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La Donna Serpente

Gozzi con le sue fiabe drammatiche ha realizzato tutto quello che richiede il musicista al poeta di un'opera" E.T.A. Hoffmann, Il compositore ed il poeta

Maria Cristina Riffero Cherestani, Ada, Miranda: l'evoluzione de La Donna Serpente da Carlo Gozzi ad Alfredo Casella “Gozzi con le sue fiabe drammatiche ha realizzato tutto quello che richiede il musicista al poeta di un’opera” E.T.A. Hoffmann, Il compositore ed il poeta La Donna Serpente, fiaba teatrale di Carlo Gozzi, debuttò al Teatro Sant’Angelo di Venezia il 29 ottobre 1762 e, dall’autunno di quell’anno al successivo Carnevale, fu rappresentata per diciassette volte. Artefice del successo dello spettacolo fu il gruppo di attori guidato dal capocomico Antonio Sacchi, che si era ritagliato per sé il ruolo di Truffaldino, il quale era all’epoca un attore assai apprezzato dai drammaturghi veneziani, Goldoni incluso. Il ruolo della protagonista era sostenuto da Angela Sacchi, figlia del capocomico e primadonna della compagnia. Sarà proprio questo gruppo di attori a portare la fiaba gozziana a Torino, al Teatro Carignano, nell’estate del 1763 e a riallestirla per altre tre volte nel capoluogo sabaudo, nell’arco temporale che va dal 1767 al 1779, sempre nello stesso teatro. Il dramma scenico vide la pubblicazione a stampa dieci anni dopo la prima messa in scena, ovvero nel 1772. Le fonti che ispirarono a Carlo Gozzi, conte veneziano, la trama del suo dramma sono da ricercarsi in primo luogo nei poemi cavallereschi-fiabeschi del tardo Medioevo e Rinascimento italiano ed europeo, per giungere fino ai testi della letteratura illuminista francese. Prima base della storia è il poema trecentesco francese Il romanzo di Melusina, il quale narra del re d’Albania, disubbidiente ad una promessa fatta alla fata sua consorte, il quale viene punito dalla figlia Melusina, la fata madre 1 però, essendo ancora innamorata del re suo sposo, non accetta, pur avendolo abbandonato, che la figlia abbia cercato di vendicarla e quindi la punisce facendola diventare un serpente dalla vita in giù ogni sabato per l'eternità. Melusina, dopo aver subito l'incantesimo, sposa il conte Raimondino che le fa solenne promessa di non vederla mai nel giorno di sabato, secondo di lei richiesta, un sabato però il conte, spinto da curiosità, infrange la promessa e Melusina lo abbandona trasformandosi in un serpente alato. Da questo racconto tardo medioevale il conte Gozzi trasse le mosse per narrare la sua fiaba, ricavando i nomi dei protagonisti ed altri spunti dalla raccolta di novelle persiane Les mille et un jours, dove è contenuta una fiaba che ha molti riferimenti con la fiaba tragicomica divisa in tre atti La donna serpente. Il primo atto inizia con il dialogo tra due fate che narrano allo spettatore l'antefatto della storia parlando della protagonista Cherestani, figlia del mortale re di Eldorado e di una fata immortale, la quale ha sposato il mortale Farruscad, re di Teflis, chiedendo al re delle fate, Demogorgon, di diventare mortale come il suo sposo, questi concede alla principessa tale privilegio a patto che il marito non la maledica vedendola compiere azioni che non è in grado di capire e che ritiene orribili, dopo avere in precedenza giurato di non maledirla mai e neanche di scoprire chi ella sia. Se Farruscad non adempirà al giuramento e tradirà la principessa essa diventerà un serpente e tale resterà per duecento anni per poi ritornare nel mondo delle fate. I riferimenti letterari di questo prologo si trovano nel Candide del 1759 del filosofo illuminista francese Voltaire, in cui ci sono dei riferimenti al mitico regno di Eldorado ed il signore delle fate, Demogorgon, è presente nell'Orlando innamorato del Boiardo, in cui si dice che è un capriccioso persecutore delle fate su cui regna sovrano. 2 La seconda parte dell'atto è ambientata in un orrido deserto in cui si è venuto a trovare Farruscad dopo che è stato scoperto da Cherestani mentre cercava, rovistando tra gli oggetti della sposa, di individuare l'identità di questa. La principessa, indignata della poca fiducia in lei riposta dal marito, ha fatto sparire il magnifico palazzo e l'incantato giardino dove i due ormai da diversi anni vivevano. Pantalone, fido compagno del principe, lo invita a lasciare il deserto e a ritornare nel suo regno in soccorso del padre e della sorella che devono vedersela con un sovrano moro invasore aspirante alla mano di Canzade, principessa guerriera sorella di Farruscad. Pantalone, che si esprime in dialetto veneziano, è una delle quattro maschere che compaiono sulla scena accanto ai personaggi esotici, le altre sono Truffaldino, Tartaglia e Brighella, questi ultimi giunti in compagnia di