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RIVOLUZIONE COGNITIVISTA E TEORIA DEL DIRITTO

2017, Diritto&Questioni pubbliche

What we present here are the outlines of a research program. In sections 1 and 2, we give a rough picture of the “cognitive revolution”, the context in which our program situates. In section 3, we briefly review some well-established lines of inquiry germane to ours (behavioural law and economics; criminal responsibility and imputability; heuristics and biases in adjudication). Section 4 is devoted to the core of our research program: what are the psychological processes involved in the understanding, issuing and complying with norms, and in rule-based decision-making? Subsequently, in the last two sections, we give a glimpse on what we have done already (not much), and on what we plan to do in the next future.

RIVOLUZIONE COGNITIVISTA E TEORIA DEL DIRITTO: UN PROGRAMMA DI RICERCA MARCO BRIGAGLIA BRUNO CELANO Rivoluzione cognitivista e teoria del diritto: un programma di ricerca Cognitive revolution and legal theory: a research program MARCO BRIGAGLIA Ricercatore di Filosofia del diritto. Università degli Studi di Palermo Email: [email protected] BRUNO CELANO Professore ordinario di Filosofia del diritto. Università degli Studi di Palermo Email: [email protected] ABSTRACT Questo scritto ha un carattere esclusivamente programmatico. È dedicato alla presentazione delle linee essenziali di un programma di ricerca nel quale siamo impegnati già da un po’ di tempo, e che intendiamo sviluppare nel prossimo futuro. Nei primi due paragrafi tratteggiamo sommariamente il contesto culturale e scientifico della “rivoluzione cognitivista”, nel quale il nostro programma si colloca (behavioural law and economics; responsabilità e imputabilità; euristiche e bias nella decisione giudiziale). Nel terzo paragrafo elenchiamo le linee di ricerca affini già battute da altri autori. Il quarto paragrafo è dedicato alla formulazione del nucleo centrale del nostro programma: quali sono i processi psicologici soggiacenti alla comprensione, osservanza, produzione, applicazione di regole in genere, e di regole giuridiche in particolare? Successivamente diremo cosa abbiamo già fatto (molto poco), e cosa intendiamo fare in futuro. What we present here are the outlines of a research program. In sections 1 and 2, we give a rough picture of the “cognitive revolution”, the context in which our program situates. In section 3, we briefly review some well-established lines of inquiry germane to ours (behavioural law and economics; criminal responsibility and imputability; heuristics and biases in adjudication). Section 4 is devoted to the core of our research program: what are the psychological processes involved in the understanding, issuing and complying with norms, and in rule-based decision-making? Subsequently, in the last two sections, we give a glimpse on what we have done already (not much), and on what we plan to do in the next future. KEYWORDS Diritto e scienze cognitive; psicologia della normatività; rule-following Law and cognitive science; psychology of normativity; rule-following DIRITTO & QUESTIONI PUBBLICHE | XVII, 2017 / 2 (dicembre) | pp. 523-535  2017, Diritto e questioni pubbliche, Palermo. Tutti i diritti sono riservati. Rivoluzione cognitivista e teoria del diritto: un programma di ricerca* MARCO BRIGAGLIA BRUNO CELANO Premessa – 1. La rivoluzione cognitivista – 2. Dual Process Theories – 3. Applicazioni al diritto: filoni di ricerca già consolidati – 4. Il nostro programma – 5. Cosa abbiamo già fatto (pochissimo) – 6. Cosa abbiamo intenzione di fare. Premessa Questo scritto ha un carattere esclusivamente programmatico. È dedicato alla presentazione delle linee essenziali di un programma di ricerca nel quale siamo impegnati già da un po’ di tempo, e che intendiamo sviluppare nel prossimo futuro. Nei primi due paragrafi tratteggiamo sommariamente il contesto culturale e scientifico nel quale il nostro programma si colloca. Nel terzo paragrafo elenchiamo le linee di ricerca affini già battute da altri autori. Il quarto paragrafo è dedicato alla formulazione del nucleo centrale del nostro programma. Successivamente diremo cosa abbiamo già fatto (molto poco), e cosa intendiamo fare in futuro. 