La fotografia come souvenir
La fotografia con la sua convenzionale rappresentazione dei luoghi arriva soltanto dopo
il 1839 a colmare la matrice narrativa del viaggio. L’impeto dato al turismo dai
collegamenti ferroviari avviene in un periodo in cui la fotografia ottiene un forte
impulso generato da nuovi procedimenti di riproduzione seriale. Nella seconda metà
dell’Ottocento si apre una vasta gamma di possibilità: il fattore costo nella produzione
di immagini risponde alle opportunità commerciali presentata dalla crescente seduzione
di album souvenir dei numerosi atelier. Nell’itinerario italiano/europeo s’intensifica la
presenza di fotografi nazionali e stranieri. La massificazione e il numero illimitato di
vedute stereoscopiche, cartoline e copie positive di grande formato rappresentano un
passo decisivo verso la democratizzazione della fotografia in senso economico e
ideologico del termine. Il successo delle fotografie come memorabilia è sostenuto dal
costante incremento del mercato anche nel XX e XXI secolo secondo nuovi tipi
d’immagine e un rinnovamento formale del kitsch accompagnando il ricordo dei luoghi
verso false verità. Da non sottovalutare il valore assunto negli ultimi anni anche dagli
archivi che conservano decenni di campagne fotografiche, fonte inesauribile di
stereotipi. Con il tempo – come per molti altri fenomeni – questo genere di
rappresentazione viene assimilata da artisti, architetti e designer contemporanei.
Angelo Maggi
2081
Il viaggio a Ischia attraverso l’occhio del fotografo
Florian Castiglione
Università di Napoli Federico II – Napoli – Italia
Parole chiave: Ischia, fotografia, souvenir, viaggio.
1. Introduzione
L’isola d’Ischia è conosciuta e frequentata sin dall’antichità per le capacità terapeutiche delle
sue acque termali. Già i Greci le conobbero, come testimoniato dai reperti archeologici di un
impianto termale ritrovato a Lacco Ameno; altri reperti ritrovati presso la fonte Nitrodi,
testimoniano invece che il luogo era molto frequentato dai Romani già nell’età dell’Impero.
L’isola ebbe un nuovo impulso turistico a seguito della pubblicazione del volume di Giulio
Iasolino del 1588 De’ rimedi naturali che sono nell’isola di Pithecusa hoggi detta Ischia. Il
medico e filosofo calabrese lodò la geografia e le acque termali dell’isola, ma qui per la prima
volta in maniera scientifica. Iniziarono così a sorgere tutta una serie di strutture termali tra cui
si ricorda un enorme edificio promosso dall’istituto del Pio Monte della Misericordia di
Napoli, realizzato agli inizi del Seicento a Casamicciola. Alla fine del Settecento due celebi
pittori contribuiscono a rendere nota l’isola, si ricordano: Antonio Joli e Jakob Philipp
Hackert. Anche nel corso dell’Ottocento numerosi pittori immortalarono l’isola: Camille
Corot, Giacinto Gigante e Francesco Mancini, autore di un quadro che rappresenta l’apertura
del porto d’Ischia voluto dal re Ferdinando II di Borbone nel 1854. Il vecchio villaggio di
Villa de’ Bagni, che consisteva in pochissime case distribuite intorno al lago, si trasformò nel
nuovo porto d’Ischia. Vennero quindi costruite nuove arterie stradali che collegavano il
neonato porto al vecchio centro di Ischia Ponte e con Casamicciola e lungo le sponde
dell’antico cratere sorsero nuovi edifici e strutture ricettive. In questo periodo numerosi
intellettuali e artisti stranieri soggiornarono sull’isola. Ischia fu ufficialmente fuori dalle mete
del Grand Tour, eppure furono in molti che vi fecero visita. «Artisti d’ogni luogo e d’ogni
genere passarono per quest’isola elaborando descrizioni letterarie, componimenti poetici,
schizzi, disegni, acquarelli che, riprodotti in gran numero e diffusi in Italia e all’estero,
valsero a farla conoscere tra i più larghi strati sociali»1. Anche nel Novecento Ischia fu
frequentata da prestigiosi ospiti: il diplomatico e scrittore Norman Douglas visitò a più riprese
l’isola tra il 1900 e il 1930, dove si cimentò nelle sue opere letterarie. Nel 1935 si trasferì a
Ischia il pittore tedesco Eduard Bargheer, ma il momento di maggiore flusso intellettuale fu
negli anni Cinquanta. Già dal 1948 il poeta Wystan Hugh Auden frequentò l’isola e lo farà
sistematicamente per dieci anni. La sua presenza richiamò moltissimi artisti ad Ischia tra i
quali si ricordano: Truman Capote, Alberto Moravia, Elsa Morante, Pier Paolo Pasolini,
Luchino Visconti, Bernard Berenson, Leonardo Cremonini, Renato Guttuso, Aldo Pagliacci
Chester Kallmann. Questi artisti erano soliti incontrarsi presso il Bar Internazionale di Maria a
Forio che divenne un cenacolo. A partire dagli anni Sessanta questa intensa frequentazione
artistica si affievolì. Questi intellettuali, che scelsero l’isola proprio per i caratteri sani ed
autentici, lasciarono il posto ad un flusso sempre maggiore di turisti che causò una
incontrollata espansione edilizia.
1
I. Delizia (a cura di), Ischia d’altri tempi, Napoli, Electa Napoli, 20042, p. 12.
2083
2. I fotografi a Ischia
Tra gli illustri ospiti dell’isola vi furono anche numerosi fotografi, già a partire dalla seconda
metà dell’Ottocento, anche se questo aspetto risulta essere poco conosciuto. I più celebri
stabilimenti fotografici italiani realizzarono fotografie ad Ischia tra la seconda metà
dell’Ottocento e gli inizi del Novecento; tra questi si ricordano gli stabilimenti Anderson,
Brogi, Alinari, Giorgio Sommer e Robert Rive. C’è da sottolineare che agli albori della
fotografia Napoli fu uno dei centri più attivi e richiamò professionisti anche dall’estero per la
bellezza della città, per la presenza di reperti archeologici unici al mondo, come Pompei e
Ercolano, e per le bellezze naturali. In particolare i Brogi e gli Alinari condussero diverse
campagne fotografiche sull’isola, a Ischia e a Casamicciola. Queste immagini seguono i
classici canoni pittorici, «si tratta […] di foto che mirano a restituire una immagine per così
dire oggettiva di luoghi già celebrati dal vedutismo pittorico ed ora al centro degli interessi
turistici dei nuovi fruitori: i borghesi in vacanza che vogliono portarsi a casa il ricordo dei
luoghi visitati»2. Queste scene infatti venivano vendute spesso proprio ai turisti che potevano
portare
a
casa
una
fotografia-souvenir
dei
luoghi più belli dell’isola.
La ripresa del porto di
Ischia [fig.1] fu realizzata
nei primissimi anni del
Novecento da Carlo Brogi
(1850-1925).
Carlo,
fotografo fiorentino, lavorò
presso lo stabilimento di
successo inaugurato dal
padre Giacomo negli anni
Sessanta
dell’Ottocento.