Togrul, visir del regno di Farruscad, recatosi nel deserto per richiamare il suo signore ai doveri verso la sua patria ora che il re suo padre è morto. A differenza dei personaggi esotici le maschere non hanno un testo corrispondente alla loro parte, hanno solo le linee guida di ciò che devono dire durante i loro interventi ed a cui si devono attenere per imbastire tra di loro il discorso e per muoversi sulla scena. Le quattro maschere ed il ministro fedele cercano di convincere il re a lasciare il deserto e la sua singolare sposa, che lo aveva fatto innamorare anni prima presentandosi a lui nelle sembianze di una splendida cerva dal mantello bianco. Nell'intento di richiamare alla ragione Farruscad i cinque personaggi sono sostenuti dal mago Geonca, figura fatata al servizio del regno di Teflis, il quale cerca di aiutare il suo re a conseguire la felicità. Il mago fa trasformare Pantalone in Checsaia, gran sacerdote del regno di Teflis, perché in tali vesti convinca il re che la donna che ha fatto sua sposa in realtà non è che 3 una maga simile a Circe, che trasforma in animali, piante o sassi gli amanti verso cui non prova più interesse. Togrul assumerà invece le sembianze dello spettro del padre di Farruscad per richiamare il figlio al dovere verso il regno di Teflis posto in stato di assedio. Cherestani avrà la meglio sulle magie di Geonca e farà assumere ai due personaggi il loro vero aspetto suscitando la collera di Farruscad che non vuole lasciare il deserto se non ritrova, ottenendone il perdono, la sua sposa. Caduto in preda al sonno Farruscad è visitato da Cherestani, che gli ricorda che non dovrà maledirla mai qualsiasi cosa vedrà accadere il giorno seguente perché, qualora venisse meno alla promessa fatta e la maledicesse, la perderebbe per sempre. Il giorno seguente Cherestani, siamo nel secondo atto del dramma, riappare al marito ed ai suoi fidi insieme ai figli gemelli e fa gettare i due fanciulli in una voragine di fuoco che circonda la rupe sulla quale è apparsa sconcertando tutti i presenti che la condannano come terribile strega ma, nonostante il trauma tremendo, Farruscad maledice se stesso e la sua curiosità, che ha creato l’allontanamento tra lui e la sua sposa ma non maledice Cherestani. L’episodio ha un riferimento al mito di Medea, del resto il luogo dove si svolge la storia fiabesca, tra le montagne del Caucaso, è prossimo alla Colchide, il luogo nativo di Medea ma, mentre la maga uccide i figli per vendetta verso lo sposo traditore, Giasone, nella fiaba di Gozzi, come si scoprirà più avanti, Cherestani getta i figli nel fuoco, non per ucciderli ma per distruggere la loro natura immortale, rendendoli quindi mortali e simili in ciò a loro padre. Dopo questo dramma, a Farruscad ed ai suoi seguaci, non resta che ritornare a Teflis per aiutare la sorella del re e le sue ancelle, amazzoni guerriere, nella difesa del regno dall'assalto dei mori. Canzade ha mandato il ministro Badur oltre le linee nemiche per procurarsi approvvigionamenti per la città, 4 ormai allo stremo della sopravvivenza a causa dell'assedio ed in cui gli abitanti hanno già iniziato a cibarsi degli animali domestici ed anche a praticare episodi di cannibalismo verso i congiunti defunti. Badur giunge alla reggia di Teflis, dopo che è già arrivato Farruscad con i suoi compagni, per comunicare alla principessa che mentre tornava verso la città con i rifornimenti era stato assalito dall'esercito di una regina guerriera che aveva distrutto tutta la scorta delle vettovaglie da cui erano riusciti a salvare solo alcune bottiglie di liquori. Dalla descrizione Farruscad ed i suoi amici capiscono che è stata Cherestani con il suo esercito a distruggere i rifornimenti destinati a Teflis e, quel che non è riuscito a scatenare nel cuore del re l'episodio del presunto omicidio dei figli, lo può il vedere senza vie di scampo il regno, dimentico della promessa, Farruscad maledice Cherestani la quale appare dicendo che ha distrutto le vettovaglie in quanto esse erano avvelenate, essendo Badur colluso con il nemico ed, alle proteste di questi, lo invita a bere il liquido delle bottiglie che sono sopravvissute alla distruzione, il ministro allora confessa il suo tradimento e si pugnala. La principessa prima di diventare serpente, secondo quanto l'incantesimo aveva stabilito, rende a Farruscad i figli divenuti mortali. Nel frattempo l’esercito di Teflis, ritrovato il suo re, pur essendo in numero assai minore rispetto agli assalitori, riesce ad avere la meglio su di questi, anche grazie all'aiuto di Cherestani che, pur tramutata in serpente, salva il regno dello sposo dalla conquista facendo annegare gli assalitori mori nelle acque del fiume Cur, innalzatesi in modo prodigioso per sommergere i barbari e salvare il regno. Nel terzo atto Farruscad non gioisce della vittoria perché pensa alla sposa perduta ma visto che sa esistere un modo per liberare Cherestani dall'incantesimo vuole cercare di riuscire nell’intento di riottenere sua moglie oppure morire. 