Academia.eduAcademia.edu

Maraglianeschi_Lo Spezzino

2018, Maraglianeschi. La grande scuola di Anton Maria Maragliano, a cura di D. Sanguineti

Il saggio intende proporre un excursus su una serie di sculture in legno dipinto realizzate da allievi di Anton Maria Maragliano nel territorio dello spezzino durante il Settecento.

Maraglianeschi La grande scuola di Anton Maria Maragliano a cura di Daniele Sanguineti saggi di Massimo Bartoletti Valentina Borniotto Matteo Capurro Chiara Cazzadore Fulvio Cervini Valentina Fiore Sara Garaventa Marta Gertosio Fausta Franchini Guelfi Alice Giannotti Anna Manzitti Beatrice Massucco Giacomo Montanari Romina Origlia Lorenzo Ratto Antonio Rolandi Ricci Sara Rulli Daniele Sanguineti Gianluca Zanelli Lo Spezzino Romina Origlia 234 235 L’estensione geografica analizzata è quella dell’attuale diocesi di La Spezia-Sarzana-Brugnato da rapportare al quadro storico-politico del Settecento, quando l’antica giurisdizione di Luni-Sarzana dominava il vastissimo territorio conteso tra le diocesi di Genova e Lucca. Da una prima indagine risulta evidente come il riferimento obbligato per la scultura lignea fosse Genova, baricentro culturale già segnalato da Piero Donati nel 1989 che, in occasione della mostra Arte e devozione in Val di Vara, individuava per il Settecento “statue lignee, rigorosamente dorate e policromate, che arrivano numerose dalle botteghe genovesi”1. La selezione di circa una trentina di opere maraglianesche ha permesso di disegnare una prima mappatura di questa realtà figurativa, in cui si registra l’agire di ben due generazioni di allievi della scuola di Anton Maria Maragliano inclusi in un arco cronologico che va dall’ultima stagione del caposcuola alla fine del Settecento. Nel tentativo di leggere questo fenomeno è d’obbligo partire dalle opere prossime al maestro: nella produzione seriale dell’ultimo periodo si colloca la statua di San Rocco della chiesa di San Lorenzo a Scurtabò (fig. 1), indicata da Daniele Sanguineti come un modello già testato nel 1726 da Maragliano per l’esecuzione di un reliquiario antropomorfo del santo su ordine dei confratelli della compagnia del Carmine della parrocchiale di Genova Voltri (oggi al Museo Diocesano di Genova)2. L’accostamento delle due sculture rivela l’uso di un identico prototipo, come suggerisce la simile posa del santo, ripreso con una mano sul petto mentre ferma la falda del mantello e l’altra che tiene il bastone, così come la replica precisa di alcune pieghe della veste e il gesto della testa leggermente inclinata. Non lontano dal fare di Maragliano degli anni venti e trenta sono le due statue di Sant’Antonio da Padova con Gesù Bambino presso la chiesa di San Pietro Apostolo in frazione Pieve a Zignago e la Madonna del Carmine in frazione Valdonica a Calice al Cornoviglio. Nonostante le spesse ridipinture che ne offuscano la lettura, le figure mostrano nei teneri lineamenti dei volti la delicatezza delle sue opere note, seppur l’incedere più schietto nel disegno delle vesti tradisca l’intervento di due scultori fortemente suggestionati (figg. 2-3)3. Per quanto invece sia ignota la provenienza, non va taciuto il bel Crocifisso, minuto e composto, ora appartenente al patrimonio della chiesa spezzina di Santa Rita riferito alla rara produzione di Giovanni Battista Maragliano, il figlio di Anton Maria ben presto emigrato in Spagna4. Ben inserito nel circuito di committenze della Val di Vara è Carlo Aschero, dotato di una grafia esecutiva raffinata, frutto diretto dell’eredità del