ETICA ED ESTETICA
di Aldo Vendemiati – Ordinario di Filosofia morale – P. Università
Urbaniana, Roma
1 Disciplinarità ed interdisciplinarità
Il problema principale posto dal nostro tema sta nelle definizioni disciplinari. Siamo – volenti o
nolenti – alunni di Kant, il cui obiettivo era quello di una separazione rigorosa e fondata degli
ambiti di esperienza: quello scientifico, quello morale e quello estetico. Al di là dei tentativi dello
stesso Kant1 e poi di Schiller e di tanti idealisti di giungere ad un superamento, la mentalità tipica
post-kantiana o epis e l’esteti a o e ual osa he o a e e a he fa e o il e o o o il
bene, bensì soltanto con il bello – i te de do uest’ulti o o e ciò che si lascia giudicare
unicamente per il sentimento di piacere o dispiacere che suscita e non per altro. D’alt a pa te,
l’eti a ka tia a es lude radicalmente il piacere: suo tema centrale è il dovere e questo implica
piuttosto il dolore.
I tentativi idealisti di superamento della separazione sono rappresentati – per esempio –
dall’idea di Wilhel
o Hu oldt, se o do ui ogni sapere doveva trovare posto in un quadro
u ita io l’U i e sità al servizio della formazione (Bildung) spirituale e morale della nazione. Il
compito della filosofia doveva essere precisamente quello di riunificare i saperi dispersi,
interpretandoli come momenti del divenire dello Spirito, mediante una metanarrazione razionale
di ui l’Enciclopedia di Hegel costituisce il paradigma2. Ma la prospettiva hegeliana della filosofia
dello Spi ito, he oppo e l’u i e sale al pa ti ola e, o o se te u eale supe a e to della
dicotomia kantiana.
Co la eazio e all’hegelis o, etica ed estetica tornano a separarsi ed opporsi. No ’ isog o
di arrivare a Nietzsche ed ai suoi epigoni novecenteschi: già con Kierkegaard lo stadio estetico e
quello etico sono incomunicabili e separati da un salto (Aut-aut . Il appo to
i e ita il e te
un conflitto in cui l’eti a assume la funzione di censore e l’esteti a uella di o testato e.
La p etesa
o alisti a il
o alis o
o se ato e di sta po itto ia o, o uello
i oluzio a io di sta po so ieti o di i po e l’u i e sale al pa ti ola e o du e o alla e su a
inefficace o al didascalismo propagandista – ossia ad u ’eti a he o compie il bene ad
u ’esteti a he o p odu e il ello.
La p etesa estetisti a di t o a e l’u i e sale el pa ti ola e o du e all’a a hia. L’estetis o,
in una prima fase, opera un isolamento dell’espe ie za esteti a dalle alt e attività dello spirito
u a o e ui di a he dall’eti a , ella p ospetti a dell’evasione; in un secondo momento, però,
l’esteti a realizza una vera e propria invasione degli altri campi disciplinari: il significato della vita
viene ridotto alla ricerca del puro piacere, della conformità al gusto. Politica, etica, filosofia sociale,
teologia e persino ricerca scientifica, tutto si trasforma – per usare le parole di Rorty – in una
grande conversazione tra spiriti liberi, che escogitano teorie dal valore estetico-conviviale e ne
discutono tra loro, senza però la pretesa di arrivare a una qualche verità3.
1
Cf. F. MENEGONI, Finalità e destinazione morale nella 'Critica del Giudizio' di Kant, Pubblicazioni di Verifiche, Trento
1988.
2
Cf. J.-F. LYOTARD, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere (1979), Feltrinelli, Milano 1985, p. 6.
3
Cf. R. RORTY, La filosofia dopo la filosofia (1989), Laterza, Roma-Bari 2003, pp. 89-90.
