mulino, Bologna, 1999.
157
grazie alla doppia rotta di penetrazione dall’Oceano Indiano e dal Pacifico, ma le rivalità
all’interno dell’unione dinastica frustrarono le ambizioni espansionistiche.549
Nel Mar Cinese, i portoghesi si immisero nei circuiti commerciali in un periodo in cui
il commercio internazionale era formalmente vietato ma approfittarono delle rivalità tra i
mercanti del Guangdong e del Fujian per inserirsi nei traffici informali della regione. Solo
quando i cinesi si accorsero che gli iberici potevano soddisfare - in maniera legale - il loro
bisogno di argento gli accordarono una base. Con la fondazione di Macao fu possibile avviare
una serie di transazioni più complesse che comprendevano il commercio con il Giappone. 550
Quello europeo restava un commercio d’intermediazione, in cui gli occidentali finivano per
pareggiare un enorme deficit commerciale con l’esportazione dell’argento Americano.
Il vantaggio economico cominciò a passare nelle mani di inglesi e olandesi solo nel
diciottesimo secolo, con l’acquisizione di vasti territori in Bengala e Indonesia di cui
riorganizzare l’economia in senso coloniale. Solo la colonizzazione dell’India e del Sud-Est
asiatico e la rivoluzione dei trasporti e delle comunicazioni - causate dall’introduzione della
locomozione a vapore e dal telegrafo - permisero di forzare l'apertura della Cina con le guerre
dell’Oppio e riuscirono a riorganizzare definitivamente le economie-mondo asiatiche a
vantaggio di quella europea.
Appurata la complessità della vicenda commerciale resta però aperta la questione
militare. La tesi che gli Stati asiatici fossero disinteressati se non oppositori della guerra
navale, sempre supportata con la vicenda della Flotta del tesoro Ming e dell’ammiraglio
Zheng He, è stata confrontata da un gran numero di ricerche che offrono una visione nuova
delle marine asiatiche e dei confronti interasiatici e con gli Europei. Queste contribuiscono tra
le altre cose a spiegare perché i paesi europei non riuscirono ad impadronirsi del commercio
dell'Oceano Indiano e del Mar Cinese e mantennero solo basi precarie fino al diciottesimo
secolo inoltrato.551
La tecnologia navale e l’artiglieria, l’arte nautica potenziata dalla scienza moderna e il
supporto degli Stati alle loro marinerie, costituivano un grande vantaggio per gli europei nei
549
Subrahmanyam Sanjay Un mondo in equilibrio. Le storie connesse degli Imperi Iberici, in Subrahmanyam
Sanjay, Mondi connessi. La storia oltre l'eurocentrismo (secoli XVI-XVIII), Carocci, Roma, 2014, pp. 63-89.
550
Zurndorfer Harriet, Encounter and Coexistence: Portugal and Ming China 1511–1610: Rethinking the
Dynamics of a Century of Global–Local Relations in Perez Garcia Manuel, De Sousa Lucio
Global History and New Polycentric Approaches Europe, Asia and the Americas in a World Network System,
Palgrave Macmillan, London, 2016, p. 206.
551
«The colony of Macao, for example, was dependent upon Chinese goodwill. If the Portuguese did not behave
themselves, an edict from officials in Canton was enough to stop food supplies to the port. The small factories
the Portuguese and Dutch were allowed to occupy in Nagasaki were similarly vulnerable. Dutch Formosa and
the Spanish Philippines were the only territorial colonies the Europeans possessed in East Asia». Andrade Tonio,
The Company's Chinese Pirates, Op. cit. , p. 443.
158
confronti degli asiatici, che si protrasse per l’intera durata dell’Età Moderna. Un vantaggio
però, non una distanza incolmabile.
3. 7. 2 L’Oceano Indiano conteso tra portoghesi e musulmani.
Gli esempi che smentiscono la narrazione tradizionale su commerci, rapporto Statomercanti e guerra navale nell’Oceano Indiano sono numerosi. Subrahmanyan invita a
riconsiderare uno dei cardini della storia classica: l'idea che i regni asiatici avessero un
disinteresse se non un'ostilità esplicita verso i mercanti. Sulla scorta della sociologia storica di
Marx, Weber, Barrington Moore e Immanuel Wallerstein, le tesi del Rise of the West hanno
reso pervicace l’idea che per ragioni sociali e culturali gli stati asiatici non si occupassero o
sfruttassero in maniera predatoria il commercio marittimo. 552 Tuttavia vari autori hanno
prodotto negli anni prove che anche in Asia esisteva un’attitudine complessa verso il
commercio e il suo rapporto con lo Stato, in particolare nei paesi islamici.553 Anche l’efficacia
dell’azione delle compagnie privilegiate è stata molto ridimensionata dalla letteratura recente:
a livello di competitività puramente economica le varie Compagnie delle Indie non riuscivano
a competere con i mercati locali e realizzavano profitti solo con la coercizione.554
Subrahmanyan contesta l'idea classica che le forme più comuni di organizzazione del
commercio fossero la comunità diasporica, che sarebbe tipica dell’Asia, e la compagnia
privilegiata, strumento del mercantilismo europeo. All’inizio dell’Età Moderna il commercio
intra asiatico di beni di lusso e di consumo venne dominato da una serie di città stato marinare
il cui esempio più famoso è l’emporio di Malacca. 555 Gli studi hanno dimostrato la totale
dipendenza delle entrate statali dal commercio, con la tassazione delle varie comunità di
mercanti e una partecipazione diretta del Sultano ai traffici. Gli stati arabi dello Yemen e di
Hormuz, basati sui porti di Aden e di Jarun, avevano un'organizzazione molto simile a quella
552
Goldstone Jack, Trends or Cycles? The Economic History of East-West Contact in the Early Modern World,
Journal of the Economic and Social History of the Orient, 1993, 36:2:104-19.
553
Subrahmanyam Sanjay, Iranians Abroad: Intra-Asian Elite Migration and Early Moder State
Formation, The Journal of Asian Studies, 1992, 51:2, pp. 340-62.
554
Perlin Frank, The Invisible City': Monetary, administrative and Popular Infrastructures in Asia and Europe,
1500-1900, Variorum, Londra, 1993, pp. 284-5.
555
La presa portoghese di Malacca è un curioso esempio di cooperazione degli europei con i poteri privati e
competizione con i poteri ufficiali asiatici «The Portuguese [-] besieged Melaka, which controlled the main
corridor between the Indian Ocean and East Asia. Chinese merchants, angry at Melaka's leader, encouraged the
Portuguese and even loaned them a junk to land troops. The siege was successful, but when the Portuguese tried
to open trade with China, they met resistance. Ming officials considered the "Farangi," as they called the
Portuguese, to be usurpers, since the ex-king of Melaka had been a Ming tributary. Portuguese emissaries
explained that they had taken Melaka at the behest of Chinese merchants, who had been tyrannized by the former
king, an explanation that embarrassed Ming officials because Chinese were not allowed to trade abroad.»
Andrade Tonio, The Company's Chinese Pirates, Op. cit. , p. 420.
159
di Malacca. 556 Almeno nel secondo i regnanti non disponevano di navi proprie e come
un’altra città stato marinara, Calicut, tassavano la comunità mercantile. Una potenza di
caratura maggiore, l’Egitto mammalucco, tendeva invece ad una politica liberista, favorendo i
mercanti di varie nazionalità ma al contempo mantenendo monopoli su una serie di derrate di
lusso e intervenendo militarmente per difendere il Mar Rosso.
Il potente stato indiano di Vijayanagara, il meno marittimo di quelli elencati, ricavava
consistenti entrate dal commercio, imponeva un regime di monopolio su beni strategici e
controllava attentamente le rotte commerciali. 557 Alla luce di questi episodi Subrahmanyan
contesta l’idea che governanti e mercanti vivessero nell’incomunicabilità e che i mercanti non
avessero modo di approcciare i sovrani per trovare appoggio ai propri traffici. Dove gli Stati
disponevano di una burocrazia abbastanza sviluppata, i mercanti potevano ottenere grandi
risultati con le loro pressioni: il successo degli armeni nel forgiare un'alleanza con il regno dei
Safavidi ne è l’esempio più noto.558
Gujarat e Surat sono ancora due esempi di centri commerciali a capo di una vasta rete
di traffici, base di diverse comunità di commercianti indù, musulmani e parsi, che esercitano
notevole potere politico e sfidavano militarmente l’Impero
portoghese. Subrahmanyan
suggerisce che non bisognerebbe esagerare nel considerare le azioni militari sul mare di questi
Stati una reazione alla penetrazione europea: la guerra marittima era praticata anche in
precedenza.
Nel suo libro The Ottoman Age of Exploration, Giancarlo Casale ha dettagliatamente
analizzato come l’Impero Ottomano, in concomitanza con l’Europea Età delle Scoperte, abbia
avuto una propria spinta marittima verso Oriente con azioni esplorative, commerciali e
militari non episodiche e che ebbero grande impatto sulla sua cultura. 559 L’Impero Ottomano
entrò tardivamente nell'Oceano Indiano, affacciandovisi solo nel 1520 con la conquista
dell’Egitto. Arrivati in quest'area mentre l'Impero portoghese era al suo apice, gli Ottomani
utilizzarono la lotta anti portoghese come uno strumento di legittimazione geopolitica,
commerciale e dinastica. Il controllo di piazzeforti nel Mar Rosso e nel Golfo Persico
garantiva la difesa dei luoghi santi e la credibilità del titolo di Califfo, che veniva
556
Subrahmanyam Sanjay, Of Imarat and Tijarat: Asian Merchants and State Power in the Western Indian
Ocean, 1400 to 1750, Comparative Studies in Society and History, vol. 37, no. 4 (Oct. , 1995), p. 757.
557
Ivi, p. 762-3.
558
Subrahmanyam Sanjay, Of Imarat and Tijarat, Op. cit., p. 773.
559
Casale Giancarlo, The Ottoman Age of exploration, Oxford University Press, Oxford, 2011, p. 4.
160
progressivamente riconosciuta all'interno Islam sunnita, agevolando i contatti culturali e
commerciali fino all’arcipelago indonesiano.
Per tutto il sedicesimo secolo un'influente fazione della Corte spinse per una politica
navale aggressiva che comprendeva il mantenere piazzeforti, inviare flotte, saccheggiare i
portoghesi, sostenere regni musulmani ed espandersi in direzione dell’India. Gli Ottomani
ottennero questi risultati con gli stessi mezzi degli europei, cioè artiglierie, all’epoca
sconosciute in Etiopia e nello Yemen, e miglioramenti nella tecnologia e nella tattica navale,
giocando un fondamentale ruolo di disseminazione tecnologica.560
I conflitti con i portoghesi videro diverse vittorie dell’Impero Ottomano, che finì per
regolare una parte consistente del flusso di spezie che andava a finire in Europa, intervenendo
energicamente nelle operazioni dei mercanti privati. Questo fu reso possibile dall’uso di navi
simili a fregate e da tattiche per le galee adattate alle condizioni oceaniche. Il culmine di
questo attivismo furono le spedizioni navali a supporto del regno di Aceh in Indonesia contro
i portoghesi. « By the 1570s, these collective efforts had proven so successful that the
Portuguese embargo had been brought to its knees, allowing the Ottomans to control a far
larger share of the Indian Ocean spice trade than the Portuguese Crown ever had.»561
L’espansionismo Ottomano nell'Oceano Indiano terminò solo all’inizio del
diciassettesimo secolo, al contempo un momento di grande difficoltà per la Porta e di
disintegrazione per l’Impero portoghese. Per Casale un paradossale esempio di “successo
eccessivo”: gli Ottomani avevano beneficiato enormemente della presenza portoghese,
legittimando nel contrastarla. Terminata questa minaccia, l’insofferenza dei paesi rivieraschi e
i costi elevati della guerra navale resero insostenibile la posizione degli Ottomani nella
regione.562
Gli Ottomani non furono gli unici musulmani a contrastare i Portoghesi nell'Oceano
Indiano. La dinastia Yarubi, basata nell’Oman, lanciò nel diciassettesimo secolo una politica
di espansionismo navale impadronendosi di fortezze nella penisola arabica e in Africa
garantendo il controllo di lucrose rotte commerciali. Questo venne reso possibile dalle stesse
armi degli europei: una flotta in stile moderno basata sulle artiglierie adattate dalla tecnologia
europea e una rete di fortificazioni anch'esse munite di artiglierie. 563 Per Subrahmanyan i
sovrani dell’Oman agivano con una visione globale della loro posizione nel contesto oceanico
560
Ivi, p. 8.
Casale Giancarlo, The Ottoman Age of exploration,Op. cit., p. 202.
562
Ivi, p. 203.
563
Andrade Tonio, Beyond Guns, Germs, and Steel: European Expansion and Maritime Asia, 1400-1750,
Journal of Early Modern History 14 (2010), p. 178.
561
161
e costituirono indiscutibilmente una potente talassocrazia. La conquista del porto fortezza
portoghese di Mombasa segnò l’estensione del loro dominio fino alla costa africana.564
3. 7. 3 Un conflitto tra controllo statale e iniziativa privata: le guerre wokou nel Mar
Cinese.
Rispetto ai paesi affacciati sull’Oceano Indiano, gli Stati posti sul Mar Cinese avevano
tradizioni statali più strutturate e l’orientamento dei governanti nei confronti del commercio
lasciava meno spazio all’attività privata. In alcuni momenti Cina, Giappone e Corea
mostrarono grande attivismo navale, in altri, per motivi interni, tesero a ridurre al minimo i
loro interventi e a limitare il commercio marittimo. All’inizio dell’Età Moderna gli Stati
dell’Asia Orientale erano a livello navale piuttosto passivi e il Mar Cinese Meridionale
sembra maggiormente aderire alla tesi di un conflitto tra Governi di iniziativa privata, di cui
forse il conflitto tra la Cina e i pirati wokou è l’esempio più noto.
Il conflitto si svolse in due distinte fasi. La prima nel QUINDICESIMO secolo
consistette in un’ondata di pirateria giapponese, rivolta contro la Corea e le coste cinesi. La
pirateria giapponese era un’estensione del conflitto civile del sedicesimo secolo. I clan in lotta
per la supremazia proteggevano bande di razziatori, “signori dei mari” nella definizione di
Shapinski, impegnati in razzie lungo le coste giapponesi e in raid a lunga distanza fino ai
confini dell’Oceano Indiano.565 Questi signori dei mari adottarono entusiasticamente la nuova
tecnologia dell’archibugio e svilupparono le prime navi da guerra giapponesi, le atakabune.566
Dopo una serie di raid imponenti, le flotte dei pirati vennero debellate dalla più potente
marina coreana, munita di artiglierie e dal sistema di fortificazioni costiere cinesi. Ai
Giapponesi rimase lo stigma di pirati (wokou “pirati nani” era sinonimo di giapponesi) e gli
venne applicato un divieto di commercio con la Cina, che non accettò più missioni
tributarie.567
La seconda fase nel sedicesimo secolo fu generata dal tentativo di un'applicazione
rigorosa del decreto di Interdizione marina (Haijin), che vietava il commercio privato
oltremare riservandolo unicamente alle missioni tributarie. Questa decisione fece crescere il
contrabbando a livelli allarmanti, con intere regioni costiere che si ritrovarono ad essere
564
Subrahmanyam Sanjay, Of Imarat and Tijarat, Op. cit. , p. 771.
Shapinski Peter, Lords of the Sea: pirates, violence and exchange in medieval Japan, Phd Dissertation, p.
304-395.
566
Lorge Peter, The Asian Military Revolution, Op. cit. , p. 58.
567
Atwell William, Ming China and the Emerging World Economy, c. 1470-1650 in The Cambridge History of
China, vol. 8, Cambridge University Press, Cambridge,1998, pp. 376-416.
565
162
dominate da potenti organizzazioni di contrabbandieri cinesi. In breve tempo il contrabbando
si trasformò in pirateria, minacciosa per l’intero Sud della Cina. La minaccia fu affrontata
militarmente da alcuni dei maggiori generali e teorici militari cinesi come Qi Jiguang, ma alla
fine fu necessaria una soluzione politica con la nuova politica dei Mari Aperti inaugurata nel
1567 dall’Imperatore Longqing. Questa continuava a limitare l’accesso degli stranieri ma
permetteva ai cinesi di commerciare oltremare, fermo restando il divieto di trafficare con il
Giappone.
3. 7. 4 Una guerra navale asiatica: la Guerra Imjin.
Le due guerre coreane sono eventi fondamentali nella storia dell’Asia Moderna ed
ebbero un’importante componente navale la cui analisi è interessante a livello tecnologico e
strategico. Nel corso del conflitto le forze navali giapponesi furono sempre più numerose di
quelle coreane, danneggiate dall'auto affondamento di una parte della flotta all'inizio del
conflitto. Tuttavia la grande flotta giapponese era molto vulnerabile: gran parte delle navi
erano mercantili riadattati, privi di artiglieria e dal fasciame fragile. Anche se Hideyoshi
ordinò la costruzione di moltissime navi da guerra, queste avevano un tonnellaggio minore di
quelle coreane e pochi cannoni, in genere 3 contro un minimo di 12 per le navi da guerra
coreane.568 I giapponesi erano consci di questa inferiorità e fecero diversi tentativi tramite i
missionari Gesuiti per ottenere l’appoggio di navi portoghesi nel conflitto. 569
Per contro la flotta coreana combatté con ben più massicce navi da guerra dette
panokseon, dotate di diversi ponti, una struttura simile ad un castello centrale e tutta la
panoplia di artiglierie, spingarde, razzi, cannoni e mortai. Un po’come le galeazze veneziane
nel mediterraneo. Queste grandi navi a remi costituivano delle vere e proprie fortezze
galleggianti, capaci di respingere un gran numero di più piccole navi giapponesi. 570 Nel corso
del conflitto si aggiunsero un ridotto numero di kobukson, le famose navi tartaruga,
imbarcazioni massicce dotate fino a 40 cannoni schierati sulla prua e sulle fiancate e protette
da un tettoia coperta di pali acuminati che le difendeva dagli abbordaggi. Nonostante il loro
ruolo sia stato esagerato e si sia voluto in alcuni casi vederle come delle proto-corazzate, fino
ad affermare anacronisticamente che fossero ricoperte di placche di metallo, costituivano un
568
Hawley Thomas, The Imjin War, Op. cit. , p. 101.
Boxer C. R. , The Christian century in Japan, University of California Press, Oakland, 1974, pp. 140-142.
570
Hawley Thomas, The Imjin War, Op. cit. , pp. 114-155.
569
163
valido strumento bellico, eccellendo nel ruolo di punta della flotta, capace di rompere le
formazioni nemiche. 571
Nessuna delle due flotte dispose mai di un'eccellente struttura di comando. La flotta
giapponese era formata da contingenti forniti o affidati ai vari comandanti a capo
dell’invasione. Nella prima fase del conflitto questo le rese preda della più piccola ma decisa
squadra dell’ammiraglio Yi Sun-Sin, l’eroe nazionale coreano delle Guerre Imjin. L’assenza
di Hideyoshi come comandante supremo sul campo si fece sentire in campo marittimo come
in quello terrestre. «The main reasons for [Japan’s] failure were Hideyoshi’s mistake in not
assuming personal command of the invasion and the lack of a navy to back up and keep
supplies flowing to the continent.»572
Pure la flotta coreana soffrì per i conflitti tra i comandanti che si rifacevano alle
diverse fazioni dei letterati della Corte e forzavano le gerarchie. Ufficiali incapaci ma con
importanti appoggi politici causarono sconfitte catastrofiche all'inizio dei due conflitti. La
struttura di comando venne poi razionalizzata e, al termine del primo conflitto, l’intera area di
operazione affidata al comando del capace Yi Sun-Sin.
Purtroppo l’azione di Yi Sun Si fu ostacolata dalla rivalità con il meno capace
ammiraglio Won Kyun, che non collaborava con il primo e cercava di screditarlo a Corte. La
lotta tra fazioni giunse fino alla sua destituzione, sfruttando come pretesto un complotto
orchestrato da agenti giapponesi con falsi documenti. L’assenza dell'ammiraglio fu
571
Quale fosse il reale aspetto delle navi tartaruga è una questione molto dibattuta a causa della scarsità di fonti.
Il dettaglio della copertura in metallo è controverso ma è interessante vedere come sia nato quello che
probabilmente è un mito storiografico. Anche se teoricamente non sarebbe stato impossibile realizzarle, non
esistono, nel vasto corpus di fonti primarie sul conflitto, menzioni di queste coperture in metallo. Samuel Hawley
ha ricostruito l’origine della tesi come derivante da una visione orientalistica fatta propria poi dai coreani per
motivi ideologici.
«The first tales of Yi Sun-sin and his turtle ship to reach Europe and the United States were carried back by
Westerners who visited Korea as it started to open to the world in the late 1870s. [-] To a Westerner of this
period, these descriptions of an indestructible warship with a roof like a turtle’s back would have conjured up an
immediate association: the Confederate ironclad the Virginia [-] and its Union counterpart the Monitor. [-] This
progression from casual comparison to statement of fact can be roughly charted. In his 1892 account of
Hideyoshi’s invasion, George Heber Jones wrote that “aided by his famous ‘Tortoise Boat,’ a prototype of the
‘Monitor’ of the American Rebellion, [Yi Sun-sin] literally swept [the Japanese] off the coast waters of the
peninsula. ”William Griffis took this a step further in 1894 in Korea. The Hermit Kingdom, describing Yi’s ship
as “apparently covered with metal. ” By 1905 the transformation to fact was complete. “Its greatest peculiarity,”
wrote Homer Hulbert of the turtle ship in his History of Korea, “was a curved deck of iron plates. . . . anticipated
by nearly three hundred years the ironclad war ship. ” [-] It was an assumption that was readily accepted by the
Koreans, who were then trying to deal with a flood of Western pressures and innovations that was making them
appear to the world as a weak and backward people. In this atmosphere of vulnerability the idea that a Korean
had invented the ironclad ship nearly three centuries before was immensely appealing, for it demonstrated that
Korea was not a backward country, but in some things had actually preceded the West». Hawley Thomas, The
Imjin War, Op. cit. , pp. 177-178.
572
Stramigioli, Giuliana, Hideyoshi’s Expansionist Policy on the Asiatic Mainland ,Transactions of the Asiatic
Society of Japan, 3rd ser. (December 1954), p. 100.
164
certamente tra le cause della sconfitta subita contro i giapponesi a Chilchonnyang,
condizionando l’andamento dell’intera seconda fase della guerra. 573
I giapponesi avevano probabilmente un vantaggio a livello di equipaggi, con molti
comandanti e marinai che avevano svolto azioni di pirateria negli anni passati. Per contro i
coreani soffrivano per l'abbassamento qualitativo del sistema degli esami militari. Esercito e
marina erano scarsamente distinti e l’addestramento per le truppe navali lasciato alla
discrezione dei comandanti. 574 Comunque i coreani mantennero una migliore struttura
logistica, riuscendo anche nelle fasi più dure a rifornire la flotta e a programmare la
fabbricazione di nuove navi e artiglierie. A livello tattico i giapponesi tendevano ad affidarsi
al numero e alla fanteria imbarcata combinando scariche di moschetti: una concezione ancora
medievale della guerra marittima, mirante a distruggere gli equipaggi nemici. Nella seconda
fase del conflitto le flotte riuscirono a coordinare meglio le manovre, cogliendo alcune
vittorie, ma non adottarono mai pienamente una tattica basata sull’artiglieria navale.
I coreani, in particolare l’ammiraglio Yi Sun Si, svilupparono tattiche più raffinate
basate sull'artiglieria, con cui massimizzare i danni che la loro ridotta flotta poteva infliggere.
Yi Sun Si basava i suoi movimenti su un accurato lavoro di ricognizione per sfruttare al
meglio la tormentata conformazione della costa coreana e le correnti e cogliere impreparate le
squadre giapponesi. La sua era una visione già moderna del conflitto navale in cui contava la
distruzione del maggior numero possibile di navi avversarie. 575 I coreani infatti evitavano
accuratamente di inseguire i giapponesi a terra e di assediarne le piazzeforti, per non rischiare
il proprio vantaggio in acqua.576
In vari scontri i coreani colsero numerose vittorie accorciando le distanze con la flotta
nemica per cannoneggiarla a distanza ravvicinata. La fucileria giapponese era inefficace
contro le paratie massicce di queste imbarcazioni e la rapidità della manovra impediva ai
nipponici di accerchiare o abbordare gli avversari. L'introduzione delle navi tartaruga rese
ancora più letale questa tattica: la flotta coreana si lanciava in una informazione chiusa, con la
nave tartaruga come punta, al centro dello schieramento nemico, scompaginandolo e
distruggendolo con il cannoneggiamento. Gli abbordaggi giapponesi, anche se pericolosi, non
riuscivano ad opporsi a questa manovra.577
573
Swope Kenneth, A Dragon's Head and a Serpent's Tail, Op. cit. , p. 225.
