GIULIANA CAVALIERI MANASSE
L’area di San Zeno in Oratorio
in età romana e tardoantica
L
a chiesa sorse nei pressi di un asse stradale suburbano assai importante: la via da/per Brescia, cosiddetta via Gallica, che con l’età imperiale e la tarda antichità acquistò progressivamente rilievo, per essere
divenuta un tronco della più importante linea di traffico dell’Italia Settentrionale, quella tra Aquileia e Milano 1.
Il suo tracciato, che a Verona si staccava dalla via Postumia ad ovest
dell’arco dei Gavi in direzione nord, rimane nel primo tratto problematico. Tuttavia poiché sono assai verosimili sia la persistenza del percorso in
età medievale sia la circostanza che la chiesa affacciasse su tale percorso 2, è da credere che esso prendesse avvio più o meno in corrispondenza
dell’attuale vicolo Pietrone, puntando verso nord in direzione dell’odierna via del Bersagliere 3 ( fig. 1).
Per certo, giunta circa in corrispondenza della metà di questa strada,
essa piegava verso ovest, attestandosi, probabilmente, sull’allineamento della porta San Zeno 4 e della direttrice della attuale ss. 11 (Padana
Superiore).
Si trattava di una glareata larga poco più di 6 m 5: tracce modeste,
perché largamente manomesse da interventi d’epoca medievale e moderna, ne sono state individuate nel 2004 e nel 2012, a circa m 58,10
slm., nell’area compresa tra via del Bersagliere e via Da Vico, per una
lunghezza di m 60 6 ( fig. 2). Ai lati si era sviluppata, almeno dal I sec.
d.C., una vasta necropoli attiva sino al IV: nell’area verso via da Vico si
contarono resti di 80 tombe 7, tra incinerazioni, inumazioni e rito imprecisabile, per lo più violate in antico 8. Varia la tipologia: assai frequenti le fosse scavate in nuda terra e anche le strutture murarie a cassone
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NECROPOLI
STRUTTURE ABITATIVE
MONUMENTI COMMEMORATIVI PRIVATI
AREE ED EDIFICI PUBBLICI
STRUTTURE ARTIGIANALI
STRUTTURE DI FUNZIONE INCERTA
CHIESA DI SAN ZENO
IN ORATORIO
Fig. 1. Planimetria di parte del settore extramurano della città romana (I-II sec. d.C.). Rielaborazione e completamento di M. Bersani Thompson.
talora dotate di nicchie sui lati, poi cassette di laterizi, cappuccine, anfore segate entro pozzetti. La monumentalizzazione di questa porzione
del sepolcreto era segnalata da due recinti isoorientati con la strada e da
sette vani ipogei, forse, ma non necessariamente, destinati a deposizioni
multiple a carattere familiare: siamo tuttavia nell’ambito delle congetture, poiché all’interno di queste camere sono stati rinvenuti riporti e
mai resti scheletrici umani né oggetti di corredo/i in giacitura primaria.
Vale la pena di soffermarsi su questa inconsueta tipologia per la quale
non sono noti confronti precisi9; essa era caratterizzata da un ambiente
interrato a pianta quadrangolare, di varia altezza, ma calcolabile sempre
oltre 2 m, e di differenti dimensioni, comprese all’interno tra un mini-
L’area di San Zeno in Oratorio in età romana e tardoantica
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Fig. 2. Via Da Vico-via del Bersagliere. Planimetria dell’area funeraria. Disegni di A. Toppan e
E. Faccio, rielaborazione di M. Bersani Thompson.
mo di m 1,60 x 1,60 e un massimo di m 4,45 x 5,50, con pareti per lo più
in ciottoli e malta, prive di intonaco o altre rifiniture. In esse si aprivano
talora piccole nicchie rettangolari e spesso erano inserite olle con l’imboccatura rivolta verso il vano, utili, probabilmente a collocare oggetti
del corredo e offerte funerarie ( figg. 3-4).
