104
THOMAS PETERSON
10
A. ZANZOTTO, in A. ROSSELLI, È vostra la vita che ho perso. Conversazioni e interviste 1964-1995, a cura di M. Venturini e S. De March, Le Lettere, Firenze 2010, p. 317.
11
Come indica Hocke, la pararettorica nacque nei trattati del Seicento nell’uso dei
mezzi logico-sintattici per arrivare a dei risultati antilogici.
12
G.R. HOCKE, Il manierismo nella letteratura…, p. 217, cita l’entimema famoso di
Cicerone (dalla prima Catilinaria): «Se io in casa fossi tanto temuto come tu nella città,
lascerei la mia casa».
13
P. VALÉRY, Poésie et Pensée Abstraite, in ID., Œuvres, Gallimard, Paris 1957, v. 1,
pp. 1314-1339; p. 1337.
14
Nel pensiero cibernetico, una macchina non-triviale è un sistema comunicativo che si lascia modificare col tempo; visto che un tale sistema rimette in circuito il
feedback e le autoreferenze in un processo continuo, i suoi risultati non sono prevedibili. Cfr. The Heinz von Foerster Page, http://www.univie.ac.at/constructivism/HvF.
htm: «A trivial machine is a machine whose operations are not influenced by previous operations. It is analytically determinable, independent from previous operations,
and thus predictable. For non-trivial machines, however, this is no longer true as the
problem of identification, i.e., deducing the structure of the machine from its behavior,
becomes unsolvable».
15
G.R. HOCKE, Il manierismo nella letteratura…, p. 324.
16
A.J. GREIMAS, Dell’imperfezione, Sellerio, Palermo 1988, p. 55.
17
Ibi, p. 69. Come scrive di questo passo di Greimas, C. SEGRE, The Style of Greimas and its Transformations, in “New Literary History”, XX (1989), 3, pp. 679-692; p.
680: «Once the word “esthétique” is taken back to its original root derivation and regarded as “sensation” and “sensibility” [...] Greimas can speak of “esthésis” rather than
of aesthetics. [...] Sensation, sensibility: it comes down to a longing for the primordial
activity of the mind».
18
A.J. GREIMAS, Dell’imperfezione, p. 68.
19
Cfr. A. ROSSELLI, È vostra la vita che ho perso…, p. 175: «L’ispiratore di questa raccolta è Petrarca. Doveva essere un canzoniere d’amore in sonetti ed è divenuto
qualcosa d’altro. Canzoniere d’amore lo è, comunque. È stato un duro lavoro, chi non
scrive poesia non può immaginare quali difficili studi si facciano per comporre, anche
vivendo con quattro soldi e anche se rimane il principio che la poesia o è ispirata o non
vale niente».
20
G. GIUDICI, in P, pp. IX-X.
21
A. ROSSELLI, È vostra la vita che ho perso…, p. 164.
22
C. SEGRE, Avviamento all’analisi del testo letterario, Einaudi, Torino 1985, p. 59.
23
Cfr. O. DUCROT, T. TODOROV, Encyclopedic Dictionary of the Sciences of Language,
Johns Hopkins University Press, Baltimore 1979, p. 359: «We call paragrammatic network the tabular (not linear) model of elaboration of textual language. [...] The term
“paragram” indicates that each element functions as a dynamic mark, as a moving
“gram” which makes a meaning rather than expressing it».
24
P.V. MENGALDO, Poeti italiani del Novecento, Mondadori, Milano 1978, p. 995.
25
Cfr. A. ROSSELLI, È vostra la vita che ho perso…, p. 176: «Le dico io quali sono le
tematiche [dei miei componimenti]: l’amore, il dio mistico, per me dio è Buddha, la politica marxista, i contadini del Sud, l’analfabetismo, la storia della letteratura, Leopardi
e Bach e soprattutto Chopin pianistico che considero un classico e un romantico».
AMELIA ROSSELLI OLTRE LO SCHIZOMORFISMO
di Federica Santini
1. Attraverso lo specchio
In Attraverso lo specchio di Lewis Carroll, Alice incontra, tra molti
altri personaggi, Humpty Dumpty, che, prima della proverbiale e
irrevocabile caduta dal muro, le spiega il significato del Jabberwocky,
poema famosamente schizomorfico. Nel corso di un dialogo delirante del capitolo VI del libro, Alice e l’uovo parlano di linguaggio:
«Quando io uso una parola» disse Humpty Dumpty, in tono abbastanza indispettito, «essa significa esattamente quello che io ho scelto che significhi,
niente di più e niente di meno». «Il problema è», disse Alice «se si possa far
dire alle parole tante cose differenti». «Il problema è», disse Humpty Dumpty, «chi è che comanda – ecco tutto».1
Se pensiamo alla teoria della riduzione dell’io presentata da Alfredo Giuliani nella sua prima introduzione ai Novissimi, appare
chiaro che Giuliani sta con Alice e non con Humpty: tra i Novissimi, è il linguaggio, e non l’io, a predominare, o come direbbe
Humpty Dumpty, a comandare.
