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GIOSTRA_ Bruniana & Campanelliana 1, 2011.pdf

Giostra Altro non bramo, e d'altro non mi cale, che di provar come egli in giostra vale. L. Ariosto Laurentii Valle Encomion Sancti Thomae Aquinatis, a cura di S. Cartei, Firenze, Polistampa, 2008 (Edizione Nazionale delle Opere di Lorenzo Valla -ii. Opere religiose, 4), 116 pp. Q uesta edizione critica del breve elogio valliano di Tommaso d'Aquino è preceduta dalla ristampa di un importante intervento di Salvatore I. Camporeale, dal titolo Alle origini della 'teologia umanistica' nel primo '400. L'Encomion S. Thomae di Lorenzo , che inquadra storicamente il testo dell'umanista romano, evidenziando in particolare come la teologia dei padri vi venga contrapposta a quella degli scolastici. Il limite di questi ultimi è quello di avere ontologizzato il linguaggio teologico, mentre adesso si tratta di far valere le ragioni della grammatica e della filologia nel solco di una ripresa a tutto campo della retorica quintilianea. Si tratta non di una non-filosofia, ma di una filosofia diversa, rispetto all'unico modello ritenuto legittimo, vale a dire quello scolastico. Il testo valliano dell'Encomion è curato da Stefano Cartei, che analizza i testimoni manoscritti, le edizioni, le traduzioni, esplicitando infine i criteri adottati per l'edizione. Dopo una prima parte, laudativa, il discorso di Valla si fa stimolante quando comincia a trattare della scienza di Tommaso. Contro chi antepone il maestro a tutti gli altri filosofi per l'uso che egli ha fatto della dialettica, della logica e della filosofia ai fini della teologia, Valla confessa esplicitamente di non amare molto la metafisica e i modi significandi, che possono costituire perfino un impaccio, dal momento che gli stessi teologi patristici antichi fecero a meno di tali metodologie e di tali ausili, nonché dall'usare parole e concetti che avrebbero fatto in seguito la gioia dei teologi tardoscolastici : « Nam sive in nostra lingua fundamentum hec habent, illi latinissimi fuerunt, recentes autem omnes pene barbari ; sive in greca, illi greca noverunt, isti ignorant » (p. 95). Un Basilio, un Crisostomo e tutti gli autori contemporanei « neque dialecticorum captiunculas, neque metaphysicas ambages, neque modorum significandi nugas in questionibus sacris admiscendas putaverunt ac ne in philosophia quidam suarum disputationum fondamenta iecerunt, cum Paulum clamantem legerent "non per philosophiam et inanem fallaciam" » (ibidem). Anche i confronti dei vari pensatori con Tommaso, che si ritrovano nell'ultima parte di questo elogio, paiono ridimensionarsi nettamente rispetto a una presa di posizione culturale e teologica così netta che, contrapponendo antichi e nuovi teologi, mette a contrasto un modello di teologia scritturistica e positiva rispetto a quella scolastica. Assai concentrato è questo tipo di riferimento, ma assolutamente centrale e, so-

Giostra Altro non bramo, e d’altro non mi cale, che di provar come egli in giostra vale. L. Ariosto Laurentii Valle Encomion Sancti Thomae Aquinatis, a cura di S. Cartei, Firenze, Polistampa, 2008 (Edizione Nazionale delle Opere di Lorenzo Valla – ii. Opere religiose, 4), 116 pp. Q uesta edizione critica del breve elogio valliano di Tommaso d’Aquino è preceduta dalla ristampa di un importante intervento di Salvatore I. Camporeale, dal titolo Alle origini della ‘teologia umanistica’ nel primo ’400. L’Encomion S. Thomae di Lorenzo Valla (pp. 11-30), che inquadra storicamente il testo dell’umanista romano, evidenziando in particolare come la teologia dei padri vi venga contrapposta a quella degli scolastici. Il limite di questi ultimi è quello di avere ontologizzato il linguaggio teologico, mentre adesso si tratta di far valere le ragioni della grammatica e della ilologia nel solco di una ripresa a tutto campo della retorica quintilianea. Si tratta non di una non-ilosoia, ma di una ilosoia diversa, rispetto all’unico modello ritenuto legittimo, vale a dire quello scolastico. Il testo valliano dell’Encomion è curato da Stefano Cartei, che analizza i testimoni manoscritti, le edizioni, le traduzioni, esplicitando inine i criteri adottati per l’edizione. Dopo una prima parte, laudativa, il discorso di Valla si fa stimolante quando comincia a trattare della scienza di Tommaso. Contro chi antepone il maestro a tutti gli altri ilosoi per l’uso che egli ha fatto della dialettica, della logica e della ilosoia ai ini della teologia, Valla confessa esplicitamente di non amare molto la metaisica e i modi signiicandi, che possono costituire perino un impaccio, dal momento che gli stessi teologi patristici antichi fecero a meno di tali metodologie e di tali ausili, nonché dall’usare parole e concetti che avrebbero fatto in seguito la gioia dei teologi tardoscolastici : « Nam sive in nostra lingua fundamentum hec habent, illi latinissimi fuerunt, recentes autem omnes pene barbari ; sive in greca, illi greca noverunt, isti ignorant » (p. 95). Un Basilio, un Crisostomo e tutti gli autori contemporanei « neque dialecticorum captiunculas, neque metaphysicas ambages, neque modorum signiicandi nugas in questionibus sacris admiscendas putaverunt ac ne in philosophia quidam suarum disputationum fondamenta iecerunt, cum Paulum clamantem legerent “non per philosophiam et inanem fallaciam” » (ibidem). Anche i confronti dei vari pensatori con Tommaso, che si ritrovano nell’ultima parte di questo elogio, paiono ridimensionarsi nettamente rispetto a una presa di posizione culturale e teologica così netta che, contrapponendo antichi e nuovi teologi, mette a contrasto un modello di teologia scritturistica e positiva rispetto a quella scolastica. Assai concentrato è questo tipo di riferimento, ma assolutamente centrale e, so«bruniana & campanelliana», xvii, 1, 2011 304 bruniana & campanelliana prattutto, rintracciabile in tutto il resto dell’opera valliana, a partire ovviamente dalle Dialecticae disputationes. V. D. N. * Daniela Coli, Hobbes, Roma e Machiavelli nell’Inghilterra degli Stuart. Con la prima edizione italiana dei Tre Discorsi di Thomas Hobbes, Firenze, Le Lettere, 2009, 264 pp. N el 1995 la studiosa Arlene W. Saxonhouse aveva sostenuto che tre dei quattro discorsi pubblicati dall’editore Edward Blount nel 1620 sotto il titolo Horae Subsecivae : Observations and Discourses