Ivi, p. 69
575
Hawley Thomas, The Imjin War, Op. cit. , p. 134.
576
Swope Kenneth, A Dragon's Head and a Serpent's Tail, Op. cit. , p. 121.
577
Hawley Thomas, The Imjin War, Op. cit. , p. 180.
574
165
Le tattiche coreane erano molto flessibili e comprendevano schieramenti in cerchio,
finte ritirate e manovre di accerchiamento. Il capolavoro tattico di Yin Sun Si avvenne poi
nella fase più dura della seconda guerra Imjin, quando, alla battaglia del canale di
Myongyang, l’ammiraglio utilizzò le dodici navi rimaste per sbarrare la strada oltre 200 navi
giapponesi che miravano a portare rinforzi alle truppe di terra. Sfruttando il gioco di correnti e
gli spazi ristretti, i coreani inflissero una grave sconfitta ai giapponesi che rientrarono alla loro
base.578
A livello strategico Yin Sun Si propose a più riprese di vincere la guerra sul mare
concentrando le risorse coreane nella distruzione della flotta giapponese di modo da far
restare l’esercito invasore isolato su un territorio ostile. 579 I suoi movimenti bloccarono le
attività dei giapponesi in vari momenti ma le forze insufficienti gli impedirono di infliggere
un colpo decisivo. Con la sua destituzione la sua strategia venne trasformata in una difesa
statica delle coste, causando gravi perdite alla flotta. 580 Tornando al comando Yi Sun-Sin
stesso dovette limitarsi alla difesa di aree cruciali almeno fino al ripristino di una parte delle
forze e all’intervento di una grande flotta cinese alleata.
Per contro i giapponesi non ebbero mai una strategia altrettanto chiara: aprirono le
ostilità con il semplice piano di trasbordare le forze d’invasione e mantenere una linea di
rifornimento ma non si aspettavano una risposta così forte.581 Le squadre inviate alla ricerca
dei coreani andarono incontro a sconfitte devastanti che obbligarono i giapponesi a chiudersi
nei porti che controllavano. La flotta giapponese non riuscì a rendere sicure le rotte di
rifornimento nel mar Giallo, esponendo le truppe d’invasione, affamate, prive di rinforzi e
incalzate dalla guerriglia, a una rapida erosione.
Nella seconda fase della guerra i giapponesi aprirono invece le ostilità con un
comando unificato e una strategia chiara: distruggere la flotta coreana nella fase iniziale del
conflitto. Mantenendo la flotta unita e pressando senza requie i coreani, ora guidati da un
comandante che cercava di evitare il conflitto diretto, riuscirono a dissanguare la flotta e
infine a distruggerla completamente nella battaglia Chilchonnyang. Tuttavia l’intervento di
una grande flotta Ming e la rapida ricostruzione della flotta coreana vanificarono il loro
tentativo di guadagnare la superiorità sul mare.
578
Sconfitta di dimensioni tali da rimanere leggendaria per gli sconfitti. «During the Meiji era officers in Japan’s
newly minted modern navy came to regard the Korean commander as the epitome of the spirit of bushido»,
Hawley Thomas, The Imjin War, Op. cit. , p. 424.
579
Swope Kenneth, A Dragon's Head and a Serpent's Tail, Op. cit. , p. 115.
580
« Indeed, a strong Korean or Chinese navy could have stopped the second invasion before it even really
started. Japanese forces were entirely dependent upon food transported from Japan this time, because they had so
badly destroyed Korea in the first invasion.» Lorge Peter, The Asian military revolution, Op. cit. , p. 85.
581
Swope Kenneth, A Dragon's Head and a Serpent's Tail, Op. cit. , p. 114.
166
Anche sul mare i cinesi intervennero in grande stile, mobilitando centinaia di navi, e
proclamando ulteriori mobilitazioni e l’intervento di lontani Stati tributari pur di scacciare i
giapponesi dai mari. Wanli promised that he would mobilize other tributary states like Siam,
the Philippines, and the Ryukyus to help Korea.»582 Nell’ultima fase del conflitto, condotto
fiaccamente dai giapponesi già demoralizzati dalla morte di Hideyoshi, anche solo la
dimostrazione di volontà da parte dei cinesi di condurre il conflitto fino alla fine ebbe un
potente effetto demoralizzante sui comandanti nipponici.583
La cooperazione con i cinesi seguì lo stesso copione di mancanza di fiducia della lotta
sulla terraferma, negando inizialmente vittorie decisive. Le navi cinesi erano di qualità
intermedia tra quelle coreane e giapponesi sia per tonnellaggio che per artiglieria, ma i loro
comandanti poco decisi ed esperti. Alla fine la possibilità di colpire una grande flotta
giapponese che si era ammassata nello stretto di Noryang portò le due forze a collaborare più
strettamente, mescolando le navi per sfruttarne al meglio le caratteristiche e stabilendo un
comando unico. Lo scontro inflisse un’ultima devastante sconfitta ai giapponesi anche se la
battaglia costò la vita ad Yin Sun Si.
La guerra coreana è interessante perché i contendenti scesero in campo con tecnologie
all’avanguardia per l’epoca e trovandosi a combattere in maniera asimmetrica (i coreani
abituati al confronto con i popoli della steppa, i cinesi anch’essi con i Mongoli e i pirati del
Sud, i giapponesi reduci delle loro guerre intestine) finirono per evolvere rapidamente tattiche
ed armamenti. Lo stesso si può dire della guerra navale, visto che si sperimentarono tattiche,
navi e armi da fuoco fino alla fine del conflitto, con frequenti ribaltamenti delle posizioni di
forza. Il numero di navi e uomini cedette rapidamente il passo alla qualità, sia nel comando
che nelle dotazioni. Il tradizionale confronto navale antico e medievale basato sugli
abbordaggi lasciava il passo al confronto delle artiglierie.
Resta irrisolta la questione del perché i giapponesi non si adattarono pienamente
all’uso dell’artiglieria navale. Una spiegazione può essere quella del background dei
comandanti: la maggior parte degli ammiragli giapponesi non erano uomini di mare ma
veterani delle guerre civili, mentre Yin Sun Si e alcuni suoi colleghi erano ufficiali navali di
carriera. Un altro motivo può essere stata la fiducia eccessiva dei giapponesi nella loro flotta,
582
Swope Kenneth, A Dragon's Head and a Serpent's Tail, Op. cit. , p. 125.
«Wanli soon afterward ordered some reinforcing units to remain in rear positions near the Chinese border and
issued a proclamation for a whopping 700,000-man naval force to be assembled to crush the Japanese at sea.
While there is no way the Ming could ever have assembled a fleet of anywhere near that size, the order was
leaked to the enemy, reportedly discouraging them from advancing farther for fear of being cut off by the allied
navy.» Ivi, p. 249.
583
167
che aveva avuto numerosi successi nelle operazioni di razzia dei decenni passati. Questo però
aveva spinto i coreani a rispondere con aggiornamenti tecnologici. «The repeated
depredations of pirates forced both the Chinese and the Koreans to bulk up their naval forces
and construct new ships equipped with the latest technology to protect both their coastal
citizens and their commercial interests.»584
Questa guerra navale di passaggio tra medioevo ed età moderna ha alcune similitudini
interessanti con le quasi contemporanee vicende navali dell’Impero iberico tra Mediterraneo e
Atlantico. Nel corso del conflitto anglo-spagnolo (1585-1604) gli spagnoli, come i
giapponesi, contavano sul numero delle loro navi per invadere l’Inghilterra e usavano
massicciamente tattiche di abbordaggio. Gli inglesi, come i coreani, disponevano di una flotta
più piccola ma con un vantaggio nell’artiglieria ed erano avvantaggiati dalla geografia e dalle
correnti.
Le somiglianze però si fermano qui visto che entrambe le flotte europee avevano un
nucleo di navi di tipo oceanico. Gli spagnoli schieravano i vascelli con il più pesante
tonnellaggio mai realizzato e comprendevano pienamente l’uso dell’artiglieria. Il fallimento
dell’invasione e la distruzione della flotta iberica dipesero più dalla rigidità del comando,
caricato di una missione anfibia difficilissima da coordinare da sfortunate condizioni
atmosferiche, che dalla superiorità tattica degli inglesi, che inflissero solo una sconfitta
minore agli spagnoli alla Battaglia di Gravelinga. 585
Si può fare un confronto anche tra la guerra nel Mar Giallo e quella nel Mediterraneo.
La geografia è simile: spazi delimitati con coste frastagliate e frequenti mutazioni
atmosferiche. La tecnologia navale della galea, scafo basso, propulsione a remi, scarsa
possibilità di portare cannoni, rassomiglia più dei galeoni ai vari tipi di giunca, anche se il
panokseon aveva diverse caratteristiche di nave oceanica. Il conflitto coreano ricorda elementi
della guerra della Lega Santa. I giapponesi, come gli Ottomani, schieravano una flotta più
ampia ma con meno navi di grandi dimensioni. La maggiore disponibilità di artiglieria e di
alcune navi più massicce, le galeazze, fu tra gli elementi di vantaggio dell’alleanza venezianospagnola. La superiorità dell’artiglieria pesante non fu comunque l’elemento determinante per
la vittoria: l'abbordaggio, la superiorità delle truppe imbarcate, l'amplissima disponibilità di
armi da fuoco personali garantirono la vittoria degli equipaggi cattolici.586
584
Swope Kenneth, A Dragon's Head and a Serpent's Tail, Op. cit. , p. 276.
Martelli Antonio, La disfatta dell’Invincibile Armada, Il Mulino, Bologna, 2008.
586
Barbero Alessandro, Lepanto. La battaglia dei tre Imperi, Laterza, Bari, 2012, pp. 568-581.
585
168
L’analisi delle guerre coreane conferma ancora una volta come il costante stato di
guerra sia stato il maggior elemento di spinta all’evoluzione tattica e tecnologica nell’Età
Moderna. Se guardiamo alla guerra navale nel Mediterraneo, il declino delle potenze
cattoliche e dell’Impero Ottomano ridusse il livello del conflitto e limitò l’innovazione
autoctona, sostituita dall’importazione di modelli di navi e armi prodotte dalle potenze
oceaniche.587 Così la chiusura del Giappone pochi decenni dopo la guerra Imjin, rese il Mar
Giallo un tratto di mare sostanzialmente pacifico fino alle Guerre dell’Oppio e non ci furono
evoluzioni significative nei modelli di navi e di cannoni fino all’apertura dei primi arsenali
navali moderni in Cina nel corso dell’Ottocento.
3. 7. 5 Scontri navali tra asiatici ed europei.
Non abbiamo ancora spiegato perché la presenza occidentale nella regione non riuscì a
stabilire una rete di basi permanenti paragonabile a quelle nell’Oceano Indiano, con
l’eccezione della colonizzazione delle Filippine. Il problema logistico era sicuramente
importante, le spedizioni dovevano infatti essere organizzate dalle piccole basi poste
nell’Oceano indiano, a migliaia di km di distanza. L’evidente compattezza e forza militare
degli Stati dell’Asia Orientale sulla terraferma sconsigliava ai governatori locali operazioni
avventate. Un’altra spiegazione che possiamo affiancare è che le marine locali riuscivano a
competere con le flotte europee. Ne abbiamo tutta una serie di esempi per le guerre dei
portoghesi per Canton e degli olandesi per Taiwan.
Il conflitto navale tra la Cina Ming e i portoghesi è poco conosciuto, solo
recentemente alcuni storici come Serge Gruzinski, Harriett Zudendorff e Tonio Andrade se ne
sono occupati inserendolo nel contesto della penetrazione europea in Asia e contestando che
si sia trattato di uno scontro limitato e privo di conseguenze.588 Il conflitto si svolse in due
fasi, nel 1521 e 1522, ed evidenzia la grande capacità dei cinesi di colmare un ritardo
tecnologico ogni qual volta si rendessero conto della propria inferiorità.
Durante la prima guerra, l'insediamento portoghese an Guangzhou, dopo aver vissuto
alcuni anni di prosperità e collaborazione con i cinesi, si trovò attaccato da una flotta
imperiale intenzionata a riportare l’area sotto controllo. L'ammiraglio cinese Wang Ho,
esperto di guerra con i pirati, si trovò in grande difficoltà ad affrontare le navi portoghesi. La
587
Glete Jan, La guerra sul mare. 1500-1650, Il Mulino, Bologna, 2017.
Gruzinski Serge, The Eagle and the Dragon: Globalization and European Dreams of Conquest in China and
America in the Sixteenth Century, Polity, Cambridge, 2014 e Zudendorff Harriett, Encounter and Coexistence,
Op. cit. p. 42.
588
169
sua flotta più numerosa veniva respinta nei suoi attacchi dal tiro dei cannoni occidentali. Una
manovra di accerchiamento mise in difficoltà gli iberici che alla fine sfruttarono l’occasione
di una tempesta per allontanarsi dalla zona.
L’anno successivo una seconda flotta occidentale si affacciò sul delta del Fiume delle
Perle per rinforzare il negoziato commerciale che i portoghesi volevano riesumare. I cinesi
inviarono subito una massiccia flotta che stando alle cronache portoghesi disponeva di diverse
navi di grandi dimensioni e di artiglieria. Nello scontro vittorioso per i cinesi, questi
alternarono cannoneggiamento e tentativi di abbordaggio, forzando i portoghesi a sloggiare
nuovamente dall’area. «Whereas in 1521, the Portuguese were able to compensate for
Chinese numerical superiority by means of their guns, they couldn’t do so in 1522. This
suggests that the Chinese had learned from the previous encounter and adapted.»589
Molto probabilmente i cinesi avevano rapidamente copiato dei cannoni occidentali ma
è notevole che in tempo brevissimo fossero già in grado di usarli efficacemente. Per Andrade
il conflitto è particolarmente rilevante perché dette corda alla fazione innovatrice degli
ufficiali cinesi. Di avviso diverso sulla vicenda invece Raimund Kolb. Per lo studioso i
portoghesi non disponevano di una vera flotta, e vennero in entrambi i casi attaccati di
sorpresa da forze superiori. «These events tell nothing about the efficiency of Western
battleships. The vastly superior firepower of Western cannons of that time is sufficiently
documented. Cannons the Chinese started to reproduce them, with limited success. There is
probably no proof available that Chinese warships at any time were superior to those of the
West -in fact, history tells the opposite.»590
Gli olandesi a loro volta penetrarono nella regione nel diciassettesimo secolo trovando
una situazione di vuoto di potere navale, con la Cina Ming, la Corea Joseon e il Giappone
Tokugawa disinteressati alla talassocrazia. Restavano pericolosi gruppi di mercanti,
contrabbandieri e pirati, che però non riuscivano a competere con le flotte occidentali. Taiwan
divenne così una fiorente colonia olandese.591
La penetrazione degli olandesi nella regione è un caso affascinante di adattamento
culturale e di ibridazione. Anche se disponevano delle navi migliori, invincibili in un
confronto diretto in alto mare, gli olandesi non avevano forze per piegare i grandi Stati della
regione. Dovettero così adattarsi ad occupare con fatica un’area marginale e a trovare alleati
589
Andrade Tonio, The Gunpowder Age, Op. cit. , p. 130.
Kolb Raimund T, Excursions in Chinese Military History, Monumenta Serica 54 (2006): 435–64.
591
Andrade Tonio, Lost Colony: The Untold Story of China’s First Great Victory over the West, Princeton
University Press, Princeton, 2011.
590
170
nei poteri informali locali. Quelli più potenti erano i pirati cinesi, ancora attivi nel
contrabbando con il Giappone. Gli olandesi ebbero con loro rapporti complessi, dalla
cooperazione alla guerra ma tentarono anche di utilizzarli come corsari contro i loro avversari
europei.
Il frequente mutare dei rapporti di forza frustrava il tentativo olandese di creare legami
saldi con la Cina, anche quando le loro navi aiutarono il governo cinese contro i pirati, la
VOC non riuscì comunque a ottenere il permesso di commerciare direttamente con il
continente. Nel 1633 ci fu un tentativo di raccogliere flotte di pirati intorno ad una squadra
navale olandese e lanciare raid in grande stile contro la costa, ma il piano vene sconfitto da
Zheng Zhilong, ex pirata divenuto ammiraglio cinese, che con un'abile operazione di
spionaggio riuscì a ritardare l’attacco olandese e poi a sorprendere la squadra con una flotta
superiore in numero ed equipaggiata di artiglierie, distruggendola totalmente.
Tonio Andrade ha dedicato pagine interessanti allo studio di Zheng Zhilong, mercantepirata che aveva iniziato la sua attività nel 1620 con il patrocinio olandese, agendo come loro
corsaro e creando un'imponente flotta dalle avanzate caratteristiche tecnologiche. 592 Secondo
concordanti testimonianze cinesi e olandesi, la sua flotta disponeva di navi dalle
caratteristiche ibride che implementavano elementi occidentali, come i cannoni disposti su file
lungo le fiancate, su una base di architettura navale asiatica.
Questa flotta era di tale efficacia da spingere gli ufficiali cinesi a farla passare al
servizio dell’Impero, garantendo un alto rango burocratico a Zheng in cambio del suo sforzo
per pacificare la costa. Con la copertura ufficiale Zheng poté dedicarsi all’eliminazione dei
suoi rivali commerciali, gli ex colleghi pirati.593 Il potere di Zheng Zhilong divenne tale da
permettergli di rimanere al servizio dei cinesi, stipulare accordi con gli olandesi e al contempo
avviare un lucroso commercio con Taiwan, creando un'ampia flotta commerciale che
primeggiava nella regione. «By the early 1640s, his flag flew over almost all Chinese ships
trading in and out of Fujian Province, the primary focus of Chinese foreign trade during this
period.» 594 Questa talassocrazia resse fino all’avvento dei Qing. Gli Zheng erano visti dai
nuovi dominatori come sostenitori della vecchia dinastia e non fu possibile un accordo. Il
successore di Zheng Zhilong, Zheng Chenggong approfittò del vuoto di potere per creare una
provincia sotto il suo controllo, formalmente legittimista. Questo stato fortemente marittimo
estese il suo potere a parte del Sud della Cina, costituendo una spina del fianco per i Qing.
592
Andrade Tonio, The Company's Chinese Pirates, Op. cit. , p. 430.
Ivi, p. 432.
594
Andrade Tonio, Beyond Guns Germs and Steel, Op. cit. , p 180-182.
593
171
Dopo aver subito alcune sconfitte, Zheng Chenggong decise di spostare le operazioni a
Taiwan, trasbordando una vasta armata e dando il via alla vicenda dell’assedio di Fort
Zeelandia di cui si è parlato nel paragrafo sugli assedi.595
In che modo le navi cinesi avevano tenuto testa agli olandesi? I cinesi vanificarono le
incursioni olandesi in tre modi: adottandone le artiglierie, copiando gli elementi di architettura
navale che le rendevano efficaci e opponendo agli olandesi il vantaggio del numero e delle
basi più vicine. Per quanto riguarda la tecnologia navale Zheng Zhilong fu certamente il
maggiore innovatore diffondendo, secondo fonti olandesi: il doppio ponte per le artiglierie,
l’affusto con quattro ruote e le catene per trattenere il rinculo dei cannoni. 596 Minor successo
ebbero i tentativi di creare navi più manovrabili. In mare aperto le navi olandesi, le migliori
dell’epoca, erano più rapide e governabili di quelle orientali, permettendogli manovre evasive
che compensavano il loro scarso numero. Per vincere i cinesi dovevano combattere sotto costa
o concentrare un gran numero di imbarcazioni, come nel caso dell'invasione di Taiwan.
Quindi, in un confronto diretto tra le forze navali cinesi ed europee, la tecnologia occidentale
costituiva un elemento di vantaggio ma il bilancio complessivo degli scontri indica che i
cinesi riuscivano a chiudere la distanza grazie al numero e a uno sforzo di adattamento.
3. 7. 6 Un bilancio della guerra navale in Asia.
Sia in Europa che in Asia l’interesse o il disinteresse degli Stati ha segnato il destino
della guerra navale. Oltre ad un atteggiamento culturalmente propenso all’espansionismo
navale e ai suoi annessi, nel controllare rotte e piazzeforti oltremare cruciale si rivela la
costante rincorsa della tecnologia. Gli Stati asiatici che dipendevano dalle entrate marittime,
come il regno degli Zheng o sul fronte dell’Oceano Indiano, il vincente Impero marittimo
dell’Oman, non risparmiarono gli sforzi per dominare le rotte commerciali e aggiornare
tecnologia e tattiche delle loro flotte, cogliendo numerose vittorie sugli europei. Lo stesso si
può dire del conflitto Imjin, vinto da flotte coreane e cinesi meno numerose di quelle
giapponesi ma tecnologicamente superiori, sia nella costruzione navale che nelle artiglierie, e
guidate da una strategia chiara e ben applicata.
595
Kolb è invece sempre poco convinto che questa vicenda dimostri le capacità militari dei cinesi. «The
expulsion of the Dutch from Taiwan can hardly be considered a great marine achievement either. The Dutch had
of two frigates and some smaller ships as well as 1,800 soldiers at Fort Zeelandia at their command, whereas
Koxinga's military power consisted of a fleet of at least 800 war junks and about 26,000, probably as many as
50,000 soldiers. The question why China did not enter into competition with the Iberic powers at sea in the 16th
century, "the absence of maritime power projection" is not sufficiently answered yet”» Kolb Raimund T,
Excursions in Chinese Military History, Op. cit.
596
Andrade Tonio, The Gunpowder age, Op. cit. , p. 205.
172
Per Andrade l'elemento cruciale da considerare è la capacità di ibridazione culturale
tra marine asiatiche e occidentali. Da un lato le flotte degli Zheng e degli Omani aggiornarono
le loro navi con le tecniche di costruzione e le artiglierie di tipo europeo e impiegarono
personale occidentale al proprio servizio. Dall’altro portoghesi e olandesi non potevano
muoversi nei mari asiatici senza le conoscenze navali dei locali e dovevano trovare un
accordo con i poteri formali e informali, come i pirati i mercanti locali, per inserirsi nel
commercio della regione. Gli studi sulle carte nautiche, l’uso della bussola e le tecniche di
navigazione evidenziano che non ci fossero grandi differenze tra le capacità dei marinai
asiatici ed europei fino al diciassettesimo secolo inoltrato.597
Come abbiamo visto ci sono valide interpretazioni che in questa fase storica il
vantaggio principale degli europei fosse organizzativo: il supporto statale al commercio sulla
lunga distanza. La possibilità di agire con poteri parastatali permetteva alla VOC e a suoi
epigoni di far valere con la forza i propri interessi a migliaia di km di distanza dalla
madrepatria. Nel Mar Cinese la sua presenza era troppo rarefatta per cogliere gli stessi
successi mietuti nell’Oceano Indiano, tuttavia la VOC si assicurò una posizione lucrativa, sia
con la forza che con la collaborazione con alleati locali. I fatti però dimostrano come gli
asiatici erano in grado di contrastare efficacemente gli occidentali quando se lo ponevano
come obiettivo.
La vicenda Zheng Chenggong costituisce un'interessante anomalia nella storia cinese:
uno stato marittimo cinese interessato a sostenere il commercio estero e il colonialismo per
acquisire risorse economiche con cui combattere la guerra contro i Qing sul continente. Anche
se alla fine sconfitto dai mancesi, batté gli olandesi e per circa vent’anni controllò il
commercio nel Mar Cinese con metodi simili a quelli che la VOC utilizzava nell’Oceano
Indiano. 598 Questa politica negava agli olandesi il loro principale vantaggio, il supporto
statale. Con la potenza della loro organizzazione e un'ideologia imperiale, gli Zheng
spodestarono gli olandesi da Taiwan. Dunque finché la Compagnia olandese si batté contro i
pirati prevalse, ma non riuscì a piegare un piccolo Stato che giocava la sua stessa partita.599
Quindi, in campo navale gli europei disponevano di un chiaro vantaggio sull’Asia
Orientale. Navi più grandi e manovrabili e potenti artiglierie navali furono percepite dagli
597
Timothy Brooks ha ricostruito l’origine e la tecnologia di una raffinata carta marittima cinese della prima
metà del 1600 che testimonia la notevole cognizione scientifica dei cinesi nel campo della navigazione, in Brook
Timothy, La mappa della Cina del signor Selden. Il commercio delle spezie, una carta perduta e il Mar Cinese
meridionale, Einaudi, Torino, 2016.