1
Possiamo dire che il pensiero contemporaneo descrive una parabola che va dalla rigorosa
sepa azio e ka tia a all’a a hi a o fusio e postmoderna. Penso che sia necessario uscire
da questo vicolo cieco e porre le basi per un reale confronto interdisciplinare tra etica ed estetica,
i ui le disti zio i se a o pe u i e e l’u ità o si t adu a i aos.
Perché sia possibile una effettiva interdisciplinarità, è necessaria una prospettiva
metadisciplinare he fu ga da te e o d’i o t o e da o izzo te di se so pe le di e se dis ipli e.
Quale può essere questa p ospetti a etadis ipli a e? P opo ei di hia a la p ospetti a
sapie ziale 4, intendendo la sapienza come pensiero del tutto .
2 La sapienza come arte
Vi è stato nel passato il tentativo di ridurre ogni disciplina nei canoni delle scienze matematiche
o di quelle sperimentali; è forte infatti il fascino di un metodo che si possa ricostruire nei dettagli e
che possa dar conto di og i passaggio, di u sape e etodi o he si possa i seg a e dall’i izio
alla fine. Purtroppo o per fortuna, però, nella filosofia e nelle scienze umanistiche, siamo in un
sapere basato su facoltà e sensibilità il cui operare non è del tutto ricostruibile. Ciò ha fatto parlare
talu i di sape e ext a etodi o 5: questa espressione può indurre alla confusione caotica,
all’a a hia a ui a e a a o p i a6, ma non necessariamente. Essa può limitarsi a suggerire
che si richiede un metodo diverso da quello delle scienze matematico-sperimentali e si richiede
anche ualcos’alt o olt e al metodo: capacità di stupirsi, riverente rispetto, desiderio e amore, ma
anche buon gusto, delicatezza di coscienza, tatto spirituale, ecc.
Tra le scienze matematico-sperimentali e le scienze umanistico-filosofi he ’ uesta diffe e za
di fondo. Le prime non sono interessate ai singoli fenomeni nella loro concretezza, non si
appli a o a api e l’u i ità e l’i ipeti ilità del aso si golo: esse i te do o piuttosto i o du e i
fe o e i ad u a ge e alità e egola ità he si las i s op i e edia te l’i duzio e. A he le s ie ze
umanistico-filosofiche, in quanto scienze, sono interessate a superare le particolarità ed accedere
all’u i e sale; tutta ia iò o a ie e edia te una riduzione del caso singolo sotto una regola
generale: il caso particolare rimane invece nella sua irriducibile singolarità.
Un giorno una mela cadde in testa di Isaac Ne to , il uale, a pa ti e dall’episodio, ela o ò la
teoria della gravitazione universale. Se invece di una mela fosse stata una pera o una noce la cosa
non avrebbe fatto differenza, come non avrebbe fatto differenza il colore del cielo in quel
o e to o l’affetto he Newton provava per sua nonna.
Quando invece la poetessa Saffo scrive:
«Quale dolce mela che su alto
ramo rosseggia, alta sul più
alto; la dimenticarono i coglitori;
no, non fu dimenticata: invano
te ta o o aggiu ge la…»7,
Cf. L. CLAVELL, L’u ità del sape e pe
a e e l’a di e di hia a la se pli e
accontentarci di chiamarla solta to
p o a il e te il te i e sapie za i
aristotelicamente (cf. Met. A).
4
l’attuazio e di «Fides et atio» , Alpha Omega, 3 (2000) 211-225. Potremmo
e te
etafisi a , ma incontreremmo troppi rifiuti pregiudiziali; potremmo
filosofia i te de do o iò la filosofia p i a , ossia la metafisica); ma
o t a e o esiste ze, più suggesti o e pe si o più preciso quando è inteso
5
Cf. H. G. GADAMER, Verità e metodo (1960), Bompiani, Milano 1983, pp. 25-67.
6
Cf. P. K. FEYERABEND, Contro il metodo (1970), Feltrinelli, Milano 1975.
