Parola deta e sasso tirato non tornano indietro33
Fernando García Romero
Universidad Complutense de Madrid
R
iassunto: Tracciando la storia del proverbio «parola deta e sasso tirato non
tornano indietro», cerchiamo di ofrire
un esempio illustrativo della sopravvivenza della
tradizione gnomico-proverbiale greco-latina nelle
lingue moderne, tramite il suo passaggio atraverso la latinità medievale e rinascimentale. L’equivalenza proverbiale della parola deta con la pietra
lanciata che non ha ritorno, è documentata, quasi
con la stessa formulazione, dal secolo V a.C., in
un frammento del poeta tragico Euripide (fr. 1044,
Kannicht), ed in altri testi greci. Poi si ritrova anche
nella leteratura latina antica, e due passi di Orazio
hanno contribuito particolarmente alla vasta difusione in latino medievale e nelle lingue moderne
dell’idea proverbiale che analizziamo. Fin dal XIII
secolo, la nostra idea proverbiale è frequentemente
documentata nelle leterature delle lingue vernacolari, e le raccolte di proverbi e sentenze del Rinascimento e quelle posteriori raccolgono anche in
modo profuso le sue diferenti varianti.
with the stone), trying to provide an illustrative example related to the survival of the gnomic-proverbial greek-latin tradition in modern languages,
through its passage by medieval and renaissance
Latinism. In Italy the equivalence of a word spoken is an arrow let ly is documented, almost with
the same wording, from the ifth century BC, in a
passage writen by the tragic poet Euripides (1044,
Kannicht), and in other Greek texts. You can also
ind the above mentioned proverb in ancient Latin
literature; in particular, there are two passages written by Orazio that contributed, in a particular way,
to the circulation of the proverbial idea analysed in
medieval Latin and in modern languages. Since the
13th century, our proverbial idea is frequently documented in the vernacular language and literature,
and the collections of proverbs and judgments of
the Renaissance and the following ones also recall
its diferent variants in an abundant way.
Parole chiave: Proverbio, greco, latino, parola,
sasso.
Nell’introduzione al suo magistrale Dizionario delle sentenze latine e greche, Renzo Tosi (2010)
aferma:
Abstract: The aim of the present paper is to
trace the history of the proverb «a word spoken is
an arrow let ly» (in Italian the comparison is made
33
Keywords: Proverb, Greek, Latin, Word, Arrow.
Un altro pregiudizio che va preliminarmente sfatato è quello secondo cui determinati
Il lavoro si iscrive nel Progetto di Ricerca “Las paremias grecolatinas y su continuidad en las lenguas europeas”, FFI2015-63738-P del
Ministero di Economia e Competitività del Governo spagnolo. L’articolo è stato tradotto in italiano da Luisa A. Messina Fajardo, che
ringrazio cordialmente per la sua gentilezza.
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proverbi sarebbero carateristici di una singola
cultura popolare nei confronti delle altre: per
quanto riguarda l’Europa si deve notare che le
stesse sentenze ritornano in tute le lingue e nei
vari dialeti, spesso, addiritura, con variazioni
solo minime. La ragione non va individuata in
una sorta di poligenesi […], ma nella sostanziale continuità della tradizione culturale occidentale, dal mondo classico a quello medievale ino
alle leterature moderne […]. Per questo motivo, lo studio delle sentenze greche e latine non
è un’operazione meramente erudita e chiusa in
se stessa, né quella di un antiquario curioso o di
un classicista convinto della superiorità dell’antico sul moderno: si trata dell’abbozzo di una
storia afascinante e del tentativo di reperire le
origini o gli “antenati” di espressioni, massime,
modi di dire tutora vivi […]. La nostra tradizione gnomico-proverbiale contemporanea deriva
quindi, atraverso un doppio canale, la cultura
mediolatina e le raccolte di adagia umanistiche,
da quella antica.