5 Presso un sepolcro nel deserto sta un gong con una mazza per percuoterlo, per salvare la principessa Farruscad dovrà battere con la mazza sullo strumento e combattere con ciò che gli si presenterà dinnanzi, impaurito dalle presenze mostruose e aggressive che gli si palesano, verrà aiutato nel compiere l’impresa dai consigli del mago Geonca. La prima prova vede il combattimento contro un toro che getta fuoco dalle fauci, dalle corna e dalla coda, per vincere l’animale bisogna recidergli il corno destro. La seconda prova vede la lotta del re contro un gigante a cui è inutile amputargli gli arti, braccia o gambe o testa, perché esso è in grado di raccoglierli e ricollocarli in sito e riprendere la battaglia, per avere la meglio su tale figura occorre recidergli il capo e tagliargli l’orecchio sinistro prima che raccolga la testa e la rimetta in sede. L’opera fiabesca doveva dare al pubblico fiabesche illusioni ed, uno dei momenti più spettacolari della fiaba teatrale era proprio la lotta con il gigante e la sua decapitazione. Il trucco si svolgeva nel seguente modo: il mimo che interpretava il gigante doveva indossare un altissimo berrettone all'interno del quale deve essere contenuta una maschera, il più possibile simile al volto dell'attore che sosteneva il ruolo, nel momento in cui avveniva la decapitazione il berrettone cadeva a terra e mediante un filo la maschera scendeva al di sotto di esso, tale da sembrare la vera testa del mimo, il quale doveva portare sul capo un berrettino di colore rosso tutto sfilacciato, onde simulare dei rivoli di sangue, inoltre l’abito che indossava doveva essere munito di un colletto alto e robusto, tale che nel momento scenico della decollazione l'attore poteva nascondere la sua vera testa all’interno del colletto, di modo che gli spettatori vedessero solo il berrettino rosso e immaginassero una vera recisione del capo con rivoli di sangue sgorganti dal collo, quando il mimo recuperava il suo capo, sollevando il berrettone da cui pendeva la maschera del volto, il pubblico aveva l’illusione di vedere la 6 testa dell’interprete separata dal suo corpo, rimettendosi sul capo il berrettone e quindi, risollevando la sua vera testa dal colletto, la maschera ritornava a ripiegarsi all’interno del berrettone e tornava in sede la testa vera dell’attore. Era richiesto inoltre un buon gioco di luci per rendere più vere le scene magiche agli occhi degli spettatori. Prima della prova finale Gozzi aveva deciso di inserire un’altra prova per Farruscad, poi espunta dal testo definitivo, il re doveva combattere contro due guerrieri ed ucciderli entrambi, questi però risorgevano raddoppiati, il mago Geonca allora diceva al re che era inutile continuare a combatterli perché ogni volta che li uccideva rinascevano doppi e quindi presto avrebbero avuto di lui la meglio, doveva per annientarli, prendere un sasso dal terreno e gettarlo in mezzo ai guerrieri che sarebbero così spariti. Queste prove trovano spunto nel mito di Medea, narrato da Ovidio nelle sue Metamorfosi, sono le prove che Giasone deve affrontare nella sua strada verso la conquista del vello d’oro e che riesce a superare grazie all'aiuto di Medea. Infatti l'eroe dovrà combattere contro dei tori dalle zampe di bronzo che sbuffano fuoco dalle narici metalliche e poi contro i guerrieri nati dai denti di drago seminati nel terreno che si uccideranno tra di loro, senza recare alcun danno al guerriero, se questi getterà tra di essi una pietra incantata. L’ultima prova che deve affrontare Farruscad è quella di baciare il serpente che esce dal sepolcro, al principio il re è titubante, vorrebbe trapassare il serpente con la spada ma poi riesce a vincere il ribrezzo e a baciare il serpente che torna ad essere la splendida Cherestani. La principessa porta con se il marito a regnare in Eldorado mentre lascia al fido visir Togrul il regno di Teflis, come re sposo di Canzade, di cui era innamorato. Le fiabe di Gozzi ebbero un entusiasmante successo in Germania e furono tradotte in lingua tedesca, come fiabe in prosa tra il 1777 ed il 1779 e furono molto ammirate dai principali letterati tedeschi dell’epoca, iniziatori della cultura 7 romantica, Friedrich Schiller tradusse in versi la fiaba della principessa Turandot che Johann Wolfgang Goethe allestì nel Teatro di Corte di Weimar nel 1802 e fu a La donna serpente che si ispirò, a soli vent’anni, nel 1833 Richard Wagner nello scrivere il suo primo dramma per musica Le fate. Il musicista tedesco scriverà