7
S. QUASIMODO, Li i i g e i e alt e t aduzio i , i ID., Poesie e discorsi sulla poesia, Milano 1971, p. 317.
2
ciò che conta è proprio quella mela lì, col suo colore rosso, è proprio il vano sforzo dei coglitori.
L’espe ie za he “affo i o u i a ha alo e u i e sale: se a ia o u a se si ilità adeguata,
se tia o el uo e la solitudi e e l’o goglio della fa iulla pa ago ata al f utto t oppo alto pe
esse e olto; a l’u i e sale i ie e o seg ato nel particolare ed in modo tale che non è
possibile prescindere da alcuna delle sue particolarità.
La singola espressione artistica, come il singolo giudizio morale, sono dunque qualcosa di più
che la semplice applicazione corretta di principi generali. Quando un fisico calcola la velocità di
caduta di un grave, deve semplicemente applicare una formula matematica valida generalmente;
quando invece un giudice emette una sentenza circa un particolare fatto, egli non si limita ad
applicare in concreto la legge: certo fa anche questo, ma con la sentenza che pronuncia porta uno
sviluppo del diritto, che può essere anche assai significativo. Così, per portare un altro esempio,
u ’ope a d’a te o e la Trinità del Masaccio o
la se pli e appli azio e delle egole
dell’a te a u soggetto dete i ato: l’a tista si i se is e i u a t adizio e, a la a ia e – in un
certo senso – la rivoluziona.
Questo è il motivo per cui per esprimere giudizi morali o estetici, si richiede una certa sensibilità
e finezza di percezione per determinate situazioni, come anche una capacità di muoversi in esse
anche senza possedere principi generali certi che ci possano guidare come un protocollo di ricerca
guida uno scienziato. Perciò in filosofia occorrono capacità diverse rispetto a quelle richieste dalle
scienze esatte: occorre una memoria vasta e selettiva, occorre la conoscenza e il rispetto dei
grandi autori del passato, occorre soprattutto una capacità di cogliere nessi e rapporti tra realtà in
apparenza estranee… Tutto uesto ostituis e la sapie za , ossia la sapida scientia8, la scienza
gustosa, la capacità di intendere i principii della realtà intesa come un tutto e di goderne.
Per attingere a questo livello di universalità bisogna certamente conservare tutta la criticità del
sapere scientifico che mette in discussione le ovvietà e ricerca le evidenze, ma è altresì importante
is op i e l’a te di t o a e argomenti, che consente di formare una sensibilità istintiva ed
estemporanea per ciò che è convincente, arte – appunto – che non può essere sostituita dalla
scienza.
3 Ciò che attrae: il bello e il bene
Ricapitolando: la metadisciplina che può offrire un terre o d’i o t o i te dis ipli a e t a eti a
ed estetica è la conoscenza sapienziale, volta alla realtà come un tutto ed è originata dallo
stupo e. “alda e te sta iliti su uesto te e o, il pu to di pa te za dell’auspi ato i o t o non
può essere altro che uell’esperienza umana in cui ci accorgiamo con meraviglia he ’ ual osa
che ci attrae e ci chiediamo perché. Ciò che ci attrae, nel linguaggio comune, viene definito ora
o e uo o o a o e ello , o u a e ta elasti ità he, i al u i asi, a i a addirittura alla
sinonimia – eppure non si tratta di pura e semplice sinonimia: avvertiamo, confusamente, che una
distinzione ci deve essere. Proviamo a riflettere su questo.
Vi sono esperienze umane che non muovono i nostri desideri: ad esempio il conoscere alcune
verità della matematica o delle scienze naturali può lasciare la volontà del tutto indifferente.
Confrontiamo queste con altre esperienze umane: ad esempio uella si ealizza ell’a
i azio e.
Qua do i o t ia o ual osa o ual u o he i pia e , si fa più atte to, si soffe a, app ezza,
ammira. Ammirando u paesaggio o u ’ope a d’a te, as olta do della usi a, e ., o so o
oi olti solo i se si la ista, l’udito… o l’i tellige za he o p e de il se so, il
essaggio di
8
TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I, q. 43, a. 5 ad 2.