Sembra lecito iniziare con un riferimento ad Attraverso lo specchio poiché, in numerosi momenti durante le due introduzioni ai
Novissimi, Giuliani spiega lo sguardo soggettivo e speciale verso
la realtà proprio tramite l’immagine dello specchio, che riproduce una realtà rovesciata, in cui tutto è deformato. Le numerose
citazioni scherzose dal libro di Carroll, che culminano in un vivace pastiche verso la fine dell’introduzione del ’61, fanno parte di
questo nucleo tematico, e si aggiungono a un’intricatissima serie
di riferimenti che riportano ai temi dello specchio e del mondo
alla rovescia, da Guillame de Poitiers e la canzone di puro niente,
a proposito della quale Giuliani riflette: «Pensiamo che parlando
di noi o d’altro o di niente (de dreit nien) la poesia debba aprirci
un varco: nel rispecchiare la realtà rispondere al nostro bisogno di
attraversare lo specchio», al neologismo contrando, usato poco oltre per indicare il tipo di lavoro attuato da Pagliarani nei confronti
del reale, fino agli specchi gaddiani (soldato e battaglia, marinaio
e mare, parto e puerpera) dell’Introduzione del 1965.2 In questa
106
FEDERICA SANTINI
seconda introduzione, poi, si unisce a tale traccia quella parallela dell’ombra, accennata brevemente attraverso una citazione da
Jung che resta purtroppo sospesa (dopo un riferimento alla teoria dell’accrescimento di Kerényi, Giuliani conclude: «Non vorrei
dare l’impressione di voler sprofondare il lettore nella mistica e
nell’ineffabile» e prosegue poi il discorso senza tornare su Jung).3
Se la poesia contemporanea, dunque, è il Paese delle Meraviglie, i Novissimi sono il mondo attraverso lo specchio, in cui quelle
meraviglie vengono frammentate, smontate e poi ricomposte e accresciute in maniera unica e imprevista.
2. Contro la predominanza ego-lirica:
Giuliani e lo schizomorfismo
Parlando del modo di fare poesia proprio dei Novissimi nell’introduzione del ’61 e collegandolo all’idea di una riduzione dell’io,
Giuliani definisce un’idea di apertura poetica, e spiega che non c’è
«un solo modo di apertura». Pagliarani e Porta aprono la poesia alla narrazione totale, Balestrini apre il testo per «fare il verso
all’ambiguità buffa o minacciosa che hanno le chiacchiere quotidiane» e «non vuol narrare niente», Sanguineti lo fa attraverso
un’iper-razionalizzazione del reale. Quanto a Giuliani stesso, egli
chiarisce che «si può aprire il testo [...] dando ai pensieri, come
capita a me, valore di gesti e di figure tra i fantasmi delle cose».4
Quel «come capita a me» appare qui particolarmente importante
in quanto sviluppa appieno il concetto che Giuliani aveva delineato nelle tre pagine precedenti dell’introduzione, quello dello schizomorfismo: in questo caso, non abbiamo infatti un Giuliani che,
io poetico sapiente (o addirittura saccente), sceglie di interagire in
un certo modo con la realtà, ma piuttosto la scrittura che sceglie
per lui e fa “capitare” l’esperienza poetica.
La consapevolezza di una discrepanza pericolosa tra un io autoriflessivo e sapiente e un soggetto che parla nel testo (con il testo) è
parte essenziale della scrittura poetica moderna, e può essere rintracciata già in autori ottocenteschi come Leopardi e Rimbaud. È solo
con lo sviluppo della psicoanalisi, però, che, all’inizio del Novecento, il problema poté definirsi secondo strutture precise negli scritti
di Freud, di Breton e dei Surrealisti e, infine, di Lacan, che nella sua
Instance mostra come il soggetto abbia un luogo in cui muoversi nel
AMELIA ROSSELLI OLTRE LO SCHIZOMORFISMO
107
linguaggio, e che tale luogo è quello in cui la significazione diviene
indiretta e mette in gioco l’intera catena, scivolosa e instabile, dei
significanti.5 Dunque, conclude Lacan in una parte successiva della
conferenza, dopo aver tracciato un parallelismo tra figure dello stile (metonimia e metafora) e meccanismi dell’inconscio (sono quelli
definiti da Freud nell’Interpretazione dei sogni), «Il ne s’agit pas de
savoir si je parle de moi de façon conforme à ce que je suis, mais si,
quand j’en parle, je suis le même que celui dont je parle» (non è questione di sapere se parlo di me stesso in maniera conforme a ciò che
sono, ma piuttosto di sapere se sono lo stesso di cui parlo).6
Nella breve selezione di poesie di Alfredo Giuliani raccolte
nell’antologia, la parola che parla è presente molto più dell’io, che
appare molto spesso come entità parlata. È un chiaro esempio di
questo processo di distacco il terzultimo testo, dedicato a Nanni
Balestrini e intitolato Prosa, un vero groviglio di realtà in conflitto
da cui l’io è completamente escluso:
Bisogna avvertirli
Les essuie-mains ne dovient servir qu’à s’essuyer
Le mains, Non sputate sul pavimento Uscita, son tutti uguali, falsissimo,
se ne sentono tante, fenomeno facile da spiegare, lascia un’idea (nitrito)
di esaltata padronanza, ma poi svanisce, è bene o male?, la flussione
particolarmente intensa delle regole elementari, la prescrizione è contenuta
nel prodotto (è un nitrito, potrebbe essere), se ne sta ai giardini a leggere
l’Ordine Pubblico o Il Cavallo. Inutile lamentarsi. Avrà la pensione,
di fatto le teorie deduttive sono sistemi ipotetici... Il pleut... Cette
proposition est vraie ou fausse suivant le tempts qu’il fait. La figura siede
dolcemente astratta presso la fontana. E tu? Me lo ripeto sempre.7
Notiamo qui l’introduzione di un tu indefinito (Balestrini) e la
presenza indiretta dell’io, che si ripete... cosa? La dolcezza dell’astrazione? O il fatto che gli asciugamani non dovrebbero servire
che ad asciugare? La commistione italiano-francese, poi, aumenta
il senso di distacco frammentando ulteriormente la prospettiva di
scrittura.