il testo del libretto per il suo primo dramma in musica, di già corposa mole, dato che ha una durata di circa quattro ore ma, rispetto al testo originale di Gozzi, nel creare il suo dramma, Wagner muta nome ai protagonisti della storia. Ada è la fata che vuol diventare mortale per amore del principe Arindal, a cui si è mostrata nelle sembianze di una cerva, come avviene nella fiaba di Gozzi. L’ambientazione non è esotica ma è in un fiabesco regno tedesco. Inoltre in Wagner scompaiono le quattro maschere, messe in scena dal drammaturgo veneziano, al loro posto però ci sono altri personaggi fedeli al re che, come nel dramma di Gozzi, si tramutano, per convincerlo a ritornare nel suo regno, nel vecchio sacerdote della terra di origine di Arindal e nello spirito del suo defunto padre, riprendendo per magia di Ada e per il disappunto del principe il loro aspetto reale. Rimane però la storia, che in Gozzi Pantalone narra a Farruscad, in dialetto veneziano, per convincerlo che Cherestani è una terribile maga: è la storia della strega Dilnovaz, che aveva più di trecento anni e che grazie ad un anello incantato aveva assunto le sembianze di una giovane regina ventenne per prendere il posto di essa accanto al sovrano suo sposo, quando durante un litigio, dovuto ad un sospetto tradimento, tra il re e la falsa regina, questi le recide il dito mignolo, dove essa porta l’anello fatato, Dilnovaz riprende le sembianze di vecchia strega, ed il re, accortosi del terribile errore commesso, deve ritrovare la vera giovane regina, diventata mendicante dopo la sua cacciata dalla reggia. 8 Anche nel testo di Wagner Arindal cerca di scoprire chi sia Ada in realtà e la perde, così come deve intervenire a difesa del suo regno, preso d’assedio dopo la morte del padre, la cui difesa è in mano della sorella Lora. Il re delle fate, ruolo pensato per voce di basso e nella prima esecuzione postuma del dramma musicale avvenuta a Monaco di Baviera il 29 giugno 1888 affidata ad una donna con voce di contralto, impone ad Ada se vuole diventare mortale come il suo sposo di non farsi maledire da questi, nonostante all’apparenza uccida i figli e si dimostri nemica del regno del principe, se lo sposo la maledirà si trasformerà in pietra, non in serpente come nel testo originale, così accadrà ma grazie all'aiuto di un mago e come novello Orfeo, Arindal scenderà nel regno dei morti e con la potenza della musica prodotta dal suono della cetra libererà Ada dall'incantesimo e diventerà, come lei, immortale regnando insieme alla sposa nel mondo delle fate. Ripudiata dall’autore che in vita diresse in prima esecuzione solo l'ouverture del dramma a Magdeburgo, il 10 gennaio 1835, il dramma giunse sulle scene italiane centodieci anni dopo la prima esecuzione tedesca al Teatro Municipale di Cagliari dove fu allestito il 12 gennaio 1998. Prima ancora che la fiaba di Gozzi interessasse il giovane genio di Wagner, il dramma del conte veneziano continuava ad avere grande successo a Torino, grazie alla compagnia di Luigi Perelli, che rappresentò nel 1786 La donna serpente al Teatro d’Angennes e fece tre riprese dello stesso spettacolo al Teatro Carignano tra il 1788 ed il 1794. Critico del lavoro di Gozzi e contemporaneo dell’autore fu il letterato torinese Giuseppe Baretti, interessato alle diatribe drammaturgiche tra Gozzi e Goldoni e sarà pure un torinese a riportare sulla scena musicale il dramma del conte veneziano con il titolo originale con cui la fiaba nacque, nel 1932, anno in cui a Stoccarda andava in scena una ripresa de Le fate wagneriane: Alfredo Casella. 9 L’idea originale del compositore era stata quella di scrivere un balletto, avente come soggetto la favola gozziana, sulla base di tale idea e appassionato cultore di arte nonché raffinato collezionista, aveva richiesto al pittore russo Michail Larionov un bozzetto scenico sul tema della donna tramutata in serpente basandosi sul fatto che l’artista aveva già ideato, intorno al 1915, dei costumi sul tema del serpente, quando si era occupato dell’allestimento del balletto Les Contes Russes, una serie di quadri di folklore russo, il quale fu allestito sia a Roma che a Parigi tra il 1916 ed il 1917. Non è da dimenticare a tale proposito che La donna serpente di Gozzi ha affascinato la drammaturgia sovietica del primo Novecento ed anche il regista Sergej Ejzenstejn, tra l’autunno del 1918 ed il gennaio del 1919, lavorò per creare i bozzetti delle scene, dei costumi e del trucco per tre fiabe di Carlo Gozzi, una di queste era La donna serpente. Busoni spronò il collega a lasciare stare il balletto ed a scrivere uno spettacolo per il teatro, Casella si lasciò convincere e nacque La donna serpente, della quale librettista fu il letterato toscano Cesare Lodovici, un