Il nostro scopo è quello di studiare un esempio
illustrativo della sopravvivenza della tradizione
gnomico-proverbiale greco-latina nelle lingue moderne34, tramite il suo passaggio atraverso la latinità
medievale e rinascimentale.
Le lingue europee atestano, con diverse varianti,
un saggio proverbio di uso abbastanza frequente, che
ci raccomanda di riletere con ogni prudenza prima
di dire qualcosa di cui potremmo pentirci in un
secondo momento, quando non ci sarà più rimedio35.
In spagnolo diciamo palabra y piedra suelta no tienen
vuelta, palabra de boca, piedra de honda, oppure senza
34
paragonare le parole alle pietre, palabra echada, mal
puede ser retornada o la palabra que sale de la boca, nunca
torna. Per gli italiani, parola deta e sasso tirato non
fu più suo» (o «non tornano indietro»), e lo stesso
assicurano i greci di oggi (λόγο και πέτραν έριξες
δε θα τα ξαναπιάσεις). I francesi, al contrario, non
fanno il paragone tra le parole e le pietre quando
afermano parole lâchée ne revient jamais, neppure
i tedeschi lo fanno (wenn das Wort heraus ist, ist es
eines andern). Gli inglesi, dal canto loro, preferiscono
paragonare le parole alle frecce scoccate che non
tornano indietro (a word spoken is an arrow let ly);
ancora i tedeschi fanno un altro confronto un
po’ meno elegante (ein Wort und einen Furz kann
niemand entgehen). Tante altre lingue documentano
espressioni simili: il gallego palabra e pedra solta non
teñen volta; il portoghese palavra e pedra solta, atrás não
volta; il catalano paraula i pedra solta no tenen volta, ecc.
L’equivalenza proverbiale della parola deta con
la pietra lanciata che non ha ritorno, è documentata,
quasi con la stessa formulazione, nientemeno
che dal secolo V a.C., in un frammento del poeta
tragico Euripide (fr.1044 Kannicht, tramandato
dall’erudito dei secoli V-VI d.C. Johannes Stobaeus
nella sua Antologia 3.36.14a): οὔτ᾿ ἐκ χερὸς μεθέντα
καρτερὸν λίθον / οἷόν τ᾿ ἐπισχεῖν, οὔτ᾿ ἀπὸ γλώσσης
λόγον («non è possibile fermare né la pietra dura che
si lancia con la mano, né la parola che si lancia con
la lingua»). Nella tradizione leteraria greca e latina
posteriore, l’idea riappare con una certa frequenza,
ma curiosamente ino a molti secoli dopo non si
ritrova testimonianza di questa formulazione più
antica, nella quale la parola deta è come la pietra che
si tira, tanto abituale nella tradizione proverbiale
delle lingue moderne. Plutarco (I-II d.C.) insiste
su quest’idea in tre occasioni. In una di esse, (Sulla
Altri esempi in García Romero (2009) e soprattutto Tosi (2010).
35
Tosi (2010, no 2154); Sevilla Mũoz y Zurdo (s.v.), con abbondanti riferimenti; Arthaber (1929, no 994); Sevilla Mũoz y Cantera Ortiz
de Urbina (2001, no 779 e 529); Strauss (1994, no 536); Crida y Zoras (2005, no 67); Conca y Guia (2000); Etxabe (2011: 330).
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loquacità 10, 507a), utilizza espressioni che ricordano
i versi di Euripide per afermare che quello che si
è deto è tanto irrecuperabile come l’uccello che
scappa dalle mani (anticipando il proverbio russo
Слово не воробей: вылетит — не поймаешь):
Giacché “le parole” sono “alate”, dice il
poeta. In efeti, non è facile né riprendere
qualcosa che vola quando è scappata dalle
mani, né acchiappare e impadronirsi di una
parola che è uscita dalla bocca, in quanto “le
sue ali volano veloci” [Archiloco, fr.181.11
West], difondendosi da persona a persona36.