Un processo simile a quello adottato da Giuliani si mostra in
maniera abbastanza nuda ed estrema negli scritti giovanili di Amelia Rosselli raccolti nel Diario in tre lingue. «Let Go your hold on
Contents (or the Loss of them)», riflette a esempio la scrittrice in
un inglese spezzato e decostruito in un frammento della lunga sezione conclusiva, la XI, del Diario: ecco che il testo si apre lasciando andare la presa sui contenuti, lasciando che l’esperienza poetica
“capiti”.8
108
FEDERICA SANTINI
Le opere di Amelia Rosselli sono troppo spesso state raccolte
nella categoria del soggettivo o dell’irrazionale (pensiamo all’idea
pasoliniana del lapsus) mentre rivelano chiaramente un tipo di lavoro non solo razionale ma particolarmente preciso e matematico
(molto bella, a questo proposito, l’introduzione di Emmanuela
Tandello alla recente edizione mondadoriana delle opere rosselliane). La chiave fornitaci dall’intuizione di Giuliani di un agente
schizomorfico che operi sul linguaggio poetico può, per questo,
essere utile a chiarire alcuni nodi del lavoro rosselliano.
Cercare di stabilire un rapporto diretto tra i poeti Novissimi e
Amelia Rosselli, nonostante l’esistenza di contatti diretti tra gli autori, che includono un carteggio abbastanza fitto, per esempio, tra
la Rosselli ed Edoardo Sanguineti, è al di là degli obiettivi di questo lavoro. È nota, inoltre, la posizione conflittuale della scrittrice
nei confronti della Neoavanguardia. Amelia Rosselli, in effetti, si
rivela costantemente come outsider, incapace di inserirsi appieno
nel contesto letterario italiano e anzi spesso in aperto contrasto
con certe posizioni dogmatiche dei «colleghi poeti» (riprendo
l’espressione da un’intervista rilasciata a Renato Minore per “Il
Messaggero” e in seguito ripubblicata nel bel volume curato nel
2007 da Cortellessa).9 Si tratta piuttosto, qui, di dimostrare che la
prevalenza di un soggetto poetico, inteso lacanianamente e mosso
dal linguaggio, predomina sia nella teoria dell schizomorfismo sia
nelle poesie di Amelia Rosselli, sull’io lirico autoriflessivo, e di conseguenza che il linguaggio poetico si apre, si trasforma, si accresce.
I testi rosselliani, fin dai primi scritti, non solamente mostrano linguaggi diversi dall’italiano, ma presentano una rete complicatissima di
riferimenti inter- ed extratestuali a un vasto numero di autori europei
e americani, dai mistici inglesi del diciassettesimo secolo a contemporanei quali Paul Celan e Sylvia Plath. Allo stesso tempo, l’atteggiamento distaccato e disilluso verso la cultura italiana viene spesso
sdoppiato in un gioco di prospettive, in cui il soggetto si esprime allo
stesso tempo come interno ed esterno al contesto italiano.
AMELIA ROSSELLI OLTRE LO SCHIZOMORFISMO
109
si apre con una riflessione sul ritmo montaliano, concentrandosi
in particolare sugli accenti degli endecasillabi d’apertura di tre diverse poesie di Montale. La sezione ha inizio con il primo verso di
quella che è forse la più nota tra le poesie di Mediterraneo: Avrei
voluto sentirmi scabro ed essenziale, per poi proseguire con i versi
che aprono rispettivamente uno dei Mottetti (nella sezione II di Le
Occasioni, Lo sai: debbo riperderti e non posso) e Buffalo (Un dolce
inferno a raffiche afferrava), dalla sezione I di Le Occasioni.10
Anche in questo caso, l’attenzione alla vibrazione ritmica e al
conteggio degli accenti si fonde con un senso accentuatissimo della
risonanza semantica: a guardar bene, quelli che potrebbero sembrare tre versi separati, assunti come esempio del particolarissimo
ritmo di Montale, segnano invece tre poesie collegate semanticamente tra loro: da Avrei voluto sentirmi a Lo sai debbo riperderti
e non posso la connessione è data proprio dal ritmo incontenibile
del mare («[...] lo spiro / salino che straripa [...]», recitano i versi
3 e 4 di quest’ultima); il verso finale del Mottetto, poi, con il suo
richiamo all’inevitabilità dell’inferno («e l’inferno è certo») riprende direttamente, per contrasto, proprio l’esordio di Buffalo («Un
dolce inferno a raffiche aspettava»). Eppure, nel Diario, a separare
i tre versi montaliani stanno solo alcune note sparse sulla metrica
e, di nuovo, le serie di “o” e di trattini che segnano gli accenti.11
Un secondo esempio dell’uso di versi di Montale appare verso
la fine del poemetto La libellula, che presenta una serie di variazioni
sul primo verso di Falsetto («Esterina, i vent’anni ti minacciano»)
fino a trasformare completamente la creatura eterea montaliana in
quanto di più prosaico possa esistere: «Se i vent’anni ti minacciano