caposcuola5. A lui è riferita la statua della Madonna della Cintura in San Giovanni Battista a Varese Ligure (fig. 4), assegnata da Sanguineti sul confronto con l’identico modello documentato al 1728 per l’oratorio di San Giovanni Battista a Voltaggio, quest’ultima acquistata per 120 lire dal “sign. Carlo Aschero Scultore in Genova”6. Questa scultura fornisce un valido punto di partenza per far luce sull’ancora sfuggente attività dell’artista, a cui si propone l’avvicinamento di un nucleo di opere conservate a Varese Ligure. Legato alla Madonna della Cintura, considerando una fase di intervento successivo, è il gruppo della Madonna di Caravaggio collocato in una nicchia dietro l’altare maggiore nel convento delle monache agostiniane (fig. 5)7: il confronto stilistico mostra la medesima conduzione del volto ovale caratterizzato dal taglio d’occhi leggermente socchiusi, da un simile disegno delle labbra e dal mento ben segnato, così come l’andamento delle ampie pieghe del mantello e della veste. L’elegante atteggiarsi della Madonna che appare alla giovane contadina è un debito della lezione di Anton Maria, così come la leggera inclinazione del capo e l’elegante veste cartacea. Lo studio di queste statue è il nesso che permette di ipotizzare che anche le due figure lignee dell’Angelo Annunciante e della Madonna conservate in San Giovanni a Varese Ligure, ma provenienti dal distrutto oratorio degli agostiniani, siano riconducibili a questa stessa mano. La figura mariana venne attribuita all’ambito maraglianesco da Graziella Colmuto nel 1963, non segnalando la connessione con l’arcangelo Gabriele, successivamente evidenziata da Sanguineti in merito alla doppia valenza iconografica del simulacro utilizzato sia come Madonna con Gesù Bambino – grazie all’inserimento di un avambraccio che regge Gesù – che come Annunciata (figg. 6-7)8. Seguire la crescita graduale di questo scultore è ad oggi faticoso per mancanza di dati documentari, tuttavia intorno agli anni sessanta si può tentare di collocare anche 1 Donati 1989, p. 17. Per le due opere: Sanguineti 2012a, schede I.99, III.22, pp. 343, 395. 3 Per la statua di Calice: Sanguineti 2011-2012, scheda III.367, p. 568. 4 Sanguineti 2013c, p. 219, 288 nota 591. 5 Per lo scultore: Sanguineti 2013c, p. 388 (con bibliografia precedente). 6 Per le due opere: Sanguineti 2013c, pp. 222, 291 note 616 e 617 (con bibliografia precedente). 7 Sanguineti 2012a, scheda III.36, p. 404. 8 La Vergine Annunciata, oggi conosciuta come Beata Vergine della Visitazione, è stata restaurata nel 1968. Cfr. Sanguineti 2011-2012, scheda III.516, p. 617. Questi meccanismi di crasi e contaminazioni iconografiche sono analizzati nel saggio di Valentina Borniotto, in questo stesso volume. 2 1. Bottega di Anton Maria Maragliano, San Rocco, Varese Ligure (La Spezia), frazione Scurtabò, chiesa di San Lorenzo. 2. Scultore maraglianesco, Sant’Antonio da Padova, Zignago (La Spezia), località Pieve, chiesa di San Pietro Apostolo. 236 3. Scultore maraglianesco, Madonna del Carmine, Calice al Cornoviglio (La Spezia), frazione Valdonica, oratorio della Madonna del Carmine. 237 9 Sanguineti 2013c, pp. 223, 291 nota 619. 