1. La rivoluzione cognitivista In tempi recenti – non così recenti, in effetti gli ultimi 40 anni – l’intero campo delle scienze umane e della filosofia ha subito una trasformazione radicale. Questa trasformazione è stata avviata da sviluppi in ambito linguistico (l’ipotesi di Chomsky di una “grammatica universale”)1 e in ambito psicologico (la nascita del cognitivismo in psicologia)2, e dall’elaborazione della nozione di razionalità limitata (H. Simon)3. Queste spinte iniziali hanno prodotto un’amplissima letteratura, ricoperta dall’etichetta, generica, di “scienze cognitive”. In tempi ancora più recenti, su questo troncone si è innestato lo sviluppo impetuoso delle neuroscienze. * In considerazione di una norma di cui non comprendiamo il senso, dichiariamo che i paragrafi 2, 3 e 4 sono stati redatti da Marco Brigaglia, e i paragrafi 1, 5 e 6 sono stati redatti da Bruno Celano. 1 CHOMSKY 1965. 2 MILLER 2003. 3 SIMON 1947. 526 | Marco Brigaglia e Bruno Celano Questo ricchissimo e vastissimo complesso di ipotesi, tesi, teorie ha prodotto una trasformazione radicale della scienza economica (la nascita dell’economia comportamentale), dell’antropologia e della riflessione filosofica sui fenomeni mentali (sviluppo, quest’ultimo, che ha coinciso con la perdita di centralità, in ambito filosofico, della filosofia del linguaggio, e il primato della filosofia della mente). In generale questa trasformazione si sviluppa lungo quattro assi: (1) dal linguaggio al pensiero, con l’abbandono della tesi classica secondo la quale il pensiero ha necessariamente carattere linguistico (idea, questa, che sta alla base di ciò che chiameremo una concezione “logico-linguistica” delle norme); (2) dal conscio all’inconscio, con l’abbandono della tesi secondo la quale il ruolo principale nell’attività mentale umana è svolto dal pensiero conscio a favore della tesi della preminenza di processi inconsci4 (dove l’inconscio, si badi, non è l’inconscio freudiano); (3) dalla ragione all’intuizione, con l’abbandono di un modello esclusivamente raziocinativo o logico del pensiero a favore di un modello intuitivo, caratterizzato però dall’elaborazione di concezioni dell’intuizione molto diverse da quelle del passato (v. infra, § 2); (4) dalla cognizione in senso stretto all’affettività, con la tesi del “primato dell’affetto”: la mente-cervello è incessantemente impegnata in una valutazione affettiva di oggetti e situazioni – liking/disliking, inclination/aversion – e le attività tradizionalmente ascritte alla sfera della cognizione – ragionamento, memoria, padronanza di concetti – sono pervase di affettività5. Per comodità chiameremo questo complesso di idee “rivoluzione cognitivista” (anche se questa etichetta non è affatto scontata)6. La rivoluzione cognitivista, salvo alcune importanti eccezioni, non ha ancora investito la teoria del diritto. 2. Dual Process Theories Uno dei più celebri risultati della rivoluzione cognitivista sono le c.d. “dual process theories”7. La più nota elaborazione in quest’ambito è opera di D. Kahneman8. La si può riassumere così. L’apparato cognitivo degli esseri umani è caratterizzato da due diversi tipi di processi, sinteticamente indicati come “Sistema 1” e “Sistema 2”. I processi appartenenti al Sistema 1 sono automatici, intuitivi, veloci, fluidi, non richiedono sforzo cognitivo e sono abitualmente non accessibili alla coscienza. Si pensi, ad esempio, all’afferrare un oggetto in volo (una palla da baseball), che sembra 4 BARGH, CHARTRAND 1999; BARGH 2007; HASSIN 2013. Cfr. ZAJONC 1980; DAMASIO 1994; PANKSEPP 1998. 6 In senso stretto, la locuzione “rivoluzione cognitivista” designa la fase di questo processo anteriore rispetto all’affermarsi della tesi del primato dell’affettività. 7 FRANKISH, EVANS 2009. 8 Una sintesi recente si trova in KAHNEMAN 2011. 