Guida alla storia del territorio di Buonconvento tra
età romana e medievale alla luce di sei anni di indagini storiche ad archeologiche incentrate sull’area di Santa Cristina.
Santa Cristina in Caio
Storia ed archeologia (2009-2014)
a cura dell’ Associazione Culturale Umbro Flumen
Santa Cristina in Caio
Storia ed archeologia (2009-2014)
a cura dell’Associazione Culturale
Umbro Flumen
con la collaborazione del Circolo Culturale
Amici di Buonconvento
e dell’insegnamento di Archeologia Medievale
dell’Università di Siena-DSSBC
Santa Cristina in Caio
© Copyright 2015 Associazione Culturale Umbro Flumen
ISBN 979-12-200-0224-0
Pubblicazione a cura dell’Associazione Culturale Umbro Flumen
[email protected]
Coordinamento editoriale: Stefano Bertoldi
Realizzazione editoriale: Manuele Putti
In copertina: Vasca mosaicata parte dell’impianto termale di III secolo d.C.
In quarta di copertina: La valle dell’Ombrone vista da Poggio alle Fonti.
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Santa Cristina in Caio
Indice
Introduzione, di Guido Pratesi (presidente Circolo Culturale
p. 4
Amici di Buoncovento)
Il Progetto e la storia degli studi, di Marco Valenti (docente
di Archeologia Medievale, DSSBC, Università degli studi di Siena)
Le Terme, di Stefano Bertoldi
I riusi produttivi, di Stefano Bertoldi
Le case in tecnica mista, di Stefano Bertoldi
Le capanne, di Stefano Bertoldi
La chiesa, di Manuele Putti
Il cimitero, di Valentina Galante e Cosimo Giachetti
Il culto di Santa Cristina lungo la via Cassia: ipotesi per
una rete devozionale, di Gabriele Castiglia e
Cristina Menghini
Dalla Cassia alla Francigena, di Stefano Bertoldi
Il territorio dopo l’età romana, di Manuele Putti
Bibliograia
3
p. 8
p. 13
p. 20
p. 23
p. 26
p. 28
p. 31
p. 35
p. 40
p. 43
p. 46
Santa Cristina in Caio
Introduzione
Un amore a prima vista e poi … furono nozze d’argento !
Nell’ambito delle iniziative della Sagra della Vald’Arbia del 1995 fu allestita (come
collaborazione fra Comune di Buonconvento ed il Circolo Culturale Amici di
Buonconvento) la prima mostra sul sito archeologico di S. Cristina.
Segno evidente che la Sagra, attestata già nel 1830 nel calendario delle iere
Granducali come mostra della “chianina”, trova, nelle iniziative collaterali agli
appuntamenti eno-gastronomici, validi spunti di promozione sociale e culturale e
così, rappresentare fonte di attrazione per turisti ed appassionati.
Ne seguì anche una pubblicazione (inalizzata a rendicontare i risultati di scavo delle
campagne 92,93 e 94) dalla quale si ricava che: “nel 1988, dopo la costituzione del
Circolo Culturale Amici di Buonconvento, cominciò una proicua collaborazione
con la Soprintendenza Archeologica della Toscana che portò alle prime indagini di
supericie”. Mi sembra chiaro che il Circolo, con la disponibilità di idee, uomini e
mezzi (a quel tempo era possibile con più facilità prendere parte all’opera di scavo
anche a persone “volontarie”) sia stato il principale sponsor degli scavi e dell’interesse
scientiico e divulgativo verso il Sito di S. Cristina o meglio di Buonconvento vetus.
Onore , quindi, a quei “padri fondatori” che seppero e vollero, per amore della loro
terra, ricercarne e valorizzarne le origini, non solo per una mera passione storica ma
traguardando all’interesse “turistico/culturale“ che ne poteva provenire per tutta la
collettività .
A quel momento sarebbe stato prematuro parlare di Tuscany, ma oggi sappiamo della
sua importanza per lo sviluppo sostenibile del territorio e pertanto non possiamo che
restare impressionati dalla lungimiranza dei nostri fondatori. Pochi territori, in così
stretta porzione di terra, sono in grado di fornire all’Ospite (oggi anche al pellegrino)
tre musei della qualità di quelli esistenti nel nostro Borgo e un sito archeologico che
parte dal II sec. a.C. , circa, per giungere, nelle sue ultime esperienze a dopo l’anno
mille. Insediamento che trova, sicuramente, un punto di svolta nell’ 814 quando, il
iglio di Carlo Magno, l’imperatore Ludovico il Pio conferma ad Apollinare (abate
di S. Antimo) l’appartenenza a quel monastero della chiesa di S. Cristina in Caio. Il
luogo entrava così a far parte di quella “rete” di Pievi, che hanno caratterizzato la
seconda cristianizzazione nel nostro territorio, e che rappresentavano, al contempo,
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Santa Cristina in Caio
un centro religioso (fonte battesimale) ed amministrativo (delega imperiale).
Tornado ai nostri giorni, da quel lontano 1988, poi, la storia del sodalizio Circolo
culturale Amici di Buonconvento - Sito archeologico di S. Cristina non si interrompe
mai e godrà del nostro supporto l’opera di ricerca archeologica fatta da Filippo Cenni
( 2006) e si ripresenterà puntuale (tra l’altro, nei primi anni, come unico sponsor oltre
all’Amministrazione comunale) con la ripresa, dal 2009, delle campagne di scavo.
Da quel momento non manca anno che uno o più appuntamenti non vengano dedicati
al sito archeologico di Santa Cristina, in seminari aperti al pubblico (sia all’interno
della Sagra della Val d’Arbia che fuori dal suo programma), e in nostre riunioni
sociali (Tè in Villa e Cena sociale di agosto) ed in ogni edizione abbiamo inanziato
l’opera di scavo con contributi speciici (da ricordare l’anno in cui, anche dietro
sottoscrizione pubblica, regalammo all’equipe “l’Aquilone”, che munito di apposito
apparato fotograico permise una deinizione inalmente precisa dell’intera area in cui
insisteva il sito) .
Tra l’altro la ricognizione aerea rilevò dimensioni dell’insediamento, se pur in tempi
diversi, molto più rilevanti di quanto non si pensasse prima, segno non più di una
mansio quanto di un vero e proprio vicus. Testimonianza evidente dell’avvenuto
spostamento dell’asse viario zonale, e del relativo insediamento umano, con l’uso
sempre più frequente di percorsi di pianura nei confronti di quelli di collina, sino
allora utilizzati e localizzati su Percena-Torrenieri (ad Est) e Murlo-Abbadia Ardenga
(ad ovest). Durante questi nostri eventi “gli studenti/ archeologi” hanno sempre
avuto il loro spazio e nel tempo loro assegnato provvedono ad aggiornare i Soci sui
progressi annuali di scavo.
Il Circolo, poi, negli ultimi anni ha anche organizzato visite guidate agli scavi,
per Soci e simpatizzanti, durante lo svolgimento delle varie “campagne di scavo”,
periodo maggio-giugno, che hanno permesso, ai presenti, di metabolizzare il territorio
dell’insediamento ed ammirare, tra l’altro, il mosaico romano delle terme e le varietà
nei resti cimiteriali di S. Cristina, ove ci si rende facilmente conto della differenza di
altezza negli scheletri presenti nel sito. Segno tangibile della pluralità di popolazioni
che hanno abitato nel luogo. Buonconvento quindi eredita DNA etrusco, romano e
anche Longobardo, rappresentando così l’intero ciclo storico della Regione Toscana
(già nucleo della Nazione Etrusca, VII Regio dell’Impero Romano, appresso,
Granducato di Toscana per inire con gli attuali conini nel territorio della Repubblica
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Santa Cristina in Caio
Italiana); rarissimo caso di una continuità di territorio, popolazione e governo che si
possa trovare nella storia, sia nazionale che estera.
Quest’anno, poi, la svolta. Non contenti di dedicarci agli ”adulti” per poterli interessare
al Sito, farlo conoscere e divulgarne l’esistenza, il Consiglio Direttivo ha deinito una
nuova strategia di “sviluppo” per la promozione della conoscenza del sito.
Grazie alla disponibilità degli studenti-ricercatori dell’Università di Siena, della
sensibilità della Dirigenza dell’Istituto comprensivo “Insieme” di Montalcino e
l’entusiasmo dei Docenti della locale Scuola media sarà possibile interessare gli
studenti buonconventini, con apposita lezione, sull’esistenza e storia del sito.
E’ un cambio a 180 gradi nella strategia di pubblicizzazione del sito.
Non più e non solo mirata alle generazioni adulte bensì a quelle “giovani”.
Sensibilizzare al Sito di Santa Cristina un adulto è sicuramente conidenza in diffusione
del sito e anche di qualche inanziamento ma “innamorare” i giovani alla loro storia vuol
dire garantire alla stessa la certezza della trasmissione e la sua difesa e conservazione.
Ci dà la sicurezza che non dovremo più essere Noi a parlare di S. Cristina ma saranno
loro che vorranno che si parli di Buonconvento vetus. Lo chiederanno ai politici e
studiosi locali, lo pretenderanno dalle Associazioni predisposte alla salvaguardia e
promozione del territorio, lo praticheranno individualmente e lo trasmetteranno in via
naturale. Se la preziosa collaborazione con la Scuola, di cui sopra, troverà nei prossimi
anni comunione di intenti, permettendone la replica, nel volgere di pochi anni avremo
“giovani” … ricercatori locali, non solo con gli strumenti dell’archeologo ma anche
con quelle del cuore, della fantasia e dell’entusiasmo.
Non sarebbe poco, ed il Circolo Amici di Buonconvento sarà con Loro, anzi,
auspichiamo, diretto da Loro.
Nell’auspicio che l’Amministrazione comunale possa reperire spazi per una pubblica
visione dei reperti ritrovati nel sito archeologico, arricchendo così anche l’offerta
culturale del luogo, migliorare le indicazioni stradali del sito e garantirne una, seppur
minima, fruibilità per gran parte dell’anno, per arrivare, se possibile, alla costituzione
vera e propria di un PARCO ARCHEOLOGICO della VAL D’ARBIA ( es.
collegandosi con la Villa della Befa), oggi, siamo grati a chi con questa pubblicazione
ha voluto organicamente ricomprendere tutte le fasi dello scavo, approfondirne le
ricerche storiche e scientiiche relative e porre le basi per l’ulteriore interesse al suo
sviluppo.
[GP]
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Santa Cristina in Caio
Foto dell’intero complesso termale realizzata tramite aquilone.