10 Donati, Bonatti 1999, pp. 163164; Donati 2001, p. 170 nota 8; Sanguineti 2011-2012, scheda III.430, p. 589. il gruppo della Madonna del Carmine e san Simone Stock della chiesa di San Pietro a Comuneglia (fig. 8), eseguito con un tradizionale schema maraglianesco mutato da una risoluzione più sintetica e stereotipata. A suggerire il nome di un maturo Aschero è la fisionomia piena del volto della Vergine che ricorda la documentata Madonna Regina della chiesa del Santissimo Nome di Maria in Valbrevenna (Genova), frazione Frassinello9, opera che si inserisce nei primi anni sessanta del Settecento (1760), quando il fare disinvolto e la corporatura leggiadra delle statue del primo periodo andarono a sostituirsi a una pratica di bottega più sbrigativa. Tra i primi scultori indipendenti rispetto alla bottega di Maragliano è Pietro Galleano che non sembra trovare particolare favore nello spezzino, ad eccezione della cassa processionale della Flagellazione, proveniente dall’oratorio di San Girolamo di Sarzana (oggi conservata nel Museo Diocesano della città; fig. 9)10. Il gruppo è stato concordemente interpretato da Donati e Sanguineti come un’opera da inserirsi nella piena maturità dell’artista che, ormai svincolato dall’insegnamento del maestro, rivela la sua personale grafia scultorea. Rispetto alle atmosfere più avvolgenti e ricche di Anton Maria, Galleano esegue una composizione scenica calibrata ed essenziale, dove i personaggi sono trattati con una fisicità schietta e in pose leggermente bloccate, rivelando tuttavia una certa efficacia dal punto di vista narrativo. L’accuratezza nel definire i volti, in particolare il viso di Cristo reso con un’espressione dolce e malinconica, mostra l’insegnamento della bottega in via Giulia, variato da 4. Carlo Aschero, Madonna della Cintura, Varese Ligure (La Spezia), chiesa di San Giovanni Battista. 5a-b. Scultore genovese (Carlo Aschero?), Madonna di Caravaggio, particolari, Varese Ligure (La Spezia), chiesa di San Filippo Neri e Santa Teresa d’Avila. 7. Scultore genovese (Carlo Aschero?), Angelo Annunziante, Varese Ligure (La Spezia), chiesa di San Giovanni Battista. 6. Scultore genovese (Carlo Aschero?), Madonna Annunciata, Varese Ligure (La Spezia), chiesa di San Giovanni Battista. 238 239 8. Scultore genovese (Carlo Aschero?), Madonna del Carmine e san Simone Stock, Varese Ligure (La Spezia), frazione Comuneglia, chiesa di San Pietro Apostolo. 240 11 Sanguineti 2011-2012, schede III.427, III. 454, pp. 589, 600; Sanguineti 2013c, pp. 221, 290 note 608 e 609. 12 Donati 2001, p. 170 nota 8; Sanguineti 2011-2012, scheda III.528, p. 620. 13 Le recenti ricerche archivistiche sulla chiesa riportano che nella visita pastorale di monsignor Niccolò Lomellini del 1726 la parrocchia aveva due altari: quello del Santissimo Rosario e quello di San Giacomo, entrambi con il “niccio con le loro statue”. Nella successiva visita del 1757, Monsignor Tatis annota che gli altari sono tre: il maggiore sotto il titolo della Santissima Trinità, quello del Rosario e quello di San Giacomo, ma senza precisare le icone che li decorano, informazione che giunge solo nel 1793 quando don Stefano Bisagno annota che l’altare della Trinità è decorato “con le sue statue” e quello di San Giacomo con “la sua statua” e “tutte sono decenti e non si sa se sono benedette”. Al di là della datazione, da collocare verosimilmente a metà del Settecento, è evidente l’uniformità di mano delle due opere e il legame con la bottega di Pietro Galleano, come suggeriscono le fisionomie dei volti e la risoluzione dei panneggi. Cfr. Gabrovec, Pietronave 2017, p. 102. 14 Neri 2002, p. 49. 15 Sanguineti 2011-2012, III.652, p. 646; Sanguineti 2013c, pp. 230, 297 nota 688. 16 Sanguineti 2011-2012, scheda III.557, p. 626. 