La circostanza che queste strutture, tranne una, siano isorientate con
la via “Gallica” indica la volontà di rendere il sepolcro ben visibile dalla
strada e perciò monumentalizzarlo, mediante un signacolo o un vero e
proprio monumentum, architettonicamente strutturato 10. Di queste architetture, tuttavia, non rimane traccia; sconosciuto resta anche il sistema di copertura, se piano o voltato, e imprecisabili sono le condizioni
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Fig. 3. Via Da Vico. Resti di tomba a camera.
Fig. 4. Via Da Vico. Resti di tomba a camera.
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L’area di San Zeno in Oratorio in età romana e tardoantica
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di praticabilità nel caso di eventuale riapertura. Mancano indizi determinanti per la datazione: considerando i rapporti stratigrafici con altre
sepolture e lo stato largamente residuale, si tratterebbe di edifici appartenuti alla fase iniziale della necropoli 11.
Nell’area contigua di via del Bersagliere, oltre ad una di queste camere, si riconobbero 26 sepolture anche qui per la gran parte asportate ( fig. 2). In questa zona erano note presenze funerarie sin dal secolo scorso: alcune tombe di media età imperiale, a giudicare dalla
descrizione dei corredi, vennero infatti rinvenute nel 1887 in via Chiodo, tra la sponda del fiume e l’ingresso della omonima caserma poi
demolita 12. Stando ai dati d’archivio, la necropoli romana avrebbe
impegnato una fascia assai ampia, definita a sud dall’allineamento di
via Chiodo-chiesa di San Procolo e a nord dalla via Pontida ed estesa da est a ovest dall’Adige sino all’incirca a vicolo Abazia-lato orientale di piazza San Zeno 13, poi riducendosi nel prosieguo verso ovest
a lembi limitanei la strada o esaurendosi. Più tardi, sostanzialmente dal IV secolo, la zona cimiteriale sviluppò a sud-ovest, occupando un settore compreso tra via Mantovana, oggi Scarsellini, a sud, via
Spagna a nord, via da Vico o poco oltre a est e le piazze Pozza e San
Zeno a ovest. Un’immagine seppure sfocata del sepolcreto di età tardoantica e altomedievale, che aveva accolto le spoglie dei primi vescovi veronesi e che appare in quest’epoca il più esteso e frequentato in
ambito cittadino – un luogo privilegiato dai fedeli quasi che desiderassero porre le loro spoglie mortali sotto la protezione dei santi vescovi –, la rimandano gli scavi effettuati tra il 2009 e il 2011 in piazza Corrubio. Qui sono state individuate 439 deposizioni di inumati 14, alcune
plurime, per la quasi totalità prive di corredo, ascrivibili ad un arco
cronologico che pare compreso tra la fine del III e l’VIII secolo al più
tardi ( fig. 5).
La tipologia delle sepolture comprendeva fosse in nuda terra, casse
di pietra o di laterizi e cappuccine. Le poche deposizioni in anfora erano
per lo più riservate agli infanti, due dei quali erano deposti all’interno di
cassette in piombo. Tre piccole strutture, tra le quali un ipogeo in laterizi
e volta botte, ubicate nella zona sud-orientale dello scavo, sembrano interpretabili come tombe familiari.
Al limitare nord dell’area, tra tardo V e prima metà VI secolo 15, era
sorto l’impianto paleocristiano di San Procolo ad unica navata che si
era sovrapposto ad alcune tombe in cassa litica, rispettandone l’orien-
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GIULIANA CAVALIERI MANASSE
Fig. 5. Planimetria della chiesa di San Procolo e dell’area funeraria di piazza Corrubio (età tardoantica e altomedievale). Da Lusuardi Siena, Baratto 2013.
tamento. È già stato osservato che il cimitero paleocristiano presentava
una ordinata organizzazione interna, le sepolture essendo esclusivamente disposte est-nord-est/ovest-sud-ovest oppure nord-nord-est/sud-sudovest16. A questi due orientamenti tra loro perpendicolari si conformarono anche le strutture fuori terra. Se San Procolo dunque si disponeva
est-nord-est/ovest-sud-ovest, direttamente opposte risultavano le tracce
delle fondazioni di un’abside e di un muro rettilineo forse appartenente
ad un sacello-mausoleo 17 se non addirittura ad una chiesa, emerse in corrispondenza dell’imbocco dell’odierna via San Procolo. L’edificio, posteriore al V secolo, ma anteriore al VII, stando alle scarsissime indicazioni
cronologiche ricavabili dallo scavo18, sorse all’interno di una vasta area
recintata, evidentemente una parcella del sepolcreto destinata ad un particolare gruppo sociale.