Negli altri due passaggi Plutarco aferma
semplicemente che ciò che si è deto è impossibile
che sia come ciò che non si è deto, senza che
l’afermazione venga espressa con un’immagine
illustrativa:
Perché nessuno si è pentito di essere rimasto
in silenzio, mentre moltissimi di aver parlato. È
facile dire ciò che si è taciuto, mentre ciò che si
è deto è impossibile ritirarlo37 (Sull’educazione
dei igli 14, 10f).
Perché nessuna parola deta è stata utile
come molte che si sono taciute, in quanto è
sempre possibile dire ciò che si è taciuto, e
indubbiamente non lo è tacere ciò che si è
deto, in quanto si è già difuso e va da una
parte all’altra38 (Sulla loquacità 8, 505f).
Questa semplice formula è la più comune nei
testi antichi greci e latini. Così appare nella raccolta
di sentenze atribuite al poeta comico dei secoli IVIII a.C., Menandro (sentenza 692, Pernigoti): ῥίψας
λόγον τις οὐκ ἀναιρεῖται πάλιν. «Quando si lancia
una parola, non si riprende di nuovo» (Liapís, 2002:
443). E il fato che una versione molto simile si trovi
anche in un paio di testi molto famosi del poeta latino
Orazio ha contribuito in modo decisivo alla vasta
difusione in latino medievale e nelle lingue moderne
dell’idea proverbiale che stiamo analizzando. Infati,
in Ars Poetica 385-390, il poeta di Venusia aferma:
Tu non dirai né farai niente contro la
volontà di Minerva: questo è il criterio che devi
seguire, questa la tua idea. Nonostante ciò, se
in qualche occasione scrivi qualcosa, fai in
modo che arrivi alle orecchie del critico Mecio,
e a quelle di tuo padre e alle nostre, e dallo
a conoscere nove anni dopo conservando le
pergamene in casa. Ti sarà possibile cancellare
ciò che non hai dato alla luce; «la parola che si
lascia scappare non sa ritornare»39.
Lo stesso Orazio nelle Epistole 1.18.71 raccomanda di fuggire dai ciarlatani, che non riescono a mantenere i segreti, poiché et semel emissum volat irrepara-
36
‘ἔπεα’ γὰρ ‘πτερόεντα’ φησὶν ὁ ποιητής· οὔτε γὰρ πτηνὸν ἐκ τῶν χειρῶν ἀφέντα ῥᾴδιόν ἐστιν αὖθις κατασχεῖν, οὔτε λόγον ἐκ τοῦ
στόματος προέμενον συλλαβεῖν καὶ κρατῆσαι δυνατόν, ἀλλὰ φέρεται ‘λαιψηρὰ κυκλώσας πτερά’, δι᾽ ἄλλων ἐπ᾿ ἄλλους σκιδνάμενος.
Per quanto riguarda la relazione tra l’idea proverbiale oggetto del nostro studio e l’espressione “alate parole” di Omero, si veda Gassino
(2012).
37
καὶ γὰρ αὖ σιωπήσας μὲν οὐδεὶς μετενόησε, λαλήσαντες δὲ παμπληθεῖς. καὶ τὸ μὲν σιγηθὲν ἐξειπεῖν ῥᾴδιον, τὸ δὲ ῥηθὲν ἀναλαβεῖν
ἀδύνατον.
38
οὐδεὶς γὰρ οὕτω λόγος ὠφέλησε ῥηθεὶς ὡς πολλοὶ σιωπηθέντες· ἔστι γὰρ εἰπεῖν ποτε τὸ σιγηθέν, οὐ μὴν σιωπῆσαί γε τὸ λεχθέν, ἀλλ᾽
ἐκκέχυται καὶ διαπεφοίτηκεν.
39
tu nihil inuita dices faciesue Minerva: / id tibi iudicium est, ea mens. Si quid tamen olim / scripseris, in Maeci descendat iudicis auris /
et patris et nostras nonumque prematur in annum / membranis intus positis. Delere licebit, / quod non edideris; nescit vox missa reverti. Si
veda Jiménez et aliae (2012: 422-423; 343); Cantera Ortiz de Urbina (2005, no 1866 e 885).