17 Sanguineti 2011-2012, scheda III.691, p. 653. una tipicità formale caratterizzata dal taglio allungato degli occhi, dalle labbra carnose e dalle ciocche definite dei capelli e delle barbe. Questi caratteri si connettono alle prove degli anni trenta del Settecento, quando lo scultore realizza il sorprendente San Giuseppe con Gesù Bambino per Cadice e il Sant’Antonio da Padova con Gesù Bambino per Albisola Superiore11. Sulla scia di un collaboratore di Galleano attivo nella seconda metà del Settecento si inserisce invece la statua di San Giacomo della chiesa di San Francesco a Lerici, attribuita da Piero Donati12, e altri due gruppi della chiesa di San Vincenzo Martire a Costola (Varese Ligure) raffiguranti un San Giacomo e la Santissima Trinità che incorona la Vergine (figg. 10-11)13, dove è evidente come le corporature sode e i tratti ben segnati dei volti abbiano perso quella vivacità della prima produzione. Accanto a questa prima generazione di maraglianeschi è da segnalare lo scultore outsider di origine massese Pietro Gavé, documentato nel 1735 con una statua della Madonna del Rosario “commissionata dalla confraternita, essendo priore Laudivio Galeazzi” per il santuario della Madonna degli Angeli ad Arcola14. Nulla si conosce della sua formazione e al momento 9. Pietro Galleano, Flagellazione, Sarzana (La Spezia), Museo Diocesano. è ascrivibile al suo catalogo solo un’opera, tuttavia la presenza già negli anni trenta di una scultura di impronta maraglianesca testimonia ulteriormente la posizione di supremazia assunta dalla bottega genovese anche fuori dalle tratte note. A differenza di questi artisti della prima generazione, che seppero articolare un percorso in autonomia rispetto ad Anton Maria, i nipoti Giovanni Maragliano e Agostino Storace possono definirsi gli eredi diretti. Alla produzione di Giovanni Maragliano, Sanguineti riferiva l’imponente Immacolata di Borghetto di Vara, frazione Cassana (località Foce) per la chiesa di Santa Maria Assunta (fig. 12), per “l’aggraziato gestire, il classico hanchement sottolineato dai panni riccamente drappeggiati, il volto allungato e impassibile”15, trovando un’evidente assonanza con l’Annunciazione della cattedrale di San Pietro a Noli, documentata al 1761-1762. La statua – alta 2,10 metri – è stata recentemente restaurata, facendo emergere l’originale e raffinata policromia che si estende su tutta la superficie, eccetto che nella parte posteriore, dato che suggerisce una collocazione in un primo momento all’interno di una grande nicchia sopraelevata. Allo stesso autore si può assegnare anche la statua di Sant’Antonio da Padova con Gesù Bambino (fig. 13), rintracciata in quest’occasione nella medesima chiesa, come suggeriscono le dita allungate e affusolate delle mani del santo, la forma ovale del volto e il confronto con una scultura di uguale soggetto a lui attribuita da Sanguineti, acquistata nel 1965 sul mercato antiquario dal Museo di Sant’Agostino a Genova, dove oggi si conserva16. Questo panneggiare con lunghe fasce ritmate che caratterizza le vesti delle figure di Giovanni trova una vicinanza con la Madonna di Ponzone d’Acqui, attribuita da Fulvio Cervini alla bottega del nipote di Maragliano, e documentata al 1770 per 180 lire a “uno scultore dei più pratici di quell’altezza” per la chiesa di San Colombano in frazione Ciglione17. La proposta iconografica eseguita per l’alessandrino trova una replica meglio riuscita anche nello spezzino in una Madonna del Rosario della chiesa di frazione Legnaro a Levanto (fig. 15), anch’essa avvicinabile a Giovanni Maragliano per via del modello, della posa del Bambino e della Vergine, della struttura del panneggio a lunghe pieghe addossate. Ricalca questo esempio la Madonna Immacolata della chiesa di Santa Maria Stella Maris della frazione Tellaro a Lerici, segnata da un particolare svolazzo del panneggio che 241 10. Scultore genovese (ambito di Pietro Galleano), La Trinità incorona la Vergine, Varese Ligure (La Spezia), frazione Costola, chiesa di San Vincenzo Martire. 