Esterina porta qualche filo d’erba a torcere anche a me», così si
apre la penultima stanza della Libellula, e il riferimento culmina in
un vero e proprio ribaltamento di Montale:
[...] Esterina i tuoi vent’anni
ti misurano cavità orali ed auricolari Esterina
la tua bocca pendente dimostra che tu sei fra
le più stanche ragazze che servono al di dietro
dei banchi.12
3. Rovesciamenti schizomorfici di Montale
Un caso particolarmente significativo del processo di distacco
schizomorfico dalla “tirannia dell’io” in Amelia Rosselli è costituito dalla sezione X del Diario, una delle più lunghe e complesse, che
Bisogna però arrivare a Variazioni Belliche perché la ripresa di
Montale si sveli in una presa di posizione poetica esplicita. Già
nelle poesie di Mediterraneo, e soprattutto nel testo Avrei voluto
sentirmi..., abbiamo una dichiarazione molto forte del ruolo del
110
FEDERICA SANTINI
poeta, che si esprime soprattutto nel contrasto fortissimo tra i primi cinque versi – Avrei voluto... – e quelli successivi, dal sesto in
poi – Altro fui...13 Rovesciando Montale come nello specchio di
Carroll, Amelia Rosselli tocca, in uno dei frammenti di Variazioni
(1960-61), il problema dell’impossibilità di razionalizzare, limitandolo, il processo dello scrivere (corsivi miei):
La mente che si frena e si determina è un bel gioco.
La cosmopolita saggezza è forse la migliore delle
Nostre canaste. La mente che si determina è forse
un gioco fasullo? Convinta del contrario ponderavo
le crisi interne del paese e osservavo affluire
nel gran fiume della città una scatola di sardine.14
Al di là del fatto che al rombante Mediterraneo di Montale, che
si stende nel canto, si sostituisce qui il ben più prosaico «fiume
della città» da cui emerge (delirando verso gli astri?) una scatola di sardine, processo che segna un ben diverso atteggiamento
verso la sacralità della missione poetica, è forse più importante
notare lo slittamento dal decide montaliano al si frena di Amelia
Rosselli: ancora una volta, la mente (il soggetto) non ha un ruolo
attivo rispetto alla produzione poetica, non può decidere; bensì,
può frenarsi (o, ne deduciamo, lasciarsi andare) e reagire così al
flusso costante del linguaggio che la attacca dall’esterno. È in questo senso che determinarsi diviene un gioco fasullo, un esercizio
dell’arte dell’impossibilità (ma voglio notare qui che tale esempio
di rovesciamento di Montale potrebbe essere applicato, nel lavoro
di Amelia Rosselli, a molti altri autori).
Non è certo una sorpresa notare che Giuliani stesso presenta
il problema del capovolgimento del rapporto soggetto/linguaggio
attraverso alcuni versi che sembrano riecheggiare proprio il rombante Mediterraneo di Montale:
Parola fu in origine voce dell’assente;
né tu l’ignori che, l’ombra capovolta,
scendi per l’aria ferita dal rompito dei motori
e tumultuare ascolti dal muto frangente.
«La frase sulla “parola”», chiarisce Giuliani, «è una contaminazione da Freud (“Lo scrivere fu in origine la voce dell’assente”,
ved. Il disagio nella civiltà)».15 Ma c’è di più, in un gioco di relazioni intertestuali in cui entrambi gli autori sono particolarmente
AMELIA ROSSELLI OLTRE LO SCHIZOMORFISMO
111
abili. L’idea dell’ombra, a esempio, è come abbiamo accennato un
altro dei fili che legano la teoria dello schizomorfismo alla poesia
di Giuliani, che parla dell’ombra in Jung nell’introduzione del ’65
e conclude: «Essendo la poesia non tanto una forma di conoscenza
quanto un modo di contatto, i suoi rapporti con l’ombra sono probabilmente un “venire a capo”, sia pure provvisorio e ambiguo, di
quella realtà che l’ippocampo, il “visceral brain” collegato con la
vita ideativa e i processi emotivi, filma incessantemente».16 E poi
c’è quel neologismo, il «rompito» dei motori, associato al «muto
frangente» che ricorda appunto la “pagina rombante” del Mediterraneo di Montale.
Non si può, d’altronde, dimenticare che, sempre nella prima
introduzione ai Novissimi, il topo d’avorio di Dora Markus viene
a segnare il momento di stacco tra tradizione del Novecento e il
rinnovamento della lingua a partire dal primo dopoguerra.17
Per tornare alla visione schizomorfica della realtà teorizzata da
Giuliani, però, riprendiamo il neologismo «rompito»: attraverso di
esso, Giuliani centra infatti perfettamente l’idea di una realtà frammentata che la poesia contemporanea traduce in testo; si tratta di
una realtà metamorfica, nella variazione barocca e sfaccettata approfondita da Anceschi, ma allo stesso tempo una realtà schizoide,
priva di ogni linearità e di ogni connessione causa-conseguenza.