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Santa Cristina in Caio
Il Progetto e storia degli studi
Interessarsi al sito di Santa Cristina in Caio signiica cogliere alcuni dei temi più
importanti dell’archeologia romana e medievale: signiica studiare gli insediamenti
secondari romani e la viabilità, le produzioni ed i commerci, la crisi tardoantica e
le profonde trasformazioni altomedievali; signiica parlare di villaggi, di capanne
e di impianti termali, di sistemi di ville e di case in terra, di cristianizzazione delle
campagne toscane, di proprietà fondiarie ecclesiastiche e dello Stato (antico e
medievale).
Guardandolo in quest’ottica, Santa Cristina è un sito che racchiude in sé una
grandissima varietà di tematiche, che lo rendono un luogo centrale della Ricerca
archeologica in Toscana e nel panorama nazionale.
Il progetto Santa Cristina in Caio, coordinato dal Comune di Buonconvento
e dall’Insegnamento di Archeologia Medievale dell’Università di Siena in
collaborazione con l’Università di Chieti, prende avvio dalle ricerche svolte dalla
Soprintendenza dei Beni Archeologici della Toscana con saggi di scavo tra il 19921994 e dalle ricognizioni tra il 1998 ed il 2003 per il progetto “Carta Archeologica
della Provincia di Siena”.
Quest’ultimo progetto è nato invece per conoscere, tutelare e rendere strumento di
programmazione tale risorsa; per mappare, preservare e di conseguenza sfruttare
correttamente un immenso patrimonio, purtroppo non reso produttivo, che rappresenta
l’eredità storica del paesaggio. Una inalità che dovrebbe, imprescindibilmente, essere
considerata ineludibile e vitale da parte di tutti i governi e dalle amministrazioni
pubbliche. Le forme storiche del paesaggio, con le quali conviviamo, necessitano
infatti di conoscenza diffusa per poi essere preservate, costituendo la nostra più
grande eredità che non deve essere assolutamente dilapidata come invece avviene.
Così facendo si porta un contributo di qualità alla costruzione di politiche territoriali,
delle quali oggi si sente un’enorme necessità, visto e constatato da oltre quarant’anni
lo stato di deturpamento delle nostre campagne, una cementiicazione mai davvero
controllata, l’erosione di molte aree boschive e colture tradizionali, i vari ecomostri che
la punteggiano e lo stato spesso deprecabile del patrimonio culturale, archeologico,
monumentale e storico in esse contenuto.
Il progetto “Carta Archeologica della Provincia di Siena” rappresenta un esempio,
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Santa Cristina in Caio
nel suo piccolo, di “buon governo”, portando come ricaduta anche l’individuazione
di contesti archeologici inediti e sepolti, pressochè ignoti nel loro potenziale e oggi al
centro di politiche di valorizzazione; come i casi della fortezza di Poggio Imperiale
a Poggibonsi, del castello di Miranduolo a Chiusdino, del vicus romano di Santa
Cristina a Buonconvento. Luoghi dove, grazie alle ricerche territoriali, si è poi dato
avvio a progetti di scavo di lunga durata, in cui hanno creduto e scommesso avvedute
amministrazioni comunali, portando così alla crescita di conoscenza, a operazioni
di parco e al recupero di patrimonio sommerso a beneicio della collettività afinchè
possa viverlo e disporne; inine a costituire importanti casi ormai ben noti alla ricerca
europea, non a caso spesso citati in sintesi di primo piano uscite dalle penne di grandi
storici e archeologi come Chris Wickham, Richard Hodges e Gian Pietro Brogiolo.
Viviamo in una nazione nella quale si fa molta fatica a creare delle cose di qualità
(che non siano solo efimero) pur avendo “materia” da plasmare in abbondanza;
purtroppo, come sottolineava Blaise Pascal, in genere si è più attratti dalla mediocrità
perchè è più dificile capire la qualità. Questo avviene ma lungi da me, comunque,
facili populismi; si tratta purtroppo di un indubbio scenario sotto gli occhi di tutti.
Non mi addentrerò ora nei complessi meandri delle cause e delle lamentele; neppure
esporrò la mia personale opinione sui molti vizi di fondo che hanno portato negli anni
una nazione sull’orlo del precipizio non solo economico, con danni causati in generale
ai beni culturali, al paesaggio e in ultima istanza all’istruzione e alla conoscenza.
Ma voglio ricordare come l’ignavia voluta e le scelte politiche fatte si sono poste
ormai in netta contraddizione con l’articolo 9 della Costituzione Italiana: “La
Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientiica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Un articolo, è
bene ricordarlo, straordinario nella semplicità della sua portata, ormai disatteso se
non screditato a pura barzelletta.
Cultura e Conoscenza devono invece trovare una volta per tutte quel primato della
centralità che spetta loro e che la Costituzione Italiana attribuisce; sono i pilastri per
la rinascita del nostro paese e per la formazione di cittadini liberi e responsabili. I
beni culturali costituiscono infatti una risorsa indiscussa e indiscutibile ma vengono
mortiicati, se non ignorati nei fatti, mandando allo sfacelo il patrimonio; salvo
poi indignarsi pubblicamente e con facilità imbarazzante di fronte agli eventi con
maggior carattere mediatico (vedi i crolli pompeiani) e promettendo soluzioni che
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Santa Cristina in Caio
trovano serie dificoltà di attuazione e dilazioni nel tempo inaccettabili.
E nulla avviene oltretutto in favore del patrimonio diffuso, come la risorsa
archeologica sul territorio (a torto deinito minore e sottovalutato) che caratterizza la
iligrana dell’Italia nella sua interezza.
Solo appropriandoci del patrimonio culturale, nonchè facendolo nostro, abbiamo la
possibilità di aspirare a essere una sana nazione; con la speranza di contribuire ad
auto sostenersi nel rispetto e nella valorizzazione dell’eredità storica. Il patrimonio
deve essere messo al centro della programmazione, senza mortiicanti risparmi bensì
investendo. E le carte archeologiche, che esigono di essere considerate nella tutela e
nei piani paesaggistici e territoriali, dovranno (o meglio dire... dovrebbero) avere il
loro peso come strumento.
Non si valorizza, infatti, e non si rende produttivo ciò che non si conosce; ma la
conoscenza, basata sulla ricerca e sulla sua diffusione alla comunità intera, è sempre
meno praticata e avvilita; non si investe sul sistema dei saperi: sono divenuti un vero
e proprio lusso, non un bene comune. Uno scenario devastato quello del sistema
culturale italiano, indegno del nostro paese e strettamente contiguo al paesaggio, il
grande malato d’Italia come lo deinisce Salvatore Settis. Il suo sfruttamento sregolato
e capitalistico ci ha ridotti nello stato in cui siamo ed è lo spettacolo deprimente
del quotidiano. Scompaiono così nel non rispetto delle sue forme storiche, bellezza
diffusa e attrattive.
Dopo questa digressione sulle politiche culturali italiane, e tornando al nostro
argomento, il toponimo “Santa Cristina in Caio” deriva da una Chiesa, oggi
scomparsa, attestata per la prima volta nell’814, i cui ruderi furono completamente
abbattuti nel 1787.
L’interesse erudito per quest’area è consolidato; già alla metà del XVIII secolo
Girolamo Pecci riconosceva nei ruderi della Chiesa “un contrassegno di memorabile
antichità”, entro il quale “raccontano i più antichi del luogo che si adunassero i Gentili
per l’adorazione degl’idoli”.
Le prime attestazioni di rinvenimenti si hanno dalla metà del ‘900: alcuni crani umani,
due tombe alla Cappuccina, alcuni strumenti chirurgici, reperti bronzei e monete di
età imperiale, datate tra I e IV secolo d.C.
Già prima dello scavo degli anni ‘90, tra i cittadini di Buonconvento, si iniziava a
ragionare sulla possibilità che proprio in questo luogo si dovessero cercare le origini
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Santa Cristina in Caio
del loro Paese: questa “ricerca delle proprie origini” è un carattere comune a tutte le
società evolute.
Dopo oltre vent’anni di ricerche sul sito (anche se non continuativi), possiamo dire
che il nodo della Buonconvento Vetus non è ancora stato sciolto: o meglio, è un
tema complesso da affrontare. La ricostruzione delle vicende insediative nella piana
dell’Ombrone non passa attraverso una continuità insediativa da Santa Cristina a
Buonconvento, ma si assiste ad un lungo vuoto di almeno 3 secoli. In questo lungo
periodo la popolazione potrebbe essersi spostata in un luogo ancora scarsamente
indagato, ma che potrebbe rivelare notevolissimi spunti di ricerca in futuro. Inizia
a prendere così sostanza un terzo attore nella storia del Paesaggio di cui stiamo
trattando: Percenna. La collina immediatamente ad est del moderno paese sembra
essere un luogo perfetto per l’ediicazione di un villaggio altomedievale d’altura,
come tanti altri indagati dall’Università di Siena negli ultimi trent’anni (Miranduolo,
Poggibonsi, Scarlino, Montemassi, Montarrenti).
Se le indagini archeologiche sul territorio di Buonconvento proseguiranno in futuro,
sarebbe interessante spostare la nostra attenzione proprio su questa collina, cercando
di comprendere le dinamiche insediative dell’area tra IX e XI secolo. Uno dei temi
notevoli su cui ci stiamo concentrando in questi ultimi anni è quello legato alle
produzioni e ai commerci: Santa Cristina è un central place, ovvero un luogo di
mercato, dove si intrecciano in un complesso meccanismo economico produzioni
interne ed export, import su brevi e lunghe distanze. La fornace di ceramica a pareti
sottili, che stiamo cercando da due anni, chiarirà in futuro importanti questioni:
nel frattempo lo scavo degli scarichi sta mostrando una realtà (sia tipologica
sia cronologica) ben più complessa. All’interno della fornace (o delle fornaci?)
si produceva non solo ceramica a pareti sottili, ma anche tegole, mattoni, grandi
contenitori da trasporto, lucerne e anteisse. Almeno alcune di queste produzioni (in
particolare le lucerne) hanno proseguito oltre il I secolo d.C. I commerci sono una
realtà estremamente interessante da analizzare: notevole è la presenza (in quantità
ragguardevoli) dell’anfora di Forlimpopoli, prodotta appunto in area adriatica.
Tale contenitore non è invece stato trovato nei molti scavi urbani eseguiti a Siena,
mostrando quindi un chiaro rapporto commerciale tra la val di Chiana e Santa
Cristina, che non proseguiva poi verso Siena.
Per concludere quale futuro aspetta Santa Cristina? La speranza è la prosecuzione
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Santa Cristina in Caio
delle indagini, che dovranno andare di pari passo con uno sviluppo di valorizzazione
del sito, magari con la riapertura e musealizzazione delle terme e del mosaico
ritrovato.
[MV]
Lo scavo su Poggio alle Fonti in uno scatto relizzato da drone.
