Cosa è un italiano. Perdere o ritrovare un immaginario comune
di Cinzia Costa
Che i frutti puri impazziscono ce lo insegnava già nel 1988 James Clifford, quando, come epigrafe
del suo celebre testo The Predicament of Culture: Twentieth-Century Ethnography, Literature, and
Art (che sarebbe poi stato tradotto in italiano, per l’appunto, con il titolo I frutti puri impazziscono)
citava per intero la poesia dei primi anni Venti del medico e scrittore William Carlos Williams1 To
Elsie. Il poeta riconosceva in Elsie, una giovane nativa d’America, l’epitome dei suoi tempi: il
disorientamento culturale ed interiore di un popolo che ha perso di vista la propria identità e purezza.
Nell’introduzione a quello che è poi diventato uno dei testi più influenti della storia degli studi
culturali e antropologici, a commento della sopracitata poesia Clifford scrive:
Spero che [i versi] possano valere come spunto per questo libro, un modo per entrare in argomento con un
concetto problematico. Chiamiamo tale concetto modernità etnografica: etnografica perché Williams si
trova spiazzato in mezzo a tradizioni frammentate; modernità dal momento che la condizione di
sradicamento e d’instabilità con cui egli si confronta è sempre più un destino comune. Elsie simboleggia, a
un tempo, una disgregazione culturale locale e un futuro collettivo 2.
È dunque in questa poesia di Williams che Clifford ravvisa un nuovo approccio alla trasformazione
culturale: un modo di guardare al cambiamento, al disordine, alla frammentazione della realtà in
modo spregiudicato, nessuna nostalgia per una fantomatica purezza perduta, nessuna retorica vuota
di significato.
L’immagine di Elsie suggerisce una svolta inedita. Nel corso degli anni Venti è diventato concepibile uno
spazio realmente globale di connessioni e dissoluzioni culturali. […] La risposta di Williams al disordine
che ella [Elsie] rappresenta è complessa e ambivalente. Se le tradizioni autentiche, i frutti puri, si stanno
ovunque arrendendo alla promiscuità e all’insignificanza, la scelta della nostalgia non possiede fascino.
Non c’è un ritorno possibile, non c’è nulla da recuperare3.
Come non c’è nulla da recuperare, non c’è quindi proprio nulla da difendere. Non una cultura
autentica da preservare dalle minacce esterne di invasori stranieri, non una famiglia tradizionale (o
come viene tragicamente definita sempre più spesso oggi, “naturale”) da difendere da modelli
alternativi. Eppure queste ultime due asserzioni sono, tra le altre, le tesi basilari che hanno fondato e
rinvigorito la campagna elettorale e le linee guida politiche delle forze di governo dell’ultimo anno
in Italia. Ci sono alcuni episodi a cui la mia mente corre mentre, scrivendo, faccio riferimento a queste
grossolane argomentazioni. Il famoso Congresso Mondiale delle Famiglie tenutosi a Verona nel
marzo 2019, le manifestazioni di militanti di estrema destra affiancati da comuni cittadini (o forse
viceversa) per opporsi all’assegnazione, regolare e secondo graduatoria, di alcuni appartamenti a delle
famiglie di etnia rom nei quartieri Torre Maura e Casal Bruciato di Roma nel mese di aprile 2019 e
le polemiche seguite alla vittoria della 69ª edizione del Festival della canzone italiana giovane
cantante Mahmood a febbraio.
Tutti e tre questi episodi hanno sollevato un polverone mediatico, ognuno per ragioni diverse.
Il Congresso delle famiglie, organizzato con il patrocinio del Ministero della famiglia, vedeva, per
esempio, la partecipazione di noti sostenitori di posizioni estremamente reazionarie sul tema della
famiglia. Alcune di queste posizioni erano, per esempio, la condanna dell’aborto, considerato un atto
di cannibalismo, e di qualsiasi forma genitoriale che non sia conforme a quella “naturale”, definita
come «sola unità stabile e fondamentale della società»4, ovvero composta da un uomo e una donna,
con dei ruoli familiari e sociali chiaramente definiti, nonché la condanna definitiva
dell’omosessualità, eventualmente considerata una malattia curabile, o meglio, di qualsiasi forma di
comportamento che non corrisponda all’eteronormatività, anch’essa considerata naturale.