598
Timothy Brook, La mappa della Cina del signor Selden, Op. cit. , pp. 104-105.
599
Arrighi Giovanni, Adam Smith a Pechino, Op. cit. , pp 369-371.
173
stessi asiatici come segni della propria arretratezza. Inoltre la marineria europea cresceva
rapidamente come dimensioni e competenze, più rapidamente degli sforzi di adattamento
degli stati asiatici. La storiografia ha però progressivamente corretto l’immagine di un
assoluto e incontrastato dominio europeo fin dall’epoca di Vasco de Gama. Le forze europee
erano troppo piccole, le loro conoscenze troppo limitate per controllare realmente due oceani
in cui non mancavano i competitori navali autoctoni. Fino al diciannovesimo secolo, il
controllo su rotte e piazzeforti rimase precario.
Il maggior limite degli Stati asiatici fu certamente l’assenza di una politica navale
continuativa. Ogni volta che una potenza cercava con il commercio, la razzia o la guerra di
spostare gli equilibri a proprio favore, tendeva ad avvenire una fase di attivismo navale e di
progressi tecnologici. 600 Ma il conflitto navale nella regione non fu mai continuativo e i
lunghi periodi di pace erano visti dai governanti come un momento per dedicarsi a più
pressanti questioni interne piuttosto che al rafforzamento navale in vista di future minacce.
3. 8 Un conflitto dell’Età Moderna: la Guerra Imjin.
3. 8. 1 Alle origini dello scontro.
Le due invasioni giapponesi della Corea (1592-1594 e 1597-1598) note anche come
“Guerra Imjin” o “Imjin Waeran”, (La calamità giapponese del 1592), per i coreani,
“Campagna coreana di Wanli” per i cinesi e “Kara iri”, invasione della Cina, per i giapponesi,
sono state già indicate più volte come un feroce momento di scontro tra le forze coreane,
cinesi e giapponesi. Nonostante sia stato uno dei conflitti più importanti del sedicesimo
secolo, la Guerra Imjin è stata poco studiata in Occidente, per una serie di ragioni che vanno
dalla focalizzazione sui grandi eventi militari europei all’estrema difficoltà di padroneggiare
un immenso numero di fonti e letteratura secondaria in tre diverse lingue asiatiche, per finire
con il problema di orientarsi tra le molteplici interpretazioni offerte dagli studiosi asiatici,
ancora oggi ideologicamente orientate.601
600
«While the Chinese and Japanese eagerly sought the latest guns and handguns from the Europeans, their
warship designs languished. Despite the fact that every Chinese dynasty had to cross multiple rivers to create an
empire controlling north and south China, and therefore every successful dynasty was forced to create a riverine
navy at least temporarily, no Chinese dynasty ever required a sea-going navy. Blue-ocean navies were often
useful, as we will see during the discussion of the Japanese invasion of Korea, but not vital. Zheng He’s voyages
highlight the trade that existed, not a missed opportunity for China to have become a center of world trade.»
Lorge Peter, The asian military revolution, Op. cit. , pp. 77-78.
601
Kenneth M. Swope, Perspectives on the Imjin War, Journal of Korean Studies, vol. 12, no. 1, Fall 2007, pp.
154-155.
174
Questa guerra costituisce il maggior conflitto internazionale in senso classico dell’Asia
Orientale in Età Moderna, rappresenta un caso interessante di composizione di dinamiche
conflittuali all’interno del sistema tributario, un confronto tra forze militari dissimili ma
comparabili e uno spartiacque nella politica internazionale della regione e nelle dinamiche
delle sue Rivoluzioni Militari. Kenneth Swope l’ha definita non a caso “First Great East
Asian War”.
Le cause della guerra nascono da un insieme di problematiche interne al Giappone e limiti
della sua politica estera. Dopo la morte di Oda Nobunaga, il suo seguace Toyotomi Hideyoshi
era riuscito a sottomettere e a federare gli altri daimyo, ottenendo una posizione di supremazia
e il riconoscimento imperiale come Kampaku (cancelliere).
Tuttavia la sua posizione interna era precaria. I vari signori mantenevano la propria
base di potere regionale e mancavano risorse per compensare gli alleati più fedeli. La
popolazione contadina era irrequieta e armata e questo spinse alla prima “caccia alle spade”,
un’operazione di sequestro delle armi a tutti i non combattenti. 602 Allo stesso tempo il
Giappone era escluso dal commercio con la Corea e la Cina a causa della pirateria wakou e
dei tafferugli causati dai mercanti giapponesi nei porti cinesi. Con una legittimazione interna
incerta, la diplomazia non riusciva a ricucire il tradizionale rapporto tributario.603 Il mancato
riconoscimento diplomatico da parte della Corea, a cui Hideyoshi chiedeva un matrimonio
dinastico, e della Cina, che visti gli scarsi contatti diplomatici non riuscivano ad identificare la
struttura del potere del Giappone, erano uno smacco politico per il Kampaku. Al contempo
Hideyoshi voleva un riconoscimento della propria potenza personale sia dagli Stati della
regione che dagli Europei, da cui sperava di ottenere nuove tecnologie. 604 Una guerra
all’estero avrebbe potuto dare un impulso al commercio, riaffermare la sua autorità e
aumentare l’orgoglio dei giapponesi.605
Questo insieme di ragioni spinsero Hideyoshi a concepire l'ardito piano di scatenare un
conflitto egemonico, convogliare le risorse di un Paese estremamente militarizzato verso
l’esterno con l'obiettivo di conquistare la penisola coreana e usarla come base per la conquista
602
Berry Mary Elizabeth, Hideyoshi, Op. cit. , pp. 102–106.
«In order to distinguish himself further from his rivals and underline his position as the supreme authority, he
sent emissaries to neighboring Asian states, including the Philippines, Thailand, the Ryukyus, Taiwan, and
Korea (and even Portugal), seeking tribute and recognition of his status as the legitimate ruler of Japan. While
officials in many of these states were at least cautiously respectful, the Koreans openly questioned Hideyoshi’s
rank and status and steadfastly refused to treat him as the equal of the king of Korea». Swope Kenneth, A
dragon’s Head, Op. cit. , p. 52.
604
Berry Mary Elizabeth, Hideyoshi, Op. cit. , p. 213.
605
Hur N. , The International Context of Toyotomi Hideyoshi’s Invasion of Korea in 1592: A Clash between
Chinese Culturalism and Japanese Militarism, Korea Observer 28. 4 (Winter 1997): 697–98.
603
175
della Cina stessa e, in prospettiva, dell’India.606 In questo modo avrebbe potuto costringere i
suoi rivali giapponesi a consumare le proprie risorse militari, rafforzando la posizione del suo
clan. 607 Il motivo economico era sicuramente importante, da leggersi come volontà dei
giapponesi di creare nuove relazioni commerciali e per estensione diplomatiche centrate sul
proprio paese.608 Non è improbabile che la sua ostilità ai cristiani lo abbia spinto a mettere il
peso maggiore dello sforzo bellico su alcuni daimyo cattolici. Non mancava una motivazione
ideologica: la vittoria su Cina e Corea avrebbe legittimato il Giappone come potenza divina
portatrice di ordine mondiale.609
Commercio, egemonia, riconoscimento nel sistema internazionale dell’Asia si
intrecciano inestricabilmente, come dimostra il fallimento delle trattative di pace tra i due
conflitti. 610 L’impossibilità di trovare una formula soddisfacente per le parti che permettesse
ai cinesi di riconoscere a Hideyoshi un titolo adeguato ma in una posizione subordinata
all’Imperatore cinese e di permettere ai giapponesi di far riprendere i commerci senza ritirarsi
completamente dalla Corea, si condusse a una serie di manipolazioni diplomatiche così gravi
da scatenare una seconda invasione.
Come dimensioni, quello coreano fu il maggior conflitto militare del sedicesimo
secolo. Fonti dettagliate e incrociabili indicano che giapponesi mobilitarono oltre 300.000
uomini inviandone in Corea 150.00 durante la prima e 14.000 per la seconda invasione. I
Ming inviarono corpi di spedizione di 40.000 e quindi 100.000 uomini, mentre avevano altre
centinaia di migliaia di soldati impegnati su altri fronti. Il numero di coreani coinvolti è più
difficile da stimare ma nell’ordine delle decine di migliaia. I tre eserciti erano equipaggiati in
proporzione variabile ma massiccia di armi da fuoco, nella media del livello tecnologico
dell’epoca.
606
«At any rate Hideyoshi was supremely confident of victory and drew up detailed plans for his conquest. The
Japanese emperor would be ensconced in Beijing. The ten prefectures around the capital would be set aside for
maintaining the Japanese royal family. Hideyoshi’s heir would be established as kampaku of the new empire in
China while another daimyo would assume that title in Japan. Hideyoshi himself would assume the role of
retired regent and tend to affairs from Ningbo, [-] The other military leaders were to extend their holdings by
further conquests in Asia.» Swope Kenneth, A dragon’s Head, Op. cit. , p. 64.
607
Elisonas George, The inseparable trinity: Japan's relations with China and Korea in J. McClain (Author) &
J. Hall (Ed. ), The Cambridge History of Japan,). Cambridge: Cambridge University Press, 199, pp. 235-301
608
Hideyoshi riteneva che ristabilire commerci legittimi fosse un passaggio verso la loro manipolazione e
l’egemonia regionale, ma questa visione rigettava completamente l’ordine sinocentrico e lo spingeva ad una
guerra per abbatterlo. Kang Etsuko Hae-jin, Diplomacy and Ideology in Japanese-Korean Relations: From the
Fifteenth to the Eighteenth Century, St. Martin’s, New York, 1997, pp. 84–85.
609
Ooms Herman, Tokugawa Ideology: Early Constructs, 1570–1680, Princeton University Press, Princeton,
1985, p. 44.
610
Stramigioli, Giuliana, Hideyoshi’s Expansionist Policy on the Asiatic Mainland, Transactions of the Asiatic
Society of Japan, 3rd ser. (December 1954), pp. 96-97.
176
Nel caso del Giappone queste dimensioni sono rivelatrici del grande impulso
modernizzatore che era stato favorito dal Rivoluzione Militare, con la concentrazione di forze
sempre più numerose in centri di potere sempre meno dispersi, seguito dalla crescita di una
struttura amministrativa, favorita tra le altre cose dal livello insolitamente alto di
alfabetizzazione, e la capacità di un rinato Governo centrale di avviare grandi programmi di
costruzioni navali e di fabbricazione di armi da fuoco.611
Per la Cina sono indicative la capacità di adottare soluzioni creative per contrastare il
grave decadimento delle capacità militari di inizio ‘500, affiancando mercenari alle truppe di
soldati dalla professione ereditaria e dando autorità ai comandanti dell’esercito.612 La capacità
dei Ming di destinare enormi somme alla guerra e al sostegno dell’alleato, di mobilitare e
spostare truppe a migliaia di chilometri, mentre al contempo si organizzava una campagna
navale e venivano affrontate altre campagne militari, testimonia la grande capacità
amministrativa.
Nel combattimento terrestre le armi bianche furono ampiamente utilizzate ma il
conflitto venne deciso tatticamente dalla disponibilità di armi da fuoco. I giapponesi
primeggiavano nell’uso degli archibugi sia per il numero che per la tattica utilizzata, mettendo
inizialmente in gravissima difficoltà i coreani che pur dotati di artiglieria usavano poche armi
portatili. I cinesi disponevano ampiamente di archibugi e le truppe delle province meridionali
pareggiavano l’abilità dei giapponesi nel loro uso, ma soprattutto primeggiavano
nell’artiglieria, infliggendo gravi perdite ai giapponesi sul campo e negli assedi. Alla ripresa
del conflitto nel 1597, i cinesi schieravano oltre mille pezzi di artiglieria per il loro 40.000
uomini con enormi riserve di polvere e proiettili di varie dimensioni.613
Questa guerra ha caratteristiche quindi particolarmente moderne: grandi eserciti di
fanteria coscritta, primato delle armi da fuoco, rapida curva di apprendimento tecnologico,
enormi sforzi logistici, che la accomunano ai conflitti europei dello stesso periodo. L’uso
delle armi d fuoco era almeno in parte asimmetrico, con i giapponesi più a loro agio con gli
archibugi e i cinesi e i coreani con l’artiglieria pesante. Per Peter Lorge «Guns became more
611
Tra le riforme di Hideyoshi si annoverano catasto, censimento, organizzazione del Paese in Han che
permisero una tassazione sistematica. Berry Mary Elizabeth, Hideyoshi, Op. cit. , pp. 111–118.
612
« In light of the deplorable state of the Ming military by the mid-1550s, its revival from 1570 to 1610 is truly
remarkable [-]. Wanli was pivotal in making both policy and strategic decisions in these operations. His success
was grounded in the appointment of competent military officers to key posts and in retaining them even when
jealous civil rivals impeached them for trivial offenses. Wanli also repeatedly bestowed the ceremonial doubleedged sword (bao jian) upon commanders in the field, giving them full authorization to do as they saw fit
without having to memorialize the throne first.» Swope Kenneth, A Dragon's Head and a Serpent's Tail, Op. cit.
, p. 22.
613
Swope Kenneth, The three Great Campaigns of the Wanli Emperor, 1592--1600: Court, military, and society
in late sixteenth-century China, Phd Dissertation, pp. 346-347.
177
important over the course of the conflict, though each side tended to emphasize its manner of
gun use, rather than adopt the methods of its opponents. This was not necessarily the
paralyzing effect of a given group’s military culture; all sides could point to victories won
using their particular methods. Neither side felt compelled to revise its technology, only its
tactics.»614
Il conflitto non si limitava a coinvolgere i tre contendenti ma tutti gli Stati della
Regione: i giapponesi cercarono di ottenere navi e appoggi dai portoghesi e dagli spagnoli. Il
regno insulare delle Ryukyu si trovò tirato tra le richieste giapponesi e la lealtà alla Cina, La
Cina inviò richieste di aiuto a vari stati tributari, ottenendo dal Siam addirittura una proposta
di invasione congiunta del Giappone.615
Alla fine del conflitto la sconfitta dei giapponesi fu totale, e furono costretti a evacuare
tutte le residue forze dalle piazzeforti conquistate nel Sud della Corea per sfuggire alla doppia
pressione sino-coreana sulla terra e sul mare. Il ruolo della flotta coreana e quindi degli alleati
cinesi fu importante nel togliere fiato alle truppe giapponesi ma non risolutivo. Lo stesso si
può dire della guerriglia coreana. Tuttavia la tesi che queste due da sole avrebbero potuto
logorare i giapponesi e convincerli ad abbandonare il paese non regge. L’intervento cinese e
l’opera di ammodernamento delle forze coreane da questo stimolate ebbero maggiore impatto
sul conflitto. Al contempo l'usura delle truppe giapponesi, impegnati a occupare un paese
ostile e devastato, ne ridusse progressivamente l’efficienza. La mancanza di un comando
unificato fu un altro limite dei giapponesi. Privi della guida di Hideyoshi che per vari motivi
non si recò mai sul campo, le forze navali e terrestri rispondevano a una serie di daimyo che
comandavano indipendentemente uno dall’altro. Il sistema permise una veloce avanzata, ma si
rivelò problematico ogni volta che si presentava la necessità di prendere decisioni delicate.
Che solo la morte di Hideyoshi abbia fermato la guerra che nel lungo periodo sarebbe
stata vinta dai giapponesi è una tesi che trova poche conferme, visto che la seconda invasione
era partita gli obiettivi più limitati di strappare alcune province alla Corea e già prima della
sua morte, di fronte agli scarsi risultati, molte truppe erano state ritirate. Non bisogna poi
sottovalutare la minaccia cinese di un'ulteriore escalation del conflitto. Il vanto di Wanli di
essere pronti a inviare un milione di soldati cinesi e di far intervenire tutti gli Stati tributari per
invadere il Giappone era un'esagerazione, ma i cinesi erano realmente preparati a inviare altre
614
Lorge Peter, From Gunpowder to the bomb, Op. cit. , p. 86.
Cho Hung-guk, The 1592 Japanese Invasion of Korea and Diplomacies of Siam and China, Journal of Asian
History, vol. 51, no. 1, 2017, pp. 87–102.
615
178
decine di migliaia di uomini in Corea, e Stati tributari distanti come il Siam avevano inviato
offerte di aiuto militare.
La reazione cinese nel conflitto è particolarmente rivelatrice. Il governo imperiale vide
chiaramente che la guerra era un tentativo di insidiare l’egemonia nella regione e reagì con
tutta la forza necessaria. Le letture tradizionali hanno sempre attribuito agli ultimi imperatori
Ming una fase di declino militare e la guerra di Corea fu una sorta di canto del cigno che
contribuì a depauperare le risorse del Paese, aprendo le strade all’invasione mancese. La
lettura più recente invece tende a leggere quello di Wanli come un momento di risorgimento
militare dei Ming, che vide vittorie contro tutte le minacce interne ed esterne. L’imperatore
era particolarmente avverso alle lotte tra fazioni e favorì importanti generali per superare la
lentezza e la mancanza di decisionismo della sua burocrazia. In effetti Wanli emerge come un
imperatore originale, convinto assertore dell’importanza della forza militare e più disponibile
di altri a fidarsi dei suoi comandanti sopra i funzionari civili.616
Le conseguenze del conflitto furono enormi. La Corea, anche se devastata dal
conflitto, riuscì a salvare la dinastia e gli archivi di Stato, e si vide riconfermata nel suo ruolo
di Stato vassallo più fedele alla Cina della dinastia Ming. 617 Il Paese avviò importanti riforme
militari che contribuirono a modernizzare l’amministrazione e la società. 618 Il Giappone si
trovò escluso per decenni da relazioni politiche e commerciali di alto livello con i suoi vicini e
ripiombò nelle lotte civili. La ferma volontà dei Tokugawa, vincitori del confronto, di
eliminare la base di potere dei Signori della guerra, avrebbe condotto il Paese verso la
creazione di strutture di Governo centralizzate e a una profonda smilitarizzazione della
società.
L’ordine sinocentrico sia a livello diplomatico che pratico era stato salvaguardato. Lo
shogunato non accettò l’offerta del titolo di “Re del Giappone”, che avrebbe implicato uno
status inferiore a quello dell’imperatore cinese, ma, nel 1635, fu possibile trovare un
compromesso con il titolo di “Signore Sovrano” del Giappone per le comunicazioni
diplomatiche con il Regno di Corea. Il commercio riprese ma senza stabilire contatti diretti
616
Dardess John W, Blood and History in China: The Donglin Faction and Its Repression, 1620–1627,
University of Hawaii Press, Honolulu, 2002, pp. 1–30.
617
Palais, James B. , Confucian Statecraft and Korean Institutions: Yu Hyongwon and the late Chŏson,
University of Washington Press, Seattle, 1996.
618
Park Eugene Y. , Between Dreams and Reality, Op. cit. , pp. 50–60.
179
con la Cina. Alla fine il Giappone rientrò nel sistema internazionale dell’Asia nella stessa
posizione ambigua rispetto all’egemone cinese che aveva sempre mantenuto.619
Per la Cina si è sostenuto che il conflitto accelerò il declino dei Ming e li rese incapaci
di affrontare la minaccia mancese, ma l’argomento mette insieme fenomeni di decenni
diversi.620 In realtà la guerra segnò il punto massimo di affermazione militare internazionale
nell’ambito delle tre campagne di Wanli, contro i Mongoli, i giapponesi e i ribelli del
Sichuan, riaffermando la Cina al centro del sistema tributario e spostando l’autorità dai civili
ai militari. 621 La minaccia dai manciuriani sarebbe arrivata circa due decenni più tardi e
avrebbe posto sfide di natura diversa.622
3. 9 L'ultima fase della Rivoluzione Militare Asiatica: l'imperialismo Qing.
La vicenda dell’ultima dinastia imperiale della Cina rappresenta un banco di prova
importante per gli studi di World History in quanto mette in discussione molti degli assunti
l'ascesa dell’Occidente. La storiografia del Novecento, cinese e occidentale, ha a lungo avuto
una cattiva opinione di questo periodo storico. La dinastia Qing veniva vista come una
ripetizione dell’esperienza mongola, causa della stagnazione del paese, e la sua ostinata
resistenza al risorgere del nazionalismo cinese una delle maggiori cause del Secolo delle
umiliazioni.
Questa lettura è messa in discussione su più livelli. A livello economico abbiamo visto
come il diciottesimo secolo fu un secolo di enorme sviluppo produttivo, caratterizzato da
crescita della popolazione, commercializzazione, rivoluzione industriosa, migrazioni interne.
La società dell’Impero vedeva certamente una gerarchia e tensioni etniche ma fino alla metà
dell’Ottocento il rapporto tra cinesi e mancesi e altri popoli dell’Impero fu più collaborativo
che ostile.
619
Toby Ronald, State and Diplomacy in Early Modern Japan: Asia in the Development of the Tokugawa
Bakufu, Stanford University Press, Stanford, 1984, pp. 39-41.
620
Hawley Thomas, The Imjin War, Op. cit. , pp. 565–67.
621
« Wanli had good reason to feel pride in his military accomplishments during the 1590s. Despite the partisan
struggles that subsequently engulfed his court and bureaucracy, the emperor continued to patronize his favorite
military officials. [-] He managed to rouse himself somewhat for the Liaodong campaign, involving many of his
old favorites, including Yang Hao, Liu Ting, and Li Rubo. By this time it may have been clear that the military
capabilities of the late sixteenth century were a thing of the past. Rather than attempting cooperation to re-create
these successes, Ming officialdom became even more divided, with no official capable of uniting the bickering
factions ever emerging». Swope Kenneth, A Dragon's Head and a Serpent's Tail, Op. cit.
622
Kye, Seung B. , An Indirect Challenge to the Ming Order: Nurhaci’s Approaches to Korea during the Imjin
War, 1592–1598 in Chung Doo-hee, Transnational History of the Imjin Waeran, 1592-1598, Humanist Books,
Seoul, 2007, pp. 423-429.
180
A livello internazionale l’Impero colse un risultato epocale: la totale sottomissione dei
nomadi mongoli e centroasiatici, parte del processo che Bayly ha definito “la grande
domestificazione” cioè la definitiva sottomissione delle popolazioni tribali delle aree
marginali da parte delle civiltà urbane che si avvia su scala globale nel diciottesimo secolo.
Sotto il dominio Qing la Cina non comprendeva solo i territori già Ming e la Manciuria ma si
espanse sulla Mongolia interna ed esterna, il Xinjiang, aree del Kirghizistan, della Siberia e il
Tibet oltre ad annettere Taiwan e raggiungere uno dei più alti livelli come numero di tributari
nella storia cinese. Un’operazione che deve molto del suo successo all’abile diplomazia e
strategia dei Qing, alla creatività dell’ideologia e alla flessibilità delle forme di dominio, ma
che non sarebbe stata possibile senza elementi della Rivoluzione Militare interni alla Cina, in
particolare armi da fuoco, sistema delle Bandiere e avanzamenti nella logistica.
3. 9. 1 La sconfitta dei Ming.
La caduta dei Ming è stata variamente letta come una conseguenza del ciclo dinastico,
l’effetto della crisi del Seicento o causata da cattive decisioni politiche militari. 623 La prima
spiegazione riprende i problemi classici della legittimazione imperiale basata sul benessere
del popolo. Alla fine del sedicesimo secolo il governo Ming era in grave difficoltà vista la
distanza della Corte dalla propria burocrazia e dal governo del paese. Contemporaneamente il
cambiamento climatico di inizio seicento causò irreparabili problemi ecologici riducendo la
produzione agricola a fronte di una popolazione estremamente cresciuta in numero.
La crisi agricola cinese era peggiorata a causa dell’inflazione causata dalla
partecipazione al sistema commerciale internazionale. La Cina Ming era divenuta un
esportatore di seta e porcellane verso il mercato europeo incamerando una quota notevole
dell’Argento del Nuovo Mondo. La diminuzione delle importazioni di argento, causata dalla
crisi del potere spagnolo, colpì gravemente una economia che si era ampiamente
commercializzata e monetizzata. Questo causò una crisi generale della fiscalità dell’Impero
rendendo difficoltosa l’azione amministrativa e militare.624 Le rivolte contadine, scatenate dal
combinarsi di disastri naturali, incuria del governo nella gestione delle risorse naturali e dallo
623
La tesi delle motivazioni profonde per la caduta dei Ming in Huang Ray, 1587, A Year of No Significance:
The Ming Dynasty in Decline, Yale University Press, New Haven, 1984.
