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Parola detta e sasso tirato non tornano indietro

The aim of the present paper is to trace the history of the proverb «a word spoken is an arrow let fly» (in Italian the comparison is made with the stone), trying to provide an illustrative example related to the survival of the gnomic-proverbial greek-latin tradition in modern languages, through its passage by medieval and renaissance Latinism. In Italy the equivalence of a word spoken is an arrow let fly is documented, almost with the same wording, from the fifth century BC, in a passage written by the tragic poet Euripides (1044, Kannicht), and in other Greek texts. You can also find the above mentioned proverb in ancient Latin literature; in particular, there are two passages written by Orazio that contributed, in a particular way, to the circulation of the proverbial idea analysed in medieval Latin and in modern languages. Since the 13th century, our proverbial idea is frequently documented in the vernacular language and literature, and the collections of proverbs and judgments of the Renaissance and the following ones also recall its different variants in an abundant way.

Parola deta e sasso tirato non tornano indietro33 Fernando García Romero Universidad Complutense de Madrid R iassunto: Tracciando la storia del proverbio «parola deta e sasso tirato non tornano indietro», cerchiamo di ofrire un esempio illustrativo della sopravvivenza della tradizione gnomico-proverbiale greco-latina nelle lingue moderne, tramite il suo passaggio atraverso la latinità medievale e rinascimentale. L’equivalenza proverbiale della parola deta con la pietra lanciata che non ha ritorno, è documentata, quasi con la stessa formulazione, dal secolo V a.C., in un frammento del poeta tragico Euripide (fr. 1044, Kannicht), ed in altri testi greci. Poi si ritrova anche nella leteratura latina antica, e due passi di Orazio hanno contribuito particolarmente alla vasta difusione in latino medievale e nelle lingue moderne dell’idea proverbiale che analizziamo. Fin dal XIII secolo, la nostra idea proverbiale è frequentemente documentata nelle leterature delle lingue vernacolari, e le raccolte di proverbi e sentenze del Rinascimento e quelle posteriori raccolgono anche in modo profuso le sue diferenti varianti. with the stone), trying to provide an illustrative example related to the survival of the gnomic-proverbial greek-latin tradition in modern languages, through its passage by medieval and renaissance Latinism. In Italy the equivalence of a word spoken is an arrow let ly is documented, almost with the same wording, from the ifth century BC, in a passage writen by the tragic poet Euripides (1044, Kannicht), and in other Greek texts. You can also ind the above mentioned proverb in ancient Latin literature; in particular, there are two passages written by Orazio that contributed, in a particular way, to the circulation of the proverbial idea analysed in medieval Latin and in modern languages. Since the 13th century, our proverbial idea is frequently documented in the vernacular language and literature, and the collections of proverbs and judgments of the Renaissance and the following ones also recall its diferent variants in an abundant way. Parole chiave: Proverbio, greco, latino, parola, sasso. Nell’introduzione al suo magistrale Dizionario delle sentenze latine e greche, Renzo Tosi (2010) aferma: Abstract: The aim of the present paper is to trace the history of the proverb «a word spoken is an arrow let ly» (in Italian the comparison is made 33 Keywords: Proverb, Greek, Latin, Word, Arrow. Un altro pregiudizio che va preliminarmente sfatato è quello secondo cui determinati Il lavoro si iscrive nel Progetto di Ricerca “Las paremias grecolatinas y su continuidad en las lenguas europeas”, FFI2015-63738-P del Ministero di Economia e Competitività del Governo spagnolo. L’articolo è stato tradotto in italiano da Luisa A. Messina Fajardo, che ringrazio cordialmente per la sua gentilezza. 