94
bile verbum («la parola, dopo essere sfuggita, vola via
in modo irreparabile»); e nelle Epistole 1.20.6 assicura che l’opera leteraria deve essere pulita e ripulita,
e mete in guardia il suo libro che non potrà tornare
indietro dopo essere stato pubblicato (non erit emisso
reditus tibi).
Le sentenze di Orazio hanno avuto una vasta
risonanza sia nella leteratura cristiana sia nei
gnomologi della Tarda Antichità e del Medioevo,
con diverse varianti40. Così, nescit vox missa reverti
riappare, nei secoli IV-V, nelle Epistole di San
Girolamo 48.2 (in hac quoque prouincia iam libri fuerant
diuulgati et, ut ipse legisti, “nescit uox missa reuerti”) e di
Sant’Agostino 143.4 (non mihi Tulliana illa blanditur,
qua dictum est “nullum umquam uerbum, quod reuocare
vellet, emisit”, sed angit me plane Horatiana sententia
“nescit uox missa reuerti”»), e nel commento di Grilio
al De inventione di Cicerone (1.1.50 Jakobi)41. A sua
volta, semel emissum volat irreparabile verbum è raccolta
da molti autori dei secoli XI-XII, di cui Tosi ofre una
catalogazione e una citazione esata: in Italia Pier
Damiani e Innocenzo III; in Francia Ildeberto di
Lavardin e Alano da Lilla; in Inghilterra Gilberto di
Hoyland; in Germania Gerhoch di Reichensberg; in
Spagna Martín di León. A questi si aggiunge, già nel
40
XIII secolo, Albertano da Brescia. Nel suo Sull’arte di
parlare e tacere (De arte loquendi et tacendi) leggiamo:
verba enim sagitis sunt quasi similia: facile dimituntur,
diicile retrahuntur42, quae dici consuevit: «Evolat,
emissum semel, irrevocabile verbum»43 («Giacché le
parole sono simili alle frecce: si lanciano con facilità,
si recuperano con diicoltà, come si suol dire:
vola, una volta che si lascia scappare, irrevocabile
la parola»); e anche a Roger Bacon, Summulae
Dialectices 73b 1. Entrambi gli adagia sono inclusi
molto frequentemente, con diverse varianti, nelle
raccolte latine medievali di sentenze (Walther no
3627a, 8230, 12136, 16578, 26024, 26025, 27271, 27869,
33622, etc.)44.
Tutavia, in nessuno dei molti passaggi citati
nel paragrafo precedente si metono a paragone la
parola deta e irreversibile e la pietra tirata che non
può più essere fermata, come nel frammento di Euripide e in molti dei proverbi delle lingue moderne.
Non mancano, però, altri testi che fanno da nesso
tra la tradizione antica e quella moderna45. Forse il
più signiicativo è il passaggio di una letera di Sulpicio Severo (circa 360-425), atribuita anche a San
Girolamo46, rivolta Ad Claudiam sororem suam («A
sua sorella Claudia») sul tema De virginitate (Epistole
Si veda Tosi, loc. cit. Anche Sutphen (1901: 386).
41
Si veda anche Sulpicio Severo, De vita Beati Martini, Prefazione (raccolto nella serie Patrologia Latina 20, 159B). In epoca contemporanea continua ad essere vivo il vecchio adagio oraziano. Menéndez Pelayo lo cita nella sua Historia de las ideas estéticas en España, I 131
(edizione di Madrid, 1993), per sottolineare la necessità di limare con attenzione gli scritti. E anche durante i nostri tempi più lontani
dalla latinità il verso oraziano si usa con una certa frequenza per esprimere quell’idea. Così, il costaricano Rigoberto Guadamuz scrive
un articolo intitolato Nescit vox missa reverti per reclamare contro un progetto di legge in una rivista digitale pubblicata a novembre
del 2011 (http://www.prensalibre.cr/pl/comentarios/54030-la-ley-publicada-inescit-vox-missa-reverti.html); e “Nescit vox missa reverti:
quattro parole sul controllo della scrittura nella modernità spagnola” è il titolo di un articolo di Moreno Gallego (1996), pubblicato nel
vol. La investigación y las fuentes documentales de los archivos, Guadalajara, 1996, II:1155-1174.