624
«First and greatest among the fiscal problems was the fact that the Ming state never borrowed – a practice that
greatly reduced flexibility in times of crisis, since expenditure could be funded only from current revenues,
instead of being spread over several years (as in western Europe). This placed an enormous premium on the
efficient collection of the land tax, the Ming government’s main source of revenue; but by the 1630s, the
distribution of this tax had become extremely uneven.» Parker Geoffrey, Global Crisis: War, Climate Change
and Catastrophe in the Seventeenth Century, Yale University Press, New Haven, 2013, p. 119.
181
spostamento di derrate per affrontare le carestie, si combinarono con l’invasione di un popolo
centroasiatico, i manciuriani.625
« The history of the expansion of the Manchu empire on the northeast border, the
history of the most massive rebellions to wash over China since the fourteenth century, the
history of the disintegration of the Ming state, and the history of a major climate episode.
Different in the stories they tell, they overlap and together constitute the same history.»626
Non solo la carestia mise in moto una serie incontrollabile di rivolte contadine ma spinse i
mancesi, fino a quel momento tributari della Cina, ad attaccare l’Impero, sotto la guida del
leader federatore Nurhaci.
Non meno grave fu la crisi della leadership. Abbiamo visto come l’Imperatore Wanli
avesse lavorato con successo nella prima parte del suo regno ad un risorgimento militare, ma
la gravissima sconfitta di Sarau, causata dalla maggior mobilità dei mancesi, che spinsero i
generali Ming a dividersi e poterono distruggerne separatamente le forze, indica che i
progressi nella leadership e nell’addestramento non avevano avuto effetti permanenti.
Kenneth Swope attribuisce le maggiori sconfitte dei Ming al fazionalismo dei burocrati che
impedì di seguire delle strategie coerenti, assegnando il personale giusto ai fronti più caldi.
Alcuni degli ufficiali più abili e innovatori, come Yuan Zhonghuan, sostenitore dell’uso
dell’artiglieria e vincitore della battaglia di Ningyuan, l’ultima importante vittoria dei Ming
sui mancesi, caddero vittima delle lotte interne e furono giustiziati o inviati in missioni
suicide.
Al contempo le rivolte contadine causarono un processo di privatizzazione della
violenza. Le comunità locali si organizzavano per l'autodifesa, arrivando a produrre armi da
fuoco per difendere le città. Questo potenziale viene ignorato dal governo che si trovava a
dividere le sue forze tra i mancesi e l’armata contadina del pretendente dinastico Li Zicheng.
Una serie di disastrosi spostamenti di ufficiali nel regno dell’ultimo Imperatore causò la
sconfitta su entrambi i fronti.627
3. 9. 2 Vittoria Qing: tecnologia e organizzazione.
Resta aperta la questione se la caduta dei Ming sia stata causata più dall’abilità dei
leader mancesi, come ipotizza la tesi di Fredrik Wakeman, o dagli errori dei Ming, la più
625
Wakeman Frederic, The great enterprise, Op. cit. , pp 11-15.
Brook Timothy, The Troubled Empire: China in the Yuan and Ming Dynasties, Belknap, Cambridge, 2013,
pp. 254–55.
627
Swope Kenneth, The Military Collapse of China's Ming Dynasty, Op. cit. , pp 1618-44.
626
182
recente interpretazione di Kenneth Swope. In ogni caso il successo dei Mancesi dipese da due
elementi connessi: la capacità passare da un esercito pre-moderno a uno moderno integrando
reparti cinesi, l’uso dell'artiglieria e l’abilità nel delineare un'ideologia imperiale inclusiva con
cui porre i manciù al vertice dell’Impero integrando le élite cinesi e mongole.
I mancesi iniziarono il conflitto contro i Ming con un esercito di tipo pre-moderno,
anche se molto mobile e disciplinato e basato su arcieri a cavallo, ma nei 25 anni che
intercorsero tra la vittoria di Sarhu del 1619 e la conquista di Pechino l'esercito evolvette in
una struttura moderna, di pari passo con le capacità amministrative dello stato mancese. In
passato si è dato eccessivo peso alle qualità di cavalieri dei mancesi, che non erano neanche
un popolo nomade, sostenendo che i Ming vennero battuti da un avversario tecnologicamente
inferiore.628
I mancesi affrontarono truppe cinesi e coreane equipaggiate di artiglieria e moschetti a
Sarhu, ma li sconfissero con la velocità delle loro manovre (i fanti nemici erano appesantiti
dagli armamenti e rallentati dai tempi di ricarica).629 Riconobbero rapidamente il valore di
queste armi e reclutarono i primi reparti di archibugieri tra i cinesi delle regioni occupate.
Anche la strategia difensiva cinese venne impostata sugli artiglieri, con la fabbricazione di
nuovi pezzi in stile occidentale e la fortificazione delle città di frontiera. Questa si rivelò
inizialmente efficace: la maggior diffusione dei pezzi e il miglior addestramento permisero di
cogliere diverse vittorie difensive come quella di Ningyuan, visto che i mancesi non avevano
ancora assimilato le tecniche di assedio.
In risposta i mancesi attivarono vari canali per formare corpi di artiglieria atti a
sostenere gli assedi. Questi sforzi si riaprono nell’assedio di Dalinghe nel 1631: la città venne
circondata da una serie di fortificazioni e sottoposta a un bombardamento massiccio,
costringendo i difensori ad avventurarsi in campo aperto dove vennero annientati. A questo
punto i mancesi avevano sviluppato autonome capacità di fornitura e di addestramento, ma il
vantaggio più rilevante venne dalla politica di inclusione delle truppe cinesi che defezionano
dall’esercito Ming nell'armata mancese.630
L’ascesa dei Qing può essere letta come una conferma del modello della Rivoluzione
Militare: integrando le armi da fuoco e la fanteria (ma senza abbandonare i vantaggi del
proprio sistema) e creando capacità amministrative e produttive i Qing colmarono lo
628
Di Cosmo Nicola, Did guns matter? Firearms and the Qing formation in Struve Lynn A. , The Qing
formation in World Historical time, Harvard University Press, Cambridge, 2004, p. 126.
629
Ivi, p. 136
630
Wakeman Frederic, The great enterprise, Op. cit. , p. 199.
183
svantaggio rispetto ai Ming. La società mancese fu cambiata dalla Rivoluzione Militare e
dalla necessità di sviluppare strutture per governare i territori conquistati. Il sistema delle
Bandiere introdotto da Nurhaci che organizzava i clan mancesi in 8 Bandiere con funzioni
militari e amministrative venne esteso ai mongoli e ai cinesi che si erano alleati nella
conquista, e gli venne affiancato un esercito territoriale, composto da cinesi, l’Armata del
Vessillo Verde.
La lezione sull’importanza dei cannoni non venne dimenticata dagli Imperatori Qing.
Abbiamo visto come l’artiglieria disegnata da Verbiest fu fondamentale nel domare la rivolta
dei Tre Feudatari, che vide un uso massiccio di cannoni pesanti e leggeri e moschetti, sul
campo e negli assedi. Curiosamente, se nella prima parte della fase di conquista e della vita
dell’Impero l’artiglieria era concentrata nelle mani dei soldati cinesi nella seconda vennero
fatti grandi sforzi per spostare le armi migliori alle truppe delle Otto Bandiere, ritenute più
fidate. In maniera simile alla politica dei britannici in India, che dopo la rivolta dei Sepo
riservarono i reparti di artiglieria a soldati europei.
In maniera simile ai Ming, venne creato un ufficio centralizzato per gestire la
produzione di cannoni e moschetti. Per tutto il diciassettesimo secolo l’artiglieria Qing rimase
tecnologicamente all'avanguardia, mentre il secolo successivo, meno bellicoso, vide dei
progressi molto più ridotti.631
3. 9. 3 L’ideologia militare dei Qing.
Uno degli elementi più rappresentativi della dinastia Qing fu il suo marcato carattere
militare e imperialista. La diplomazia e le armi ampliarono il controllo diretto e indiretto della
Cina su Siberia, Mongolia, Asia Centrale, Tibet e Taiwan e spedizioni militari intervennero in
Birmania, Vietnam e Nepal. Una lettura tradizionale degli eventi è quella di evidenziare la
differenza tra dinastia Qing, affine ai Mongoli e quindi conquistatrice, e dinastie cinesi
“pacifiste”. Abbiamo visto come questa sia una posizione ideologica, anche solo il confronto
con la precedente dinastia Ming non supporta l’idea che le dinastie cinesi fossero pacifiste.
Le maggiori differenze tra Ming e Qing sono da un lato il maggior successo dei
secondi, per effetto della Rivoluzione Militare e amministrativa, dall’altro il loro grande
sforzo propagandistico che faceva parte di una strategia culturale di promozione delle virtù
militari, portata avanti coerentemente per tutta la dinastia.
631
Waley-Cohen Joanna, China and Western Technology in the Late Eighteenth Century, The American
Historical Review, vol. 98, no. 5, 1993, pp. 1531, 1537-1539.
184
A dimostrazione della sofisticazione culturale dei mancesi, intrisi di mentalità
centroasiatica e influenzati dalla cultura cinese, si può citare il documento delle “Sette
Lamentazioni”, dichiarazione di guerra con cui Nurhaci giustificò l’apertura delle ostilità
verso i Ming. Il testo è un arguto insieme di argomentazioni che piega gli elementi di
un'ideologia conquistatrice tipica dei popoli altaici e quelli del Mandato del Cielo cinese, per
giustificare l’attacco alla Cina e in prospettiva la sua conquista. 632 Nicola di Cosmo ha
spiegato come il documento faccia parte di una cultura militare complessa capace di
sviluppare una teoria della guerra giusta e un preciso “ius in bello”, violento ma rigoroso nel
trattamento degli avversari, che contribuì a facilitare le campagne militari. 633
Questo elemento di legittimità, l'assumere il Mandato del Cielo, convivrà per tutto
l’Impero con l'idea di un popolo conquistatore, permettendo ai mancesi di vedersi come primi
tra i popoli componenti l'Impero ma al contempo di cooptare le élite cinesi, mongole, tibetane,
uigure nell’amministrazione e nell’esercito.
634
Questa politica proseguì nel tempo
accompagnata da una precisa strategia culturale di promozione delle virtù marziali. Gli studi
di Joanna Waley-Cohen hanno evidenziato come dalla Corte mancese emanasse una politica
volta a glorificare l'ethos marziale. 635 Questa era una strategia propagandistica volta a
mantenere la legittimità della dinastia a capo del suo Impero multietnico. 636 I Qing
commemorano le loro numerose campagne militari con steli, tavolette votive, rituali e parate
di Corte, ritratti, cronache e rappresentazioni visive delle battaglie. La fruizione di queste
opere non era limitata all’élite, ma raggiungeva, grazie alla stampa e alla riproduzione, in
serie più ampi strati della popolazione.
Dalla valutazione del messaggio di queste opere emerge il tentativo di dare maggiore
importanza alla cultura delle armi in una maniera accettabile alla mentalità cinese, integrando
la gloria militare che i Qing vantavano come una legittima prosecuzione della storia
dell’Impero della Cina. Al contempo queste forme di propaganda mantenevano il contatto con
le altre culture centroasiatiche dell’Impero e rafforzavano l’immagine di sé dell'élite militare
632
Di Cosmo Nicola, Nurhaci’s Gambit. Sovereignty as Concept and Praxis in the Rise of the Manchus in Benite
Zvi Ben-dor, Geroulanos Stefanos, Jerr Nicole, The Scaffolding of Sovereignty, Columbia University Press, New
York, 2017.
633
Di Cosmo Nicola, La ‘guerra giusta’ nella conquista mancese della Cina, Nuova Rivista Storica 93, no. 2
(2009): 449–76.
634
«The entirely different strategy pursued in relation to the Mongols reveals the complexity of establishing
Nurhaci’s legitimate rule over a people divided into many “nations” (some of them just as strong as the
Manchus) over which he could not produce any credible political claim» Di Cosmo Nicola, Nurhaci’s Gambit,
Op. cit. , p. 117.
635
Waley Cohen Joanna, The Culture of War in China: Empire and the Military Under the Qing Dynasty,
Tauris, Londra, 2014.
636
Green Colin, The Culture of War in China: Empire and the Military Under the Qing Dynasty by Joanna
Waley-Cohen, Pacific Affairs, vol. 80, no. 3 (Fall, 2007), p. 508.
185
come società separata. Il messaggio doveva superare entrambe le culture e rappresentare una
cultura militare unitaria dell’Impero, a cui gli Imperatori davano la stessa importanza della
glorificazione dei loro sforzi in campo civile. I Qing cercavano così di mantenersi legittimi
imperatori cinesi senza perdere quei tratti marziali che avevano garantito la loro conquista.
Affascinante per gli studi transculturali è lo sforzo che viene richiesto ai Gesuiti, in
particolare la creazione di una serie di scene battaglia stampate su rame. I gesuiti Castiglione,
Attiret, Sichelbarth e Sallusti, su richiesta dell’imperatore Qianlong, produssero sedici
rappresentazioni raffiguranti vittoriosi episodi militari, nello stile dell’incisore Georg Philipp
Rugenda, ammirato dal sovrano. Dato che la tecnica dell’incisione su rame era poco
sviluppata in Cina, la realizzazione delle lastre fu fatta a Parigi mentre le stampe vennero poi
prodotte a Pechino, seguite da nuove raffigurazioni nella stessa tecnica, appresa dai cinesi, per
un totale di sessantaquattro scene.637
Questo sforzo propagandistico ha avuto degli effetti di lungo periodo contribuendo
insieme alla militarizzazione della società tra Ottocento e Novecento, e a cambiare la
considerazione dei cinesi nei confronti della guerra. Sia il Governo tardo imperiale, che il
Kuomintang e il Partito Comunista, costruirono la loro base di potere sulle forze armate,
dandogli un ruolo privilegiato nello Stato e nella cultura, ruolo che permane ancora oggi. 638
3. 9. 4 La logistica e la conquista dell'Asia Centrale.
Lo sviluppo tecnologico, l’organizzazione professionale degli eserciti e l’ideologia
imperiale non sono sufficienti a spiegare il grande successo dei Qing nel diciottesimo secolo.
Due elementi di grande importanza furono senza dubbio l’abile e coerente strategia
complessiva e le capacità diplomatiche dei Qing. « Qing were the first dynasty with its base in
the heartland of China to pursue consistently relentless expansion into Inner Asia. [-] The
Manchus, many of whom had close kinship links to the Eastern Mongols, understood the
dynamics of steppe politics far better than their Han co-partners. In addition to military
637
Naquin Susan, Joanna Waley-Cohen: The Culture of War in China: Empire and the Military under the Qing
Dynasty, Bulletin of the School of Oriental and African Studies 70(02):442 – 443.
638
« While two centuries of relative weakness led outsiders to view Chinese civilization and culture as
essentially amilitary in character, Waley-Cohen reminds us of counterbalancing military traditions that are just as
deeply rooted in the formative period of the modern Chinese state.» McCord Edward A. , The Culture of War in
China: Empire and the Military under the Qing Dynasty by Joanna Waley-Cohen, The International history
review 29(3):600-601.
186
campaigns, they pursued a brilliantly successful diplomatic campaign to divide and conquer
the rival Mongol tribes.»639
Tuttavia il singolo elemento più rilevante per spiegare il maggior successo dei Qing, cioè la
definitiva sottomissione dei nomadi centroasiatici, è stata la loro abilità logistica,
probabilmente la maggior capacità di organizzare lo spostamento di materiali bellici via terra
prima dell’Età Industriale.
La Cina aveva una grande tradizione nell’organizzazione statale dei trasporti. Il
governo imperiale dette sempre importanza al mantenimento di un'estesa rete di
comunicazione creando strade e sfruttando le vie d’acqua naturali o i canali. In Età Moderna
questo contribuì a favorire le migrazioni interne e la commercializzazione dei prodotti oltre a
permettere lo stoccaggio di derrate alimentari nei depositi governativi per contrastare le
carestie e la fluttuazione dei prezzi.640 Questa attenzione dedicata alla logistica fu anche un
grande vantaggio militare.
All’opposto, l’imprenditoria privata fece la parte del leone nel rifornire e armare gli eserciti in
Europa. Gli sforzi dei Governi furono prevalentemente di standardizzazione e di controllo
della qualità. Solo in ambito navale gli Stati cercavano di condurre direttamente le operazioni
di produzione.
In Cina invece queste operazioni furono sempre gestite dai Governi centrali e
regionali. Una scelta in alcuni campi obbligata, come quello dell’allevamento dei cavalli,
necessari a contrastare la minaccia nomade. Ogni volta che il Governo cinese trascurava i
programmi di allevamento finiva per trovarsi pericolosamente sprovvisto di cavalcature, dato
che l’allevamento privato non ne produceva in numero e qualità adeguate. In altri casi, come
quello della fusione di armi bianche e cannoni, l'intervento statale serviva a mantenere un
monopolio assoluto della violenza. Come abbiamo visto in precedenza è ormai veramente
difficile sostenere che questo sia stato un segno di arretratezza o che abbia ridotto
l’innovazione tecnologica: le fonderie statali fornivano migliaia di pezzi di artiglieria e i
letterati erano sensibili alla sperimentazione, all'importazione di modelli e istruttori
occidentali e all'ibridazione con tecnologia cinese.
Anche la logistica era interamente gestita dallo Stato. A differenza dell’Europa nello
stesso periodo, dove i numeri e la struttura degli eserciti fluttuavano a seconda della necessità,
la Cina manteneva armate da centinaia di migliaia di uomini anche in tempo di pace. Per
639
Perdue Peter, Military Mobilization in Seventeenth and Eighteenth-Century. China, Russia, and Mongolia,
Modern Asian Studies 30, no. 4 (1996), p. 771.
640
Wong R. Bin, Perdue Peter, Famine's foes in Ch'ing China, Harvard Journal of Asian Studies, vol. 43, no. 1
(une 1983), 291-332.
187
provvedere al sostentamento dei soldati, sia i Ming che i Qing nelle prime fasi del loro
dominio, impostarono sistemi che vedevano l’esercito come una società separata, i soldaticoloni Ming e le Bandiere Qing, dotata di risorse proprie in termini di risorse agricole con cui
sostenersi. 641 La logica politica di questo approccio si scontrava però con l’inefficienza di
avere truppe impegnate in attività produttive piuttosto che militari, oltre a essere inefficiente
per via delle frodi. Sotto entrambe le dinastie progressivamente truppe assoldate si
affiancarono ai soldati-contadini ereditari, rifornite dal Governo con denaro e viveri acquisiti
tramite la fiscalità.642
Oltre al mantenimento ordinario il principale problema logistico della Cina era quello
di condurre campagne militari nelle aree remote dell’Asia Centrale e della Siberia. Nel corso
dei millenni diverse campagne militari volte a sottomettere i nomadi erano regolarmente
fallite per l’impossibilità di mantenere armate da decine di migliaia di uomini in aree povere
di risorse. Solo la dinastia T’ang era riuscita a stabilire un dominio in Asia Centrale,
comunque ricca già all’epoca di centri urbani. Durante la dinastia Ming erano state portate
avanti le Cinque grandi campagne dell'Imperatore Yongle, con enormi mobilitazioni di
uomini e mezzi e la sottomissione di molti capi mongoli, ma senza risultati duraturi.
Il problema ruotava intorno al fatto che le armate nomadi più piccole, altamente
mobili, potevano continuare a evitare la scontro frontale, spostare l'intera popolazione e
sopravvivere delle loro risorse di bestiame fino all'esaurimento delle risorse di cibo
dell’esercito invasore, combattendo con tattiche di guerriglia fino a che l’esercito nemico non
era indebolito o sbandato, ed esposto ad un colpo decisivo. Estendere linee di rifornimento per
migliaia di chilometri era estremamente costoso e militarmente insensato, dato che le
esponeva al saccheggio. Le armate erano quindi limitate a pochi mesi di operatività con il
cibo che potevano trasportare e proteggere.
I cinesi trovarono più conveniente controllare i nomadi stabilendo relazioni tributarie,
rifornendo di beni essenziali alcuni capi e manipolando le rivalità tra i barbari a proprio
vantaggio. L’alternativa era la costruzione di muraglie, anche se in realtà si trattava di sistemi
di muri, terrapieni, fossati e città fortificate lungo la frontiera.643 Completata la conquista della
Cina i Qing si dedicarono all'espansione in Asia Centrale. Le prime campagne organizzate
641
Sabattini Mario, Santangelo Paolo, Storia della Cina, Laterza, Bari, 2007, pp. 506-511.
Santangelo Paolo, L’Impero del mandato Celeste. La Cina nei secoli XIV-XIX, Laterza, Bari, 2014 pp. 178,
179-81, 203.
643
Waldron, Arthur, The Great Wall of China: From History to Myth, Cambridge University Press, Cambridge,
1990.
642
188
dall'Imperatore Kangxi contro l'Impero degli Zungari di Galdan, l’ultima grande formazione
statale dei nomadi della steppa, restarono incastrate nello stesso meccanismo. Solo i suoi
successori affrontarono il problema alla radice con l’edificazione di un complesso sistema di
magazzini e vie di rifornimento.644
Il cibo veniva importato da aree anche distanti dal Nord della Cina e trasportato ad un
costo altissimo (fino a 10 volte quello originale) oltre la Grande Muraglia. Questo permise di
fornire decine di migliaia di uomini delle Bandiere e dell'Armata del Vessillo Verde per anni,
pressando gli avversari nomadi fino all'esaurimento delle loro risorse. La sottomissione dei
Mongoli fa parte di questo processo: i Qing si presentarono come moderatori dei conflitti e si
guadagnarono il supporto di vari dei loro gruppi.
Quelli che volevano sfuggire al loro dominio o a quello degli Zungari si rifugiavano
nelle aree più remote della steppa ma la scarsità di risorse finiva per spingere alla
sottomissione e all'integrazione nelle forze Qing.645 Nel conflitto tra i tre Imperi: Russo, Qing
e Zungaro per il dominio dell’Asia Centrale, i primi due poterono sfruttare commercio e aiuti
alimentari per strappare alleati al terzo.646 Anche se gli Zungari potevano procurarsi risorse
con la razzia si videro progressivamente ridurre gli alleati e chiudere le rotte di rifornimento
fino a causare una gravissima carestia. Non è un caso che per la conquista degli Zungari molti
storici abbiano parlato di genocidio.
Nessuno sforzo logistico europeo è paragonabile questo, infatti fino al diciottesimo
secolo le operazioni militari in Europa furono rallentate dall’assenza di depositi. Anche
quando le monarchie assolute iniziarono a disporne la loro rete non fu mai paragonabile alla
situazione cinese: in territorio nemico l’avanzata tornava ad essere estremamente lenta. In
epoca napoleonica si tornò a favorire la velocità, sfruttando sistematicamente le aree invase,
ma mettendo le proprie forze a rischio di logorarsi rapidamente in aree povere di risorse,
come avvenne durante la campagna di Russia.
Gli eserciti Qing invece si muovevano rapidamente anche in aree di steppa, montagne
e foresta siberiana, supportati da un flusso costante di razioni e biada per i cavalli. Questo
permetteva ai loro comandanti di evitare in genere il saccheggio sistematico delle risorse delle
popolazioni, rinforzando il proprio dominio. La vera vittoria dei Qing fu la loro capacità di
attingere alle risorse di un'economia in rapida commercializzazione per soddisfare le esigenze
belliche, senza infliggere danni eccessivi all'economia rurale. Gli storici hanno individuato un
644
Peter C. Perdue, Military Mobilization, Op. cit. , p. 77.
Peter C. Perdue, Military Mobilization, Op. cit. , p. 775
646
Stevens Carol B. , Soldiers On the Steppe: Army Reform and Social Change In Early Modern
Russia, Northern Illinois University Press, 1995.
645
189
nesso preciso tra il grande sviluppo economico della Cina nel diciottesimo secolo e
l’intervento dello Stato, che creava depositi e spostava enormi quantitativi di materiale a
grande distanza verso le aree di conquista, aprendo nuovi territori alla migrazione dalle aree
sovrappopolate del paese. « Is it merely coincidental that the great expansion in the scale of
the empire wide granary system begins in the mid-eighteenth century, just as the Central
Asian campaigns are ending? Not if the relief system is seen as a response to the increased
mobility made possible by the greatly expanded size of the empire.»647
3. 9. 5 Impero o colonialismo Qing?