sono da ascrivere alla penna del ilosofo di Malmesbury. Leo Strauss è stato il primo studioso ad aver posto l’attenzione sui codici manoscritti dei saggi, ino a quel momento prevalentemente attribuiti a William Cavendish, secondo conte del Devonshire e allievo di Thomas Hobbes, ed in qualche caso anche a Francis Bacon : comunque ritenuti espressione dell’ambito scientiico e culturale espresso dal circolo di intellettuali che si riuniva intorno al Conte di Newcastle. L’attribuzione della Saxonhouse, fondata sullo studio di elementi di contesto e linguistico-testuali, nonché su di una accurata analisi delle ricorrenze lessicali (wordprint analysis) e stilistiche, è stata a lungo contestata e accolta con scetticismo. E questo perché i tre testi, fortemente impregnati da temi cultura classica, mostrano un Hobbes inedito. I tre discorsi sono il Discourse on Rome, il Discourse upon the Beginning of Tacitus, e il Discourse of Lawes. Nel primo, che costituisce « una originale rilessione – mediata dalla lettura dei Discorsi del Machiavelli – sul signiicato storico e politico della città » (p.10) vengono dibattuti temi diversi, connessi alla critica della Chiesa Cattolica, alla crudeltà dell’uomo, ai fattori che portarono alla corruzione e degrado di Roma e del popolo romano. Nel Discorso su Tacito, l’autore delle Horae Subsecivae commenta la sezione degli Annales nella quale lo storico romano descrive la transizione dalla repubblica al principato sotto Augusto. Inine, nel Discorso sulle Legi, teso ad indagarne la natura e i fondamenti, emergono i tratti di una concezione rigorosamente naturalistica dell’uomo e di una antropologia individualistica che, secondo Quentin Skinner, preigurano i tratti speciici della successiva rilessione hobbesiana. Nella sua lunga e articolata introduzione ai testi Daniela Coli ricostruisce in maniera dettagliata il contesto storico e culturale nel quale Hobbes avrebbe lavorato alla loro composizione, discutendone i rapporti col circolo di Newcastle e con Francis Bacon, ma anche i viaggi in Europa e l’incontro con Fulgenzio Micanzio. L’A. sottolinea poi come questi testi rendono conto del rapporto di Hobbes con la rilessione del Machiavelli, con Tacito, con l’esperienza romana repubblicana e imperiale. La Coli ofre quindi una lettura del percorso intellettuale hobbesiano che rifugge tanto da letture ‘continuiste’, quanto da una lettura di questi testi come meri esercizi di scuola in stile umanistico-rinascimentale, e quindi di scarso valore per la biograia intellettuale del ilosofo di Malmesbury. giostra 305 L’autrice mette invece in evidenza come è proprio attraverso il confronto critico con la cultura umanistica e rinascimentale che in questi testi emergono elementi teorici e tematici di rilievo, che ritroveremo anche nella rilessione ilosoica e politica hobbesiana più tarda. A. A. * Lucia Felici, Profezie di riforma e idee di concordia religiosa. Visioni e speranze dell’esule piemontese Giovanni Leonardo Sartori, Firenze, Olschki, 2009 (« Studi e testi per la storia religiosa del Cinquecento », xvi), 370 pp. I l libro di Lucia Felici, profonda conoscitrice della storia della Riforma europea, ha il merito di strappare all’oblio la semisconosciuta igura del coraggioso e intraprendente esule Giovanni Leonardo Sartori. Nella prima metà del Cinquecento egli rinunciò ad un’esistenza agiata e sidò con la stessa disinvoltura cattolici e riformati, venendo riiutato dagli uni e dagli altri ; inì i suoi giorni in carcere, prima che una prevedibile damnatio memoriae si abbattesse su di lui. Non è facile dunque il compito di ripercorrerne la vita, il pensiero e le opere, stanti i molti fraintendimenti del passato e le numerose lacune storiograiche, alle quali Felici sopperisce con un’accurata ricerca d’archivio e con il ricorso ad un preziosissimo documento inedito, pubblicato in appendice al libro. Le Revelationes, redatte da Giovanni Leonardo Sartori nel 1554, consentono all’A. di ripercorrere l’insolita parabola di questo ricco funzionario dei duchi di Savoia, che non esitò ad abbandonare tutto ciò che aveva per inseguire il sogno di un mondo di pace e giustizia, per l’annuncio del quale credeva di essere predestinato da un disegno divino. Autoproclamatosi ‘nuovo Mosè’, iniziò a vagare per l’Europa in missione per conto di Dio, credendo di poter trovare nel mondo protestante delle orecchie più attente e delle menti più aperte di quelle dell’Italia controriformistica. Non gli mancarono gli interlocutori, anche di spicco, ma il suo profetismo anticonformista e decisamente non allineato non poté non suscitare la derisione e la condanna delle rigide autorità religiose d’oltralpe. E se inizialmente Calvino lo liquidò con suicienza come presuntuoso, ridicolo e folle, l’esplosione del caso Serveto e il successivo attacco di Sartori contro la Chiesa di Ginevra fecero precipitare le cose. Espulso dalla città, il visionario subì la stessa sorte in quasi tutti gli altri luoghi in cui provò a difondere le sue presunte rivelazioni divine, da Berna a Strasburgo. Un destino ancora peggiore però lo attendeva quando cercò di tornare in patria : arrestato a Chambery, nel 1556 morì di stenti nel carcere di Chieri, la stessa cittadina che lo aveva visto nascere. Lucia Felici ripercorre con competenza e perizia le vicende di questo indocile visionario, non limitandosi al percorso attuato dal singolo ma dando ampio spazio ad un complesso contesto storico fatto di laceranti contrasti tra spinte riformatrici e repressione, tra slancio individuale e disciplinamento sociale. Una particolare attenzione è rivolta anche al quadro dottrinale e confessionale all’interno del quale la visione religiosa e profetica di Sartori si sviluppò e cercò di ritagliarsi un proprio spazio, nella consapevolezza che uno dei 306 bruniana & campanelliana principali motivi d’interesse del personaggio risiede proprio nella sua mancanza di allineamento con le Chiese uiciali e nella strabiliante pervicacia con cui questi rivendicò sempre un’incondizionata libertà religiosa e intellettuale e perseguì il suo originale percorso spirituale, ino alle estreme conseguenze. S. D. A. * Elena Brambilla, Corpi invasi e viagi dell’anima. Santità, possessione, esorcismo dalla teologia barocca alla medicina illuminista, Roma, Viella, 2010, 302 pp. E lena Brambilla propone un’opera di ampio