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Santa Cristina in Caio
Le Terme
L’uso delle terme in età romana era un vero e proprio status symbol, una necessità per
i cittadini romani che faceva parte della loro vita: una mansio (come Santa Cristina)
doveva avere a disposizione dei viaggiatori una serie di servizi, come il cambio dei
cavalli (e quindi le stalle), una taverna dove poter mangiare e dormire e ovviamente
un impianto termale, dove chi arrivava poteva riposarsi, rilassarsi e rinfrescarsi dopo
il duro viaggio.
L’uso termale trova origine nel corso del VI secolo a.C. in Grecia e ben presto si
diffonde nel mondo latino: soltanto i più ricchi però potevano dotarsi, all’interno
della propria residenza, di stanze (più o meno lussuose) per i bagni. La diffusione
trasversale a quasi tutti i rami della popolazione arrivò con il diffondersi dei bagni
pubblici: a Roma già dal II secolo a.C., come illustrato nelle commedie di Plauto.
Nel I secolo a.C. (contemporaneamente alla fondazione del nostro impianto) a Roma
Agrippa censì ben 170 strutture termali e ne offrì l’uso gratuito ai cittadini per ben 6
anni.
Tra le fonti scritte, per lo studio e la comprensione degli impianti termali, la fonte
privilegiata è Vitruvio ed il suo De Architettura. In particolare il V libro tratta degli
ediici pubblici e si occupa anche delle terme.
L’autore consiglia che gli ambienti caldi siano orientati verso sud-est, permettendo
così un primo riscaldamento solare (esattamente quello che accade a Santa Cristina):
tale orientamento è una costante negli ediici pubblici, come mostrato dagli esempi
delle terme di Diocleziano, Traiano e Caracalla a Roma, le terme del Foro e le
terme centrali a Pompei, le grandi terme di Timgad (Africa), le terme di Antonino a
Cartagine, quelle di Leptis Magna, Treviri.
Solo in alcuni rarissimi casi gli impianti termali antichi sfruttavano le acque
naturalmente calde, mentre in generale si procedeva al riscaldamento tramite forni:
nei periodi precedenti al I secolo a.C., si riscaldava mediante grandi bracieri
avendo però, con questo metodo, le problematiche della temperatura costante e
dei fumi all’interno delle stanze. Queste criticità furono superate con il sistema
dell’hypocaustum. Il termine ha origine greca (Hipocaustum = che scalda da sotto),
e tramite uno spazio vuoto sotto il pavimento, si procedeva al riscaldamento,
mediante un forno a legna1.
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PLINIO, Hipocauston Epistolae, II.V
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Santa Cristina in Caio
Nelle prime fasi di utilizzo di questo tipo di riscaldamento prevedeva che il fuoco
fosse acceso immediatamente al di sotto dell’ambiente che si desiderava riscaldare,
ma ben presto si adoperò la tecnica dei praefurni, veri e propri forni alloggiati
immediatamente a ridosso degli ambienti caldi.
Nei primi quattro anni di scavo, l’indagine si è sviluppata in un’area interpretata
come impianto termale in fase di ricognizione di supericie. Effettivamente l’ipotesi
si è dimostrata veritiera, in quanto abbiamo messo in luce un ediicio termale di quasi
250 mq, in funzione tra la ine del I secolo a.C. e la metà del IV secolo d.C.
Lo schema della struttura è estremamente regolare, ed è stato costruito a regola d’arte,
in un corpo di fabbrica rettangolare, sul quale poi vengono annessi alcuni ambienti
nel corso dei secoli.
L’accesso era localizzato in un vano interpretato come apodyterium, che almeno
nella prima fase doveva essere mosaicato; in questa stanza i fruitori delle terme
si spogliavano e si preparavano all’ingresso nel vero e proprio impianto termale.
Dopodichè il percorso prevedeva l’ingresso nel frigidarium dotato di una piscina
centrale. Questa stanza (la più grande della struttura) non veniva riscaldata, come
del resto non veniva riscaldata l’acqua interna alla vasca. Generalmente i Frigidari
sono sempre le stanze più estese, in quanto non era necessario il riscaldamento e
non c’era eccessivo consumo di combustibile. Le quantità di legname da ardere
dovevano essere notevoli e questo fatto apre due importanti considerazioni, in primis
sulla forza lavoro necessaria a far funzionare una struttura del genere ed in secundis
l’impatto ambientale che le terme dovevano avere sul paesaggio, provocando una
deforestazione massiccia.
La necessità di avere combustibile, era una delle prime preoccupazioni per i gestori
degli impianti termali: Plinio il giovane ci informa che per la sua villa, utilizzava
le vicine foreste di conifere2, mentre Frontino afferma che per rifornire le terme
pubbliche si utilizzassero rami e alberi secchi3. Riuscire a quantiicare (seppur in
modo schematico e senza pretesa di assoluta certezza) il processo di deforestazione
causato dalle terme e dalle fornaci per la ceramica è uno degli obiettivi che ci siamo
preissi per il futuro e forse l’aiuto di alcuni tipi di indagini scientiiche, come quelle
dei pollini, potrebbero aiutarci a raggiungere i nostri scopi.
Intanto, in via del tutto preliminare e con un notevole grado di approssimazione, si
2
3
PLINIO IL GIOVANE, Epistulae, III.1.8
FRONTINO, Controv. Agrim. X
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Santa Cristina in Caio
è tentato di comprendere l’ampiezza del territorio complementare ad uso boschivo,
necessario a Santa Cristina per far funzionare terme e la fornace di ceramica a
pareti sottili: ipotizziamo che le terme abbiano lavorato per 300 giorni all’anno, che
contemporaneamente fossero in funzione due forni per 6 ore al giorno e che ognuno
dei quali consumava 10-12 kg di legname all’ora; ipotizziamo che un ettaro di bosco
giovane poduca circa 60 quintali di legname ogni 20 anni; allora le terme avranno
consumato tra le 36 e le 54 tonnellate di legname all’anno.
Per quanto riguarda la fornace invece, ipotizziamo che la struttura abbia effettuato tra
le 10 e le 16 infornate all’anno e che per ogni infornata fossero necessarie 6 tonnellate
di legname, il consumo annuale di tale struttura sarà stata tra le 60 e le 96 tonnellate.
In questo modo otterremo un territorio complementare di circa 32-50 ettari (soltanto
ad uso boschivo).
Un secondo tema notevole è quello legato al rifornimento idrico: Vitruvio4 illustra
alcuni modi per risolvere questo problema. A Santa Cristina la facilità del reperimento
di acqua sempliica notevolmente le cose, ed è possibile che un canale, localizzato a
sud-est del corpo di fabbrica, agevolasse il rifornimento.
La stanza successiva era il tepidarium, dotato a sud di una piccola vasca o fontana:
questa stanza era riscaldata e aveva il sistema di suspensure per sorreggere il pavimento
e permettere il riscaldamento dell’ambiente. I fruitori successivamente accedevano
alla sudatio, che riceveva direttamente il calore del praefurnium principale; con
questo termine si intende il forno, attraverso il quale si riscaldavano le terme. La
sudatio era una sorta di sauna, un bagno di vapore molto apprezzata nell’antichità.
A seguire si accedeva al calidarium, dotato a nord di un alveus e in corrispondenza
dell’abside doveva trovare collocazione un labrum.
Il calidarium era l’ambiente più caldo delle terme ed era il luogo dove si poteva fare
bagni con acqua riscaldata artiicialmente all’interno di vasche di piccole dimensioni
(chiamate alvei). Le limitate dimensioni di queste vasche era dovuto alla necessità di
risparmiare sulla spesa per il combustibile.
Forse in una prima fase della stanza, il riscaldamento era ottenuto tramite l’accensione
di un fuoco immediatamente al di sotto del pavimento.
Di dificile interpretazione risulta essere l’ultimo ambiente, da considerarsi comunque
esterno al percorso canonico e che potrebbe essere messo in relazione con il vicino
accesso alla palestra e, forse, da inquadrarsi come generica stanza di servizio.
4
VITRUVIO, De Architectura, IV.10
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Santa Cristina in Caio
La prima fase di restauri è datata alla metà del I secolo d.C., interessando gli ambienti
caldi ed in particolare con la trasformazione della sudatio in un secondo calidarium;
si tratta forse del sacriicio di un ambiente aggiuntivo per far fronte ad una maggior
afluenza di clienti, quindi un ampliamento seppure a costo di qualche rivoluzione
funzionale.
La seconda fase di restauri, inquadrata intorno agli inizi del III secolo, interessa gli
ambienti freddi, con la costruzione di tre piccole vasche (di cui una mosaicata che
trova confronto con un ninfeo nella Villa di Tor de’ Schiavi a Roma) in sostituzione
della grande piscina di prima fase.
Ad oggi possiamo affermare che l’impianto termale fu dismesso intorno alla metà
del IV secolo; la cronologia è confermata anche dal ritrovamento di un follis di
Costante (moneta risalente al suddetto periodo) all’interno del riempimento di una
canalizzazione per il delusso delle acque. Conforta tale datazione il fatto che a fronte
di una relativa abbondanza per le fasi precedenti, l’evidenza numismatica non ha
messo in luce emissioni successive a Costante e Costanzo II.
[SB]
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Santa Cristina in Caio
In questa pagina: il tepidarium e l’apertura che permeteva il passaggio dell’aria calda dal prefurnium al di sotto dei pavimenti. Nella pagina precedente: l’apodyterium con pavimento in cocciopesto.
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Santa Cristina in Caio
Vista aerea del complesso termale.
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Santa Cristina in Caio
In alto: vasca di acqua fredda con pavimento mosaicato. In basso: particolare del mosaico a forme
geometriche.
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Santa Cristina in Caio
I riusi produttivi
Alla metà del IV secolo l’impianto termale cessa di funzionare e viene chiuso:
ben presto però la struttura viene utilizzata come cava di materiali a cielo aperto;
questi fenomeni, tra la metà del IV ed il VII secolo sono ampiamente diffusi in città
(anche nella stessa Roma) come in campagna (soprattutto nelle ville). La pratica di
spogliare i monumenti ed in generale le strutture antiche durerà comunque per tutto
il medioevo: questo è un fenomeno che osserviamo quotidianamente all’interno delle
nostre chiese.
A Santa Cristina in questa fase individuiamo l’inizio delle attività di spolio: vengono
recuperati più o meno radicalmente tutti i materiali edilizi e di pregio che potevano
essere riutilizzati in loco o sul mercato, come materie prime. Sono quindi attestate
attività di lavorazione del vetro attraverso la presenza di una fornace, che si installa
sui ruderi di un praefurnium, che trova un confronto nel sito di Torraccia di Chiusi1,
e soprattutto del piombo.