42
Sembra essere l’eco di Pseudo-Cecilio Balbo (II p.C.), De nugis philosophiae 5.48.5, con verba che sostituisce la parola crimen.
43
Ahern (1976: 31); Martínez Segura (2012: 326). Uguale nel passaggio di Bacon è la variante no 8230 Walther (1963-1967). Cfr. anche
Cornejo (1779: 132).
44
Erasmo, oltre a citare il verso oraziano nei suoi Adagia (vid. infra), fa riferimento allo stesso nei suoi Colloquia, nello speciico in quello
intitolato Proci et puellae: sed verba simul atque semel evolarint, non revolant.
45
Anche per il proverbio inglese che mette a paragone la parola emessa con la freccia lanciata; cfr., nel secolo V, Valeriano di Cimiez,
Omilie 5.3 (Patrologia Latina 52, 707B): verborum vero iactus nec revocari potest, nec prohiberi, multo enim velociores sagittis sunt («in
realtà la tendenza a lanciare parole non si può invertire, né impedire, giacché sono molto più veloci delle frecce»).
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13.14 = Patrologia Latina 20, 240A): lapis emissus est
sermo prolatus, quapropter diu antequam proferatur cogitandus est («pietra lanciata è la frase pronunciata,
ed è per questo motivo che bisogna pensare a lungo
sulle cose prima di dirle»). Per quanto riguarda la
tradizione greca, Liapís rinvia alla presenza negli
gnomologi medievali della sentenza αἱρετώτερóν
ἐστιν λίθον εἰκῆ βάλλειν ἢ λόγον, «è preferibile
lanciare una pietra a caso piutosto che una parola»
(Gnomologio D-E no 141, Wachsmuth; 96 Matino), la
cui versione latina leterale melius est lapidem frustra
jactare quam verbum si trova tra le sentenze atribuite al ilosofo pitagorico greco Sesto, molto difuse
in ambito cristiano atraverso la traduzione latina
di Ruino di Aquileia, del secolo IV d.C. (sentenza
152, Chadwick). La sentenza greca viene citata anche nell’antologia di Stobeo (3.34.11), il quale la attribuisce a Pitagora, e anche nella raccolta Sentenze
di saggi (Γνῶμαι Σοφῶν) edita da Boissonade (1832:
I 128), il quale rinvia a un passaggio della Letera a
Marcella del ilosofo neoplatonico del secolo III d.C.
Poririo.14.3: αἱρετωτέρου σοι ὄντος λίθον εἰκῆ
βάλλειν ἢ λόγον («essendo preferibile per te lanciare a caso una pietra piutosto che una parola»).
Le raccolte di proverbi e sentenze del Rinascimento e quelle posteriori raccolgono anche in modo
profuso le diferenti varianti della nostra idea proverbiale. Naturalmente, non mancano negli Adagia
di Erasmo (3.1.18), e nemmeno nelle sue “iglie”
spagnole. Così, nel prologo della sua versione degli apoftegmi di Erasmo, pubblicata ad Anversa nel
1549, Juan de Jarava fa riferimento a la palabra que
después que es echada de la boca no puede no ser dicha
(«la parola che esce dalla bocca non può non essere deta») (Cantera, 2007: 38). Dal canto suo, Hernán Núñez (5774) raccoglie palabra y piedra suelta no
tiene vuelta («parola e pietra lanciata non tornano
indietro»)47 e anche (5775) palabra de boca, piedra de
honda («parola dalla bocca, pietra dalla ionda»).