3
ciò che i sensi percepiscono): è coinvolta anche la volontà. Infatti, il bello attrae e fa nascere il
deside io di p ot a e o ipete e l’espe ie za. Questo incontro ammirato con la bellezza costituisce
esse zial e te l’espe ie za esteti a.
Si può provare ammirazione dinanzi ad oggetti assai diversi. E la nostra ammirazione è
essenzialmente diversa, a seconda del tipo di oggetto da cui scaturisce: in termini classici si può
dire che il concetto di ammirazione non è univoco, bensì analogo. Ad esempio, posso ammirare
uno spettacolo della natura (come un panorama alpestre, un tramonto sul mare, ecc.), o posso
a
i a e u ’ope a u a a. E ide te e te il se so dell’a
i azio e assai di e so ei due asi:
nel primo, si tratta esclusivamente della considerazione della bellezza o della sublimità di uno
spettacolo; nel secondo è presente anche la stima per una persona o per il suo comportamento
(non posso ammirare la Cappella Sistina senza che la mia ammirazione si estenda eo ipso a
Michelangelo!).
Concentriamoci dunque sul secondo caso: l’a
i azio e pe u ’ope a u a a o po ta la
sti a pe l’auto e dell’ope a stessa; possia o hia a la a
i azio e-di-sti a .
Tuttavia anche questa ammirazione-di-stima non riveste un significato univoco. Ad esempio
posso a
i a e l’ope a di u a tista e stimare il suo artefice in quanto artista, pur senza avere
ammirazione e stima per lui in quanto uomo: un uomo può essere un grande pittore pur essendo
ingiusto o iole to! Lo stesso può di si dell’ope a di u te i o, di u o s ie ziato, di u uo o di
lettere, ecc. Posso dire: «Tizio è grande nel suo campo, ma umanamente non vale nulla».
Ma l’a
i azio e può as e e a he da a ti al o po ta e to di u uo o, tale da sus ita e
in me stima per il suo artefice in quanto uomo. Ad esempio, quando leggiamo il Critone o
l’Apologia di Socrate di Platone, il sentimento che sorge in noi non è semplicemente stima per il
comportamento di Socrate in quanto imputato, prigioniero o condannato, bensì per Socrate in
quanto uomo. Il comporta e to di “o ate i appa e ello , e “o ate isulta pe ta to uo o .
Dunque questa ammirazione-di-stima per un uomo in quanto uomo u ’espe ie za o ale.
L’eti a nasce dalla domanda: Come dobbiamo essere per realizzare pienamente la nostra
personalità umana? . Ebbene, quando la nostra ammirazione giunge alla stima di un essere umano
in quanto uomo, implicitamente siamo messi sulla strada per rispondere a questa domanda: siamo
di fronte alla testimonianza concreta di una personalità umana pienamente realizzata. Troviamo in
essa u ’i teg ità, u a pe fezio e, u ’a o ia, uno splendore che ci obbligano non solo ad
ammirare una tale persona, ma anche a prenderla come modello del nostro comportamento.
Integrità, perfezione, armonia, splendore sono le caratteristiche della bellezza. Ma la
deside a ilità la a atte isti a esse ziale della o tà: Bo u est uod o ia appetu t – il bene
iò he tutti deside a o 9, e la pe fezio e la ausa fo ale di u a tale deside a ilità: Bo u
est perfectivum – il bene iò he pe fezio a 10.
Si può, con altrettanta certezza, affermare che tutti desiderano il bello; ma è necessario fare
una distinzione: Og i uo o a a il ello – dice san Tommaso – ma gli uomini carnali amano il
bello carnale, quelli spirituali il bello spi ituale 11. A partire da questa affermazione comprendiamo
che non tutto ciò che è bello è moralmente buono, ma anche che tutto ciò che è moralmente
buono deve necessariamente essere bello.
9
10
11
TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I, q. 5, a. 1 c.