L’immagine fu ripresa dalla
riva destra del porto e
rappresenta
una
testimonianza dell’attività
del porto e della densità
Fig.
Fig.1.1.C.C.Brogi,
Brogi,Ischia
Ischia- -Panorama
Panoramadella
dellariva
rivadestra,
destra,1900
1900cca
ca
edilizia dei primi del
Novecento. A poco meno di cinquanta anni dalla trasformazione dell’antico Lago de’ Bagni a
porto d’Ischia si nota che i pochi edifici, che sorgono lungo le sponde, sono circondati da una
rigogliosa vegetazione; gli edifici pubblici invece sono ben riconoscibili: a sinistra si trovano
le terme comunali, il cui primo impianto fu realizzato nel 18433, poco sopra vi è il Real
Casino che fu residenza dei Borboni4 e infine, quasi al centro della scena, vi è la chiesa di
Santa Maria di Portosalvo i cui lavori iniziarono quando fu inaugurato il porto5. Nello scatto
vi sono poche imbarcazioni le quali svolgevano soprattutto funzioni mercantili portando sulla
terraferma le botti visibili sulla banchina. Per coloro che sono a conoscenza dello stato attuale
2
Ivi, p. 9.
Cfr. I. Delizia, Il termalismo: un bene antico. Ospiti illustri, case modeste, bagni rudimentali, 1604-1883, in I.
Delizia, F. Delizia, Ischia e la modernità, Napoli, Massa editore, 2006, pp. 9-23.
4
Cfr. I. Delizia, Case da re e strutture pubbliche. Progetti e interventi borbonici, 1783-1854, in I. Delizia, F.
Delizia, cit., pp. 25-37.
5
Cfr. Aa. Vv., Santa Maria di Portosalvo a Ischia 150/75, Ischia, Deltastudio, 2007.
3
2084
del porto d’Ischia è evidente come il porto e i suoi dintorni abbiano subito notevoli e
incontrollate trasformazioni nel tempo.
Tra le due guerre la diffusione delle apparecchiature fotografiche e la maturazione
dell’espressione fotografica a seguito di un rinnovato clima culturale, hanno portato nuovi
risultati riscontrabili anche nelle fotografie-souvenir realizzate ad Ischia. Si abbandona così la
“veduta” per cercare nuovi punti di vista, del tutto nuovi ed insoliti, e nuovi soggetti come
scene di vita quotidiana, e indagini più approfondite sull’architettura, il paesaggio e la cultura
del luogo. Tra questi si ricorda Wilhelm Alexander Pragher (1908-1992), tedesco di origini
rumene che iniziò a cimentarsi con la fotografia all’età di sedici anni, lavorò come fotografo
freelance e commerciale. Il suo numeroso archivio fotografico è oggi presente presso
l’Archivio di Stato di Friburgo. Pragher non ebbe di certo una grande fama, ma è utile in
questa sede perché mostra un tipico reportage di viaggio. Le sue numerose fotografie
realizzate a Ischia nel luglio del 1933 mostrano i luoghi simbolo dell’isola, ma spesso vi è al
contempo la presenza di persone del luogo, intente nella propria attività quotidiana. Le
immagini si soffermano anche sull’architettura isolana e mostrano l’articolata composizione
volumetrica delle case addossate le une alle altre. La ripresa qui riportata [fig. 2] è stata scelta
quale sintesi delle tipologie di fotografie suddette. Nella scena “muratori sul tetto”, infatti, vi
è un gruppo di lavoratori di varia età in posa durante la cosiddetta “vattuta e l’astaco”. La
tecnica del battuto di lapillo veniva realizzato sull’estradosso delle volte delle abitazioni e
serviva ad impermeabilizzare la struttura; l’operazione consisteva in un lungo lavoro di
“battitura” di un impasto di lapillo e calce mediante mazzuoli di legno. L’immagine
testimonia una tecnica
costruttiva
che
ormai
oggigiorno si è persa.
Questa scena quindi, oltre a
cogliere la vita degli
ischitani, rappresenta al
contempo
l’architettura
tipica del posto mostrata sia
attraverso la particolare
forma
dell’apertura
in
primo piano, sia dalla
presenza della volta che,
anche se non visibile dal
punto di ripresa dal basso, è
evocata
proprio
dall’attrezzatura
dei
muratori.
Completamente
diverse
sono
le
fotografie
realizzate
Fig. 2. W. Pragher, Forio - Maurer auf Dach (muratori sul tetto),
a Ischia da Herbert List
Luglio 1933, Staatsarchiv Freiburg W 134 Nr. 005640, Bild 1,
(1903-1975) sia per i temi e
Sammlung Willy Pragher
soprattutto per il fatto che
egli frequentò l’isola in numerose occasioni approfondendo così le relazioni con il luogo. List
fu un fotografo tedesco che divenne celebre per le sue immagini dai caratteri surrealisti e
metafisici, per i ritratti di celebri artisti e per i nudi maschili. List visitò Ischia in un arco
temporale di ventidue anni, fornendoci così la possibilità di un’analisi sulla evoluzione
dell’espressione fotografica attraverso le sue riprese ischitane. Le prime testimonianze delle
sue fotografie ischitane risalgono al 1933 e al 1934. C’è da sottolineare che List si cimentò in
questa arte proprio nei primi anni Trenta, quando conobbe il celebre fotografo Andreas
2085
Feininger. Le immagini ischitane di questo periodo mostrano spesso gruppi di persone del
luogo intente a lavorare come ad esempio uomini che muovono una imbarcazione sulla
spiaggia mediante un grande argano. In questo periodo List compirà numerosi viaggi in
Grecia e in Italia attratto dal fascino del mito mediterraneo, dai resti della gloriose civiltà
antiche e dalla bellezza, soprattutto maschile, delle persone di questi luoghi. Nel 1951 List
incontrò Robert Capa che lo introdusse nella agenzia Magnum. Negli anni Cinquanta il suo
lavoro fu influenzato dall’opera di Cartier Bresson e dalla fotografia neorealista che in quegli
anni si era affermata in Italia. List tornò sull’isola ogni anno dal 1950 al 1955. Egli realizzò
splendidi ritratti di giovani ragazzi ischitani, che rappresentano l’emblema della bellezza
mediterranea. Immagini tecnicamente raffinate ed evocative nei suoi contenuti. Oltre a queste
fotografie, List realizzò numerosi ritratti agli artisti che proprio in quel periodo
soggiornavano ad Ischia e in particolar modo a Forio, questi furono: il poeta Wystan H.
Auden, il poeta e artista Charles-Henri Ford e i pittori Eduard Bagheer e Pavel Tchelichev.