Quest’ultima variante la si trova anche in Correas
(2000: 458)48 insieme a palabra y piedra suelta no tiene
vuelta («parola e pietra lanciata non tornano indietro») e palabra echada, mal puede ser retornada («parola
lanciata, può tornare indietro male»).
Fin dal Medioevo, la nostra idea proverbiale è
frequentemente documentata nelle leterature delle
lingue vernacolari, sia con la variante che equipara
parola e pietra, sia con riferimento alla freccia che
non torna indietro, sia senza il termine di paragone.
Nella Francia del XIII secolo, nel Roman de la Rose
XVI 747, si legge: parole une fois volée, / ne peut plus
estre rapellée, e, ancora nel XVII secolo, l’idea riappare nei Caractères di La Bruyère (capitolo De la cour):
«une parole échappe, et elle tombe de l’oreille du prince
bien avant dans sa mémoire, et quelquefois jusque dans
son coeur; il est impossible de la ravoir». Inoltre, diversi
autori49 citano, per l’Italia del XVIII secolo, dei versi
del libretista operistico Pietro Metastasio (Ipermestra II 1): «voce del sen fuggita / poi richiamar non
vale; / non si tratien lo strale / quando dall’arco
uscì». Tutavia, il paragone della parola pronunciata con quello della pietra e la freccia che non hanno
46
Si veda Giordanengo (2007: 424), a proposito della citazione del nostro passaggio in un trattato del 1475, dove si attribuisce a Girolamo: «hinc
dominus Hieronymus ad Mauricii iliam inquit: «lapis emissus est sermo prolatus, quapropter diu antequam proferatur cogitandus est». Si veda E.
Baluze (1761), Miscellanea Novo Ordine Digesta, Lucca, II 6. La lettera si trova anche inclusa nel corpus di scritti di Atanasio d’Alessandria (IV
d.C.), Exhortatio ad sponsam Christi (Patrologia Latina 103, 682A).
47
Registrato anche con il no 190 dei Proverbia Hispanica de L. Parent; cfr. Nú̃ez (2008). Il no 212 è «palabra echada mal puede ser retornada»
(«parola lanciata male può essere restituita»).
48
Correas (1627: 458; numeri: P48, P50 y P52 dell’edizione di Combet). Alla pagina 271 cita anche la variante más hiere mala palabra que espada
ailada («ferisce di più una parola cattiva che una spada ailata»), che ha un signiicato simile a sanan cuchilladas y no malas palabras («guariscono le coltellate e non le parole cattive»), raccolto nel repertorio Refranes que dizen las viejas tras el fuego (attribuito al Marqués de Santillana,
ma databile alla ine del XV secolo, n° 654 nell’edizione di Bizzarri, Kassel 1995), e documentato in Guzmán de Alfarache di Mateo Alemán (II
292 dalla edizione di J.M. Micó, Madrid, Cátedra, 1994). Si veda Calero (1999: 91) e O’Kane (1959: 178).
96
un ritorno, si trova già nel Duecento italiano50, nei
versi 189-196 del poema didatico Deto de lo Savio
Salomone. Dotrina dello Schiavo di Schiavo di Bari:
Et guarda, quando vieni a favellare,
ripensa nel tuo chuor che dèi chontare:
che la parola non si può stornare
quando è dicta,
che vola tosto chome la sagicta
et chome pietra, quand’huomo la gicta,
e assai iate dà maggior traicta
ch’uno serpente.
E nei versi 1599-1608 del Tesoreto di Bruneto
Latini (poema XVI):
Ma a te, bell’amico,
primeramente dico
che nel tuo parlamento
abbi provedimento:
non sia troppo parlante,
e pensati davante
quello che dir vorrai,
ché non retorna mai
la parola ch’è deta,
sì come la saeta
che va e non ritorna.
Nel XIX secolo, nel suo dramma storico Il
conte di Carmagnola (ato II scena III), Alessandro
Manzoni fa dire al suo personaggio Fortebraccio:
Se così credi,
sia pur così: perché a te spiaccia, o a
quale
altro pur sia, non crederai ch’io voglia
una parola ritirar che uscita
dalle labbra mi sia.