TOMMASO D’AQUINO, De veritate, q. 21 a. 1 c.
TOMMASO D’AQUINO, Super Ps. XXV, n. 5.
4
La diffe e za o ettuale t a e e e ello sta el fatto he il desiderio del bello si acquieta
ella o os e za del ello, il deside io del e e, i e e, el o segui e to del e e stesso: Lo
sfo zo di otte e e la ealtà a ata tipi o dell’a o e di e e, il godi e to ella o os e za
dell’a ato i e e la spe ifi ità dell’a o e del ello 12.
4 Etica ed estetica in prospettiva sapienziale
L’eti a moderna tende a configurarsi come pura e semplice ricerca di norme di
comportamento, tesa a fornire un elenco di norme, di prescrizioni e di divieti. Questo, però, fa
sorgere immediatamente una domanda radicale: perché mai dovrei sottomettermi a tali norme?
Molto spesso ci si contenta di rispondere: Perché questo è il modo di essere moralmente buoni. Al
che è sin troppo facile replicare: e perché mai dovrei essere moralmente buono?
Prima ancora di giungere alla formulazione di norme, l’eti a è chiamata a riflettere, in modo
sapienziale, sul fondamento delle norme stesse. Le norme morali sono delle indicazioni, seguendo
le uali ius ia o a guida e la ost a ita, a governare la nostra esistenza in modo da
perfezionare la nostra personalità in relazione con gli altri uomini, con Dio, con il mondo.
Allora è il perfezionamento della nostra personalità a costituire il fondamento della moralità. La
piena realizzazione di questo perfezionamento costituisce la felicità vera, e le modalità in cui
questa perfezione si realizza sono le virtù. Dunque possiamo dire che l’eti a è la sapida scientia
della ita uo a o i tuosa, e he, p op io pe uesto, l’a te della feli ità.
C’ u desiderio che dà senso a tutti gli altri desideri ella ost a ita. C’ u e e esse ziale ,
in forza del quale tutti gli altri beni sono voluti. L’homo viator è un essere in cammino verso la
pienezza ultima, la felicità. E questa – come ciascuno intuisce – non può essere priva di bellezza.
Il u leo e t ale dell’etica è costituito dalla virtù, che va compresa come ultimum potentiae:
o
l’o o a ilità o la o ettezza di u agi e isolato, e sì il eglio a ui può aspi a e l’esse e
u a o, l’e elle za he pie a e te si o fà all’esse e della pe so a. Ciò he l’uo o de e esse e,
l’uo o ideale , ossia uo o, è una creatura la ui ita o fo e all’o di e della agio e: il se so
dell’esiste za u a a sta ell’agi e i modo conforme alle esigenze della retta ragione,
concretizzando nella pratica del bene la verità del proprio essere.
Di qui la costante insistenza degli autori classici e cristiani sull’u ità delle i tù: esse so o tali
nella misura in cui esprimono la saggezza, he la lo o ge it i e . È suggesti a, a uesto
p oposito, l’a alogia he Josef Pieper sta ilis e t a l’atto o ale e la eazio e a tisti a13.
All’o igi e dell’ope a d’a te ’ l’idea he l’a tista ha ela o ato ella sua e te, e p e isa e te
quell’idea o fe is e all’ope a la sua fo a : la fo a i e te ella o os e za eat i e
dell’a tista il odello e l’a hetipo dell’ope a fo ata, e l’ope a vera e reale grazie alla sua
o o da za o il p ototipo dell’i
agi e he e a ella e te dell’a tista. “i il e te, il
comando della saggezza l’idea i fo za della uale l’atto o ale
uello he , il odello e
l’a hetipo di og i agi e o al e te uo o: l’azio e di e ta giusta, fo te, te pe a te solo g azie
alla risoluzione fondamentale della saggezza.