All’interno di questo orizzonte si muove la prima e massiccia fase dell’attività
metallurgica che è essenzialmente legata alla produzione di piombo e leghe di rame.
Il primo come derivato diretto dalla spoliazione delle istule (una sorta di tubature),
mentre le seconde sono da relazionare alla rifusione dei diversi manufatti in rame
potenzialmente presenti all’interno delle terme, come bracieri o contenitori per
l’ebollizione dell’acqua.
Sono stati individuati 7 forni fusori e 2 possibili forge, probabilmente relative oltre che
ai semilavorati anche alla produzione/riparazione degli strumenti per la conduzione
dello spolio. Le strutture produttive, di cui si sono rinvenute solo i fondi e poche
parti rubefatte delle strutture sopraelevate, non dovevano essere molto complesse;
trattandosi di materiali di recupero e quindi non essendo necessarie operazioni
sul minerale grezzo, non era richiesto il raggiungimento di elevate temperature.
La presenza di importazioni nel sito ino almeno al V secolo lascia supporre che
l’insediamento, nonostante lo spolio delle terme, mantenga inalterata la propria
funzione di polo commerciale: ipotizziamo che alla base dello smantellamento
dei bagni ci sia una iniziativa pubblica, dove l’ente preposto alla manutenzione e
cura delle terme, una volta dismesso l’impianto, decide/concede di smantellare la
struttura stessa (forse appaltando i lavori a ditte private specializzate) con l’intento di
1
CAVALIERI 2009
20
Santa Cristina in Caio
recuperare materiali edili e ricavare materie prime.
Fino ad oggi, la ricerca sul sito di Santa Cristina e sul territorio di pertinenza ci
ha permesso di comprendere alcune dinamiche, come ad esempio le fasi di
destrutturazione dell’ediicio termale, la formazione del villaggio altomedievale, la
conformazione della produzione agricola in età romana nell’area di Buonconvento,
i connotati del sistema di comunicazione terrestre e luviale da e per Santa Cristina,
il ruolo di queste infrastrutture nell’economia degli insediamenti secondari romani e
nella loro continuità di vita durante l’altomedioevo, le linee di penetrazione dei prodotti
(anche nella tarda antichità) provenienti dalla Gallia, dall’Hispania, dall’Africa e dal
Mediterraneo orientale. Nonostante le molte incertezze che dominano l’argomento,
ipotizziamo inoltre, come già detto, che le operazioni di demolizione dei bagni non
siano da ricondurre ad una sorta di sciacallaggio anarchico, bensì ad un’azione
controllata e gestita da parte dell’autorità pubblica.
Ciò che però non siamo ancora in grado di comprendere e che dovrà essere motivo
di interesse nel futuro prossimo è invece dove andassero gli spolia: postulato che
non servissero per nuove fabbriche interne al sito stesso, le materie prime estratte
potrebbero essere state usate per la vendita nel territorio di Buonconvento e
limitrofo? Oppure potrebbero essere state vendute a qualche cantiere rurale, come
potrebbe essere una villa tardo antica? In alternativa, se si considera una prima fase
di cristianizzazione delle campagne toscane (di cui al momento comunque ci sono
pochissime tracce archeologiche) potrebbero essere stati venduti per il cantiere di una
chiesa? In ultima battuta, forse, i materiali recuperati potrebbero essere stati inviati in
città? Siena? Chiusi? Roselle?
[SB]
Particolare dellla Tabula Poutingeriana in cui sono rappresentate Umbro Flumen e Sena Iulia.
21
Santa Cristina in Caio
In alto: forno fusorio. In basso: fornace da vetro.
22
Santa Cristina in Caio
Le case in tecnica mista
Al termine di questa fase di spoglio dell’impianto termale, lo scavo ha permesso
di individuare una prima frequentazione abitativa dell’area: tra il secondo quarto e
la ine del V secolo, sui ruderi oramai quasi del tutto abbattuti degli antichi bagni
vengono costruite alcune case.
Le abitazioni erano costruite sfruttando le rasature dei muri romani oppure costruendo
ex novo uno zoccolo in muratura, sul quale veniva poi ediicato un elevato in terra
pressata. Questa tecnica costruttiva “mista” è ampiamente diffusa in molte aree del
Mediterraneo e caratterizza queste fasi di destrutturazione degli insediamenti romani
e poi tutto l’alto medioevo1. Per rimanere nel territorio comunale di Buonconvento,
fenomeni simili si osservano nella villa della Befa2: dopo l’abbandono della struttura,
gli archeologi hanno individuato fasi di frequentazione e di riuso di alcuni ambienti,
che molto probabilmente dovevano essere case in tecnica mista simili a quelle di
Santa Cristina. Oltre ai casi di Buonconvento, tali tecniche edilizie erano frequenti
sia nelle campagne sia nelle città.
Questo nuovo nucleo di popolamento sembra tentare di approittare ancora, per quanto
possibile, di ciò che resta delle terme, sia dal punto di vista edile (appoggiandosi ai
muri per le case) sia per il riutilizzo delle materie prime restanti. Infatti, accanto
alla ridistribuzione dei materiali di accumulo e delle macerie (contradistinti anche
da carboni e scorie pertinenti alla fase precedente), utilizzati anche per livellare i
nuovi piani di vita, troviamo ancora le tracce evidenti della prosecuzione dell’attività
metallurgica, per quanto non più strutturata e su larga scala come prima. Il forno
rinvenuto all’interno di una struttura in tecnica mista è esempliicativo di questa fase
della vita di Santa Cristina, un momento in cui, la funzione di ‘cava’ di materia prima
dell’ediicio termale non si è ancora esaurita ma, probabilmente, durante il quale non
è possibile più riscontrare alcuna traccia di attività pianiicata e centralizzata della
attività di spoglio e riutilizzo dei materiali.
Nell’area intorno ai bagni romani abbiamo scavato tre strutture di questo tipo, una
all’interno, che segue i perimetrali del vecchio tepidarium, dotata di un focolare, e
due case collocate immediatamente all’esterno. Queste due strutture si appoggiavano
solo per un perimetrale ciascuna alle terme (in un caso si appoggia al calidarium e in
1
2
Per un approfondimento sugli ediici in tecnica mista si veda VALENTI 2008, FRONZA 2008 e FRONZA 2006
DOBBINS 1983
23
Santa Cristina in Caio
un altro alla sudatio/calidarium), mentre per gli altri tre erano stati costruiti zoccoli in
muratura con tegole spezzate: anche questa tecnica costruttiva è ampiamente diffusa
e si può ritrovare anche nel vicino sito della Pieve di Pava3.
La struttura appoggiata alla sudatio/calidarium è quella che si presenta in condizioni
di conservazione migliore: siamo riusciti a ricostruire due fasi di vita dell’ediicio,
grazie soprattutto alla presenza di livelli di battuto sovrapposti (ovvero strati di terra
battuta usati come piani pavimentali). Nella prima fase, all’interno dell’ediicio (come
già detto in precedenza), è stato scavato un forno a pozzetto molto ben conservato,
funzionale alla rifusione del piombo e costruito con un circolo di pietre e tegole
spezzate: lo strato, rinvenuto in ottimo stato di conservazione, si presenta fortemente
arrossato e concotto, inoltre conserva al suo interno resti di piombo fuso, traccia
dell’ultimo ciclo di lavorazione della struttura metallurgica.
Su Poggio alle Fonti, in questa cronologia, si osservano cambiamenti simili. Lo scavo
ha permesso di individuare una struttura rettangolare aperta su uno dei due lati corti.
Un muro era costruito interamente in terra pressata, uno era ricavato con materiali
di recupero ed il terzo era già presente in età imperiale. La scarsezza di stratigraia
archeologica (tale assenza è probabilmente dovuta alle arature agricole moderne),
non permette di fare ipotesi precise circa la funzione dell’ediicio: in nostro aiuto
viene però la massiccia presenza, nella zona interna alle murature e nelle immediate
vicinanze, di un gran quantitativo di scorie pertinenti al ciclo produttivo del ferro
(prendendo in considerazione solo quelle più grandi, abbiamo raccolto oltre 7 kg di
scorie) e soprattutto un frammento di lingotto.
In deinitiva nel pieno V secolo a Santa Cristina si assiste ad un primo, seppur
lieve se paragonato con quanto avverà successivamente, cambiamento funzionale
dell’insediamento. I commerci e la produzione artigianale, che aveva caratterizzato
i secoli alto e medio imperiali (I-IV secolo d.C.), iniziano ad entrare in una fase di
recessione e le aree ediicate precedentemente cambiano funzione trasformandosi in
abitazioni.
[SB]
3
CAMPANA et alii 2008, p. 2-3
24
Santa Cristina in Caio
Case in terra poste negli spazi della antiche terme.
25
Santa Cristina in Caio
Le capanne
Con gli inizi del VI secolo Santa Cristina muterà profondamente i propri connotati
insediativi. Gli avvenimenti storici che avvengono in questo particolare secolo
provocheranno una reazione a catena, producendo un paesaggio completamente
diverso dal precedente, un’economia destrutturata e una società trasformata.
La guerra greco-gotica (535-553) tra goti e bizantini, mise in scena un campo di
battaglia sull’intera penisola per quasi un ventennio; l’invasione longobarda guidata
da Re Alboino nel 568 provocò una frammentazione della penisola che non si ricucirà
più per moltissimi secoli. A Santa Cristina si osservano perfettamente i fenomeni di
destrutturazione e le trasformazioni. Le capanne che invadono gli spazi pubblici sono
testimonianza della perdita di controllo da parte dell’autorità statale sulle proprietà.
Questo fenomeno si osserva non solo all’interno delle terme, ma anche sulla strada
romana individuata durante gli scavi e che doveva transitare sul fronte dei bagni.
In questa fase le caratteristiche di polo artigianale e commerciale decadono
completamente, lasciando il posto ad un’economia di sussistenza, fatta in primis di
agricoltura e allevamento ed in secundis dalla caccia. Almeno in una prima fase,
l’insediamento doveva essere composto da capanne semiscavate (dette anche
grubenhaus): queste strutture sono state rinvenute sia sull’area delle terme sia sul
Poggio alle Fonti. Se nella prima area le capanne saranno occupate ino alle soglie
dell’VIII secolo, sulla collina dove stiamo proseguendo l’indagine, si impianterà una
necropoli. Le sepolture, tranne in un caso, non hanno restituito corredo. Come già detto
precedentemente, l’insediamento di grubenhauser sembra dedito ad attività agricole,
all’allevamento in associazione con attività marginali di caccia; una delle strutture,
una piccola capanna con funzione di magazzino, viene addirittura impiantata in
avanzamento sull’antico tratto stradale glareato. In una seconda capanna semiscavata
il dato archeozoologico ci mostra la presenza di ovini, bovini, suini, ma anche di
cinghiale e capriolo.