11. Scultore genovese (ambito di Pietro Galleano), San Giacomo Maggiore,Varese Ligure (La Spezia), frazione Costola, chiesa di San Vincenzo Martire. 242 12. Giovanni Maragliano, Madonna Immacolata, Borghetto Vara (La Spezia), frazione Cassana, località Foce, chiesa di Santa Maria Assunta. 243 18 Sanguineti 2011-2012, scheda III.695, pp. 654-655. Cfr. il saggio di Matteo Capurro in questo volume 19 Sanguineti 2011-2012, scheda III.577, p. 631; Sanguineti 2013c, pp. 231, 298 nota 694. 20 Sanguineti 2011-2012, scheda III.543, p. 624. 21 Sanguineti 2011-2012, scheda III.745, p. 664. 22 Sanguineti 2011-2012, scheda III.723, p. 659. 23 Sanguineti 2011-2012, schede III.536, III.582, pp. p. 622, 632; Sanguineti 2013c, pp. 231, 298 nota 696. invita a un confronto con la Madonna Immacolata della chiesa di Sant’Antonino a Sestri Levante18 e con la documentata figura di uguale soggetto di Velva eseguita nel 1777, anno della morte dello scultore. Più prolifica sul territorio appare la produzione del cugino Agostino Storace che dimostrò di saper mescolare il buon esito dello studio sulle opere dello zio con un linguaggio più immediato, riuscendo a soddisfare le esigenze di una committenza periferica. A un momento ancora giovanile della produzione di Storace si colloca la cassa della Madonna del Carmine di frazione Montale presso Levanto acquistata il 25 giugno del 1751 con 78 voti favorevoli e 3 contrari dalla confraternita del Carmine (fig. 17)19. Il gruppo venne indicato come opera di Storace da Sanguineti per i particolari fisionomici e per il movimentato gioco del panneggio, strettamente affine alla Madonna del Rosario realizzata pochi anni prima, tra il 1745 e il 1750, per la chiesa di San Martino a Genova Sampierdarena, oggi custodita in Santa Maria della Cella20. Allo stesso periodo (e a un autore a lui vicino) può essere ricondotta anche la Madonna con Gesù Bambino e san Bernardino, conservata in San Francesco d’Assisi a Lerici e proveniente dall’oratorio attiguo di San Bernardino (fig. 18). Quest’ultimo gruppo venne attribuito direttamente ad Anton Maria Maragliano da Colotto nel 1979 per poi essere restituito da Sanguineti a un suo allievo, oggi riconducibile per confronto stilistico all’ambito di Storace21. Allo stesso scalpello si può riferire la statua di San Rocco conservata nella piccola chiesa in frazione Bergassana22, eseguita verosimilmente intorno agli anni cinquanta del Settecento, come suggerirebbero le assonanze con il raffinato modello di Cristo scolpito da Storace per il grandioso gruppo processionale di Cristo che appare a san Martino di Genova Pegli del 1740 e il successivo della Trasfigurazione di frazione Valleggia vicino a Quiliano (Savona) del 1757-1758, occasione in cui l’artista venne definito “maestro e miglior scultore di Genova”23. Non lontano dagli esiti di un giovane Agostino Storace, soprattutto se si osserva il Bambino, è la Madonna della Cintura di Tavarone (Maissana), che spicca per i lineamenti aggraziati del viso ripresi dalla lezione di Anton Maria, leggermente variati da una grafia più personale che al momento è difficile affidare con sicurezza al nipote del caposcuola. Non dissimile è il gruppo fortemente ridipinto della Madonna della Lavasina donato dalla famiglia corsa De Paoli alla chiesa 13. Giovanni Maragliano?, Sant’Antonio da Padova con Gesù Bambino, Borghetto Vara (La Spezia), frazione Cassana, località Foce, chiesa di Santa Maria Assunta. 