La saggezza dà fo a alle alt e i tù, o fe is e lo o uella
isu a , quella bellezza, senza la
quale la virtù non è nemmeno pensabile. Il concetto della virtù consiste in un’i teg ità equilibrio o
armonia, i teso i se so azio ale: la i tù u a disposizio e a o i a dell’uo o, sotto la guida
12
A. MONACHESE, San Tommaso e la bellezza, Armando, Roma, 2016, p. 76.
13
Cfr. J. PIEPER, La prudenza (1936, 1965), Morcelliana, Bcrescia, 1999, pp. 25-26.
5
della agio e, la uale i o se te di appo ta i e uili ata e te all’oggetto del ost o agi e.
Viceversa, il vizio è disarmonia, è mancanza di equilibrio, perché consiste in una abituale
sottrazione alla regola della retta ragione. È questo il motivo per cui i vizi possono essere in
o t asto t a di lo o es. l’a a izia e la p odigalità, la te e a ietà e la oda dia , e t e le i tù
sono sempre in accordo tra loro, perché dirette dalla ragione e finalizzate al bene della persona in
quanto tale. L’a o ia p odotta dalla i tù ostituis e du ue la
ita uo a , ossia la
realizzazione della persona umana nella sua bellezza.
“e du ue ipo tia o l’eti a e l’esteti a ell’o di e della sapie za, i li e ia o dalla
s hizof e ia di o igi e ka tia a he ede l’eti a o e u a d a o ia a i u ia alla ellezza e
l’esteti a o e u aoti o olge si al pia e e i dis i i ato.
L’espe ie za eti a del do e e fo dato sul e e è certamente disti ta dall’espe ie za esteti a
dell’att azio e e del pia e e fo dato sul ello , e tuttavia queste esperienze hanno due elementi
fondamentali in comune, (1) da parte del soggetto e (2) da pa te dell’oggetto.
1) Da parte del soggetto si tratta di esperienze distinte, perché
a) l’esteti a fo da e tal e te teo esi , o te plazio e: il soggetto
aggiu to dalla
bellezza, nei confronti della quale ha un atteggiamento ricettivo, di accoglimento, e non
primariamente operativo.
b) L’eti a, invece, è praxis, azione: il soggetto è operativo, con il suo comportamento tende alla
realizzazione del bene possibile.
Ciò non deve però far dimenticare che, in entrambi i casi, si tratta di esperienze umane, che si
attuano nel medesimo soggetto, il quale
a’ anche nella dimensione teoretico-estetica non è mai completamente passivo: desidera la
bellezza e si muove verso di essa; la cosa si fa vieppiù evidente nella poiesis artistica, in cui il
soggetto p odu e la ellezza ell’ope a d’a te, o fo e all’idea o te plata.
’ A he ella di e sio e eti o-pratica non è mai separato dalla dimensione teoretica, perché
il bene contemplato deve diventare forma della sua azione, la quale risulta non solo buona – nel
suo fine – ma anche bella in quanto conosciuta e amata.
2) Si tratta poi di esperienze che hanno per oggetto il bene ed il bello e questi sono proprietà
oeste si e all’essere (trascendentali, in senso pre-kantiano). La prospettiva sapienziale ci
consente di i ollo a e l’eti a el suo al eo episte ologi o: l’o di e ausale he le p op io. La
legge che mi impone un determinato comportamento, la mia libertà che decide di realizzare una
determinata forma di comportamento, si muovono tutte in forza di qualcosa che è conosciuto
dall’i tellige za e desiderato dalla volontà come fine, ossia come un bene, che, in quanto
conosciuto, è anche bello. Se ci si priva di questa causa finale, la legge non ha più senso
(letteralmente: non ha più direzione di moto) e la libertà, da parte sua, resta inerte e giace in
uell’i diffe e tis o he alla ase della o ale dell’o ligo o dell’esteti a della t asg essio e14.
Se si vuole elaborare un’eti a veramente umana, si devono conciliare le esigenze
dell'intellettualità e della concretezza, in quanto le azioni dell'uomo sono singolari e concrete, ma
sono umane soltanto se dirette dall'intellige za, ed i
uesto il o t i uto dell’estetica è
i p es i di ile, o solo o e filosofia della ellezza, a a he o e filosofia dell’a te.