Questi ritratti spesso includono una porzione di contesto che dialoga con la persona ritratta e
con la composizione della scena. Il ritratto del poeta Ford [fig. 3], realizzata a Forio nel 1953,
è emblematica perché mostra le capacità espressive e tecniche di List. Egli coglie lo sguardo
curioso e vivace del poeta che guarda intensamente l’obiettivo; lo sfondo dei volumi bianchi
delle abitazioni fanno da contrappunto agli occhi luminosi ed espressivi dell’artista posti al
centro della ripresa. Il gioco dei volumi e delle finestre dello sfondo contribuiscono
considerevolmente all’armonia della composizione e contestualizzano allo stesso tempo
l’immagine in un ambiente dal
chiaro sapore mediterraneo. In
definitiva una fotografia potente
che cattura in una sola scena
l’anima del poeta americano e
quelli dell’architettura ischitana.
Nel 1952 fece visita ad Ischia
colui che è considerato il
fotografo più famoso di tutti i
tempi, Henri Cartier-Bresson
(1908-2004). In questa sede
ricordiamo
solamente
che
Bresson fondò nel 1947
l’agenzia Magnum insieme a
Robert Capa, Geord Rodger,
David Seymour e William
Vandivert. Ciò che stupisce nel
guardare la serie fotografica di
Bresson a Ischia è il fatto che il
egli riuscì a comprendere e
immortalare in così poco tempo
del
luogo,
l’identità
documentando i lavori umili
degli ischitani nella cornice di
uno
splendido
paesaggio
naturale
e
architettonico
addentrandosi anche nelle zone
rurali e montane dell’isola.
Fig. 3. H. List, Forio d’Ischia-American Poet Charles-Henri
FORD, 1953 P-US-FOR-001A Archivio Magnum PAR452276 Inoltre, proprio come il suo
collega List, egli realizzò un
(LIH1953006W00026)
2086
ritratto del poeta Charles-Henri Ford. A differenza dell’autore tedesco, Bresson lo riprende
seduto su un letto mentre è intento a disegnare, e quindi non è consapevole di essere
fotografato. È molto probabile che i due famosi fotografi si fossero incontrati proprio
nell’estate del 1952, anche se non vi è una certezza documentata.
Passando a fotografie più recenti si è scelto di analizzare le immagini che ha realizzato
sull’isola Ferdinando Scianna (1943). Egli è un celebre fotografo siciliano che, nella sua
prolifica attività, riesce ad indagare approfonditamente i caratteri dei luoghi e delle persone,
partendo proprio dalla sua Sicilia. La sua opera è
influenzata da Cartier-Bresson, il quale lo introdusse
nella
sua
prestigiosa
agenzia
fotografica
internazionale, Magnum Photos. Scianna realizzò nel
1993 delle fotografie che rientrano nello specifico
tema della balneazione termale: egli non creò delle
immagini in veste di turista, bensì ritrasse turisti
intenti a godere delle acque curative. Le persone,
viste dal bordo vasca o dall’acqua, vengono mostrate
nel momento in cui si lasciano andare al completo
relax. Nella fotografia qui proposta [fig. 4] è ritratta
una donna che si abbandona nelle acque termali
sostenuta da un’altra donna che, perplessa, guarda il
fotografo che sta cogliendo l’istante. La statua in
primo piano fa da contrappunto alle due donne,
questi due punti focali rientrano compositamente in
un gioco di linee concavo convesse del bordo vasca.
Scianna, al contrario di molti fotografi non realizza
scene di paesaggio o di vita quotidiana, ma sviluppa
un progetto ben preciso. Egli ha affrontato un tema
così antico e radicato nel territorio ischitano e poco
Fig. 4. F. Scianna, Ischia - Balneology,
indagato fotograficamente, sviluppandone così un
1993 Archivio Magnum SCF188
inedito.
(SCF1993011W00002/32)
3. Conclusioni
Questo breve excursus vuole mostrare che, tra i numerosi artisti che hanno frequentato Ischia,
vi erano anche fotografi che hanno lasciato traccia della loro linguaggio artistico,
contribuendo a diffondere la conoscenza dell’isola del golfo di Napoli. Molte di queste
immagini assumono, tra l’altro, un’importante testimonianza storica ai giorni nostri.
Numerosi sono stati i fotografi che hanno interpretato Ischia, ma molti non sono stati qui
riportati, tra questi si ricordano Mimmo Jodice, Vittorio Pandolfi e Piergiorgio Branzi. Gli
autori qui analizzati coprono un vasto arco temporale e mostrano esempi di approcci diversi
alla fotografia intesa come souvenir: dalle fotografie classiche “vedute” dello stabilimento
fotografico Brogi, alle fotografie-ricordo dei luoghi e degli ischitani di Pragher, ai ritratti di
artisti e degli aitanti giovani di List, allo studio sulla balneazione termale di Scianna.
Bibliografia
H. Cartier-Bresson, Henri Cartier-Bresson fotografo, Firenze, Alinari, 1999.
I. Delizia (a cura di), Ischia d’altri tempi, Napoli, Electa Napoli, 20042.
I. Delizia, F. Delizia, Ischia e la modernità, Napoli, Massa editore, 2006.
H. List, et al., Herbert List: monografia, Firenze, Alinari, 2002.
F. Scianna, Ferdinando Scianna, Roma, Contrasto, 2008.
2087
Souvenir e architettura spettacolare
Michele Nastasi
Università Ca¶Foscari Venezia – Venezia8QLYHUVLWjGL9HURQD± VeroQD – Italia
Parole chiave: Fotografia, architettura contemporanea, architettura spettacolare, turismo, souvenir, visual
culture, iconic building, social media, Instagram, selfie.
1. La fotografia come agente di trasformazione urbana
La recente comparsa dell¶“iconic building” va concepita nel contesto di una trasformazione
strutturale di una parte dell’architettura, secondo quanto teorizzato da Walter Benjamin in
L’opera d’arte nell’epoca della riproducibilità tecnica. Il saggio è stato commentato infinite
volte in ambito artistico, ma raramente si è colta la sua centralità nelle trasformazioni
specifiche dell’architettura. Una riflessione sull¶intima relazione tra l’architettura moderna e la
comunicazione di massa è contenuta in Privacy and Publicity di Beatriz Colomina2, un testo
che indaga cosa significa la trasformazione dell’architettura in un oggetto, e quale sia il ruolo
della massa, nel momento in cui l’enfasi sul suo valore espositivo trasforma l’opera d’arte in
una creazione «con funzioni completamente nuove, delle quali quella di cui siamo consapevoli,
ossia quella artistica, si profila come quella che più avanti si può riconoscere come quella
marginale»3. Una risposta possibile, proprio secondo le teorie di Benjamin, è rintracciabile in un
cambio culturale che ha indotto le masse a desiderare la prossimità con le cose e a possederle,
appropriandosene anche in forma di riproduzione, o di frammento4, e in cui la fotografia gioca
un ruolo dominante. Avviene qui una diversa attribuzione di valore, dalle funzioni tradizionali
dell’edificio, allo scambio e all¶appropriazione, e al modo in cui ciò si realizza nell’immagine:
essa, nella maggior parte dei casi, non esiste soltanto nella memoria dei fruitori o nel cosiddetto
immaginario collettivo, ma è un’immagine fotografica, reale e tangibile5. Il passo in più da fare
è, a mio parere, di chiedersi se e come l’architettura risponda a questo meccanismo di
produzione e diffusione dell’immagine, che oggi non è più legato solo al sistema dei media
tradizionali, ma è intrecciato al turismo di massa e a una pratica di appropriazione da parte del
pubblico, grazie alla diffusione capillare della fotografia digitale e alla possibilità di pubblicare
immagini tramite web e social media.