Tali fenomeni di rioccupazione delle strutture romane, sono estremamente comuni
nel panorama nazionale, ma in nessun caso produrranno una tipologia insediativa
che proseguirà nel tempo. Questi villaggi saranno l’ultimo colpo di coda dei paesaggi
antichi, capaci per qualche secolo, di proseguire nel medioevo.
[SB]
26
Santa Cristina in Caio
In alto: capanna semiscavata con funzione di magazzino. In basso: capanna abitativa sorta sulle
rovine delle terme.
27
Santa Cristina in Caio
La chiesa
La prima menzione relativa alla presenza di una chiesa intitolata a Santa Cristina
è datata al 29 dicembre 814: si tratta dell’emissione di un diploma da parte
dell’imperatore Ludovico il Pio in favore dell’abbazia di Sant’Antimo in valle
Starcia col quale si conferma il controllo dell’abbazia su un territorio detto Caium
Cecilianum all’interno del quale è compreso l’oratorium di Sancta Christina. Questa
formula presuppone quindi una precedente donazione della quale non ci è purtroppo
giunta alcuna documentazione; l’autore di tale decisione era probabilmente il
predecessore e padre di Ludovico, Carlo Magno. Possiamo quindi immaginare che
la chiesa sia presente almeno dalla ine dell’VIII secolo. A questa prima menzione
fanno seguito altri atti imperiali o papali: nel corso dell’XI secolo (1051) il legame tra
Santa Cristina e Sant’Antimo viene ribadito da un diploma dell’imperatore Enrico III
dove la chiesa viene deinita plebs. Nel 1189 è una bolla di Papa Clemente III a citare
la plebem Sanctae Cristinae in Cajo tra le chiese all’interno della diocesi di Siena.
Nel 1216 un documento a irma di papa Onorio III testimonia per un’ultima volta la
presenza di Santa Cristina sotto l’egida dell’abbazia di Sant’Antimo. Solo 20 anni
dopo, nel 1236, il controllo della chiesa viene ceduto alla propositura di San Lorenzo
a Percenna, in quel momento sede di un castello controllato da Siena.
L’uscita dall’ombra di Sant’Antimo segna anche l’inizio di un rapido ed inesorabile
abbandono dell’ediicio ecclesiastico. Nel Constituto del Comune di Siena del
1262, in una nota a margine si utilizza la presenza della chiesa per deinire un punto
compreso tra la strada per Montalcino ed il torrente Serlatte1; la chiesa doveva quindi
essere ancora ben visibile tanto da essere utilizzata come punto di riferimento nel
paesaggio; a ine secolo però le informazioni iscali circa le decime dovute dalla
chiesa ci mostrano come, seppur ancora visibile, la chiesa non doveva più aver un
ruolo sociale ed economico sul territorio. Infatti nelle Rationes Decimarum Italiae2
databili tra il 1298 ed il 1303 la chiesa di Santa Cristina (ormai diventata Ecclesia S.
Christine de Percena) appare congiuntamente alla Plebs S. Laurentii de Perceno di
cui è subalterna; l’esenzione dal pagamento di qualsiasi tipo di decima conferma la
sua perdita di importanza e centralità.
1
2
Zdekauer 1897; qui si legge, aggiunta in margine alla “Rubr. CXIII, Dist. Ili” questa nota : « Item statuimus
et ordinamus quod debeat ieri unus pons super Serlatam, in loco unde itur per viara Montalcinensem
subtus Sanctam Crisinam »
Guidi 1976
28
Santa Cristina in Caio
Dopo questa data le citazioni all’interno di documenti uficiali relative a Santa
Cristina si interrompono. Sappiamo che la struttura dovette subire ingenti danni nel
corso della guerra di Siena (XIV secolo) probabilmente durante una battaglia svoltasi
proprio nella zona compresa tra Buonconvento e Montalcino. Successive menzioni
sono riportate in alcuni appunti di viaggio di Giovanni Pecci3 nel corso del XVIII
secolo e di Luigi Carli, che all’inizio del XIX secolo ricorda come ino a pochi anni
prima fossero visibili i resti di questa chiesa a sinistra del corso dell’Ombrone, presso
la strada che collega Montalcino e Buonconvento. Inine sia il Pecci che poi il Carli
sostengono che l’architrave presente sopra l’entrata della chiesa di San Lorenzo a
Percenna provenga dall’area di Santa Cristina sebbene il primo l’attribuisca ad un
elemento di origine romana mentre il secondo propenda per un elemento murario
proveniente dalla chiesa e databile al X-XI secolo.
Tutte le informazioni documentarie in nostro possesso quindi confermavano il
posizionamento della chiesa di Santa Cristina in Caio nei pressi dell’area in cui si è
conservato il toponimo e dove è sorto un grande nucleo poderale databile genericamente
al 1800. L’assenza di resti murari visibili ha reso dificile l’individuazione certa della
chiesa. L’area di Poggio alle Fonti appariva come la più plausibile data la presenza
di una area sepolcrale anche se quest’ultima, ad oggi, appare essere antecedente alla
fondazione della chiesa. L’identiicazione certa del posizionamento dell’ediicio è
giunta con l’individuazione di una pianta settecentesca riportante anche la chiesa. Il
documento, conservato all’Archivio di Stato di Siena all’interno del fondo GrisaldiDel Taia4 deiniva alcune controversie sorte tra la propositura di Percenna e la
famiglia Del Taia circa il possesso di alcuni terreni. Uno di questi terreni era quello
di Poggio alle Fonti dove si riporta testualmente “Altro campo lavorativo con alcune
quercie in contrada Santa Cristina dov’è una chiesa demolita chiamata di Santa
Christina“5. Poichè il campo rappresentato era privo di riferimenti geograici assoluti
abbiamo provato a sovrapporre la forma dell’appezzamento con quello presente nel
cosiddetto Catasto Leopoldino (1820 circa). La sovrapposizione è perfetta e conferma
3
4
5
Pecci 1758, Memorie storiche, poliiche, civili e naturali della cità, terre e castella che sono e che sono
state suddite della cità di Siena. IV, letera M, 1758. Page 225
Archivio Grisaldi Del Taia numero 683, pagina 8 Cabreo ossia pianta con la terminazione dei beni
(Percenna) 1 novembre 1764
Il documento integrale recita: Altro campo lavoraivo con alcune quercie in contrada Santa Crisina dov’è
una chiesa demolita chiamata di Santa Chrisina ; conina la strada pubblica di Montalcino, altra strada
traversa, e inalmente l’illustrissima signora Porzia Franceschi, vedova del nobile fu signore Silvio Finei
con fossete, acquaia, la quale mandò per tale efeto Francesco Guzini (?) suo agente, è alla presenza del
medesimo misurato fu ritrovato essere di staia 4,e del medesimo se ne ha la sua pianta nella tavola XIV.
29
Santa Cristina in Caio
l’identiicazione del Poggio alle Fonti come sede della antica chiesa di Santa Cristina.
[MP]
Il documento dell’archivio Grisaldi-Del Taia che cita la chiesa di Santa Cristina.
30
Santa Cristina in Caio
Il cimitero
A partire dalla metà del VI secolo d.C. la collina di Poggio alle Fonti, situata a sud
– est rispetto alle terme romane di Santa Cristina, viene ad assumere una funzione
prevalentemente sepolcrale.
L’area era stata occupata in dal periodo romano subendo nel corso dei secoli
numerose trasformazioni. Inizialmente era un quartiere artigianale per la produzione
ceramica, a partire dall’inizio del VI secolo d.C. attraversa poi una breve fase
insediativa, attestata dalla presenza di una capanna di forma circolare costruita
riusando elementi dell’area artiginale; inine, l’intera zona viene occupata da tombe
a inumazione, distribuite in maniera piuttosto uniforme su una supericie di circa
340 m2. L’attestazione, a partire dal IX secolo d.C., del già citato oratorium di
Sancta Christina permette quindi di ipotizzare l’assenza di ulteriori cambiamenti
nell’utilizzo di questo spazio che continuerà probabilmente a mantenere una funzione
di carattere religioso anche durante i secoli seguenti. La presenza di un muro in terra
che attraversa diagonalmente la necropoli asportando alcune sepolture potrebbe
quindi rappresentare un elemento di delimitazione o di riorganizzazione dell’area
cimiteriale (forse un recinto funerario?) realizzato in una non meglio precisabile fase
intermedia della necropoli.
L’area sepolcrale, già parzialmente indagata dalla Soprintendenza per i Beni
Archeologici della Toscana tra il 1992 ed il 19941 e sottoposta a scavo a partire
dall’estate 2013, ha ino ad ora restituito un totale di 43 sepolture. Ad esclusione
di quelle portate alla luce negli anni ’90, lasciate nel luogo di rinvenimento ed
intercettate durante gli scavi attuali, le deposizioni si conservano in buono stato e
sono per lo più dalla medesima tipologia sepolcrale con una fossa semplice scavata
direttamente nel terreno per lo più rivestita con lastre o pietre; dei segnacoli litici
erano solitamente posti in verticale dietro la testa e/o ai piedi del defunto. Con buona
probabilità, la sporadica conservazione di parti di copertura in alcune sepolture è
imputabile ai ripetuti lavori agricoli che ne hanno causato lo sconvolgimento e la
dispersione dei materiali. Le tombe sono orientate in direzione ovest-est con la testa
1
Tra i pochi rinvenimeni merita di essere citata la bella ibbia in bronzo di epoca longobarda recuperata
nella tomba a fossa semplice di un bambino di due anni con marcata idrocefalia, una disfunzione,
congenita o acquisita in seguito a infezioni o malaie, che provoca un eccessivo accumulo di liquido
all’interno delle cavità cerebrali. Per approfondimeni sulle indagini svolte dalla Soprintendenza per i Beni
Archeologici della Toscana tra il 1992 ed il 1994 si veda GOGGIOLI et al. 1995.
31
Santa Cristina in Caio
rivolta sempre ad ovest, rispettando quindi la tradizionale disposizione cristiana
secondo cui lo sguardo del defunto doveva sempre essere rivolto nella direzione del
sole nascente.
Gli scarsi oggetti di corredo2, la sequenza stabilita dai rapporti stratigraici e le lievi
differenze nell’orientamento delle fosse hanno permesso di distribuire le sepolture in
tre gruppi successivi, probabilmente collocabili nel periodo compreso tra la metà e la
ine del VI secolo d.C.