5 D&Q, 2017/2 | 527 richiedere complessi calcoli sulla sua traiettoria, ma che avviene in modo del tutto spontaneo, apparentemente immediato. Si pensi, ancora, al riconoscimento di un’espressione facciale, che avviene automaticamente, senza alcuna inferenza cosciente. I processi appartenenti al Sistema 2, invece, sono lenti, soggetti a controllo cosciente, costosi in termini di attenzione e sforzo cognitivo. Si pensi, ad esempio, ad una moltiplicazione a tre cifre. La stragrande maggioranza dei nostri processi cognitivi appartiene al Sistema 1. Il Sistema 2 è pigro: interviene solo in modo residuale, opera mediante processi appartenenti al Sistema 1, e, poiché le sue operazioni sono dispendiose in termini di risorse cognitive (scarse), risulta inibito in condizioni di carico cognitivo o ego-depletion9. All’origine di questa elaborazione, ci sono le ricerche di A. Tverski e D. Kahneman su “euristiche” e “bias” conseguenti all’uso di queste euristiche. Il Sistema 1 si avvale di scorciatoie cognitive, “euristiche”, che operano sostituendo a un compito cognitivo più difficile compiti cognitivi più facili e meno dispendiosi. L’uso di queste scorciatoie, però, è causa di “bias”, distorsioni cognitive sistematiche: le euristiche corrono il rischio di essere meno accurate, in termini di correttezza del risultato, rispetto ai processi che costituiscono il Sistema 2. Quello che avviene tra Sistema 1 e Sistema 2 è dunque un trade-off tra efficienza nell’impiego di risorse cognitive scarse e correttezza dei risultati. Le dual process theories sono state oggetto di importanti applicazioni nella psicologia morale (ossia, l’indagine empirica, dentro e fuori il laboratorio, sui processi di formazione del giudizio morale) degli ultimi venti anni. La prima applicazione, che si deve a J. Haidt, è il c.d. “intuizionismo sociale”10. L’idea di Haidt è che il giudizio morale sia normalmente prodotto da una reazione intuitiva (flash emotivi di disgusto, compassione, ecc.), e che il ragionamento morale sia un momento successivo, solo eventuale, rivolto essenzialmente a cercare ragioni che supportino il giudizio già formato e a persuadere gli altri. La seconda applicazione si deve a J. Greene11. Greene distingue due modalità del giudizio morale. La prima, “emotiva”, consiste in una reazione automatica (veloce, priva di sforzo), simile ad un campanello d’allarme (un imperativo categorico) che si accende davanti a certe possibilità d’azione (ad es., l’esercizio diretto di violenza su qualcuno provoca una immediata reazione avversiva). La seconda modalità di giudizio, “cognitiva”, consiste in una reazione ragionata (lenta, cognitivamente costosa), che prende in considerazione uno spettro ampio di fattori pro e contro l’azione contemplata (in particolare le sue conseguenze), mirando alla massimizzazione dei benefici. Può accadere che il giudizio “cognitivo” abbia la meglio sul giudizio “emotivo”, determinando l’azione effettiva. 9 10 11 BAUMEISTER et al. 1998. HAIDT 2001; HAIDT, BJORKLUND 2008; HAIDT 2012. GREENE 2008; GREENE 2013; GREENE 2014. 528 | Marco Brigaglia e Bruno Celano Le dual process theories, lo vedremo fra breve, hanno largamente influenzato la ricezione della rivoluzione cognitivista nell’ambito degli studi giuridici, e svolgono un ruolo significativo nelle indagini che stiamo sviluppando. 3. Applicazioni al diritto: filoni di ricerca già consolidati La rivoluzione cognitivista ha già avuto notevole incidenza sugli studi giuridici12. Gli ambiti più esplorati sono i seguenti. (1) Applicazione al diritto dell’economia comportamentale contemporanea (essa stessa, come si è accennato, figlia della rivoluzione cognitivista, e fortemente influenzata dalle dual process theories). Sia in chiave normativa, de lege ferenda: “choice architecture”, progettazione di sistemi di regole che disegnano ambienti decisionali tali da orientare le scelte dei destinatari verso obiettivi che il legislatore giudica degni di essere perseguiti (l’esempio più noto è quello dei nudges)13. Sia in chiave descrittiva, la cosiddetta “behavioural law and economics”14. (2) Applicazione in diritto penale al tema dell’imputabilità, e più genericamente della responsabilità (e le sue connessioni con la libertà