appassionato di teatro, il quale in quegli anni stava traducendo in italiano tutto il teatro di Shakespeare, infatti in questa storia, la protagonista muta nome ed assume quello di una delle eroine del drammaturgo inglese, Miranda. Il compositore ci mise circa tre anni ad ultimare il lavoro che, iniziato il 16 ottobre 1928 fu terminato il 22 ottobre 1931 e la prima esecuzione assoluta si ebbe a Roma, al Teatro Reale dell’Opera, il 17 marzo 1932. Casella fa iniziare la sua rielaborazione della fiaba del conte veneziano creando un prologo, ambientato nei giardini delle fate, qui il re Demogorgon narra alle fate il desiderio espresso da Miranda di lasciare il mondo magico per diventare sposa del mortale re Altidor, il quale è protetto dal 10 mago Geonca che vuole aiutare il suo sovrano nel raggiungimento della felicità sentimentale. Demogorgon però non si sente di rinunciare da subito al suo potere su Miranda ne di concederle la libertà di scelta sul suo futuro, le impone quindi di vivere per nove anni accanto al suo consorte scaduti i quali la fata dovrà compiere nei confronti di Altidor azioni atroci che la rendano odiosa ai suoi occhi e, solo se, in seguito a queste orribili circostanze, il principe non la maledirà, Miranda potrà considerarsi a tutti gli effetti sposa di un mortale ma se Altidor la ripudierà maledicendola Miranda, a seguito dell’incantesimo lanciato dal re delle fate, si sarebbe tramutata in serpente e tale sarebbe rimasta per duecento anni, come punizione per la disubbidienza verso il mondo fatato, per poi tornare a confluire in esso. Le fate si augurano che tale infausto presagio s’avveri per riavere Miranda presso di loro, invece la profezia non spaventa la fata che va nel mondo dei mortali presso Altidor. Il primo atto è ambientato in un orrido deserto, Casella reintroduce nella sua storia le maschere, eliminate da Wagner, mettendo però ai personaggi nomi esotici, dato che la storia è ambientata nel Caucaso, per cui Truffaldino diventa Alditruf, Brighella è Albrigor, Pantalone diventa Pantul e Tartaglia è Tartagil. In questo atto le maschere tra loro parlano di come Altidor abbia conosciuto e si sia innamorato di Miranda vedendola, durante una partita di caccia, nelle sembianze di una cerva e di come da allora siano passati già nove anni e della sparizione di Miranda con i figli, il castello ed il giardino facendo finire Altidor ed i suoi amici nel roccioso deserto. Il visir Togrul arriva nel deserto per richiamare Altidor al dovere verso il regno di Teflis, che versa in stato di assedio, dal cielo volando su libellule azzurre per una magia di Geonca e questa è un’invenzione della drammaturgia caselliana, infatti, nel testo di Gozzi, il ministro giunge nel deserto dove si trova il principe sempre aiutato dal mago 11 ma passando da un buco ubicato sul monte Olimpo, solo che durante tale viaggio non avrebbe trovato ne cibo ne bevanda e quindi doveva posizionarsi sullo stomaco un cerotto che dava sazietà e teneva lontana la sete per due mesi, il tempo necessario a percorrere i quarantamilionisettemiladuecentoquattro scalini per giungere nel deserto e qui Gozzi aveva posto in bocca ai suoi personaggi l’utilità terapeutica di tale cerotto che avrebbe potuto tenere lontano il senso della fame per tanti indigenti ma anche per tanti artisti che, in precarie condizioni economiche, avevano difficoltà a reperire il denaro per pagarsi il desinare. Nel dramma, in pieno deserto, compare anche, spinta da mani invisibili, una tavola imbandita, perché Altidor abbia nutrimento e sia più forte nell'affrontare le prove a cui sarà sottoposto, la mensa appare e scompare, è imbandita solo per sfamare il principe e non permette alle maschere di poterne favorire, perché prima che le mani di queste si posino su di essa svanisce. Come nel dramma di Gozzi, ed anche ne Le fate di Wagner Pantul-Pantalone compare nelle sembianze del gran sacerdote Checsaia per convincere Altidor che Miranda è una maga incantatrice e Togrul compare quale spettro del fantasma del re padre di Altidor e lo invita al dovere di difesa del regno di Teflis lasciato nelle mani della sorella Armilla, nel dramma caselliano c'è anche Canzade la quale però è un’amazzone ancella della sorella del protagonista e non sorella di Altidor ella stessa come nel dramma di Gozzi. In questo momento dell’opera a sostenere i ruoli dei personaggi travestiti non saranno gli interpreti cantanti ma due mimi, i veri Pantul e Togrul canteranno le parti inscenate dai mimi sul palco con voci gravi e maestose restando dietro le quinte ed utilizzando dei megafoni. Riprendendo le due visioni il loro normale aspetto, per intervento di Miranda, Altidor non è convinto a lasciare il deserto senza rivedere l'amata, la quale compare e gli