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Alle origini dell’Italia di antico regime

1998, Manuale di Storia, Storia medievale

I che aveva caratterizzato le società politiche comunali fin dall'origine, ma che si complicò ulteriormente quando con la formazione del comune di «popolo» nuovi soggetti socialidiretta espressione dell'espansione delle società urbane a partire dall'XI secoloriuscirono ad affermare una presenza diretta nell'arena politicoistituzionale. Llemergere dal punto di vista istituzionale del «popolo>> non fu un processo indolore: fenomeno di autodisciplina politica di una parte della società urbana, esso si affiancò per qualche tempo al comune podestarile entrando in pericolosa competizione con quest'ultimo. La generale affermazione del comune di «popolo» e la graduale marginalizzazione delle istituzioni podestarili non generarono però né duratura pacificazione né semplificazione del gioco politico. La fase estrema della vicenda del «popolo» è segnata anzi in molti comuni dal ricorso allo strumento radicale della legislazione antimagnatizia, che dà la misura di quanto esasperata fosse la tensione dello scontro politico e quanto poco la nuova organizzazione istituzionale riuscisse a contenere la complessa articolazione delle fazioni (cfr. la lezione xv). Fu in questo contesto, segnato dalla violenza endemica e dall'instabilità del gioco politico, che poté risultare naturale ricorrere alla sospensione delle garanzie costituzionali e alla creazione di magistrature straordinarie monocratiche: in genere gli stessi organi di governo comunale (innanzitutto «podestà» e «capitano del popolo») affidati per un lungo periodo o in perpetuo a un personaggio ritenuto capace di sedare i contrasti e di ripristinare una continuità nell'azione di govemo. La signoria, che poteva nascere come «espediente provvisorio, introduce un fattore di novità dirompente quando «cominciò a rompersi la prassi di conferire gli alti uffici politici a durata assai breve, e si diede modo al magistrato o signore di consolidare il suo potere personale e di prepararne la trasmissione ad altri membri della sua famiglia" (Tabacco). Esemplare l'elezione a Mantova di Guido Bonacolsi, ratificata dagli organi del comune nel1,299 (vent'anni dopo la prima affermazione del nonno, nel1276): «Stabiliamo e confermiamo che l'egregio signore Guido Bonacolsi sia fatto in perpetuo capitano generale della città e del distretto di Mantova, e del comune di Mantova [...] e che possa reggere e govemare città, distretto e comune di Mantova a suo libero, puro e generale arbitrio, decidendo di propria iniziativa cum consilio et sine consilior,. Laddove si manifesta la tendenza alla costituzione di poteri straordinari, al conferimento di un'autorità monocratica e poi alla sua formalizzazione non si assiste dunque alla traumatica abrogazione delle istituzioni comunali. I processi in questione sono di sospensione, a tempo più o meno determinato, di sovranità* che all'inizio rimangono formalmente indiscusse (esemplare il caso veronese), e poi di svuotamento graduale di ambiti di potere la cui configurazione istituzionale si pretendeva non venisse intaccata. Con tali caratteristiche, le <.signorie» cominciarono ad apparire in area padana: in Romagna, in Veneto, in Lombardia. Benché limitate nel tempo, Ie dominazioni sorte tra Veneto e Lombardia nella prima metà del Duecento nel quadro della tradizionale polarizzazione della politica italiana (fra un fronte guelfo e uno ghibellino, entrambi mobili e compositi sotto il richiamo nominale alla fedeltà al papato e Nascita della signoria come <<espediente provvisorio>> Realtà signorili in Veneto, Lornbardia, Emilia

Storia medievale eo Lezioni di Enrico Artifoni, Anna Benvenuti, Corrado Bologna, Paolo Canettieri, Glauco M. Cantarella, Sandro Carocci, Guido Castelnuovo, Pietro Corrao, Mario Gallina, Paola Guglielmotti, John F. Haldon, Cristina La Rocca, Federico Marazzi, Massimo Miglio, E. Igor Mineo, Reinhold C. Mueller, Massimo Oldoni, Giuseppe Petralia, Walter Pohl, Serena Romano, Aldo Schiavone, Giuseppe Sergi, Marco Tangheroni, Gian Maria Varanini, Chris Wickham }( DONZELLI EDITORE dl STORIA MEDIEVALE Russia 980-1584, t Nobility of Later I 7973. Ca* Mdi+ agnes médiévales, parb I Citizenry $ atl A,D. 1000 b as Factorc the Roman-German En;ddle Ages, in Cities xxI. Alle origini dell'Italia di antico regime di E. Igor Mineo in Europe, Tilly e W Blockmarrs, ;co-Oxford, pp. 700-27. Probleme der sozial- uJ :hte des Heiligen Romj. it it ìpiiten Mittelalter und ( 1 3. - 1 8. J ahrhundert), istorische Forschung., I t er na tive n zu r R e ic l'Allqu- harleswòCharlesv,W irs et institutions dans b Des temps féodaux atu t, s1994. nédievale de ln Péninsule :lle tre regioni storichc :ssina 1996. tomono-gelrnanico e 'lV), in La storia. b I granà wo all'età contemporat. Popoli e strutture polipo e N.Tranfaglia, ToÉ a formazione e popolani degli sad pa occidentale (19751 Le Italie tardomedievali - Crisi comunali e decadenza italiana - La lotta politica tra ma- Nascita della signoria come <<espediente provvisorio» - Realtà signorili in Veneto, [-om. Emilia-GliestensiaFerraraeidellaScalaaVernna-UascesadeiViscontiaMilano-Espansio- h*w- hen Neuzeit?, Mùncher médievales de i,\t\t{uo' - L:Italia centrale: dinamiche signorili di coÉo respiro - Lfawento del rtgno angioino di Vespri siciliani e Ia costituzione di un secondo <<regno»» - Il conflitto angioino-aragonese - Cr'fra territoriale ii:..-r - I e ultra hrto pharum - Gli sviluppi del regno angioino - La debolezza della comna in Sicilia - Il modello e la Sicilia del «pattismo» -Aristocrazia e corona nella Napoli angioina - La potenza dei baroni Ma.imento del ruolo delle città - Tendenze oligarchiche - La Serrata del gran Consiglio a Yenezia - Il .Srggimento» fiorentino - La creazione degli stati territoriali di Venezia e Firenze - L,a minaccia viscon=r - Territori già disciplinati dalle città - Sopravvivenza e integrazione della civittà comunale - La lunga roilDanza da Roma: i papi ad Avignone - Rientro a Roma, scisma, ricomposizione - Fine del progetto Èr.:retico: dalla rivendicazione universalistica alla dimensione regionale - I fondamenti del poter€ ponti«popolare»» di Cola di Rienzo - I domini papali: corcaita mediate e immediate subiectae - Le innovazioni istituzionali nei regni meridionali - La Sicilia nel'lrbita catalano-aragonese -Alfonso d'Aragona e la riunificazione dei regni -A Napoli - La nuova mapn dei poteri italiani - Il gioco della nuova competizione politico-militare - La caduta di Costantinopoli e e grct di Lodi - Clientelismo istituzionale -Ascesa dei «condottieri» - Un primato politico, non una totair.t di poteri - Complessità di rapporti: le politiche fiscali e finanziarie - Il debito pubblico a Venezia, Ge»:' a. Firenze - Burocrazie centrali - Centralità delle corti - Declino? - Uideologia della «perdita delle li. xnà comunali» - Dualismo - L'ideologia dello <<stato moderno in crisi,> - Una ricca gamma di esperienze .suzionali - Italia e Europa, i=:,: famiglie signorili e curia romana - Il tentativo nda. Capitale guena e ione degli stati europi 9L. ution de l'état et de la ,rie et en Pologne ménce du pouvoir legisla- A. Gouroo {ontpellier 1988, pp. rr, a cura di lo Castelnuovo ha steso 1.. Il problema. [-a storia italiana medievale e moderna è stata costruita a lungo attorno al pro- :-:ma fondamentale dell'unità politica della penisola (per constatame l'assenza, ::l confronto con altre esperienze europee, e per lamentare i ritardi e le contraddidel processo nazionale). E assai significativo, a questo proposito, che per =.rni -i.:lro tempo la storiografia abbia fatto ricorso alla nozione di particolarismo, proper esaltare la tendenza negativa alla frammentazione di uno spazio a voca:::o ---ìne unitaria. Ma è questa una chiave adatta alla comprensione del passato italiano, e di :-rello tardomedievale in particolare? In realtà i secoli che vanno dalla metà del Duecento alla fine del Quattrocento :ettono in evidenza fenomeni di tutt'altra natura: la crisi della rete delle autono- 61.7 r.e rtarie tardomedievali Storia medievale mie politiche comunali al centro-nord, e la prosecuzione, in forme parzialmente nuove, della tradizione monarchica nel Mezzogiorno introducono infatti vicende e processi istituzionali che conducono a una complessiva semplificazione della geografia politica. Al termine di questi processi, più o meno alla metà del XV secolo, la parte centro-settentrionale della penisola, che nella piena età comunale (poniamo, nel 1200) è un universo multipolare segnato da una ricchissima arti colazione di poteri e di autonomie (città-stato, comunità rurali, dominazioni signorili ecc.), si è trasformata in uno spazio politico occupato, insieme con alcune formazioni minori, da alcuni stati regionali di ragguardevoli dimensioni territoriali, protagonisti nello scacchiere europeo: la repubblica fiorentina, la repubblica di Venezia, il ducato di Milano, lo stato pontificio; tutte formazioni che con i regni meridionali di Napoli e di Sicilia presentano adesso diversi, e inediti, punti di contatto. Quanto e come muta l'ltalia comunale nella transizione alla fase delle signorie cittadine e poi a quella degli stati regionali? Che significati ha la divisione del regno norrnanno-svevo? Cosa rimane della sua tradizione istituzionale nei nuovi regni «angioino» e <<aragoneSe»? Sono dawero due Italie - due spazi omogenei e divergenti - quelle che il modello comunale e il modello monarchico hanno consegnato ai tempi del tardo medioevo (e poi dell'età modema)? 2. Crisi comunale e decadenza italiana La lotta politica tra magnati e popolani Le tappe della crisi comunale. L idea fondamentale attorno a cui è cresciuta la storiografia sull'Italia tardomedievale è stata quella della crisi: crisi, in particolare, della città-stato comunale, ovvero del modo di organizzazione della società e di inquadramento dei poteri che aveva segnato in profondità il pieno medioevo italiano. Come vedremo più avanti l'idea della crisi è stata per molto tempo amplificata in una visione più generale che fa coincidere con il declino delle istituzioni comunali I'avvio della decadenza stessa dell'Italia modcrna. Ma mentre la crisi delle «libertà comunali, è, a partire da metà Duecento, un dato empirico indubbio, la «decadenza» italiana è un oggetto assai meno determinato, sfuggente proprio perché inafferrabile è la dimensione che vi è sottesa, ossia l'Italia tutta, dalle Alpi alla Sicilia, come spazio storico dotato alla fine del medioevo di una qualche coerenza. Le ragioni e, soprattutto, i percorsi e gli sbocchi di quella crisi non furono infatti gli stessi dappertutto. Sicché è proprio dal momento in cui gli ordinamenti comunali cominciano a conoscere serie difficoltà di tenuta che la carta dell'Italia comunale più chiaramente si scompone e si differenzia, smentendo l'idea che l'area centro-settentrionale della penisola possa rappresentare, a questa altezza cronologica, un blocco unitario. Vediamo, separatamente, i fattori (comuni) di crisi e i suoi diversi esiti. La crisi comunale consiste quasi sempre in una crescente inadeguatezza delle istituzioni cittadine a tenere sotto controllo e a disciplinare il confronto politico tra ceti dirigenti assai eterogenei quanto a identità e a interessi: un'eterogeneità 618 r I Alle origini dell'Italia di antico regime lorme parzialmente :ono infatti vicende mplificazione della lla metà del XV se:iena età comunale na ricchissima artiili, dominazioni siinsieme con alcune dimensioni territo- 'entina, la repubblilrmazioni che con i ersi, e inediti, punti fase delle signorie Ia divisione del re- a ionale nei nuovi respazi omogenei e = archico hanno con- ia sull'Italia tardoItà-stato comunale, :amento dei poteri )ome vedremo più rna visione più geli l'avvio della derertà comunali>> è, adenza>, italiana è afferrabile è la di:ilia, come spazio isi non furono inri gli ordinamenti la carta dell'Italia rdo l'idea che I,auesta altezza cro- 'ersi esiti. rdeguatezza delle onfronto politico : un'eterogeneità che aveva caratterizzato le società politiche comunali fin dall'origine, ma che si complicò ulteriormente quando con la formazione del comune di «popolo» nuovi soggetti sociali - diretta espressione dell'espansione delle società urbane a partire dall'XI secolo - riuscirono ad affermare una presenza diretta nell'arena politicoistituzionale. Llemergere dal punto di vista istituzionale del «popolo>> non fu un processo indolore: fenomeno di autodisciplina politica di una parte della società urbana, esso si affiancò per qualche tempo al comune podestarile entrando in pericolosa competizione con quest'ultimo. La generale affermazione del comune di «popolo» e la graduale marginalizzazione delle istituzioni podestarili non generarono però né duratura pacificazione né semplificazione del gioco politico. La fase estrema della vicenda del «popolo» è segnata anzi in molti comuni dal ricorso allo strumento radicale della legislazione antimagnatizia, che dà la misura di quanto esasperata fosse la tensione dello scontro politico e quanto poco la nuova organizzazione istituzionale riuscisse a contenere la complessa articolazione delle fazioni (cfr. la lezione xv). Fu in questo contesto, segnato dalla violenza endemica e dall'instabilità del gioco politico, che poté risultare naturale ricorrere alla sospensione delle garanzie costituzionali e alla creazione di magistrature straordinarie monocratiche: in genere gli stessi organi di governo comunale (innanzitutto «podestà» e «capitano del popolo») affidati per un lungo periodo o in perpetuo a un personaggio ritenuto capace di sedare i contrasti e di ripristinare una continuità nell'azione di govemo. La signoria, che poteva nascere come «espediente provvisorio, introduce un fattore di novità dirompente quando «cominciò a rompersi la prassi di conferire gli alti uffici politici a durata assai breve, e si diede modo al magistrato o signore di consolidare il suo potere personale e di prepararne la trasmissione ad altri membri della sua famiglia" (Tabacco). Esemplare l'elezione a Mantova di Guido Bonacolsi, ratificata dagli organi del comune nel1,299 (vent'anni dopo la prima affermazione del nonno, nel1276): «Stabiliamo e confermiamo che l'egregio signore Guido Bonacolsi sia fatto in perpetuo capitano generale della città e del distretto di Mantova, e del comune di Mantova [...] e che possa reggere e govemare città, distretto e comune di Mantova a suo libero, puro e generale arbitrio, decidendo di propria iniziativa cum consilio et sine consilior,. Laddove si manifesta la tendenza alla costituzione di poteri straordinari, al conferimento di un'autorità monocratica e poi alla sua formalizzazione non si assiste dunque alla traumatica abrogazione delle istituzioni comunali. I processi in questione sono di sospensione, a tempo più o meno determinato, di sovranità* che all'inizio rimangono formalmente indiscusse (esemplare il caso veronese), e poi di svuotamento graduale di ambiti di potere la cui configurazione istituzionale si pretendeva non venisse intaccata. Con tali caratteristiche, le <.signorie» cominciarono ad apparire in area padana: in Romagna, in Veneto, in Lombardia. Benché limitate nel tempo, Ie dominazioni sorte tra Veneto e Lombardia nella prima metà del Duecento nel quadro della tradizionale polarizzazione della politica italiana (fra un fronte guelfo e uno ghibellino, entrambi mobili e compositi sotto il richiamo nominale alla fedeltà al papato e 619 Nascita della signoria come <<espediente provvisorio>> Realtà signorili in Veneto, Lornbardia, Emilia Storia medievale GIi estensi a l-errara e i della Scala a Verona L'ascesa dei Visconti a Milano all'impero; cfr. la lezione xvr) sono state giudicate dalla storiografia anticipazioni significative di tendenze destinate a divenire prevalenti pochi anni più tardi e proprio nelle realtà urbane che avrebbero conosciuto i più robusti sviluppi signorili: così soprattutto quella di Ezzelino III da Romano su Verona, Vtcenza e Padova fra i|1226 eil1259, e quella di Oberto Pelavicino su alcune città della Lombardia occidentale negli anni sessanta. In entrambi i casi si tratta di grandi signori feudali e capi militari privi di relazioni significative con le città che assoggettano (non appartenenti cioè al novero dei loro ceti dirigenti), anche se, come sostiene Emesto Sestan, non è possibile immaginare una permanenza pluridecennale al potere senza la costruzione di una robusta rete di collegamenti clientelari. Al di là di vicende comunque legate alla parabola politica degli svevi (quella di Oberto Pelavicino si chiuderà al momento della sconfitta di Manfredi; cfr. la lezione xvr), le prime durature esperienze di govemo monocratico dei comuni vedono sia 1'affermazione di famiglie di origine aristocratica* (la cui forzaè in buona parte di tipo «feudale», fondata cioè su signorie rurali e fortificazioni, e aggregata dunque fuori della città), come gli Este a Ferrara o i Visconti a Milano; sia l'emergere di personaggi provenienti dall'élite comunale, senza trascorsi «militari», come i della Scala a Verona e i da Carrara a Padova. Quello ferrarese è il caso limite di un comune che non conobbe I'evoluzione verso le istituzioni di «popolo" e nel quale la dialettica politica fu precocemente ordinata attorno al confronto fra alcuni gruppi aristocratici, gli Adelardi, i Torelli, gli Este. Questi ultimi, discendenti da una delle maggiori dinastie aristocratiche italiche dei secoli X-XII, gli Obertenghi, risultavano prevalenti già negli anni venti per affermarsi definitivamente, con Azzo vtt intorno al 1240. Allorché, nel 1264, ad Azzo succede il nipote Obizzo II, viene proclamato «governatore, rettore, generale e perpetuo signore della città di Ferrara e del suo distretto>>, formalizzaldo in tal modo il potere signorile di fatto esercitato fino a quel momento. A Verona il percorso fu del tutto diverso: la famiglia che affermò la propria egemonia subito dopo la fine di Ezzelino era infatti quella preminente nell'ambito popoIare della città, mediante il controllo della domus mercatorum, la principale istituzione corporativa* della città. La domus e il partito popolare a essa collegato favorirono, in chiave antimagnatizia, l'affermazione di un capo, Mastino della Scala, che tra il 1259 e il 1262 sarebbe stato nominato prima podestà e poi capitano del popolo. È interessante notare che questo tipo di definizione istituzionale del potere del signore, desunta dalla sfera comunale, si mantenne per tutti i della Scala che si avvicendarono al vertice della città dopo la morte di Mastino t. Solo nel 1311 Cangrande, il massimo esponente della dinastia, ottenne da Enrico vn di Lussemburgo il titolo di vicario imperiale, e con esso una forma di legittimazione che rompeva con la tradizione politica comunale. Meno precoce dell'esperienza scaligera, quella dei Carraresi a Padova maturò nel primo ventennio del Trecento proprio nel vivo della pressione sviluppata da Cangrande, che puntava a estendere su Padova la propria egemonia. Anche qui è un acuto conflitto intestino a precedere la nomina di Giacomo da Carrara a capitano generale a vita e signore di Padova. 