All’interno del panorama sepolcrale piuttosto omogeneo appena descritto, si
distinguono per tipologia e posizione alcune inumazioni. Due tombe, poste nella
zona più settentrionale della necropoli, sono coperte da pesanti lastre lapidee, una
delle quali, dalla forma antropomorfa, risulta perfettamente conservata seppur
spaccata in tre grossi frammenti. Queste sepolture, per via della tipologia tombale
distintiva, dell’orientamento anomalo di una delle due e della quasi totale assenza di
patologie riscontrate sugli individui in esse deposte, potrebbero quindi conigurarsi
come privilegiate. Altri tre inumati sono invece stati rinvenuti all’interno di una
grande fossa circolare e le loro tombe, che conservano gli elementi del rivestimento
e le grosse pietre squadrate dietro il capo del defunto, sono state ricavate al di sopra
dei livelli della capanna semiscavata relativa al periodo di occupazione insediativa
dell’area. Le fosse di questi soggetti, scavate in profondità e volutamente sistemate
all’interno della struttura descritta sfruttandone in maniera anomala la pendenza, per
caratteristiche e posizione potrebbero quindi conigurarsi come distintive secondo
termini e modalità che potrebbero forse essere chiarite dalla prosecuzione delle
analisi antropologiche ancora in corso.
[VG]
Lo studio antropologico sulle ossa umane può rivelare tantissime informazioni
riguardanti gli uomini vissuti nel passato; da esse possiamo ricostruire quello
che in antropologia isica viene deinito ‘’proilo biologico’’ ovvero l’insieme
delle ‘’caratteristiche‘’ di un individuo. Questo comprende quindi sesso, sviluppo
muscolare, gruppo umano, statura, età, patologie ed eventuali traumi. Le ultime due
classi rappresentano categorie particolari di informazioni: una malattia dei tessuti molli
spesso non lascia alcuna traccia sull’apparato scheletrico mentre i traumi, accidentali
o volontari, possono essere facilmente riconosciuti nel caso in cui le aree scheletriche
conservino un certo grado di completezza (solitamente si tratta di gambe, braccia o
2
GOGGIOLI et al. 1995 e VALENTI 2013 pp. 3 – 4.
32
Santa Cristina in Caio
cranio). In un contesto archeologico, la conservazione delle ossa è spesso cattiva o
appena suficiente; queste, raramente integre, sono più frequentemente frammentate
o in parte mancanti. E’ quindi necessario provvedere ad un restauro accurato e ad
eventuali integrazioni per riportarle alla forma originale e ottenere quindi tutte le
informazioni possibili. Relativamente al caso di Santa Cristina, gli individui per i
quali è stato possibile determinare il sesso (che conservano cioè almeno un osso da
cui poter estrapolare il dato), si distribuiscono piuttosto uniformemente tra maschi
e femmine. Abbiamo tuttavia diversi soggetti in cui l’attribuzione del sesso è resa
impossibile dalla pessima conservazione dei reperti ossei. Anche l’età riscontrata è
abbastanza omogenea: sia per gli uomini che per le donne l’età media si attesta tra i
20 e i 40 anni. Uniche eccezioni sono una donna maggiore di 50 anni, un bambino
di forse 5 anni e due ragazzi adolescenti. Lo scavo di Santa Cristina presenta per
ora un campione in sintonia con la vita media del periodo, riscontrato anche in altre
necropoli contemporanee.
Le altezze dei soggetti, calcolate partendo dalla lunghezza massima delle ossa degli
arti (omero, radio, ulna, femore, tibia), costituiscono una sorpresa: gli individui
presentano stature che non rispecchiano l’immaginario comune ma vanno da un
minimo di 158 cm di un maschio sub adulto a un massimo di 183 cm di un maschio
adulto con un notevole sviluppo muscolare. La media si aggira intorno ai 170 – 175
cm, valore vicino alla media moderna dal secondo dopoguerra. Questo ci porta a
pensare, in via del tutto ipotetica, che possa essere avvenuto una vera e propria
introduzione di nuovi gruppi umani nel sito di Santa Cristina.
Lo sviluppo muscolare attesta che la maggior parte degli adulti erano impiegati in
lavori di fatica o comunque erano soggetti a lavori con una notevole incidenza sia a
livello muscolare che osseo. La maggior parte dei maschi presenta gradi di sviluppo
molto elevati, patologici o di forte stress, in molti muscoli indice di un impiego intenso
e prolungato in attività probabilmente legate all’agricoltura che doveva costituire la
principale occupazione della popolazione del tempo.
I traumi, allo stato attuale degli studi, sono molto rari. Gli individui scoperti nella
necropoli di Santa Cristina non presentano gravi fratture o mutilazioni. Gli unici
traumi rilevati sono una probabile mutilazione della terza falange della mano destra
di un maschio adulto e una probabile frattura, totalmente risarcita, sul femore sinistro
dell’unica femmina matura rivenuta.
33
Santa Cristina in Caio
Le patologie, ultimo parametro osservato, forniscono inoltre dei dati inaspettati.
Tralasciando quelle connesse al lavoro già citate precedentemente, sono state
riscontrate patologie di varia natura. Le più comuni sono quelle dentarie come, ad
esempio, la parodontite, gli ascessi, le carie, il tartaro o l’ipoplasia dello smalto. Dalle
analisi preliminari su alcuni soggetti abbiamo riscontrato altre patologie di notevole
interesse come la sinusite cronica, tumori benigni come osteomi e meningiomi, ernie
e artrosi sulla spina dorsale, artrosi alle articolazioni delle gambe e delle braccia,
schiacciamento delle vertebre e relativa fusione delle stesse oltre ad una possibile
idrocefalia in una donna adulta (forse parente del bambino con la stessa disfunzione
rinvenuto durante gli scavi degli anni ’90?)3. I dati in qui esposti rappresentano solo
una parte delle informazioni potenziali che la necropoli può fornire con il prosieguo
degli scavi e degli studi.
[CG]
La parte meridionale del cimitero e, al centro, il muro in terra che taglia alcune delle sepolture.
3
BAXARIAS – HERRERÍN 2008.
34
Santa Cristina in Caio
Sepoltura con lastra di copertura antropomorfa.
Il culto di Santa Cristina lungo la via Cassia: ipotesi per una rete
devozionale
La quaestio agiograica
Lo studio di un contesto articolato come Santa Cristina non può prescindere da un
tentativo di analisi ed approfondimento sul toponimo stesso: la prima menzione del
sito associato al nome della santa risale al 29 dicembre 814 d.C., quando si certiica
la presenza di un oratorium dedicato a Sancta Christina. Non è questa la sede
per affrontare uno studio agiograico dettagliato, ma si ritiene che possano essere
avanzate ipotesi plausibili sulla diffusione del culto dedicato alla martire eponima, la
cui articolazione topograica è ben tracciabile nella seconda parte di questo capitolo.
Santa Cristina viene citata a partire dal V secolo d. C. nel Martirologio Geronimiano:
qui la santa, celebrata il 24 luglio, viene ritenuta originaria di Tiro in Fenicia1 (e
di quest’ultimo avviso è anche una passio greca databile al V secolo d.C., sebbene
fortemente interpolata da passiones latine comprese tra IX e XI secolo d.C.), mentre
i dati archeologici e monumentali sembrano lasciare pochissimi dubbi sul fatto
che, invece, fosse nativa di Volsinii/Bolsena. Di grande interesse è il fatto che la
dicotomia tra l’origine orientale e quella occidentale della santa fosse già avvertita
1
IX Kal. Aug. In Tyro civitate natale Sanctae Crisinae Virginis (M.H., p. 393).
35
Santa Cristina in Caio
nel corso dell’altomedioevo, come certiica il Sancti Adoni viennensis archiepiscopi
Martyrologium, di IX secolo d.C.2.
Inevitabilmente la quaestio ha ingenerato differenti punti di vista tra gli studiosi,
laddove alcuni valorizzano l’elemento orientale, proponendo una successiva
importazione del culto in occidente, mentre altri affermano l’originaria pertinenza
della santa e del suo culto a Bolsena: uno degli elementi ‘forti’ a favore di quest’ultima
interpretazione è legato al fatto che le fonti martirologiche orientali non citino
Cristina prima del IX secolo d.C. e, inoltre, all’ipotesi che i redattori del Martirologio
Geronimiano possano essere stati inluenzati dalla passio sopra citata3: quest’ultimo
aspetto sembrerebbe inoltre confermato dall’afinità pressoché pedissequa con gli
eventi descritti in un’altra passio, relativa a S. Teodosia di Tiro4.
Ma l’elemento ‘forte’ è rappresentato dalla catacomba di Santa Cristina presente a
Bolsena, il cui incipit è da inquadrare agli inizi del IV secolo d.C., quasi due secoli
avanti la prima attestazione di un episcopato a Volsinii, databile intorno al 494-4955.
Il cimitero ipogeo non può essere qui analizzato nella sua completa articolazione, ma
per questo contributo ci si limiterà a sottolineare come tutti i dati sembrino essere
concordi nel ritenere accertata la presenza, nella catacomba, di un sepolcro venerato
già nel IV secolo d.C., che avrebbe ingenerato l’ediicazione della basilica medievale,
dedicata a Santa Cristina, ritenuta santa locale già almeno dal IX secolo d.C.6. Bisogna
dunque evidenziare il fatto che “per un evidente fattore di continuità è chiaro che la
tomba venerata di cui abbiamo individuato indizi della presenza deve ritenersi quella
di Cristina eponima del luogo”7. Se dunque appare accertata la sussistenza di un culto
dedicato a Santa Cristina, da ritenere dunque di Volsinii/Bolsena, già nel corso del IV
secolo d.C. e, soprattutto, se si pone l’accento sul fatto che tale insediamento sorgesse
sulla via Cassia sembrerebbe del tutto plausibile supporre che l’agiotoponimo
riferibile al contesto di Buonconvento sia da legare strettamente allo sviluppo di una
rete devozionale che, partendo da Bolsena, si sarebbe diffusa lungo la via Cassia; non
appare nemmeno essere casuale il fatto che lo sviluppo della venerazione a Cristina
sia attestato a Volsinii nel IX secolo d.C., proprio quando si viene ad annoverare la
prima attestazione dell’oratorium di Sancta Christina presso l’attuale Buonconvento
2
3
4
5
6
7
Sanci Adoni viennensis archiepiscopi Martyrologium = P.L., 123, c. 307.
Si veda Fiocchi Nicolai 1988, pp. 135-136.
Lanzoni 1927, pp. 540-541; Fiocchi Nicolai 1988, p.136.
P. L., 59, c. 146.
Fiocchi Nicolai 1988, p. 184.
ibidem.
36
Santa Cristina in Caio
(sebbene eventuali dati archeologi in futuro potrebbero accertarne fasi anteriori).