92 proverbi sarebbero carateristici di una singola cultura popolare nei confronti delle altre: per quanto riguarda l’Europa si deve notare che le stesse sentenze ritornano in tute le lingue e nei vari dialeti, spesso, addiritura, con variazioni solo minime. La ragione non va individuata in una sorta di poligenesi […], ma nella sostanziale continuità della tradizione culturale occidentale, dal mondo classico a quello medievale ino alle leterature moderne […]. Per questo motivo, lo studio delle sentenze greche e latine non è un’operazione meramente erudita e chiusa in se stessa, né quella di un antiquario curioso o di un classicista convinto della superiorità dell’antico sul moderno: si trata dell’abbozzo di una storia afascinante e del tentativo di reperire le origini o gli “antenati” di espressioni, massime, modi di dire tutora vivi […]. La nostra tradizione gnomico-proverbiale contemporanea deriva quindi, atraverso un doppio canale, la cultura mediolatina e le raccolte di adagia umanistiche, da quella antica. Il nostro scopo è quello di studiare un esempio illustrativo della sopravvivenza della tradizione gnomico-proverbiale greco-latina nelle lingue moderne34, tramite il suo passaggio atraverso la latinità medievale e rinascimentale. Le lingue europee atestano, con diverse varianti, un saggio proverbio di uso abbastanza frequente, che ci raccomanda di riletere con ogni prudenza prima di dire qualcosa di cui potremmo pentirci in un secondo momento, quando non ci sarà più rimedio35. In spagnolo diciamo palabra y piedra suelta no tienen vuelta, palabra de boca, piedra de honda, oppure senza 34 paragonare le parole alle pietre, palabra echada, mal puede ser retornada o la palabra que sale de la boca, nunca torna. Per gli italiani, parola deta e sasso tirato non fu più suo» (o «non tornano indietro»), e lo stesso assicurano i greci di oggi (λόγο και πέτραν έριξες δε θα τα ξαναπιάσεις). I francesi, al contrario, non fanno il paragone tra le parole e le pietre quando afermano parole lâchée ne revient jamais, neppure i tedeschi lo fanno (wenn das Wort heraus ist, ist es eines andern). Gli inglesi, dal canto loro, preferiscono paragonare le parole alle frecce scoccate che non tornano indietro (a word spoken is an arrow let ly); ancora i tedeschi fanno un altro confronto un po’ meno elegante (ein Wort und einen Furz kann niemand entgehen). Tante altre lingue documentano espressioni simili: il gallego palabra e pedra solta non teñen volta; il portoghese palavra e pedra solta, atrás não volta; il catalano paraula i pedra solta no tenen volta, ecc. L’equivalenza proverbiale della parola deta con la pietra lanciata che non ha ritorno, è documentata, quasi con la stessa formulazione, nientemeno che dal secolo V a.C., in un frammento del poeta tragico Euripide (fr.1044 Kannicht, tramandato dall’erudito dei secoli V-VI d.C. Johannes Stobaeus nella sua Antologia 3.36.14a): οὔτ᾿ ἐκ χερὸς μεθέντα καρτερὸν λίθον / οἷόν τ᾿ ἐπισχεῖν, οὔτ᾿ ἀπὸ γλώσσης λόγον («non è possibile fermare né la pietra dura che si lancia con la mano, né la parola che si lancia con la lingua»). Nella tradizione leteraria greca e latina posteriore, l’idea riappare con una certa frequenza, ma curiosamente ino a molti secoli dopo non si ritrova testimonianza di questa formulazione più antica, nella quale la parola deta è come la pietra che si tira, tanto abituale nella tradizione proverbiale delle lingue moderne. Plutarco (I-II d.C.) insiste su quest’idea in tre occasioni. In una di esse, (Sulla Altri esempi in García Romero (2009) e soprattutto Tosi (2010). 