620 .-' : \. Alle origini dell'Italia di antico regime iografia anticipazimi Li anni più tardi e prosti sviluppi signorili: Ytcrura e Padova fra :ittà della Lombardia grandi signori feudeli he assoggettano (nm , come sostiene Erneruidecennale al poterc telari. u degli svevi (quella a di Manfredi; cfr. la ratico dei comuni veila cui forza è in bue rrtificazioni, e aggretsconti a Milano; sia nza trascorsi «militannobbe l'evoluzione tica fu precocemente ;li Adelardi, i Torelli, iinastie aristocratiche alenti già negli anni 11240. Allorché, nel r <<govematore, rettG r distretto>>, formaliz- a quel momento. A rò la propria egemG Lte nell'ambito popG r, la principale istitu) a essa collegato far, Mastino della Scadestà e poi capitano one istituzionale del per tutti i della Scai Mastino l. Solo nel me da Enrico vrr di ma di legittimazione esi a Padova maturò sione sviluppata da :monia. Anche qui è o da Carrara a capi- -{ \{ilano la doppia vicenda dei della Tone e dei Msconti ripropone esperienze :-:'.rghe. AIla metà del Duecento infatti l'affermazione dei della Tone nasce dal :,::r'olgimento negli organismi di «popolo» e nel conflitto antimagaatizio. [-a pre-*:-.nz.a di Martino della Torre, dal 1259, era legata alla momentanea prevalenza torze popolari e alla parziale emarginazione della componente aristocratica, più =-: di radicamenti signorili e più vicina all'autorità episcopale. Fu proprio da que:=:a ;: spazio sociale aristocratico che emerse la famiglia destinata a diventare il vero :-::o di equilibrio nel contrasto politico, ossia i Msconti, affermatisi già alla fine deMa anche i Msconti monopolizzano cariche di (quelle di "popolo» ..:ziano» e di «capitano"), fondando la propria superiorità sull'acquisizione di quelpatrimonio politico dinastico. Con essi la storia comunale ha formal= --ariche al quando alla titolarità di diverse cariche comunali, Matteo Vifine ne|1294, --=:te quella di vicario imperiale, già estesa a tutta l'area lombarda. riesce a sostituire -,--:rti \lsconti e Scaligeri soprattutto, i Carraresi con assai minore incisività, sviluptr.rro ambiziose politiche di espansione territoriale. Dal punto di vista dell'evo-:one politica comunale esse introducono una variante che apparirà di grande =-_=ificato: la fine dell'autogoverno non per processo endogeno ma per assogget:::1ento. Nascono così, per la prima volta, formazioni politiche pluricittadine, :=-,e quali al governo dei vari comuni assoggettati sono associati i rappresentanti :=-ìa città cosiddetta dominante. l: traiettoria di allargamento del potere signorile, con l'acquisizione di ampi Espansionismo -=itori, di signorie rurali, di comunità e anche di città, non si manifesta subito. GIi territoriale S:aligeri, nell'età aurea di Cangrande (1291-1329), cominceranno con il sottomet:::e Mcenza, per poi estendersi verso Treviso, Feltre e Belluno, occupando infìne ?=Jova. Un ambizioso disegno espansivo che la morte di Cangrande troncherà t-:rramente. Anche l'affermazione viscontea decolla nei primi decenni del Trecento -:r'estendo, I partire da centri come Lodi, Pavia, Piacenza, quasi tutta l'odierna .rmbardia. E la premessa da cui muoverà il forte dinamismo militare di Gian Ga..1770, unico signore dal 1385: un'iniziativa che diventerà il fattore propulsivo :;i1e vicende politico-militari nell'Italia padana a cavallo fra Tre e Quattrocento. Come nel caso delle maggiori signorie padane, anche altrove un fulcro di po::re a base cittadina può allargarsi e produrre l'assoggettamento di altre città: ac-:dde ad esempio agli Este ferraresi che già alla fine del Duecento controllavano \fodena e Reggio. E bene distinguere dunque, come processi qualitativamente diversi, i'afferma.:one ..interna» di una presenza forte, capace di condizionare il confronto politico := le fazioni e di esercitare un saldo controllo di fatto degli uffici comunali, fino .ll'assunzione esplicita di un ruolo di preminenza; e la soggezione a un'autorità nei casi fin qui esaminati una signoria cittadina o un intraprendente capo =stema: :ilitare, un libero comune o un'autorità di superiore peso intemazionale (come il :apa, l'imperatore - fino a Ludovico il Bavaro -, o il re napoletano). Occorre dislinguere in altre parole fra quelle «signorie>> che furono espressione piena dei pro --essi politici interni alle città e quelle in qualche modo sovrapposte a questi ultimi, ieterminate, più casualmente, da emergenze di carattere militare; contingenze :- =nni settanta. 621 Storia medievale I-fltalia centrale: dinamiche signorili di corto respiro esteme che potevano rivelarsi transitorie, consentendo il rapido ripristino dell':-tonomia, o invece coincidere con l'affermaziorre di un nuovo, forte polo egemo:co in un distretto, in una regione. Fu così che, come abbiamo visto, si formaro-.: precocemente le prime strutture di potere pluricittadino, nel corso dell'afferma-z:ne degli Scaligeri e dei Carraresi in Veneto, dei Visconti in lombardia. Ma l'Italia comunale non può essere collocata per intero, nel secolo compres: frail1250 e il 1350, sotto il segno della «signoria>> (mentre quella dell'età prec.dente poteva, bene o male, essere tutta collocata sotto il segno del <(comune»): ::molte realtà, alcune di primissimo rilievo, come, Firenze, Siena o Perugia, furo:: invece questi i decenni di affermazione prima dei regimi di «popolo», e poi di irziali tentativi di restringimento in senso oligarchico dello spazio politico. In quest'area la signoria si manifestò piuttosto come forma transitoria e traum] tica dello scontro politico, e la spinta alla sperimentazione del governo signon.; provenne da condizionamenti esterni, più che da processi interni alle istituzioni c.munali, dall'evoluzione dello scacchiere politico-militare regionale, più che da ro:ture dell'equilibrio interno. E questo appunto il caso della Toscana del primo Trecento ancora attraversata dalle lotte tra le fazioni, cioè tra guelfi e ghibellini. Fu iquesto contesto che si svilupparono le prime esperienze di tipo signorile: come quelle dei condottieri di parte imperiale Uguccione della Faggiola, che nel 131i venne nominato capitano di guerra, podestà e capitano del popolo a Pisa, occupando l'anno successivo anche Lucca; e Castruccio Castracani, nel 1316 signore oLucca e di Pistoia nel7325, anno in cui Castruccio ottenne una significativa vitto ria militare contro la guelfa Firenze ad Altopascio. Furono appunto esigenze di difesa a spingere i fiorentini a invocare la signoria di Carlo d'Angiò duca di Calabria. Ma quando nel 1328 Castruccio morì, la sua dominazione si dissolse. Altrettanto effimero fu l'esperimcnto signorilc di Gualtieri di Brienne a Firenze fra 13.i1 e1343. Parzialmente diverso è il caso pisano, dove l'egemonia di alcune famiglie (i Donoratico tra il 1317 e il 1347; gliAppiani alla fine del secolo) si intrecciava alla persistente vitalità della politica comunale. Infine agli inizi del Quattrocento i. predominio su Lucca di Paolo Guinigi durerà solo un ventennio. Si trattava insomma di dinamiche di corto respiro, ben diverse da quelle che si svilupparono in area padana, che non misero in discussione gli assetti istituzionali dei comuni: in esse il conferimcnto di un potere straordinario a un'unica figura rimaneva strumento, non privo di rischi ovviamente, del gioco politico fazionario interno. Al contrario, gli sviluppi più duraturi furono ispirati da una logica dettata fondamentalmente dalla competizione fra le città maggiori, Firenze, Pisa e Siena: grandi città comunali che, ncl corso del Trecento, entrarono in competizione per l'egemonia regionale. r -. _ _:ì: s-:.; : :-i--_4-- . _ .j, _: .,ll --,-l i-'__'i_ - -..- --s;\- - ----..:---.:: -. - -- i - i' -.,. --_- u-- -::-- .]:',-; Sir - -.::'::i,,- J- I ::: C.:C' -'.--:1 - 622 --. : Il-J.Sl 3. Due regni al Sud. Mentre nel cuore dell'Italia comunale il radicamento di vere e proprie dinastie signorili cominciava a trasformare la geografia politica della regione padana, nel ì_,. - ì,.:.!r .:: ---!- - ::--Ì^;:--. Alle origini dell'Italia di antico regime pido ripristino dell,au ,o, forte polo egemoni- no visto, si formarono corso dell'affermazio. ,ombardia. l, nel secolo compreso rno maturava, dopo la conquista del regno da parte degli angioini (nel ), il trauma della separazione della Sicilia. Per molte ragioni, relative in gran parte al respiro intemazionale dell'iniziativa aggiola, che nel 1313 suoi maggiori esponenti (cfr. la lezione xvr), la fine della dinastia sveva rapta una delle discontinuità più significative nella politica italiana fra XII e secolo. Al mutamento dinastico non corrispose invece una svolta altrettanto sul piano sociale e istituzionale. Certo, con l'affermazione di Carlo d'Angiò 1266 mutò di segno la collocazione del regno sullo scacchiere europeo: spezl'asse con l'impero, esso si trovò saldamente integrato in un fronte egemodal papato, uscito vincitore dall'incerto confronto con Manfredi, e dalla ia, che attraverso gli Angiò poteva allargare al Mediterraneo la sua sfera di nza. Non solo; mutò in profondità la composizione dei gruppi dirigenti, atla massiccia immissione di personale di provenienza angioina-provenzanei quadri feudali e negli uffici, mentre la stessa matrice ideologica della modovette in parte essere riconfigurata per marcare Ia distanza fra la nuova ità e l'identità ghibellina dei regnanti svevi. Eppure, l'eredità del regno norrnanno-svevo si mantenne, nelle grandi linee, :-stanzialmente inalterata: la funzione del sovrano all'interno del regno, l'artico.zione dell'apparato amministrativo, l'assetto normativo, il ruolo delle comunità lpolo a Pisa, occupan- :,::adine non subirono stravolgimenti. Avvenne anzi che per taluni aspetti, ad . nei 1316 signore di rna significativa vitto)punto esigenze di di'Angiò duca di Calarne si dissolse. Altretne a Firenze fra 1342 ria di alcune famiglie secolo) si intrecciava zi del Quattrocento il -:mpio la precisazione dei carattcri giuridici della superiorità della corona - del: sua «sovranità, -, la prima età angioina sviluppasse principi e premesse già de- : quella dell'età precemo del «comune»): in iena o Perugia, furono «popolo», e poi di iniazio politico. ra transitoria e trauma- del govemo signorile emi alle istituzioni co Iionale, più che da rotbscana del primo TreLelfi e ghibellini. Fu in i tipo signorile: come io. ,'erse da quelle che si lì assetti istituzionali a un'unica figura rio politico fazionario Ca una logica dettata 'irenze, Pisa e Siena: in competizione per re e proprie dinastie regione padana, nel [.lawento del regno angioino di Sicilia -:eati nell'età precedente, e da Federico II in particolare. I Vespri siciliani Questa sostanziale continuità istituzionale ebbe fine, con la rivoltax popolare :.: Vespri del1282, detta così perché scoppiata a Palermo la sera del 31 marzoi e la costituzione '-nità del regno fondato da Ruggero It risultò allora spezzata, e nell'isola si costi- di un secondo <<fegnO»» -- un regno autonomo, impegnato in un lungo conflitto con quello che avrebbe : - rrinuato a chiamarsi «regno di Sicilia» per gran parte del XIV secolo (ma che .--l'isola non avrebbe più esercitato nessuna forma di governo). La svolta del Ve:::u-r. benché accesa da un tipico sollevamento urbano, fu determinata da ragioni : - rplesse legate sia alla resistenza dell'identità «ghibellina» (filosveva, in questo -".o) di una parte del gruppo dirigente siciliano, sia al risentimento nei confronti :=-:a decisione di spostare definitivamente sul continente, a Napoli, il centro del :--\erno regio; sia ancora ai progetti del re d'Aragona, Pietro III, che fu subito :---tr-olto nelle vicende siciliane dalla componcnte fiolosveva dell'aristocrazia. \=-i'assunzione della corona siciliana il re vidc infatti l'opportunità di un forte al--slmento della sfera di influenza catalano-aragonese (cfr. la lezione xvll). L'intervento di Pietro proiettò il Vespro in una dimensione intemazionale, ali- It conflitto :-=-io-ghibellina, una situazione d'incertezza circa gli sbocchi della crisi che si ---t:eme per circa un ventennio. Già la scomparsa insieme del re d'Aragona e di *-; c d'Angiò, nel 1285, produsse una sostanziale alterazione del quadro inaugura: ::: anni prima: alle difficoltà del regno angioino (fino al 12BB senza re, giacché --;-.-r rr era prigioniero dei catalani a Barcellona) i successori di Pietro, Alfonso ul e 623 aragonese Storia medievale Cilra pharum e ultra pharum Gli sviluppi del regno angioino poi, dal 1291, Giacomo II, non contrapposero la prosecuzione pura e semplice della linea del padre, ma un indirizzo che mirava all'accordo con il papato e con Napoli. Fu così che si giunse nel 1295 a un trattato, siglato ad Anagni, con cui Giacomo rr rinunciava alla Sicilia per ottenere l'investitura papale di Sardegna e Corsica. L'accordo fu annullato però dall'indisponibilità della Sicilia (le città in primo luogo): il fratello di Giacomo, Federico, fu persuaso dalle forze eminenti dell'isola -l'entourage di corte, i massimi capi militari, i rappresentanti delle maggiori città - ad accettare la corona siciliana e venne proclamato re nel 1296 a Catania, in eloquente continuità con la tradizione dinastica sveva, come Federico ru. In tal modo la corona siciliana si distarcava anche da quella barcellonese: un esito imprevisto che avrebbe alimentato nuovi conflitti, ma che più tardi, nel 1302, sarebbe stato accettato tanto dal re d'Aragona quanto da quello napoletano e dal papa. La data del1296, forse ancora meglio che non quella del 7282, segna la nascita di un regno destinato a occupare una posizione di rilievo, prima in condizione di piena autonomia, fino al 1412, poi all'intemo degli «imperi» iberici dell'ultimo medioevo e della prima età moderna. Si consolidava allora nel Mezzogiorno, a pochi anni dal Vespro, un equilibrio affatto nuovo: diventava irreversibile la divaricazione fra i due regni di Sicilia, la Sicilia citra pharum («al di qua del faro>,, cioè dello stretto: il regno continentale) e la Sicilia ultra pharum («al di là del faro>>: il regno insulare), come più frequentemente vennero definiti (la denominazione di regno di Napoli avrebbe cominciato a circolare alla metà del Trecento). Si trattava di una divaricazione che rifletteva la collocazione internazionale delle due monarchie: la più fragile corona siciliana risucchiata al centro delle relazioni del fronte ghibellino e imperiale, quella angioina che rappresentava il cuore stesso del guelfismo. Furono soprattutto Federico nt in Sicilia (1296-1337) e Roberto t a Napoli (1309-43) a incarnare, anche nelle rappresentazioni letterarie, le tradizioni ideologiche che in qualche modo continuavano a dare forma ai conflitti politici di respiro sovraregionale. Non solo: furono ancora Federico e Roberto i sovrani che seppero meglio esprimere all'intemo dei rispettivi regni, nel corso del XIV secolo, programmi di governo volti a consolidare le due diverse realtà nate dalla dolorosa frattura de\1282. Alla loro morte, per ragioni del tutto diverse, i regni meridionali conobbero una lunga fase di difficoltà coincidente con il graduale indebolimento politico delle corone e della loro capacità di tenere sotto controllo la competizione politica, soprattutto quella che si sviluppava, fra le fazioni aristocratiche, dentro e fuori lo spazio della corte e delle più alte cariche regie. A Napoli la crisi di autorevolezza della corona fu complicata da difficili passaggi dinastici e dalla stessa dimensione internazionale degliAngiò, da quella trama di rapporti cioè, anche di tipo matrimoniale, che legavano gli Angiò napoletani a quelli ungheresi e a quelli del ramo principale provenzale, e che autorizzavano il coinvolgimento di questi ultimi negli affari intemi del regno italiano. l,a stagione convulsa di Giovanna r, deposta nel 1381, fu segnata esemplarmente tanto dalla pressione di Luigi re d'Ungheria quanto dai persistenti legami della regina con gli Angiò francesi; legami che ispirarono, nel clima del Grande scisma (sul quale torneremo), la decisione di 624 J-"-rvanna di norn _;-.\ (fedele a Cler ).:razzo, esponex ::Do fu anche rr .- :;oini e durazzt :-'zione di Ladis ,-----essione di sui :. =redi diretti. I --_:--nso v d'Ara_§r : _ rcglio I: oltre. a Siciiia la del -:-. =:ni ottanta :-::é\'ano. per de ::, :;ali : ::- : : pr( conserva s-, controllo d, :=. uniCa vefa -_:-sse anche. al '. :;3nza del trot cella propria .--- ::-:.=t:i: : unO squi -. .-scitò pertant :t: -. .-OfOna VaCa -- .'