14
Cfr. S. Pinckaers, Le fonti della morale cristiana. Metodo, contenuto, storia (1985), Ed. Ares, Milano 1992, pp. 385414.
6
5 Arte ed educazione
Scrive Joseph Ratzinger:
La isi dell’a te u alt o si to o della isi dell’u a ità, he p op io ell’est e a esaspe azio e
del do i io ate iale del o do p e ipitata ell’a e a e to di f o te alle g a di uestio i
dell’uo o, a uelle do a de sul desti o ulti o dell’uo o he a o olt e la di e sio e ate iale.
Questa situazione può essere certamente definita come un accecamento dello spirito. Alla domanda
su come dobbiamo vivere, su come dobbiamo affrontare la morte, se la nostra esistenza abbia un
fine e quale, a tutte ueste do a de o i so o più isposte o u i 15.
Si tratta di una crisi che ha travolto, ancora prima delle arti, gli stessi ideali a cui esse si volgono:
il vero e il buono, che trovano la loro sintesi nel bello.
Colui he ha il o pito di t as ette e l’a te e ui di di fa e s uola, il aest o. I ase al
p i ipio lassi o autoe ide te he essu o dà iò he o ha , do e do p odu e paideia, il
maestro deve necessariamente essere un uomo colto. Avendo tale cultura la forma specifica della
verità e della bontà, il maestro dovrà possederne la bellezza interiore, per essere in grado di
olti a la egli alt i. I te i i lassi i, tale ellezza si de o i a i tù . Il te i e a assu to i
tutto il suo spessore, poieti o, dia oeti o ed eti o. L’a te o e i tù poieti a la apa ità di fare,
di p odu e, he i pli a il possesso del estie e, della egola d’a te . Ma l’a te a zitutto i tù
dia oeti a: o e etto ite io delle ose da fa e recta ratio factibilium),
i tù dell’i telletto
pratico, è eccellenza nella ratio, quindi il maestro deve coltivare gli habitus della ragione, mediante
i uali uest’ulti a te de o etta e te al p op io oggetto, he la e ità del e e, ossia il ello.
L’a te de e po ta e alla contemplazione e pertanto il maestro deve possedere in senso eminente
le i tù dell’intelletto speculativo, orientate alla contemplazione della verità: intelligenza, scienza e
sapienza. Ed a e do o e s opo la p o ozio e dell’u a ità dell’uo o, e idente che il maestro
de e possede e i
odo e i e te le i tù o ali, ossia l’a ituale disposizio e a s eglie e e
pe segui e iò he deg o dell’uo o.
La scuola è essenzialmente comunicazione, trasmissione di cultura e di bellezza, in un contesto
di dialogo. La cultura, per esistere, ha bisogno di chi la desidera e di chi la gode: il fruitore è colui
che sa gioi e della ultu a e dei suoi p odotti a tisti i. “i i pa a a gode e dell’a te, du ue
e essa ia l’edu azio e del gusto, della apa ità di ede e, della capacità di conoscere. La classica
distinzione tra uti (usare) et frui (fruire) può essere utilizzata per differenziare un tipo di
godi e to he o las ia t a ia e o su a , dist ugge p op io pe h a is e a possede e
l’i possedi ile, e u o he invece costruisce proprio chi fruisce, perché non desidera altro che la
gioia della stessa bellezza. La cultura non ha utenti e consumatori, ma fruitori. La crisi della cultura
si a ifesta d a
ati a e te ua do olo o he do e e o esse e f uito i si trasformano in
a ali ute ti o i a a i o su ato i . Ciò seg o di u a a a za di i tù eti a e dia oeti a
che rende persino inutile la tecnica.
15
J. RATZINGER, Introduzione allo spirito della liturgia (1999), San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2001, pp. 126-127.
7