35 Tosi (2010, no 2154); Sevilla Mũoz y Zurdo (s.v.), con abbondanti riferimenti; Arthaber (1929, no 994); Sevilla Mũoz y Cantera Ortiz de Urbina (2001, no 779 e 529); Strauss (1994, no 536); Crida y Zoras (2005, no 67); Conca y Guia (2000); Etxabe (2011: 330). Phrasis Setembre 2017 93 loquacità 10, 507a), utilizza espressioni che ricordano i versi di Euripide per afermare che quello che si è deto è tanto irrecuperabile come l’uccello che scappa dalle mani (anticipando il proverbio russo Слово не воробей: вылетит — не поймаешь): Giacché “le parole” sono “alate”, dice il poeta. In efeti, non è facile né riprendere qualcosa che vola quando è scappata dalle mani, né acchiappare e impadronirsi di una parola che è uscita dalla bocca, in quanto “le sue ali volano veloci” [Archiloco, fr.181.11 West], difondendosi da persona a persona36. Negli altri due passaggi Plutarco aferma semplicemente che ciò che si è deto è impossibile che sia come ciò che non si è deto, senza che l’afermazione venga espressa con un’immagine illustrativa: Perché nessuno si è pentito di essere rimasto in silenzio, mentre moltissimi di aver parlato. È facile dire ciò che si è taciuto, mentre ciò che si è deto è impossibile ritirarlo37 (Sull’educazione dei igli 14, 10f). Perché nessuna parola deta è stata utile come molte che si sono taciute, in quanto è sempre possibile dire ciò che si è taciuto, e indubbiamente non lo è tacere ciò che si è deto, in quanto si è già difuso e va da una parte all’altra38 (Sulla loquacità 8, 505f). Questa semplice formula è la più comune nei testi antichi greci e latini. Così appare nella raccolta di sentenze atribuite al poeta comico dei secoli IVIII a.C., Menandro (sentenza 692, Pernigoti): ῥίψας λόγον τις οὐκ ἀναιρεῖται πάλιν. «Quando si lancia una parola, non si riprende di nuovo» (Liapís, 2002: 443). E il fato che una versione molto simile si trovi anche in un paio di testi molto famosi del poeta latino Orazio ha contribuito in modo decisivo alla vasta difusione in latino medievale e nelle lingue moderne dell’idea proverbiale che stiamo analizzando. Infati, in Ars Poetica 385-390, il poeta di Venusia aferma: Tu non dirai né farai niente contro la volontà di Minerva: questo è il criterio che devi seguire, questa la tua idea. Nonostante ciò, se in qualche occasione scrivi qualcosa, fai in modo che arrivi alle orecchie del critico Mecio, e a quelle di tuo padre e alle nostre, e dallo a conoscere nove anni dopo conservando le pergamene in casa. Ti sarà possibile cancellare ciò che non hai dato alla luce; «la parola che si lascia scappare non sa ritornare»39. Lo stesso Orazio nelle Epistole 1.18.71 raccomanda di fuggire dai ciarlatani, che non riescono a mantenere i segreti, poiché et semel emissum volat irrepara- 36 ‘ἔπεα’ γὰρ ‘πτερόεντα’ φησὶν ὁ ποιητής· οὔτε γὰρ πτηνὸν ἐκ τῶν χειρῶν ἀφέντα ῥᾴδιόν ἐστιν αὖθις κατασχεῖν, οὔτε λόγον ἐκ τοῦ στόματος προέμενον συλλαβεῖν καὶ κρατῆσαι δυνατόν, ἀλλὰ φέρεται ‘λαιψηρὰ κυκλώσας πτερά’, δι᾽ ἄλλων ἐπ᾿ ἄλλους σκιδνάμενος. Per quanto riguarda la relazione tra l’idea proverbiale oggetto del nostro studio e l’espressione “alate parole” di Omero, si veda Gassino (2012). 37 καὶ γὰρ αὖ σιωπήσας μὲν οὐδεὶς μετενόησε, λαλήσαντες δὲ παμπληθεῖς. καὶ τὸ μὲν σιγηθὲν ἐξειπεῖν ῥᾴδιον, τὸ δὲ ῥηθὲν ἀναλαβεῖν ἀδύνατον. 38 οὐδεὶς γὰρ οὕτω λόγος ὠφέλησε ῥηθεὶς ὡς πολλοὶ σιωπηθέντες· ἔστι γὰρ εἰπεῖν ποτε τὸ σιγηθέν, οὐ μὴν σιωπῆσαί γε τὸ λεχθέν, ἀλλ᾽ ἐκκέχυται καὶ διαπεφοίτηκεν. 39 tu nihil inuita dices faciesue Minerva: / id tibi iudicium est, ea mens. Si quid tamen olim / scripseris, in Maeci descendat iudicis auris / et patris et nostras nonumque prematur in annum / membranis intus positis. Delere licebit, / quod non edideris; nescit vox missa reverti. Si veda Jiménez et aliae (2012: 422-423; 343); Cantera Ortiz de Urbina (2005, no 1866 e 885). 