del volere): neuroetica, neuro-diritto penale 15 . In particolare, la solidità o meno della nozione di capacità di intendere e di volere16. (3) Applicazione del modello delle euristiche e bias ai processi decisionali dei giudici17. Sia in chiave descrittiva: lo studio di come di fatto i processi decisionali dei giudici siano caratterizzati dall’uso di euristiche e conseguentemente vittima dei bias correlativi (ad esempio, il bias della conferma: la tendenza a prendere in considerazione soltanto argomenti a sostegno di un’ipotesi già formulata). Sia in chiave normativa: quali congegni istituzionali, o forme di addestramento, possano contribuire a depurare il ragionamento giudiziale da queste distorsioni. 4. Il nostro programma Ciò che a noi interessa – si tratta di una linea di ricerca ancora poco esplorata – sono le incidenze della rivoluzione cognitivista sotto il profilo della teoria delle norme e del ragionamento pratico, soprattutto del ragionamento basato su regole (ragioni d’azione protette18, generalizzazioni prescrittive trincerate19): quali siano i 12 13 14 15 16 17 18 Cfr. FREEMAN 2011. THALER, SUNSTEIN 2008. SUNSTEIN 2000. V. ad es. MORSE 2006; MORSE 2009; GRANDI 2017. V. ad es. BERTOLINO 2012. V. ad es. GIGERENZER, ENGEL 2004; DANZIGER, LEVAV, AVNAIM-PESSO 2011. RAZ 1979, cap. 1. D&Q, 2017/2 | 529 processi psicologici soggiacenti alla comprensione, osservanza, produzione, applicazione di regole in genere, e di regole giuridiche in particolare. Questo genere di indagine sembrerebbe dover ricadere integralmente nell’ambito disciplinare della sociologia del diritto. Secondo una veneranda tradizione, la sociologia del diritto sarebbe cosa diversa (e derivativa) rispetto alla teoria del diritto in senso proprio. Una cosa sarebbero le regole in quanto entità logico-linguistiche e le relazioni tra regole in quanto relazioni di tipo logico o genericamente argomentativo, tutt’altra cosa sarebbero i processi psicologici effettivi di chi osserva regole e ragiona sulla base di regole – o applicando regole, o producendo regole. La nostra idea è che questa ripartizione di competenze tra sociologia e teoria del diritto sia da abbandonare. Il ragionamento pratico, e il ragionamento basato su regole in particolare, non può essere compreso se non come, non è altro che, un processo psicologico, e precisamente un processo psicologico-sociale. Le regole non sono altro che contenuti mentali, e la nozione di contenuto di uno stato mentale deve essa stessa essere intesa in chiave psicologica. Questo significa trattare le regole, le relazioni fra regole e il ragionamento basato su regole come fenomeni empirici. La contrapposizione tra teoria del diritto e indagine sociologica sul diritto, dunque, viene meno. Ciò che residua è la differenza di grado, in termini di maggiore o minore livello di astrazione, fra indagine empirica, in laboratorio e fuori dal laboratorio, e costruzione di modelli generali dei fenomeni oggetto di indagine. A nostro giudizio, inoltre, la rivoluzione cognitivista pone le basi per un riorientamento della teoria del diritto. La teoria del diritto classica, novecentesca, è caratterizzata dalla centralità della giurisdizione, che sembra integrare gli estremi di un processo appartenente al Sistema 2: ragionamenti consci, lenti, dispendiosi, formulati linguisticamente e governati da relazioni logiche o argomentative in genere. Da qui la centralità del tema dell’interpretazione e in particolare dell’interpretazione costituzionale. J. Waldron ha contrapposto alla jurisprudence imperniata (quasi ossessivamente) sulla adjudication una jurisprudence della legislazione democratica 20 . Nella nostra prospettiva, invece, assume centralità il diritto amministrativo sotto l’aspetto del funzionamento degli apparati gerarchici o burocratici. Due fattori hanno cospirato al sostanziale oblio, negli studi di teoria o filosofia del diritto, di questa macroscopica e imprescindibile dimensione del diritto moderno: l’amministrazione. Da un lato, il modello tradizionale di decisione razionale, caratterizzato dall’assunzione come paradigma tendenzialmente esclusivo dei processi appartenenti al Sistema 2 (consci, lenti, formulati linguisticamente) e dalla denegazione dell’enorme peso – nient’affatto soltanto nel senso della produzione di distorsioni ed errori – che nella nostra economia cognitiva hanno i processi appartenenti al Sistema 1. D’altro lato, l’ideale cui è tradizionalmente improntata la 19 20 SCHAUER 1991. WALDRON 1999, cap. 2. 