Un io lineare, sapiente, che pretendesse di interpretare tale realtà
non potrebbe che fallire, ed ecco allora la necessità della riduzione
dell’io. La connessione tra follia e linguaggio (schizofrenia e schizomorfismo) si ricollega poi – e questo è uno dei nodi costanti
della poesia di Giuliani che invece non sembra apparire in maniera
marcata in Amelia Rosselli, anche se qualche riferimento (l’idea
della mercantessa, del parolaio, del prete della poesia) vi si avvicina, all’idea del fool shakespeariano, disintegratore sociale e agente
della sovversione.
Giuliani torna sull’idea dello schizomorfismo e la sviluppa
nell’introduzione del ’65, in cui enfatizza l’implicazione socio-culturale di una poetica dello schizomorfismo. Il linguaggio poetico,
infatti, tende a ricostruire il reale attraverso un processo asemantico di reassemblaggio di materiali linguistici disparati in maniere
impreviste. Attraverso questo processo, anche il soggetto viene
ricreato come entità parlante che è agita dalla parola stessa. Tale
concetto, vicinissimo a quello lacaniano di un soggetto non agente
ma agito dal linguaggio, è forse il punto nodale della teoria dei
112
FEDERICA SANTINI
Novissimi a causa dell’accento che pone sulla forza del linguaggio,
sulla sua capacità di ricostruire dal caos e di generare dalla distruzione, e andrebbe guardato da vicino da chi pensa ai poeti Novissimi e alla neoavanguardia come a un movimento non propositivo
o distruttivo, che ha lavorato in negativo sul reale.
Sempre nell’introduzione del ’65, Giuliani traccia anche lo
sviluppo del metodo asemantico di re-assemblaggio della realtà
identificando un filo che va da Rimbaud, Mallarmé, e Apollinaire all’avanguardia e, in particolare, al Surrealismo. Il riferimento
all’avanguardia storica, che non appariva nell’introduzione del ’61,
diventa particolarmente significativo e necessario nel ’65, quando
lo sforzo dei Novissimi era ormai divenuto punto di partenza per
la nascita della neoavanguardia, ruolo giustamente reclamato da
Giuliani nell’introduzione alla seconda edizione dell’antologia.
4. La stella nera: schizomorfismo rosselliano
Un altro testo rosselliano particolarmente intenso, sempre tratto
da Documento, lascia dispiegare appieno alcuni degli elementi fino
a ora messi in evidenza, cioè distacco, apertura, schizomorfismo e
rete inter/intra-testuale:
Ho nella stella nera del mio destino
un qualche cosa che non è questo
versificare per buone donne o fanti
o spente illuse stelle silenziose
o rauche vanità d’essere additata
tra i primi.
In capo al masto, che scotendosi
s’adattava bene a tutti i venti
e silenziosamente sempre rimontava
tu ti penti.
Ma ora hai scelto magnificamente
la tua sorte, sortendo tra i sorteggi
un bacio immaginario, tutto un
trainare di distinzioni, sfumate
e elefantiche.
Direttamente nel vuoto del fango
mai alzare voce, infatti: quando
AMELIA ROSSELLI OLTRE LO SCHIZOMORFISMO
113
sostando vicino alla tua passione
la bruciasti.18
Il gioco identificatorio e intertestuale, pur nello spazio di così
pochi versi, si fa abbastanza complesso, da Montale a Baudelaire,
da Leopardi a Celan. Ecco alcuni nodi interpretativi.
In primo luogo, il processo di formazione dell’immagine
espressionistica che apre il testo merita una riflessione attenta. Già
il primo verso introduce un’immagine straniante, quella della stella nera, che risuona e vibra per motivi molteplici, non ultimo il
contrasto ossimorico dei due elementi. All’opposizione immediata
buio-luce si somma poi il riferimento storico all’uso nei lager della stella nera per identificare e marchiare gli individui considerati
asociali e imprigionati come tali: ecco allora una prima connessione allo status di outsider, di soggetto estraneo con cui Amelia Rosselli tende ad auto-identificarsi in tutta la raccolta e che resta una
costante dell’intero corpus rosselliano, elemento però che resta
nascosto, come tutti i riferimenti autobiografici, e resta tra quelle
«cose che non si è riusciti a mettere nelle poesie». Più rilevante è,
poi, la connessione con le immagini torturate di Celan; è infatti
difficile accostarsi al testo senza connetterlo all’Atemwende di Paul
Celan (e alla lettura intricata e affascinante, tutta incentrata sulla
figura dell’ariete, che Derrida ne presenta). In Celan, lo «sciame di
stelle nere» del «vasto emisfero brillante» «striscia, striscia via».19
Inoltre, la Todesfuge di Celan, con il «latte nero» del ritornello disperato e spiazzante, può essere qui ricordata come un altro
esempio della coincidenza, per quanto riguarda il processo creativo, dei due poeti, entrambi pronti all’opposizione coloristica e
straniante attorno a cui far ruotare un intero testo:
Latte nero dell’alba lo beviamo la sera
Lo beviamo di giorno e al mattino lo beviamo la notte
Beviamo e beviamo.20
Il ritmo serrato di Celan, però, non coincide affatto con la cadenza precisa, misurata e vibrante di significati celati o rinunciati
delle parole della poesia in analisi, la cui musicalità spezzata, specialmente nei primi versi, unitamente al tono auto-referenziale e
all’introduzione del colore nero, ricorda molto certi testi di Sylvia
Plath, dal contrasto coloristico di Black Rook in Rainy Weather allo
114
FEDERICA SANTINI
spargersi cinereo degli angeli oscuri in Burning the letters, di cui
riportiamo la terza stanza:
So, I poke at the carbon birds in my housedress.