dice di essere forte per non maledirla nelle prove che gli dovrà 12 fare subire il giorno seguente e che la renderanno odiosa ai suoi occhi. L’atto secondo, ambientato nella prima parte nel deserto vede Miranda gettare i figli nella voragine di fuoco senza essere maledetta da Altidor, che resta impietrito insieme ai suoi compagni mentre si slancia per salvare la vita ai figli. Dopo il trauma dell’uccisione presunta dei due gemelli Altidor ed i suoi fidi tornano alla reggia di Teflis dove la sorella ed i guerrieri combattono contro i tartari il cui capo, il gigante Morgone, vuole in sposa Armilla, la quale è promessa sposa al ministro Togrul. La città è stretta d’assedio e gli abitanti senza più provviste stanno morendo di fame, il ministro Badur, mandato a cercare vettovaglia, torna a dire che tutto ciò che aveva recuperato è stato distrutto dall'esercito di Miranda, a questo punto, sicuro della perdita del regno dopo quella dei figli, Altidor maledice la sposa, la quale compare dice allo sposo che a seguito della maledizione la perderà perché diventerà serpente secondo l’incantesimo e conferma di aver distrutto le vettovaglie perché Badur era un traditore ed esse erano avvelenate per danneggiare in modo irreparabile i difensori della città e, mentre il ministro traditore si da la morte nel dramma del conte veneziano, qui è il popolo che ne invoca la messa a morte e quindi viene incatenato e trascinato al supplizio dalle guardie poi Miranda rende i figli allo sposo prima di diventare serpente. L’atto terzo si apre con il lamento di Miranda divenuta serpente e con la vittoria di Altidor sul gigante Morgone, nel dramma di Casella non c'è l’episodio, simile all’Esodo biblico, dell’acqua del fiume Cur che sollevandosi annega i nemici, la libertà a Teflis è data dal valor militare. Il re vincitore viene invitato a liberare Miranda dal suo sepolcro sulla rupe del Caucaso dalla fata Farzana, mandata da Demogorgon al seguito di Miranda e durante le prove che Altidor dovrà sostenere si fronteggiano, restando al di fuori della scena, e questa è una novità del dramma 13 caselliano, Demogorgon, che vorrebbe la sconfitta di Altidor e Geonca, che lo aiuta a vincere e a liberare la sposa dall’incantesimo del re delle fate. I due personaggi cantano fuori scena usando entrambi un forte altoparlante elettrodinamico, tali altoparlanti ad uso dei due cantanti devono essere collocati alle due parti opposte del boccascena ed i due personaggi dovevano trovarsi il più distante possibile dietro la scena, perché la loro voce non doveva giungere in sala in modo diretto ma solo attraverso l’amplificazione dovuta all’altoparlante che doveva essere assai potente. I mostri contro cui Altidor dovrà combattere sono disposti nei tre fornici sotto il sepolcro e sono il gigante Giaronimo, il Liocorno ed il Toro Ignivomo, quindi con alcune modifiche rispetto al dramma originale, dove il liocorno non è contemplato tra le prove che il re deve affrontare. Al suono del gong i mostri devono comparire uno dopo l’altro sulla soglia dei loro antri. La lotta tra il re ed i mostri però non deve essere visibile al pubblico, infatti Casella ed il suo librettista pongono la seguente nota “la lotta tra il re ed i mostri si svolge in una densa nebbia fantastica a colori cangianti. La suggestione della battaglia è affidata più che alla vista al commento corale ed orchestrale”, l’età delle fantasmagorie del teatro barocco e di effetti scenici tali da stupire il pubblico, di cui abbiamo parlato a proposito del dramma di Gozzi, non erano più così fondamentali negli anni Trenta del Novecento, dove con più potenti mezzi di luce sul palcoscenico si potevano creare le scene fantastiche in altri modi che lasciavano più all'immaginazione dello spettatore che non al suo occhio capire ciò che avveniva in battaglia, si sa però dalla voce del coro che, come nell’originale di Gozzi, per annientare il toro che emana fuoco bisogna recidergli il corno di destra e la prova del toro è la seconda che deve affrontare, prima deve battere il liocorno e per ultimo il gigante, sgominati i mostri il sepolcro di Miranda è 14 circondato dalle fiamme ma nel momento in cui il sovrano si getta nelle fiamme e tocca il sepolcro questo crolla e si vede fuggire da esso un serpente che viene incenerito dalle fiamme mentre riappare Miranda quale splendida regina e il deserto si trasforma nel suo regno fatato dove governerà con il suo sposo a cui finalmente e stabilmente è ricongiunta. Tra la versione del dramma gozziano ideata da Wagner e quella creata da Casella ci sono alcune identità ed alcune differenze sostanziali. Entrambi i musicisti fanno iniziare la storia nel giardino delle fate, in cui le fate ancelle di Ada/Miranda narrano il desiderio della loro