E lo stesso Manzoni nella sua Letera intorno
al libro De vulgari eloquentia di Dante Alighieri51,
applica il proverbio a Dante52:
Allora vedete a che cimento m’avrà
messo la poca vostra prudenza, allora
sarò costreto a dire che, se Dante non
diede al Volgare Illustre il nome di lingua, fu perché, con le qualità che gli attribuisco, e con le condizioni che gl’impone, nessun uomo d’un bon senso
ordinario, non che un uomo come lui,
avrebbe voluto applicargli un tal nome.
Apriti cielo! Pare una bestemmia contro
Dante e contro l’Italia. Ma parola deta
e sasso tirato non fu più suo.
Per quanto riguarda la leteratura spagnola,
nelle Partidas di Alfonso X (2.4.1)53 si legge che
Todo home, e mayormente el Rey, se debe mucho
guardar en su palabra, de manera que sea catada e
pensada ante que la diga. Ca después que sale de la
boca, non puede home facer que non sea dicha.
E nel XIV secolo, i Proverbios morales di
Sem Tob de Carrión esprimono lo stesso con-
49
Arthaber (1929, no 994); Tosi (2010, no 2154). Cfr. Pettine (1975, p. 132-133)., Plutarco. La Loquacità (De garrulitate), Salerno, Kibotion: 132-133.
50
Tosi (2010, no 2154); Conca e Guia (2000).
51
In Opere varie, Milano, 1860. La prima citazione di Manzoni l’abbiamo conosciuta attraverso Tosi (2010, no 2154).
52
Cfr. già Giulio Cesare Croce, Le sottilissime astuzie di Bertoldo (1606), nel capitolo “Esclamazione di Bertoldo per la sentenza data dal Rei contro
di lui”.
53
Cfr. Jiménez et aliae (2012: 423).
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ceto (2277-2284), con una formula, sicuramente,
molto vicina a quella di Plutarco54:
Lo que oy se callare
pued’ se lo cras fablar,
mas lo que oy ‘s fablare
ya no se pued’ callar:
lo dicho dicho es:
lo que dicho non has,
dezirlo has después;
si oy non, será cras.
ARTHABER, Augusto (1929), Dizionario comparato di proverbi e modi proverbiali, Milano, Hoepli.
BOISSONADE, Jean-François (1832), Anecdota
Graeca ex codicibus regiis, Parigi, Excusum in
Regio Typographeo (rist. Hildesheim 1962).
CALERO VAQUERA, María Luisa (1999), “Paremiología e historia de la lingüística (Las paremias en la obra de Mateo Alemán)”, Paremia ,
VIII, 85-104.
Con il paragone tra la parola e la pietra, il
proverbio è ben documentato sin dal XV secolo:
CANTERA ORTIZ DE URBINA, Jesús (2005),
Refranero latino, Akal, Madrid.
la palabra así es como la piedra, que, salida
de la mano, non guarda dó iere. E como dize
el sabio: vuela la palabra que, desque dicha,
non puede ser revocada; desdecirse della sí,
mas que ya non sea dicha imposible sería
(A. Martínez de Talavera, El Corbacho 2.4.142)
(Ramadori; 2010: 250-251).
CANTERA ORTIZ DE URBINA, Jesús (2007),
“El libro de los Apotegmas de Erasmo según
la versión española de Juan Jarava (Amberes,
1549)” , SEVILLA MUÑOZ, Julia et al. (eds.),
Seminario Internacional Colección Paremiológica
Madrid 1922-2007, Biblioteca Histórica Municipal de Madrid, pp. 33-56.
E giunge, veinticinque secoli dopo Euripide e
dopo aver fato un lungo percorso atraverso la
latinità antica, medievale e rinascimentale, ino alle
nostre letere contemporanee: «Cuidado, muchacha
-dijo Salmón-, que palabra y piedra suelta no tienen
vuelta, y palabra en boca es lo mismo que piedra en honda»
(Benito Pérez Galdós, Napoleón en Chamartin, 13).