They are more beautiful than my bodiless owl,
They console me-- Rising and flying, but blinded.
They would flutter off, black and glittering, they would be coal angels
Only they have nothing to say but anybody.
I have seen to that.
With the butt of a rake
I flake up papers that breathe like people,
I fan them out
Between the yellow lettuces and the German cabbage
Involved in its weird blue dreams
Involved in a foetus.
And a name with black edges.
Così, in vestaglia punzecchio gli uccelli cinerini.
Più belli ancora del mio gufo incorporeo,
mi consolano – s’alzano in volo, accecati.
Volerebbero via, neri e splendenti, come angeli cinerei.
Solo, non hanno niente da dire, a nessuno.
Ci ho pensato io.
Col manico di un rastrello
Frantumo fogli che hanno il respiro di persone,
li spargo
tra lattughe gialle e il cavolo tedesco
chiuso nei propri strani sogni azzurri
racchiuso in un feto.
Un nome dai bordi neri.21
Il riferimento alla scrittrice americana ci porta a un secondo,
importante nodo interpretativo: il contrasto tra sublime e prosaico che emerge nel testo (e di cui Sylvia Plath può essere maestra,
come nella stanza appena riportata in cui cavoli e angeli, vesti da
casa e oscuri frammenti si mischiano in uno spostamento continuo
da basso ad alto, dalle vette alle discese più prosaiche) rappresenta
un altro elemento costante della raccolta Documento e dello schizomorfismo rosselliano.
Fin dal 1975, Amelia Rosselli era stata impegnata nella traduzione di alcuni testi di Sylvia Plath, che aveva reso in modo vibrante e allo stesso tempo molto personale, ricreando da vera maestra la voce poetica dell’autrice americana e spesso introducendo
il proprio tocco personale e straniante nei testi.22 Nello specifico,
AMELIA ROSSELLI OLTRE LO SCHIZOMORFISMO
115
un’altra grande costante del lavoro di Amelia Rosselli è il riferimento continuo al lavoro dello scrivere, da cui deriva direttamente
la tendenza a eliminare l’autoriflessione (biografica o intimistica)
per traslarla in riflessione sullo scrivere. In questo senso, la differenza tra Sylvia Plath e Amelia Rosselli è enorme, e dove nell’una
emergono sprazzi di vita, l’altra copre ogni autobiografismo con il
peso del linguaggio e tende a negare ogni lirismo.
Per tornare al testo rosselliano in analisi, il verbo tecnico «versificare» contrasta nettamente con la musicalità sublime della prima
stanza, di cui occupa il centro spazialmente e che invece decentralizza sul piano semantico. Tramite l’introduzione del verbo «versificare», poi, la riflessione sul destino si trasforma immediatamente
in riflessione sul processo di scrittura, tecnico e accurato.
Lo stesso tipo di prosaicizzazione della realtà si dispiega pienamente nella terza stanza. Già nei versi iniziali del testo, le «spente
illuse stelle silenziose», con la loro vaghezza, richiamano indirettamente le illusioni leopardiane; il riferimento a Leopardi è poi
confermato dal segmento che segue, in cui vengono introdotte le
«rauche vanità». Nella terza stanza, disillusione verso il «secol superbo e sciocco» e isolamento di matrice leopardiana si amplificano magistralmente attraverso la creazione di un’eco a partire dalle
leopardiane «magnifiche sorti e progressive.»
D’altronde, la necessità di ripartire dalla tradizione era uno dei
punti dell’introduzione all’antologia dei Novissimi (leggere Pagliarani e ritrovarvi Dante, a esempio), e la definizione leopardiana dello
scopo della vera poesia apre come è noto l’introduzione di Giuliani.
Il gioco rosselliano su «sorte-sortendo-sorteggi» attiva un processo attraverso il quale la grandezza delle vaghe stelle si rispecchia
nel neologismo ingombrante «elefantiche», processo peraltro molto simile a quello usato da Giuliani con il neologismo «rompito»
di cui abbiamo parlato: si introduce un elemento straniante che
funge da filo rosso verso temi, intertestuali nel caso di Giuliani
e intratestuali in questo, che vengono così risvegliati senza essere
toccata esplicitamente. Non certo un lapsus, ma una scossa molto
precisa e programmatica alla solidità del reale- lo scopo stesso dello schizomorfismo, come abbiamo visto.
Per spiegare meglio tale processo, torniamo alle traduzioni rosselliane di Sylvia Plath: in una di esse, I campi di Parliament Hill, i
fogli sospesi nel vento («blown paper») divengono, curiosamente,
«carta da pacchi» (“brown paper”, forse?):
116
FEDERICA SANTINI
I gabbiani hanno respinto il fondo fangoso del fiume
Sino a questa cresta d’erba. Schiamazzano, verso l’interno,
Adagiandosi e agitandosi come carta da pacchi
O come le mani di un invalido […].23
Si tratterà certo di un errore, ma nell’errore sta la riconferma
che, ogni volta che il linguaggio si fa troppo aulico e il lirismo è in
agguato, Amelia Rosselli è pronta a farlo precipitare, creando una
sorta di “sublime dal basso” non dissimile da quello zanzottiano
(l’espressione è stata, in effetti, coniata a proposito di Zanzotto).