signora di diventare mortale per essere per sempre unita allo sposo e le prove che dovrà sopportare a tale scopo. Il re delle fate nel dramma di Casella compare da subito mentre in Wagner compare solo alla fine della storia quando riconferma ad Ada la sua immortalità rendendo immortale anche Arindal per l’amore dimostrato nel salvare la sposa dal magico incantesimo. I figli vengono gettati da Ada nella fornace ardente così come nella storia originale ma a differenza di ciò che avviene nel dramma di Gozzi ed in quello di Casella le fiamme non circondano una rupe nel deserto incantato bensì si vengono a formare in una apertura che per magia di Ada si crea nel pavimento dell'atrio de palazzo reale di Arindal dove questi è tornato per difendere il suo regno. Esiste anche in Wagner il ministro traditore solo che a differenza dell'originale e della versione caselliana in Wagner questi deve condurre in aiuto al regno assediato dei guerrieri dai territori limitrofi che Ada ha sconfitto con il suo esercito perché erano guerrieri nemici che avrebbero affrettato la sconfitta della città. Ada maledetta dallo sposo dovrà essere tramutata in pietra per cento anni pena dimezzata rispetto al tempo di metamorfosi in serpente. 15 Arindal impazzisce e all’inizio del terzo atto canta un’aria di follia non presente in Casella, in essa ricorda la caccia al cervo che poi gli si era rivelato nelle sembianze di Ada. Il mago Groma, versione tedesca dell'originale Geonca, dona ad Arindal uno scudo, una spada ed una lira che lo aiuteranno a sciogliere Ada dall'incantesimo. Il finale della fiaba wagneriana è completamente diverso dall’originale e dalla fiaba del compositore torinese infatti condotto dalle fate ancelle di Ada, che vorrebbero non superasse le prove, il principe va in una caverna del regno sotterraneo dove incontra gli spiriti della terra che indossano orribili maschere e che non gli vogliono cedere il passo Arindal per vincerli secondo il consiglio del mago deve ripararsi con lo scudo generando così la sparizione di questi. Riesce quindi ad entrare nel regno sotterraneo ma si trova di fronte gli uomini di bronzo allineati serratamente che gli bloccano il passo su di loro lo scudo non ha magico potere agisce invece la spada che durante il combattimento fa sparire i massicci guardiani. Arindal avanza ancora in una grotta irradiata da una magica luce in cui si trova una pietra dalle dimensioni umane per liberare Ada deve incantare la pietra e se non riuscirà nell’intento anche egli diventerà pietra per l’eternità, con il suono della lira ed il canto del principe però la pietra a poco a poco torna ad assumere le sembianze di Ada. La prima esecuzione assoluta al Teatro Reale dell’Opera di Roma il 17 marzo 1932 fu diretta dall’autore stesso, l’allestimento scenico era curato da Giovacchino Forzano e le scene erano state ideate dal pittore Cipriano Efisio Oppo, le macchine di scena erano curate da Pericle Ansaldo che doveva gestire i molti mutamenti di scena che lo spettacolo richiedeva nel rapido susseguirsi dei personaggi della storia. Per lo spettacolo Cipriano Oppo, artista allestitore di spettacoli wagneriani, aveva dipinto sette quadri rispondenti 16 alla storia narrata dal Gozzi ed al gusto artistico e musicale di Casella, al pubblico e alla critica erano piaciute molto le scene del prologo ambientato nel giardino delle fate come anche la scena del deserto a cui subentra la reggia di Miranda nel finale del primo atto, mentre il telone corrispondente all’immagine della donna serpente aveva ricevuto un giudizio negativo. Le scene di Oppo erano state praticamente realizzate dallo scenografo Polidori e per la loro creazione l’artista ha usato tre sistemi di tecnica scenografica a partire dalla pittura piatta o a chiaro scuro su cui sono applicati dei giochi di luce e colore, la tecnica della pittura definita in se e quella della plastica monocroma su cui agiscono giochi di luce, l’artista ha combinato le tre tecniche scenografiche in modo da ricreare il clima più adatto allo svolgimento musicale dell’opera, cercando ispirazione nell’arte di El Greco, del resto Gozzi stesso era affascinato dalla Spagna e dalla drammaturgia di quel paese nell’epoca in cui il pittore di Toledo era operativo. Oppo ha creato anche costumi di grande bellezza ed impatto visivo come quelli in argento per la scena della battaglia. Visto che le scene erano correlate agli effetti di luce la critica aveva assai apprezzato sia i giochi di luce che i macchinismi creati dall'Ansaldo per lo spettacolo. La donna serpente, dopo la prima esecuzione romana, forse perché non capita appieno, non ebbe il successo sperato, fu ripresa due anni dopo a Mannheim al Teatro Nazionale il 5 marzo 1934 su scene create da Eduard Loeffler ed ebbe un successo maggiore rispetto al debutto in Italia nonostante ciò non iniziò a circolare se anche il compositore ne aveva ricavato due Suite per sola orchestra di frammenti sinfonici del dramma. La prima comprendente Il sogno di re Altidor, L’Interludio e La Marcia Guerresca. 