L’elemento che più caratterizzava l’area centrale del cimitero era una
struttura, del tutto residuale, costituita da un vano rettangolare absidato
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(14 x 8,5 m) cui, probabilmente in una seconda fase, vennero aggiunte, sui
lati orientale e occidentale, due absidiole: in queste, come nel corpo centrale, erano allineate tre fosse di asportazione di tombe a cassa, indizio
di tre sepolture privilegiate appartenenti a personaggi che godevano di
particolare prestigio o autorevolezza presso la comunità. Nella trichora, a
est e a sud della quale si affollavano numerose tombe in cassa e in fossa,
è da riconoscere una cappella destinata ai riti funebri cristiani, forse a un
culto martiriale, come se ne incontrano altrove in analoghi contesti19.
Non sappiamo quale paesaggio si presentasse al viaggiatore di età romana che dopo che aver attraversato la necropoli scendeva verso la città.
Nel 1962, in occasione dei lavori per la nuova fognatura delle Rigaste, dietro l’abside della chiesa di San Zeno in Oratorio, si rinvennero una serie
di murature, tra cui una curvilinea con raggio di circa m 4. In conglomerato di ciottoli e frammenti laterizi, presentava esternamente paramento
in blocchi di spoglio tra i quali alcuni curvilinei 20. Ad essa, secondo la
descrizione di Lanfranco Franzoni, se ne addossava verso il fiume una
rettilinea, seguita per 11 m, pure in ciottoli e malta e ugualmente rivestita
in elementi di recupero, tra i quali era un blocco di fregio con mascheroni alternati a fiori acantizzanti e a vasi con collo avvolto da tenie svolazzanti 21. Inizialmente si ritenne che la struttura con andamento curvilineo fosse la base di un mausoleo a tamburo, su cui si erano impostate
le fondazioni della chiesa 22, ma è assai più plausibile l’interpretazione di
Vittorio Filippini che vi riconobbe i resti dell’abside demolita nella prima metà dell’Ottocento per ragioni di viabilità 23. La muratura rettilinea,
invece, venne concordemente identificata come sostruzione dell’edificio
sacro e nel contempo arginatura e contenimento della sponda, verosimilmente quella dell’Adigetto, che aveva presa più ampia prima della radicale sistemazione portata a questa zona dagli interventi scaligeri 24. Sicuramente, però, nelle strutture della chiesa vennero utilizzati materiali
provenienti da un sepolcro a tamburo di non grandi dimensioni (circa 5
m di diametro), al quale era appartenuto il rilievo con sella e fasci, pure
curvilineo, che appare inserito capovolto nel muro verso le Rigaste 25 ( fig.
6). Ma è impossibile stabilire dove sorgesse tale monumento, anche se è
presumibile che proprio lungo quest’ultimo tratto di strada, il più distante dal corso del fiume e il più vicino alla città, si ergessero importanti
mausolei.
Più a sud, nel punto in cui bisogna presumere che la via “Gallica” si
saldasse al tracciato della principale arteria urbana, la Postumia, orien-
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GIULIANA CAVALIERI MANASSE
Fig. 6. S. Zeno in Oratorio. Rilievo funerario, con sella e fasci, reimpiegato capovolto nel muro
lungo le Regaste.
tati su questo ultimo asse, esistono resti molto manomessi e parziali di
un’imponente struttura muraria di epoca imprecisata. Si tratta di tre
grandi corpi in conglomerato entro un potente sedime di sabbia e limi;
da quello mediano aggetta una struttura quadrangolare, internamente
cava, i cui lati sud e nord reggevano potenti lastre lapidee sagomate a semicerchio con un incavo rettangolare alla sommità. Stante la lacunosità del manufatto e la totale assenza di dati stratigrafici, non è possibile
ipotizzare la funzione, forse un impianto idraulico, ma si tratta di pura
suggestione. La zona è sensibilmente bassa e nel medioevo per il settore a
sud della Postumia fu denominata Moliseum e più tardi Vallis 26.