Negli ultimi anni il numero di fotografie scattate è cresciuto infinitamente, e la stima annuale
è passata da 80 miliardi di scatti del 2000 a 1200 miliardi di scatti del 20176. Ma non solo: la
percentuale di fotografie scattate con lo smartphone, che possono essere condivise e
archiviate online in un istante, è in crescita continua, e si stima che raggiungerà l’85% nel
20177. Un altro dato è che anche il turismo è cresciuto, passando da una mobilità
internazionale annua di 674 milioni di persone nel 2000 ai 1868 milioni stimati del 2015, di
cui il 53% viaggia per piacere e vacanze8. L’evoluzione della fotografia non è certo l’unica
1
W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino: Einaudi, 2011.
B. Colomina, Privacy and Publicity, Modern Architecture as Mass Media, Cambridge and London: MIT Press,
1994.
3
W. Benjamin, op. cit., p. 14. Cfr. B. Colomina, Privacy cit., p. 69.
4
W. Benjamin, op. cit., pp. 10-11. Cfr. B. Colomina, Privacy cit., p. 70.
5
Cfr. la distinzione fra “image” e “picture” definita da W. T. J. Mitchell e la triade immagine/medium/corpo
proposta da H. Belting.
6
Cfr. S. Heyman, Photos, Photos Everywhere. The New York Times, 29/07/2015, e il sito
http://blog.infotrends.com/.
7
Cfr. il sito http://mylio.com/true-stories/tech-today/how-many-digital-photos-will-be-taken-2017-repost, che
elabora i dati forniti dalla società di ricerca InfoTrends.
8
International tourist arrivals (overnight visitors) secondo il report Tourism Highlights 2016 dell’UNWTO
(World
Tourism
Organization)
consultato
alla
pagina
http://www.eunwto.org/doi/pdf/10.18111/9789284418145.
2
2089
ragione a determinare la comparsa dell’iconic building9, tuttavia è difficile immaginare che la
rapida affermazione su scala mondiale di questo paradigma non sia legata anche alla crescita
del turismo e della fotografia, il cui “volume” è aumentato di quindici volte in meno di
vent¶anni.
Una breve ricognizione su Instagram, il social network di condivisione di fotografie più
utilizzato al mondo, che conta 700 milioni di utenti attivi nel luglio del 2017, indica la Tour
Eiffel come il monumento più “instagrammato” al mondo 10. La torre come icona visiva di
successo globale è un fenomeno che, sin dalla sua costruzione nel 1889, è al centro di
riflessioni sul valore simbolico e la funzione dei monumenti, e sul loro svilupparsi nella
storia trasformandosi in icone. Secondo Roland Barthes, la torre non è più soltanto il segno
essenziale di un popolo e di un luogo, ma qualcosa che «appartiene alla lingua universale
del viaggio»11, ed è un puro segno, che può significare ogni cosa. Barthes insiste sul valore
simbolico della torre mostrando come essa sia diventata icona di Parigi per metonimia. Poiché
la torre non è nient’altro che un oggetto da visitare, con essa, per associazione, si visita Parigi,
e poiché da secoli Parigi è una città internazionale meta di una “salita” dalla provincia o di un
viaggio dall’estero, è diventata il simbolo istituzionale di un turismo “democratizzato”12.
Chiunque conosca l’immaginario urbano contemporaneo sa che negli ultimi due decenni
nuovi edifici iconici hanno sostituito l¶immaginario monumentale di molte città, imponendosi
come simboli. Questo accade sia in certe città europee, che in luoghi cui storicamente non si
associavano edifici iconici, come Dubai, Kuala Lumpur, Hong Kong e altre città asiatiche e
mediorientali. Visitando quei luoghi si costata che la rappresentazione delle città, o dell’intera
nazione, coincide con le immagini dei principali edifici iconici di nuova costruzione: luoghi di
recente prosperità e urbanizzazione repentina desiderano esprimere al mondo intero una
propria identità capace di proiettarle nel novero delle cosiddette “world class cities”. In questo
senso l’immagine della città e quella dell’architettura coincidono, per cui i nuovi edifici
indicano simbolicamente l’intero luogo.
«La fotografia è ciò che si fa durante le vacanze, ma è anche ciò che fa le vacanze»13, scrive
Pierre Bourdieu nel 1965 in Un art moyen, un contributo irrinunciabile sul rapporto tra
fotografia e turismo. L’affermazione che la fotografia faccia la vacanza può corrispondere
all’idea che la fotografia faccia l’architettura: oggi in un certo senso si viaggia per fotografare,
e non sono rari i luoghi turistici in cui sono segnalati con appositi totem i punti di vista
“migliori” per scattare una fotografia, o le pubblicità di un’attrazione turistica o di
un¶architettura come «ideale per i tuoi selfie di Instagram». Le osservazioni sulla ritualità della
fotografia enunciati da Bourdieu sono ancora attuali, anche se il contesto sociale in cui la
fotografia è praticata oggi è mutato: uno scatto realizzato con uno smartphone non costa
nulla, così come è diventato semplice e immediato condividere un’immagine con la propria
comunità, sia essa la famiglia o un network virtuale che si realizza globalmente attraverso
Facebook o altri social network. Ora che gli ostacoli della tecnica e dei costi sono stati
abbattuti, il rituale non si è modificato, ma si è esteso al punto da essere incessantemente
reiterato. Non è insolito vedere persone che (si) fotografano costantemente, e si vengono a
creare nuovi cliché anche nella fotografia turistica di monumenti e edifici giganteschi, per
esempio quella in cui la persona ritratta, sfruttando gli allineamenti prospettici, interagisce
con una grande architettura facendola sembrare un modellino, laddove Bourdieu rimarcava la
9
P. Nicolin, “I monumenti e le icone”, in La verità in architettura. Il pensiero di un’altra modernità, Macerata:
Quodlibet, 2012, pp.173-188.
10
Ricerca effettuata l’8/2/2017.
11
R. Barthes, La Tour Eiffel, Milano: Abscondita, 2009, p. 14.
12
Ibidem, pp. 40-41.
13
P. Bourdieu, “Culto dell’unità e differenze colte”. In P. Bourdieu (ed.), La fotografia. Usi e funzioni sociali di
un’arte media. Trad. e cura di M. Buonanno, Rimini: Guaraldi 2004, p.75.