. :-:r. nel 1391 separazione Trecento. so mediterran :::tune tradiz ,'. - :-:anodoai I 1282 si cos ò con la cor Alle origini dell'Italia di antico regime ura e semplice della )apato e con NaPoli. con cui Giacomo tl gna e Corsica. Uac' i in primo luogo): il dell'isola -l'entou- - iggiori città ad ac)atania, in eloquente n tal modo la corona previsto che avrebbe stato accettato tanto 282, segna la nasci- prima in condizione " iberici dell'ultimo nel Mezzogiorno, a irreversibile la diva<al di qua del faror, unt (.,aldi là del fa- :finiti (la denominaretà del Trecento). zione internazionale r al centro delle rela- il cuore Roe a (1296-1337) rppresentava ntazioni letterarie, le are forma ai conflitti lederico e Roberto i 'i regni, nel corso del re diverse realtà nate eridionali conobbero Jebolimento Politico competizione Politiatiche, dentro e fuori r crisi di autorevolez- e dalla stessa dimen- ti cioè, anche di tiPo gheresieaquellidel imento di questi ultisa di Giovanna I, delne di Luigi re d'Unrgiò francesi; legami :emo), Ia decisione di Giovanna di nominare suo successore, nel 1380, il conte di Provenza Luigi d'Angiò (fedele a Clemente vtù. Il papa romano Urbano vr gli oppose allora Carlo di Durazzo, esponente di un ramo cadetto degli Angiò napoletani ma che per breve tempo fu anche re d'Ungheria: da qui ebbe origine un lungo conflitto armato fra angioini e durazzeschi che si sarebbe concluso solo alla fine del 1399, con l'affermazione di Ladislao, figlio di Carlo tu. Un'affermazione non duratura perché la successione di sua sorella Giovanna al trono nel 7474 risollevava, data l'assenza di eredi diretti, l'annosa questione dinastica: Giovanna infatti designò prima Alfonso v d'Aragona e poi Luigi m d'Angiò. Si apriva così la strada, come vedremo meglio oltre, all'affermazione aragonese in Italia meridionale. In Sicilia Ia debolezza della corona fu il riflesso invece, tra gli anni quaranta e gli anni ottanta del XIV secolo, di un lungo conflitto fra fazioni aristocratiche che puntavano, per prevalere, sull'occupazione dei maggiori uffici dello stato, alcuni dei quali conservati per via ereditaria alla stessa famiglia per due o tre generazioni, sul controllo delle maggiori città demaniali* e sulla protezione della persona del re, unica vera fonte di legittimazione. L'azione della maggiore aristocrazia condusse anche, alla morte di Federico w nel1377, a una temporanea condizione di vacanza del trono, durante la quale il regno venne governato, ciascuno all'interno della propria area di influenza, da quattro vicari, cioè i capi delle famiglie eminenti: uno squilibrio intollerabile anche per coloro che lo avevano favorito, e che suscitò pertanto la ricerca di una possibile via d'uscita, ossia di un nuovo re per la corona vacante. Come vedremo la soluzione, non indolore, emerse ancora una volta, nel1392, nell'ambito della dinastia regia barcellonese. La separazione fra un regno continentale e uno insulare non si consumò, fra Due e Trecento, solo sul piano del ruolo e della diversa dislocazione nella mappa politica mediterranea: gli assetti sociali interni subirono trasformazioni piofonde e la comune tradizione normanno-sveva continuò in direzioni divergenti. Vediamo in che modo a cominciare dalla Sicilia. Nel 1282 si costituì un regno autonomo. Ma le intense relazioni che la Sicilia allacciò con la corona aragonese consentirono la circolazione di nuovi modelli politico-istituzionali di matrice iberica. In particolare venne importato di un modello di rapporti fra corona e soggetti politici (tra cui i titolari di giurisdizioni signorili e le comunità cittadine) diverso da quello, marcatamente verticistico e autoritario, che era stato sperimentato in età sveva. Questo piano di relazioni istituzionali, definito già da alcuni autori del tempo sotto la sigla del patllsrzo, consentì da un lato il rafforzamento della nuova dinastia, dall'altro una serie di mutamenti che avrebbero inciso in profondità nel tessuto politico dell'isola, con effetti di Iunga durata che avrebbero superato le fasi tormentate della seconda metà del Trecento. L-introduzione di assemblee rappresentative (parlamenti*) che, sul modello delle cortes iberiche, coadiuvassero il re nell'azione legislativa rappresenta naturalmente un primo significativo segnale della tendenza au;n prudente allargamento dello spazio decisionale (tendenza condivise dalla corona angioina che cominciò anche a Napoli a convocare assemblee parlamentari). Soprattutto negli anni di Federico ltt la corona guidò poi una graduale quanto profonda trasformazio625 La debolezza della corona in Sicilia Il modello iberico e la Sicilia del «pattismo>> Storia medievale Aristocrazia e corona nella Napoli angioina La potenza dei baroni ne della geografia amministrativa: l'obiettivo era quello di decentrare una serie di funzioni e di rafforzare nel contempo la rete delle città demaniali, vero punto di forza finanziario e politico della corona. E a partire da Federico che le città siciliane, realtà tradizionalmente molto dinamiche sotto il profilo demografico e sociale, assumono un grado significativo di autogoverno, diventando, per la prima volta, veri corpi politici. Se volgiamo l'attenzione al regno napoletano percepiamo uno scenario significativamente diverso. Dal punto di vista di Napoli, il Vespro aveva non solo comportato l'amputazione di un'area decisiva come la Sicilia, ma aveva pure costretto i successori di Carlo d'Angiò a un estenuante impegno militare che alla lunga avrebbe condizionato gli orizzonti della monarchia meridionale. Anche a causa di questo impegno, che si sarebbe protratto, con lunghe pause, per buona parte del Trecento, emerse ben presto l'esigenza di un significativo cambiamento nel modello di monarchia, un'esigenza dettata dalla necessità di consolidare il consenso attorno alla corona. Sia l'aristocrazia signorile che il mondo delle città. e in particolare i ceti urbani agiati e proiettati verso la condizione nobiliare, chiesero tempestivamente un riequilibrio nella distribuzione dei poteri, al fine di aprire spazi di promozione e di privilegio ben più larghi di quelli definiti dalla monar- chia normanno-sveva. Espressione precoce di questo orientamento furono, nel 1283 (in una fase di difficoltà per la corona, assente re Carlo dal regno), i capitoli di San Martino, norme regie che disegnavano un contesto istituzionale in cui più forti apparivano le limitazioni all'autorità della corona e più ampio lo spazio occupato delle forze aristocratiche. A San Martino i grandi signori laici ottennero dunque vari privilegi fra cui l'immunità dal dazio dovuto alla corona per I'esportazione dei cereali, l'istituzione di un foro privilegiato per le controversie fra feudatari, una significativa riduzione del servizio militare obbligatorio, la giurisdizione penale all'interno dei propri feudi (con la conseguente limitazione della competenza della giustizia regia ai soli reati di sangue). Era una linea che sarebbe stata confermata poco tempo dopo da papa Onorio rrr - reggente durante la prigionia di Carlo u - che nel 1285 emanò una Constitutio super ordinatione regni Siciliae in cui, fra l'altro, svaniva del tutto lalicenza regia per i matrimoni dei membri delle famiglie baronali e risultava ulteriormente ristretto I'ambito d'intervento dei giustizieri regi alf interno dei domini signorili. Ir ragioni di questa politica, che non sarà contraddetta da Roberto, sono complesse e non del tutto chiare. Certamente pesò la preesistente robustezza della rete signorile, molto più estesa e ramificata che in Sicilia, che Federico II aveva provato a comprimere ma che al tempo di Manfredi aveva trovato nuove occasioni di sviluppo. Era una rete che comprendeva anche grandi «stati» feudali, dotati di ampia autonomia giurisdizionale e di proprie strutture burocratiche: si pensi solo al potente principato di Taranto, che era stato creato proprio nel 1240 per Manfredi o al ducato di Calabria. È certo tuttavia che decisive furono, nell'orientare la politica feudale dei re angioini, specie al tempo di Roberto, la richiesta di consenso e le esigenze pressanti di copertura finanziaria alimentate da un'ambiziosa, e 626 -:-- i::lJ.- - \.'trr\',.-,i : .:. - -:-i-' i: l-- .:.-JCZ-triie Jl - -:-.- i-'.---:., rU1 i;iiirr -:-.,r-r cittadin, -. ,: .:alisi sulla :- :-:: anChe nel J -.-:- S:litpliCe: COr --,:---: tormaziOn -:.: -, deperimen' r -:i;l€ (anche nc :. -, \-e rona scalig . . :-z.onale e. in ,C : . Jna più coer, : ,.-- ::clinano dun, :-r::rnlente intesa .. -l:Za eCOnOmiC S: questo torne :;i para,grafo 2. - - -:- del sistema - :- p del conflitto r :.-:Lrlo». In quest: -, - {uidata dall'in - -=s:arsi di altri m : . :cl corso del T - =:io in senso oli :-:liiestano esiger . --.'erni monocratic . :- controllo dell'< .= ; di maggiore ef L: competizion .-. quella che oppo .:;elera ovviamen :,'ggiore compatte :.:3rna di carattere -:.1a prima metà d( -Alle origini dell'Italia di antico regime centrare una serie di costosa, politica internazionale; esigenze che sollecitarono la presenza continuata miali, vero punto di :ico che le città sicio demografico e sontando, per la Prima a corte dei grandi banchieri fiorentini e che spiegano, tra l'altro, la permeabilità dello spazio napoletano all'insediamento di nobiltà esterne come quella romana (Orsini e Colonna soprattutto). Il rafforzamento del giado di autonomia delle città demaniali, fenomeno che caratterizza anch'esso il Trecento angioino, non sembra ) uno scenario signi;pro aveva non solo t, ma aveva pure co;no militare che alla reridionale. Anche a ;he pause, per buona icativo cambiamento ;ità di consolidare il il mondo delle città, zione nobiliare, chie:oteri, al fine di aPri- definiti dalla monar1283 (in una fase di di San Martino, noriù forti apparivano le occupato delle forze dunque vari privilegi zione dei cereali, l'ilatari, una significatirne penale all'interno retenza della giustizia lata confermata Poco ,a di Carlo n - che nel iae in ct;j, fra l'altro, ri delle famiglie barodei giustizieri regi ala Roberto, sono com- : robustezza della rete derico II aveva Prova- to nuove occasioni di ati» feudali, dotati di cratiche: si Pensi solo nelt240 per Manfrerono, nell'orientare la la richiesta di consenLte da un'ambiziosa, e sia stato tale da bilanciare la crescita della presenza baronale, se non altro perché, con l'eccezione di Napoli, la consistenza della rete delle città si mostrava, iq larghe parti del territorio del regno, debole e discontinua. 4. Città dominanti e cittò dominate. Quello cittadino è già emerso come il tema attorno a cui ruotano gran parte delle analisi sulla formazione degli spazi poiitici tardomedievali, in una qualche misura anche nel Mezzogiomo monarchico (specie quello insulare). La ragione è Mutamento del ruolo delle città assai semplice: contrariamente a quanto si riteneva fino a pochi decenni fa, quando nella formazione dei governi signorili e poi dei più maturi stati regionali si leg- il deperimento della vitalità politica delle città, oggi gli storici tendono a scorgere (anche nelle fasi signorili della storia dei centri comunali, ad esempio nella Verona scaligera o nella Padova carrarese) momenti di crescita economica e istituzionale e, in generale, un migliore funzionamento delle strutture amministrative e una più coerente organizzazione di governo del territorio cittadino. k città non declinano dunque, ci dicono gli storici, al tramonto della stagione comunale strettamente intesa: mutano collocazione e, in parte, funzione, mantenendo tuttavia forza economica e centralità istituzionale. Su questo tomeremo. Adesso occorre ampliare e complicare il quadro delineato nel paragrafo 2. Riprendiamo per un momento il punto di partenza, le fibrillazioni del sistema politico comunale nel momento in cui si aggravarono le lacerazioni del conflitto di fazione, in genere durante l'affermazione delle istituzioni di «popolo». In questi frangenti, quando l'evoluzione istituzionale non venne frenata o guidata dall'imposizione di un'autorità superiore, è possibile assistere al manifestarsi di altri modi di raffreddamento della temperatura politica. Semplificando, nel corso del Trecento queste modalità coincidono con tendenze al restringimento in senso oligarchico degli spazi di partecipazione politica; tendenze che manifestano esigenze affini a quelle che altrove consentivano la formazione di governi monocratici: esigenze, a loro volta, innanzitutto, di pacificazione intema e di controllo dell'ordine pubblico e poi anche di razionalizzazione amministrativa e di maggiore efficienza dei processi decisionali. La competizione militare, sia quella che si svolge a livello locale e regionale, sia quella che oppone le forze maggiori su un superiore scacchiere interregionale, accelera ovviamente queste dinamiche, manifestando spesso l'urgenza di una maggiore compattezza politica delle città: un pericolo o una qualunque pressione esterna di carattere militare (una situazione endemica nell'Italia del Trecento e della prima metà del Quattrocento) giustifica meglio, alleviandone i costi politici, geva 627 Tendenze oligarchiche Storia medievale La Serrata del gran Consiglio a Venezia Il <<Reggimento» fiorrntino la rinuncia, da parte dei ceti dirigenti, alle forme tradizionali di partecipazione p.-litica, alla <<democrazia» comunale. Il paradigma della formazione di un'oligarchia di govemo è fornito, con noi.vole precocità, da un comune dalle caratteristiche del tutto peculiari come Ven;zia, dove a partire dalla fine del XIII secolo l'appartenenza alla classe di goven: diviene gradualmente una condizione privilegiata, cioè limitata a una piccola pa:te del corpo sociale e protetta da norme via via più restrittive. Vediamo brer -mente le tappe di questo processo. Nel 1297 uno statuto fissa le regole per appa:tenere, da quella data, alla categoria degli eleggibili al Maggior Consiglio, il m-simo organo comunale (Serrata del gran Consiglio). Da allora ne possono far p":te due categorie di cittadini: innanzitutto coloro che avessero fatto parte dell'org.no dal 1294 al 1297, e poi altri cittadini che potevano accedere per scelta c., Consiglio medesimo. Nel corso del Trecento tali regole si precisarono ulterit-:mente, mirando a connotare direttamente la condizione aristocratica delle far:.-glie. La transizione ha il suo momento cruciale nel 7323, quando viene sanc-:: che il candidato all'elezione nel Maggior Consiglio avrebbe dovuto dimostra:. che il padre o il nonno ne avevano fatto parte. Nel 1376 arriva l'esclusione dei -gli illegittimi e nel 1381 un dccreto che promuove al rango patrizio trenta ligna:gi nuovi: dove appunto, in quest'ultimo caso, i destinatari del privilegio appaiL-r:-già i gruppi parentali, non più gli individui. Successivamente il criterio non su'r.sce più alterazioni, diventando fattore costitutivo dello stile politico veneziai: solo nel 1422viene fissata una norma che colpisce quanti, benché legittimi, sia---: nati da madre non nobile. Nasce così un nucleo di aristocrazia urbana, rn poir.ziato, padrone dell'arena politica, e capace, nei secoli successivi, di assicurare "-le istituzioni veneziane una condizione di formidabile stabilità. In molte altre realtà si respira, negli stessi decenni a cavallo fra Tre e Quatt::cento, 1o stesso clima politico, segnato, in generale, dalla tendenza a delimit.:. più chiaramente, e in senso oligarchico, l'accesso alla sfera politica, anche se m:, prima della fine del medioevo con esiti così precisi e formalizzati come a Ver=zia.Ma va osservato che, a prescindere dal grado di definizione giuridica del p--vilegio, l'appartenenza alla classe politica diventava un fattore ereditario, e cr: ciò un segno di distinzione aristocratica, sia, ad esempio, nelle città venete sc'-gette a regimi signorili, sia nei grandi comuni toscani come Firenze e Siena. A F-renze, in particolare, il processo si accelerò dopo la rivolta dei Ciompi dei 13-: (cfr. la lezione xx): nel giro di pochi anni venne fissato nella continuità di parte; pazione ai massimi organi del comune un filtro di selezione, consentendo, ai p:,missimi del XV secolo, la delimitazione di un insieme di famiglie costituent- , cosiddetto Reggimento. Ora, fra le città che in tempi e modi diversi conobbero fenomeni di transizio:,. a regimi oligarchici, alcune seppero anche costruire, a partire dalla seconda m.-: del Trecento, e poi soprattutto nel Quattrocento, grandi dominazioni territori"-assoggettando signorie, borghi, comunità contadine e soprattutto città, altri corr-ni. Mentre alcuni stati signorili perdevano via via slancio fino a implodere (co:-. le signorie venete scaligera e carrarese agli inizi del XV secolo), nuovi stati n'628 i --.--: Alle origini dell'Italia di antico regime i partecipazione Poè fornito, con noteeculiari come Vene.la classe di governo ta a una piccola Par- ve. Vediamo brevele regole Per apparor Consiglio, il masì ne possono far Parfatto parte dell'orga:edere per scelta del precisarono ulterior;tocratica delle familuando viene sancito re dovuto dimostrare ra l'esclusione dei firatrizio trenta lignag:l privilegio aPPaiono e il criterio non subie politico veneziano: enché legittimi, siano zia urbana, un Patrissivi, di assicurare altà. rllo fra Tre e Quattrotendenza a delimitare politica, anche se mai, alizzati come a Veneione giuridica del Prittore ereditario, e con nelle città venete sogFirenze e Siena.AFir dei CiomPi del 1378 a continuità di Parteci- e, consentendo, ai Pri- famiglie costituenti il enomeni di transizione ire dalla seconda metà ominazioni territoriali, rttutto città, altri comu- ino a implodere (come ;ecolo), nuovi stati na- scevano su impulso di grandi città comunali che provavano ad allargare significativamente il proprio spazio di egemonia. Le esperienze più importanti di formazione di vere «repubbliche» territoriali furono quelle che ebbero protagoniste Venezia e Firenze (possono essere accostati a tali esperienze, ma su una scala nettamente inferiore, anche il caso di Siena e, con caratteristiche del tutto peculiari, quello di Genova). I processi di costruzione degli stati territoriali fiorentino e veneziano mutano repentinamente, nel giro di pochi anni, la mappa politica della Toscana settentrionale e del Veneto, e contribuiscono a cambiare anche la stessa natura istituzionale del soggetto che ne è protagonista, la città dominante, che da città-stato si trasforma in centro di una repubblica oligarchica. Yenezia che per secoli aveva concentrato tutti i suoi sforzi nella costruzione, nei porti dell'Adriatico e del Mediterraneo orientale, di un variegato dominio da mar interamente funzionale ai suoi traffici commerciali, alla fine del Trecento occupava sulla terraferma solo il Trevigiano. La scelta di formazione di un dominio di terraferrna - forse maturata negli ambienti di governo della Serenissima all'indomani della disastrosa guerra di Chioggia del 1381 (cfr. la lezione xvu) - conteneva una profonda svolta strategica e una potenziale cesura nella storia della città. Tra il 1404 e il 7428 (l'anno della pace di Ferrara su cui si veda il paragrafo 7) il dominio di Venezia assorbì Viceiza, Feltre, Belluno, Verona, Padova, fino a raggiungere il Friuli da un lato, Brescia e Bergamo dall'altro. Per Firenze l'orientamento verso lo stato territoriale fu meno traumatico e più diluito nel tempo: il comune disponeva già di un ampio e variegato contado, e nel corso del Trecento aveva acquisito, in forme diverse, il controllo di alcuni centri importanti come Pistoia, Prato, San Gimignano, Colle Val d'Elsa, Poggibonsi. Intorno al 1385 ebbe luogo tuttavia :un'eccezionale accelerazione del ritmo di espansione del dominio insieme al riordino degli strumenti di governo del nuovo spazio che si andava componendo: anche qui una svolta dunque. Nel 1385 venne occupata Arezzo, tra il 1399 e il 1401 Pistoia perse definitivamente la propria autonomia e nel 1406, dopo un lungo assedio, venne conquistata Pisa, cioè l'unica vera rivale di Firenze nella Toscana centro-settentrionale; successivamente, nel 1414, venne acquistata anche Livorno. La sorprendente simultaneità dell'azione di Firenze e di Venezia, che nel giro di pochi anni - gli stessi all'incirca - costruirono domini di ampie dimensioni (estesi, quello fiorentino per circa 12000 kmq, e quello veneziano per circa 30000 kmq), ha una ragione comune: la necessità di arginare l'espansione viscontea, che negli anni di Gian Galeazzo aveva raggiunto da un lato Padova, Verona e Yicenza (nel 1387), dall'altro Pisa (ceduta nel 1399 al duca da Gherardo d'Appiano), Siena e Perugia (che nello stesso anno gli si erano sottomesse) e infine Bologna (acquistata nel 1400). La contingenza, cioè la minaccia viscontea, attivò un processo che aveva evidentemente ragioni molto profonde, se condusse alla nascita di formazioni politiche fra le più stabili fra quelle di antico regime. Soffermiamoci brevemente su tale processo. Si tratta di mettere in luce in che modo poté avvenire l'aggregazione 629 La creazione degli stati territoriali