17 La seconda La Sinfonia dell’atto primo, Il Preludio, Battaglia e Finale dell’atto terzo. Si dovrà attendere il 31 ottobre 1942 per rivedere l’opera sulla scena a Milano al Teatro alla Scala nell’ambito di un festival dedicato alle produzioni operistiche contemporanee che, nonostante gli anni di guerra, il ministero della cultura del regime allestiva in autunno nei massimi teatri di Milano e di Roma e che attiravano pubblico nonostante gli eventi bellici. A creare le scene per il nuovo allestimento fu chiamato un pittore assai caro a Casella, di cui il musicista aveva collezionato alcune celebri tele e da cui aveva fatto ritrarre se stesso e sua figlia Fulvia: Felice Casorati. L’artista piemontese per la realizzazione pratica dei bozzetti si fa aiutare dagli scenografi Giovanni Grandi e Mario Mantovani. Le scene create da Casorati propongono un paesaggio ed una architettura medioevale che rimanda all’ambiente paesaggistico di Pavarolo sui colli tra il torinese e l’astigiano dove l’artista aveva residenza di campagna e studio e dove realizzò alcuni celebri ritratti il cui sfondo è la stessa campagna che chiude le scene dell’opera caselliana, così come sarà sempre la campagna di questi colli sfondo all’ambientazione de Le Baccanti di Giorgio Federico Ghedini nuovamente ricreata da Casorati per il Teatro alla Scala. Oltre ad avere in comune la paternità dell’allestimento scenico in ambiente scaligero l’opera di Ghedini ha un altro riferimento, di natura musicale, con la fiaba caselliana. Il compositore cuneese nella sua opera ispirata alla mitologia della Grecia classica nel quadro secondo dell’atto secondo nel momento in cui Dioniso guida Penteo tra le nebbie verso la valle alpestre in cui vivono le Menadi fa cantare i due interpreti in lontananza richiedendo che le voci dei due cantanti venissero alterate con degli amplificatori posti sia sul palcoscenico che nella sala del 18 teatro e richiede pure più avanti nella stessa scena che nel momento in cui la voce di Dioniso deve essere rimbombante nel vento tale sensazione acustica sia prodotta agendo con amplificatori sulla voce del cantante. Un parallelo quindi con ciò che aveva fatto Casella per gestire il dialogo a distanza tra Demogorgon e Geonca. La cronaca dell’opera di Ghedini andata in scena al Teatro alla Scala il 21 febbraio 1948 ricorda che l’amplificazione delle voci era riuscita con bell’effetto. L’ambientazione medioevale del dramma di Casella trova spunto nelle architetture dei castelli medioevali che ornano i colli piemontesi a partire da quello che domina Pavarolo e il territorio circonvicino. La donna serpente passò poi nel dimenticatoio fino a che il 18 aprile 1979 il Teatro Duse di Genova allestì la versione originale del dramma di Carlo Gozzi con le scene create da Emanuele Luzzati. Per preparare l’evento si organizzarono tutta una serie di conferenze sullo spettacolo trattando anche, in un incontro specifico l’importanza di Gozzi nel teatro musicale e la trasposizione in musica del dramma che ne avevano fatto prima Wagner e poi Casella. Lo spettacolo genovese fu ripreso al Teatro Carignano di Torino il 15 aprile 1980. A distanza ravvicinata dall'edizione per il teatro di prosa La donna serpente di Casella, sotto la direzione di Gianandrea Gavazzeni fu eseguita al Teatro Massimo di Palermo nell’aprile del 1982. Poi di nuovo silenzio rotto solo dalle riprese dell’edizione genovese del dramma di Gozzi del 1979 a Genova nella stagione 1994/95, a Verona nel 2006 e nuovamente a Genova nell’edizione del Teatro della Tosse nel 2012. Finalmente nel luglio 2014, per inaugurare il quarantesimo Festival della Valle d’Itria, si è scelto di allestire nel cortile del Palazzo Ducale di Martinafranca La donna serpente di Alfredo Casella diretta da Fabio Luisi. 19 Lo spettacolo ha avuto successo e si ricaverà un'incisione discografica dell’evento che si spera segni un ritorno in repertorio della finora rarità melodrammatica di Alfredo Casella e visto che le scelte coraggiose premiano e nel 1786, anno della sua inaugurazione, il Teatro d’Angennes di Torino ospitò il dramma di Gozzi più volte allestito anche al Teatro Carignano, come sopra detto, si spera che il coraggio giunga anche nel capoluogo sabaudo, per onorare in modo degno l’illustre concittadino musicista nato in via Cavour 41 il 25 luglio 1883, allestendo per la prima volta in Torino il dramma complesso e affascinante della fata serpente il prima possibile. Torino, agosto 2014 20