Lungo la Postumia, a ovest del ciglio del terrazzo alluvionale su cui
si era sviluppato l’abitato municipale, il cui limite è segnato dall’arco dei
Gavi 27, che, a mezzo miglio dalla città murata, materializzava il confine
tra l’insediamento dei vivi e l’immediato suburbio riservato ai morti, il
panorama non doveva mutare granché, essendo – è da credere28 – caratterizzato in prevalenza da sepolcri più o meno monumentali e da gruppi di tombe terragne segnalate da stele, cippi, anfore, ciottoli. Certo la
destinazione funeraria non era esclusiva: su questo tronco della grande
strada a sud-ovest della città ( fig. 1), il primo effettivamente suburbano,
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abbiamo testimonianza anche di un impianto per la produzione di ceramica e probabilmente di laterizi, a cui durante il II secolo, nella parte più
vicina alla strada, si sostituì un’area funeraria 29.
L’aggregato sepolcrale più prossimo al sito dove poi sorse la nostra
chiesa è quello nella zona di San Silvestro, sul lato meridionale della
Postumia, proprio di fronte al punto in cui è presumibile si innestasse
la via “Gallica”. Qui tra vicolo San Silvestro 23 e vicolo cieco Porta Palio, sono state recuperate, tra inumazioni e incinerazioni, 43 sepolture
delle consuete tipologie, scalate tra I e IV sec. d.C., oltre ai resti di una
tomba ipogea analoga a quelle di cui si è detto più sopra 30. Per il piccolo settore esplorato i monumenta consistono in questa struttura, che è
stata ritenuta la più antica del contesto e che, come si è detto, doveva
essere sovrastata da un mausoleo o da un importante segnacolo, e in
alcuni recinti.
Va ancora osservato che il settore dell’antica consolare compreso tra
l’arco dei Gavi e la via “Gallica” assunse con il tempo una grande importanza nell’ambito della viabilità cittadina: infatti in età giulio-claudia,
quando la rete stradale urbana e quella suburbana erano ormai completate e il sistema di connessione tra esse definito nella maniera più organica e funzionale, dal lato sud di questo breve tratto, si staccava, limitrofo alla necropoli di San Silvestro, un percorso fondamentale per la
viabilità locale, una sorta di “circonvallazione” che collegava la Postumia
alla Claudia Augusta “Padana” ( fig. 1). Esso seguiva il ciglio del terrazzo
alluvionale e si raccordava anche al proseguimento di decumani del reticolo urbano. Al lato settentrionale, invece, è alquanto probabile che afferisse un tracciato diretto a nord, segnalato dal fornice minore dell’arco
dei Gavi. La sua esistenza è in genere accolta 31, ma solo i recenti rinvenimenti di strutture utilitarie nell’area dell’Arsenale32 la suggeriscono pressoché certa 33. Questa via avrebbe, tra l’altro, permesso un collegamento
più veloce della Postumia, della “Gallica” e della “circonvallazione” con
il tronco della via Claudia Augusta “Padana” a nord della città 34. La questione di un ponte romano più o meno nella attuale posizione del ponte
di Castelvecchio è controversa per l’assenza di indizi materiali, ma il passaggio del fiume poteva anche essere garantito da apprestamenti lignei.
Infine ancora un’osservazione riguardo agli elementi di spoglio reimpiegati in San Zeno in Oratorio.
Si è già detto del monumento a tamburo – una tipologia della prima
età imperiale non particolarmente diffusa in Cisalpina, ma comunque
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Fig. 7. Blocco di fregio di monumento funerario, reimpiegato nell’argine visto nel 1962 dietro la
chiesa di S. Zeno in Oratorio. Da Franzoni 1986.
nota a Verona e nella X Regio 35 –, appartenente ad un magistrato municipale o ad un seviro augustale, di cui erano impiegati elementi nell’abside.
Genericamente ascrivibile al I sec. d.C.-prima metà del II, sulla base
dell’unica vecchia foto che lo documenta, è il blocco di fregio con protomi maschili, riutilizzato nell’argine sottostante l’abside ( fig. 7). Ne è possibile l’impiego in un’edicola o in una struttura naomorfa.