Abbiamo già notato l’effetto straniante del neologismo «elefantiche», che chiude la terza stanza. La presenza degli elefanti, nella
variante standard, ricorre almeno una volta nei testi di Documento:
in una delle poesie forse più belle della raccolta, quella che si apre
con «I fiori vengono in dono e poi si dilatano», i versi finali propongono una sequenza oppositiva molto forte: «il mondo è sottile
e piano / pochi elefanti vi girano, ottusi» (il neologismo specifico,
però, appare unicamente nel testo in analisi):
I fiori vengono in dono e poi si dilatano
una sorveglianza acuta li silenzia
non stancarsi mai dei doni.
Il mondo è un dente strappato
non chiedetemi perché
io oggi abbia tanti anni
la poggia è sterile.
Puntando ai semi distrutti
eri l’unione appassita che cercavo
rubare il cuore d’un altro per poi servirsene.
La speranza è un danno forse definitivo
le monete risuonano crude nel marmo
della mano.
Convincevo il mostro ad appartarsi
nelle stanze pulite d’un albergo immaginario
v’erano nei boschi piccole vipere imbalsamate.
Mi truccai a prete della poesia
ma ero morta alla vita
le viscere che si perdono
in un tafferuglio
ne muori spazzato via dalla scienza.
AMELIA ROSSELLI OLTRE LO SCHIZOMORFISMO
117
Il mondo è sottile e piano:
pochi elefanti vi girano, ottusi.24
Ancora una volta, la rete autoreferenziale e intertestuale si infittisce. Se prendiamo come riferimento questo testo, raccogliendo la
traccia della presenza singolare degli elefanti, possiamo identificare
una seconda connessione con il segmento già citato dell’Atemwende
di Celan, la cui considerazione conclusiva sul mondo (Das Wort is
Fert) coincide abbastanza esattamente con quella presente in questo
testo. Anche il verbo «trainare», così fuori posto nel testo sulla stella
nera, trova allora una collocazione: coincide infatti con quel tragen
di Celan su cui Derrida riflette a lungo nella sua analisi.
Un ultimo riferimento: l’altro neologismo che appare nel testo
rosselliano è il masto della seconda stanza; questa strofa, posta così
in equilibrio precario e apparentemente scollegata del tutto dalla
precedente, si centra infatti tutta proprio sul lemma «masto», che
si rivela un calco dall’inglese o dal tedesco: masto = mast = l’albero
maestro: il fatto che Celan presenti, nell’Atemwende, l’immagine
dell’albero maestro fa presupporre una coincidenza ancora più intima fra i due testi.
Lo schizomorfismo va oltre se stesso, la lingua supera il suo limite e valica il confine per ricostruire il reale, si fa, come auspicato
da Giuliani, ombra.25
Riferimenti bibliografici
L. ANCESCHI, Barocco e Novecento, con alcune prospettive fenomenologiche,
Rusconi e Paolazzi, Milano 1960.
L. CARROLL, Through the Looking Glass, Millennium Fulcrum Editions 1.7,
Produced by D. Widger, 2012.
P. CELAN, Poems of Paul Celan. A Bilingual German/English Edition, Persea
Books, New York 2002.
J. DERRIDA, Sovereignties in Question: the Poetics of Paul Celan, trad. Di T.
Dutoit e O. Pasanen, Fordham University Press, New York 2005.
“Galleria. Rassegna quadrimestrale di cultura”, 48, ½, numero speciale dedicato ad Amelia Rosselli, a cura di Emmanuela Tandello e Daniela Attanasio, gennaio-agosto 1997.
I Novissimi. Poesie per gli anni ’60, a cura di A. Giuliani, Einaudi, Torino
2003.
J. LACAN, L’instance de la lettre dans l’inconscient ou la raison depuis Freud, in
“La psychanalyse”, 3 (1957), 14-26 maggio.
118
FEDERICA SANTINI
J. LACAN, Écrits, Seuil, Paris 1966.
La furia dei venti contrari, a cura di A. Cortellessa, Le lettere, Firenze 2007.
E. MONTALE, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1977.
M. PERLOFF, Sylvia Plath’s “Collected Poems”: A Review-Essay, in Resources for
American Literary Study, XI (1981), 2, Autumn, pp. 304-313.
S. PLATH, Collected Poems, Buccaneer Books, New York 1981.
EAD., Le muse inquietanti, trad. di G. Morisco e A. Rosselli, Mondadori, Milano 1985.
A. ROSSELLI, Antologia poetica, a cura di G. Spagnoletti, Garzanti, Milano
1987.
EAD., Documento, Garzanti, Milano 1976.
EAD., Impromptu, San Marco dei Giustiniani, Genova 1981.
EAD., Le Poesie, Garzanti, Milano 1997.
EAD., L’opera poetica, a cura di S. Giovannuzzi, Mondadori, Milano 2012.
1
L. CARROLL, Through the Looking Glass, Millennium Fulcrum Editions 1.7, Produced by D. Widger, p. 151. Traduzione mia.
2
I Novissimi. Poesie per gli anni ’60, a cura di A. Giuliani, Einaudi, Torino 2003,
p. 16 e p. 11.