Alla luce della grande espansione territoriale, si può parlare di colonialismo cinese o
più propriamente Qing? Il concetto si confonde con l’idea d’Impero e necessita prima di
essere analizzato di spiegare l’ideologia imperiale dei Qing. Quello Qing era un Impero
multietnico e multinazionale di cui la Cina costituiva la componente maggiore ma non
dominante. Ideologia che si riflette nella complessità del sistema delle Bandiere. La lettura
tradizionale ha sostenuto che i Qing fossero inizialmente conquistatori stranieri, affini ai
mongoli di Gengis Khan, alieni alla cultura dell’Asia Orientale, ma che vennero rapidamente
sinizzati e si integrarono pienamente alla civiltà cinese. Tutta la cultura ufficiale ne rimarcava
il ruolo legittimo di venticinquesima dinastia.648 Se Ming e Qing non hanno cambiato stile di
governo dovremmo parlare di Impero più che di colonialismo. Se davvero i mancesi erano
integrati nella cultura cinese non ci si spiega perché a fine ‘800 la Cina abbia avuto una
reazione di rigetto così forte per la “dinastia straniera” e le sue strutture di dominio.
La “scuola altaica” o “nuova storia Qing” ha messo in discussione questo assunto
sostenendo che i Manciù restavano sempre un’entità separata. Focalizzando l'attenzione
sull'instaurazione della dinastia Qing, questa nuova storia ha sfidato molte tesi standard basate
sull’osservazione degli anni del declino. Gli imperatori Manciù ora appaiono come sofisticati
praticanti di una variante asiatica moderna di imperialismo e colonialismo. Nella loro visione
più estremizzata queste tesi sostengono che l’intera Cina costituiva il loro Impero coloniale.649
Questa ricostruzione non va letta nel senso di una distanza assoluta dei Qing dai loro sudditi: i
mancesi non erano, neanche al momento della conquista, una cultura aliena, ma fecero degli
647
Peter C. Perdue, Military Mobilization, Op. cit. , p. 772.
Rawski Evelyn S. , Re-envisioning the Qing: The Significance of the Qing Period in Chinese History, Journal
of Asian Studies 55 (1996).
649
Guy R. Kent, Who Were the Manchus? A Review Essay, Journal of Asian Studies 61 (2002); Sudipta Sen, The
New Frontiers of Manchu China and the Historiography of Asian Empires: A Review Essay, Journal of Asian
Studies 61 (2002); Waley-Cohen Joanna, The New Qing History, Radical History Review 88 (Winter 2004).
648
190
sforzi per non scomparire nella maggioranza Han e mantenersi come un gruppo separato fino
alla fine della dinastia.
Per Elliot, mancesi, cinesi e mongoli costituivano insieme le fondamenta etniche
dell'Impero Qing. In questa alleanza i conquistatori mancesi erano il “primus inter pares”.
Questa relazione era riflessa nell’istituzione delle Otto Bandiere, inizialmente utilizzate per
irreggimentare l'aristocrazia mancese in strutture militari e poi replicate per organizzare i
cinesi alleati e i mongoli, compensando gli alleati dell’Imperatore con posizioni di privilegio.
«They created an institution called the eight banner system (baqi zhidu), which combined
military, administrative, and familial networks together in a powerful elite structure.»650
Il sistema delle Bandiere era un'istituzione originale dei Qing, concepita per separare
l’élite militare dalla popolazione. I membri delle Bandiere avevano numerosi limiti sociali ed
etnici per stringere matrimoni e vivevano in quartieri separati, che ricordano l’urbanistica
delle città coloniali europee.651 Per la scuola Altaica, questi sforzi di separazione, applicati sia
nelle regioni centrali che periferiche, ricordano il dominio coloniale. Come nelle colonie
europee, dominatori e dominati non erano però estranei l’uno all’altro ma legati da reti di
alleanze e relazioni.
Questa alleanza multiculturale ineguale è un tratto tipico della cultura centroasiatica
che si ritrova in varie aree esterne dove i gruppi mongoli e turchi hanno avuto influenza
politica, come l'Impero Ottomano, l'Impero Moghul e la Russia. L’Imperatore Qing esercitava
una serie diversa di ruoli politici e religiosi per le varie popolazioni parte dell’Impero, come
Figlio del Cielo per i cinesi, Capo dei Clan mancesi, discendente di Gengis Khan per i
mongoli e patrono del Dalai Lama per i tibetani, con differenti pretese di egemonie che non si
contraddicevano tra loro ma si applicavano a differenti contesti rituali e ideologici.
Il concetto di colonialismo nasce dall’esperienza europea e ovviamente le politiche
Qing si sono sviluppate autonomamente. Quindi caratterizzare le loro forme di dominio come
colonialismo richede qualche cautela. Tuttavia vari storici ormai suggeriscono che il concetto
di colonialism si possa utilizzare in maniera proficua per descrivere certi aspetti del potere dei
Qing. 652 Possiamo meglio affrontare il problema andando a cercare una definizione più
generica di colonialismo, meno legata all'età dell'Imperialismo. Come nota Wolfgang
650
Elliott Mark C. , The Manchu Way: The Eight Banners and Ethnic Identity in Late Imperial China Stanford
University Press, Stanford, 2001.
651
Yingcong Dai, Qing military institutions and their effects on government, economy, and society, 1640–1800,
Journal of Chinese History, vol. 1, special iss. 2 (Chinese Military Institutions), July 2017, pp. 329-352.
652
Perdue Peter, The tenacious tributary system, Journal of Contemporary China 24(96), (2015).
191
Mommsen: « the older theories of imperialism have lost much of their usefulness because
they are too Eurocentric and also tend to reduce the whole phenomenon to a single cause.»653
Nel suo libro Colonialism, Jürgen Osterhammel propone la definizione «Colonialism
is a relationship of domination between an indigenous (or forcibly imported) majority and a
minority of foreign invaders. The fundamental decisions affecting the lives of the colonized
people are made and implemented by the colonial rulers in pursuit of interests that are often
defined in a distant metropolis. Rejecting cultural compromises with the colonized
population, the colonizers are convinced of their own superiority and of their ordained
mandate to rule.»654
In tal caso, l’espansionismo Qing in Asia Centrale e a Taiwan si avvicina molto a
questa definizione, dato che nelle aree di nuova conquista i mancesi non espansero
l’amministrazione cinese ma implementarono forme flessibili di dominio diretto da Pechino.
Questo dominio tuttavia prevedeva in molti casi una decisa cooperazione con le élite locali.
Quindi può essere corretto anche parlare di Impero, secondo la definizione di Maier « Empire
is a form of political organization in which the social elements that rule in the dominant state
[-] create a network of allied elites in regions abroad who accept subordination in
international affairs in return for the security of their position in their own administrative unit
(the colony, or in spatial terms, the periphery).»655
Perdue ha sintetizzato in quattro elementi il colonialismo Qing. Primo: la presenza di
sistemi amministrativi differenziati per regione. Mentre il cuore Han dell'Impero manteneva la
suddivisione amministrativa cinese, la Mongolia era retta dalla nobiltà locale con
un’estensione del sistema delle Bandiere. Il Xinjiang e Taiwan veniva retto da autorità militari
o affidato a capi locali e il Tibet supervisionato da un comandante cinese che controllava la
gerarchia dei Lama approvata da Pechino. Secondo: un forte coinvolgimento delle autorità
locali. Terzo, l'invio di coloni cinesi: i Qing promossero e organizzarono con cospicui
benefici materiali ‘immigrazione di cinesi in queste aree modificando la composizione etnica.
Quarto: lo sfruttamento economico. Anche se non era stato all'origine dell'espansionismo
venne poi attivamente promosso, con la colonizzazione di aree disabitate e lo sfruttamento
delle risorse locali.656
653
Mommsen Wolfgang J. , Theories of Imperialism, University of Chicago Press, Chicago, 1982, p. 143.
Osterhammel Jürgen, Colonialism: A Theoretical Overview, Markus Wiener Publisher, Princeton, 1997, pp.
16-17.
655
Maier Charles S. , Among Empires: American Ascendancy and Its Predecessors, Harvard University Press,
Cambridge, 2006, p. 7.
656
Perdue, Peter C. , China and Other Colonial Empires, The Journal of American-East Asian Relations, vol. 16,
no. 1/2, 2009, p. 93.
654
192
Quindi in alcune aree la relazione era più di tipo imperiale come in Mongolia, dove il
comune retaggio altaico tra i mongoli e i mancesi facilitava il rapporto tra le élite. La
Mongolia inoltre venne “protetta” dall’immigrazione cinese fino al diciannovesimo secolo,
quando invece si instaura una relazione coloniale che alla lunga alienò i mongoli dell'Impero
Qing. Nello Xinjiang e a Taiwan invece la relazione ricorda nettamente il colonialismo
europeo ottocentesco. Taiwan in particolare divenne una fonte di derrate alimentari e prodotti
esotici. Emma Teng, seguendo le intuizioni di Edward Said, ha trovato che il discorso
coloniale dei Qing verso Taiwan, colmo di esotismo e richiami alla missione civilizzatrice dei
cinesi verso i selvaggi dell’isola, ha elementi comparabili con l’ideologia coloniale
europea.657
Questa lettura non è comunque univoca: studiosi cinesi contestano molte delle
acquisizioni della Nuova Storia Qing, in particolare quella dell’aggressività della Cina,
vedendola come una lettura ideologica che cerca di ritrovare nel passato elementi per
condannare le politiche cinesi attuali. 658 Piuttosto, tutte le campagne militari dei Qing
sarebbero state mosse da uno scopo difensivo: dato che l'Impero era multinazionale ma alcuni
popoli erano solo in parte integrati nell’Impero, era necessario abbattere i centri di potere
concorrenti per la loro fedeltà.
L’Impero Qing con le sue complesse forme di dominio e la spinta al dominio
continentale è certo affine ad altri grandi imperi asiatici come quello Ottomano e Moghul.
Mentre questi iniziavano la loro decadenza, i Qing vivevano un’epoca di splendore che li
accomuna piuttosto alle pratiche di dominio di Imperi europei multinazionali capaci di tenere
insieme territori sviluppati e aree di frontiera come quello asburgico e zarista.
3. 10 La smilitarizzazione del Giappone e suoi miti storiografici.
La morte di Hideyoshi e la ritirata dei suoi luogotenenti dalla Corea impedirono di
consolidare i Toyotomi come una dinastia conquistatrice in Asia. Entro pochi anni il conflitto
civile si riaccese con lo scontro tra i partigiani del figlio di Hideyoshi e quelli del suo
luogotenente Ieyasu Tokugawa. La sua vittoria nella battaglia di Sekigahara (che coinvolse
quasi 200.00 uomini) instaurò saldamente al potere la dinastia Tokugawa nel ruolo di Shogun.
657
Teng Emma J. , Taiwans Imagined Geography: Chinese Colonial Travel Writing and Pictures, 1683-1895,
Harvard University Press, Cambridge, 2004.
658
Lu Hanchao, Has China always been a open country? Think about the praise of China by the West again,
Tsinghua University Journal: Philosophy and Social Science Edition no. 3, (2012).
193
Si aprì così una lunga epoca di pace, dopo la repressione della rivolta cristiana di Shimabara
nel 1638 non ci furono più eventi militari di rilievo fino alla guerra Boshin nel 1868, né di
isolamento autoimposto.
I motivi che portarono i giapponesi a rinunciare non solo all’espansionismo oltremare
ma anche al contatto con gli Europei e a limitare notevolmente lo scambio con Cina e
Giappone sono complesse, e richiederebbero una trattazione a parte. Sicuramente pesava la
volontà del governo di mantenere ad ogni costo l’ordine sociale anche con misure come una
severa limitazione della possibilità di ricorrere alle armi e all’istituzione di una società
strettamente gerarchizzata e controllata dall’autorità centrale, che cancellava tutti gli elementi
di dinamismo sociale che si erano affermati durante la Rivoluzione militare dell’Era Sengoku.
Per ottenere questa stabilità venne decretato un nuovo equilibrio di potere tra centro e
periferia. I signori provinciali, mantenendo sufficiente potere e autonomia per mantenere il
controllo dei loro domini, venivano sottoposti però a controlli approfonditi da parte dello
Shogun che ne limitava risorse economiche e militari e stabiliva un fitto calendario di visite di
omaggio e controlli. Già iniziata sotto Hideyoshi, che aveva lanciato campagne di “caccia alle
spade” per disarmare i contadini, la smilitarizzazione della società procedette sotto i
Tokugawa, togliendo le armi e il servizio militare a tutte quelle sotto-classi di contadini che
erano state coinvolte nella coscrizione durante l’era Sengoku e avevano formato la maggior
parte dei combattenti.
Al contempo i bushi, privi di occasioni di combattimento, venivano legati strettamente
ai vari daimyo con l’assegnazione di stipendi e si trasformavano progressivamente in
burocrati. Infatti, solo in questo periodo la classe dei samurai cristallizzava i segni distintivi
della propria immagine come il porto delle spade, il caratteristico abbigliamento e la
capigliatura, e iniziava a formalizzare etica di fedeltà, valori marziali e perfezionamento
personale noto come bushido. I signori feudali, i daimyo, pur confermati nei propri
possedimenti e privilegi si videro privati della maggior parte dei loro castelli, costretti a
numerosissime spese di rappresentanza e, di fatto, si trovarono nell’impossibilità di contestare
con le armi l’autorità dello Shogun.
Questo processo ha dato vita alla tenace leggenda storiografica dell’abbandono delle armi da
fuoco e del ritorno alla spada. Noel Perrin, professore di letteratura inglese e appassionato di
Giappone propose con il suo libro del 1979, Giving up the Gun, che i Giapponesi in età
194
Tokugawa avessero volontariamente e selettivamente rinunciato alla tecnologia delle armi da
fuoco per motivi culturali.659
Perrin dava cinque ragioni per questa scelta. Uno: la vasta classe dei bushi disprezzava
le armi da fuoco e temeva che il loro utilizzo li privasse dei propri privilegi. Due: le armi da
fuoco non sembravano all’epoca davvero necessarie, visto che il Giappone non rischiava
invasioni dall’estero. Tre: l’importanza simbolica della spada nella cultura giapponese
costituiva un pesante limite culturale all’uso delle armi da fuoco. Quattro: l’era Tokugawa
vide un rigetto delle ideologie occidentali come il Cristianesimo. Cinque: i giapponesi erano
fini esteti e trovavano poco elegante l'utilizzo delle armi da fuoco. Una sesta ragione che
emerge dal testo è che le armi da fuoco vennero associate alle ribellioni dei contadini e dei
cristiani con la rivolta di Shimabara e quindi come un pericolo per l’ordine sociale.
La produzione di armi da fuoco, un tempo florida, venne vietata e alla fine dello
Shogunato i Giapponesi si ritrovarono a stupirsi come tre secoli prima di fronte alle armi da
fuoco occidentali. Motivazioni di controllo sociale e di prestigio culturale, unite una
condizione geografica favorevole, avrebbero permesso dunque un controllo selettivo della
tecnologia degli armamenti. Non che questi elementi non fossero presenti, la loro importanza
è come vedremo discutibile, ma la tesi è semplicemente falsa, smontata da evidenze testuali e
materiali. «The real purpose of the book, however, is to raise the serious question of whether
selective control of technology is possible. Mr Perrin Argues that it is, in light of the Japanese
experience with firearms so control. The point is well made: but surely technology advances
selectively when it is not subject to such overt governmental sociocultural censorship.»660
La tesi di Perrin in realtà non coglie il vero obiettivo del disarmo cioè la pacificazione
della società. I fucili smisero di essere popolari perché le guerre erano terminate. Infatti la
produzione di armi da fuoco venne strettamente regolata e queste divennero poco comuni ma
non scomparvero, anzi il mantenimento degli arsenali venne strettamente regolato dal
Governo. «The shogunate kept its own select firearms units intact. And in regulations for the
daimyo, which the shogunate issued in I634 and again in I649, firearms were called for in
quantities determined by a lord's domain: e. g. , 20 guns for a very minor lord, 350 for a
659
Perrin Noel, Giving Up the Gun: Japan's Reversion to the Sword, 1543-1879, David R. Godine Publisher,
Boston, 1988.
660
Waterhouse David, Review: Giving Up the Gun: Japan's Reversion to the Sword, Monumenta Nipponica, vol.
34, no. 4 (Winter, 1979), pp. 504-505.
195
middle-rank lord, proportionately more for the great barons. Those official levies remained
unchanged until I862.»661
L'assenza di conflitti interni ed esterni non stimolò alcuna innovazione in questo
campo, in contrasto con la fioritura di scuole di fabbricazione nel secolo precedente. Con il
tempo le armi da fuoco vennero viste come poco pericolose e si diffusero ampiamente come
armi da caccia.662 Lungi dall’aver dimenticato la tecnologia della polvere da sparo, a metà
dell’Ottocento il Giappone era però in grave ritardo in questo settore, molto più dell’Impero
cinese. Tuttavia la base produttiva, il livello di conoscenza tecnologica, l'apertura
all’Occidente, le missioni militari francesi e la riforma dell’esercito colmarono il gap nel giro
di pochi anni.
La tesi di Perrin è stata criticata fin da subito dagli esperti di storia giapponese ma si è
ricavata una nicchia nella storia militare venendo citata tra gli altri da Parker e da Stephen
Morillo come spiegazione di matrice culturale al ritardo giapponese nelle armi da fuoco. Più
di recente anche gli storici militari, a seguito di analisi più aderenti alle fonti della storia
militare asiatica, si sono ravveduti su questo punto e il testo di Perrin è ferocemente criticato
da Kenneth Chase e da Peter Lorge.
Gli effetti della politica Tokugawa d’isolamento e di controllo sociale furono nel
lungo periodo paradossali. Spesso la storiografia ha letto l’epoca Tokugawa come un’era di
immobilismo e isolamento. In realtà l'isolamento non fu mai completo: applicato in maniera
severa ai sudditi giapponesi e agli europei ma molto più rilassato nei confronti dei coreani e
dei cinesi. Più che da motivi economici, l'isolamento era motivato dalla necessità di difendersi
dalle politiche coloniali degli europei e infatti fu stretto al massimo nei primi decenni
dell’Ottocento, quando le provocazioni delle navi occidentali si fecero frequenti.
Contrariamente all’idea che l’età Tokugawa sia stata un momento di cristallizzazione
della società e dell’economia, il periodo vide in realtà una crescita tale da far parlare di
decollo pre-industriale. Il miglioramento delle comunicazioni terrestri e marittime e la
creazione di un’amministrazione centrale e locale stimolarono il commercio, la vita urbana e
la monetizzazione. Le classi dei mercanti e le corporazioni artigiane aumentarono la propria
influenza
politica
finanziando
una
classe
guerriera
costantemente
indebitata.
Progressivamente le leggi che separavano le classi sociali persero efficacia: mercanti e
661
Totman Conrad, Giving Up the Gun: Japan's Reversion to the Sword, 1543-1879 by Noel Perrin, The Journal
of Asian Studies, vol. 39, no. 3 (May, 1980), pp. 599-601.
662
Enomoto Tamara, Giving up the gun? Overcoming myths about japanese sword-hunting and firearms
control, History of global arms transfer; 6 (2018), p. 56.
196
contadini ricchi usavano corruzione e legami matrimoniali per accedere alla classe dei
samurai.663
Anche la realtà rurale crebbe, con la diffusione di tecniche scientifiche di coltivazione
e selvicoltura, l’apparizione di gruppi di contadini agiati e lavoratori salariati e una
progressiva diffusione di attività artigianali, che si evolvettero in officine e poi in industrie
rurali. Lo shogunato fu capace di implementare politiche economiche lungimiranti e di
profondo impatto, come quelle per prevenire la deforestazione del paese causato dall'aumento
delle aree coltivate. A partire dalla metà del diciassettesimo secolo vennero presi severi
provvedimenti per preservare le aree boschive e si sviluppò una forma di scienza forestale
riuscendo così a mantenere l’equilibrio ecologico e a favorire un’agricoltura intensiva
piuttosto che estensiva.664 La triplicazione della popolazione tra 1600 e 1800 è la riprova di
questo sviluppo.
Nel corso del diciottesimo secolo vennero però raggiunti i limiti della crescita preindustriale, e inflazione, speculazioni finanziarie, indebitamento delle amministrazioni e
peggioramento delle condizioni di vita(mentre la ricchezza si concentrava tra i più ricchi
mercanti e agrari) misero a dura prova il Governo centrale. Il Paese arrivò al contatto con
l’Europa con una struttura economica non dissimile da quella dei paesi europei e con alcuni
elementi particolarmente avanzati come un catasto aggiornato e una diffusa alfabetizzazione.
Grazie ai cambiamenti economici la struttura sociale feudale, formalmente uguale a quella di
due secoli prima, si era nella pratica totalmente svuotata.665 Possiamo quindi affermare che la
lunga pace dell’era Tokugawa, nata come risposta per governare i cambiamenti che la
Rivoluzione Militare stava imponendo al Giappone tra 1550 e 1600, andò a costruire gli
elementi del decollo pre-industriale giapponese.
Avvenne lo stesso a livello culturale? Tutta una lunga tradizione e ha attribuito il
successo della Restaurazione Meiji e poi quello del Miracolo Economico alla particolare
abilità dei Giapponesi di coniugare la tecnica occidentale e lo spirito di auto-sacrificio, che
sarebbe connaturato alla cultura giapponese ed espresso nel codice dei samurai, il bushido. In
realtà studi recenti, come quello di Oleg Benesh Inventing the way of the samurai, hanno
confermato una tesi sempre circolata tra gli specialisti cioè che il bushido sia una costruzione
culturale di epoca Meiji.
663
Henshall G. Kenneth, Storia del Giappone, Mondadori, Milano, 2005, p. 85.
Diamond Jared, Collasso. Come le civiltà scelgono di morire o vivere. Einaudi, Torino, 2007, pp. 310-320.
665
Henshall G. Kenneth, Storia del Giappone, Op. cit. , p. 95.
664
197
Nel periodo Tokugawa i samurai erano formalmente al vertice della società ma
vivevano una condizione economica, sociale e psicologica contraddittoria e non invidiabile.
Priva di una base economica autonoma, con stipendi fissati decenni primi, la classe guerriera
si impoverì per via dell’inflazione conseguente alla grande crescita economica del
diciassettesimo e diciottesimo secolo. I samurai vivevano la contraddizione di essere una casta
guerriera in tempo di pace, prevalentemente impiegata come personale amministrativo, priva
di reali opportunità di esercitare quelle virtù marziali che ideologicamente giustificavano la
loro supremazia.
Questo da un lato portò a rafforzare le leggi che rimarcavano la separazione tra classi
sociali e ad esasperare il ricorso a distinzioni simboliche nella capigliatura, il vestiario, il
porto d’armi. Dall’altro alcuni intellettuali samurai, spinti dalla nostalgia per l’epoca del
conflitto, crearono delle versioni formalizzate di etica guerriera di cui la più nota è
l’Hagakure. Va precisato che all’epoca la circolazione di questi testi era quasi iniziatica e
limitata a cerchie ristrette.666 Tsunemoto, autore dell’Hagakure era un sistematizzatore, che
raccoglieva pensieri e riflessioni delle epoche precedenti sulla tradizione dei samurai per
proporre un'ideale fusione di cultura e virtù militari. Nel farlo li destoricizzava, proponendo
un modello ideale per un’epoca in cui i militari professionisti sono inutili.667
Questi testi inoltre presentavano una visione dei rapporti sociali assolutamente
idealizzata e molto lontana dalla realtà dei secoli di conflitto. Karl Friday ritiene che in epoca
pre Tokugawa sia il rituale che l’etica dei samurai, tipici del bushido, fossero sostanzialmente
insignificanti. 668 Anche Hurst nega l'influenza nella condotta dei combattenti di rigidi e
vincolanti codici di comportamento prima del diciassettesimo secolo. 669 Thomas Conlan
insiste che la lealtà era basata sulla disponibilità di risorse, il prestigio e la potenza dei daimyo
e che i cambi di campo erano la norma. 670
L’ingresso degli Occidentali, la fine dello shogunato e l’avvio delle riforme Meiji
distrussero completamente il potere e il prestigio dei samurai. Diversi ex daimyo e samurai
666
«Idealization of earlier periods is often associated with conservative elements in many societies, with military
organizations and social groups responsible for the conduct of war tending toward conservatism insofar as
maintaining the prevailing order ensures their positions of power. [-] In the case of Japan, the bushi were among
the most active promoters of nostalgic narratives romanticizing and reinventing the past.» Benesh Oleg,
Inventing the Way of the Samurai: Nationalism, Internationalism, and Bushidō in Modern Japan, Oxford
University Press, Oxford, 2016, p. 34.