di Venezia e Firenze La minaccia viscontea Storia medievale di rn nuovo territorio politico. Nella formazione tanto dello spazio fiorentino come di quello veneziano emergono le risposte, non del tutto convergenti, offerte a un problema comune, che ricorre in altre vicende di costruzione dello stato regionale (quello lombardo o quello pontificio, ad esempio): quale collocazione offrire alle città assoggettate. Occorre considerare che il processo di espansione tenitoriale aweniva, in Togià disciplinati scana o in Veneto, a spese di comuni cittadini, alcuni di grande peso politico e dalle città economico (basti pensàre a Pisa, a Verona a Padova), assai più che a danno di signorie rurali o di ambiti di giurisdizioni feudali: nel senso che era l'assoggettamento della città, elemento centrale del paesaggio politico, il fattore che determinava il successo o l'insuccesso di una strategia espansiva. Altri tipi di autonomie (quelle di tipo signorile essenzialmente) erano diventate presenze assai sporadiche in quello stesso paesaggio. Con ciò il nascente stato regionale acquisiva - ovviamente beneficiandone - i risultati dell'opera di profondo rimodellamento politico dei tenitori - i contadi - sui quali nel corso dei secoli precedenti i comuni avevano costruito il proprio dominio (cfr. la lezione xv), ridimensionando o emarginando appunto i poteri signorili. Naturalmente non era così dappertutto: in Piemonte, in Romagna, in vaste zone dell'Appennino tosco-emiliano i processi di formazione di più larghe dominazioni territoriali (si pensi al principato estense, a quello sabaudo, ad alcune direttrici della stessa espansione florentina) incontravano più spesso, sul proprio cammino, articolate strutture signorili; ma in generale Venezia e Firenze si confrontarono con territori già disciplinati dall'azione delle città, già configurati dal predominio di queste ultime, e dunque ad esse vincolati da profondi legami economici e istituzionali. I,e risposte offerte dalle due dominanti dovevano tenere in conto questa condizione di strutturale simbiosi fra città e contadi, e furono risposte parzialmente diverse. Venezia mirò sempre a rispettare l'equilibrio politico e istituzionale preesistente nei territori che passavano sotto la sua sovranità; tendeva cioè a lasciare un'ampia autonomia ai ceti dirigenti dei comuni assoggettati e, di conseguenza, a mantenere la distrettuazione tradizionale (rafforzata nel corso delle dominazioni signorili trecentesche). Dato che i contadi restavano, in linea di massima, soggetti alle proprie città e non passavano al govemo diretto della dominante, la geografia territoriale che si era costruita in età comunale (che conseryava a sua volta più antichi modelli di inquadramento dello spazio) poté conservarsi sostanzialmente inalterata in larghe zone dell'ltalia padana, per tutta l'età moderna. In Toscana gli orientamenti della dominante furono parzialmente diversi: spesso fu scelta la via dello scorporo di parti del contado delle città soggette con l'imposizione di forme immediate di amministrazione, fiscale e giurisdizionale. La politica fiorentina, producendo fenomeni di frazionamento degli antichi contadi, e talora il totale annullamento (come nel caso pisano, per annichilire la forza dell'antico nemico) conservò meno gli assetti preesistenti e tese piuttosto a costruire periferie, a governare cioè direttamente, con propri rappresentanti, città ed ex contadi. Insomma, un caso di incisiva centralizzazione, assai significativo anche se peculiare. Tbrritori 630 Le vicende del -= ;he non a quell : -:-:itìcio. dove pi . - :ità-contado rir In ogni caso. I :- :creri ertraciita li.:il stati repubb -:::prese nOn da r : :::slormarsi in ct :-::: So_ggette gli O =..:-tpio. tendenze - =--'amministrazio .:--:3nze ciOè a :-l;nze ,gr Che gene : : costmzione di ;^.,:-: altre via. La : '_=:ratico rispettc ::::Ie COme Un m( : :-rminante, put < :-:r:o dall'età com : -:ali e ii sistema - - -ativo :--:lrà statutari viene regolr -,.:-ralmente i cor; --=.io veneziano). : - - :ividendo, sia p :.:presentanti di r I-a costruzione r èlle altre formazio riflessione. Il papat mtto peculiari che I rhimi sssgli del me pima dal trasferim &l cosiddetto «grar I-lallontanamentr rata a seguito dello r pagmatico orienta 1303 due anni dopo za inAvignone. Cle: lento mondo politi« vAlle origini dell'Italia di antico regime ipazio fiorentino coonvergenti, offerte a rne dello stato regio- rcollocazione offrire iale aweniva, in Toande peso politico e iù che a danno di si:he era l'assoggettafattore che determiItri tipi di autonomie )senze assai sporadirnale acquisiva - ovrimodellamento poli precedenti i comuni , ridimensionando o a così dappertutto: in :miliano i processi di principato estense, a orentina) incontravaLorili; ma in generale nati dall'azione delle que ad esse vincolati condi oste parzialmente din conto questa e istituzionale Preesirdeva cioè a lasciare Ir vicende dello stato visconteo-sforzesco assomigliano più a quelle veneziane che non a quelle fiorentine, e nella zona padana, o in quella umbra, dello stato pontificio, dove più solida era stata la presenza di comuni, vedremo che il rapporto città-contado rimanà, nel corso del XV secolo, sostanzialmente rispettato. ln ogni caso, l'immagine di una civiltà comunale sconfitta dall'affermazione di poteri extracittadini, di origine signorile o feudale, appare del tutto incongrua. Negli stati repubblicani siamo di fronte a iniziative di coordinazione territoriale intraprese non da un principe ma da una città dominante, da un comune che riesce a trasformarsi in centro di uno stato articolato e complesso. Per quanto riguarda le città soggette gli orientamenti invece divergono. In Toscana, si manifestarono, ad esempio, tendenze a imporre il forte controllo della dominante, tanto sul versante dell'amministrazione della giustizia quanto su quello della gestione della fiscalità; tenden":Ze cioè a governare direttamente i contadi delle città conquistate (e sono tendenze che generano sofferenze e, più avanti, anche rivolte). Altrove è diverso, e la costruzione di durature relazioni fra vertice dello stato e qomunità soggette segue altre via. la repubblica di Venezia, ad esempio, dove era prassi consueta <<il pragmatico rispetto da parte della dominante per le prerogative locali>> (Varanini), appare come un mosaico istituzionale sul quale l'opera di direzione esercitata dalla dominante, pur capillare, non punta al livellamento del pluralismo di forze ereditato dall'età comunale e da quella signorile: rimangono in vita le istituzioni comunali e il sistema corporativo delle ceti mercantili (Brescia e Verona); il quadro normativo statutario viene modificato ma non cassato; il carico fiscale delle comunità viene regolarmente negoziato e il sistema daziario non viene sconvolto. E naturalmente i corpi aristocratici locali, i patriziati (che nascono su imitazione di Sopravvivenza e integrazione della civiltà comunale quello veneziano), continuano a occupare lo spazio istituzionale loro riservato, condividendo, sia pure in posizione subordinata, la gestione del potere locale con i rappresentanti di Venezia. i e, di conseguenzal a so delle dominazioni rdi massima, soggetti ,minante,la geografia va a sua volta più anrarsi sostanzialmente derna. almente diversi: sPes.ttà soggette con l'im- e giurisdizionale. La egli antichi contadi, e nichilire la forza dele piuttosto a costruire esentanti, città ed ex ai significativo anche 5. Uno stato per il papa. Ia costruzione dello stato pontificio segue in parte percorsi analoghi a quelli delle altre formazioni monarchiche europee; in parte introduce nuovi elementi di riflessione. Il papato manteneva infatti, sul piano istituzionale, caratteristiche del tutto peculiari che lo differenziavano da altri poteri monarchici, e inoltre, nei due ultimi secoli del medioevo, la sua storia subì profondi rivolgimenti, generati dapprima dal trasferimento delle sede pontificia ad Avignone, poi dalle lacerazioni del cosiddetto «grande scismo>. I-iallontanamento del papa da Roma non fu l'esito di una nitida strategia maturata a seguito dello scontro fra Bonifacio vlr e Filippo v (cfr. la lezione xu): fu il pragmatico orientamento di Clemente v, un cardinale francese fatto papa nel L303 due anni dopo la morte di Bonifacio vtII, e che nel 1309 fissò la sua residenza inAvignone. Clemente intendeva rinviare il problematico impatto con il turbolento mondo politico dell'urbe e ribadire, attraverso il rapporto privilegiato con Ia 631 La lunga lontananza da Roma: i papi adAvignone Storia medievale corona francese, i contenuti tradizionali della politica pontificia, quelli elaborati XIII secolo e sperimentati da ultimo nel corso del lungo conflit- durante il XII e il to con gli svevi. Non è corretto considerare Avignone una sorta di oscura parentesi (di «cattiragioni della lunga vità», come a lungo è stata definita) nella storia del papato. lontananza da Roma sono ispirate da alcune tendenze di fondo della politica della Sede pontificia, almeno dalla seconda metà del Duecento, quando maturò un nuo- [r Rientro a Roma, scisma, ricomposizione vo equilibrio fra le maggiori entità politiche dell'Occidente cattolico. Tale equilibrio era fondato sull'alleanza antisveva fra la corona francese e il papato, che non si era sciolta dopo la sconfitta del nemico comune. Questo fronte comprendeva, oltre al regno francese e al papato, anche il regno meridionale italiano e grandi città comunali come Firenze, e poté allargarsi, proprio nel periodo avignonese, anche all'Europa centrale (la corona d'Ungheria fu angioina tra il 1308 e il 1382). Se un programma il papato liberamente elaborò, fu quello dunque di rafforzare il sistema politico guelfo, imperniato su Parigi, Avignone, Firenze e Napoli, e di rilanciare su questa base il suo ruolo politico sovranazionale. Il legame con la corona francese precedeva dunque di molto il trasferimento della Sede pontificia in Francia, e si rafforzò fino a sostituire quello tradizionale con l'imperatore germanico. Il rientro a Roma voluto da Gregorio x nel 1377 non chiuse pertanto un periodo di declino per aprire una stagione di rinnovata centralità della monarchia papale in Europa. Al contrario, la fine della fase francese del papato significo la rottura di un equilibrio precario alf interno della chiesa occidentale, e alla riconquistata autonomia del papato dalla pesante tutela del re di Francia concili furono co sembrò che potes pa; ma entro la m se, spegnendo le zione ecclesiastic Se facciamo t tribuita al papato monarchia avess( colo (cfr. la lezi< francese (1309) r pontefici come C interpreti prestigi momento effimer gnonese e poi da del Quattrocento) badito l'indiscuss Il papato dovr universalità e di p gata ai domini ter grandissima debo ficate le rivendica re di una minore il mondo cattolic( fece riscontro, quasi immediatamente, la crisi gravissima del Grande scisma. sorse disponibili Era difficile infatti che una curia e un collegio cardinalizio composti in gran parte da personale francese avallassero in silenzio la decisione di Gregorio x. Così nel L378, subito dopo l'elezione a Roma di Urbano vI, un gruppo di cardinali francesi nominò un altro papa, Clemente vII, che scomunicando il primo ripristinò la sede avignonese. L'Europa si divise nella fedeltà ai due pontefici e per più di trent'anni due chi.ese e due obbedienze si contesero lo spazio cattolico: in particolare la Francia, i regni iberici, e la Scozia si schierarono per Clemente vtI. Nel 1409 un primo tentativo di superare la crisi portò alla convocazione di un apposito concilio* a Pisa: venne allora eletto un nuovo papa, Alessandro v, ma la debole rappresentatività dell'assemblea fece sì che i suoi deliberati non venissero riconosciuti, con l'effetto paradossale che un altro pontefice si aggiungesse ai due già operanti. Una lacerazione di questa profondità richiedeva un'azione altrettanto radicale di rilegittimazione dell'intero sistema delle autorità ecclesiastiche. Maturò dunque all'interno della Chiesa un vasto movimento conciliarista che opponeva gestione delle ter vo incremento de a una sovranità qt Per capire me1 alla centralità istituzionale e carismatica* del papa romano quella della grande assemblea ecumenica di tutti i vescovi (una grande istanza autenticamente universa- listica, che sarà ripresa solo nel XX secolo dal movimento che ha generato il Concilio vaticano n). Un grande concilio convocato nel141,4 a Basilea riuscì infine a comporre il dissidio e a impone nel14t7 un nuovo, unico papa, nella persona di Martino v. I 632 r dell'Italia centralr indietro. Lo abbiamo a< che si affermano solo che, come è non possa consoli vemato direttame riali sono quelli s' papi provennero), sistere, alla morte chezze a favore dr le la possibilità di al di là, nel Duecr venti, dovuti in ra sta debolezza e qr Innocenzo m in p< -7_ Alle origini dell'Italia di antico regime cia, quelli elaborati so del lungo conflir parentesi (di «catti: ragioni della lunga : della politica della .ndo maturò un nuoattolico. Tale equilie il papato, che non ronte comprendeva, rle italiano e grandi reriodo avignonese, il 1308 e il 1382). nque di rafforzare il rze e Napoli, e di rira olto il trasferimento : quello tradizionale orio xr nel 1377 non i rinnovata centralità fase francese del pa- lla chiesa occidentaela del re di Francia irande scisma. ,io composti in gran : di Gregorio xl. Cogruppo di cardinali ando il primo riprire pontefici e per più io cattolico: in parti:r Clemente vll. Nel azione di un apposindro v, ma la debole on venissero ricono;iungesse ai due già uione altrettanto raclesiastiche. Maturò arista che opponeva Lella della grande asrticamente universar che ha generato il infine a comporre il 'sona di Martino v. I concili furono convocati numerosi durante e dopo lo scisma e per qualche tempo sembrò che potessero in effetti agire come forti soggetti di governo accanto al papa; ma entro la metà del XV secolo la tradizionale concezione monarchica prevalse, spegnendo le aspirazioni alla rifondazione in senso diarchico dell'organizzazione ecclesiastica. Se facciamo bene a sospettare di una troppo facile immagine di decadenza attribuita al papato avignonese, non abbiamo motivo di dubitare invece che questa monarchia avesse pochi elementi in comune con quella dei papi del XII e XIII secolo (cfr. la lezione xvt). Alla luce degli sviluppi successivi, l'avvio della fase francese (1309) segnò dawero il tramonto del grandc progetto teocratico di cui pontefici come Gregorio vl, Urbano rr, Innocenzo Itt e Innocenzo Iv erano stati interpreti prestigiosi, e che nella sconfitta degli svevi era parso raggiungere un momento effimero di piena realizzazione. La chiesa che uscì dalla stagione avignonese e poi da quella dello scisma occidentale (nello scorcio degli anni dieci del Quattrocento) era totalmente diversa da quella di cui Bonifacio vru aveva ribadito l'indiscusso primato, valido nei confronti di ogni potere temporale. Il papato dovette infatti deporre, sul piano politico, quasi ogni ambizione di universalità e di primato europeo per diventare, gradualmente,forza regionale, legata ai domini territoriali dell'Italia centrale. L età dello scisma, proprio perché di grandissima debolezza per il papato, era anche stata quella in cui si erano intensificate le rivendicazioni di una parziale autonomia delle chiese nazionali, vale a dire di una minore centralizzazione della gestione dei benefici* disseminati in tutto il mondo cattolico: da qui appunto la necessità di un governo più accorto delle risorse disponibili nell'ambito dei diretti domini del papa. A partire da Martino v la gestione delle terre pontificie cambiò significativamente indirizzo, con un effettivo incremento della capacità di controllo di uno spazio sottoposto, fino ad allora, a una sovranità quasi dappertutto meramente nominale. Per capire meglio le ragioni della debolezza dell'autorità pontificia sulle terre dell'Italia centrale formalmente sottoposte alla sua autorità occorre fare un passo indietro. Lo abbiamo accennato: il papato è una monarchia anomala, rispetto ai modelli che si affermano in Europa occidentale. Il carattere elettivo determina infatti non solo che, come è ovvio, non possa fissarsi una continuità dinastica, ma anche che non possa consolidarsi, come avviene altrove, uno spazio di domini signorili governato direttamente dal monarca (cfr. la lezione xttt). I veri radicamenti territoriali sono quelli sviluppati dalle grandi famiglie aristocratiche (dalle cui file molti papi provennero), non quelli del pontefice in quanto tale; per cui era normale assistere, alla morte del papa, a una complessiva redistribuzione di poteri e di ricchezze a favore dei familiari del neoeletto. In assenza di un vero spazio demaniale la possibilità di controllare efficacemente altre porzioni di territorio non andava al di là, nel Duecento, dell'amministrazione di un certi numero di censi e di proventi, dovuti in ragione della superiore autorità del pontefice su quelle tere. Questa debolezza e questa discontinuità della capacità di governo delle terre che da Innocenzo rrr in poi vengono riconosciute al dominio del papato è testimoniata dal 633 Fine del progetto teocratico: dalla rivendicazione universalistica alla dimensione regionale I fondamenti del potere pontificio: famiglie signorili e curia romana Storia medievale fatto che nell'ambito di questi territori poterono svilupparsi, insieme a grandi strutture di dominio signorile, anche autonomie comunali - nelle città dell'Umbria, della Tuscia, della Romagna e dell'Emilia - in forme del tutto simili a quelle nel governo dei t definito si sarebbt Insomma, i dc spazio in cui repe tefice, nonché sva stanzialmente libe che conosciamo per l'area tosco-padana. Ma alla fragilità dell'autorità temporale sulle terre rivendicate al proprio dominio in ltalia centrale si contrappone un grande sviluppo degli apparati di curia: il processo di gerarchizzazione della struttura ecclesiastica, awiato a partire dalla riforma gregoriana, sottopone la rete episcopale al controllo romano: un controllo non solo spirituale e dottrinale, ma anche politico e economico. È qùesta la vera centralizzazione che si realizza lungo il l,a conclusionr cennato, una cesu nea delle struttuft che i pontefici fu: XII e il XIII secolo: non quella del governo territoriale dei domini pontifici italiani (che sarebbe risultata anacronistica e non avrebbe avuto riscontri in altre realtà politiche), bensì quella relativa al con- efficace amminist Già nel Duece fra quelle mediatc governate da un s le altre prevedeva amministrate da§ (un rettore o un lt trollo della complessa macchina ecclesiastica, articolata capillarmente in tutto l'Occidente. La piena subordinazione al papato delle cariche episcopali e di quelle relative ai maggiori enti monastici si tradusse anche, se non nell'acquisizione