Riconducibili allo stesso importante sepolcro di magistrato o di seviro, come denuncia il ricorrere dei fasci nell’ornato, sono le tre note lastre,
conosciute da Felice Feliciano36 e riprodotte dal Panvinio e dal Maffei,
con raffigurazioni e di satiri e di eroti ( fig. 8), modello, quest’ultima, per
il gruppo di tre putti dipinti dal Mantegna a sostegno della tabella dedicatoria nella Camera degli Sposi 37. Le immagini sono inquadrate da
partizioni pseudoarchitettoniche ad archi e ad edicola, scandite da lesene sormontate da un capitello corinzieggiante e decorate da candelabre
Fig. 8. Museo Maffeiano. Lastre di monumento funerario raffiguranti eroti e satiri.
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vegetali delle quali una sola è
superstite 38. Negli spazi di risulta sopra le architetture sono
scolpiti motivi comuni nel simbolismo funerario: conigli che
rosicchiano grappoli d’uva, mostri anguipedi con testa di grifo. I pezzi, databili ad età giulio-claudia, come accertano il
trattamento morbido e l’assenza di uso del trapano nella resa
del modellato a basso rilievo,
sono espressione locale (e non
esente da accenti provinciali)
del gusto neoattico imperante
in quell’epoca. Sollevano pro- Fig. 9. S. Zeno in Oratorio. Ara funeraria cilindrica
blemi sia riguardo la sequenza 39 (Foto Franco Lucillini).
sia in ordine all’attribuzione ad
una specifica tipologia monumentale 40. Presente in genere su lastre, lo
schema che ripete paratatticamente arcate, con o senza figurazioni, comprese tra lesene di un ordine maggiore, è tipico del repertorio funerario
locale 41. Se ne è ipotizzato l’impiego in balconate di recinti, ma le nostre
lastre per le loro caratteristiche tecniche (sbozzatura posteriore, modesto spessore, cm 21, rispetto alle dimensioni complessive, cm 132 x 98/112)
orientano piuttosto per un utilizzo nel rivestimento di una struttura a
dado, diversa e più grande, però, da quella ipotizzata in una recente proposta restitutiva, dove i rilievi sarebbero stati disposti uno per lato, i satiri sui fianchi e gli eroti sul fronte oppure, se qui avesse trovato posto
l’iscrizione, sul retro 42. Questa ricostruzione, oltre ad altri dettagli tecnici, quale la soluzione di giunzione angolare tra gli elementi, trascura
totalmente il problema della lesena appartenente ad un ordine maggiore,
ordine che, secondo i consueti canoni delle architetture applicate, recava
la trabeazione a chiusura del registro decorativo. La sua presenza indica che la composizione doveva comprendere altre lesene con altri rilievi.
Una idea di come potesse svilupparsi il sistema esornativo potrebbe essere suggerita dal registro superiore del dado del cosiddetto grande mausoleo di Aquileia 43, pure attribuibile a un magistrato municipale o a un seviro augustale 44, dove è presente un partito simile, con arcate campite da
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immagini connesse al rituale funerario e al viaggio nell’oltretomba sotto
ghirlande agganciate alle imposte ( fig. 10).
Sempre all’edilizia funeraria sono riferibili alcuni titoli funerari, trattati in altra parte del presente volume, e un’ara cilindrica di notevole
qualità, ma purtroppo dalla superficie estremamente consunta, risalente
a età giulio-claudia, con fitta decorazione vegetale – tralci di vite e ghirlande – e ritratti dei defunti entro nicchia 45 ( fig. 9).
Si tratta dunque di materiali pertinenti a tombe importanti riconducibili a una committenza di livello sociale elevato – in tre casi personaggi
che rivestirono cariche municipali 46 – che ambiva ad un’autorappresentazione quanto possibile evidente: perciò dobbiamo immaginarle collocate in posizione privilegiata, “ostentate”, lungo le strade di grande transito.
Se poi si trattasse della via Postumia o della via “Gallica”, questo è impossibile dirlo, l’ubicazione dell’area di San Zeno in Oratorio interessando entrambi i tracciati.