[GC]
Intitolazioni alla santa in relazione alla viabilità
Per la Toscana è possibile supporre che il processo di cristianizzazione sia avvenuto
lungo le vie consolari, in particolare la Cassia; le attestazioni di luoghi di culto cristiani
situati su precedenti punti di sosta legati alla viabilità romana si distribuiscono su
tutto il territorio nazionale: dal Nord al Sud della nostra penisola gli esempi sono
molteplici. Per approfondire e comprendere la diffusione del culto di Cristina,
stiamo censendo gli ediici religiosi medievali a lei intitolati ed i generici toponimi,
per provare a capire se ci possa essere una corrispondenza spaziale tra le strade e il
veicolare del culto. Al momento il lavoro non può dirsi concluso e presentiamo una
breve sintesi dei dati in progress.
Risalendo da Bolsena verso nord, sappiamo che dal II secolo d.C. a Chiusi la Cassia
si diramava in tre diverticoli: la Cassia Vetus, che arrivava a Firenze passando
per Arezzo, la Cassia Nova, costruita nel 123 d.C. come percorso alternativo alla
precedente senza passare per Arezzo e il tratto Chiusi-Siena. Lungo quest’ultimo
percorso, cioè quello che dovrebbe passare da Buonconvento, sono attestati due
luoghi di culto dedicati a Santa Cristina in uno spazio molto ristretto, distanti tra
loro circa 10 km: a Santa Cristina in Caio (814) e a Lucignano d’Arbia (913) dove è
attestato anche un “ospitale”, chiaro riferimento ai pellegrini della Francigena.
Lungo la Cassia Vetus, invece, possiamo trovare le chiese di Santa Cristina in
località Terontola (VI secolo, oggi scomparsa), nei pressi di Castiglion Fiorentino
(altomedioevo) ed in località Chiani, vicino ad Arezzo (altomedioevo). Nel tratto che
conduceva a Firenze troviamo a Montevarchi un’altra attestazione della Santa in una
chiesa (Medioevo). Da Firenze e lungo la Valle dell’Arno sono attestati altri ediici
di culto: tra Strada in Chianti e Impruneta (Medioevo), San Casciano in Val di Pesa
(1015), Prato (XIII secolo), Poggio a Caiano (Medioevo), Carmignano (Medioevo),
Montale-Catugnano (Medioevo), Empoli (1119), nei pressi di Santa Maria a Monte
(Medioevo), a Pisa (VIII secolo), a sud di Lucca (935), a Vecchiano-Avane (1137).
Fermo restando che potrebbero esserci ulteriori attestazioni non ancora censite
oppure la cui memoria è andata perduta, crediamo che il culto di Santa Cristina si
sia sviluppato da Bolsena lungo le principali arterie viarie della Toscana interna.
37
Santa Cristina in Caio
In effetti si nota una mancanza quasi totale di intitolazioni nella fascia costiera tra
Grosseto e Livorno, dove è stata schedata una sola pieve.
Uscendo dalla Toscana, in Emilia Romagna, i dati sugli ediici religiosi censiti stanno
confermando una veicolazione del culto attraverso la Via Emilia. I centri interessati
sono: Cesena, Imola, Bologna, Parma, Bacedasco Alto. Non sappiamo, al momento
determinare quale strada (presumibilmente secondaria) facesse da tramite tra la
provincia di Arezzo, dalla Cassia alla via Emilia, oppure se valicasse gli Appennini
prima della Toscana. Sicuramente anche in questa regione vi è una forte connessione
tra la strada e il veicolare del culto.
La Toscana, allo stato attuale della ricerca, rappresenta il territorio con il più alto
numero di attestazioni di ediici di culto dedicati a Santa Cristina: questo dato
sicuramente è da attribuire alla vicinanza con il luogo dove il culto viene generato,
Bolsena. Un culto che ha origini antiche, dal IV secolo, con attestazioni di chiese a
lei intitolate sin dal VI secolo e successivamente nell’ VIII e nel IX secolo, ben prima
del successo della Francigena come strada di pellegrinaggio.
Il sistema di veicolazione che ha portato alla conoscenza di Santa Cristina anche
fuori dal suo territorio circoscritto è stato sicuramente la Cassia: a conferma di questo
le attestazioni lungo il tratto Chiusi-Arezzo-Firenze e sicuramente il tratto ChiusiSiena (Buonconvento, Lucignano d’Arbia). Oltre alla Cassia come fattore di sviluppo
del Culto, sicuramente anche la Francigena ha avuto, successivamente, un ruolo
[CM]
fondamentale.
Nella pagina a ianco:
In alto: Volsinii/Bolsena: planimetria del polo cultuale/funerario dedicato a Santa Cristina (da
Carletti, Fiocchi Nicolai 1989).
In Basso: Immagine GIS del rapporto tra gli ediici dedicati a Santa Cristina (in arancione) e l’ipotetica ricostruzione delle strade romane nella Toscana interna.
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Santa Cristina in Caio
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Santa Cristina in Caio
Dalla Cassia alla Francigena
Santa Cristina deve la sua fortuna a due elementi diversi, ma entrambi funzionali agli
scopi commerciali: la Cassia che da Chiusi conduceva a Siena e l’Ombrone.
La storia della Strada romana che attraversava in direzione nord-sud la Toscana
interna è ricca di punti interrogativi, ma non ce ne occuperemo in questa sede1: ciò di
cui invece ci occuperemo è il tema del diverticolo che, poco dopo Chiusi, si distaccava
dalla strada principale per arrivare a Siena. È probabile che un percorso esistesse già
tra I secolo a.C. e I secolo d.C., ma l’istituzionalizzazione vera e propria dell’arteria
si deve collocare intorno all’anno 123 d.C., quando l’Imperatore Adriano inaugura la
strada che da Chiusi raggiungeva Firenze senza passare da Arezzo. È quindi possibile
che i lavori di riassetto stradale dell’Etruria interna abbiano interessato non solo la
val di Chiana, ma anche quelle dell’Orcia e dell’Arbia.
Lo studio dettagliato sulla viabilità, con analisi in ambiente GIS, ci ha permesso
di ipotizzare con una certa afidabilità il passaggio di un tratto di Cursus Publicus.
Venendo al concreto, il tratto ipotizzato è quello indicato nella Tabula Peutingeriana
che da Chiusi conduceva a Siena, staccandosi dalla Cassia principale nel comune di
Montepulciano, all’altezza di Acquaviva.
Tenendo presenti le ricostruzioni GIS, i calcoli sulle distanze delle mansiones ed il
fatto che dificilmente si può accettare che due strade corressero in parallelo nella
stessa vallata per 30 km, è stato ipotizzato un passaggio del diverticolo della Cassia
tra Chiusi e Siena attraverso le valli dell’Orcia e dell’Arbia.
Oltre la località di Acquaviva di Montepulciano (Ad Novas), la strada risale la dorsale
collinare per arrivare in val d’Orcia, attraversa i comuni di Pienza e San Quirico,
lambisce quello di Montalcino ed entra nel comune di Buonconvento dopo aver
passato Torrenieri (Ad Mensulas?). In questa ricostruzione l’insediamento di Santa
Cristina deve essere riconosciuto nella mansio Umbro Flumen, l’ultima stazione prima
di Sena Iulia. Inoltre, dimensioni del complesso (un vicus con funzione di mansio?)
portano altre conferme. Il vero e proprio attraversamento del iume deve essere
localizzato più a nord, forse in corrispondenza dell’attuale ponte di Buonconvento.
Almeno l’ultimo tratto di questa periferica strada romana (ovvero tra Torrenieri e
Siena), sarà ripercorsa dal VII secolo dalla nascente Francigena2.
L’altro elemento fondamentale nello sviluppo dell’insediamento è il iume: l’Ombrone
1
2
Per approfondimeni sulla Cassia si veda la recente sintesi di MOSCA 2002
Per un approfondimento si veda: BERTOLDI 2013
40
Santa Cristina in Caio
fa di Santa Cristina un central place: contribuisce allo sviluppo dell’insediamento,
considerato che artigiani (e quindi mercanti) si concentrano in luoghi dove sono
presenti materie prime, rete viaria e luviale, ovvero in deinitiva in siti dove è più
semplice produrre e dove si possono creare (o esistono già) mercati.
La produzione di ceramica a pareti sottili, coppi, mattoni, contenitori da trasporto,
elementi infrastrutturali e lucerne a Santa Cristina è palese indicatore dell’esistenza
di un sistema economico di questo tipo. Così come la presenza di indizi di attività
fusorie e dei grandi magazzini aldilà della strada moderna.
L’Ombrone è probabilmente una linea di comunicazione tra la costa e l’entroterra della
Toscana meridionale, con particolare riferimento alla val d’Arbia e la val d’Orcia,
escludendo da tale asse la città di Siena, che doveva essere rifornita attraverso una
seconda direttrice.
Per la ricostruzione del tracciato della Francigena possiamo contare su un prezioso
strumento, l’Itinerario di Sigerico.
Il futuro arcivescovo di Canterbury crebbe nell’Abbazia di Glastonbury, fu allievo
di San Dunstano e nel 990 d.C. intraprese un viaggio verso Roma con l’intento di
ricevere il Pallium, una stretta fascia tempestata di croci, dal Papa Giovanni XV.
Per trovare una compilazione simile a quella sigericiana dobbiamo aspettare ino
al 1154, anno in cui troviamo una descrizione del mondo islandese ad opera del
monaco Nicola di Munkathvera,che descrive le tappe da fare per arrivare a Roma
e a Gerusalemme. Nel 1250 viene compilato nel monastero di Stade, nei pressi di
Amburgo, un itinerario che ci illustra il percorso della Francigena nel XIII secolo.
Tornando indietro, già diversi predecessori dell’arcivescovo Sigerico avevano
effettuato il viaggio verso Roma, come molti altri devoti, intraprendendo il
pellegrinaggio ad limina apostolorum e questo cammino testimonia il legame che
unisce la sede romana con la Chiesa anglosassone.
Il primo dei pellegrini di cui abbiamo attestazione è San Wilfredo che giuse a Roma
nel 657; da quel momento gente di ogni estrazione sociale, re e umili, laici e chierici
si incamminarono verso l’Urbe, percorrendo un itinerario isso, che col tempo si era
affermato come tracciato tradizionale.
Nel suo viaggio di ritorno Sigerico si appunta tutte le tappe intermedie, che chiama
submansiones; non sono elencate solo città e borghi, ma anche tutte i luoghi in cui si
poteva pernottare, riposare, mangiare.