diretta, certo nella gestione di una parte cospicua dell'immenso patrimonio detenuto dalle chiese locali, fatto di diritti signorili, di censi, di decime*, di donazioni pie: in una parola di tutte quei proventi che, intrinsecamente uniti a una carica ecclesiastica, costituivano il suo «beneficior, *. maggiori comuni quali, nel corso ( mente nuovi: sian desimi anni, da F stessa e fu, volta quali l'affermazic colare, di parti si1 ze, come in Venel Era soprattutto l'attività di attribuzione e di distribuzione di cariche e benefici a fare del papato, specie a partire da lnnocenzo m, una grande potenza temporale. Una potenza che aveva bisogno di una forte struttura burocratica: non a caso la macchina che presso la Santa Sede produceva documentazione (la Cancelleria pontificia) era di gran lunga la più sviluppata in Occidente e la burocrazia aveva dimensioni paragonabili con nessuna delle monarchie tenitoriali. Il tentativo Queste tendenze vennero confermate e accentuate ad Avignone. I.a struttura «popolare» di curiale si sviluppò ulteriormente mentre la corte papale assunse anche la funziocoladiRienzo ne di grande Crocevia culturale (cfr. per gli aspetti storico-artistici la lezione xx); ma la presa del governo pontificio sui teritori dell'Italia centrale si indebolì ulteriormente lasciando campo sostanzialmente libero soprattutto all'iniziativa signorile (e anche agli esperimenti di governo monocratico all'interno dei comuni). È in questo contesto che Roma, che si era sviluppata anch'essa a comune, vive l'esperietaa di Cola di Rienzo, una singolare figura di popolano colto e visionario che nel1,347, con il consenso della curia avignonese, s'impadronì del Campidoglio proclamandosi «tribuno della pace, della libertà e della giustizia>>. Uideologia di restaurazione della romanità repubblicana lo spinse in breve ad allargare le proprie ambizioni e a tentare il dialogo con altre città e con I'imperatore Ludovico il Bavaro. Giunse allora la tempestiva condanna di papa Clemente vl, preceduta però da una congiura aristocratica che interruppe nel 1450 il progetto di Cola. D'altra parte, proprio l'allarme che una situazione di questo tipo suscitò negli ambienti della curia avignonese poté consentire un intervento per molti versi incisivo come quello del legato, cardinale Albornoz (tra il 1353 e il L367). Quello dell'Albornoz fu soprattutto un riordino giuridico, non rappresentò alcuna svolta 1 garantire la contir tazione della pien narchiche d'oltral stà autonome (ch una rete di uffici raccogliere quantr governo centrale, ni comunali il go, le occasioni di ter ritori dell'Italia cr Irggendo, ad Santa Sede e il g dimensione pattiz periore, seppure I minium fino ad al al papa Nicolò v, strazione rimangi guano nelle loro I simi organi comu 634 -L- V- Alle origini deli'Italia di antico regime ;i, insieme a grandi nelle città dell'Umtutto simili a quelle :ate al proprio domi- apparati di curia: il viato a partire dalla omano: un controllo co. È questa la vera nel governo dei territori pontifici, anche se l'inquadramento istituzionale allora definito si sarebbe in gran parte mantenuto nei secoli successivi. Insomma, i domini italiani del papa costituivano nel XIII e XIV secolo uno spazio in cui reperire signorie e giurisdizioni per le clientele e i familiari del pontefice, nonché svariati tipi di redditi per le casse della curia, ma che rimaneva so- ronese, s'impadronì stanzialmente libero da condizionamenti. La conclusione del grande scisma, segna in qualche modo, come abbiamo accennato, una cesura. Non che da allora si assista a una crescita lineare e omogenea delle strutture di govemo e del controllo territoriale; tuttavia non c'è dubbio che i pontefici furono costretti ad affrontare più regolarmente il problema di una efficace amministrazione dei loro domini. Già nel Duecento le comunità che componevano tali domini si distinguevano fra quelle mediate subiectae e quelle immediate subiectae. Mentre le prime erano governate da un signore senza interferenza da parte del papa e dei suoi funzionari, le altre prevedevano, in generale, una forma di governo mista: in parte esse erano amministrate dagli organi della comunità, in parte da un rappresentante del papa (un rettore o un legato). Ora, fra le terre immediate subiectae rientravano anche i maggiori comuni cittadini (Bologna, Perugia, Ascoli, Macerata, Ancona), con i quali, nel corso del Quattrocento, il governo pontificio stabilì rapporti formalmente nuovi: siamo così di fronte allo stesso problema affrontato, proprio nei medesimi anni, da Firenze e da Venezia. La soluzione, anche qui, non era sempre la stessa e fu, volta per volta, contrattata con i ceti dirigenti locali. M furono casi nei quali l'affermazione dell'autorità centrale fu forte, con l'incameramento, in particolare, di parti significative delle risorse fiscali; altri nei quali emergono tendenze, corne in Veneto, a rispettare la tradizionale integrazione fra città e contado e a garantire la continuità delle forme di autonomia giurisdizionale e fiscale. La limilazione della piena autonomia delle città si manifestò, come in alcune realtà monarchiche d'oltralpe, con la sovrapposizione a questo complesso mosaico di potestà autonome (che per semplicità abbiamo ridotto alle sole città) da una parte di una rete di uffici provinciali (in parte già esistente), come i tesorieri, incaricati di raccogliere quanto dovuto alla Camera apostolica; dall'altra dei rappresentanti del governo centrale, che in forme diverse da realtà a realtà, cogestivano con gli organi comunali il govemo locale. Una pragmatica dimensione diarchica che limitava le occasioni di tensione ma rafforzava nel contempo la presenza pontificia nei ter- bertà e della giusti- ritori dell'Italia centrale. lo spinse in breve tre città e con l'imdanna di papa Cle:erruppe nel 1450 il Leggendo, ad esempio, i capitoli che nel 1443 disciplinarono i rapporti fra la Santa Sede e il grande comune di Bologna, è possibile toccare con mano questa dimensione pattizia (o contrattuale) dei rapporti fra una comunità e un potere superiore, seppure nella versione più favorevole alla città soggetta: iurisdictio e dominium fino ad allora rivendicati alla sfera della libertà comunale vengono ceduti al papa Nicolò v, al quale viene giurata fedeltà; ma la città ottiene che l'amministrazione rimanga principalmente autogestita, che le antiche magistrature proseguano nelle loro funzioni; che il legato pontificio deliberi sempre insieme ai massimi organi comunali. on quella del goverltata anacronistica e rella relativa al con- pillarmente in tutto episcopali e di quelcn nell'acquisizione rso patrimonio detercime*, di donazioni rniti a una carica ecJi cariche e benefici I potenza temporale. atica: non a caso la one (la Cancelleria la burocrazia aveva ali. gnone. La struttura rse anche la funzio- -artistici la lezione lia centrale si inde)prattutto all'iniziartico all'interno dei ata anch'essa a codi popolano col- Lra a o tipo suscitò negli :er molti versi incie il 1367). Quello sentò alcuna svolta 635 I domini papali: comunità mediate e immediate subiectae Storia medievale 6. L'egemonia k innovazioni istituzionali nei regni meridionali La Sicilia nell'orbita catalano. aragonese iberica nel Mezzogiorno. finitivamente mutz ma istituzionale ar Barcellona la diffi Ferdinando di Tras :. slcrllana. E, ln quel Nei paragrafi precedenti abbiamo parlando di stati <<nuovi»: di casi cioè di costruzione ex novo di ambiti territoriali inediti, oppure di vicende, come quelle relative allo stato pontificio, proprie di una formazione politica non nuova, ma che solo nel Quattrocento sembra assumere una fisionomia sufficientemente precisa. È interessante tornare allora a considerare i regni meridionali per constatare che anche queste realtà, pur dotate di un'identità territoriale indiscussa e, almeno in apparenza, di strutture istituzionali più consolidate, tra la fine del Trecento e la prima metà del Quattrocento sono teatro di importanti innovazioni politiche e istituzionali. I processi che mutano il volto del Mezzogiomo e della Sicilia vanno ordinati, per semplicità, all'interno di una precisa traiettoria che in parte conosciamo già: l'allargamento verso il Meditenaneo centrale e l'Italia della sfera di influenza dei regni iberici, e in particolare di quello catalano-aragonese che proprio sul controllo di una gran parte del Mediterraneo aveva costruito la sua potenza. L'espansione catalano-aragonese è stata già evocata in un'altra parte di questo manuale (cfr. la lezione xvu): qui il processo di graduale assorbimento dei regni meridionali nell'area di influenza catalana prima e castigliana poi va osservato da un punto di vista interno ai regni medesimi, ricondotto cioè alle dinamiche endogene che lo resero possibile. Per quanto riguarda il regno di Sicilia, sappiamo che per tutto il Trecento i rapporti con la Catalogna non cessarono mai di condizionare il sistema politico. Quando scoppiò, nel 1377 ,la grave crisi dinastica che avrebbe lasciato per quindici anni la Sicilia senza re fu possibile dunque che fra le varie soluzioni prevalesse quella ispirata da ambienti vicini alla casa regnante barcellonese. IJincapacità della società politica siciliana di formulare una propria ipotesi di sblocco della grave situazione di stallo si incrociò con le ambizioni del fratello di Giovanni r d'Aragona, Martino duca di Montblanch, che nella crisi siciliana intravide una preziosa op portunità politica. Il duca, disponendo il matrimonio fra suo figlio Martino e Maria, figlia del defunto re Federico rv, favorì la legittimazione del primo come pretendente al trono: era il primo passo di un complessivo progetto diplomatico-mili tare finalizzato all'acquisizione della corona siciliana. L'intervento vero e proprio ebbe luogo nel7392, un anno dopo il matrimonio: il duca e il figlio si trasferirono in Sicilia a capo di una composita armata, fatta per lo più di piccola e media aristocrazia, che poté garantire l'incoronazione del giovane Martino (r) ma non la completa pacificazione: l'autorità effettiva, quella del duca, trovò resistenze diffuse in vasti settori dell'aristocrazia che furono piegate nel giro di alcuni anni. Benché il regno conservasse la propria autonomia è indubbio che la sua gravitazione nell'orbita catalano-aragonese si accentuasse notevolmente. Ancor più questa tendenza si aggravò allorché il duca Martino successe al fratello sul trono barcellonese nel 1395: i legami fra le due corone divennero allora strettissimi. E quando poi Martino I di Sicilia morì senza eredi nel 1409 fu il padre a succedergli, riunendo nella sua persona le due corone. Da allora la Sicilia non ebbe più un proprio re: era la premessa alla transizione che nel giro di pochi anni avrebbe de- liano, parte integra Questa vicenda a proposito nei dis mento) di interi an cilia perse l'indir dell'«unione perso della (relativa) autr parte, Ia propria in nuovo cardine istit toglie che il vero c, se spostata lontano L'ingresso di ur ne, all'interno di u ziata culturalmente vero che il regno n senza mai diventar colazione di persor strativa al suo inte somma come perif la Sicilia beneficiò manendo largamen la propria «sovranil La vicenda 1414), una crisi de spettacolare graviti per nuovi intervent pe, del re aragones Giovanna, impegni giò, prospettò a ent Alfonso v, che pr< centro del Mediterr nell'impresa napolr zioso serbatoio di r di un'occasione ser 1435 (che seguiva r va di fatto vacante Alfonso riuscisse n 636 -.--_-----\__ nap< i suoi esiti rimarran La rinnovata cr L -F Alle origini dell'Italia di antico regime ). »: di casi cioè di corde, come quelle rer non nuova, ma che entemente precisa. .onali per constatare indiscussa e, almeno ine del Trecento e la zioni politiche e isti:lla Sicilia vanno orre in parte conosciarlia della sfera di in:agonese che proprio ruito la sua potenza. altra parte di questo sorbimento dei regni l poi va osservato da llle dinamiche endo"rtto il Trecento i rap- il sistema politico. e lasciato per quindi- r soluzioni prevalesse :se. IJincapacità deli sblocco della grave Giovanni I d'Arago,ride una preziosa op figlio Martino e Madel primo come pretto diplomatico-milivento vero e proprio figlio si trasferirono .ccola e media aristoo (t) ma non la com- resistenze diffuse in uni anni. ,bio che la sua gravi- 'olmente. Ancor più : al fratello sul trono allora strettissimi. E il padre a succeder- :ilia non ebbe più un chi anni avrebbe de- finitivamente mutato la collocazione della Sicilia, attraendola nell'alveo del sistema istituzionale aragonese. Nel 1410 morì anche Martino il vecchio e si aprì a Barcellona la difficile stagione dell'interregno, chiusa nel1412 con l'elezione di Ferdinando di Trastamara, al quale venne anche attribuita la titolarità della corona siciliana. È in quell'anno che ii inaugura formalmente la storia del viceregno siciliano, parte integrante della cosiddetta corona d'Aragona. Questa vicenda, come pure quella più tarda relativa al regno di Napoli, giunge proposito a nei discorsi fin qui fatti sui fenomeni di integrazione (non di scioglimento) di interi ambiti istituzionali in aggregazioni più vaste e composite. I.a Si- cilia perse l'individualità dinastica, non perse il regno: secondo la dottrina dell'«unione personale>» un re poteva essere titolare di più corone e farsi garante della (relativa) autonomia di ciascun regno. Di fatto il regno mantenne, almeno in parte, la propria individualità istituzionale e il proprio diritto, e anche il viceré, il nuovo cardine istituzionale, poteva essere tanto iberico quanto siciliano: ciò non toglie che il vero centro della legittimazione politica, la fonte del privilegio si fosse spostata lontano, a Barcellona. L'ingresso di una realtà di per sé complessa come un regno di antica tradizione, all'interno di una dimensione geografica e istituzionale più vasta e differenziata culturalmente non è fenomeno riducibile a poche varianti. Ad esempio se è vero che il regno mantenne la sua identità istituzionale (e non solo formalmente), senza mai diventare provincia di un dominio accentrato, è anche vero che la circolazione di personale politico iberico favorì fenomeni di innovazione amministrativa al suo interno, specie nell'ambito dell'amministrazione finanziaria. Insomma come periferia di una complessa configurazione politica sovranazionale, la Sicilia beneficiò della circolazione di uomini, di culture, di stili burocratici, rimanendo largamente «stato» e non perdendo neppure, in stretti termini giuridici, la propria «sovranità». La vicenda napoletana ha chiari punti di contatto con quella siciliana, anche se i suoi esiti rimarranno largamente peculiari. Riassumiamo brevemente gli eventi. La rinnovata crisi della corona angioina sotto Giovanna [ (salita al trono nel 7414), una crisi dettata dall'inasprirsi delle lotte di fazione, assunse caratteri di spettacolare gravità quando la fragilità dell'equilibrio interno divenne occasione per nuovi interventi estemi: del papa, della corona francese e degli Angiò d'oltralpe, del re aragonese Alfonso v, che nel 1416 era succeduto al padre Ferdinando. Giovanna, impegnandosi, in tempi diversi, ad adottare Alfonso e Luigi Iu d'Angiò, prospettò a entrambi la possibilità di legare Napoli all'una o all'altra dinastia. Alfonso v, che progettava l'espansione dell'area di influenza catalana verso il centro del Mediterraneo, decise di investire cospicue energie militari e finanziarie nell'impresa napoletana: costituendo la Sicilia come piattaforma logistica e prezioso serbatoio di risorse, condusse una logorante guerra di conquista che in più di un'occasione sembrò a un passo dal fallimento. Dopo la morte di Giovanna nel 1435 (che seguiva di un anno quella di Luigi ur), mentre a Napoli il trono rimaneva di fatto vacante, era necessario che trascorressero altri sette anni prima che Alfonso riuscisse nel1442 a fare il suo ingresso trionfale nella capitale. 637 Alfonso d'Aragona ela riunificazione dei regni Storia medievale ANapori Alfonso operò a quel punto una scelta dalle profonde implicazioni: volle cioè fissare a Napoli la propria residenza, facendone il centro di un sistema politico (la corona d'Aragona) che era anche un impero commerciale: un impero che, sotto la sua spinta si era allargato verso Cipro, la penisola balcanica, l'impero orientale. I-a coordinazione e il governo di questo impero erano al centro delle preoccupazioni di Alfonso, assai più che il controllo delle singole componenti, cioè dei diversi regni. Coordinazione, non unificazione: secondo uno stile politico di cui abbiamo colto già altre manifestazioni nell'area di influenza catalana, ciascun regno manteneva la sua indiscussa identità. Ma il re progettava una comunità economicamente integrata dall'iniziativa dei mercanti catalani, una comunità mediterranea di cui la corona intendeva aiutare la crescita mediante una serie di misure protezionistiche e di incentivazione alle produzioni locali: ecco perché, Alfonso immaginò, per la prima volta, la costruzione di una serie di uffici con competenze su tutto lo spazio della corona d'Aragona, così da superare la mera unione personale dei vari regni e sperimentare il governo di uno spazio istituzionale parzialmente federato o multiplo. Una novità assoluta appunto, che va valutata per la carica progettuale che racchiude più che per i suoi effetti pratici. Il punto di equilibrio dell'"impero» catalano rimase la persona del re e nessun processo istituzionale valse a corroborare davvero le prove di governo unitario messe in atto dal sovrano. Del resto, subito dopo la conquista di Napoli, Alfonso aveva contraddittoriamente deliberato che alla sua morte il regno di Napoli fosse separato dagli altri domini aragonesi e fosse destinato al figlio naturale Ferrante; le volontà del re furono rispettate e nel 1458 la sua fragile costruzione ebbe fine. Il governo dei regni iberici, e della Sicilia, passò al fratello Giovanni, che fece rientro a Barcellona e la cui prospettiva tornò, quasi per reazione, decisamente orientata nel senso del rafforzamento della piattaforma iberica della monarchia. Ferrante, che regnò fino aL1494, fu uomo napoletano fino in fondo, ma decisamente partecipe dell'eredità culturale e politica del padre, tanto è vero che la presenza dei mercanti e degli intellettuali catalani alla corte napoletana poté mantenersi suggerendo l'idea che qualcosa del progetto alfonsino fosse sopravvissuto. 7. L'Italia degli stati: regni, repubbliche e principati. Nel 1402 la n espansionistica de padana dagli anni dello zio Bernabò. ca in Italia settenl l'assunzione della Yerona, mettendo proceduto nello sl spondenti alle due Belluno) erano fin Galeazzo aveva pr -ia centrale le sue :-rne, Bologna. La sione sicura, deter ielle conquiste rer .lombardo» dello Come abbiamr seguito l'espansio riunti i confini ch, Fra gli ultimi i siruì 1o stato territ :rel 1406, di Pisa. Nell'area suba :aratteri unitari d quella dei domini rvalli d'Aosta e di dinastia; e quella ambito propriame La conclusiont zamento del poter tosi al concilio di Tra il 1392 e i Ia sua formale aut verrà negli anni qr Infine riflettiar La nuova Non c'è nessuna cronologia sufficientemente precisa che consenta di mettere a nappa fuoco la transizione dall'ltalia comunale e signorile, uno spazio dal volto sfaccetu"l.o.'