respiro sulla relazione fra i comportamenti di « sante e indemoniate (o presunte tali) », da un lato, e « le teorie con cui teologi e medici ne tentarono l’interpretazione, dall’ altro » (Introduzione, pp. 9-25), un tema che aveva preso a trattare da tempo. L’epoca è quella della così detta « crisi della coscienza europea », compresa fra gli anni Ottanta del xvii secolo e il primo decennio del successivo, nella quale persino la Curia romana risentì della « crisi della ilosoia aristotelica e della neoscolastica spagnola » e, quindi, dell’« affermarsi progressivo di una nuova « concezione isiologica dei rapporti fra corpo e anima, a base cartesiana, meccanicistica e atomista ». Mutamenti profondi che inluenzarono i criteri impiegati dal Sant’Uizio, la Congregazione dei Riti e dei Santi, e persino dall’Indice, nel « valutare e proporre le vie verso la perfezione e la santità » e, non meno, « condizionarono la diagnosi delle possessioni diaboliche » ; soprattutto incisero sull’applicazione della loro cura sacerdotale, ovvero gli esorcismi. L’A., se riiuta decisamente di « vedere […] nella santità o nella possessione diabolica, fenomeni autodeiniti o autogiustiicati », collocati quindi fuori da ogni contesto storico, esclude non meno di voler « ridurre i vissuti delle visionarie e delle possedute ad auto illusioni mistiicatorie » (p. 15). Intende piuttosto, in sintonia con attuali correnti di ricerca, « storicizzare la spiritualità femminile » e « iscriverla a pieno titolo come parte di una rinnovata e ampliata storia antropologicoculturale » (p. 15). In questo senso le forniscono materia di rilessione quei manuali e trattati sulla discretio spirituum che avevano, in particolare, lo scopo di distinguere gli spiriti boni dai mali, e l’ascesi mistica dall’obsessio, prodotta dall’invasione dei diavoli nel corpo. Nel costruire l’opera, che non è agevole riassumere senza mortiicarne la complessità e l’originalità, e che si deve apprezzare anche nella cruda descrizione di singoli episodi, e nella rappresentazione di personalità incisive come il medico Paolo Zacchia, l’A. utilizza una vasta gamma di fonti (Fonti, pp. 242-259), che spaziano dai manoscritti di archivio a testi sei/settecenteschi di teologia, agiograia, ilosoia, erudizione e medicina, storia ecclesiastica, campi di indagine nei quali la Brambilla si muove con perizia. L’A. non esita inoltre a esaminare il vissuto della santità, della possessione diabolica e del misticismo anche attraverso l’ottica del diritto e di scienze sociali come l’antropologia, l’etnologia e la gender-history (Studi, pp. 259-290). Articolato in tre parti : 1. Santità e possessione : vissuti e teorie nel giostra 307 Seicento (pp. 27-121), 2. Riforme dei segni di santità e condanne dei manuali di esorcismo (1660-1710), 3. La parola alla medicina (1746-1753) : da possessione a isteria, il denso Corpi invasi e viagi dell’anima si completa con un utile indice dei nomi (pp. 291-302). S. A. B. * Euan Cameron, Enchanted Europe : Superstition, Reason and Religion, 12501750, Oxford, Oxford University Press, 2010, 474 pp. P artendo dal Medioevo e giungendo sino all’Illuminismo, Cameron, dopo i suoi studi sui valdesi e sulla Riforma, intende occuparsi della fede e del suo rapporto con la superstizione dopo la frattura dell’unità cristiana, cercando di tener conto dei risultati della lunga tradizione storiograica. La scelta del titolo che riecheggia quella di Balthasar Bekker per la sua opera più nota (De betoverde weereld, 1691) indica in maniera chiara la volontà di esaminare le credenze religiose collocandole « in their appropriate and proper historical settings » (p. x). Si indaga il rapporto quotidiano con il soprannaturale, cui ricondurre tutto ciò che non poteva essere spiegato altrimenti, come caratteristica dell’Europa dell’età moderna per evidenziare quindi il proposito del clero che, attraverso la critica alla superstizione, intendeva utilizzare quella strategia pastorale volta ad afermare il controllo delle credenze. Una strategia che non si diferenziava afatto tra cattolici e riformati : così lo studioso segue le orme di coloro che hanno respinto l’interpretazione della Riforma intesa come movimento razionalistico (da Dilthey a Troeltsch) per porre in evidenza le contiguità, ainità e analogie delle credenze tra cattolici e riformati. L’A. inoltre, giunge a conclusioni diverse rispetto a quella storiograia che ha voluto mostrare l’esistenza di un pensiero illuministico legato al soprannaturale, richiamando l’attenzione sugli sviluppi scientiici ; inine, secondo Cameron, non fu la superstizione a subire una sconitta, ma il clero a modiicare obiettivo : l’unico vero declino fu quello della paura della magia. Il libro è diviso in quattro parti : più della metà è dedicata all’analisi delle premesse della critica alla superstizione dalla patristica in poi ; si passa poi alla trattatistica umanistico-rinascimentale per giungere alla Riforma e concludere con il xvii secolo e l’Illuminismo. Purtroppo pochissime pagine sono dedicate al dibattuto rapporto tra teologia cattolica e superstizione, che forse avrebbe richiesto maggiore attenzione anche bibliograica, in considerazione della natura accademica del saggio, mentre si presta maggiore attenzione al rapporto tra Lutero e la superstizione. Pur con considerazioni stimolanti, si nota una parte conclusiva tanto afollata da Thiers, Bayle, Hume e Voltaire, solo per citare alcuni nomi, quanto sintetica. Originale e interessante è, invece, la prima parte dedicata alla immagine della superstizione, a quel mondo così densamente popolato da spiriti e demoni, la cui credenza era condivisa dalla maggior parte della popolazione : la trattatistica dotta attinge infatti ripetutamente a quelle immagini per la loro forza evocatrice. M. V. 308 bruniana & campanelliana La donna nel Rinascimento meridionale, a cura di Marco Santoro, Atti del Convegno Internazionale, Roma 11-13 novembre 2009, Pisa-Roma, Serra, 2010, 468 pp. I l volume raccoglie gli interventi di tre giornate di studio, promosse dall’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento Meridionale, dedicati al tema della donna, il suo ruolo e la sua funzione nel Rinascimento meridionale. Le relazioni, raccolte in varie sezioni (La letteratura, Teatro, Musica, Danza, Le scienze della natura, Donna e società laica, In convento, Le