Anche se, come è noto, “le pietre camminano” e nel medioevo fu assai
diffuso il fenomeno dello spostamento e del riuso di materiali lapidei in
luoghi anche assai lontani da quelli del recupero, è verosimile che questi
spolia siano stati raccolti tutt’attorno, dove, qua e là, affioravano ancora rovine di sepolcri 47. Le vicende della chiesa per le sue fasi più antiche
sono controverse 48, ma ne è assai probabile la ricostruzione in forme romaniche nel XII secolo, dopo il disastroso terremoto del 1117 49. Anche se
non si può escludere un riutilizzo in un momento precedente, è possibile
che la collocazione degli elementi avvenisse in quella circostanza: la loro
posizione in bella evidenza e la notevole qualità artigianale di alcuni di
essi, l’ara e i rilievi con satiri ed eroti – questi ultimi tra i pezzi migliori della plastica funeraria veronese –, sottintendono un intento “estetico”
del reimpiego comune a tanti edifici romanici.
Un vivo ringraziamento a Brunella Bruno per avermi agevolato in tutti i
modi questa ricerca. Sono inoltre sinceramente grata a Raffaella Giacometti e a Marzia Bersani per la consueta generosa collaborazione e l’insostituibile aiuto. A Marzia Bersani si deve inoltre la rielaborazione grafica
e il completamento delle planimetrie alle figg. 1 e 2.
Fig. 10. Pagina precedente. Aquileia. Cosiddetto grande mausoleo.
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Note
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In proposito cfr. Le strade, pp. 164-167 ed anche Bosio 1991, p. 95; Tozzi 1998, p. 257 ss.
Cfr. Franzoni 1962, p. 20.
Visto che le indagini effettuate sia nell’area del Boscarello (1991), sia nei cortili dell’Istituto
Don Bosco (2010), sia in via San Giuseppe-via Rosmini (1995), sia in via Barbarani 20 e 22
(1992-1993) non hanno dato esito alcuno, è da credere che in questo settore la strada corresse
sotto gli edifici disposti lungo il lato ovest delle Rigaste o forse addirittura più ad est. Passava
dunque molto vicina al fiume, la cui riva è comunque da immaginare spostata un po’ più a
oriente dell’attuale. È possibile che questo tratto fosse sopraelevato e sostenuto da un terrapieno che l’avrebbe protetto almeno dalle esondazioni più contenute dell’Adige, anche se più a
nord-ovest, dove la strada è stata messa in luce, tra via del Bersagliere e via Da Vico, la quota
del selciato corrispondeva al livello del piano di frequentazione della necropoli circostante.
All’incirca corrispondente alla porta Nova della carta cosiddetta dell’Almagià, carta databile
tra il 1463 e il 1467 (Lodi 2014, pp. 136-139), dove il percorso dell’antica via romana è ancora
ben intuibile. Nonostante la denominazione rimandi ad un intervento recente operato nelle
mura trecentesche in epoca scaligera o viscontea o ancora veneziana (Lodi 2014, p.121), il sito
della porta è localizzabile in corrispondenza dell’antico tracciato stradale.
Le stesse caratteristiche che la strada presenta nel tratto scavato in piazza F. di Savoia a Peschiera. Cfr. Bruno, Cavalieri Manasse 2000, p. 83.
Si tratta di indagini condotte dalla dott. P. Fresco in via Da Vico e dal dott. E. Faccio in vicolo
Cicale-via del Bersagliere, per la realizzazione di garages interrati. Esse sono state determinanti per definire il percorso della strada in precedenza incerto. Permettono infatti di scartare in via definitiva la vecchia ipotesi che tale percorso corresse in rettifilo dalla zona immediatamente ad ovest di Castelvecchio a porta San Zeno proposta in Franzoni 1975, tav. f. t. e
accolta in Cavalieri Manasse 1987, tav. f. t., e correggono il tracciato proposto in Cavalieri
Manasse, Bolla 1998, p. 111, fig. 1, dove esso seguiva il corso dell’Adige sino all’altezza di
ponte Catena per poi piegare verso ovest.
Si rinvenne inoltre una sepoltura risalente ad età eneolitica.
Un cenno al riguardo in Arzone et alii 2015, p. 363 ss.