530 | Marco Brigaglia e Bruno Celano formazione del giurista: lo sviluppo di capacità logico-linguistiche, dialettiche e retoriche, a detrimento della considerazione degli aspetti automatici, meccanici e intuitivi, ascrivibili al Sistema 1, che costituiscono la parte preponderante del funzionamento (produzione e applicazione di norme) degli apparati amministrativi. Nella cultura giuridica, la centralità di questi aspetti del diritto è stata sfiorata, ma a nostro giudizio non adeguatamente indagata (e anzi ulteriormente confusa e strumentalizzata attraverso nozioni indeterminate come “organizzazione della forza sociale” e “ordinamento concreto”), dalle teorie istituzionalistiche del primo novecento (Romano, Hauriou, Schmitt). Uno dei settori rispetto ai quali sarebbe più interessante utilizzare questo approccio è l’indagine sul funzionamento e l’operato delle forze dell’ordine, e delle forze armate in genere. In questa chiave, dunque, la figura prototipica non sarebbe più quella del giudice, ma quella del funzionario, in particolare il burocrate, l’agente di pubblica sicurezza o il militare. Il campo del diritto che sembra offrire i casi paradigmatici di decisione basata su regole e di rapporti autoritativi è proprio il campo dell’amministrazione e della sua organizzazione gerarchica21. Questo approccio conduce ad affrontare direttamente la questione dell’organizzazione giuridica della forza (uso effettivo e minaccia): la struttura organizzativa degli apparati statali mediante i quali si esplica il monopolio dell’uso legittimo della forza. Questo aspetto, nonostante la sua evidente importanza, anche nella prospettiva della democratizzazione e costituzionalizzazione degli apparati dello stato, è pressoché ignorato dagli studi di teoria del diritto contemporanei. La realizzazione di questo programma dovrebbe essere – ma questo è allo stato attuale soltanto un pio desiderio – il frutto di una collaborazione interdisciplinare, che veda la partecipazione di psicologi, scienziati sociali in genere, cultori di neuroscienze, giuristi e teorici del diritto. 5. Cosa abbiamo già fatto (pochissimo) Sino ad ora, i passi incerti che abbiamo compiuto sono i seguenti. Ragioni e vincoli. Il potere dialettico del giurista (2011)22. In questo libro Brigaglia presenta le linee di una teoria psicologica della normatività, ancora fortemente tributaria di una concezione logico-linguistica delle rappresentazioni mentali in genere, e delle regole in particolare. Soprattutto, introduce l’idea di “habitus deliberativi”: forme automatiche di ragionamento, ibride tra Sistema 1 e Sistema 2. 21 Va sottolineato che l’aspetto organizzativo, gerarchico, burocratico del diritto va ben al di là dell’ambito del diritto pubblico. Le “aziende” private, infatti, sono anch’esse organizzazioni gerarchiche e burocratiche, definite in gran parte da regole giuridiche. 22 BRIGAGLIA 2011. D&Q, 2017/2 | 531 Direzione normativa e teoria della mente (2014) 23 . In questo articolo Brigaglia, dopo aver tracciato una ricostruzione della fenomenologia della normatività, analizza il rapporto tra normatività, teorie della mente e potere. Pre-convenzioni. Un frammento dello sfondo (2014)24. In questo articolo, Celano sostiene che esistono convenzioni che non sono né pure regolarità di comportamento, né regole, ma sono piuttosto entità ibride, “norme incorporate”: abilità corporee, know-how, stile e gusto, habitus e discipline. A sostegno di questa tesi, Celano adduce argomenti che fanno riferimento alle condizioni di identità dei precedenti (D. Lewis), alla proiettabilità dei predicati nelle inferenze induttive (N. Goodman), al seguire regole (L. Wittgenstein), allo “Sfondo dell’intenzionalità” (J.R. Searle). Quest’articolo