.t": tato e instabile, all'Italia dei principi e degli «stati territoriali», più strutturata e italiani dai confini meno effimeri. E possibile però osservare una certa simultaneità di sviluppi e di passaggi significativi che consentono di cogliere, a cavallo fra Tre e Quattrocento, i segni di una qualche stabilizzazione della complessiva geografia politica. Proviamo a comporre una mappa ordinata delle presenze e dei principali snodi cronologici, riassumendo anche i dati emersi nei precedenti paragrafi. 638 che attarverso l'ot 1395 Gian Galea: voia; nel 1,432 i estensi: nel 1452 nel1471 duca di I Agli inizi del conclusa: al suo ; variabili, nei qual ti, tanto i maggior Y_ Alle origini dell'Italia di antico regime licazioni: volle cioè sistema politico (la impero che, sotto la l'impero orientale. :ro delle preoccupa- lonenti, cioè dei di,e politico di cui abrlana, ciascun regno comunità economi:omunità mediterrauna serie di misure :co perché, Alfonso fici con competenze mera unione perso- stituzionale paruial'a valutata per la ca- i. di equiliistituzioo messe in atto dal I1 punto 1 processo eva contraddittoriaseparato dagli altri le volontà del re fuIl governo dei regni )ntro a Barcellona e :ntata nel senso del ante, che regnò fino artecipe dell'eredità mercanti e degli intgerendo l'idea che rcipati. lnsenta di mettere a io dal volto sfaccet- i", più strutturata e erta simultaneità di . a cavallo fra Tre e nplessiva geografia dei principali snodi ragrafi. Nel 1402 la morte di Gian Galeazzo segna l'arresto repentino della politica espansionistica dei Msconti, protagonisti indiscussi nella scena politico-militare padana dagli anni trenta del Trecento. Dal 1385, in particolare, dopo l'assassinio dello zio Bernabò, Gian Galeazzo aveva spinto al massimo l'ambizione egemonica in Italia settentrionale, minacciando anche direttamente Firenze. Subito dopo l'assunzione della signoria Gian Galeazzo era riuscito dapprima a sottomettere Verona, mettendo fine all'esperienza scaligera; poi alleandosi con Venezia aveva proceduto nello stesso modo nei confronti dei Carraresi: nel 1389 Ie aree corrispondenti alle due grandi signorie venete (con Verona, Padova, Vicenza, Feltre e Belluno) erano finite dunque sotto controllo visconteo. Tra il 1399 e il 1402, Gian Galeazzo aveva proseguito l'intensissima iniziativa militare spostando verso l'Italia centrale le sue mire: vennero così acquisite Pisa, Siena, Perugia, Spoleto e, infine, Bologna. l,a morte improwisa del duca, in assenza oltre tutto di una successione sicura, determinò iI collasso di una strategia tutt'altro che definita, la perdita delle conquiste recenti e, in prospettiva, il consolidamento definitivo del carattere «lombardo» dello <<stato>> visconteo. Come abbiamo già visto, alla morte di Gian Galeazzo fece immediatamente seguito l'espansione veneziana in Terraferma: tra il 1404 e il 1428 vennero raggiunti i confini che la Repubblica avrebbe conservato per tutta l'età moderna. Fra gli ultimi anni del Trecento e i primi due decenni del Quattrocento si costruì lo stato territoriale fiorentino, grazie alla crisi viscontea e la sottomissione, nel 1406, di Pisa. Nell'area subalpina occidentale emergono, sotto Amedeo vnr (1391-1,440), i caratteri unitari dello spazio sabaudo, tradizionalmente articolato in due aree: quella dei domini situati insieme con la contea di Savoia in piena regione alpina (valli d'Aosta e di Susa, il Vaud) e sottoposti al dominio del ramo principale della dinastia; e quella che, sotto il ramo secondario dei Savoia-Acaia, si estendeva in ambito propriamente piemontese. La conclusione del grande scisma nel 1418 apre una nuova stagione di rafforzamento del potere papale in ltalia centrale. Primo protagonista è il papa affermatosi al concilio di Costanza, Martino v (1417-1.431). Tra il1.392 e il1412 cambia Ia collocazione del regno di Sicilia: mantenendo la sua formale autonomia entra a far parte del sistema della corona d'Aragona che verrà negli anni quaranta allargato anche al regno di Napoli. Infine riflettiamo sulla tendenza dei principi a rafforzare il proprio potere anche attarverso I'ottenimento di diplomi, per lo più imperiali, di legittimazioni. Nel 1395 Gian Galeazzo viene creato duca di Milano enel1416 Amedeo vtu di Savoia; nel 1432 i Gonzaga vengono fatti marchesi. Più tarde le legittimazioni estensi: nel1452 Borso d'Este viene elevato a duca di Modena e Reggio (e solo nel 1.471duca di Ferrara). Agli inizi del Quattrocento la storia dell'Italia comunale è dunque del tutto conclusa: al suo posto c'è uno spazio occupato da stati territoriali, di dimensioni variabili, nei quali le città mantengono una funzione del tutto cruciale. Questi stati, tanto i maggiori (repubblica di Firenze, repubblica di Venezia, ducato di Mila639 Storia medievale no) quanto i minori hanno dunque acquisito una compiuta dimensione territoriale li pone accanto ad altre formazioni, collocate a nord come a sud della penisola, nelle quali tale dimensione durava da più tempo, connaturata in alcuni casi (le monarchie meridionali) all'esistenza stessa dello stato. Nonostante la tendenza alla semplificazione la geografia politica italiana rimane molto varia perché vario è l'assetto di tali formazioni: regni; repubbliche oligarchiche (Venezia e Firenze); stati signorili con forti presenze cittadine (ducato di Milano; signoria estense); stati monocittadini, tanto repubblicani quanto signorili (Mantova e Lucca); stati signorili con deboli presenze cittadine (marchesati piemontesi, ducato sabaudo, signorie romagnole). Questo scenario era indubbiamente meno fluido di quello di mezzo secolo prima, e la presenza degli attori principali, per tutto il Quattrocento non fu più messa in discussione. Ciò non toglie che il sistema dei rapporti fra gli stati non assunse affatto una fisionomia rigida. Almeno fino alla metà del secolo, infatti, il gioco della competizione politico-militare non si attenuò mai e gli equilibri fra le maggiori entità mutarono più volte. Gran parte della penisola, da Napoli in su, si mantenne teatro di guerre ripetute e di fittissime relazioni diplomatiche: la ricerca, insieme, di sicurezza e di più ampi spazi di influenza politica, spingeva a mantenere aperta ogni possibilità di mutamento del sistema dei rapporti. La labilità degli equilibri maturati agli inizi del Quattrocento, in rapporto alla crisi viscontea, emerge chiaramente allorché, dopo il 1412, l'assunzione della corona ducale da parte di Eilippo Maria Visconti consentì la ripresa in grande stile dell'azione milanese. Nel 1421 venne occupato un nodo strategico come Genova e nel7423 parte della Romagna. Da qui la decisione di Venezia e Firenze di costituire nel 1426 una lega antiviscontea alla quale aderirono gli Este, i Gonzaga e, successivamente anche Amedeo vul di Savoia. Dopo la sconfitta dell'esercito milanese a Maclodio nel 1427 e la successiva pace di Ferrara il sistema degli stati parve stabilizzarsi: certamente fu allora, ad esempio, che il confine occidentale della repubblica veneziana venne definitivamente precisato (mediante l'acquisizione di Brescia, Bergamo e di parte del cremonese) Il ftl rouge della politica estera fiorentina e veneziana, e cioè il contenimento delle tendenze espansive viscontee, si aggrovigliò quando, pochi anni dopo, la presenza in Italia di Alfonso v d'Aragona, chiamato già nel I32l da Giovanna ll di Napoli, introdusse una nuova variabile, quella del possibile insediamento a Napoli di una delle maggiori fra le dinastie regnanti del Mediterraneo. Tale prospettiva fu alf inizio contrastata vivacemente da Filippo Maria Visconti, che ottenne che la flotta genovese combattesse sotto le sue bandiere, sconfiggendo gli aragonesi a Ponza nel 1435. La prigionia dello stesso Alfonso a Milano favorì tuttavia un'intesa con il duca che sarebbe durata fino alla morte di quest'ultimo, nel L447. Il rovesciamento del quadro delle alleanze aiutò naturalmente Alfonso nelle fasi successive della conquista di Napoli, conclusa nel1442; ma soprattutto scompaginò per qualche anno la logica che muoveva il confronto fra le potenze. Il disegno che parve profilarsi fu allora quello di un'egemonia visconteo-napoletana al centro del Mediterraneo, tanto più temibile in quanto, dopo decenni di grande deche Il gioco della nuova competizione politico- militart 640 _L- bolezza della coro mava una forte aur La prospettiva pratica tutte le potr terruppe definitiva una volta l'equilib della successione z 66), grande condo anni di guerre ital competizione, che Dopo che lo Sf instabilità si disso stantinopoli nel 1z trauma della fine cioè i termini di ur scritta da Milano e guito, l'anno succr < garantisse la pace trollo i cinque stati italiano: il regno d Firenze, il ducato r Tra le forze ch Firenze e il ducatr rivolgimenti intem marsi brevemente. fondo dei processi to quella alla conct stretti. Ma con alcr clientelismo, delle burocrazia, come I dal ruolo di condi professionismo mi Cominciamo di extraistituzionali o sero un grande per del medioevo è pe. zionale e assetti di In modi diversi ristretto mondo de Quattrocento dallc rapporti di patrona cietà fiorentina, do meno diverso: la p conoscimento del I ----r Alle origini dell'Italia di antico regime )nsione territoriale r sud della penisoa in alcuni casi (le nte la tendenza alaria perché vario è bnezia e Firenze); signoria estense); rva e Lucca); stati i, ducato sabaudo, mezzo secolo pric non fu più messa .i stati non assunse lo, infatti, il gioco iuilibri fra le magapoli in su, si maniche: la ricerca, inngeva a mantenere to, in rapporto alla ;sunzione della co'esa in grande stile gico come Genova e Firenze di costiEste, i Gonzaga e, ta dell'esercito mi- sistema degli stati onfine occidentale nediante l'acquisirè il contenimento rchi anni dopo, la i21 da Giovanna II nsediamento a Nameo. Tale prospet;conti, che ottenne gli aragoano favorì tuttavia i_egendo t'ultimo, nel1447. Alfonso nelle fasi )prattutto scompale potenze. Il dise- nteo-napoletana al renni di grande de- bolezza della corona napoletana, adesso con la presenza del re aragonese si affermava una forte autonomia, anche economica, del Mezzogiorno. La prospettiva coalizzò un fronte contrario che riuniva, attorno a Venezia, in pratica tutte le potenze italiane. Ma la morte nel 1447 di Filippo Maria Visconti interruppe definitivamente ogni ipotesi egemonica dei milanesi, aggiornando ancora una volta l'equilibrio generale. Cambiarono nuovamente le alleanze e il problema della successione al ducato di Milano - alla quale ambiva Francesco Sforza (145066), grande condottiero e genero di Filippo Maria, protagonista assoluto di questi anni di guerre italiane - si intrecciò intimamente con gli ulteriori sviluppi della competizione, che videro da ultimo Venezia contrapposta a Firenze e a Milano Dopo che lo Sforza nel 1450 raggiunse la corona ducale uno degli elementi di instabilità si dissolse. Ma fu necessario un forte input esterno, la caduta di Costantinopoli nel 1453, perché gli stati, e Venezia innanzitutto, la più toccata dal trauma della fine della presenzabizantina, arrivassero a una pace vera, fissassero cioè i termini di un equilibrio duraturo. Fu questa la pace di Lodi del 1454, sottoscritta da Milano e Venezia e poi accettata anche dalle altre forze. Ad essa fece seguito, l'anno successivo, la piÌr impegnativa costituzione di una Lega italica che garantisse la pace e I'intesa faticosamente raggiunta e che vincolasse all'autocontrollo i cinque stati definitivamente affermatisi come protagonisti dello scacchiere italiano: il regno di Napoli, lo stato pontitìcio, la repubblica di Venezia, quella di Firenze, il ducato di Milano. Tra le forze che aderirono alla Lega, alcunc, e in particolare la repubblica di Firenze e il ducato di Milano, avevano subito negli anni precedenti significativi rivolgimenti intemi che hanno assoluto rilievo generale e su cui è necessario fermarsi brevemente. Si tratta di vicende che confermarono alcune delle tendenze di fondo dei processi istituzionali descritti in precedenza (paragrafo 4), e innanzitutto quella alla concentrazione del potere politico nelle mani di nuclei oligarchici ristretti. Ma con alcune significative novità. Una è quella relativa allo sviluppo del clientelismo, delle relazioni fiduciarie, fra uomini politici, famiglie, membri della burocrazia, come parte integrante del sistcma istituzionale.Ualtra è rappresentata dal ruolo di condizionamento essrcitato dalla guerra, e in modo particolare dal professionismo militare, sulla configurazione degli equilibri politici. Cominciamo dalla prima novità. Non che prima di allora le pratiche di potere extraistituzionali o "private», della clientela, della relazione personale non avessero un grande peso nei sistemi politici. Ciò che colpisce in alcune realtà di fine del medioevo è però la convivenza esplicita, non mascherata, fra ufficialità istituzionale e assetti di potere non formali. In modi diversi la crescente diffusione di pratiche clientelari si osserva sia nel ristretto mondo del patriziato veneziano, il cui potere fu appunto cementato nel Quattrocento dallo sviluppo di una complessa rete di scambi matrimoniali e di rapporti di patronato fra i membri della classe dirigente; sia alf interno della società fiorentina, dove invece dai primi due decenni del secolo si assiste a un fenomeno diverso: la preminenza politica dell'oligarchia si struttura sulla base del riconoscimento del primato di un solo gruppo familiare. A Firenze il processo oli- 641, La caduta di Costantinopoli e la pace di Lodi Clientelismo islituzionale Storia medievale garchico (a differenza che a Venezia, Siena e Genova) aveva bisogno di un cardine, di un punto di equilibrio interno: di una famiglia attomo alla quale tutta la società politica potesse ordinarsi, attraverso appunto un complessa rete di relazioni e di clientele. Questo gruppo familiare eminente sembrò essere quello degli Albizzitra gli anni venti e gli anni trenta; ma nel 1433 si affermò, senza nessun mutamento istituzionale, Cosimo de'Medici, capo di una famiglia che possedeva una delle maggiori banche d'Europa. Cosimo governò appunto per trent'anni senza alcrn titolo formale, garantendo l'equilibrio intemo, e rafforzando l'influenza della propria famiglia. Spia delf interesse preminente di Cosimo a strutturare un forte sistema di relazioni interne, tale da rafforzare un regime privo di alcuna legittimazione, è una politica matrimoniale che escluse i contatti con rampolli di case regnanti italiane e europee e che volle invece legare i figli di Cosimo alle mag- circostanze molto fi politico-militare. Lr zione eterogenea: c che e signorili (Go recenti, soldati che Braccio da Monton za, il figlio di ques più celebri. Molti d :emunerazioni, ma sì feudi, signorie ci cito dello stato ponl :ugia, Alessandro S All'ombra delle :oteri, capaci di ins La più emblematica ,ila corona ducale r r giori famiglie fiorentine. Naturalmente Cosimo impose piccoli aggiustamenti istituzionali, e in particolare nei sistemi elettorali, che favorissero il controllo degli organi dello stato; ma la sua superiorità provenne essenzialmente dalla capacità di legare a sé amici e clienti, di estendere una base di consenso e di emarginare gli awersari. Alla morte di Cosimo, nel 7464, i Medici riuscirono a conservare il potere, a dimostrazio- zio Attendolo, prest, Eugenio e Filipp v ne del successo della sua opera. Si aprì per la verità, sotto il figlio Piero, una difficile parentesi durante la quale l'egemonia medicea fu messa in discussione. Il che indusse il successore di Piero, L.orenzo (che sarà detto il Magnifico, 1.469-92) a slia Bianca Maria. :tel napoletano, add _ino intervenire finalmente sui meccanismi istituzionali, abolendo gli antichi consigli comunali e sostituendoli con organismi decisionali apertamente oligarchici (un Consiglio dei cento nel1471e un Consiglio dei settanta nel 1480). La seconda novità nei sistemi politici quattrocenteschi che occolre mettere a Ascesa dei <<condottieri>> fuoco è costituita dal peso crescente esercitato dai professionisti della guerra, i condottieri, sugli equilibri di potere interni agli stati e sulle relazioni fra questi ultimi. Owiamente la capacità d'influenza di queste figure era basata innanzitutto sull'assoluta centralità della guerra: in quanto condizione semipermanente di questa stagione convulsa era attorno ad essa che gli stati regolavano gli assetti istituzionali interni, destinando allo spazio militare la gran parte delle risorse di cui disponevano. Ora, gli eserciti numerosi che si affrontavano in Italia erano in larga parte composti da mercenari di varia provenienza, organizzati in compagnie comandate da energici personaggi che si mettevano al servizio dei diversi govemi (mediante il contratto di condotta). Una fondamentale esigenza di efficienza aveva indotto già i govemi comunali e signorili del Trecento a superare gradualmente un'organizzazione fondata su milizie popolari di cives e di acquistare i servizi dei primi condottieri, stranieri per lo più; ma dalla fine di quel secolo il peso delle compagnie di ventura aumentò, la loro circolazione divenne un elemento costitutivo delle relazioni politico-diplomatiche fra gli stati e soprattutto fra i condottieri divennero decisamente prevalenti gli italiani. La graduale monopolizzazione delle condotte da parte dei capi militari italiani ebbe implicazioni molto profonde. Quella principale consiste nella formazione di una piccola élite di condottieri, un'élite mobile e spregiudicata che, con 1'aiuto di di Napoli, Mar :resa milanes€, corlr :uali Milano era sti :ienare la rinnovata :.'cettare la sottomis Il caso di France ,slituzioni nella cos =:tà delle relazioni p ::ibuivano a definire Abbiamo descril ::rritoriali bassome :::elli che già esiste' J,lsa sono esattamel --ti. la lezione xxù? = come si esercita I' :o parlato di afferm :esavano concretam :ominante, di un du, Può subito esser -.rientamento. È cer 642 L- Alle origini dell'Italia di antico regime bisogno di un cardirlla quale tutta la so)ssa rete di relazioni ere quello degli Al- ò, senza nessun muiglia che possedeva o per trent'anni sen- forzando l'influenza imo a strutturare un e privo di alcuna lei con rampolli di cadi Cosimo alle mag- zionali, e in particorgani dello stato; ma legare a sé amici e awersari. Alla morotere, a dimostrazioglio Piero, una diffin discussione. 