41
Santa Cristina in Caio
Tralasciando la parte laziale del percorso, dall’odierna Acquapendente, la viabilità
giungeva a Sce Petir in Palia, località scomparsa ma attestata dall’811, attraverso le
Chiese di S. Pietro e S. Benedetto.
Contemporaneamente al viaggio di Sigerico, esattamente nel 995, la località viene
denominata come curtis.
Anche se la località attualmente non indica nessun insediamento, sappiamo attraverso
fonti storico-cartograiche che almeno ino al XVII secolo, era in vita un insediamento
chiamato Paglia, indicato con un simbolo che è riconducibile ad un piccolo borgo.
Da questo luogo, si arrivava ad Abricula, ovvero l’attuale Le Briccole: la località
è un sito di lunga durata, interpretato come villa dal I secolo a.C. alla metà del V
d.C. In seguito all’abbandono della struttura è stata identiicata, nel corso del VI
e del VII secolo d.C., una rioccupazione insediativa del complesso, probabilmente
con l’ediicazione di abitazioni in materiale deperibile. Dall’VIII secolo d.C. è
documentato un Hospitalis S. Peregrini Obricolis, nel quale sostarono Sigerico,
Gregorio VIII, Arnaldo da Brescia, Filippo Augusto e Carlo d’Angiò.
Lasciandosi alle spalle Le Briccole, l’arcivescovo di Canterbury giunge in località Sce
Quiric, San Quirico dove viene identiicata la Pieve di S. Vito in Osenna, una delle
pievi citate in una controversia sorta tra Siena e Arezzo nel 714 d.C. È ragionevole
ipotizzare un insediamento strutturato già dal VII-VIII secolo d.C., anche se il
centro acquisisce importanza solo dal XII secolo, quando il Barbarossa decide di
trasformarlo in un vicariato imperiale.
A Torrenieri la Francigena si ricongiungeva col vecchio percorso della Cassia senese.
La località è documentata per la prima volta proprio nell’itinerario di Sigerico.
Dopo questa submansio, la strada si dirige forzatamente verso nord, in uno stretto
corridoio di facile attraversamento verso la valle dell’Ombrone, la quale veniva
attraversata da sud a nord, ino al Ponte di Buonconvento, documentato dal IX secolo
d.C., alla conluenza dell’Arbia con l’Ombrone.
Da qui risaliva, ricalcando fedelmente la viabilità romana, tutta la valle, passando per
Arbia, la contemporanea Ponte d’Arbia, per arrivare inine a Siena.
[SB]
42
Santa Cristina in Caio
Il territorio dopo l’eta romana
A seguito della disgregazione della struttura economica e sociale dell’impero romano
emersero nuove forme di organizzazione e sfruttamento del territorio; è ormai
assodato che dalle ceneri dell’impero e della devastante guerra tra bizantini e goti
(535-553 d.C.) nell’Italia centro settentrionale si va creando una nuova tipologia di
paesaggio che possiamo deinire medievale. In questa prima fase i paesaggi rurali sono
caratterizzati dalla presenza e dal rafforzamento dell’unica rete sopravvissuta alla ine
del mondo romano: la rete religiosa. La maglia di chiese volte alla cristianizzazione
delle campagne nasce in età romana ed, almeno inizialmente, insiste sulla preesistente
rete insediativa. In questa direzione va interpretata la presenza di una chiesa dedicata a
Santa Cristina nel luogo dell’antica Umbro Flumen. Tale presenza sarebbe altrimenti
in contrasto con quanto emerge dai dati archeologici che vedono la ine della
frequentazione dell’area attorno all’VIII secolo. La prima attestazione della chiesa
però risale al dicembre dell’814 (IX secolo quindi). Al di là delle possibili congetture
sulla data di fondazione della chiesa che dovremo rimandare ino all’eventuale scavo
della stessa, appare evidente che uno dei possibili motivi (se non il più plausibile) per
cui fu ediicata una chiesa su Poggio alle Fonti è legato all’aderenza della prima rete
ecclesiastica con quella insediativa di età romana.
Come però testimoniato dai documenti la chiesa prosegue la sua vita almeno ino
all’inizio del 1300 quando è ormai sotto il controllo di San Lorenzo a Percenna.
Va quindi fatta una rilessione sul rapporto tra la chiesa e la formazione di un paesaggio
post romano ed più in generale sulla relazione tra la grande storia e l’evoluzione del
territorio buonconventano nel corso dei primi secoli del medioevo.
Come detto, il primo documento relativo alla chiesa di Santa Cristina in Caio è datato
al 814 ed è un diploma di Ludovico il Pio, iglio di Carlo Magno, che conferma
la donazione all’abbazia di Sant’Antimo di una serie di chiese e di privilegi tra
cui appare anche Santa Cristina. La bolla imperiale introduce quindi un nuovo
protagonista nell’area, ovvero l’abbazia di Sant’Antimo. L’abbazia sorge in un’area
precedentemente occupata da un insediamento romano e dove in dal IV secolo
sembra fosse presente un oratorio; nel 770, al crepuscolo del periodo longobardo,
fu dato incarico di costruire in questo luogo un’abbazia. Con la conquista da parte
dei Franchi e l’annessione dell’Italia all’impero Carolingio si accresce l’importanza
43
Santa Cristina in Caio
dell’abbazia. Il diploma di Ludovico il Pio amplia i possedimenti ed i poteri già
conferiti nel 770 al presbiterio andando a conigurare Sant’Antimo come una vera e
propria abbazia imperiale. Per comprendere al meglio il nuovo ruolo di Santa Cristina
in questo periodo è necessario quindi chiarire il ruolo delle abbazie imperiali.
Uno dei volti del forte impulso razionalizzante che l’impero carolingio provò
ad imporre nei suoi territori fu quello dell’organizzazione delle campagne nella
cosiddetta forma curtense. Tale modello prevedeva una forte gerarchia nella
strutturazione degli spazi rurali incentrata solitamente su un grande possidente
pubblico o, più comunemente, religioso. In Italia l’area padana si caratterizza per
una stretta adesione a questo modello (sopratutto con grandi abbazie come Santa
Giulia di Brescia o Nonantola); la Toscana sembra invece contraddistinguersi per una
maggiore variabilità. In sintesi l’organizzazione curtense prevedeva la presenza di un
polo centrale (in questo caso Sant’Antimo) e di una serie di poli satellite più piccoli e
sparsi a macchia di leopardo nel territorio; ad esempio i possedimenti di Sant’Antimo
si concentravano in tre grandi zone, il territorio ilcino e buonconventano, l’area nei
pressi di Castiglion della Pescaia ed una zona nell’attuale provincia di Pistoia. Ognuno
dei poli satellite controllava una porzione dei beni del polo centrale e contribuiva al
benessere di quest’ultimo con donazioni (vere e proprie tassazioni in beni materiali
in realtà) correlate al tipo di attività produttiva che vi si svolgeva e con prestazioni
di lavoro. È in questo contesto che va letta la presenza di Santa Cristina all’interno
dei possedimenti di Sant’Antimo, ovvero come un presidio sul territorio volto al
controllo della produzione dell’area circostante; non di meno la posizione strategica
del luogo, posto tra l’ Ombrone ed il percorso della Francigena, rivestiva un ulteriore
elemento di interesse per l’abbazia.
In relazione con Sant’Antimo va probabilmente letta anche la fondazione
dell’insediamento di Percenna; un primo indizio in tale direzione è la presenza,
attestata dalle fonti storiche, di una chiesa dedicata a Sant’Antimo (o Sant’Antimello)
all’interno del villaggio oggi purtroppo perduta. Anche la scelta del luogo di
fondazione, un’altura isolata e ben difendibile, può rappresentare un indizio in
tal senso; essa è infatti tipica degli insediamenti nati in età altomedievale come
dimostrato dalla ricerca archeologica nel corso degli ultimi 30 anni1. Di Percenna
purtroppo non si hanno notizie documentarie precedenti al 1200 e quindi, in assenza
di dati archeologici, dobbiamo limitarci ad una lettura delle fonti e ad interpretazioni
1
Valeni 2004
44
Santa Cristina in Caio
relative alle evidenze ancora presenti; siamo quindi privi di un riscontro oggettivo e
dobbiamo mantenere l’interpretazione proposta nel campo delle ipotesi possibili. Va
detto anche che il passaggio della chiesa di Santa Cristina in Caio sotto il controllo
della Pieve di San Lorenzo a Percenna potrebbe rappresentare un ulteriore indizio
dell’antico legame che i due poli avevano sotto la comune egida di Sant’Antimo; al
venir meno dell’inluenza di Sant’Antimo, entrata in crisi nel corso del XII secolo,
sarebbe quindi un polo emerso al suo interno (Percenna) a prevalere e ad ereditarne
i diritti sul territorio e non l’emergente Buonconvento che con l’abbazia non aveva
legami. Questo avvalorerebbe quindi l’idea di un legame privilegiato tra l’abbazia
e Percenna; evidenzia inoltre la ine deinitiva dei lasciti dell’organizzazione
paesaggistica romana: Santa Cristina perde deinitivamente di importanza poiché
la sua funzione di presidio del territorio è ormai venuta mena nel nuovo assetto
paesaggistico medievale ormai compiutosi completamente. L’asse su cui si organizza
il territorio si è spostato verso nord, alla conluenza tra l’Arbia e l’Ombrone,
dove prima Percenna e poi deinitivamente Buonconvento rappresentano il centro
insediativo di riferimento.
[MP]
La Cassia attraverso la Toscana. Il diverticolo che collegava Chiusi con Siena attraverso Santa
Cristina.
45
Santa Cristina in Caio
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Milano
Webograia:
Sito Web dello scavo: http://archeologiamedievale.unisi.it/santa-cristina/
Pagina Facebook dedicata al progetto: http://goo.gl/sLbqcj
Blog curato dall’associazione Umbro Flumen: https://archeotuscany.wordpress.com/
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Santa Cristina in Caio
Volume pubblicato grazie al
contributo di
Il progetto Santa Cristina in Caio deve la sua
nascita ed il suo sviluppo al comune impegno di:
Comune di
Buonconvento
Circolo culturale
Amici di
Buonconvento
Università degli
studi di Siena DSSBC
Università degli
studi di Chieti
Un sincero ringraziamento a tutti coloro che nel corso degli anni ci hanno
sostenuto e stanno continuando a credere in noi e nel progetto Santa Cristina in
Caio.
Un ringraziamento speciale va alla Azienda agricola “Fattoria La Piana” senza il
cui sostegno sarebbe stato impossibile arrivare a produrre questa pubblicazione.
Una menzione particolare alla proprietaria dei terreni su cui sorgeva Santa
Cristina, la signorina Lea Ricci che con continua gentilezza e disponibilità ha
permesso lo svolgersi delle indagini archeologiche.
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