è stato oggetto di un forum di discussione sulla rivista Revus, sulla quale sono state pubblicate anche le repliche di Celano ai critici. Rules and Norms. Two Kinds of Normative Behaviour (2016)25. In questo articolo Brigaglia, commentando Pre-convenzioni, traccia e articola la differenza tra due tipi di rule-following: il primo basato sulla rappresentazione cosciente di regole astratte e comunicabili, il secondo basato sull’automatica produzione di comportamenti rispondenti a schemi che operano come standard impliciti di correttezza. Ragionamento giuridico, particolarismo. In difesa di un approccio psicologistico (2016)26. In questo articolo, Celano propone un drastico riorientamento della teoria del diritto, delle norme e del ragionamento pratico in genere – con riferimento in particolare al ragionamento giuridico – nella direzione di un approccio psicologistico. Rules, reasons, exceptions. Towards a Psychological Account (2016)27. In questo articolo, Brigaglia e Celano presentano le linee essenziali di una teoria psicologistica della relazione fra regole ed eccezioni. Si sostiene che il meccanismo fondamentale dell’esistenza di regole, il “trinceramento” (la resistenza di una generalizzazione prescrittiva alla riconsiderazione), vada spiegato nei termini di un meccanismo psicologico di formazione e monitoraggio del soddisfacimento o meno di aspettative implicite. Genealogia della normatività. Sulla psicologia del giudizio normativo (2017)28. Il tema di questo lavoro di Brigaglia è la genealogia della normatività: la spiegazione di come possano emergere ragioni (ragioni giustificative) da un mondo di cause. Brigaglia presenta in particolare la normatività come un fatto neuro-psicologico complesso, che emerge da strutture e processi cerebrali non ancora normativi. Muovendo dalla critica di alcune applicazioni correnti delle dual process theories al giudizio normativo, Brigaglia elabora un modello alternativo, il “modello del 23 24 25 26 27 28 BRIGAGLIA 2015. CELANO 2014. BRIGAGLIA 2016. CELANO 2017. BRIGAGLIA, CELANO 2018. BRIGAGLIA 2018. 532 | Marco Brigaglia e Bruno Celano controllo”, che ricostruisce la struttura delle ragioni spiegando come le ragioni, pur essendo nient’altro che cause, riescano a sfuggire alla riduzione causale. 6. Cosa abbiamo intenzione di fare I nostri prossimi obiettivi sono i seguenti. (1) Regole. Intendiamo sviluppare ulteriormente le indagini presentate in Rules, reasons, exceptions e in Genealogia della normatività, in vista della costruzione di un modello adeguato della decisione basata su regole. L’idea generale è che la decisione basata su regole si collochi a un livello intermedio tra il Sistema 1 (intuizione) e i processi del Sistema 2 (ragionamento cosciente). Le regole, nella decisione, da un lato operano in modo analogo alle intuizioni e alle emozioni, nel senso che precludono (entro certi limiti, la cui specificazione è molto problematica) la considerazione, in casi che ricadono sotto la regola, di ipotesi di soluzioni alternative rispetto a quella prescritta dalla regola stessa. In questo senso, le regole sono generalizzazioni trincerate, “fortificate”, per così dire, che oppongono resistenza (entro certi limiti) alla considerazione di tutti i fattori rilevanti, nel caso oggetto di giudizio, ai fini di una soluzione soddisfacente. D’altro lato, però, la decisione basata su regole è un processo che ha una struttura raziocinativa, inferenziale: la regola può avere il valore di una ragione, suscettibile di essere esplicitamente formulata in un contesto argomentativo, a sostegno della linea d’azione da essa prescritta. In questo modello, dunque, le regole avrebbero un doppio volto: da un lato precludono la deliberazione, d’altro lato la loro applicazione è facilmente rappresentabile con un paradigma di deliberazione. Questo sarebbe un modo di rendere conto del funzionamento delle regole, nella decisione, come meccanismi psicologici. Accettare e seguire o applicare regole è avere la disposizione a istanziare un preciso processo psicologico, nel quale un modello di comportamento, la regola, tende