norme del comportamento, Le arti igurative, La vita quotidiana, La donna e il libro), afrontano molteplici tematiche considerate da molteplici punti di osservazione : da quello artistico a quello scientiico, da quello medico a quello bibliograico. La prima sezione, ad esempio, che si sofferma sul rapporto donna-letteratura, attraverso l’analisi di un caso emblematico come quello di Isabella di Morra, raccontato da Matteo Palombo (Le « trame » al femminile), ci introduce nel linguaggio poetico delle Rime, che ad un tempo rivelano l’appartenenza di Isabella al codice petrarchesco e la sua contrastata passione amorosa. Nella sezione dedicata alle Scienze della natura ritroviamo una sintetica panoramica sulle mulieres Salernitanae (C. Bottiglieri, Medicina e cure di donne tra Medioevo e Rinascimento : la memoria delle mulieres Salernitanae) e uno studio sul ruolo delle ostetriche e delle curatrici empiriche, sullo sfondo delle novità sul corpo e la isiologia femminile provenienti dalla medicina colta (M. Conforti, Vetule, matrone, mammane. Le donne e la cura). Il variegato quadro che emerge dagli interventi ci rimanda l’immagine di un Rinascimento napoletano al plurale : alla corte dei sovrani aragonesi e nelle corti feudali provinciali molte gentildonne, da Roberta Carafa a Silvia Piccolomini, come si legge nello studio di Elisa Novi Chiavarria (Dame di corte nel Rinascimento meridionale), presero attivamente parte alla vita artistica e culturale, occupando uno spazio signiicativo e promuovendo la circolazione dei saperi. Napoli e il Meridione si presentano nel Rinascimento come una fucina di sperimentazioni e aspirazioni riformatrici. L’ansia di una riforma religiosa e sociale animò, ad esempio, l’attività di Maria Longo, fondatrice dell’Ospedale di S. Maria del Popolo e dell’Ordine delle Cappuccine, e di Fulvia Caracciolo, monaca e autrice di una Cronaca del 1580. Come si evince dal saggio dedicato alla vita delle donne in convento (A. Valerio, Donne e religione a Napoli tra riforme e controriforme. 1520-1580), i loro slanci dovettero però subire una improvvisa battuta d’arresto all’indomani del Concilio di Trento, le cui norme imposero una drastica limitazione alla libertà delle donne. Lo stesso Concilio di Napoli del 1576, infatti, in applicazione delle disposizioni tridentine, esercitò un forte controllo della presenza femminile nel tessuto urbano attraverso la clausura e l’assistenza delle Opere Pie : uno dei momenti della più « ampia politica messa in atto dalla Chiesa Cattolica per fronteggiare, da una parte, le lacerazioni avvenute in seguito alla Riforma protestante e per arginare, dall’altra, quell’inquietudine spirituale che l’Umanesimo, con le sue istanze di rinnovamento, aveva espresso in tanti ambiti della vita culturale e sociale » (p. 196). S. P. giostra 309 Enciclopedia bruniana e campanelliana, diretta da Eugenio Canone e Germana Ernst, vol. ii, cura redazionale di Giuseppe Landoli Petrone, Pisa-Roma, Serra, 2010 (« Supplementi di Bruniana & Campanelliana », xxviii), xvi pp., 402 coll. E sce, a quattro anni di distanza dal primo volume (2006), il secondo volume dell’Enciclopedia bruniana e campanelliana, che, come il primo, comprende trentadue voci enciclopediche, presentate nel corso dei Seminari di studio tenutisi a Roma dal 2005 al 2008. Si tratta di sedici voci per ognuna delle due sezioni. Per la ‘sezione bruniana’ : arte della memoria, mnemotecnica (M. Matteoli) ; astronomia (D. Tessicini) ; cabala (F. Meroi) ; cometa (D. Tessicini) ; Copernico (H. Gatti) ; giustizia (S. Plastina) ; Inghilterra (H. Gatti) ; istinto (T. Provvidera) ; materia (B. Amato) ; merito (P. Secchi) ; Nuovo Mondo (D. Pirillo) ; senso (L. Spruit) ; synodus ex mundis (M.A. Granada) ; teologia (P. Secchi) ; terra (M.A. Granada) ; vincolo (E. Scapparone). Per la ‘sezione campanelliana’ : censura (S. Ricci) ; donna (G. Ernst) ; favola (T. Bonaccorsi) ; ius gentium ( J.-P. De Lucca) ; mare ( J.-L. Fournel) ; medicina (G. Giglioni) ; miracolo (M. Moiso) ; Napoli ( J.-L. Fournel) ; peste (T. Katinis) ; Plotino (R. Chiaradonna) ; primalità (G. Giglioni) ; sistema (M.-P. Lerner) ; storiograia (A. Suggi) ; tempo (P. Ponzio) ; traduzioni tedesche : poesie ilosoiche (L. Balbiani) ; Venezia (F. PlouchartCohn). Basta uno sguardo alla lista delle voci del secondo volume per comprendere che si tratta di un’impresa editoriale che fornisce al lettore colto e allo studioso della materia uno strumento di consultazione e di lavoro unico all’interno della sterminata bibliograia bruniana e campanelliana. Si pensi al livello specialistico di competenze sui testi e sulla letteratura secondaria che bisognerebbe possedere – e alla quantità di tempo e di lavoro necessari per riordinare tutte le informazioni – per acquisire gli stessi saperi che l’Enciclopedia ofre, sia che si tratti di tematiche tradizionalmente più complesse, quasi ostiche, come quella dell’arte della memoria per Bruno, sia che si tratti di argomenti più descrittivi ma non meno signiicativi, come nel caso dello ius gentium per Campanella. Molti gli studiosi che in qualità di specialisti della materia hanno inora dato il loro contributo a quest’iniziativa, in linea con i criteri che ne hanno ispirato il progetto : il rigore formale del taglio enciclopedico e la libertà interpretativa che si deve alla ricerca storico ilosoica. L’Enciclopedia ofre al lettore colto e allo studioso la stessa varietà di generi di un’enciclopedia tradizionale (soggetti, personaggi, toponimi), tutti pescati però all’interno dell’esperienza biograica e dottrinale dei due grandi ilosoi del Rinascimento italiano, protagonisti di quei decenni cruciali che cambiarono i paradigmi scientiici e i modelli concettuali di riferimento dell’Occidente. Con tutti i limiti che ogni classiicazione e ogni sempliicazione porta con sé, ecco un esempio degli ambiti inora esplorati, facendo riferimento a entrambi i volumi a stampa : le fonti (Copernico, Cusano, Dante Alighieri, Plotino, Socrate) ; i protagonisti (Galileo) ; i luoghi (Inghilterra, Napoli, Venezia), le discipline (arte della memoria, astrologia, astronomia, jus gentium ; matematica, medicina, retorica) ; la storia intellettuale (censura) ; la nuova geograia (Nuovo Mondo) e, inine, i termini e i concetti della rilessione ilosoica stricto sensu (ininito, ingegno, materia, 310 bruniana & campanelliana primalità, senso, tempo). La mappa concettuale dell’Enciclopedia bruniana e campanelliana, così come indicano i due volumi già editati, è open, destinata ad accrescersi e ad arricchirsi ; conseguentemente, il piano dell’opera è work in progress : con un lemmario aperto che non cristallizza i contenuti concettuali a un tempo dato, come farebbe un’enciclopedia tradizionale, ma che è pronto ad accogliere temi antichi e nuovi e a strutturarsi secondo le esigenze e gli sviluppi della ricerca e della rilessione storico-ilosoica. C. C. * Figure di ‘servitù’ e ‘dominio’ nella cultura ilosoica europea tra Cinquecento e Seicento, a cura di Nicola Panichi, Atti del Convegno (Urbino, 29-30 maggio 2008), Firenze, Le Lettere (« Giornale critico della ilosoia italiana », Quaderni, n. 16), 2010, 324 pp. G eorges Zimra apre il suo recente volume, Résister à la servitude (Paris 2009), con la domanda « La servitude est-elle consubstantielle à l’homme, innée ou essentielle ? ». La risposta che proviene dagli Atti del Convegno urbinate (su cui si veda il resoconto di B. Pistilli e M. Sgattoni nel n. xiv, 2, 2008, alle pp. 601-4) è indubbiamente negativa. Che la servitù, specialmente nella forma di asservimento politico al tiranno, sia una condizione innaturale, una perversa, illogica, déraisonnable distorsione della vera natura umana da cui occorre liberarsi, è stato messo in luce, forse più che da ogni altro ilosofo, da Etienne de la Boétie nel suo Discours de la Servitude volontaire, a cui sono dedicati i contributi di Ph. Desan, A. Tournon, R. Ragghianti, T. Dagron e N. Panichi ; ma ai temi laboetiani si ricollegano, in vario modo, anche gli altri saggi contenuti nel volume, che analizzano aspetti del pensiero di Montaigne (G. Nakam), Machiavelli (F. Frosini), Bruno (E. Canone), Gentili (D. Pirillo), Budé (L. A. Sanchi), Campanella (G. Ernst), Hobbes (G. Paganini), Bergerac e Sorbière (L. Bianchi), Gracián (B. Pistilli) e Spinoza (S. Visentin). La Servitù volontaria fornisce la cornice ideale per rilanciare un tema la cui attualità è indiscutibile. Nota anche come Le Contr’Un, nei primordi dell’Età moderna è stata oggetto di contrastanti interpretazioni che coinvolsero il pensiero ilosoico e la teoria politica, e ancora oggi si dimostra un prezioso spunto di rilessione (come nel recente studio di Maurizio Viroli, La libertà dei servi, Roma-Bari, 2010). Se in La Boétie, l’assoggettamento e la privazione della libertà si risolvono nella perdita dell’umanità stessa, secondo un processo di vera e propria disumanizzazione, in Campanella questa degenerazione viene deinita ‘animalizzazione’ : il tiranno non è un uomo ma « un cane vestito di porpora » (e sa di esserlo, pertanto è infelice : « Ipse autem conscius quomodo felix ? »), mentre i sudditi sono come « imbestiati nel serviggio » (cfr. pp. 194 e 201). Riconoscendo il supremo e insostituibile valore della libertà, sarà possibile riconquistare anche l’umanità stessa : cos’è l’uomo se non può essere libero ? Per tornare liberi è necessario esserlo in foro interno, in coscienza, prima che nelle azioni (cfr. p. 35). Alla medesima libertà interiore allude Bruno quando aferma che si può essere liberi anche « in suggez- giostra 311 zione » – così come, paradossalmente, è possibile essere « servi nella libertà » (cfr. p. 133). Per La Boétie l’abbattimento della tirannide passa attraverso la revoca del consenso popolare col conseguente crollo del « colosso » del potere, che di quel consenso si nutriva ; l’imperativo da lui suggerito resta valido per tutte le epoche : « Soyez résolus de ne servir plus, et vous voilà libres » ! R. S. * Thomas Hobbes, Moto, luogo e tempo, a cura di Gianni Paganini, « Classici della Filosoia », Torino, utet, 2010, 708 pp. S i tratta della prima traduzione italiana (e la sola in una lingua moderna dopo quella inglese del 1973) della grande opera lasciata inedita da Thomas Hobbes e dedicata alla critica del De Mundo (1642) di Thomas White. Hobbes vi tratta dei problemi isici, astronomici e metaisici sollevati dalla rivoluzione galileiana. Il Dialogo sui massimi sistemi è dunque un riferimento costante sia per White, che tenta una conciliazione tra l’eliocentrismo copernicano, l’aristotelismo e la ilosoia meccanicistica, sia per Hobbes. Il tentativo di stabilire la non contraddizione tra l’eliocentrismo copernicano e l’apparente geocentrismo delle Scritture si era concretizzato nell’opera di White mediante un « compromesso verbale » che Hobbes critica aspramente. Nei suoi Dialoghi White si era fondato sulla relatività o piuttosto sulla reciprocità del movimento per sostenere che era indiferente porre il sole o la terra al centro dell’universo. Hobbes mette a nudo gli errori logici di questo ragionamento (xiv, 6, p. 294-295) e dimostra che la posizione copernicana non può essere presentata come un semplice « modo di parlare » (modus loquendi) : per lui vale piuttosto una necessità isica inconciliabile con il geocentrismo. Tanto meno egli ritiene che la Scrittura insegni il geocentrismo come una proposizione di isica di cui si debba ammettere la verità. Infatti, la critica hobbesiana si allarga anche alla regola di interpretazione delle Scritture formulata da White e che egli giudica inconsistente e dubbia. Segnaliamo inoltre il grande interesse che presenta la trattazione di questioni classiche per l’epoca, come la precessione degli equinozi e le cause dell’inclinazione dell’asse della Terra, la spiegazione del magnetismo e della calamita, o il problema del « genere di rifrazione » che può dar conto della curvatura della coda delle comete. Inine occupa qui un posto centrale la teoria delle maree, a proposito della quale Hobbes non esita a riconoscere la fallacia dell’argomento galileiano della quarta giornata del Dialogo e ne indica con chiarezza il punto debole : lo scienziato non avrebbe applicato anche al problema delle maree il principio per cui la Terra deve essere intesa come un sistema inerziale al quale partecipano tutti i corpi che vi sono inclusi, principio peraltro chiaramente enunciato dallo stesso Galilei. Hobbes non si è limitato a discutere White sul terreno della scienza. Come sottolinea Paganini, egli ha anche elaborato un concetto di ‘ilosoia prima’ contrapposta alla ‘metaisica’ scolastica. Con una radicale sempliicazione delle categorie aristoteliche, ricondotte