Il secondo episodio a cui ho fatto riferimento è avvenuto nei primi giorni del mese di aprile, nella
città di Roma, a Torre Maura, quando un gruppo di cittadini del quartiere insieme ad alcuni militanti
del gruppo politico di Casapound hanno protestato per il trasferimento di una famiglia rom in una
delle palazzine della zona. Tra le varie azioni di protesta, la più significativa e violenta, visto che la
violenza simbolica non è meno pericolosa di quella fisica, è stata il calpestare il pane destinato a
quella famiglia. Un’azione di una brutalità spiazzante che esprime una incontenibile rabbia,
indirizzata verso un gruppo di persone di cittadinanza italiana, regolarmente iscritte alle graduatorie
dell’edilizia popolare, ma prese di mira solo perché rom, espressione diventata sinonimo per i
manifestanti di Torre Maura, come per molti italiani, di “criminale, ladro, disonesto” e chissà quale
altra appellativo denigratorio. Pochi giorni dopo, in un altro quartiere di Roma, Casal Bruciato, un
episodio analogo vedeva anziani e comuni cittadini al fianco di attivisti di estrema destra per
contestare un’altra regolare assegnazione ad una famiglia rom5.
L’ultimo episodio che ho menzionato riguarda la vittoria dell’ultimo Festival di Sanremo, con la
canzone Soldi, di Mahmood, giovane cantante ed autore di testi musicali, poco conosciuto nel
panorama nazionale prima della vittoria. All’indomani della fine del Festival della canzone italiana
molte sono state le polemiche che avrebbero preferito vedere sul podio altri cantanti, poiché la
canzone di Alessandro Mahmoud non è stata considerata sufficientemente rappresentativa della
“musica italiana”. Addirittura il presidente della commissione Trasporti e telecomunicazioni della
Camera, Alessandro Morelli (Lega, ex direttore di Radio Padania), facendo proprio riferimento alla
vittoria del cantante, ha proposto un disegno di legge che avrebbe previsto che un terzo delle canzoni
trasmesse dalle radio avrebbe dovuto essere italiano. Questa proposta di legge, chiaramente
accantonata in poco tempo, suscita comunque delle perplessità per diversi motivi. Prima di tutto, cosa
si intende con l’espressione “musica italiana”: il testo deve essere tutto in italiano, il cantante deve
essere italiano, il produttore deve essere italiano, il sound del motivo deve ispirarsi ad una fantomatica
tradizione musicale italiana? Tutti i criteri sopra menzionati sono palesemente privi di valore6. Inoltre,
anche qualora volessimo prenderli in considerazione il giovane Mahmood rientrerebbe in molti dei
criteri elencati: è un cantante italiano, milanese, di madre sarda e padre egiziano, nato e cresciuto in
Lombardia; il testo della sua canzone è tutto in italiano, fatta eccezione per alcune brevi frasi in arabo;
i suoi collaboratori e produttori sono italiani, e non etichette straniere, come spesso avviene invece
per altri italianissimi cantanti. Come se non bastasse porre delle barriere e dei confini alla definizione
di un elemento artistico come la musica, è quanto di più profano si possa fare per una forma artistica
che vede i suoi punti di massimo valore nella connessione e nell’influenza tra generi, suoni e lingue 7.
Senza soffermarmi sulle motivazioni e sulle analisi dei singoli episodi che ho qui riportato, vorrei
adesso provare a porre una domanda: cosa è che ci spinge ancora oggi nel 2019 a porci in un
atteggiamento di difesa e rivendicazione così fermo? Cosa ci spinge a difendere in modo così
sfegatato la famiglia tradizionale, da cosa ci sentiamo minacciati quando l’appartamento vicino al
nostro viene abitato da una famiglia di etnia rom, qual è il pericolo che incombe sulla musica italiana
e sulla nostra autenticità culturale?
I versi di Willian Carlos Williams e l’accurata analisi di James Clifford rispondono già in modo
appropriato a queste domande. Tuttavia c’è un’altra autrice che in modo quanto mai eloquente spiega
quale sia il reale pericolo da cui mettersi al riparo. Questo è quello che la scrittrice nigeriana
Chimamanda Ngozi Adichie, in un famoso e bellissimo intervento per una conferenza TED Global
nel 2009, definisce “Il pericolo di una storia singola”. In un lungo discorso molto ben argomentato e
corredato da numerosi esempi tratti anche da esperienze personali, l’autrice spiega che sono le storie
che noi ascoltiamo che creano il nostro immaginario, raccontare dunque una singola storia, una
versione unica di una storia, produce un’idea, uno stereotipo che in tutti i casi non coincide con la
realtà.
The single story creates stereotypes, and the problem with stereotypes is not that they are untrue, but that
they are incomplete. They make one story become the only story 8.
La storia singola crea stereotipi, e il problema degli stereotipi non è che non veri, ma che sono incompleti.
Gli stereotipi fanno in modo che una storia diventi l’unica storia.