In Italia settentrionale le tombe a camera sono molto rare e comunque appaiono differenti
da quelle veronesi, vuoi in qualche caso per le dimensioni, prossime a quelle delle casse in
muratura, vuoi in altri perché si tratta di ambienti intonacati e talora affrescati. In proposito
cfr. Bolla 2012, pp. 299-300. Ovviamente i nostri vani nulla hanno in comune con i monumentali sepolcri ipogei, decorati e strutturati come veri e propri ambienti di case, diffusi sia
in ambiente urbano che centro e sud-italico, mediterraneo e in Oriente, e tanto meno con i
colombari realizzati a Roma soprattutto nella prima età imperiale. Per una sintesi di queste
tipologie cfr. von Hesberg 1992, p. 94 ss.
Si veda in proposito la proposta di ricostruzione di alcune tombe a camera della necropoli locarnese di Minusio Cadra con copertura piana e soprastante monumento (Martin-Kilcher
1998, p. 216 ss., fig. 16). Per gli esemplari veronesi di maggiori dimensioni è possibile anche una
copertura a volta ribassata.
Asav, Verona, via Da Vico-angolo vicolo Cicale 2003-2004.
Franzoni 1975, n. 42.
Come già osservato da Cavalieri Manasse, Meloni 2012, p. 79 e ripreso da Arzone et
alii 2015, p. 239. Tuttavia la situazione, relativamente al complesso di San Zeno, non è chiara, la basilica e i suoi annessi avendo cancellato tutte le testimonianze di età romana e, sotto
la canonica, essendo state messe in luce strutture abitative/utilitarie genericamente attribuibili ad epoca imperiale (Hudson 1992). Sulle tombe di età imperiale della zona di San
Zeno e S. Procolo e la relativa bibliografia cfr. Franzoni 1986a; Franzoni 1988; Cavalieri
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Manasse, Bolla 1998, pp. 111-112 e in particolare nota 45. Specificamente per le sepolture
a inumazione tra epoca imperiale e tardoantica, rinvenute in anni precedenti il 2000, cfr.
Bolla 2005, cc. 216-224. Da ricordare che in questa necropoli si trovava l’area funeraria
del collegium iumentariorun portae Ioviae, l’odierna porta Borsari, come testimonia un’ara
funeraria reimpiegata nelle fondazioni della chiesa di San Procolo: cfr. Franzoni 1986b;
Franzoni 1988, pp. 17-19.
In occasione dello scavo di un parcheggio interrato. Per un sintetico resoconto di queste indagini Cavalieri Manasse, Meloni 2012; Lusuardi Siena, Baratto 2013.
Hudson 1988, p. 76.
Hudson 1988, pp. 72-76.
Lusuardi Siena, Baratto 2013, p. 179.
Cavalieri manasse, Meloni 2012, p. 80.
Un caso emblematico di area funeraria tardoantica e cristianizzata dove, attorno ad una basilica martiriale, si affollano semplici tombe, mausolei e recinti è quello di Tipasa (Gui, Duval,
Caillet 1992, pp. 37-42). In Italia settentrionale si ricordano i contesti del sepolcreto fuori
Porta Decumana ad Aosta e quello sotto la chiesa di San Martino di Lonato (Brescia). Cfr.
Catino Wataghin, Lambert 1998, pp. 90-92 e Brogiolo 2009, pp. 72-73. Un confronto
è possibile anche con il cimitero ad martyres presso la basilica di Sant’Ambrogio a Milano
(Sannazaro 2015).
Filippini 1963, p. 9; Franzoni 1962, p. 20; Franzoni 1965, p. 53.
Franzoni 1965, p. 53, fig. 61; Franzoni 1986, pp. XL-XLI.
Franzoni 1962, p. 20.
Filippini 1963, pp. 10, 13-14.
Filippini 1963, p. 13.
Gibelli de Paolis 1973, p. 343; Schäfer 1989, pp. 332-333, tav. 63, 2 (con bibliografia
precedente).
Varanini 1985, pp. 5, 18-19, tav. 1.
Sulla valenza simbolica del monumento Cavalieri Manasse, Bolla 1998, p. 110, nota 32;
Cavalieri Manasse 1998, p. 126, nota 96.