667
Arena Leonardo Vittorio, Lo spirito del Giappone, Op. cit. , p. 141.
668
Friday, Karl F. , Samurai, Warfare, and the State in Early Medieval Japan, Routledge, New York, 2004, pp.
135-63.
669
Hurst Cameron, Death, Honor, and Loyality: The Bushidō Ideal, Philosophy East and West 40:4 (Oct. 1990),
pp. 511–27.
670
Conlan Thomas, State of War: The Violent Order of Fourteenth-Century Japan, University of Michigan
Press, Ann Arbor, 2003.
198
che avevano propugnato la fine dello shogunato entrarono a far parte della nuova oligarchia
Meiji o si fecero una nuova carriera nell’esercito e nell'amministrazione oppure sfruttarono le
loro connessioni per avviare attività private, ma la maggior parte passò repentinamente dalla
posizione elitaria al fondo della scala sociale. Prima privati dei loro stipendi, poi liquidati con
una somma una tantum, perso il privilegio di portare le armi e gli altri segni distintivi, gli ex
samurai, detti shizoku, furono oggetto dello scherno degli intellettuali progressisti e della
popolazione che imputava alla loro pigrizia e incapacità la posizione precaria del paese. Per
un paio di decenni shizoku divenne sinonimo di fallito e incompetente.671
Tale era l’animosità verso i samurai che le ribellioni di Saga e Satsuma, che avevano
motivi complessi ma che esprimevano anche l'insoddisfazione degli ex samurai, represse
ferocemente dal nuovo esercito di coscritti contadini, sono state spesso lette come una guerra
sociale tra ex oppressi ed ex oppressori.672 Questo atteggiamento iniziò a invertirsi solo verso
il 1890 con l’apparizione di un movimento intellettuale nativista che rigettava l’accettazione
incondizionata della cultura occidentale e ricercava nel passato gli elementi autentici
dell’animo giapponese.
In Giappone, come in molti Stati europei, la creazione di un’identità nazionale
necessitò di un recupero di elementi del passato prima disprezzati nella fase “rivoluzionaria”.
La rilettura romantica degli ideali della cavalleria europea, in particolare il concetto di
gentlemanship vittoriana, costituirono esplicitamente il modello da cui intellettuali come
Ozaki Yukio e Nitobe Inazo crearono quello come oggi conosciamo come bushido, spacciato
come recupero della tradizione. L’avvio della fase di espansione imperialista del Giappone,
con le guerre sino-giapponese e russo-giapponese favorirono questa corrente intellettuale, che
iniziò ad essere propagandata dallo Stato stesso.
Un'operazione che rientra pienamente in quei fenomeni che Hobsbawm ha definito
Invenzione della tradizione. Per tradizione inventata «s'intende un insieme di pratiche [-] che
si propongono di inculcare determinati valori e norme di comportamento ripetitive nelle quali
è automaticamente implicita la continuità col passato [-] Comunque sia, laddove si dà un
riferimento a un determinato passato storico, è caratteristico delle tradizioni "inventare" il
fatto che l'aspetto della continuità sia in larga misura fittizio. In poche parole, si tratta di
671
Benesh Oleg, Inventing the Way of the Samurai, Op. cit. , p. 38.
Calman Donald, The Nature and Origins of Japanese Imperialism: A Reinterpretation of
the Great Crisis of 1873, Routledge, Londra, 1992, pp. 141–43.
672
199
risposte a situazioni affatto nuove, che assumono la forma di riferimenti a situazioni antiche, o
che si costruiscono un passato proprio attraverso la ripetitività quasi obbligatoria.» 673
La Rivoluzione Militare pose il Giappone davanti al rischio di un cambiamento sociale
che venne respinto dai Tokugawa con la smilitarizzazione, l'isolamento e la fissazione delle
gerarchie sociali. La tecnologia militare non venne rigettata o dimenticata ma ebbe scarsi
impulsi per svilupparsi. A differenza della Cina, tentata da politiche simili, questa strategia
funzionò grazie all’assenza di conflitto, ma quelle stesse innovazioni amministrative che
erano state stimolate dalla Rivoluzione Militare, ed erano state mantenute per mantenere il
paese unificato, nel lungo periodo stimolarono quei cambiamenti economici e sociali che
avrebbero dovuto invece bloccare.
Il Giappone ebbe quindi un peculiare processo di modernizzazione privo di una
componente militare. «This is not to say that Japan was not developing in any of these areas;
[-] but this change was slower. The modernization, if one can call it that, of Japan proceeded
without a military component, as the warrior class was undermined economically over two
and a half centuries. When the modern world made its abrupt appearance in Japan in the
nineteenth century, its society was again ready to wrestle with the problems of incorporating
new technology into it. But once again, this would be due to the social, economic, and
political changes that preceded the introduction of that technology, not to the technology
driving those changes.»674
3. 11 La Grande Divergenza Militare 1839-1895.
La ricostruzione tradizionale indica il punto di svolta nei rapporti tra Asia ed Europa
con la Guerra dell’Oppio del 1839. Concettualmente la scelta è difficile da contestare: in quel
conflitto i mezzi della Rivoluzione Industriale dimostrarono tutta la capacità dell’Europa di
muovere guerra a grande distanza e finalmente vincere in maniera schiacciante contro i paesi
dell’Asia Orientale. Tuttavia per me costituisce un marcatore inadeguato nel segnare un punto
nel processo di Divergenza Militare. Come già nel sedicesimo secolo, dopo le prime sconfitte,
i governi di Cina e Giappone non mostrarono preconcetti, reagirono con prontezza alla sfida
tecnologica e organizzativa e avviarono progetti arditi di ammodernamento militare. Nel caso
cinese questi fallirono e avviarono il processo di disfacimento dell'Impero. Invece i
673
674
Hobsbawm Eric, L’invenzione della tradizione, Einaudi, Torino, 2002, pp. 1-2.
Peter Lorge, The Asian military revolution, Op. cit. , p. 64.
200
Giapponesi si avviarono al riconoscimento come grande potenza nel mondo occidentalizzato,
un cambiamento epocale segnato dal conflitto sino-giapponese (1894-1895). Per questo la
Grande Divergenza Militare si descrive meglio come un processo politico, economico e
militare che va dal 1839 al 1895.
Come evidenziato da Parker, il periodo settecentesco non vide attivismo occidentale in
Asia Orientale, per via del decadere degli Imperi iberici e il disinteresse degli olandesi,
espulsi da Taiwan e messi in difficoltà dalle limitazioni per il commercio con il Giappone, che
sarebbe stato fondamentale per ottenere l’argento con cui commerciare con la Cina. 675 Gli
Stati dell’area erano sostanzialmente in pace tra di loro, con l’eccezione della inconcludente
campagna mancese contro il Vietnam del 1788-89. 676 L’Impero Qing, dopo la grande
espansione in Asia Centrale e le campagne poco riuscite contro Birmania e Nepal, era
impegnato solo nel domare rivolte interne.677
Mentre Giappone e Corea si erano profondamente demilitarizzate, la capacità militare
Qing stagnò per assenza di minacce esistenziali o nuove possibilità di espansione, ma
l’enorme apparato militare poneva un peso gravoso per le finanze statali, che riducevano il
controllo sulle province.678 Questo peso si sommava alla sovrappopolazione e all’inflazione
causata dal deflusso di argento che pagava l’oppio introdotto dagli inglesi, mettendo in crisi la
capacità d’intervento dello Stato cinese. 679 Nello stesso periodo, in Europa, l’intensa
conflittualità contribuiva a produrre i fenomeni della Rivoluzione Francese e della
Rivoluzione Industriale, che determinavano un modo nuovo, molto più intenso e distruttivo,
di fare la guerra. Tale modo nuovo coincideva con le mutazioni economiche che dettero il via
al fenomeno della Grande Divergenza descritto da Pomeranz. Il fenomeno non era limitato
all’Asia Orientale, anche gli stati musulmani e indiani arrancavano di fronte al crescente gap
militare.680
675
Parker Geoffrey, La Rivoluzione Militare, Op. cit. p. 248.
Robert Antony, Maritime violence and state formation in Vietnam: Piracy and the Tay Son Rebellion, 1771–
1802, in Amirell Stefan, Muller Leos, Persistent Piracy: Maritime Violence and State-Formation in Global
Historical Perspective, Palgrave, Londra, 2004.
677
Yingcong Dai, A Disguised Defeat: The Myanmar Campaign of the Qing Dynasty, Modern Asian Studies,
Cambridge University Press, Cambridge, 2004, p. 145.
678
Theobald Ulrich, War Finance and Logistics in Late Imperial China: A Study of the Second Jinchuan
Campaign (1771–1776), Brill, Leiden, 2013, pp. 121-137.
679
Montessoro Francesco, La merce dei sogni. L'oppio nelle società e nell'economia dell'Asia Orientale, Franco
Angeli, Milano, 1999, p. 33.
680
Kaushik Roy, Military Synthesis in South Asia: Armies, Warfare, and Indian Society, c. 1740–1849, Journal
of Military History 69, no. 3 (2005): 651–90, Ágoston Gábor, Firearms and Military Adaptation: The Ottomans
and the European Military Revolution, 1450–1800, Journal of World History 25, no. 1 (2014): 85–124.
676
201
Le due guerre dell’Oppio rappresentarono uno shock per l’Impero Qing. Tutta la
strategia difensiva, basata sull’idea che gli inglesi avrebbero assalito e razziato il solo
Guangdong era fallita, visto che la flotta inglese, distrutte navi e fortificazioni costiere, aveva
invece occupato i porti principali, compreso Tientsin. Anche se i Qing avevano impiegato
forze limitate, queste si erano dimostrate organizzativamente, tatticamente e tecnologicamente
inadeguate rispetto agli inglesi, che utilizzavano armamenti e tattiche all’avanguardia. Il
divario non era solo navale: russi e britannici potevano utilizzare le loro forze di terra
superiori per penetrare dell'Amur, in Asia Centrale e nella zona himalayana. Nella stessa
situazione si trovavano i giapponesi, costretti con la minaccia delle armi ad aprire i porti nel
1857 e trovatisi senza mezzi per contrastare i bombardamenti costieri di britannici, francesi,
russi e statunitensi nella convulsa fase degli scontri tra shogunato e ribelli anti-occidentali del
1863-1865.
L'aggressione europea, unita alla crisi economica, fece scivolare i Paesi della regione
in devastanti guerre civili. La guerra Boshin in Giappone tra sostenitori dello shogunato e
quelli della restaurazione imperiale, le ribellioni delle minoranze etniche e dei musulmani
nello Yunnan e soprattutto la devastante guerra Taiping, la maggior guerra civile ottocentesca
, furono occasioni di rapidi sviluppi militari con l’introduzione di armi avanzate e di
addestramento in stile occidentale.681 L’esito dei due conflitti fu però profondamente diverso.
In Giappone portarono al potere una nuova classe politica gli ex-samurai anti-Tokugawa e i
loro finanziatori della classe mercantile, che poterono fare piazza pulita dell’organizzazione
politica, amministrativa e sociale tradizionale e avviare un profondo programma di riforme. In
Cina la vittoria dei Qing mantenne in vita la scricchiolante struttura dell'Impero basata sulla
burocrazia tradizionale e le forze armate delle Bandiere, a cui si affiancano nuovi eserciti in
stile occidentali e i primi elementi di amministrazione moderna, come il ministero degli affari
esteri e l'agenzia delle dogane, creati per mantenere i contatti con l’Occidente. Ancora peggio,
queste vittorie diffusero nella classe dirigente Qing una pericolosa illusione: che il momento
peggiore fosse passato e che la posizione del paese si potesse preservare e risollevare con un
programma di “Autorafforzamento”.
Questo processo era già stato avviato con le guerre dell’Oppio ma si formalizzò con
l’ascesa dell’Imperatore Tongzhi. L’idea era di modernizzare selettivamente quei settori che
avrebbero permesso di riguadagnare la parità militare, quindi creare arsenali, cantieri navali e
altre industrie di Stato per rifornire marina ed esercito, creare compagnie di navigazione a
681
Platt Stephen R. , Autumn in the Heavenly Kingdom: China, the West, and the Epic Story of the Taiping Civil
War, Vintage, New York, 2012, p. 12.
202
vapore e telegrafiche e infine aggiornare il programma di studi degli ufficiali civili e militari
alle materie scientifiche. 682 Acquistando inizialmente gli impianti completi in Europa,
importando i tecnici e iniziando a formare personale e tecnologie proprie, i cinesi
ricostruirono forze armate che sulla carta erano imponenti. Tuttavia la struttura della Corte e
dell'amministrazione non subì cambiamenti, limitando l’incisività dell’attività riformatrice.683
Il Giappone procedeva invece ad una riforma molto più profonda del proprio sistema.
L’introduzione di un sistema parlamentare, l’abolizione delle classi sociali, l’introduzione di
un Codice Civile e di un sistema amministrativo moderno alterarono profondamente la
società. L’economia veniva stimolata massicciamente dal settore pubblico per favorire la
modernizzazione dell'agricola e la nascita di un'industria nazionale. 684 Esercito e marina erano
organizzati prendendo a riferimento gli standard inglesi, francesi e tedeschi e basati sulla
coscrizione universale.
La situazione internazionale poteva apparire meno drammatica della prima metà
dell'Ottocento. Cina, Giappone e Corea non correvano per ora il rischio di essere occupate e la
penetrazione economica occidentale era ancora limitata. Dopo una fase convulsa questi paesi
riuscirono a mantenere il controllo delle proprie finanze pubbliche mentre venivano avviati
processi di modernizzazione dell’economia, pubblici e privati. La Cina in particolare aveva
compreso di poter giocare sulle rivalità tra gli Stati europei e gli USA circa la loro influenza
in Cina per mantenere la propria libertà di manovra. Alcuni Stati, come il Vietnam e il Siam,
continuavano a riconoscere l'ordine sinocentrico.
I pagamenti di indennità di guerra, i trattati commerciali ineguali e l'extraterritorialità
delle concessioni erano problemi gravosi ma non configuravano ancora una vera perdita di
sovranità. 685 Esercito e marina erano stati ricostituiti e apparivano capaci di combattere e
cogliere vittorie significative.686 Addirittura la preparazione militare dei Qing aveva spinto i
Russi a ritirarsi dal Xinjiang nel 1887 e aveva permesso di dichiarare la vittoria nella guerra
del Tonchino con la Francia, caratterizzata da sconfitte gravi sulla terra per i Francesi e vinta
solo per la minaccia di intervento congiunto Russo-Giapponese.687
682
Ellman Bruce, Modern Chinese Warfare, Routledge, Londra, 2001, pp. 71-145.
Bruguiere Marianne Bastid, La crisi dell’Istituzione imperiale e l’esperienza repubblicana, in La Cina. vol.
III. Verso la Modernità, a cura di Guido Samarani e Maurizio Scarpari, Einaudi, Torino, 2009. pp. 18-23.
684
Zanier Claudio, Accumulazione e sviluppo economico in Giappone, Dalla fine del XVI alla fine del XIX
secolo, Einaudi, Torino, 1975, pp. 133-137.
685
Peruzzi Roberto, Diplomatici, banchieri e mandarini. Le origini finanziarie e diplomatiche della fine
dell’Impero Celeste, Mondadori Università, Milano, 2015, p. 15.
686
Horowitz Richard, Beyond the marble boat in Graff David A. , Higham Robin, A Military History Of China,
Westview Press, Boulder, 2002, pp 153-173.
687
Peruzzi Roberto, Diplomatici, banchieri e mandarini, Op. cit. , p. 29.
683
203
Questo quadro nascondeva però i cambiamenti di lungo periodo dell'economia e della
realtà internazionale. La Cina, pur crescendo in termini assoluti, stava perdendo rapidamente
posizioni nelle classifiche del PIL mondiale che aveva dominato fino al 1820, mentre il
Giappone prendeva posizione. 688 La prolungata crisi economica di fine diciannovesimo
secolo, la lunga depressione, spingeva gli Stati europei a una politica di espansione territoriale
diretta nel resto del mondo, mentre si acuivano le tensioni che avrebbero portato alla Grande
Guerra.
Per la Cina e l’ordine sinocentrico il vero colpo di grazia non arrivò dagli europei, ma
dal Giappone. Il Paese soffriva a quel punto di un grave squilibrio economico che esacerbava
le tensioni sociali, rendendo attraente l’idea di una guerra imperialista su cui scaricare i costi
dello sviluppo interno. Le tensioni per l’influenza sulla penisola coreana, cui il Giappone
mirava dal 1870, sfociarono in un conflitto aperto nel 1894. Poco studiata nelle Relazioni
Internazionali, la guerra sino-giapponese, come già prima la Guerra Imjin, ebbe un’influenza
decisiva sui destini della regione e le traiettorie interne dei contendenti. Descritta a volte come
un conflitto dall’esito scontato tra la Cina fossilizzata nel passato e il Giappone
occidentalizzato, fu in realtà un evento militarmente e diplomaticamente molto più complesso.
All’alba del conflitto, la maggior parte degli osservatori occidentali, confrontando
armamenti e flotte, predicevano una facile vittoria della Cina. Il livello tecnologico era
identico e i numeri in termini di uomini e navi favorevoli ai Qing, avvantaggiati dal
combattere sulla difensiva. Invece il conflitto fu disastroso per i cinesi, battuti per mare e per
terra da una strategia aggressiva e ben coordinata dei giapponesi e costretti a chiedere una
pace umiliante dopo l’occupazione simbolica dei siti funerari della dinastia Qing in
Manciuria.
Il conflitto ebbe due conseguenze gravissime per la Cina, a cui seguirono tutte le più gravi
cessioni di sovranità. 689 La prima fu l'ingresso massiccio del capitalismo occidentale che
scardinò l’economia nazionale e minò l’unità del paese. Per pagare l’enorme indennità di
guerra furono necessari prestiti così ingenti da dover permettere una serie di enormi
concessioni in campo tariffario e di licenze per ferrovie e altre imprese. 690 L’altro fu lo
schiaffo simbolico alla dinastia Qing, la perdita della faccia come centro dell’ordine
688
Maddison Angus, Contours of the World Economy 1-2030 AD: Essays in Macro-Economic History, Oxford
University Press, oxford, 2007.
689
Romein Jan, I Secolo dell'Asia. Imperialismo occidentale e rivoluzione asiatica nel secolo XX, Einaudi,
Torino, 1969, p. 52.
690
Collotti Pischel Enrica, La Cina. La politica estera di uno stato sovrano, Franco Angeli, Milano, 2002, pp. 913.
204
sinocentrico. 691 Perse la Corea e Taiwan e con il resto dei Paesi asiatici occupati dagli
occidentali, la Cina non era più credibile come centro di un sistema di relazioni internazionali
e in breve entrò nella sua fase più convulsa, perdendo sovranità effettiva e ogni capacità di
influire a livello internazionale fino alla Seconda Guerra Mondiale e alla proclamazione della
Repubblica popolare. Invece il Giappone, che entro pochi anni avrebbe cominciato a giocare
la sua partita al livello delle Grandi potenze con la vittoria nel conflitto Sino-Giapponese,
iniziava a vagheggiare un ordine asiatico alternativo, reminiscenze dell'antico progetto di
Hideyoshi.
Il conflitto segna la sconfitta dei programmi limitati di auto-rafforzamento cinesi
rispetto all'occidentalizzazione Giapponese. Indubbiamente le truppe e i comandanti
giapponesi arrivarono al conflitto più preparati e organizzati, anche grazie a una maggior
penetrazione della cultura militare occidentale, ma per comprendere le ragioni della sconfitta
cinese è necessario guardare sia alla contingenza della cattiva leadership, specie in campo
navale, sia alle motivazioni profonde.
Bisogna evitare di esprimere un paradigma in questa affermazione, tipo via asiatica
errata e via occidentale corretta, la questione è più sottile e riguarda la delicata questione della
negoziazione della propria identità culturale in un periodo di confronto e scelte difficoltose.
Gli intellettuali cinesi realizzarono solo progressivamente che il ritardo del Paese non era solo
tecnologico ma anche di tipo amministrativo e legislativo. 692 Tuttavia i loro programmi
furono realmente imponenti e avevano fornito risultati qualitativamente elevati in termini di
produzione e formazione intellettuale. Nonostante i problemi di lentezza e corruzione, questi
sviluppi testimoniano la vitalità permanente nelle gerarchie dello Stato Qing.
L’occidentalizzazione del Giappone era stato un fenomeno selettivo e più circoscritto
di quanto i suoi aspetti più appariscenti potessero far sembrare, come già notato da Hobson a
inizio ‘900.
693
Lo stesso Giappone, pur dotato di Costituzione, codici e strutture
amministrative occidentali, aveva calibrato i suoi sforzi di modernizzazione per conservare
quelle strutture sociali e culturali tradizionali che facilitavano il controllo dello Stato e stata
vivendo un revival nativista nello stesso periodo. 694 In questa operazione di sviluppo
691
Peruzzi Roberto, Diplomatici, banchieri e mandarini, Op. cit. , pp. 181-192.
Cheng Anna, Storia del pensiero cinese, Einaudi, Torino, 2000, p. 659.
693
Hobson John, L’imperialismo, Newton Compton, Roma, 1996. p. 258.
694
Benedict Ruth, Il crisantemo e la spada, Modelli di cultura giapponese, Laterza, Bari, 2009, , pp. 87-109.
692
205
amministrativo e conservatorismo sociale ebbero il supporto diretto del più influente
intellettuale dell’epoca, Herbert Spencer, il filosofo del darwinismo sociale.695
In epoca Meiji il pensiero giapponese coltiva contemporaneamente l'apertura all'Occidente e
la riscoperta della tradizione. Tutte le forme del pensiero sono subordinate alla categoria del
progresso: ciò che lo supporta viene enfatizzato, quello che lo ostacola respinto. Quindi i
giapponesi attualizzavano la filosofia occidentale alle proprie necessità e attingevano alla
tradizione asiatica con operazioni di attualizzazione. Infatti i maggiori pensatori, come
Fukuzawa, criticavano il confucianesimo per gli elementi di arretratezza come la mancanza di
sviluppo del metodo scientifico ma ritenevano che dovesse rimanere comunque la base etica
della società. Al di là delle apparenze la modernizzazione del paese non veniva concepita
come una imitazione dell’Occidente.696
Il problema era in parte di ordine culturale: in Cina la riforma dell’Autorafforzamento
aveva individuato il vantaggio occidentale in un fattore meramente tecnico: creando
un’industria della difesa il divario si sarebbe colmato senza bisogno di un vero confronto con
il pensiero occidentale.
697
Il Giappone aveva invece investito massicciamente nella
formazione del capitale umano, inviando migliaia di studenti a formarsi, ricostruendo il
sistema scolastico e favorendo la penetrazione della cultura europea. Questo insieme di
elementi gli permise di vincere il confronto militare e diplomatico del 1894-95, anche se gli
effetti culturali della vittoria furono controversi. Per Enrica Collotti Pischel: «la tetra
mescolanza di autoritarismo tradizionale, di modernismo tecnologico e di pratiche repressive
sociali e culturali che venne sempre più contraddistinguendo l'ascesa del Giappone, si
scontrava frontalmente con le tendenze alla rivoluzione di costume e di idee e alle aspirazioni
alla giustizia alla libertà dei giovani che volevano creare una Nuova Cina.»698
Oltre alla spiegazione culturale, utile ma insufficiente, bisogna considerare la diversa
scala dei problemi politici con cui i due Paesi si confrontavano. Elman sostiene che i risultati
in termini di produttività dei programmi di Autorafforzamento furono superiori a quelli
dell’industrializzazione giapponese. La sconfitta del 1895 non li fa sembrare tali ma nel
considerare la sconfitta cinese è doveroso considerare che il Giappone poteva impiegare tutte
le sue forze in Manciuria e veniva da un lungo periodo di pace, mentre la Cina, impegnata su
695
Sulla complessa ricezione di Spencer in epoca Meiji e i suoi contatti diretti con i costituzionalisti giapponesi
vedi Howland Douglas, Society Reified: Herbert Spencer and Political Theory in Early Meiji, Comparative
Studies in Society and History 42(01):67 - 86, Nagai Michio, Herbert Spencer in Early Meiji Japan, The Far
Eastern Quarterly, vol. 14, no. 1, 1954, pp. 55–64.