94 bile verbum («la parola, dopo essere sfuggita, vola via in modo irreparabile»); e nelle Epistole 1.20.6 assicura che l’opera leteraria deve essere pulita e ripulita, e mete in guardia il suo libro che non potrà tornare indietro dopo essere stato pubblicato (non erit emisso reditus tibi). Le sentenze di Orazio hanno avuto una vasta risonanza sia nella leteratura cristiana sia nei gnomologi della Tarda Antichità e del Medioevo, con diverse varianti40. Così, nescit vox missa reverti riappare, nei secoli IV-V, nelle Epistole di San Girolamo 48.2 (in hac quoque prouincia iam libri fuerant diuulgati et, ut ipse legisti, “nescit uox missa reuerti”) e di Sant’Agostino 143.4 (non mihi Tulliana illa blanditur, qua dictum est “nullum umquam uerbum, quod reuocare vellet, emisit”, sed angit me plane Horatiana sententia “nescit uox missa reuerti”»), e nel commento di Grilio al De inventione di Cicerone (1.1.50 Jakobi)41. A sua volta, semel emissum volat irreparabile verbum è raccolta da molti autori dei secoli XI-XII, di cui Tosi ofre una catalogazione e una citazione esata: in Italia Pier Damiani e Innocenzo III; in Francia Ildeberto di Lavardin e Alano da Lilla; in Inghilterra Gilberto di Hoyland; in Germania Gerhoch di Reichensberg; in Spagna Martín di León. A questi si aggiunge, già nel 40 XIII secolo, Albertano da Brescia. Nel suo Sull’arte di parlare e tacere (De arte loquendi et tacendi) leggiamo: verba enim sagitis sunt quasi similia: facile dimituntur, diicile retrahuntur42, quae dici consuevit: «Evolat, emissum semel, irrevocabile verbum»43 («Giacché le parole sono simili alle frecce: si lanciano con facilità, si recuperano con diicoltà, come si suol dire: vola, una volta che si lascia scappare, irrevocabile la parola»); e anche a Roger Bacon, Summulae Dialectices 73b 1. Entrambi gli adagia sono inclusi molto frequentemente, con diverse varianti, nelle raccolte latine medievali di sentenze (Walther no 3627a, 8230, 12136, 16578, 26024, 26025, 27271, 27869, 33622, etc.)44. Tutavia, in nessuno dei molti passaggi citati nel paragrafo precedente si metono a paragone la parola deta e irreversibile e la pietra tirata che non può più essere fermata, come nel frammento di Euripide e in molti dei proverbi delle lingue moderne. Non mancano, però, altri testi che fanno da nesso tra la tradizione antica e quella moderna45. Forse il più signiicativo è il passaggio di una letera di Sulpicio Severo (circa 360-425), atribuita anche a San Girolamo46, rivolta Ad Claudiam sororem suam («A sua sorella Claudia») sul tema De virginitate (Epistole Si veda Tosi, loc. cit. Anche Sutphen (1901: 386). 41 Si veda anche Sulpicio Severo, De vita Beati Martini, Prefazione (raccolto nella serie Patrologia Latina 20, 159B). In epoca contemporanea continua ad essere vivo il vecchio adagio oraziano. Menéndez Pelayo lo cita nella sua Historia de las ideas estéticas en España, I 131 (edizione di Madrid, 1993), per sottolineare la necessità di limare con attenzione gli scritti. E anche durante i nostri tempi più lontani dalla latinità il verso oraziano si usa con una certa frequenza per esprimere quell’idea. Così, il costaricano Rigoberto Guadamuz scrive un articolo intitolato Nescit vox missa reverti per reclamare contro un progetto di legge in una rivista digitale pubblicata a novembre del 2011 (http://www.prensalibre.cr/pl/comentarios/54030-la-ley-publicada-inescit-vox-missa-reverti.html); e “Nescit vox missa reverti: quattro parole sul controllo della scrittura nella modernità spagnola” è il titolo di un articolo di Moreno Gallego (1996), pubblicato nel vol. La investigación y las fuentes documentales de los archivos, Guadalajara, 1996, II:1155-1174. 