alla coppia sostanza / accidente, e con un nuovo concet- 312 bruniana & campanelliana to di materia, Hobbes fornisce alla critica galileiana delle ‘qualità’ la base ontologica che faceva difetto all’autore del Sagiatore. Considerata in questa prospettiva, la philosophia prima di Hobbes è l’esplicitazione della metaisica sottostante all’intuizione fondamentale della isica galileiana, anche se lo scienziato iorentino non si sarebbe mai avventurato a darne una formulazione così chiara e generale. In un certo senso, la lettura di questo manoscritto ci permette di entrare nel ‘laboratorio’ nascosto in cui si è formata la ilosoia di uno dei grandi classici del Seicento : un’epoca in cui trasformazione della ilosoia e rivoluzione scientiica andarono strettamente intrecciate. Le 708 pagine di questo imponente volume contengono, oltre alla traduzione (pp. 129-675), una corposa introduzione (pp. 9-104) che rappresenta il più ampio studio inora comparso e dedicato interamente al De motu. Il commento consente poi di ricostruire il contesto di molti dei problemi trattati nell’opera e soprattutto istituisce confronti sistematici tra la fase precoce di elaborazione del pensiero hobbesiano attestata dal De motu (1642/43) e gli sviluppi più maturi contenuti nel Leviatano (1651) e nel De corpore (1655). T. P. * Lorenzo Valla. La riforma della lingua e della logica, a cura di Mariangela Regoliosi, 2 tomi, Firenze, Polistampa, 2010 (Edizione Nazionale delle Opere di Lorenzo Valla – Strumenti, 3), 710 pp. S i raccolgono in questi due preziosi volumi gli Atti del Convegno tenuto a Prato nel giugno 2008 e organizzato dal Comitato Nazionale per il vi centenario della nascita di Lorenzo Valla. I saggi che vi sono contenuti afrontano le principali tematiche della rilessione dell’umanista romano : la grammatica, i rapporti tra greco, latino e volgare, la riforma della logica e la dialettica, la concezione della libertà, la teologia, la morale. Dunque questioni interne alla elaborazione critica del Valla, cui seguirà la pubblicazione degli Atti di un altro convegno che concerne invece la fortuna storica del lavoro di questo grande umanista, davvero centrale nel xv secolo e così ricco di spunti per tanti intellettuali del Cinquecento. Nella sezione linguistica un’attenzione particolare viene riservata al tema delle Elegantie – rafrontate al Catholicon di Giovanni Balbi (Ruth Miguel Franco) – alle loro fonti grammaticali (Maria Luisa Harto Trujillo), ai grammatici recentes (Francesco Lo Monaco). Entrando più da vicino nel merito dei contenuti, Carmen Codoñer Merino discute di Elegantia y gramática, Mariangela Regoliosi di Usus e ratio in Valla ; Joaquín Villalba Álvarez pone in relazione Valla coi grammatici latini e con lo strutturalismo ; Vincenzo De Caprio analizza la dedica dei libri delle Elegantie ; Sara Donegà e Gilbert Dahan si occupano degli studi neotestamentari dell’umanista ; Enrico Psalidi e Marianne Pade trattano delle traduzioni, rispettivamente di Omero e di Tucidide ; Stefano Pittaluga afronta il problema VallaPoggio in relazione alle Facezie e Jean-Louis Charlet quello Valla-Perotti. Quanto alla dialettica, Cesare Vasoli studia la critica del Valla ai fondamenti della dialettica scolastica, Lodi Nauta la tipologia delle sue argomentazioni e mentre Alfonso In- giostra 313 gegno ne rivendica la dimensione più squisitamente ilosoica, Graziella Federici Vescovini relaziona il lavoro ilosoico valliano alla dialettica moderna della scuola di Pavia tra ’300 e ’400, mentre Francesco Tateo ne evidenzia il concetto di fortuna proprio nella dialettica. Anche l’analisi della teologia valliana ruota intorno alla Dialectica nell’intervento di Alessandro Ghisalberti e in quello di Domenico Pazzini (che relaziona questo testo ai padri della chiesa). Marco Bracali invece rintraccia quei spunti valliani che incontreranno fortuna nei tanti aspetti della Riforma. Da segnalare l’intervento di Maila Bianchi sul Sermo de mysterio Eucharistie e quello di Enrico Peruzzi sul De vero bono in rapporto all’epicureismo umanistico. Inine, rilevanti gli studi di Rita Sturlese e di Marco Lafranchi su problemi che concernono la libertà in Valla. La igura e l’opera di Valla escono singolarmente illuminate da questi studi, anche se resta l’impressione di un autore profondo e complesso il cui pensiero non è stato ancora completamente indagato dalla critica. Merita ancora ulteriori approfondimenti, per esempio, il ruolo svolto da Valla nella polemica antiscolastica dell’Umanesimo quattrocentesco nella sua duplice dimensione teoretica e pratica, nel quadro di una crisi senza precedenti del linguaggio cristiano. V. D. N. * Iacobi Mazzonii In universam Platonis et Aristotelis philosophiam praeludia, sive de comparatione Platonis et Aristotelis, a cura di S. Matteoli, introduzione di A. De Pace, Napoli, D’Auria (« Storie e testi », 19), 2010, lxxxviii, 450 pp. L ’opera In universam Platonis et Aristotelis philosophiam praeludia, sive de comparatione Platonis et Aristotelis è una delle più signiicative dell’erudito e ilosofo Iacopo Mazzoni. Dopo avere pubblicato nel 1576 il De triplici hominum vita, raccolta di più di cinquemila quaestiones, volte a comporre i contrasti fra taluni aspetti delle dottrine di Platone, Aristotele e di molti altri ilosoi antichi, e dopo avere iniziato, negli anni seguenti, un commento ai Dialoghi platonici (considerato perduto), il Mazzoni pubblicava a Venezia nel 1597, a meno di un anno dalla sua scomparsa, un’opera di vasto impegno, sempre mirata al confronto tra i sistemi di pensiero dei due sommi ilosoi dell’antichità. Come l’autore aferma nella prefazione, il suo intento non è quello di contrapporre Aristotele e Platone per afermare l’eccellenza dell’uno sull’altro, come ha fatto con stolida cura il Trapezunzio ; egli si dice invece animato da una volontà di conciliazione che possa aumentare la gloria di entrambi : ciò che, tuttavia, non gli consentirà nel corso della sua voluminosa impresa di risolvere nella concordia ogni aporia nata dalla comparazione. L’edizione del corposissimo testo è stata curata, sulla base dell’editio princeps, da Sara Matteoli, che non si è certo limitata a trascrivere e riordinare il testo offerto dall’edizione cinquecentesca. La studiosa ha provveduto a emendare i numerosi errori di diversa natura presenti nel testo, migliorandone