14. Agostino Storace, Madonna Assunta, Borghetto Vara (La Spezia), frazione Cassana, località Foce, chiesa di Santa Maria Assunta. 244 15. Scultore genovese (Giovanni Maragliano?), Madonna del Rosario, Levanto (La Spezia), frazione Legnaro, chiesa di San Biagio. 17. Agostino Storace, Madonna del Carmine, Levanto (La Spezia), frazione Montale, chiesa di San Siro. 16. Agostino Storace e bottega, Madonna del Rosario, Sesta Godano (La Spezia), frazione Groppo, chiesa di San Siro Vescovo. 245 18. Ambito di Agostino Storace, Madonna con Gesù Bambino e san Bernardino, Lerici (La Spezia), chiesa di San Francesco d’Assisi. 246 di San Michele Arcangelo a Porciorasco dove, come già individuava Donati, si scorge l’ambito maraglianesco24 con un intervento di Storace nell’esecuzione del Bambino. A una fase più avanzata, databile tra gli anni settanta e ottanta, lo scultore non mancò di divulgare sul territorio il suo marchio distintivo, diffondendo numerose tipologie di soggetti mariani in produzione seriale. La Madonna del Rosario messa a punto per la chiesa di frazione Castello a Beverino25 e la statua di uguale soggetto in Santa Maria Assunta a Maissana, quest’ultima completamente stravolta dalle ridipinture, trovano una ripresa identica nella Madonna del Carmine di Celesia in San Colombano Certenoli, dove è ben evidente, come già individuava Sanguineti, “l’irrigidimento delle forme attraverso volumi gonfi e retorici” ad opera della bottega26. A questo modello Storace interpolerà una sottile variante con la Madonna con Gesù Bambino, di cui si conserva un esemplare in una nicchia sopraelevata nella navata destra della chiesa di San Siro Vescovo a Groppo, frazione di Sesta Godano (fig. 16)27, tipo- 247 logia su cui lo scultore pare adagiarsi in più occasioni come testimonia l’esatta replica individuata nella chiesa di Sant’Antonio Abate in frazione Alpicella (Varazze)28. Il tipo della Vergine Assunta elaborato per la statua scolpita alla fine degli anni settanta per la parrocchiale di Savignone (località Vaccarezza), sarà riproposto alla lettera nella statua di Foce (Borghetto Vara), dove, nonostante la forte ridipintura del volto della Madonna e dei puttini, è possibile scorgere i tipici occhi allungati e la fisionomia soda dei visi di Storace (fig. 14)29. Ancora alla tarda produzione dello scultore sembrano appartenere le tre figure di San Domenico, Santa Caterina da Siena e di Gesù Bambino realizzate con abbreviazioni assai svelte per la chiesa di San Siro a Montale (Levanto). Le due figure dei santi domenicani, come suggerisce Sanguineti, dovevano essere connesse al culto del Rosario, come indica la presenza in chiesa della compagnia omonima che doveva condividere con quella del Carmine il simulacro della Vergine, che a seconda delle occasioni cambiava attributi30. 24 P. Donati in Arte e devozione 1989, scheda 13, pp. 74-75. 25 Sanguineti 2011-2012, scheda III.714, p. 658. 26 Sanguineti 2011-2012, p. 322. 27 Sanguineti 2011-2012, scheda III.711, p. 657. 28 Ibidem. 29 A questa serie si possono accostare anche due simulacri mariani dedicati all’Assunta conservati a Vezzano Ligure e a Bonassola, frazione Montaretto, località Reggimonti. 30 Sanguineti 2011-2012, scheda III.729, p. 660.