2090
funzione rituale della fotografia al punto di dichiarare che in essa fossero assenti sia il
discorso estetico che l’interesse intrinseco alla fotografia. Un primo elemento di continuità col
passato è dunque rappresentato dal persistere dell¶architettura e del monumento tra i soggetti
privilegiati della fotografia di viaggio, mentre un elemento di novità è l’interazione che si
realizza nell¶immagine. Ciò che sta diventando il principale rito familiare e turistico della
contemporaneità è il selfie14, l¶autoritratto fotografico che si è affermato recentemente grazie
alla diffusione degli smartphone, la cui particolarità è di essere scattato con la lente frontale
del dispositivo, e di poter essere immediatamente condiviso via internet. A cavallo di generi
e di estetiche fotografiche ± foto di viaggio, ritratto, performance ± il selfie rappresenta una
sorta di democratizzazione dell’autoritratto, che si colloca ambiguamente tra l’“istantanea”
e l’idea di essere “immortalati”, resi immortali. Esso annulla l’idea di durata e di memoria,
ma ha piuttosto un valore testimoniale istantaneo, e crea un proprio spazio narrativo e una
propria geografia grazie alla reiterazione dell’atto del fotografarsi in luoghi diversi, e al
ripetersi delle forme del corpo sullo sfondo di soggetti che cambiano. Il selfie si è
configurato come il modo più diretto di appropriazione di luoghi ed edifici attraverso
l’immagine, da parte di un visitatore, che compie una serie di attività. Con il selfie la
fotografia diventa una pratica autonoma non tanto perché trovi in se stessa le proprie ragioni,
ma perché è il fotografare in sé che è importante, più che i soggetti fotografati, è un modo
per dire “io sono qui adesso”, dove l’io è dato dalla figura ricorrente del proprio volto, in
relazione a un qui rappresentato emblematicamente dall’icona di un luogo.
Un altro elemento di confronto con i rituali descritti da Bourdieu è quello dei social media,
che si costituiscono come comunità di persone interessate alla fotografia, sostituendosi in un
certo senso ai fotoclub studiati e analizzati in Un art moyen. In essi la fotografia si
configurava come il mezzo d’espressione di un’aspirazione la cui origine non è nell’ordine
del fotografico, ma del sociale. Esistono oggi diversi social media dedicati espressamente
alla condivisione di immagini, come Tumblr, Flickr, Instagram, Pintrest, canali semi
pubblici come WhatsApp o Facebook Messanger, ma anche social trasversali come Twitter
e Facebook sono ampiamente utilizzati per le fotografie. Instagram, ad esempio, è un¶app in
grado di scattare e salvare scatti fatti con lo smartphone, “migliorabili” con una serie di
filtri grafici che simulano la resa visiva delle stampe analogiche, includendo in questa
estetica retrò gli effetti di deterioramento cui oggi associamo molti ricordi. In questo modo
l’immediatezza dell’immagine realizzata con lo smartphone è trascesa in una fotografia che
ha l’allure del passato, una trasformazione estetica di tipo “conservativo”, tipicamente
fotografica. La particolarità di Instagram rimane la possibilità di postare le immagini online
in tempo reale, costruendo un profilo visivo personale che, nell’esprimere un aspetto della
propria vita, racconta il proprio lifestyle creando un mondo di riferimento, talvolta con
raccolte di immagini di inedita freschezza.
In un articolo recente Tom Wilkinson15 ha indagato il ruolo che la fotografia praticata sui
social può avere in relazione all’architettura, chiedendosi se questa fotografia possa
rappresentare una forma di risocializzazione della ricezione dell’architettura, la realizzazione
di una sorta di sogno benjaminiano di un modo collettivo di guardare, che sfugga alle rigide
regole estetizzanti della fotografia professionale e della sua diffusione sui media ipercodificati di settore. Pur riconoscendo le potenzialità di questo strumento critico in grado di
rivelare aspetti inediti dell’architettura, Wilkinson conferma il generale permanere di un
approccio rituale della fotografia anche nella libera pratica dei social, in cui, al contrario di
quanto possa intuitivamente apparire, la visione è modellata sulla fotografia professionale, e a
14
Sul selfie cfr. i recenti volumi di G. Riva, V. Pavoncello (ed.), V. Codeluppi; T. Sorchiotti A. Prunesti, R.
Cotroneo.
15
T. Wilkinson, “The Polemical Snapshot: Architectural Photography in the Age of Social Media”, The
Architectural Review, 1415, 2015, pp. 91-97.
2091
cui corrisponde un ventaglio estremamente limitato di reazioni. Paradossalmente, invece di
mostrare gli aspetti “invisibili” dell’architettura, la reiterazione delle fotografie sui social
media insiste sull’aspetto iconico degli edifici indipendentemente dalle loro caratteristiche
fisiche e reali. Il risultato è il moltiplicarsi di immagini di architettura simili tra loro, che
tendono a rafforzare l’icona, legittimandone l’esistenza, una tendenza sfruttata anche dagli
addetti alla comunicazione di certi studi di architettura.
Un esempio di come le icone di architettura di ogni tempo siano rafforzate dalle pratiche dei
social, è quello di Murad Osmann, un utente Instagram moscovita che conta 4,6 milioni di
follower. Nel 2012 Osmann è divenuto “virale” su Instagram grazie alla serie #followmeto,
realizzata insieme alla moglie Nataly. Si tratta di un gruppo coerente di immagini di viaggio
in cui il fotografo ritrae un luogo turistico celebre, mantenendo sempre in primo piano la
moglie vista di schiena che lo tira per un braccio. Nato per caso, lo schema di questa foto è
diventato il modello per una serie in cui la ragazza in primo piano muta di volta in volta mise
in relazione alle tradizioni locali, mentre sullo sfondo si alternano i monumenti e gli edifici
principali dei luoghi “più iconici al mondo”16, che risultano subito riconoscibili. Il successo di
#followmeto è testimoniato dai milioni di follower, ma anche dal fatto che la serie è diventata
una produzione che genera commissioni di riviste internazionali di viaggio e di moda,
sponsorizzazioni di enti del turismo di città e di luoghi sparsi per il mondo che intendono
promuoversi, di marchi di abbigliamento e gioielli, la maggior parte dei quali sono
discretamente integrati nel format fotografico del progetto. Inoltre la coppia ha ora un sito
dedicato alla promozione turistica delle mete toccate, ed è il soggetto di un programma di
viaggi in onda su un¶importante emittente televisiva russa.
Ma la cosa più sorprendente resta scorrere le fotografie del profilo Instagram di Osmann: in
esso sono accostati con noncuranza i più noti edifici iconici di Dubai, Mosca, Taipei e New
York, la Tour Eiffel, ma anche la Moschea Blu di Istanbul, la Statua della Libertà, il Duomo
di Milano, il Colosseo, il Golden Gate e molti altri, formando un repertorio e una sorta di
meta-geografia di icone di ogni epoca e di souvenir globali, che è lo specchio del turismo
contemporaneo.
Bibliografia
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un’arte media, a cura di P. Bourdieu. Edizione italiana a cura di M. Buonanno, Rimini, Guaraldi,
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Buonanno La fotografia. Usi e funzioni sociali di un’arte media, Rimini, Guaraldi, 2004.
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16
https://followmeto.travel/about.
2092
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2012.
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T. Wilkinson, «The Polemical Snapshot: Architectural Photography in the Age of Social Media»,
in The Architectural Review 1415, 2015, pp. 91-97.