in maniera signiicativa la qualità e la comprensibilità. Ma soprattutto ha intrapreso e portato a 314 bruniana & campanelliana termine il reperimento della quasi totalità delle fonti antiche e tardoantiche citate dal Mazzoni, impresa di grande rilievo, ma di assai complessa realizzazione, se si tiene conto, oltre che della proteiforme erudizione del Mazzoni che si estende a un numero davvero considerevole di autori latini e greci, del fatto che tali riferimenti, come sempre accade dall’antichità all’era moderna, sono presentati per lo più in maniera approssimativa. È stata invece programmaticamente escluso il riscontro dei rimandi agli autori medievali – tra cui spicca ovviamente Tommaso d’Aquino – e rinascimentali (primo fra tutti Pico della Mirandola). Si tratta certo, soprattutto per gli autori del Quattrocento e del Cinquecento, di menzioni molto importanti per comprendere con maggior precisione il contesto culturale in cui il Mazzoni si mosse, ma d’altra parte la minor deinizione del canone delle edizioni di tali pensatori rende ancor più ardua l’identiicazione precisa dei passi. Completa l’opera un corposo saggio introduttivo di Anna De Pace, la quale si soferma anzitutto sui legami tra il Mazzoni e Galileo Galilei, per poi passare ad analizzare i rapporti dell’autore con la tradizione platonica rinascimentale, rispetto a buona parte della quale egli si pone in contrapposizione, mentre vengono evidenziate le ainità con le elaborazioni ilosoiche di Pico della Mirandola. La studiosa inine ofre un’ampia discussione relativa ai cardini essenziali del platonismo del Mazzoni, nel quale risulta elemento fondamentale una rivalutazione importante della matematica nell’ambito del sistema delle scienze. Nella ricostruzione di Anna De Pace, i molteplici riferimenti agli autori presenti nel discorso del Cesenate – non solo antichi, ma anche e soprattutto tardoantichi, medievali e moderni – ben si saldano con l’abbondante apparato delle fonti dell’edizione e intervengono utilmente a integrarne le lacune. R. M. * Paolo Sarpi. Politique et religion en Europe, éd. par Marie Viallon, Paris, Garnier, 2010, 478 pp. N onostante l’assoluta rilevanza dell’evento, la ricorrenza dei 400 anni dell’Interdetto di Paolo V a Venezia è passata più o meno sotto silenzio fatte salve poche eccezioni, tra cui ricordiamo il convegno organizzato nel novembre del 2008 a Lione, il primo, in terra francese, a essere dedicato a Paolo Sarpi. Con la partecipazione di tredici studiosi, in prevalenza italiani e francesi, si sono dati nuovi contributi alla ricostruzione del contesto storico e politico dell’epoca come pure al pensiero, che ancora tanto impegno chiede, del servita, con l’apporto di risultati originali. Attento studioso e ine editore di opere sarpiane, Corrado Vivanti ha voluto avvicinare il percorso di Sarpi a quello di Montaigne e ricostruire l’evoluzione che avrebbe condotto alla redazione della Potestà dei Principi (edito da Nina Cannizzaro, Marsilio, 2006). Corrado Pin, infaticabile studioso di Sarpi e curatore dell’edizione dei Consulti, ha il merito di seguire il passaggio da consultore teologo « al consultore ‘politico’ meno dottrinario e tutto concretezza nel suo argomentare pragmatico più consono alla mentalità del patriziato venezia- giostra 315 no »(p. 77-78). Studiosa di De Dominis, Eleonora Belligni ha invece voluto mostrare « l’esistenza di un relazione e un’omologia » fra Sarpi, Bellarmino e De Dominis (p. 262) : la loro morte segnò infatti la ine di una stagione della cattolicità, visti i loro sforzi teorici convergenti, pur da prospettive diverse, a chiarire la questione dell’autorità. Anche Sylvio Hermann de Franceschi si occupa del dibattito cattolico, prendendo in esame il concetto di vera Chiesa in Bellarmino, Sarpi, De Dominis, Suarez. All’analisi dell’opera sarpiana si rivolgono i saggi di Viallon e Dompnier e di Descendre : i primi, insistendo sempre sulla separazione tra potere spirituale e potere temporale, tema caratteristico del pensiero del servita, esplorano il successo anche nella versione manoscritta del Trattato delle materie beneiciarie e il secondo, evidenziando la matrice machiavelliana del lessico sarpiano costellato di riferimenti alla guerra. Molto interessanti sono i saggi di Infelise e Andretta : la capillare e complessa battaglia della Chiesa di Roma contro Sarpi e la sua memoria nel lungo periodo, mostrandone la strategia e i risultati, è l’oggetto di Infelise, mentre Andretta si propone di analizzare l’evoluzione della visione storica di Roma dalla seconda metà del Cinquecento. Una parte dei contributi sono poi volti alla dimensione geopolitica europea dell’epoca : de Vivo sui rapporti anglofrancesi durante l’Interdetto, mentre Foucault su ruolo diplomatico francese, e Poumarède, con l’epistolario sarpiano, sul contesto europeo. Van Heck si dedica inine alla fortuna di Paolo Sarpi in Olanda e Viallon traccia un bilancio conclusivo sulle ambiguità sarpiane ancora oggetto di analisi storiograiche. Chiude il volume una bibliograia antica e moderna delle edizioni e traduzioni delle opere sarpiane. M. V. * Chiara Quaranta, Marcello II Cervini (1501-1555). Riforma della Chiesa, Concilio, Inquisizione, Bologna, il Mulino, 2010, 504 pp. M ettendo a frutto complesse indagini archivistiche in varie sedi italiane, seguendo le tracce disseminate in fonti diverse, e appoggiandosi saldamente e maturamente sulla miglior storiograia esistente, Chiara Quaranta ha ben ricostruito la biograia di una delle igure più importanti del Cinquecento, quella di Marcello Cervini, poi divenuto papa. Egli svolse il suo solenne uicio soltanto per tre settimane, ma le aspettative riposte nella sua ascesa al soglio pontiicio furono così elevate che persino i Luther Blissett di Q guardarono con attenzione a quel lampo che sembrò rischiarare il cielo della Controriforma. Di agiata famiglia iorentina, di formazione umanistica, Cervini crebbe e si formò all’ombra dei Farnese. Durante il pontiicato di Paolo III, aiancò il cardinal nipote Alessandro nelle manovre diplomatiche tra Carlo V e Francesco I, sullo sfondo dei preparativi per un’alleanza antiottomana e dei tanti tentativi di sanare la frattura religiosa : a stretto contatto con il mondo tedesco, egli trasse proitto dall’esperienza e maturò una iera attitudine alla riforma rigorosa della