3
Ibi, pp. 7-8.
4
Ibi, p. 21.
5
J. LACAN, L’instance de la lettre dans l’inconscient ou la raison depuis Freud fu
presentato di fronte alla Fédération il 9 maggio del 1957 all’Amphithéâtre Descartes alla
Sorbonne, e poco dopo uscì su “La psychanalyse”, 3 (1957), 14-26 maggio, Psychanalyse et sciences de l’homme, pp. 47-81 (citiamo da questa versione). Nel 1966, L’instance
apparve in Écrits, Seuil, Paris, coll. «Le champ freudien».
6
Ibi, pp. 70-71, traduzione mia.
7
I Novissimi..., p. 87.
8
Lascia la presa sul Contenuto (o sulla sua Perdita), in A. ROSSELLI, Diario in tre
lingue, in EAD., Le Poesie, Garzanti, Milano 1997, p. 111 (traduzione mia). Più oltre
nella stessa sezione, si affronta poi il tema del rapporto tra contenuto e spazio poetico:
«non è il contenuto che deve fit in lo spazio / ma tu che devi plasmare lo spazio / cioè il
tuo contenuto deve provocare lo spazio» (p. 114).
9
«Già: bisognerebbe fare un censimento di tutte quelle cose che non si è riusciti a
mettere nelle poesie. Vada a interrogare i miei colleghi poeti, chissà che cosa le diranno.
Io, per conto mio, molte cose vissute le devo camuffare», in La furia dei venti contrari, a cura di A. Cortellessa, Le lettere, Firenze 2007, pp. 217-218. Durante la stessa
intervista, Amelia Rosselli si riferisce con malcelata asprezza al proprio rapporto con
«Sanguineti e i suoi sodali» (p. 219).
10
Per una raccolta che includa tutti e tre i testi in analisi, si veda l’edizione dell’opera completa di Eugenio Montale a cura di Giorgio Zampa (Tutte le poesie, Mondadori,
Milano 1984).
11
Il Mottetto è ripreso brevemente anche in una delle Variazioni. Si tratta della
poesia che segue, e certamente non per caso, il testo forse più famoso della raccolta,
quello che segna l’amara biografia della scrittrice («Nata a Parigi travagliata dall’epopea
della nostra generazione / fallace […]», in Le poesie, p. 202) e che si apre con il seguente
AMELIA ROSSELLI OLTRE LO SCHIZOMORFISMO
119
distico: «Se l’anima perde il suo dono allora perde terreno, se l’inferno / è una cosa certa, allora l’Abissinia della mia anima rinasce» (p. 203). Ringrazio Thomas E. Peterson,
che mi ha fatto notare il riferimento.
12
A. ROSSELLI, Le poesie, pp. 156-157. Un ulteriore rovesciamento si ha nei versi
12-13 della stanza, in cui la prospettiva cambia da Esterina alla voce poetica interna:
«[...] I miei vent’anni / mi minacciano Esterina, con il loro verde disastro, / con la luce
viola e verde chiara, soffusa d’agonie [...]» (p. 156, corsivi miei).
13
E. MONTALE, Tutte le poesie, p. 59.
14
A. ROSSELLI, Le poesie, p. 212.
15
I Novissimi. Poesie per gli anni ’60, con un saggio introduttivo e note a cura di A.
Giuliani, Rusconi e Paolazzi, Milano 1961, p. 42.
16
I Novissimi..., p. 10.
17
Ibi, pp. 16-17.
18
A. ROSSELLI, Le poesie, p. 617.
19
P. CELAN, Atemwende, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1967. L’analisi di Derrida
è contenuta principalmente nel saggio Rams, in J. DERRIDA, Sovereignties in Question:
the Poetics of Paul Celan, trad. di T. Dutoit e O. Pasanen, Fordham University Press,
New York 2005.
20
P. CELAN, Todesfuge, 1948. La traduzione italiana è mia. In aggiunta alle relazioni
intertestuali analizzate, la seconda e terza stanza del testo rosselliano, con le immagini
marine, richiamano molto L’albatros di Baudelaire.
21
La poesia, datata 13 agosto 1962 e cioè risalente a pochi mesi prima del suicidio
della scrittrice, trasforma il tema trito del bruciare lettere d’amore attraverso la continua metamorfosi dei frammenti bruciati, che divengono angeli, uccelli… Una breve ma
bella analisi di questo testo è presente in M. PERLOFF, “Resources for American Literary
Study”, XI (1981), 2, Autumn, pp. 304-13. Il testo è tratto dai Collected Poems, Buccaneer Books, New York 1981. La traduzione italiana è mia.
22
I dieci testi sono raccolti nel volume Le muse inquietanti, con traduzioni di Gabriella Morisco e Amelia Rosselli, Mondadori, Milano 1985.
23
I versi citati compongono la prima parte della seconda strofa di I campi di Parliament Hill, nella traduzione di Amelia Rosselli per Le muse inquietanti (vedi nota
precedente). Il testo originale è datato 11 febbraio (1961), data stranamente significativa perché segna, due anni esatti dopo, il suicidio di Sylvia Plath e, nel ’96, quello di
Amelia Rosselli.
24
A. ROSSELLI, Le poesie, p. 479.
25
I Novissimi..., pp. 7-8.