CONCA, Maria/ GUIA, Josep (2000), “La idiomaticitat de les unitats fraseològiques en relació amb el sistema conceptual metafòric d’una
llengua i cultura”, Cahiers de Prohemio, III, 3148.
BIBLIOGRAFÍA:
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forense del Derecho Real de España, Madrid,
por D. Joachin Ibarra.
AHERN, John (1976), The new life of the book: oral
and writen communication in the age of Dante, Indiana, Indiana University.
CORREAS, Gonzalo (2000 [1627]), Vocabulario
de refranes y frases proverbiales, COMBET, Louis
(ed.), Bordeaux, Institut d’Etudes Iberiques
54
Stein (1900: 103) rinvia alla raccolta gnomica Bocados de oro 409, la quale nella sua versione in spagnolo dice così: Quatro cosas no se pueden
tirar después que son fechas: la palabra dicha e la saeta lançada e el agua vertida e el tiempo pasado. Proverbi come Agua vertida, no toda recogida
oppure Sal vertida, nunca bien recogida sono molto ben documentati nei repertori paremiograici rinascimentali spagnoli.
98
et Ibero-Americaines de l’Université de Bordeaux. Madrid, Editorial Castalia.
CRIDA ÁLVAREZ, Carlos Alberto/ ZORAS,
Gerásimos (2005), Eίναι παροιμίες. Son paremias. Sono proverbi. Diccionario de concordancias
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PROFILO BIO-BIBLIOGRAFICO:
Fernando García Romero è professore di Filologia greca presso l’Università Complutense di
Madrid. Si è dedicato allo studio di diversi generi della leteratura greca antica: poesia lirica arcaica (libri: Estructura de la oda baquilidea: estudio
100
composicional y métrico, Madrid, 1988; Sobre dioses
y hombres. Antología de la poesía lírica griega, Madrid, 2015), tragedia, commedia, oratoria (libro:
Demóstenes. Filípicas, edizione critica, traduzione, introduzione e note di F. Hernández Muñoz
e F. García Romero, Madrid, 2016), storiograia.
Ha lavorato allo stesso modo sulla metrica greca, sullo studio della trasmissione manoscrita
di testi greci (libro: Repertorio de copistas de manuscritos griegos en España. I: Biblioteca de El Escorial.
II: Biblioteca Nacional de Madrid, in collaborazione
con F. Hernández Muñoz, pubblicato sulla pagina web htp://www.ucm.es/info/copistas) e sulla
sopravvivenza della leteratura greca nella nostra tradizione culturale. Si è specializzato anche
nello studio dello sport greco antico (libri: Los
Juegos Olímpicos y el deporte en Grecia, Sabadell,
1992; come coeditore ha curato In corpore sano. El
deporte en la Antigüedad y la creación del moderno
olimpismo, Madrid, 2005, e Sport e culture. Ati del
IX Congresso Internazionale di Storia dello Sport. I:
Età antica, Calopezzati, Cosenza, 2005).
Sui proverbi greci antichi ha pubblicato i libri
Proverbios griegos. Menandro: Sentencias (Madrid,
1999, in collaborazione con R. Ma Mariño) e El
deporte en los proverbios griegos antiguos (Hildesheim, 2001), così come numerosi lavori sul testo e la trasmissione del Corpus Paroemiographorum Graecorum, e la tradizione dei proverbi greci
ino alle lingue moderne. Si occupa dei proverbi
greci antichi (insieme a Virginia López Graña)
all’interno del Refranero multilingüe pubblicato
sulla pagina web dell’Istituto Cervantes. Dirige
atualmente il progeto di ricerca “Las paremias
grecolatinas y su continuidad en las lenguas europeas”.
È tradutore di Bacchilide, Platone (Simposio,
Repubblica), lirica greca arcaica, proverbi greci,
Menandro (Sentenze) e Demostene (Filippiche).
Email:
[email protected]