«UNWTO Tourism Highlights 2016 Edition». World Tourism Organization, 2016. http://www.eunwto.org/doi/pdf/10.18111/9789284418145.
2093
Il caleidoscopio narrativo della moda italiana degli anni
’50. Un itinerario ideale tra borghi e città del Belpaese
Ornella Cirillo
Università della Campania Luigi Vanvitelli – Napoli – Italia
Parole chiave: moda, turismo, patrimonio artistico italiano, patrimonio naturale e paesaggistico italiano,
dopoguerra, primi anni cinquanta, «Bellezza, mensile dell’alta moda e della vita italiana», Irene Brin, Elsa Robiola.
1. Moda e turismo, un binomio vincente
Dopo il secondo conflitto mondiale, in Italia l’esigenza di risollevare le condizioni morali e
materiali della popolazione impone, come è noto, una sostanziale riorganizzazione
dell’apparato produttivo. La ricostruzione economica punta su diversi settori, tra i quali, oltre
al cinema e al turismo, anche la moda, ambito creativo che nel contesto di un generale fermento
operativo consolida la competenza artigiana e la qualificata manodopera sartoriale ampiamente
diffusi da tempo nel territorio e ripropone, al contempo, un’idea di lusso e di piacere
apparentemente lontani, coniugando ragioni di tipo pratico a esigenze di carattere psicologico.
Parallelamente il paesaggio e il patrimonio artistico, elementi di continuità con la storia e la
cultura nazionale, creano un immaginario tutto nuovo per il Paese in crescita, un miraggio da
osservare, da conoscere e, specialmente, da vivere.
Le istituzioni e i media rilanciano progressivamente oltre i confini locali l’immagine della
creatività italiana e impongono la nazione come il prototipo del luogo dello svago, del buon
gusto e delle vacanze. Mentre il cinema esporta nel mondo il volto di una nazione che cambia,
simbolo di libertà e di cultura, la stampa, la radio e la televisione spingono gli italiani verso un
turismo moderno che riesca da un lato a incentivare questo importante settore dell’industria,
dall’altro a infondere l’ottimismo necessario alla ripresa.
Per la moda lo strumento divulgativo preliminare rimane la carta stampata che, sebbene ancora
poco nutrita, è impegnata a presentare ai lettori le novità della fiorente produzione nazionale.
Scopo principale delle riviste più accorte e competenti, come Bellezza mensile dell’alta moda
e della vita italiana – fondata nel 1941 da Gio Ponti ed Elsa Robiola – è, infatti, quello di dare
voce al dinamico mondo creativo e artigianale nazionale che non ha alcuna consapevolezza di
sé ma, anzi, ha bisogno di percepirsi come entità positiva e deve offrire, di riflesso, un’idea
esterna che raccolga in un unico insieme la realtà segmentata e spontanea attiva nei laboratori
regionali.
Per dare concretezza a tale progetto si rende necessario coinvolgere autori e fotografi che hanno
la capacità di interpretare un progetto ampio di diffusione del valore e dell’utilità della moda
per l’Italia – perché, al momento anche gli italiani non ne hanno piena coscienza – e di
divulgazione nel mondo dell’italianità delle creazioni. Ciò non tanto in relazione alle rinomate
sartorie della capitale, ma di quelle nascenti e più silenziose delle città periferiche o addirittura
delle isole che, insieme alle altre, compongono una delle risorse più autentiche e redditizie di
quel contesto storico.
La moda italiana, di fatto, al momento ha non solo una primitiva cognizione di sé e una
rudimentale impalcatura comunicativa che le offre una limitata visibilità di nicchia, ma manca
di un volto connotato e condiviso, sia nel quadro nazionale che internazionale. In tal senso, un
effettivo salto di qualità può derivare solo dall’acquisizione di un’identità collettiva e ben
2095
definita come paese della moda, per la
quale l’esistenza di una domanda e di una
diffusa attività progettuale è solo un
aspetto preliminare. I sarti da soli non
possono riuscire a comporre questa
fisionomia forte e completa; né, insieme
agli abili artigiani, riescono a restituire
l’idea di un’Italia creativa superiore per
gusto e preziosità manifatturiera alla
Francia. La risposta operativa più
efficace è nella combinazione delle
prerogative
del
Paese,
cioè
nell’accostamento
tra
natura,
archeologia, monumenti, paesaggio e
moda, sia essa di lusso che boutique.
Solo questa pluralità di valori,
all’interno di un intelligente e
intraprendente progetto culturale, può
riuscire nel giro di poco tempo a
superare l’ambito locale dei prodotti,
dilatandone la fama in una scala
culturale di livello nazionale e oltre.
In un’Italia che in questi anni riscopre il
proprio
patrimonio
naturale
e
paesaggistico e, attraverso il cinema, vive
Abiti di Tizzoni e Veneziani nella cornice dell’Isola
con
evidenza il portato evocativo di quello
Bella. Foto Pallavicini. Da «Bellezza»
artistico, diventa, infatti, necessario
rivolgere un interesse dinamico e virtuoso al territorio, non accessorio ma produttivo; è utile,
quindi, considerare l’intero patrimonio culturale nazionale non in maniera autonoma e isolata,
ma abbinandolo ad altri ambiti, così che essi possano vicendevolmente beneficiarne. È in questo
senso, quindi, che la moda, considerata anche l’urgenza di un effettivo affrancamento dalla
dipendenza straniera, sposa il paesaggio, l’arte e il turismo e su di essi fa leva per veicolare
contenuti di qualità e di gusto, cioè sul binomio “bello e ben fatto” del prodotto italiano.
La base solida su cui la moda in Italia impianta le proprie fondamenta, dichiara in proposito nel
1954 Elsa Robiola1, è strettamente connessa «anche all’enorme prestigio di cui godono
all’estero alcune nostre città […] [a cui] si sono aggiunte nel dopoguerra, le Isole più o meno
note»2; ed è proprio l’unicità di questi luoghi una delle ragioni che facilita la trasmissione
dell’immagine fotografica e cinematografica della moda in tutto il mondo. In particolare, la
moda estiva, per la quale al momento una schiera di emergenti creativi sta elaborando una
specifica linea di prodotti con «una impronta decisamente italiana […] si diffonde con
l’attrattiva dei luoghi più frequentati da una vasta clientela internazionale»3; mentre sui laghi
lombardi si promuove, per esempio, la produzione in seta, perché lì si incontrano e fortificano
reciprocamente «attività collegate tra loro da interessi affini, e cioè l’industria della moda,
l’industria tessile serica e l’industria del turismo»4. Questi contesti, come le capitali dell’arte,
Elsa Robiola (1907-1988), giornalista milanese, ha fondato la rivista Bellezza mensile dell’alta moda e della vita
italiana (d’ora in poi Bellezza) insieme a Gio Ponti nel 1941; l’ha guidata per due decenni, riuscendo a tenerla al
livello di Harper’s Bazaar e Vogue. Cfr. Dizionario della moda 2003, pp. 1025-1026.
2
E. Robiola, in «Bellezza», 11, 1954, p. 22.
3
Anteprima dell’estate, in «Bellezza», 2, 1953, p. 39.