696
Arena Leonardo Vittorio, Lo spirito del Giappone, Op. cit. , pp. 260, 269.
697
Collotti Pischel Enrica, Le origini ideologiche della rivoluzione cinese, Einaudi, Torino, 1979. , pp. 46-71.
698
Collotti Pischel Enrica, La Cina. La politica estera di uno stato sovrano, Op. cit. , p. 29.
206
più fronti interni ed esterni, aveva appena subito la sconfitta della guerra del Tonchino. Le
dimensioni degli impegni da affrontare, non tanto il livello tecnologico o organizzativo,
mettevano in difficoltà il Paese. 699
Il Giappone era di per sé già una sorta di Stato nazionale idealtipico, di dimensioni
comparabili a quelle di molti Stati europei e con un invidiabile omogeneità etnica e
linguistica. Inoltre non subiva una pressione occidentale politica e militare paragonabile a
quella esercitata sulla Cina Qing, che era invece un immenso Impero multinazionale, in
difficoltà su tutti i confini e le aree non Han, sia per via delle suddette pressioni europee che
per le ribellioni delle minoranze etniche e religiose. Il conflitto etnico più devastante per la
dinastia, la nascita di un nazionalismo cinese in chiave anti-mancese, sarebbe divampato
come conseguenza della sconfitta. Tutti questi elementi rallentarono notevolmente la
modernizzazione, al di là di quella che era la volontà dei Governanti, e distrassero grandi
risorse e attenzioni dal conflitto con il Giappone.
Alla luce di questi dati il periodo 1839-1895 si può caratterizzare come Grande
Divergenza Militare. Ancora più che in ambito economico, dove il contatto non si era mai
chiuso, in campo militare l’Asia passò dalla competitività all’arretratezza rispetto
all'Occidente. Nonostante il movimento di Autorafforzamento, la guerra del 1894-95 rese
evidente che la millenaria capacità dei paesi dell’Asia Orientale di assorbire elementi
tecnologici e culturali esterni e integrarli nella propria società mantenendo intatta la sovranità
e saldamente centralizzato e sottomesso al potere civile il controllo della forza militare, non
era sufficiente per inglobare senza contraccolpi la scienza, la tecnologie e gli elementi
culturali occidentali che costituivano la base della superiorità economica e militare europea.
Nel periodo successivo l’Asia entrò in una fase militare radicalmente differente da quella
passata, in cui la Cina fu impegnata fino al 1949 a ricreare la propria struttura statale mentre il
Giappone partecipò senza successo alla corsa per la supremazia in Asia.700
699
Elman Benjamin A. , A cultural history of modern science in China, Harvard University Press, Cambridge,
2006.
700
Osterhammel Jurgen, Storia della Cina Moderna, Einaudi, Torino, 1992, pp. 305-306.
207
Conclusioni.
La storia militare dell’Asia Orientale nell’Età Moderna si è rivelata una questione
decisamente complessa e stratificata. Affrontarla secondo gli spunti forniti dalla tesi della
Rivoluzione Militare e gli approcci della World History ha fatto emergere molteplici elementi
con cui dare una risposta alle varie questioni poste nell’Introduzione.
La prima domanda è se sia possibile superare la tesi tradizionale della stagnazione
militare dell’Asia Orientale nel corso dell’Età Moderna. Alla luce degli studi specialistici che
abbiamo analizzato la risposta è positiva: l’idea di una lunga stasi nell’evoluzione della
tecnologia e della tattica in tutti i paesi dell’Asia Orientale semplicemente non regge alla
prova dei fatti. Piuttosto, guardando ai vari paesi dell’Asia dal punto di vista del loro sviluppo
interno, possiamo notare mutazioni impressionanti. Se poi consideriamo Cina, Corea e
Giappone in raffronto ai Paesi europei, riguardo agli sviluppi della Rivoluzione Militare,
siamo in grado di valutare con precisione come le distinte manifestazioni del fenomeno
bellico si siano evolute con velocità ed intensità differente, a seconda dei contesti.
Riprendendo la lista di grandi temi della Rivoluzione Militare presenti nel primo
capitolo si nota come, a livello tattico e tecnologico, nessuno degli sviluppi europei sia
assente in Asia Orientale. Le armi da fuoco diventarono determinanti in entrambi i contesti e
mutarono le forme del combattimento terrestre. Allo stesso tempo l’addestramento e la
professionalità di ufficiali e soldati furono al centro delle preoccupazioni dei pianificatori
militari. Bisogna ricordare come gli eserciti permanenti e il monopolio statale della violenza
fossero connaturati ai sistemi politici confuciani e pre-datassero ampiamente l’avvento
dell’Età Moderna. Al confronto in Europa gli eserciti professionali iniziarono a diventare
organismi pienamente statali solo con la fine della Guerra dei Trent’anni.
Una notevole differenza tra Asia ed Europa potrebbe sembrare la diversa
considerazione della professione militare. In Europa la classe dirigente si identificava
largamente con i ruoli militari mentre in Cina e in Corea il ruolo e la considerazione sociale
degli alti ufficiali erano altalenanti. Abbiamo però visto come non si dovrebbe considerarla
una dicotomia assoluta. L’assoluta subordinazione del potere civile a quello militare in Cina si
dimostra un mito se si va a guardare le situazioni concrete. Il caso del Giappone poi è
nettamente differente: qui la casta guerriera assunse nel corso del Medioevo una posizione
prestigiosa che mantenne, seppur con difficoltà, fino a metà ‘800.
208
Si può dibattere anche sul fatto che il sistema militare asiatico si differenziasse da
quello europeo perché basato su caste guerriere e aristocrazie militari, tipiche anche
dell’Impero Ottomano o dell’India Moghul. Tuttavia anche in Europa, tra 1400 e 1800, si
possono riscontrare degli elementi di separazione tra eserciti e società che non erano invece
presenti nel Medioevo. La professione del comando era saldamente nelle mani della nobiltà,
una classe sociale che sotto l’Ancien Régime assume precise connotazioni giuridiche e diventa
meno permeabile e accessibile che nel Medioevo. Allo stesso tempo i soldati semplici, che
avevano goduto di un certo prestigio all’inizio dell’Età Moderna venivano sempre più isolati
dal resto della società e vedevano crollare la propria posizione a un livello quasi servile.
Guardando concretamente al ruolo e alla considerazione sociale degli armati, le differenze tra
Asia ed Europa tendono ad assottigliarsi.
Gli eserciti crebbero enormemente a livello numerico in entrambe le aree geografiche.
In questo campo era l’Europa a dover raggiungere i livelli di mobilitazione dell’Asia,
superiori grazie alla migliore organizzazione statale di Cina e Corea. Il Giappone invece seguì
un percorso più simile a quello europeo passando da ridotti numeri di effettivi da guerra
medievale a masse umane tipiche della guerra moderna. I vari fenomeni di smobilitazione in
Asia sono essenzialmente connessi alla particolare situazione dei lunghi periodi di conflitto
interstatale. In Cina, tra il 1450 e il 1550, l’esercito è lasciato decadere mentre in Corea e
Giappone nel diciassettesimo e diciottesimo secolo le forze armate vengono ridotte al minimo
visto che all’interno del paese la situazione era pacifica e il sistema internazionale veniva
presidiato da una potenza egemone.
Abbiamo visto come la sconfitta dei poteri non statali, le questioni del colonialismo e
dell’imperialismo si sviluppino in maniera molto differente nei due contesti a causa di
profonde differenze geopolitiche. Si può comunque individuare una tendenza uniforme: gli
Stati si rafforzarono e diventarono sempre più capaci di controllare i propri sudditi e
uniformare l’amministrazione, ridurre all’obbedienza le regioni marginali, tenere assieme
forme multiple di sovranità e sottomettere le popolazioni nomadi.
Le due aree in cui agli Europei resta un incontestato primato rimangono quella navale
e quella ossidionale. Nella prima, sia a livello tecnico che strategico, l’Occidente aprì una
dimensione nuova in cui la guerra navale usciva dalle acque costiere e dai mari chiusi per
proiettarsi sugli oceani a migliaia di chilometri dalla madrepatria. Le fortezze moderne
restano un elemento di vantaggio occidentale non pareggiato in Asia Orientale.
Dove invece sono i Paesi asiatici a superare quelli Europei è il campo della logistica.
In Europa una vera preoccupazione affinché il sostentamento degli eserciti non ricadesse
209
unicamente sulle popolazioni delle aree coinvolte dal conflitto appare solo nel diciottesimo
secolo. A confronto, la capacità amministrativa dei cinesi di organizzare il sostentamento di
eserciti di centinaia di migliaia di uomini in aree poverissime di risorse sia in tempo di pace
che di guerra, non ha un vero equivalente occidentale. La presenza diffusa della burocrazia,
l’alfabetizzazione e la cura nella gestione delle vie di comunicazione e dei magazzini saranno
raggiunti dagli Europei agli stessi livelli solo verso la fine del diciottesimo secolo.
Anche con tutti i distinguo, non si può parlare di una stagnazione militare
generalizzata dell’Asia Orientale nell’Età Moderna. Sottoscrivo la tesi di Tonio Andrade che
sia esistita una sostanziale parità militare tra i due sistemi, almeno fino al Diciottesimo
secolo.701 Quello che invece va considerato sono due momenti di relativa stasi che coincidono
con due periodi di pace generalizzata. Il primo 1450-1550 riguarda la sola Cina Ming che
raggiunti i suoi limiti di espansione non ha stimoli a innovare armamenti e organizzazione
fino a che non è sfidata nuovamente da mongoli, pirati, europei e giapponesi. In questo caso il
recupero è rapidissimo, con profonde riforme interne e acquisizione di tecnologie occidentali,
la cui efficacia si dimostrò in pieno nel devastante conflitto coreano.
Nel secondo periodo, dalla metà del diciottesimo secolo alle guerre dell’Oppio, la
guerra in Asia Orientale è invece “vittima” dell’enorme successo dell’Impero Qing. Mentre l’
Europa si trova nel pieno del conflitto egemonico tra Francia e Inghilterra, che stimola ogni
genere di innovazione, in Asia la predominanza della Cina diventa schiacciante e rinforza il
sistema tributario. Nessuno dei Paesi della regione ha alcun incentivo a rafforzare e
ammodernare le proprie forze armate. Allo scoppio della guerra dell’Oppio i Paesi asiatici si
trovano realmente impreparati al confronto.
La storia militare dell’Asia Orientale in Età Moderna è stata dunque un fenomeno
dinamico. A margine della nostra trattazione, il riconoscimento di queste vitalità ci permette
di contestualizzare e superare un'altra tesi connessa a quella della stagnazione, vale adire
l’idea che il sistema internazionale dell’Asia orientale fosse generalmente più pacifico di
quello europeo. Come abbiamo visto nel secondo e nel terzo capitolo questa tesi è stata
presentata in più occasioni come una delle cause della supposta stagnazione militare della
regione. Se il sistema delle relazioni internazionali dell’Estremo Oriente era pacifico, nel
senso che i conflitti tra Stati era un più raro rispetto all’Europa per via della preponderanza
701
Per il dibattito sui limiti di questa parità si veda: Hoffman Philip, Inkster Ian, Morillo Stephen, Parrott David,
Pomeranz Kenneth, Symposium Review of The Gunpowder Age: China, Military Innovation, and the Rise of the
West in World by Andrade Tonio, Journal of Chinese History 2 (2018).
210
della Cina, sembrava conseguirne che non ci fosse uno stimolo forte all’innovazione in campo
bellico.
Abbiamo invece visto come anche questa posizione sia smentita da un’analisi attenta:
il sistema internazionale dell’Asia Orientale non era certo pacifico. Il ricorso alla guerra era
continuo e condotto con livelli di mobilitazione di uomini e risorse superiori a quelli europei.
Sarebbe più corretto dire che a partire dal 1300 la guerra in Europa iniziò a essere condotta su
una scala simile a quella dell’Estremo Oriente. Al contempo è vero che i grandi Stati della
regione, Cina, Giappone, Corea e Vietnam sono stati in guerra tra di loro meno spesso rispetto
agli Stati europei.
Dunque questa distorsione interpretativa è causata in gran parte dal minor ricorso in
Asia alla modalità del conflitto interstatale rispetto all’Europa. La maggior differenza tra
Europa e Asia stava nella diversa natura dei loro sistemi internazionali. In Occidente gli Stati
nazionali si rafforzarono, svincolandosi progressivamente dai poteri locali e sovranazionali. Il
sistema si formalizzò con la fine della Guerra dei Trent’anni e l’assenza di un egemone
determinò un ambiente in cui il ricorso alla guerra interstatale all’interno di un sistema
multipolare era la normalità. In Oriente invece la posizione centrale ed egemonica della Cina
limitava, a volte per periodi pluridecennali, l’eventualità di grandi conflitti tra gli Stati. Il
sistema internazionale dell’Asia Orientale rasentava una forma di unipolarismo, in cui le
piccole potenze non potevano mettere seriamente in crisi lo Stato egemone.
Bisogna chiarire che questa situazione, pur favorita da fattori geografici e culturali,
non fu una condizione permanente né un destino scritto per nessuno dei due sistemi. L’Europa
aveva visto nel passato grandi Imperi sovranazionali e nel corso dell’Età Moderna il tentativo
degli Asburgo di egemonizzare la politica europea andò molto vicino ai suoi obiettivi.702 La
Cina stessa entrava in questo periodo storico riassumendo il proprio ruolo centrale, dopo
essere stata prima parte di un sistema multi-statale competitivo sotto i Song e quindi essere
ridotta a provincia dell'Impero continentale dei Mongoli per oltre un secolo. La rinnovata
potenza dei Ming e dei Qing non era immune alle sfide dei propri vicini e ogni momento di
indebolimento poteva portare a un cambio dinastico o a una nuova frammentazione del Paese.
Liberarsi dall’idea che il conflitto interstatale sia la forma di guerra per eccellenza ci
aiuta a cancellare l’immagine di pacifismo del sistema asiatico. La guerra era frequente
all’interno e ai confini di Cina, Giappone e Corea e una varietà di attori non statali
contribuivano a mantenere alti i livelli di violenza. Nell’Europa stessa l’affermarsi del
702
Cardini Franco, Valzania Sergio, Le radici perdute dell'Europa. Da Carlo V ai conflitti mondiali, Mondadori,
Milano, 2006.
211
monopolio statale sulla violenza fu un percorso, durato fino alla Rivoluzione Francese. Né
sono mai sparite forme di guerra non classificabili come guerra tra Stati, come le guerre civili,
la repressione delle rivolte o la pirateria.
D’altro canto una notevole differenza tra Europa e Asia Orientale è quella della
proiezione oltremare della guerra, l’espansione marittima e coloniale europea. Qui la
divergenza è marcata: l’espansionismo degli Europei sugli oceani non ha un vero corrispettivo
asiatico, neppure con caratteri differenti. Semplicemente gli Stati asiatici non si misero a
competere attivamente per garantirsi basi e colonie in altri continenti. La spiegazione del
fenomeno riguarda più la geografia e la struttura del commercio interasiatico che la politica di
potenza ed esula da questa trattazione. Tuttavia abbiamo visto che non è del tutto vero che in
Asia non esistesse una competizione oceanica: nell’Oceano Indiano la guerra tra potenze
navali europee e asiatiche fu feroce e nel Mar Cinese non si dovrebbero dimenticare i tentativi
egemonici dei Giapponesi e del clan degli Zheng.703
Se invece spostiamo lo sguardo sull’espansionismo continentale la situazione è
ribaltata. Mentre gli Asburgo a inizio diciottesimo secolo appena iniziavano a far arretrare
l’Impero Ottomano e i russi sottomettono un certo numero di disperse tribù mongole e
tunguse in Siberia, la Cina Qing realizzava in maniera definitiva, con mezzi puramente
preindustriali, il sogno millenario dell’Impero cinese: la definitiva sottomissione dei nomadi
centroasiatici. Pur tenendo conto del più limitato ricorso alla modalità del conflitto interstatale
possiamo affermare che la tesi pacificità del sistema internazionale dell’Asia Orientale e in
particolare della Cina non abbia un vero fondamento. Questa constatazione rinforza dunque il
dato della vitalità del fenomeno militare nella regione.
La seconda questione è quella dei rapporti tra tecnologia, cultura, società e
organizzazione tra Europa ed Asia Orientale. La loro interazione intorno ai problemi militari è
stata una fonte di modernizzazione? La risposta tradizionale sarebbe: sì, nel caso dell’Europa,
la guerra è stato un fattore di modernizzazione. Alla luce della trattazione è però chiaro che la
guerra ha profondamente modificato e modernizzato anche le società asiatiche. I due
fenomeni hanno avuto un andamento e una intensità comparabile?
La questione si potrebbe affrontare da vari punti di vista, come quello strettamente
culturale. In Europa la guerra ha avuto un impatto profondo sia sulla filosofia, basterebbe
pensare alla riflessione di Machiavelli, Hobbes e Grozio, che sulla mentalità e il costume. Dal
703
Zurndorfer Harriet, Oceans of History, Seas of Change: Recent Revisionist Writing in Western Languages
about China and East Asian Maritime History during the period 1500–1630, International Journal of Asian
Studies, 13(1), 61-94.
212
suo influsso sono nate nuove istituzioni culturali, le accademie militari, nuove scienze come
balistica, statistica e cartografia, e un intero settore della stampa che si è dedicato alle
questioni militari. Però, in forme diverse, l’esperienza del conflitto è stata al centro delle
riflessioni anche dei letterati confuciani e ha influenzato lo sviluppo culturale. La riflessione
di Wang Yangming, l’interesse per la matematica, la metallurgia e l’arte europea portate dai
gesuiti e lo sforzo di rifondazione culturale dei Qing ne sono chiari esempi.
Limitiamoci alle questioni del rafforzamento dello Stato e dello stimolo diretto allo
sviluppo della scienza e pensiamo a come i movimenti sociali messi in moto dalla
Rivoluzione Militare abbiano contribuito ai due fenomeni che hanno chiuso l’Età Moderna e
la Rivoluzione Militare stessa, cioè la Rivoluzione Francese e la Rivoluzione Industriale. Il
legame tra Rivoluzione Militare e Rivoluzione Francese è piuttosto diretto ed evidente ed è
costituito essenzialmente dal problema del finanziamento della guerra. La Rivoluzione
Francese nasce in buona parte dalla difficoltà dello Stato Assoluto a finanziare la guerra senza
cambiare la struttura della società e contemporaneamente garantire il debito pubblico. Lo
Stato Nazione che emergerà dagli sviluppi rivoluzionari potrà finalmente abolire i trattamenti
fiscali differenziati per censo e per regione, realizzare la centralizzazione politica e
amministrativa e legare inestricabilmente cittadinanza e servizio militare.
Questo esito e la particolare forma di Stato che determina non erano affatto scontati:
l’Inghilterra aveva già trovato decenni prima un compromesso diverso. La Guerra Civile
inglese ebbe tra le sue cause il conflitto tra monarchia e Parlamento su chi dei due dovesse
esercitare il controllo delle finanze pubbliche. Anche in questo caso le tasse erano utilizzate in
massima parte per finanziare le spese belliche, che si erano enormemente accresciute sempre
per via della Rivoluzione Militare. Il particolare compromesso tra monarchia, nobiltà e
Parlamento usciti dalla Gloriosa Rivoluzione determinò una nuova forma di Stato che
rigettava l’assolutismo e garantiva la stabilità delle finanze e la solvibilità dello Stato, oltre a
rifiutare la coscrizione, ridurre al minimo per l’epoca l’influenza degli eserciti nella vita
pubblica e piuttosto potenziare il più possibile le forze navali.
La maggiore rappresentatività del suo Governo e la sua attenzione agli interessi dei
finanziatori permisero di creare quel clima di fiducia nella finanza pubblica che rese più
semplice e conveniente per l’Impero Britannico finanziare le proprie spese militari rispetto a
tutti i suoi avversari Questo costituì la sua risorsa più preziosa, insieme alle forze navali e alle
conquiste coloniali, nelle lotte per l’egemonia. La fondazione della Banca d’Inghilterra
cementò questa profonda innovazione dando vita alla finanza pubblica moderna. Va
specificato che una finanza pubblica rispettosa dei diritti dei suoi finanziatori non era una
213
novità assoluta. Altri Stati in cui gl’interessi mercantili e finanziari avevano un peso
importante come gli Stati Italiani rinascimentali e le Provincie Unite l’avevano già praticata
con successo. Tuttavia il caso inglese contrapposto a quello francese ci mostra come anche
all’interno della compagine occidentale non sia esistito un percorso univoco con cui la
Rivoluzione Militare ha influenzato gli esiti delle varie rivoluzione politiche.
Un legame diretto tra Rivoluzione Militare e Rivoluzione Industriale è più difficile da
provare. Di certo la conflittualità interna europea stimolava lo sviluppo tecnologico ed è
anche possibile che la presenza di più Stati e il loro minor controllo sulla società favorisse la
creatività e la competizione tra i fabbricanti d’armi. Non bisogna però confondere questi
sviluppi della prima Età Moderna ottenuti per via empirica con quelli propriamente scientifici
avvenuti a partire dal tardo diciottesimo secolo. Matematica e chimica erano progredite
abbastanza da influenzare la tecnologia militare tramite un lavoro impostato per via teorica e
quindi sperimentato nelle officine e sui campi di battaglia.
Allo stesso tempo abbiamo smentito completamente l’idea che in Asia ci fosse un
disinteresse per la tecnologia militare o addirittura un'incapacità tecnica o intellettuale. Il fatto
è che tra 1400 e 1700 non esisteva ancora un rapporto diretto tra la guerra e quello che noi
oggi definiremmo scienza applicata. La Rivoluzione Militare ha esercitato piuttosto un
importante influsso indiretto sulla Rivoluzione Industriale come stimolo all’economia. In
Europa, le grandi commesse al settore privato hanno stimolato la produttività in tutti i settori,
dall’agricoltura al tessile, dalla cantieristica alla metallurgia. I bilanci statali erano fino alla
fine del diciottesimo secolo quasi interamente destinati per le spese militari. Le principali
teorie economiche, il mercantilismo, la fisiocrazia e l'economia classica hanno una profonda
connessione con il problema del rafforzamento dello Stato e la conduzione della guerra.704
Detto questo non bisogna pensare che tali fenomeni siano stati uno stimolo diretto
all’economia simile a quello che potevano avere le spese militari in Europa a partire dalla
corsa agli armamenti a fine diciannovesimo secolo. La guerra coinvolgeva i settori economici
più avanzati e certo contribuì alla crescita dell’economia ma era solo uno dei tanti fenomeni
che ne stimolavano lo sviluppo scientifico e produttivo.
Quindi la Rivoluzione Militare fu un importante veicolo di modernizzazione
dell’Europa in particolare per il suo contributo all’affermazione dello Stato moderno. Tuttavia
determinò sviluppi molto differenti nei vari Paesi e il suo influsso non fu ugualmente
determinante in tutti i campi. Per Cina, Corea e Giappone è invece arduo sostenere che sia
704
Allio Renata, Gli economisti e la guerra, Rubettino, Soveria Mannelli, 2014, pp. 19-67.
214
esistito un fenomeno paragonabile. L’evoluzione del fenomeno bellico influenzò in maniera
limitata la modernizzazione delle società asiatiche per via del loro “patto sociale” differente.
Gli Stati asiatici avevano già un'organizzazione centralizzata potente, strutturata e
culturalmente coesa ma, contrariamente a quanto si pensa, la capacità delle burocrazie
confuciane di raggiungere la società era in realtà piuttosto limitata. L’azione dei letterati era
efficiente solo se agiva in costante dialogo con i poteri informali dei clan dei notabili e delle
molteplici associazioni a scopi economici, culturali e religiosi che costituivano il tessuto della
società.
Prendiamo il caso dell’intervento dello Stato nell’economia. In Asia Orientale lo Stato,
grazie al catasto e alla chiara definizione dei diritti di proprietà, aveva una presa fiscale
teoricamente molto salda sulla base imponibile di origine agricola e commerciale e non
doveva rispondere né a una classe nobile potente e autonoma, né a dei parlamenti, come in
Europa. Tuttavia il livello del prelievo fiscale rimaneva piuttosto basso, preservando la pace
sociale ma limitando la capacità d’intervento dello Stato nell’indirizzare lo sviluppo della
società. In Cina, l’ideologia del paternalismo agrario, la struttura di Impero multinazionale per
i Qing, i limiti dell’amministrazione centralizzata, l’assenza di minacce militari gravi, ma
soprattutto la necessità di garantire il benessere dei contadini, che era la base materiale e
ideologica della legittimità dei Governi, contribuivano a ridurre la capacità dello Stato di
espandere la sua azione oltre un certo limite e fungere da elemento di modernizzazione, nel
senso in cui la intendiamo per la Storia europea.