Far sì che una singola storia diventi l’unica storia è ciò che crea un unico modello di famiglia, di rom
e di italiano. Ciò che va difeso perché in tutta evidenza non esiste come modello unico, e non è mai
esistito neanche in un passato autentico e puro. Il presente è dunque fatto di “connessioni e
dissoluzioni culturali”, e lottare per preservare una tradizione ed un’identità che mai sono state realtà
fa male a tutti, non solo a coloro che sono identificati come modelli non conformi alla norma.
È necessario dunque, continua Adichie, raccontare storie diverse, esperienze difformi, per non stupirsi
poi che la realtà non corrisponda allo stereotipo preformato presente nella nostra mente.
Cosa è dunque un italiano oggi? È possibile oggi immaginare un italiano nero, un italiano asiatico,
un italiano musulmano? La risposta a questa domanda sta nelle vite di migliaia di giovani che esistono
già nel nostro paese e che sono parte di una cultura nazionale multiforme. In questo senso l’arte, che
rappresenta la punta d’iceberg di un hummus culturale e sociale molto più vasto e che fluttua
liberamente senza alcun vincolo facendo invece di contaminazioni, melting pot il proprio punto di
forza, racconta molto bene le storie diverse che compongono oggi l’immaginario di italianità.
Tantissimi sono oggi i cantanti o i registi italiani delle più varie origini che popolano il panorama
culturale italiano, penso appunto a Mahmood, ma anche a Ghali, Malika Ayane, Amir Issaa, Ermal
Meta, Suranga Deshapriya Katugampala, Igiaba Scego, per citarne solo alcuni tra i più noti.
Sotto la punta di quest’iceberg sono molti i movimenti e le organizzazioni che cercano di dar voce a
questa vastissima realtà e che con azioni di attivismo politico cercano anche di rivendicare un
riconoscimento di diritti civili e politici per chi, appunto, è italiano per tutti, ma non per il quadro
giuridico italiano. Come è noto, infatti, il sistema legislativo italiano9 non prevede lo ius soli, e regola
i processi di assegnazione della cittadinanza con norme particolarmente restrittive, che nel corso degli
anni si sono ancora di più inasprite, in particolar modo con l’ultimo Decreto Sicurezza proposto al
Ministro degli interni Matteo Salvini e approvato in Parlamento10.
I movimenti a cui faccio riferimento sono due in particolare: un blog redatto da giovani italiani di
origini africane e non solo che prende il nome di Afroitalian Souls, all’interno del quale si trovano
articoli di costume, gossip, geopolitica, storie individuali, suggerimenti per capigliature afro, etc11.
La missione di Afroitalian Souls è raccontare la storia italiana che vede protagonisti uomini, donne e ragazzi
di origine africana, accostano le riflessioni socio-politiche, nel contesto italiano, alla leggerezza delle
tendenze, fino alla scoperta di nuovi talenti artistici. Il tutto, mantenendo un occhio di riguardo verso il
continente africano12.
Un altro movimento molto attivo politicamente e che non dà voce solo agli italiani di origine africana,
si chiama Italiani senza cittadinanza. È un movimento che si batte per un riforma della cittadinanza
e per una revisione della «obsoleta legge n. 91 del 1992 [che] non rispecchia l'attualità della nostra
Italia, ci rende difficile e talvolta impossibile acquisire la cittadinanza italiana e molti di noi vengono
considerati stranieri nel proprio Paese, liquidati come "Italiani col permesso di soggiorno"»13.
In una delle biografie di presentazione degli attivisti del movimento, Benedicta Djumpah, giovane
bresciana, afroitaliana di origini ghanesi, scrive così: «ho scelto di essere un'attivista, perché come io
sono stata in grado di conciliare le mie identità, mi piacerebbe che l'Italia ormai pluriculturale, facesse
lo stesso»14.
Questa breve presentazione racchiude in poche parole la condizione attuale dell’Italia: il nostro paese
è già pluriculturale, esistono già identità multiple e interstiziali, non riconoscerlo fa male a tutti. Fa
male a chi pensa che il paese abbia perso la sua tradizione culturale e fa male a chi viene considerato
difforme rispetto ad un modello inesistente ed obsoleto. Abbiamo bisogno di costruire un nuovo
immaginario collettivo, che riconsideri il concetto di italianità, trasformandolo in un’idea inclusiva e
non esclusiva, un concetto di italianità che non percepisca come contraddittorio o ossimorico essere
neri, musulmani, asiatici, mulatti, ebrei, etc.
I frutti puri impazziscono, sono gli innesti che riescono ad adattarsi ai cambiamenti.
Il testo dell’intera poesia tradotta in italiano è disponibile a questo link:
https://www.nazioneindiana.com/2012/12/23/to-elsiea-elsie/.