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La compagine dei condottieri era composta da uomini di estrazione eterogenea: c'erano coloro che provenivano da grandi famiglie aristocratiche e signorili (Gonzaga, Malatesta, Este), ma c'erano anche soggetti di origini recenti, soldati che conobbero straordinarie ascese sociali attraverso la guerra: Braccio da Montone, Francesco Bussone da Carmagnola, Muzio Attendolo Sforza, il figlio di quest'ultimo Francesco Sforza, Iacopo dal Verme solo per citare i più celebri. Molti di costoro, contesi dai governi, beneficiarono non solo di ricche remunerazioni, ma anche della la possibilità di radicarsi localmente: ottennero così feudi, signorie cittadine, e anche uffici, legazioni, vicariati e rettorati (nell'ambito dello stato pontificio): Braccio di Montone fu fatto ad esempio signore di Perugia, Alessandro Sforza di Pesaro. All'ombra delle maggiori entità statali poterono così crescere forti e radicati poteri, capaci di inserirsi efficacemente nella dinamica politica locale e regionale. La più emblematica fra queste parabole fu quella che condusse Francesco Sforza alla corona ducale milanese. Francesco, figlio di un altro grande condottiero, Muzio Attendolo, prestò servizio presso diversi principi, fra i quali soprattutto il papa Eugenio v e Filippo Maria Visconti che gli aveva promesso in matrimonio la figlia Bianca Maria. Francesco, ereditando anche i domini già acquisiti dal padre nel napoletano, addensò negli anni quaranta una cospicua base signorile (fra regno di Napoli, Marche e Lombardia), che gli consentì la progettazione dell'impresa milanese, conclusa felicemente come sappiamo, nel 1450 (dopo tre anni nei quali Milano era stata retta da una repubblica ambrosiana che non aveva potuto frenare la rinnovata spinta espansionistica di Venezia e per questo aveva dovuto accettare la sottomissione allo Sforza). Il caso di Francesco Sforza è esemplare della centralità della guerra e delle sue istituzioni nella costruzione dell'Italia quattrocentesca; ma anche della complessità delle relazioni personali, della varietà di intrecci di clientele e servizi che contribuivano a definire la fisionomia della politica. 8. Equilibri istituzionali e rapporti di potere. Abbiamo descritto fin qui circostanze e processi di aggregazione degli stati territoriali bassomedievali, individuando nel contempo le ragioni che spinsero quelli che già esistevano a rinnovamenti profondi. Visti più da vicino, questi stati cosa sono esattamente? Quanto assomigliano alle realtà monarchiche d'oltralpe (cfr. la lezione xxl)? Come si configura 1'esercizio del potere al loro intemo, dove e come si esercita l'autorità pubblica? Quest'ultima è la domanda cruciale: avendo parlato di affermazione di poteri superiori, dobbiamo chiederci infine: quanto pesavano concretamente? In che cosa si esplica cioè la superiorità di un re, di una dominante, di un duca? Può subito essere offerta, in via preliminare, una risposta che suggerisca un orientamento. È certo che mai queste autorità superiori detengono il monopolio 643 Un primato politico, non una totalità di poteri Storia medievale del potere politico in un dato territorio, mai racchiudono la totalità della forza legittima, né di fatto, né giuridicamente; in altre parole non incarnano mai il modello di «stato modemo>> descritto da Max Weber all'inizio del nostro secolo. Sono autorità che condividono l'esercizio del potere con altri soggetti, esattamente con quelli che hanno accettato, spesso contrattandone le forme e l'articolazione, una geometria istituzionale che li vede subordinati ma che consente loro di conservare quote, che possono essere anche molto significative, di identità e di autonomia. I.a,pienezza di dominio su un territorio istituzionalmente unificato non esiste, I poteri che in taluni casi affermano, in altri ribadiscono o precisano, la loro superiorità esprimono certamente un primato ma sopra una costellazione di forze e di autonomie che rimane parte costitutiva del paesaggio politico. Ciò significa che i poteri politici e le prerogative «pubbliche» (che in questo periodo si riducono essenzialmente all'amministrazione della giustizia, alla potestà normativa, all'azione di reperimento di risorse economiche - non sempre di tipo fiscale -, alla mobi litazione militare) sono distribuiti fra chi detiene il primato e gli altri soggetti conosciuti. La logica di tale distribuzione, come è facile immaginare, è estremamente mutevole perché diversa è ogni volta la configurazione delle forze in campo e la mappa dei rapporti di forza. Varia dunque molto il grado di concentrazione del potere, di assorbimento cioè da parte del centro di funzioni di governo e di compiti amministrativi: è generalmente basso se lo valutiamo alla luce dei modelli ottocenteschi di stato modemo; ragguardevole, almeno in alcuni casi, se misuriamo la complessità dei processi di coordinazione e di aggregazione a cui ci siamo più volte riferiti. I-lautorità che fosse riuscita a promuoverli si confrontava infatti con una complessa pluralità di poteri e di ordinamenti: eterogenei e conflittuali, ma anche, spesso, radicati ed efficaci. Della complessità dei rapporti fra autorità superiore e realtà politiche soggette, le politiche finanziarie e fiscali, momento fondamentale dell'azione di govemo, rappresentano un ottimo strumento di verifica; come pure del grado di sviluppo di apparati di govemo e di strutture burocratiche centrali. I-a continua domanda di denaro da parte dei governi centrali, generata in larga misura dalla guerra, endemica come sappiamo fino alla metà del Quattrocento, era infatti certo non I'unico ma di sicuro il principale propellente delle dinamiche politico-istituzionali. Quell'esigenza di risorse spingeva essenzialmente in due direzioni: l'individuazione dei soggetti potenziali erogatori (compresi i destinatari della pressione fiscale) e la sperimentazione di uffici specializzati capaci di rendere rapidamente fruibile la ri Complessità di rappoÉi: le politiche fiscali e finsnziarie icchezza accumulata. , I-lelemento comune alle politiche fiscali e finanziarie era dato forse dalla tendenza, almeno negli stati centro-settrentrionali, a intervenire il meno possibile sulla struttura del prelievo, a mantenere cioè attive le forme comunali di tassazione, che erano soprattutto di tipo indiretto (daziario) e colpivano molto più gli abitanti del contado che non i cittadini. Si trattava di un orientamento conservatore coerente con una politica generale attenta a rispettare le pattuizioni che avevano siglato l'incorporazione di una città nello stato, e con essi, spesso, l'autonomia 644 dei regimi fiscali. continui incremen un più regolare ur ereditato dal sister ste che venivano c buoni rapporti con Ecco perché la dono sì tentativi ar rezione dell'impos questo sforzo, e qr lo sviluppo di altr rilievo: da una part Il debito pubbl era un'istituzione zione in alcuni stat zione repubblicani 1 delle risorse finanz aàone dei debiti, o di San Giorgio m. Anche se non r cfetti sperati e tal, inasprimenti d 1*r, tamento degli inte: rrrlo un salto in avi tito pubblico ave\ grandi investitori, re isituzioni. Il debito pubblir diche manifestaz nove strutture mt naltà le esigenze (r gfiisfatte ricorren zini politiche non grrale tra il re, o il munita quanto pr èhitamento persor msabile negli ordì cre fermare l'atte : o il duca poteva ryiti fiscali, spinS Fbblici (come la gi r piano che lambir dwiluppano dinan * repubbliche er v- Alle origini dell'Imlia di antico regime rtalità della forzalermano mai il modelnostro secolo. Sono :tti, esattamente con l'articolazione, una te loro di conservare à e di autonomia. unificato non esiste. cisano, la loro supelazione di forze e di r. Ciò significa che i :iodo si riducono esnormativa, all'aziofiscale -, alla mobi- : gli altri soggetti riè estremamente mu- forze in campo e la i concentrazione del li governo e di comLluce dei modelli otri casi, se misuriamo re a cui ci siamo più nfrontava infatti con rei e conflittuali, ma tà politiche soggette, I'azione di governo, grado di sviluppo di :ontinua domanda di a dalla guerra, ende- ltti certo non I'unico o-istituzionali. Quelrni: l'individuazione r pressione fiscale) e pidamente fruibile la dato forse dalla tenil meno possibile :omunali di tassaziono molto più gli abiamento conservatore tuizioni che avevano re spesso, l'autonomia dei regimi fiscali. Benché il gettito proveniente dalle imposte indirette subisse continui incrementi e benché crescesse anche il ricorso a quelle dirette, attraverso un più regolare uso dello strumento degli estimi*, questo ambito della fiscalità, ereditato dal sistema politico comunale, non poteva sostenere le pressanti richieste che venivano dai governi, i quali, in linea di massima, preferivano mantenere buoni rapporti con le élites locali piuttosto che forzare la mano. Ecco perché la seconda metà del Trecento e poi soprattutto il Quattrocento vedono sì tentativi anche molto significativi di razionalizzazione tributaria, nella direzione dell'imposizione diretta (i catasti rimangono la testimonianza più forte di questo sforzo, e quello fiorentino del1427 la più significativa di tutte); ma anche lo sviluppo di altri canali di finanziamento. Due soprattutto assumono massimo rilievo: da una parte il debito pubblico, dall'altra il prestito privato vero e proprio. Il debito pubblico (cioè la raccolta di risparmio privato a favore dello stato) era un'istituzione già d'età comunale; esso conobbe però una straordinaria evoluzione in alcuni stati, e in particolare proprio in quelli che mantennero una costituzione repubblicana, e cioè Yenezia, Firenze e Genova. In queste realtà l'entità delle risorse finanziarie così convogliate divennero ingenti, fino all'istituzionalizzazione dei debiti, e allacostituzione di veri uffici bancari pubblici (come il banco di San Giorgio a Genova), capaci di attirare investimenti pure da molto lontano. Anche se non sempre le operazioni di consolidamento del debito davano gli effetti sperati e talora avevano controindicazioni (potevano richiedere, ad esempio, inasprimenti del regime fiscale ordinario, per rispettare, con regolarità, il pagamento degli interessi agli investitori), siamo di fronte a strumenti che consentirono un salto in avanti della forzafinanziaria degli stati. Inoltre la crescita del debito pubblico aveva anche risvolti politici significativi: serviva cioè a legare i grandi investitori, e quindi innanzitutto 1'oligarchia dominante, allo stato e alle sue istituzioni. Il debito pubblico, come accennavamo, non si affermò dappertutto; salvo spo- It debito radiche manifestazioni rimase assente tanto nei regni meridionali quanto nelle pubblico nuove strutture monarchiche come la signoria visconteo-sfo rr"r"u.ln queste àI§::' realtà le esigenze (e soprattutto le emergenze) finanziarie potevano essere in parte ri."nr"' soddisfatte ricorrendo a uno strumento molto meno sofisticato ma le cui implicazioni politiche non erano meno forti. Entra in gioco in questo caso il rapporto personale tra il re, o il duca, e soggetti diversi, tanto corpi istituzionali come città e comunità, quanto personaggi in came e ossa appartenenti ai gruppi dirigenti. Uindebitamento personale del monarca, che presuppone un rapporto di fedeltà impensabile negli ordinamenti repubblicani, ha un'implicazione rilevante su cui occorre fermare l'attenzione: agaranzia del prestito o come forma di restituzione il re o il duca poteva concedere infatti, per un certo periodo, redditi della corona e cespiti fiscali, spingendosi sovente verso la cessione di beni demaniali, di poteri pubblici (come la giurisdizione di una comunità), di uffici. Siamo come si vede su un piano che lambisce la dimensione della venalità delle cariche e sul quale non si sviluppano dinamiche unicamente finanziarie: come quello del debito pubblico nelle repubbliche era anche uno spazio di coinvolgimento dell'oligarchia, così la 645 Storia medievale cessione di quote di redditi pubblici e di beni demaniali nei regni e in alcuni principati produceva il rafforzamento di un'area di soggetti vicini alla corona e disposti a rischiare in suo favore. Burocrazie Questa dimensione appare allora più complicata di quanto non risalti a prima centrali vista: essa non si distingue del tutto dal piano della remunerazione non solo dell'occasionale manifestazione di fedeltà ma anche del vero e proprio servizio prestato al sovrano: il servizio specializzato del burocrate e quello tradizionale del condottiero, come vero cardine dell'equilibrio istituzionale delle monarchie, e fondamento dell'autorità non solo teorica della corona. Ultimo aspetto, questa volta generale, della sfera della fiscalità e della finanza è quello rappresentato dalla crescita di una burocrazia centrale e della professionalizzazione degli operatori in esso coinvolti. Anche dietro la necessità di coordinare l'estrema molteplicità delle entrate e dei canali di finanziamento nascevano strutture centrali tecnicamente piìt attrezzate, che non prendevano il posto degli uffici finanziari tradizionali, ma si sovrapponevano ad essi: si pensi ai <<Maestri delle entrate>, creati alla fine del Trecento in ambito visconteo; al <<Conservatore del real patrimonio», introdotto da Ferdinando t in Sicilia negli anni dieci del Quattrocento; o ancora, più tardi, alla napoletana..Corte della Sommariarr, le cui competenze vennero precisate da Alfonso nei successivi anni quaranta. Per quanto luogo nevralgico della configurazione istituzionale, la finanza non è certo l'unico specchio delle complesse reti di relazione fra centro e periferie da una parte, fra élites e governo dall'altra. Anche se l'articolazione dei canali che alimentare ambizi :ica del gruppo di rella rete degli ufl Da qui Ia centr ii governo) che a1 ;uegli interventi c Sicilia come al :i Jana, come abbiar .rà e prestigio att: :odelli possono er :io a un tipico stru -. potestà giudiziar = anche piccole ci; :.:ale la rete <<feud -:. in questo senso .3operare il contra :eriorità e di assest Le analogie e le :-e essere dettate a :.-:a monarchica a :,r:gono non due s :: nplesso. davano voce a richieste e pressioni era assai varia e poco istituzionalizzata, il problema di mantenere sicuri punti di contatto fra il centro e il variegato universo dei <.coqpi» era avvertito dappertutto. Laddove la tradizione istituzionale lo consentiva potevano funzionare ad esempio assemblee di tipo parlamentare*, che consentivano forme di rappresentanza politica. La composizione di tali assemblee variava da realtà a realtà, comprendendo corpi di varia natura: comunità urbane; comunità baronali o infeudate; nobiltà; enti ecclesiastici. Le ritroviamo nel principato di Savoia-Acaia, fin dal primo Trecento, come pure nel marchesato monferrino; in Friuli, nell'ambito di un principato ecclesiastico, quello del patriarca di Aquileia; in Sicilia (ma regolarmente solo dalla fine del Trecento) e a Napoli (dove, per quel che si sa, le assemblee di età angioina, fino a Giovanna rt, e quelle dell'età aragonese, dal7443 presentavano fisionomie sensibilmente diverse). Lamancanza di luoghi analoghi negli stati dell'Italia del Centro-nord è segno rivelatore, per Chittolini, della permanenza della centralità delle città inglobate nel più largo tessuto delle repubbliche e dei principati, della persistente «volontà della città di porsi, dinanzi al principe o alla dominante come rappresentante esclusiva del territorio intero, e come loro interlocutrice privilegiata». Un composito sistema di autonomie, di spazi istituzionali diversi, ma il cui equilibrio risiede, per quanto concerne gli stati signorili, nella figura del principe, e nella sua capacità sia di garantire il tradizionale sistema di inquadramento dei territori (assoggettati per lo più alle città di tradizione comunale incorporate nello stato), sia di 646 : Le inquadrature !siro politico-istitr :.:eilorio storio-grai ,:---rrre adesso mett -: (solo quelle pr Come abbiamo . _.--.::à tardomedier :- ."izitutto agli ant :- dorato declin< :,:.:=sto mediterran, \-:.::a alia periferi; :-_.-rondo il cui as '--.:-co e l'Europa --- :: ;:onOmiCo dell,l .,.-:.:i in un paradii .: ,:s- r-he avessero - .:.s-eme. graduale - :L:ts'ato s|iìuppo i Alle origini dell'Italia di antico regime regni e in alcuni prinri alla corona e disporto non risalti a prima >razione non solo del: proprio servizio pre- luello tradizionale del te delle monarchie, e scalità e della finanza rale e della professiola necessità di coordirnziamento nascevano devano il posto degli : si pensi ai «Maestri .teo; al <<Conseryatore l negli anni dieci del ,lla Sommarior, le cui Li quaranta. ionale, la finanza non a centro e periferie da lazione dei canali che ilu.zionalizzata, il provariegato universo dei alimentare ambizioni, fedeltà, caniere nel quadro di una nuova identità aristocratica del gruppo dirigente che si raccoglie attomo alla sua persona e si distribuisce nella rete degli uffici. Da qui la centralità delle corti e di tutti gli spazi (ad esempio gli uffici centrali di govemo) che agevolano le mediazioni e le relazioni clientelari: vale a dire tutti quegli interventi di carattere extraistituzionale che consentivano al principe (al re di Sicilia come al duca di Milano, ma anche ai membri dell'aristocrazia repubblicana, come abbiamo visto) di esercitare il propriopatronato, di consolidare autorità e prestigio attraverso la manifestazione del proprio favore. In questo senso i modelli possono essere dawero simili nelle diverse formazioni: si pensi ad esempio a un tipico strumento di remunerazione delle fedeltà quale l'assegnazione della potestà giudiziaria in ambito locale, e la concessione in feudo di terre, villaggi, e anche piccole città. La politica di Alfonso il Magnanimo in Sicilia, terra nella quale la rete «feudale» era tradizionalmente poco fitta, ha molti punti di vicinanza, in questo senso, con quella degli ultimi Visconti e dei primi Sforza, attenti ad adoperare il contratto feudale come strumento di rafforzamento della propria superiorità e di assestamento delle relazioni di potere all'intemo del ducato. Le analogie e le differenze fra i diversi sistemi istituzionali non possono dunque essere dettate a priori: esse non consentono di contrapporre con nettezzaun'ltalia monarchica a un'Italia di tradizione comunale; attraversano invece e scompongono non due sole grandi aree politico-istituzionali ma un mosaico assai più complesso. 