Con questo non intendo rovesciare l’idea della forza dello Stato asiatico premoderno.
Nella pratica lo Stato in Asia interveniva ampiamente nell’economia: definiva, grazie
all’azione legislativa, amministrativa e giudiziaria, il contesto generale, curava – molto
meglio che in Europa – le infrastrutture, interveniva a correggere le maggiori storture
dell’economia, vale a dire la scarsità di derrate alimentari, grazie al raffinato sistema dei
magazzini, regolava la produzione e il commercio di alcuni beni strategici come sale e ferro.
Giovanni Arrighi ha proposto che lo Stato cinese rappresentasse un esempio di economia di
mercato in senso smithiano – nella sua rilettura di Adam Smith che rifiuta l’idea che il
filosofo fosse antistatalista.705
La forza delle istituzioni statali in Asia gli permetteva di giocare ad un livello
superiore rispetto agli attori economici e questo evitava il fenomeno di alleanza Statocapitalismo che invece caratterizza l’Europa a partire dall’inizio dell’Età Moderna. Gli Imperi
705
Arrighi Giovanni, Adam Smith a Pechino. Genealogie del Ventunesimo Secolo, Feltrinelli, Milano, 2008
215
Asiatici potevano avvantaggiarsi e favorire i loro attori economici fino a questo rientrava nei
loro interessi; i regnati europei si dovettero piegare a compromessi molto più pesanti con le
loro classi produttive, che piuttosto potevano limitare la concorrenza e sfruttare lo Stato per il
proprio profitto.
Allo stesso tempo, specie in Cina, la classe dirigente era costituita da un influentissimo
ma ristretto gruppo di persone e anche i funzionari di più basso rango dovevano assicurare
l’amministrazione e la giustizia di vasti territori. Quindi nel loro lavoro quotidiano
svolgevano più il lavoro d’influenzare e tenere sotto controllo i notabili locali piuttosto che
quello di dirigere una moderna amministrazione. Il notabilato locale, che esercitava il vero
potere nei villaggi e nei distretti, era una realtà complessa che si riproduceva non tanto tramite
diritti ereditari quanto tramite l’arricchimento, la costituzione di estesi legami familiari e il
prestigio che derivava dall’erudizione, dal superamento degli Esami Imperiali e dall’aver
ricoperto incarichi pubblici. Il potere centrale e quello locale avevano quindi una relazione
molto complessa, alimentandosi e sottraendosi competenze a vicenda ma senza che nessuno
dei due, nei periodi di pace, sovvertisse l’altro. Corea e Giappone avevano una struttura del
potere più aristocratica, con maggiori elementi di privilegio di ceto e di diritti ereditari ma le
loro classi dirigenti non avevano comunque l’autonomia rispetto al potere centrale della
nobiltà europea che gli Stati cercarono di comprimere per tutta l’Età Moderna.
Il fenomeno della guerra non sfugge a queste particolari limitazioni della forza dello
Stato. Gli Stati asiatici potevano raccogliere denaro, mobilitare truppe, produrre armamenti e
spostare rifornimenti, spesso molto meglio dei regni occidentali, senza che questo si
traducesse in un'espansione permanente della capacità dello Stato e in una riforma profonda
della società. Apparentemente la maggior differenza in quest’ambito tra Europa e Asia
Orientale sembra essere stato il precoce ruolo dello Stato nel fornire armamenti e occuparsi di
logistica, che potrebbe aver contribuito a inibire lo sviluppo privato. In realtà il vero elemento
distintivo era la dinamica centro-periferia, il rapporto tra le élite burocratiche e la classe
dirigente provinciale, che permetteva allo Stato di ampliare e diminuire la sua azione a
seconda della necessità.706 L’evoluzione dei sistemi di reclutamento e di sostentamento degli
eserciti sotto i Ming e Qing ne sono chiari esempi: la creazione di caste militari e
l’assegnazione di terre per sostentare funziona fino a che c’è una chiara minaccia militare.
Scemata la tensione originale, nel lungo periodo l’amministrazione centrale non riusciva a
706
Lorge Peter, War, Politics and Society in Early Modern China, 900-1795, Routledge, London, 2005, pp. 177180.
216
mantenere il sistema efficiente e questo veniva svuotato dai poteri locali che si appropriano
delle cariche e delle risorse a questo destinate.
Questa particolare distribuzione del potere in Asia faceva sì che i poteri del centro
fossero in teoria molto estesi ma che venissero esercitati nella loro interezza se non in
specifiche situazioni di necessità. Per questo non si registra in Asia un fenomeno lineare di
espansione delle prerogative dello Stato con le sue ricadute sulla struttura della società come
quello europeo. Con questo non voglio dire né che le società asiatiche fossero statiche,
abbiamo visto come la società giapponese sia mutata profondamente in epoca Tokugawa, né
che la guerra non abbia contribuito a modificare le strutture sociali. Tuttavia le società
asiatiche si sono dimostrate in generale molto più resilienti di quelle europee agli effetti dei
conflitti. Stabilire la portata complessiva della particolare modernità dell’Asia e come questa
si ponga rispetto a quella dell’Europa esula dai nostri scopi ma questo studio evidenzia che il
fenomeno della guerra ebbe un effetto minore sullo sviluppo della società in Asia rispetto a
quello esercitato in Europa.707
La terza domanda ci riporta alla questione del gap militare tra Europa e Asia che si era
determinato a fine ‘700 per via della lunga pace sotto l’egemonia Qing. Perché i paesi asiatici
non riuscirono a colmarlo rapidamente come era avvenuto nel corso del sedicesimo secolo?
Possiamo escludere l’ipotesi classica che le sue classi dirigenti fossero contrarie
all’innovazione. Abbiamo visto quanto i burocrati confuciani e i signori della guerra
giapponesi influirono nell’adozione di tecnologia occidentale nel sedicesimo secolo. A inizio
del XIX secolo la loro attitudine non era cambiata e dopo le prime sconfitte avviarono
frenetici programmi di ammodernamento che però stavolta riuscirono a malapena a contenere,
non certo a rimuovere, la minaccia occidentale.
La singola spiegazione più rilevante è quella scientifica: nel diciannovesimo secolo la
Rivoluzione Scientifica aveva prodotto in Europa un salto di qualità teorico e tecnico che si
era propagato ai prodotti della Rivoluzione Industriale. Anche in questo campo occorrono
comunque delle precisazioni. Il lavoro di Needham e dei suoi epigoni ha ampiamente
dimostrato la vitalità della scienza cinese nel corso dei millenni. L’Età Moderna non è una
fase di stasi, né intellettuale, né tecnologica e i paesi dell’Asia orientale sono stimolati dal
contatto con gli Europei. Come suggerisce Nathan Sivin, se suddividiamo la Rivoluzione
707
Pomeranz Kenneth, Wong R. Bin, China and Europe, 1500 - 2000 and Beyond: What is 'Modern? (2004).
217
Scientifica nelle sue varie componenti, i progressi dell’Asia, in parallelo con quelli Europei
sono evidenti.708
Al contempo è chiaro che, per quanto in Asia ci fossero interessi, scoperte e vivaci
dibattiti scientifici, i progressi europei fossero superiori in tutti i campi e che avessero ricadute
consistenti in campo militare. 709 Il vantaggio militare britannico nelle Guerre dell’Oppio fu
largamente dovuto agli ultimi risultati della scienza sperimentale, che avevano prodotto navi a
vapore, artiglierie ed esplosivi avanzati che cinesi e giapponesi non potevano acquisire con
una semplice operazione di ingegneria inversa e adattamento come in passato. L’applicazione
sinergica delle varie scienze allo sviluppo della tecnologia aveva mutato la natura delle
apparecchiature militare e non solo a livello di armamenti: telegrafo, ferrovie, navi a vapore,
cibi conservati, stampa a rotativa, vaccini davano agli Europei un vantaggio enorme, non
immediatamente quantificabile ma determinante.
Naturalmente si può suggerire che il trionfo della scienza in Europa sia stata una
casualità nella storia come ha sostenuto Jack Goldstone: poteva essere cancellata o frenata
dalle ortodossie religiose e politiche. Questo è un argomento in parte convincente ma è
innegabile che alla fine del diciassettesimo secolo, la scienza sperimentale fosse saldamente
stabilita in Europa, sempre più supportata da istituzioni formali e avviata su un percorso di
sviluppo proprio.710
Tuttavia per queste conclusioni non ci interessa tanto il problema del perché la
Rivoluzione Scientifica sia avvenuta in Europa e non in Asia, che richiederebbe una
trattazione a parte, ma perché nella fase storica dell’Ottocento fosse particolarmente
difficoltoso per i paesi dell’Oriente riuscire a colmare il divario di conoscenze teoriche e
tecniche. A dimostrazione che il vantaggio Europeo era notevole ma non incolmabile, vari
riformatori dell'Asia Orientale capirono rapidamente che i progressi militari erano basati sulla
scienza applicata e sulla matematica. Impadronirsi e padroneggiare questo patrimonio di
conoscenze si sarebbe rivelato uno dei compiti più vitali ma al contempo ardui per i governi
asiatici. L’acquisto in Europa e installazione di impianti industriali e l’acquisizione di esperti
si poteva realizzare rapidamente ma l’invio di giovani all’estero e l’avvio di nuove scuole
richiedevano molto tempo per dare risultati tangibili e ancora di più ce ne sarebbe voluto per
diffondere la cultura scientifica nella società.
708
Sivin Nathan, Why the Scientific Revolution Did Not Take Place in China, or Didn't It? , Chinese Science,
1982, 5: pp. 45-66.
709
Hart, Roger, Imagined Civilizations: China, the West, and Their First Encounter, Baltimore, Johns Hopkins
University Press, 2012.
710
Goldstone Jack, Efflorescences and Economic Growth in World History: Rethinking the ‘Rise of the West’
and the Industrial Revolution, Journal of World History 13, no. 2 (2002): 323–89.
218
La creazione rapidissima di un sistema educativo capace di trasmettere il sapere
scientifico e lo sviluppo di un’atmosfera sociale favorevole all’applicazione della scienza nei
campi della vita quotidiana era la difficoltà maggiore affrontata da Cina, Giappone e Corea.
Lo sviluppo scientifico europeo non era infatti il risultato degli sforzi di piccole istituzioni in
un periodo di tempo concentrato ma piuttosto di uno sforzo plurisecolare che aveva coinvolto
ampi strati della società. La Rivoluzione Scientifica ebbe tratti profondamente antiaccademici e fu portata avanti da una serie di istituzioni e personalità scollegate dalle
Università ma capaci d’interfacciarsi con le attività produttive Questo è particolarmente vero
per l’Inghilterra come dimostrano i casi di Francis Bacon e Isaac Newton.711
La comunità proto-scientifica europea era un gruppo eterogeneo e transnazionale
composto da personale spesso direttamente impegnato nello sviluppo tecnico. Lanciando un
ponte tra la scienza teorica e l’artigianato crearono le basi della Rivoluzione Industriale.
Sarebbe esagerato affermare che la società europea fosse intrisa di spirito scientifico ma la
rilevanza sociale di questo gruppo di persone, che combinavano spesso il lavoro teorico con la
sperimentazione e la direzione di istituzioni come cantieri navali, zecche o imprese di Stato, è
davvero una caratteristica unica dell’Europa. 712 La difficoltà a colmare il gap scientifico e
produttivo spiega in parte perché i nuovi rapporti di forza Asia-Europa divennero un
fenomeno di lunga durata. Tuttavia non si può disgiungere la questione dall’aspetto politico.
Cina e Giappone si erano avviati su un percorso simile ma l’esito diverso della loro rincorsa
tecnologica dipese molto dai diversi obblighi e opportunità politiche che affrontavano.
Il Giappone compì sicuramente delle riforme ardite, più profonde di quelle cinesi e
coreane, ma era nettamente favorito dalla coesione della sua società, dalla posizione
geografica e dal disinteresse delle grandi potenze. Invece la Cina Qing era invece una grande
Impero multietnico non poteva rinunciare volontariamente alla sua posizione internazionale o
a parti dell’Impero per concentrarsi sullo sviluppo interno. L’Impero Qing soccombette alla
fine sotto il peso combinato della crisi sociale, della crisi dinamica e della perdita di centralità
internazionale. Il suo fallimento nel recuperare la Grande Divergenza Militare trascinò con sé
l’esperienza imperiale e il sistema di relazioni internazionali asiatiche chiudendo
un’esperienza plurimillenaria.
In sintesi emerge che: 1) il sistema internazionale dell’Asia Orientale non era pacifico
e che non ci sia stata nessuna stasi militare della regione ma anzi sviluppi comparabili a quelli
711
712
Rossi Paolo, La nascita della scienza moderna in Europa, Laterza, Bari, 2005.
Rossi Paolo, I filosofi e le macchine (1400-1700), Feltrinelli, Milano, 2002.
219
occidentali, 2) che questi sviluppi hanno avuto un effetto sulla società meno determinante che
in Europa e 3) che all’inizio ‘800 i paesi dell’Asia erano rimasti indietro nella competizione
militare e che non riuscirono a colmare il loro divario a causa della difficoltà ad acquisire
rapidamente il livello tecnologico necessario.
Questi elementi consentono di ritornare alla questione della Grande Divergenza e al
dibattito tra revisionisti (sostenitori della tesi della grande Divergenza) e anti-revisionisti. La
tesi della Grande Divergenza come formulata dalla Scuola Californiana si è rivelata uno
strumento interpretativo molto utile per estendere la questione della Rivoluzione Militare
dall’Europa all’Asia. Per gran parte della dissertazione ne ho ripreso la modalità di lavoro:
spiegare gli sviluppi asiatici nel loro contesto e quindi effettuare un paragone con quelli
occidentali per cercare di creare un’immagine più globale del fenomeno bellico. Grazie alle
nuove ricerche disponibili sulla storia militare orientale questo approccio si è rivelato proficuo
per dare una nuova panoramica al fenomeno della guerra nell’Età Moderna.
Nel secondo capitolo avevo indicato come sia i revisionisti che gli anti-revisionisti
hanno utilizzato la questione dello sviluppo militare come una conferma delle proprie tesi
contrapposte. Al contempo suggerivo che la questione militare aveva avuto un peso superiore
nel determinare l’egemonia occidentale in Asia di quanto ritenessero studiosi come Pomeranz
e Wong, concentrati sulle questioni economiche. Quello che emerge è che il fenomeno
economico e quello militare sono collegati ma che hanno avuto uno sviluppo determinato da
meccaniche proprie. Il declino dell’Asia nei due campi è avvenuto quindi in tempi e modi
differenti.
Certamente il grande sviluppo economico dei primi tempi delle dinastie Ming e Qing
ne ha favorito le ambizioni militari. Tuttavia, se consideriamo il diciottesimo secolo, notiamo
che Cina, Giappone e Corea hanno un profondo declino militare ma un notevole sviluppo
economico. Se invece guardiamo al diciannovesimo secolo l’effettiva vitalità dell’economia
dell’Asia Orientale resta una questione aperta mentre le sconfitte militari di questi paesi nello
stesso periodo sono evidenti. Il ritardo militare accumulato nel secolo precedente e
l’impossibilità di colmarlo rapidamente resero sempre più difficoltoso per i paesi dell’Asia
trarre vantaggio dall’economia internazionale e gli impedirono per decenni di esercitare una
piena sovranità e ristrutturare così la propria produzione. Le sconfitte militari quindi
amplificarono gli effetti e i vantaggi della Rivoluzione Industriale europea aumentando e
garantendo il vantaggio globale dell’Occidente. Questa situazione di inferiorità militare non si
originava da un declino economico precedente ma piuttosto contribuì al successivo
220
declassamento dell’economia dell’Asia Orientale, specie della Cina, e al sorgere della Grande
Divergenza.
L’analisi complessiva del rapporto tra sviluppo economico e sviluppo militare per i
paesi dell’Asia richiederebbe un ulteriore studio. Quello che si può dire è che l’evidenza di
una Divergenza Militare non conferma pienamente né la tesi dei revisionisti, né quella degli
anti-revisionisti. Gli antirevisionisti sono maggiormente in errore dato che si appoggiano alle
tesi antiquate della stasi militare dell’Asia e attribuiscono tutti gli sviluppi ad un processo
fallimentare di importazione della tecnologia occidentale. Anche i revisionisti non inquadrano
però adeguatamente la questione, dato che sembrano intendere che la potenza militare dei
paesi asiatici fosse un’espressione diretta e una conferma della loro vivacità economica.
Abbiamo infatti visto come in Asia sviluppo economico e militare non abbiano
coinciso in vari periodi. Questo perché, specie per società pre-industriali, il fenomeno bellico
è sì influenzato da quello economico ma non gli corre in parallelo e risponde maggiormente
ad altre dinamiche (culturali, geopolitiche e strettamente militari). Le connessioni tra
economia e guerra comunque esistono e la più importante è l'elemento tecnologico. La
tecnologia derivante dalla Rivoluzione Industriale dispiegò i suoi effetti e garantì la
superiorità all’Europa decisamente prima in campo militare che in campo economico. Questa
arretratezza contribuì insieme al contesto politico poco competitivo del diciottesimo secolo a
determinare il ritardo militare di Cina, Corea e Giappone. Gli effetti della divergenza militare
ebbero poi un notevole effetto moltiplicatore su quelli della divergenza economica, a loro
volta determinati da un insieme di cause tecnologiche, sociali e di politica internazionale.
L’ultima questione ci riporta al problema teorico della Rivoluzione Militare. Alla luce
del percorso dell’Asia, possiamo ancora parlare di Rivoluzione Militare negli stessi termini in
cui questa tesi è stata formulata a partire dall’esperienza europea?
Si può escludere subito l’abolizione del concetto. Se guardiamo agli esiti europei della
Rivoluzione Militare è molto difficile disconoscere la sua validità come strumento
interpretativo. Il paradigma della Rivoluzione Militare continua a inquadrare la ricerca e a
generare nuove domande. Allo stesso tempo questa stessa ricerca dimostra quanto si riveli
proficuo per inquadrare in maniera innovativa la storia militare extra-europea. La vitalità della
tesi sfida tutti i tentativi di squalificarlo come un mero concetto eurocentrico o distorsivo e di
dichiararne l’inutilità. Ad esempio l’estensione del concetto di Rivoluzione Militare all’Asia
ci permette di rivalutare la questione l’origine tecnologica oppure quella istituzionale della
Rivoluzione Militare. Per l’Asia dipende molto dal Paese a cui si guarda. Il Giappone sembra
confermare la tesi istituzionale, la Rivoluzione Militare viene stimolata dal rafforzarsi degli
221
Stati in lotta tra loro, che precede l’introduzione della polvere da sparo. In Cina sembra invece
che sia l’invenzione della polvere da sparo a dare il via alle trasformazioni, confermando la
tesi tecnologica.
Esclusa l’abolizione del concetto non posiamo però affidarci ad una sua estensione
indiscriminata dall’Europa all’intera Eurasia. Il lavoro di comparazione e d’individuazione
delle similitudini tra le varie aree del mondo è fondamentale ma considerare l'intero insieme
dei progressi militari per l’Eurasia come un processo comune e sostanzialmente uniforme, con
qualche variazione locale, non riesce ad illuminarci né sulle origini, né sulle modalità, né sugli
esiti e i limiti del fenomeno militare.713
Dunque, se continuiamo a considerare la Rivoluzione Militare come un fenomeno
europeo come possiamo concettualizzare e dare ragione dei progressi militari asiatici?
Abbiamo notato che anche se la composizione degli eserciti e la conduzione della
guerra mutarono profondamente in Asia durante l’Età Moderna gli effetti della Rivoluzione
Militare non furono socialmente e politicamente dirompenti quanto lo furono per l’Europa.
Gli Stati dell’Asia cambiarono anche per effetto delle vicende militari ma senza seguire lo
stesso percorso di trasformazione profonda. Grazie alla rassegna di ricerche recenti sulla
storia militare dell’Asia possiamo escludere che questo esito sia dipeso da un singolo fattore:
né la cultura, né la struttura della società, né l’assetto del sistema internazionale sono
sufficienti da sé per spiegare il fenomeno. Quindi possiamo escludere le spiegazioni
tradizionali mono causali: l’influenza del confucianesimo, la centralità cinese, il livello della
metallurgia, il confronto con i nomadi etc. Solo il gioco complessivo dei vari fattori riesce a
dare conto dei particolari percorsi europei e asiatici.
A fronte di una Rivoluzione Militare europea, potremmo forse parlare di
un'Evoluzione Militare asiatica, un lungo processo di trasformazione con momenti di pausa e
accelerazione che muta le strutture sociali solo nel lunghissimo periodo, senza strappi
violenti. Questa lettura sembra però dare ragione solo degli esiti dei processi e non dei
processi stessi. Se scomponiamo il fenomeno della Rivoluzione Militare nelle sue componenti
possiamo invece notare come sia in Asia che in Europa la trasformazione del fenomeno
bellico sia proceduta in alcuni casi per strappi e in altra per accumuli, sia a livello sociale che
tecnologico. Per questo, proponendo l’idea di una Rivoluzione Militare contro una
Evoluzione Militare si otterrebbe solo l’ennesima contrapposizione idealtipica OrienteOccidente.
713
Jacob Frank, The Theory of a Military Revolution: Global, Numerous, Endless?, Revista Universitaria de
Historia Militar; vol 3, no 6 (Year 2014).
222
Piuttosto, ho l’impressione che la scomposizione del fenomeno della Rivoluzione
Militare in entità più piccole (Rivoluzioni militari nei vari paesi, Rivoluzione della Polvere da
sparo, Prima e Seconda Rivoluzione etc.) sia la direzione interpretativa che può dare i migliori
risultati. Abbiamo visto nel primo capitolo come le intuizioni di Roberts e Parker abbiano
dato il via ad un importante filone di studi. Gli autori che hanno proseguito in questa strada
hanno al contempo messo in discussione vari aspetti della tesi della Rivoluzione Militare ed
esteso l’analisi sia in senso cronologico che tematico.
Guardando a questi studi nel loro insieme oggi è più facile parlare di svariate
Rivoluzioni Militari piuttosto che di un unico grande fenomeno: per i vari Paesi, per i vari
periodi, nei diversi campi della tecnologia e della società. Lo stesso discorso si può fare per
l’Asia Orientale. Abbiamo uno specifico sviluppo per ciascuno dei grandi paesi, con
particolari momenti di avanzamento rapido in una serie di aree, in cui non si evidenzia un
percorso teleologico ma piuttosto una serie di possibilità, di sviluppi e di percorsi troncati. Il
concetto di Rivoluzione Militare ci dà un’utilissima chiave interpretativa per guardare in
maniera complessiva a questi cambiamenti ma cercare in tutti i modi di riportare tutte queste
analisi ad un interpretazione omnicomprensiva, una macro teoria che confermi o meno le tesi
originali di Roberts e Parker rischia di riprodurre nuove contrapposizioni dicotomiche e
spiegazioni riduttive.
La rivoluzione delle armi da fuoco, la rivoluzione della fanteria, la rivoluzione della
difesa, etc. sono stati fenomeni connessi tra loro, in Asia come in Europa, dalla tendenza a
favorire compagini statali sempre più potenti, applicazione della tecnologia e raffinamento
delle forme dell’organizzazione umana. Tuttavia gli esiti della Rivoluzione Militare per
ciascun campo e per ciascun Paese divergono fortemente, influenzati dalle possibilità
geopolitiche e dal gioco di relazioni con la società, la politica, l'economia.
In definitiva, alla luce della grande complessità del fenomeno, del fatto che non tutte le
sue componenti siano realmente collegate da rapporti chiari di causa-effetto, della grande
dipendenza del fenomeno dagli scambi interculturali, evidenzio che la chiave interpretativa
più feconda è quella di analizzare molteplici fenomeni di Rivoluzione Militare, individuando i
momenti di rottura in ambiti specifici e ponendoli a confronto l’uno con l’altro, piuttosto che
parlare di una sola Rivoluzione Militare, omnicomprensiva e idealtipica.
223
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