42 Sembra essere l’eco di Pseudo-Cecilio Balbo (II p.C.), De nugis philosophiae 5.48.5, con verba che sostituisce la parola crimen. 43 Ahern (1976: 31); Martínez Segura (2012: 326). Uguale nel passaggio di Bacon è la variante no 8230 Walther (1963-1967). Cfr. anche Cornejo (1779: 132). 44 Erasmo, oltre a citare il verso oraziano nei suoi Adagia (vid. infra), fa riferimento allo stesso nei suoi Colloquia, nello speciico in quello intitolato Proci et puellae: sed verba simul atque semel evolarint, non revolant. 45 Anche per il proverbio inglese che mette a paragone la parola emessa con la freccia lanciata; cfr., nel secolo V, Valeriano di Cimiez, Omilie 5.3 (Patrologia Latina 52, 707B): verborum vero iactus nec revocari potest, nec prohiberi, multo enim velociores sagittis sunt («in realtà la tendenza a lanciare parole non si può invertire, né impedire, giacché sono molto più veloci delle frecce»). Phrasis Setembre 2017 95 13.14 = Patrologia Latina 20, 240A): lapis emissus est sermo prolatus, quapropter diu antequam proferatur cogitandus est («pietra lanciata è la frase pronunciata, ed è per questo motivo che bisogna pensare a lungo sulle cose prima di dirle»). Per quanto riguarda la tradizione greca, Liapís rinvia alla presenza negli gnomologi medievali della sentenza αἱρετώτερóν ἐστιν λίθον εἰκῆ βάλλειν ἢ λόγον, «è preferibile lanciare una pietra a caso piutosto che una parola» (Gnomologio D-E no 141, Wachsmuth; 96 Matino), la cui versione latina leterale melius est lapidem frustra jactare quam verbum si trova tra le sentenze atribuite al ilosofo pitagorico greco Sesto, molto difuse in ambito cristiano atraverso la traduzione latina di Ruino di Aquileia, del secolo IV d.C. (sentenza 152, Chadwick). La sentenza greca viene citata anche nell’antologia di Stobeo (3.34.11), il quale la attribuisce a Pitagora, e anche nella raccolta Sentenze di saggi (Γνῶμαι Σοφῶν) edita da Boissonade (1832: I 128), il quale rinvia a un passaggio della Letera a Marcella del ilosofo neoplatonico del secolo III d.C. Poririo.14.3: αἱρετωτέρου σοι ὄντος λίθον εἰκῆ βάλλειν ἢ λόγον («essendo preferibile per te lanciare a caso una pietra piutosto che una parola»). Le raccolte di proverbi e sentenze del Rinascimento e quelle posteriori raccolgono anche in modo profuso le diferenti varianti della nostra idea proverbiale. Naturalmente, non mancano negli Adagia di Erasmo (3.1.18), e nemmeno nelle sue “iglie” spagnole. Così, nel prologo della sua versione degli apoftegmi di Erasmo, pubblicata ad Anversa nel 1549, Juan de Jarava fa riferimento a la palabra que después que es echada de la boca no puede no ser dicha («la parola che esce dalla bocca non può non essere deta») (Cantera, 2007: 38). Dal canto suo, Hernán Núñez (5774) raccoglie palabra y piedra suelta no tiene vuelta («parola e pietra lanciata non tornano indietro»)47 e anche (5775) palabra de boca, piedra de honda («parola dalla bocca, pietra dalla ionda»). Quest’ultima variante la si trova anche in Correas (2000: 458)48 insieme a palabra y piedra suelta no tiene vuelta («parola e pietra lanciata non tornano indietro») e palabra echada, mal puede ser retornada («parola lanciata, può tornare indietro male»). Fin dal Medioevo, la nostra idea proverbiale è frequentemente documentata nelle leterature delle lingue vernacolari, sia con la variante che equipara parola e pietra, sia con riferimento alla freccia che non torna indietro, sia senza il termine di paragone. Nella Francia del XIII secolo, nel Roman de la Rose XVI 747, si legge: parole une fois volée, / ne peut plus estre rapellée, e, ancora nel XVII secolo, l’idea riappare nei Caractères di La Bruyère (capitolo De la cour): «une parole échappe, et elle tombe de l’oreille du