Le testimonianze archeologiche lungo questo tratto del tracciato sono assai scarse sino all’estesissima area funeraria scavata a Porta Palio, in corrispondenza della circonvallazione. Cfr.
Cavalieri Manasse, Bolla 1998, pp. 110-111; Cavalieri Manasse 1998, pp. 126-127.
Asav, Verona, vicolo Carmelitani Scalzi 11 (1996); Cavalieri Manasse 1998, p.127 ss., tav. 6;
Roffia 2000. Scavo realizzato per eseguire garages interrati.
Asav, Verona, Vicolo San Silvestro 23 (2005); Arzone et alii 2015, pp. 390-393. Scavo realizzato per eseguire garages interrati.
Franzoni 1975, p. 63 con bibliografia precedente; Filippini 1963, p.11; Tosi 1983, pp. 10-11.
Gli scavi in quest’area sono stati condotti dalla collega dott. Brunella Bruno, che ringrazio per
le cortesi informazioni.
Essa è suggerita anche da un modesto gruppo di tombe rinvenuto nel 1966, durante i lavori
della costruzione per la clinica “Città di Verona”. Cfr. Franzoni 1975, p. 63.
Filippini 1963, p. 11; Tosi 1983, pp. 10-11.
Cavalieri Manasse 1995, in particolare, pp. 327-330 (con riferimenti anche all’VIII Regio);
Sacchi 2013, pp. 147-150 (con bibliografia precedente).
Come osserva Franzoni “infatti è il Feliciano che menziona per primo un « templum Liberi
patris » (CIL, V, 3799), e tale denominazione doveva allora contrassegnare, fra i cultori dell’antico, San Zeno in Oratorio, dov’erano i tre rilievi bacchici” (Franzoni 1991, p. 222; inoltre
Franzoni 1986, p. XIX). All’umanista le antichità presenti nella chiesa dovevano essere ben
note e all’epoca sua, forse, erano in maggior numero di oggi: nel codice di Faenza (Faenza,
Biblioteca Comunale, cod. 7), per la maggior parte dovuto alla sua mano, al foglio 57 figura il
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disegno di una corazza, presumibilmente scolpita su un rilievo o su una stele funeraria, indicata presso San Zeno in Oratorio. Cfr. Bolla 2016, p. 61, fig. 3.
Franzoni 1986, pp. XLII-XLIII, con bibliografia precedente; Schäfer 1989, p. 409; Hagenweiler 2001; Bolla 2006.
Ad essa si sarebbero ispirati i decori di molti portali rinascimentali veronesi: Franzoni 1991,
pp. 221-224.
Franzoni 1986, pp. XLII-XLIII.
Cavalieri Manasse 1997, p. 264.
Per una serie di esemplari, ibid., nota 100.
Hagenweiler 2001, pp. 77-78.
Cavalieri Manasse 1997, p. 264. Le analogie sono diverse, tra l’altro, l’altezza del registro.
Da notare che nel monumento aquileiese la sequenza di archi si distribuiva anche sui fianchi,
come è ben visibile dopo il recente restauro (Il mausoleo, figg. a pp. 47-48). Anche a Verona le
lastre potrebbero essere appartenute a fronti diversi.
Schäfer 1989, p. 325 ss.
Franzoni 1986, pp. XL-XLI; Compostella 1993, p. 144. Sul tipo e la sua diffusione cfr. Compostella 1996, p. 49 ss.
Oltre ai resti dei due monumenti più sopra considerati, il grande signacolo CIL V, 3410 appartenne ad un seviro.
Stradone Porta Palio è indicato nella tradizione antiquaria veronese come “via dei sepolcri”:
nel medioevo, infatti, dovevano esservi ancora visibili resti di strutture funerarie, come una
“cathedra” menzionata presso la trecentesca porta di Santo Spirito. Altri analoghi ruderi sono
ricordati a nord della città, lungo l’antico percorso della via Claudia Augusta “Padana”. Cfr.
Varanini 1983, p. 130; Lodi 2006, p. 453.
Rognini 2015, pp. 7-8.
Filippini 1963, pp. 20-21.
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