a controllare la decisione e a inibire la considerazione di soluzioni alternative. (2) Concezione logico-linguistica vs concezione psicologica della normatività. Intendiamo tratteggiare la contrapposizione fra due diverse concezioni della normatività: concezione “logico-linguistica” e concezione “psicologica”, o “psicologistica”. Secondo la concezione logico-linguistica, le norme sono enunciati o proposizioni (intendendo per “proposizione” il significato di un enunciato), la cui struttura e le cui relazioni sono suscettibili di essere rappresentate mediante lo strumentario della logica e dell’analisi del linguaggio novecentesca. Ma, ci sembra, non è possibile rappresentare sotto la forma di strutture logiche e linguistiche il funzionamento delle norme: rendere conto in maniera adeguata di questo funzionamento richiede – è questa la nostra ipotesi di lavoro – la considerazione di meccanismi neuro-psicologici. Vi sono comportamenti normativi che avvengono indipendentemente da strutture logico-linguistiche (come l’esemplificazione di un D&Q, 2017/2 | 533 comportamento da replicare, l’imitazione di modelli sociali, ecc.) – qui si colloca il crinale, incerto e problematico, che separa il seguire regole dall’imitazione. Le norme, si può plausibilmente ritenere29, funzionano solo in regime di normalità: sono da applicare solo nei casi normali. Quali casi siano normali e quali no dipende da meccanismi di generalizzazione e formazione di aspettative che non possono essere rappresentati sotto forma di elementi di una struttura logicolinguistica. Questi meccanismi presiedono alla costituzione dello “sfondo” su cui si stagliano in generale gli oggetti della nostra attenzione cosciente, e in particolare le norme come entità logico-linguistiche. (3) Autorità. Il modello della decisione basata su regole che vogliamo delineare (sopra, punto 1) dovrebbe, auspicabilmente, risultare utile, o addirittura illuminante, ai fini della comprensione di quel vasto insieme di fenomeni che va sotto il nome di “autorità”. Il riconoscimento di X come un’autorità, infatti, può essere inteso come disposizione a trattare le sue pronunce come regole, cioè come disposizione a non sottoporre tali pronunce a riconsiderazione. Nel panorama della teoria del diritto e della teoria politica contemporanee dominano concezioni dell’autorità sbilanciate in direzione del suo aspetto raziocinativo: a quali condizioni ci sono buone ragioni in favore del trattare le pronunce di X come regole, da applicare senza sottoporle a riconsiderazione? Questi modelli perdono di vista il sostrato di base necessario per l’esistenza di regole e di autorità: l’automatismo della non riconsiderazione. Perché X possa trovarsi in una posizione autoritativa rispetto a Y, è anzitutto necessario che Y abbia la disposizione a trattare le direttive di X come regole, applicandole senza sottoporle a riconsiderazione, in modo automatico, senza alcuna riflessione, e in particolare senza rappresentarsi coscientemente alcuna ragione a favore della non riconsiderazione. È questo, d’altra parte, il tradizionale concetto di “disciplina”, intesa come habitus all’obbedienza. In questa prospettiva, sarebbe secondo noi interessante trattare la questione dell’obbedienza agli ordini, soprattutto nel contesto della democratizzazione e costituzionalizzazione degli apparati gerarchici dello stato. In particolare: è possibile, e se sì in che modo, formare decisori che – in contesti come quelli nei quali si trovano spesso le forze di pubblica sicurezza, contesti nei quali è richiesta una decisione rapida se non immediata, le informazioni e le risorse decisionali in genere sono scarse, e la coordinazione dell’azione di una pluralità di agenti è necessaria in vista del conseguimento dell’obiettivo perseguito – da un lato seguano e applichino regole, e al contempo, tengano conto della conformità delle regole che applicano a principi costituzionali? 29 Questa tesi è sostenuta in CELANO 2012. 534 | Marco Brigaglia e Bruno Celano Riferimenti bibliografici BARGH J.A. (ed.) 2007. 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