prince bien avant dans sa mémoire, et quelquefois jusque dans son coeur; il est impossible de la ravoir». Inoltre, diversi autori49 citano, per l’Italia del XVIII secolo, dei versi del libretista operistico Pietro Metastasio (Ipermestra II 1): «voce del sen fuggita / poi richiamar non vale; / non si tratien lo strale / quando dall’arco uscì». Tutavia, il paragone della parola pronunciata con quello della pietra e la freccia che non hanno 46 Si veda Giordanengo (2007: 424), a proposito della citazione del nostro passaggio in un trattato del 1475, dove si attribuisce a Girolamo: «hinc dominus Hieronymus ad Mauricii iliam inquit: «lapis emissus est sermo prolatus, quapropter diu antequam proferatur cogitandus est». Si veda E. Baluze (1761), Miscellanea Novo Ordine Digesta, Lucca, II 6. La lettera si trova anche inclusa nel corpus di scritti di Atanasio d’Alessandria (IV d.C.), Exhortatio ad sponsam Christi (Patrologia Latina 103, 682A). 47 Registrato anche con il no 190 dei Proverbia Hispanica de L. Parent; cfr. Nú̃ez (2008). Il no 212 è «palabra echada mal puede ser retornada» («parola lanciata male può essere restituita»). 48 Correas (1627: 458; numeri: P48, P50 y P52 dell’edizione di Combet). Alla pagina 271 cita anche la variante más hiere mala palabra que espada ailada («ferisce di più una parola cattiva che una spada ailata»), che ha un signiicato simile a sanan cuchilladas y no malas palabras («guariscono le coltellate e non le parole cattive»), raccolto nel repertorio Refranes que dizen las viejas tras el fuego (attribuito al Marqués de Santillana, ma databile alla ine del XV secolo, n° 654 nell’edizione di Bizzarri, Kassel 1995), e documentato in Guzmán de Alfarache di Mateo Alemán (II 292 dalla edizione di J.M. Micó, Madrid, Cátedra, 1994). Si veda Calero (1999: 91) e O’Kane (1959: 178). 96 un ritorno, si trova già nel Duecento italiano50, nei versi 189-196 del poema didatico Deto de lo Savio Salomone. Dotrina dello Schiavo di Schiavo di Bari: Et guarda, quando vieni a favellare, ripensa nel tuo chuor che dèi chontare: che la parola non si può stornare quando è dicta, che vola tosto chome la sagicta et chome pietra, quand’huomo la gicta, e assai iate dà maggior traicta ch’uno serpente. E nei versi 1599-1608 del Tesoreto di Bruneto Latini (poema XVI): Ma a te, bell’amico, primeramente dico che nel tuo parlamento abbi provedimento: non sia troppo parlante, e pensati davante quello che dir vorrai, ché non retorna mai la parola ch’è deta, sì come la saeta che va e non ritorna. Nel XIX secolo, nel suo dramma storico Il conte di Carmagnola (ato II scena III), Alessandro Manzoni fa dire al suo personaggio Fortebraccio: Se così credi, sia pur così: perché a te spiaccia, o a quale altro pur sia, non crederai ch’io voglia una parola ritirar che uscita dalle labbra mi sia. E lo stesso Manzoni nella sua Letera intorno al libro De vulgari eloquentia di Dante Alighieri51, applica il proverbio a Dante52: Allora vedete a che cimento m’avrà messo la poca vostra prudenza, allora sarò costreto a dire che, se Dante non diede al Volgare Illustre il nome di lingua, fu perché, con le qualità che gli attribuisco, e con le condizioni che gl’impone, nessun uomo d’un bon senso ordinario, non che un uomo come lui, avrebbe voluto applicargli un tal nome. Apriti cielo! Pare una bestemmia contro Dante e contro l’Italia. Ma parola deta e sasso tirato non fu più suo. Per quanto riguarda la leteratura spagnola, nelle Partidas di Alfonso X (2.4.1)53 si legge che Todo home, e mayormente el Rey, se debe mucho guardar en su palabra, de manera que sea catada e pensada ante que la diga. Ca después que sale de la boca, non puede home facer que non sea dicha. E nel XIV secolo, i Proverbios morales di Sem Tob de Carrión esprimono lo stesso con- 49 Arthaber (1929, no 994); Tosi (2010, no 2154). Cfr. Pettine (1975, p. 132-133)., Plutarco. La Loquacità (De garrulitate), Salerno, Kibotion: 132-133. 