2
Clifford J., I frutti puri impazziscono, Bollati Boringhieri, 1993, Torino, p. 15
3
Ivi, pp. 15-16
4
https://wcfverona.org/it/about-the-congress/
5
Il quartiere di Casal Bruciato ha una storia particolare, che rimanda ad un passato di occupazioni delle palazzine da
parte di giovani italiani, spesso provenienti da altre regioni d’Italia. È interessante notare, come evidenzia una insegnate
in pensione del quartiere intervistata per il programma televisivo Propaganda live
(http://www.la7.it/propagandalive/video/carla-casal-bruciato-quelli-che-protestano-oggi-un-tempo-erano-consideratiextra-comunitari-12-04-2019-268823), che coloro che protestano oggi a Casal Bruciato sono gli stessi, o i discendenti,
di coloro che negli anni Settanta occupavano le stesse palazzine e venivano considerati alla stregua degli
“extracomunitari” oggi. Alcuni dei manifestanti, durante lo stesso servizio televisivo, rivendicano la loro appartenenza
politica: comunisti militanti. È un interessante corto circuito, che aprirebbe la pista per una approfondita analisi
dell’origine della frustrazione e della rabbia nella periferia romana, che certamente trova espressione nell’aggressione di
un capro espiatorio, che nulla ha a che fare con le condizioni di degrado in cui i quartieri versano. Un analogo episodio
di protesta contro il trasferimento di un nucleo familiare rom, senza alcuna azione violenta, è avvenuto a Palermo, nel
quartiere Ciaculli, dove però alla famiglia sgomberata dal campo rom della Favorita è stata assegnata una piccola
villetta, in condizioni di semi abbandono, priva di acqua corrente ed energia (https://www.palermotoday.it/cronaca/romciaculli-protesta-residenti-casapound-forza-nuova.html).
6
Soprattutto se dovessimo realmente prenderli in considerazione, molta della musica considerata italiana, ricadrebbe
fuori da questi ristretti canoni, soprattutto considerato il fatto che buona parte dei più famosi cantanti italiani sono
prodotti da etichette musicali appartenenti a grandi multinazionali della musica, e perciò, non molto “italiane”.
7
Il picco dell’assurdità di questo episodio è stato a mio avviso raggiunto quando una giornalista, intervistando
Mahmood, gli ha chiesto cosa gli mancasse del suo paese (http://www.milanotoday.it/video/mahmood-intervistaitalia.html), lasciando spazio solamente all’imbarazzo e ad una risposta legittimamente piccata, con la quale il cantante
ha dovuto sottolineare che il suo paese è l’Italia e che l’Egitto è solo il paese in cui si reca d’estate per trascorrere le
vacanze.
8
Il video e la trascrizione dell’intervento si trovano per intero a questo link:
https://www.ted.com/talks/chimamanda_adichie_the_danger_of_a_single_story/transcript?language=it#t-339862
9
Il sistema della cittadinanza italiana è particolarmente famoso a livello mondiale perché è uno degli ordinamenti più
restrittivi per quanto riguarda l’acquisizione della cittadinanza da parte di stranieri che risiedono nel nostro paese, ma
uno dei più concessivi per coloro che sono nati e risiedono all’estero e posseggono genitori o antenati italiani. Il sistema
è spiegat moto bene in questi due articoli: https://www.internazionale.it/bloc-notes/2019/03/22/cittadinanza-italia-leggi;
https://www.ilpost.it/2019/03/25/come-si-diventaitaliani/?fbclid=IwAR1A_huZ6_035_yUwfuVZAhs1Kx2VQ5GLSOjmNAuRg1hN1YpWvdlpuQ5PnU.
Le larghe maglie sullo ius sanguinis creano anche alcuni problemi burocratici, anche perché la cittadinanza italiana è
una tra le più ambite al mondo, visto che il passaporto italiano è uno più “potenti” sul panorama internazionale
(https://www.passportindex.org/).
10
Il “Decreto Sicurezza e immigrazione” ha anche introdotto la possibilità di revocare la cittadinanza per reati di
terrorismo a chiunque abbia acquisito la cittadinanza tramite richiesta e non per nascita, anche, per esempio, a persone
straniere adottate da nuclei familiari italiani. Quest’ultimo provvedimento è stato contestato con incostituzionale e mette
bene in evidenza la concezione di cittadinanza sostenuta dall’attuale governo italiano: un premio che si merita e non un
diritto che spetta agli individui.
1
11
Per esempio questo divertente video sugli stereotipi sui neri in Italia: https://youtu.be/16cNRIkF0qA
http://www.afroitaliansouls.it/blog/afroitalian-souls-about-us/
13
http://www.italianisenzacittadinanza.it/
14
http://www.italianisenzacittadinanza.it/1/chi_siamo_1223924.html
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