4
Festival della moda d’estate promosso dalle industrie seriche comasche, in «Bellezza», 7, 1955, p. 46.
1
2096
le isole e i borghi marinari, valgono,
difatti, di per sé come le più autentiche e
significative vetrine promozionali della
creatività italiana.
Ne consegue che sulle pagine delle riviste
di settore, dagli ultimi anni quaranta e per
tutti i cinquanta, si alternano con regolare
intermittenza
rappresentazioni
fotografiche ambientate non solo nei
contesti di Roma, Firenze, Venezia,
Milano e Napoli, ma pure sulle coste
meridionali, nelle località alpine o nelle
isole maggiori, in un caleidoscopio
narrativo che alterna ai temi dell’arte e
del paesaggio, quelli della mediterraneità,
del folclore e della vita di charme,
presentando agli occhi del lettore un
itinerario ideale, quasi una guida che lo
proietta nella dimensione di un viaggio,
per ora solo immaginario, verso le mete
che di lì a poco avrebbero accolto il
turismo d’élite.
A comprendere l’importanza del genius
loci come valore che può proiettare il
Abiti di Tizzoni, Carosa, Garnett, ESVAM,
design italiano di moda in una
rispettivamente nei contesti di Venezia, Firenze,
dimensione
transnazionale
e
Roma, Bomarzo. Da «Bellezza»
5
transculturale ,
oggi
pienamente
riconosciuta, è, in particolare, la scrittrice e giornalista Irene Brin, collaboratrice non solo di
Grazia, Annabella, L’Europeo e Domina, ma soprattutto, dal 1941 al 1968, di Bellezza. È lei,
insieme alla redattrice Elsa Robiola, ai fotografi che coinvolgono e ad altri influenti autori, a
modificare il connotato aulico e solenne alla moda di quel tempo, a renderla “ambiente” 6,
rivelato ai lettori attraverso squarci fotografici inediti, con pose inquadrate in lussuosi ambiti
domestici e in luoghi mai visti, affiancati da citazioni di conversazioni mondane, altamente
attraenti.
Adesso in questo settore, la ripresa fotografica sta vivendo una stagione di sostanziale
evoluzione, perché uscendo dagli atelier e dagli schemi ritrattistici mitizzanti, privi di azioni,
entra in città, nei teatri o negli spazi dell’entourage intellettuale, cogliendo dalla scenografia e
dal mondo di Cinecittà nuove suggestioni comunicative. La fotografia di moda sta scoprendo il
valore dello sfondo e per questo lo spazio in cui è ripreso l’abito sta diventando essenziale:
alcuni autori, come De Antonis, Patellani e Pallavicini, inquadrano le modelle – donne distanti
e inavvicinabili7 – negli angoli di Roma antica, nelle sale e nei giardini dei palazzi
rinascimentali o barocchi, per riproporre al pubblico l’immagine mitica dell’Italia artistica,
tanto colta, quanto elegante. Altri, come Scrimali, Robiola, Interfoto e la tedesca Relang, si
addentrano nei borghi, nelle isole, nei siti archeologici del Mezzogiorno, ne riscoprono la
bellezza, rendendoli a loro volta stimoli per moderni itinerari turistici e, pure, veicoli di nuovi
significati culturali. Nei loro scatti i sorrisi delle modelle, le loro pose rasserenate e gaudenti,
gli sventolii degli abiti, il comfort dei costumi e, soprattutto, le atmosfere incantate dei posti
5
V. C. Caratozzolo 2006, p. 9.
,YL, p. 29.
7
Cfr. L. Pignotti 1987, pp. 280-287, in specie p. 280.
6
2097
mostrati offrono ai lettori un’iniziale percezione dei paesaggi, che ne accresce la curiosità;
mentre i capolavori dell’arte sartoriale e manifatturiera dei laboratori italiani si impregnano di
connotati che ne amplificano il pregio.
Il loro linguaggio espressivo, infatti, non è l’oggettivismo della letteratura odeporica, né la
narrazione fiabesca della cronaca rosa o il neorealismo dei reporter che svela le arretratezze di
un Paese in lento risveglio, ma una rappresentazione raffinata e misurata dell’Italia da godere,
dei luoghi della memoria, dei paesi poco noti, intrisa di una forza collettiva e simbolica, capace
di suscitare interessi molteplici nei lettori, potenziali fruitori.
Sono loro, dunque, che, coniugando le tendenze artistiche d’Oltralpe e le nuove esigenze di una
nazione in progressiva trasformazione, riescono a imporre uno stile fotografico nuovo, dove il
realismo del bel paesaggio s’intreccia al lusso della modellistica inedita e il fascino di località
incontaminate si abbina a proposte esclusive di capi pregiati o per la vita in vacanza, rivelazione
precipua di questi tempi.
2. Gli itinerari di Bellezza per le vacanze in Italia
Nelle pagine di Bellezza, questo tipo di rassegna inizia timidamente negli ultimi anni quaranta,
suggerendo per le Vacanze in Italia le mete consolidate del centro-nord, tra l’Alpe di Siusi,
l’arcipelago toscano, i laghi lombardi e le capitali dell’arte8; poi, nella prima metà degli anni
cinquanta, l’attenzione si spinge con incessante insistenza nell’“Italia di giù” e “alla scoperta
delle isole”, ideando dei veri e propri Itinerari estivi, specificamente rivolti a quei luoghi in cui
comincia a fiorire il turismo balneare e sportivo. L’intento principale di questi affondi è quello
di evidenziare «come il colore locale delle nostre spiagge, dei nostri centri termali, delle nostre
celebri stazioni di villeggiatura alpina, risente anche dell’impronta caratteristica di “come ci si
veste”»9, mostrando così la natura comunicativa della moda, il suo essere espressione autentica
delle competenze di un contesto, la sua vocazione a incrociare saperi e istanze di varia natura.
L’idea è quella di restituire, con un «criterio turisticamente preciso», un calendario-guida con
cui abbinare abiti e luoghi10, affiancando all’esposizione colta dei caratteri dei siti, indicazioni
pratiche sulle mise adeguate alla vita al mare, nelle malghe alpine o su un piroscafo. Così, per
esempio, nella ricchissima parata esibita, tra le volte delle case capresi spuntano gli abiti in
tessuti fatti a mano de La Tessitrice dell’isola11; davanti ai Faraglioni, all’isolotto di
Sant’Angelo d’Ischia e ai vicoli di Taormina, molti accessori e i coloratissimi capi di Emilio
Pucci12; i costumi di Armonia si abbinano ai bikini dei mosaici di Piazza Armerina e alle
bianche casette di Positano13. Tra le baite di montagna sono inquadrate, poi, le “bizzarre
casacche” di Myricae14 e a Sirmione i più sobri abiti da passeggio di Myrna Frari e Dazza15.