9. evano funzionare ad o forme di rappresena realtà a realtà, com- baronali o infeudate; Savoia-Acaia, fin dal r Friuli, nell'ambito di in Sicilia (ma regolarel che si sa, le assem.gonese, dal1443 preI Centro-nord è segno r delle città inglobate a persistente <<volontà come rappresentante rilegiata». Un compoil cui equilibrio risie'incipe, e nella sua ca.to dei territori (assogate nello stato), sia di Centralità delle corti Modelli di costruzione statuale. [r inquadrature dell'Italia tardomedievale, e in particolare del suo complesso tessuto politico-istituzionale, sommariamente riprodotte fin qui, appartengono a un repertorio storiografico relativamente recente. Per comprendeme meglio il senso, occorre adesso mettere rapidamente a fuoco le rappresentazioni dello scenario italiano (solo quelle principali), da cui esse hanno cominciato a differenziarsi. Come abbiamo accennato all'inizio, alla storia italiana, anche a quella delle società tardomedievali, sono state attribuite immagini di lenta decadenza riferite innanzitutto agli antichi stati italianipreunitari (tra Cinque e Settecento): immagini di dorato declino di una realtà politica ed economica dapprima centrale nel contesto mediterraneo e in quello dell'Occidente cattolico e poi gradualmente trascinata alla periferia del sistema delle monarchie europee nonché di un'economia-mondo il cui asse già alla fine del Quattrocento si stava spostando verso l'Atlantico e l'Europa centro-settentrionale. I temi storiografici del declino politico ed economico dell'Italia si sono affermati in tempi diversi, ma si sono alla fine saldati in un paradigma inteqpretativo assai tenace che ha condizionato tutti i discorsi che avessero ad oggetto la penisola e le sue regioni. Ora, il declino politico - insieme, graduale perdita di peso e di influenza nello scacchiere internazionale e mancato sviluppo di un'esperienza di stato nazionale cronologicamente paralle647 Declino? Storia medievale rametri di civiltà. Al tradizioni comunitar; - e il e stagnilzione plurisecolare - la ad altri percorsi europei (Francia, Inghiltena e Spagna essenzialmente) declino economico - mancato sviluppo capitalistico riguardano essenzialmente la storia d'Italia in età modema: perché questo paradigma ha segnato invece anche la rappresentazione del tardo medioevo? Per rispondere occorre innanzitutto guardare indietro nel tempo e osservare in quale direzione la cultura risorgimentale e quella dei primi decenni dello stato unitario mossero la ricerca delle radici storiche della nazione. Il capitolo comunale, già al centro dell'attenzione dei cultori di storia ben prima dell'Ottocento (si pensi all'opera di Ludovico Antonio Muratori), si propose (più di altre esperienze, come quella longobarda o quella del papato romano in lotta con l'imperatore, solo per citare due fra gli agganci più frequenti al medioevo «italiano») come cardine del programma di definizione di un fondamento medievale, laico e libertario, dell'identità nazionale. Le città vennero riconosciute il «viscere della storia d'Italio>, come scrisse un grande intellettuale lombardo, Carlo Cattaneo. Questa soluzione consentiva di enfatizzare l'idea del primato italiano tra XII e XIV secolo: un primato tutto cittadino e comunale, e non solo artistico-letterario, ma anche economico e persino socio-politico, allorché si sottolineava, assieme alla crescita va sottratta così ogni zione dei lineamenti Quella che si and io era dunque una pI spetto all'Europa e ( Centro-nord essenzii sto più favorevole a di capitalismo comr gine agraria, "feudal Questo quadro, e quali pressioni civili luzione politica nell breve, hanno mantel del momento comu. ,rmitizzazione», «di le parole di Elena Fa masta a lungo queli quella degli altri pae po economico-socia presentazione ha tro' precoce nelle città italiane centro-settentrionali di ceti produttivi e mercantili sganciati «dal feudalesimo>>, anche l'affermazione di forme <<democratiche» di Llideologia della «perdita delle libeÉà comunali>> Dualismo autogoverno. Era difficile negare allora che il collasso del sistema delle città-stato, il soffocamento delle libertà comunali e I'affermazione di regimi signorili coincidessero con l'inizio di una fase tormentata e lacerata, contrassegnata dal blocco della democrazia politica (la vera originalità italiana) e dallo stallo delle magnifiche potenzialità economiche; una fase di deperimento della forza vitale del pieno medioevo che avrebbe condotto, attraverso l'affermazione del predominio straniero, alla subalternità politica come alla perifericità economica della penisola. Identificando storia comunale e storia d'Italia, e constatando il precoce esaurimento (nella stagione aurea del Rinascimento) dello slancio vitale di entrambe, queste letture operavano una semplificazione radicale: da un lato unificavano tema cittadino e tema comunale all'interno di una visione unitaria e coerente dei secoli X-XIV (con la rinuncia a osservare i mondi wbanizzati, ma non comunali, che la realtà storica proponeva); dall'altro riducevano le variabili di sviluppo della stessa storia comunale, di cui pure tradizioni municipali e ricerca erudita esaltavano la molteplicità, a un modello schematico e monocorde che invariabilmente portava dal comune consolare alla signoria cittadina. Non solo. Questa visione, al più tosco-padana, del passato medievale italiano, della sua grandezza e del suo declino non si limitava a cancellare le differenze inteme al mosaico dell'Italia di tradizione comunale; rimuoveva pure il problema storiografico del Mezzogiorno monarchico, ereditando in pieno una prospettiva di tipo «dualistico», come si sarebbe detto successivamente. Tale prospettiva, maturata anch'essa nel corso del Risorgimento, guardava alMezzog;orno (peninsulare e insulare) prima come soggetto passivo del processo di uniflcazione e poi come immenso spazio di arretratezza da recuperare, nello stato nazionale, a decenti pa- dall'editore Einau ma di riscrittura. Bt sa non immcdiatamentr di quella Storia, e ci mismo comunale a carattere feudale del di uno dei curatori, I munale entro una di signorili e poi degli forze ..feudali" ed e: Il raffreddamentc bile dal momento in cessi storici come f collocato tanto nel i possibile neppure ac nazionale) sia entrat giori formazioni pol dendo negli ultimi r duale dispiegament( no e accentrato, deti ziale di un tessuto il grafia italiana, e de 648 /L-. Alle origini dell'Italia di antico regime )ssenzialmente) e il azione plurisecolare : perché questo para- - - ,medioevo? tempo e osservare in ri decenni dello stato :. Il capitolo comunama dell'Ottocento (si riù di altre esperienze, con l'imperatore, sotaliano») come cardiale, laico e libertario, :ere della storia d'Italattaneo. Questa solura XII e XIV secolo: r-letterario, ma anche assieme alla crescita oduttivi e mercantili Le <<democratiche» di le città-stato, il soffo- ignorili coincidessero r dal blocco della dedelle magnifiche povitale del pieno me:redominio straniero, ,lla penisola. Identifirce esaurimento (nelttrambe, queste lettuavano tema cittadino Lte dei secoli XI-XIV rmunali, che la realtà rpo della stessa storia esaltavano la moltenente portava dal coo medievale italiano, llare le differenze in)va pure il problema no una prospettiva di le prospettiva, matuogiorno (peninsulare [icazione e poi come :ionale, a decenti pa- rametri di civiltà. Al Mezzogiorno, del tutto privo in queste rappresentazioni di tradizioni comunitarie paragonabili a quelle delle città centro-settentrionali, veniva sottratta così ogni possibilità di giocare un ruolo significativo nella determinazione dei lineamenti di un'identità nazionale. Quella che si andava elaborando nella cultura storiografica alf inizio del secolo era dunque una prospettiva che conteneva un doppio ritardo: quello italiano rispetto all'Europa e quello, più specifico, delMezzogiorno italiano rispetto a un Centro-nord essenzialmente urbano e comunale; all'Italia comunale come contesto più favorevole a uno sviluppo economico intenso, che racchiudeva embrioni di capitalismo commerciale e manifatturiero, veniva contrapposta infatti l'immagine agraria, <.feudale», sottosviluppata del Mczzogiorno monarchico. Questo quadro, evidentemente molto schematico, serve a comprendere sotto quali pressioni civili e ideologiche gli storici abbiano affrontato il tema dell'evoluzione politica nell'Italia tardomedievale fino a tempi non lontani dai nostri. In breve, hanno mantenuto forza e influenza sia la valutazione fortemente positiva del momento comunale, sia, per converso, le ipotesi condotte alla luce di tale ,<mitizzazione>>, «di un successivo lungo declino politico italiano», per adoperare le parole di Elena Fasano Guarini. La tendenza - secondo la stessa studiosa - è rimasta a lungo quella ,<a considerare la storia d'Italia come storia divergente da quella degli altri paesi occidentali, e somma di ritardi rispetto ai modelli di sviluppo economico-sociale ed ai processi politici propri di questi paesi». Questa rappresentazione ha trovato in una grande opera collettiva, Ia Storia d'Italia promossa dall'editore Einaudi (a partire dal1972), insieme il suo coronamento e una forma di riscrittura. Benché molti dei numerosi contributi mostrassero ispirazioni non immediatamente conciliabili, un preciso filo connettivo legava il programma di quella Storia, e cioè il ribaltamento dello schema tradizionale fondato sul dinamismo comunale a favore di un'interpretazione che enfatizzava la continuità del carattere feudale della storia italiana («un blocco di quindici secoli,, nelle parole di uno dei curatori, Ruggiero Romano): una continuità che costringeva la fase comunale entro una dimensione parentetica per esaltare l'affermazione dei govemi signorili e poi degli stati territoriali come espressione compiuta dell'egemonia di forze «feudali» ed extracittadine. Il raffreddamento del pathos dei discorsi sulla decadenza italiana è stato possibile dal momento in cui una certa prospettiva teleologica (che guarda cioè ai processi storici come finalizzati a tn punto d'arrivo assiomatico, e che può essere collocato tanto nel presente quanto nel passato) ha cominciato a vacillare. Non è possibile neppure accennare qui in che modo il paradigrna dello stato moderno (e nazionale) sia entrato recentemente in crisi innanzitutto nelle ricerche sulle maggiori formazioni politiche europee; sta di fatto che è venuta gradualmente impallidendo negli ultimi vent'anni la prospettiva che ha visto l'età modema come graduale dispiegamento dell'autorità dello «stato moderno», cioè di uno stato sovrano e accentrato, detentore del monopolio della forza politica e costruttore potenziale di un tessuto istituzionale omogeneo e disciplinato. All'interno della storiografia italiana, e della medievistica in particolare, questo mutamento di rotta ha 649 L'ideologia dello «stato moderno>> in crisi Storia medievale consentito di rompere vecchie incrostazioni. Vediamo rapidamente solo le implicazioni principali di questo profondo mutamento di prospettiva. La storia dei comuni è stata sganciata dagli sviluppi successivi per essere reinterpretata come momento fondamentale della sperimentazione politica dei secoli centrali del medioevo (cfr. la lezione xlv). Lo scarto fra esperienza italiana ed esperienza europea nella storia degli stati del tardo medioevo e della prima età moderna si è andata notevolmente riducendo. Nell'una e nell'altra infatti la vicenda politico-istituzionale non si restringe al tema dell'emergenza di forti stati accentrati: si allarga invece alla considerazione di tutti i poteri «non statali>> che nascono e continuano ad agire pur dopo l'affermazione e il consolidamento di monarchie e principati, nonché dell'estrema articolazione di soggetti politici, di corpi, di uffici e di altre autorità istituzionali racchiuse nella dimensione più propriamente statale. All'interno di una nuova attitudine a comparare esperienze italiane e esperienze europee la parabola delle monarchie meridionali diventa molto più nitida perché letta alla luce delle vicende di altre monarchie d'oltralpe a cui risulta immediatamente affine; e perché sottratta, anche grazie ai suggerimenti che provengono da alcune recenti ricerche di storia economica, alla dimensione uniformante di anetratezza generata dalla proiezione sul lontano passato di cui ci occupiamo delle immagini del Mezzogiorno otto-novecentesco. 10. Conclusioni. Una ricca gamma di esperienze istituzionali Per provare a concludere i discorsi di questa lezione, dando una risposta ai quesiti formulati nel Problema, dobbiamo riprendere brevemente i tratti salienti del panorama che si è andato delineando. Quello che risulta più immediatamente percepibile allude - ci torneremo fra poco - alla varietà della geografia politicoistituzionale: è indubbio che gli stati regionali italiani siano formazioni geneticamente diverse e dotate di marcate peculiarità. È chiaro poi - vera novità maturata nella storiografia degli ultimi venticinque anni- che la crisi comunale non significò né crisi delle città, che rimasero i fulcri dell'organizzazione territoriale dei nuovi stati, né tanto meno un generalizzato decremento del tasso di statualità: «il costituirsi degli stati regionali non ha significato il "tramonto della città" di fronte al "sorgere dello stato", né, in particolare, lo sgretolarsi di quella solida base della fioritura urbana in Italia che era stata rappresentata dal dominio sul contado>> (Chittolini). Come è pure assodato, per converso, che dinamiche di aggregazione tenitoriale e di costruzione di più complesse, e più stabili, realtà politiche ebbero luogo anche laddove la tradizione comunale era meno forte o assente del tutto. Nell'Italia del Quattrocento la gamma istituzionale e costituzionale rimane, insomma, ricca e lascia scorgere i fili di cui è composto (nonché le tradizioni politiche di cui si nutre) ciascun processo di costruzione territoriale, mostrando, al limite, la specifica identità di ogni «stato regionale>>. Eppure, nonostante tali differenze, esiste la possibilità di cogliere significativi 650 elementi comuni alle do è avvenuto nel cuo infatti l' affermazione, testi, di poteri centrali «sovranità», rischia di di compatibilità e di ir di questi luoghi istitu: all'intemo del nuovo t ga ancora una volta l', settentrionali). Altri in nali: così i ceti che acc Sicilia, a Napoli, in Pi chiedono e ottengono, mento della propria a realtà monarchiche, al servizio prestato a un s In una tale prospett dei processi di concenl teri regi e principeschi, di cui gli storici si son possedere delle costanr tradizione monarchica che europee). E si attr l'Europa, che appariva ché questa inquadratur medievali all'interno d tosufficiente. Soprattut mensione messa in luc, italiani quanto delle gri struzione della dimensi samente che in Europa. dei poteri ma attravers( di signorie e di giurisd variabile grado di auto poi la natura plurale e c stere fra tarda modemit -Alle origini dell'Italia di antico regime mente solo le implita, ssivi per essere reinre politica dei secoli ella storia degli stati rtevolmente riducenle non si restringe al : alla considerazione fre pur dopo l'affer:hé dell'estrema arti- rrità istituzionali race italiane e esperien- nolto più nitida per: a cui risulta immementi che provengosione uniformante di ui ci occupiamo del- rndo una risposta ai nente i tratti salienti più immediatamente a geografia politicobrmazioni geneticasera novità maturata :omunale non signirione territoriale dei rsso di statualità: «il della città" di fronte :lla solida base della minio sul contado» che di aggregazione elementi comuni alle varie esperienze: segno, questo, che un mutamento profondo è avvenuto nel cuore delle società italiane alla fine del medioevo. Dappertutto infatti l'affermazione, più o meno incisiva a seconda delle circostanze e dei contesti, di poteri centrali di cui si comincia a precisare, e anche a rappresentare,la <<sovranità>>, rischia di essere radicalmente equivocata se posta fuori da un quadro di compatibilità e di interazione con altre sfere di potere. Alcuni di questi poteri e di questi luoghi istituzionali non sono nuovi, sono noti e riconoscibili, anche se all'intemo del nuovo tessuto istituzionale hanno cambiato funzione (per tutti valga ancora una volta l'esempio delle città comunali incorporate negli stati centrosettentrionali). Altri invece nascono all'interno dei nuovi spazi politico-istituzionali: così i ceti che acquistano fisionomia nell'ambito di consessi parlamentari (in Sicilia, a Napoli, in Piemonte ecc.); o le comunità che nella Lombardia sforzesca chiedono e ottengono, con la separazione da un distretto cittadino, il riconosci- mento della propria autonomia; o le élites burocratiche che, soprattutto nelle realtà monarchiche, al nord come al sud, assumono identità sociale e culturale nel servizio prestato a un sovrano. In una tale prospettiva le differenze ffa le diverse Italie si attenuano. La qualità dei processi di concentrazione della sovranità, di territorializzazione di grandi po- ItatiaeEuropa teri regi e principeschi, di aggregazione di strutture amministrative (per dire di ciò di cui gli storici si sono prevalentemente occupati fino a poco tempo fa) sembra possedere delle costanti comuni nelle regioni a tradizione comunale e in quelle a tradizione monarchica (queste ultime in precedenza più in sintonia con le dinamiche europee). E si attenua anche lo scarto fra la penisola nel suo complesso e l'Europa, che appariva così marcato fino a non molti anni fa. Ma ciò accade perché questa inquadratura, suggerita dalla collocazione dei processi politici tardomedievali all'intemo delle visioni sulla genesi dello stato moderno, non è più autosufficiente. Soprattutto è infatti la natura composita degli stati europei (la dimensione messa in luce più recentemente dalla ricerca), tanto degli stati regionali italiani quanto delle grandi monarchie, a colpire come forte tratto comune. La costruzione della dimensione della sovranità territoriale awiene in Italia, non diversamente che in Europa, non già nel solco di un lineare processo di concentrazione dei poteri ma attraverso una graduale e faticosa integrazione di ceti e di comunità, di signorie e di giurisdizioni, ciascuna con la propria matrice giuridica e con un variabile grado di autonomia, all'intemo di un tessuto plurale e discontinuo. Se poi la natura plurale e discontinua di tale tessuto abbia dawero mai cessato di esistere fra tarda modernità e età contemporanea non potrà essere accertato qui. lltà politiche ebbero assente del tutto. uzionale rimane, in- i le tradizioni politiie, mostrando, al li:ogliere significativi 651 Storia medievale Testi citati e opere di riferimento Benigno, F. - Torrisi, C. (a cura di), Città e feudo nella Sicilia moderna, Caltanissetta 1995. Bertelli, 5., Il potere oligarchico nella statocittò medievale, Firenze 1978. Capitani, O., Dal comune alla signoria, in Storia d'Italia, diretta da G. Galasso, w, Comuni e signorie: istituzioni, società, lotta per I'egemonia,Torino 1981, pp. 135-75. Caravale, M., Ordinamenti giuridici dell'Europa medievale, Bologna 1994. Castagnetti, A. - Varanini, G. M. (a cura di), 1/ Veneto nel Medioevo. Dai comuni cittadini al predominio scaligero nella Marca, Verona 1,99t. Chittolini, G., La formazione dello stato regionale e le istituzioni del contado. 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