50 Tosi (2010, no 2154); Conca e Guia (2000). 51 In Opere varie, Milano, 1860. La prima citazione di Manzoni l’abbiamo conosciuta attraverso Tosi (2010, no 2154). 52 Cfr. già Giulio Cesare Croce, Le sottilissime astuzie di Bertoldo (1606), nel capitolo “Esclamazione di Bertoldo per la sentenza data dal Rei contro di lui”. 53 Cfr. Jiménez et aliae (2012: 423). Phrasis Setembre 2017 97 ceto (2277-2284), con una formula, sicuramente, molto vicina a quella di Plutarco54: Lo que oy se callare pued’ se lo cras fablar, mas lo que oy ‘s fablare ya no se pued’ callar: lo dicho dicho es: lo que dicho non has, dezirlo has después; si oy non, será cras. ARTHABER, Augusto (1929), Dizionario comparato di proverbi e modi proverbiali, Milano, Hoepli. 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CORREAS, Gonzalo (2000 [1627]), Vocabulario de refranes y frases proverbiales, COMBET, Louis (ed.), Bordeaux, Institut d’Etudes Iberiques 54 Stein (1900: 103) rinvia alla raccolta gnomica Bocados de oro 409, la quale nella sua versione in spagnolo dice così: Quatro cosas no se pueden tirar después que son fechas: la palabra dicha e la saeta lançada e el agua vertida e el tiempo pasado. Proverbi come Agua vertida, no toda recogida oppure Sal vertida, nunca bien recogida sono molto ben documentati nei repertori paremiograici rinascimentali spagnoli. 98 et Ibero-Americaines de l’Université de Bordeaux. Madrid, Editorial Castalia. CRIDA ÁLVAREZ, Carlos Alberto/ ZORAS, Gerásimos (2005), Eίναι παροιμίες. Son paremias. Sono proverbi. Diccionario de concordancias paremiológicas griegas, españolas e italianas, Atene, Efstathiadis Group. ETXABE, Regino (2012), Diccionario de refranes comentado, Madrid, Ediciones de la Torre. 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Antología de la poesía lírica griega, Madrid, 2015), tragedia, commedia, oratoria (libro: Demóstenes. Filípicas, edizione critica, traduzione, introduzione e note di F. Hernández Muñoz e F. García Romero, Madrid, 2016), storiograia. Ha lavorato allo stesso modo sulla metrica greca, sullo studio della trasmissione manoscrita di testi greci (libro: Repertorio de copistas de manuscritos griegos en España. I: Biblioteca de El Escorial. II: Biblioteca Nacional de Madrid, in collaborazione con F. Hernández Muñoz, pubblicato sulla pagina web htp://www.ucm.es/info/copistas) e sulla sopravvivenza della leteratura greca nella nostra tradizione culturale. Si è specializzato anche nello studio dello sport greco antico (libri: Los Juegos Olímpicos y el deporte en Grecia, Sabadell, 1992; come coeditore ha curato In corpore sano. El deporte en la Antigüedad y la creación del moderno olimpismo, Madrid, 2005, e Sport e culture. Ati del IX Congresso Internazionale di Storia dello Sport. I: Età antica, Calopezzati, Cosenza, 2005). Sui proverbi greci antichi ha pubblicato i libri Proverbios griegos. Menandro: Sentencias (Madrid, 1999, in collaborazione con R. Ma Mariño) e El deporte en los proverbios griegos antiguos (Hildesheim, 2001), così come numerosi lavori sul testo e la trasmissione del Corpus Paroemiographorum Graecorum, e la tradizione dei proverbi greci ino alle lingue moderne. Si occupa dei proverbi greci antichi (insieme a Virginia López Graña) all’interno del Refranero multilingüe pubblicato sulla pagina web dell’Istituto Cervantes. Dirige atualmente il progeto di ricerca “Las paremias grecolatinas y su continuidad en las lenguas europeas”. È tradutore di Bacchilide, Platone (Simposio, Repubblica), lirica greca arcaica, proverbi greci, Menandro (Sentenze) e Demostene (Filippiche). Email: [email protected]