Mentre a Cagliari, dinanzi alle bianche montagne di sale, si mostrano le creazioni di
Giovannelli-Sciarra e dell’ESVAM16; e, a Napoli, i tailleur di Fausto Sarli, gli sbarazzini
completi di Lea Livoli e i soprabiti di Cassisi e Di Fenizio sfilano tra i rinomati ristoranti di
Santa Lucia e le bancarelle dei quartieri popolari17.
C. Linati, Vacanze in Italia, in «Bellezza», 5, 1949, pp. 30-35.
«Bellezza», 7, 1953, p. 12.
10
E. Robiola, Calendario di luglio, in «Bellezza», 7, 1953, p. 12.
11
Ivi, pp. 13-17.
12
«Bellezza», 5, 1955, p. 76; Primavera siciliana, in «Bellezza», 2, 1955, pp. 64-67.
13
I. Brin, Maggio a Positano, in «Bellezza», 5, 1954, pp. 54-63; L’eterna canzone del mare, in «Bellezza», 5,
1955, pp. 72-73.
14
C. Luraghi, Vette di luglio, in «Bellezza», 7, 1954, pp. 38-39.
15
Settembre sui laghi, in «Bellezza», 8, 1954, pp. 22-31.
16
L. Montesi, Sardegna pittoresca. A Cagliari bianche montagne di sale, in «Bellezza», 2, 1955, pp. 56-63.
17
Con la regia di Piedigrotta e Mergellina, in «Bellezza», 11, 1954, pp. 46-47; Atmosfera “giovani firme” a
Napoli, in «Bellezza», 8, 1955, pp. 66-69; Aria di Napoli, in «Bellezza», 11, 1956, pp. 48-49.
8
9
2098
Nelle sale di palazzi rinascimentali o
negli squarci urbani barocchi di Roma e
Firenze, tra le calle di Venezia, sulle
strade di Ostia antica, tra i giardini di
Boboli18 o tra gli atelier di via Margutta,
spiccano, invece, i più lussuosi abiti di
Fercioni, Carosa, Gattinoni, Veneziani,
Schuberth, Fabiani, Marucelli e di molti
altri protagonisti dell’alta moda19.
Una delle mete privilegiate di questi
servizi appare il Sud, non quello del
passato, arretrato e folclorico, ma quello
ignoto e vivace delle isole, dei vulcani e
dei siti classici, perché, al pari di altri
medium, questo comparto, perfettamente
inserito nella più ampia cornice culturale,
economica e politica del Paese, veicola
pure gli esiti del programma statale
sostenuto dalla Cassa per il Mezzogiorno,
la quale in questi anni è impegnata a
rivitalizzare siti e capolavori finora
trascurati. Se, infatti, negli Itinerari estivi
di Bellezza compaiono reportage
sapientemente costruiti a Taormina,
Selinunte, Palermo e Piazza Armerina è
proprio perché il piano di interventi Costumi di Cole, Glans e Mariuccia Crema nei contesti
governativo ha recentemente inserito
di Positano e Ischia. Da «Bellezza»
queste località nel circuito turistico
siciliano20. Analogamente, alle azioni pubbliche volte alla scoperta dei siti alpini fanno
riscontro articoli puntualmente dedicati al guardaroba sportivo per i soggiorni in quota.
L’intenzione di Bellezza è evidentemente, non solo quella di fornire un aggiornamento delle
conoscenze in tema di vacanze, ma innanzitutto quella di individuare implicitamente una
geografia del turismo in Italia che, andando oltre le più note città d’arte – alle quali si
aggiungono ricchi squarci su siti meno rinomati, quali Bomarzo, Monza, le ville venete21 –,
spazia dalle vette di Madonna di Campiglio22 e di Sestriere, ai laghi di Como e di Garda a
18
«Bellezza», 18-19, 1947, pp. 4-7.
La rassegna fa riferimento ai numerosi articoli, tra i quali cito in particolare: Le ore di Firenze, in «Bellezza»,
9, 1954, pp. 38-45; C. Luraghi, Giorno e notte a via Margutta, in «Bellezza», 1, 1955, pp. 38-47; Aria d’estate sul
viale dei colli, in «Bellezza», 3, 1955, pp. 46-47; Aprile a Roma, in «Bellezza», 4, 1955, pp. 67-70; Partiti per
l’Australia, in «Bellezza», 6, 1955, pp. 56-61.
20
M. Besusso 1962, pp. 358-364.
21
«Bellezza», 7, 1951, pp. 70-73; 7, Le belle e i mostri, in «Bellezza», 7, 1955, pp. 54-59.
22
C. Luraghi, Vette di luglio… cit.
19
2099
Portofino; dalla Sardegna “pittoresca”,
alle isole del Giglio, di Ischia e di Capri23,
fino alle coste meridionali delle Eolie24.
Al di là delle proposte turistiche e dei
suggerimenti operativi con cui educare le
lettrici su “come ci si veste”, in ogni
luogo
e
occasione,
l’ambizione
complessiva del principale mensile di
settore è quella di manifestare ai lettori la
pluralità di connotazioni che la moda
assume nella composita geografia
italiana. Ciascun luogo impone una sua
“regia”, unica e inconfondibile alla
propria produzione, col vantaggio di
comporre, nella totalità del quadro
nazionale,
un
patrimonio
tanto
multiforme,
quanto
autentico
e
25
inimitabile . Sono, infatti, «proprio le
sottili differenze stabilite ormai tra una
città e l’altra – afferma la redazione nel
1949 – a dare la certezza di una moda che
rappresenta ampiamente l’eterogeneità
italiana»26: se a Venezia, a esempio, tra
gondole e sale teatrali prevalgono abiti
Abiti di Dazza e Myrna Frari, Armonia, Pucci e Di
sontuosi, intrisi di gusto europeo27, a
Finizio, nei contesti di Sirmione, Piazza Armerina,
Napoli nasce «una moda […] che sa di
Taormina e Napoli. Da «Bellezza»
mare, di scogli, di incanti di sirene»28; gli
“stampati del Portofino” sono un’istituzione unica del rinomato paese ligure29, mentre a Capri
«i sandali e le scarpe di pezza, i pantaloni di velluto nero o di cotone azzurro e le camicie
colorate non hanno nulla a che vedere con la suggestione e i richiami che le botteghe del Lido
di Venezia esercitano sugli ospiti»30. La moda italiana «ha sfumature di colore e sapore diverso
dal nord al sud»31 e tale diversità definisce, allora e ancora per alcuni decenni, l’unicità del
patrimonio creativo della nazione, sintesi d’eccezione tra valori immateriali, buon gusto e
perfezione esecutiva.
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Scoperta delle isole, in «Bellezza», 6, 1953, pp. 16-29.
25
E. Robiola, in «Bellezza», 11, 1954, p. 22.
26
Anteprima di moda in ridotto, in «Bellezza», 2, 1949, p. 51.
27
«Bellezza», 10, 1951, pp. 18-20.
28
«Bellezza», 11, 1949, p. 22.
29
Ragazze a Portofino, in «Bellezza», 8, 1955, pp. 63-64.
30
E. Robiola, Calendario di luglio, in «Bellezza», 7, 1953, p. 12.
31
«Bellezza», 7, 1953, p. 14.
23
24
2100
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