Chiesa, comprendendo l’abisso 316 bruniana & campanelliana incolmabile ormai creatosi tra Roma e protestanti. Proteso più alla politica che alla teologia, promosse in massimo grado l’azione di riforma per recuperare al papato il ruolo di guida (p. 93). In qualità di cardinale legato, partecipò attivamente e con prudenza alle prime sessioni del Concilio di Trento, vivendo le tensioni e i conlitti che ne innervarono tutti i lavori. Nella maturazione dell’uomo, come osserva l’A., giocò un ruolo centrale la stretta e intensa collaborazione con la Compagnia di Gesù, che segnò alcune scelte strategiche sia nell’azione politica che in quella pastorale. Durante il pontiicato di Giulio III, Cervini entrò a contatto con alcune realtà e diicoltà della cura d’anime a Gubbio, come già era successo a Reggio. Cervini rappresenta l’intreccio tra le diverse anime del Cinquecento riformatore con attenzione alla riforma della Chiesa, al Concilio come strumento di rilessione e di riforma, e all’Inquisizione per la repressione dell’eresia. Esce bene così l’evoluzione del suo progetto politico riformatore, le ainità iniziali e le successive divaricazioni dai percorsi teologici, politici e dottrinali (oltre che biograici) da personaggi come Morone o Pole. La tesi di fondo di questo saggio ruota intorno al continuo scontro sotterraneo interno alla Congregazione dell’Inquisizione prima dell’ascesa al soglio pontiicio di Carafa, alle scelte autonome di Cervini e al suo ruolo di mediazione (da leggere diversamente da come hanno fatto Jedin e Hudon). Quaranta intende restituire la complessità culturale, politica e dottrinale di un protagonista del Cinquecento, uscendo dai toni apologetici e assolutori di certa storiograia e vincendo la sida di riuscire a ricostruire un percorso biograico con rispetto per le sfumature date dalle battaglie intraprese, che siano poi state vinte o perse. All’A. si riconosce il grande merito di aver voluto dare una interpretazione originale di Cervini e del suo operato, superando letture ormai scricchiolanti, senza proclami roboanti, ma con sensibilità e intelligenza critica. M. V. * Renzo Ragghianti, Rétablir un texte. Le Discours de la servitude volontaire d’Etienne de la Boétie, Firenze, Olschki, 2010 (« Quaderni di Rinascimento », 48), 130 pp. I l volume ofre una ricostruzione storiograica e ilologica del Discours de la servitude volontaire di Étienne de la Boetie, frutto di un lavoro quasi decennale svolto con meticolosità e metodo. Dopo aver accennato nel primo capitolo all’afermarsi nella Francia della seconda metà del xvi secolo di una « promotion politique du culturel auréolée de ‘libéralité’ princière » (p. 6), caratterizzata dal iorire di traduzioni in latino o in volgare di testi classici greci, nonché dal riiuto dell’enciclopedismo medievale inalizzato al momento teologico, in ragione di un orientamento più decisamente umanistico teso a privilegiare la dimensione etico-politica, l’A. fornisce le diverse ipotesi di datazione dell’opera di La Boétie, pubblicata postuma nel 1576. A sufragio di tali ipotesi, il capitolo si conclude con una disamina di alcuni manoscritti dell’opera, in particolare dell’esemplare giostra 317 rinvenuto alla Biblioteca Ambrosiana di Milano tra le carte appartenenti al biblioilo padovano Gian Vincenzo Pinelli, e quello ritrovato nei livres de raison di Jean Pinochet, nonché dell’importante copia conservata nella collezione della Folger Shakespeare Library di Washington. Al secondo capitolo viene aidata la ricostruzione storica del contesto e delle possibili ragioni della stesura del Discours, che secondo la stessa dedica al consigliere parlamentare Guillaume de Lur-Longa, non sarebbe altro che « une oeuvre ésotérique, destinée à rester le privilège d’un cercle d’initiés appartenant à une élite parlementaire », tutta impregnata dello spirito di « ‘Cornelius Tacite’ » (p. 32), mentre nel terzo e quarto capitolo si esaminano i possibili punti di contatto rispettivamente tra il pensiero di La Boétie e la lezione erasmiana sui temi di concordia e tolleranza religiosa da un lato, e la tradizione giuridica – a partire da quella medievale del De tyranno di Bartolo da Sassoferrato ino a giungere ai maggiori teorici politici francesi rinascimentali (Budé, de Seyssel, Hotman, Bodin) – sull’opposizione rex/tyrannus e sul rapporto rex/lex dall’altro. Un breve accenno alla fortuna di Machiavelli in Francia e all’inluenza da questi esercitata sugli Essais di Montaigne ci introduce al tema del capitolo successivo, la discussione della cosiddetta tesi di Armaingaud, secondo la quale « très vraisemblablement, les passages, les plus saillants du Discours, ceux qui lui donnent sa véritable signiication et sa portée, sont de Montaigne lui-même ». In altre parole il tiranno oggetto di tanto odio e disprezzo non sarebbe altro che colui che sedeva sul trono di Francia all’epoca della pubblicazione del Discours, e non della sua stesura, ossia Enrico III, tesi che parrebbe smentita proprio dal ritrovamento del manoscritto ambrosiano riconducibile a un Pinelli lettore del Discours già nel 1570. L’ultimo capitolo, inine, afronta il problema della paternità del Mémoire touchant l’édit de janvier 1562, testo attribuito a La Boétie, seppure di contenuti decisamente opposti rispetto alle tematiche del Discours. L’autore, infatti, prende decisamente posizione a favore della politica di tolleranza religiosa della reggente Caterina dei Medici, denunciando i pericoli connessi agli scontri religiosi e l’inutilità e la dannosità della repressione violenta e schierandosi in favore di una sorta di ‘terrorismo’ di Stato controllato. Chiude il volume una lunga Appendice in cui si registrano le varianti dei tre citati manoscritti del Discours conservati a Milano, Grenoble e Washington rispetto all’esemplare appartenuto a Henri De Mesmes (pp. 75-121). T. P. * Uomini, demoni, santi e animali tra medioevo ed età moderna, a cura di Salvatore Geruzzi, Pisa-Roma, Serra, 2010, 266 pp. N ell’Introduzione al volume, Patrizia Castelli deinisce questa raccolta di saggi curata da Salvatore Geruzzi uno « strumento di lavoro per quanti si accostano al tema dell’incontro tra uomo e animale » (p. xiii). La prospettiva adottata è fortemente interdisciplinare, con contributi che spaziano dalla deinizione di ‘umano’ nel dibattito scientiico attuale (Marcello Buiatti) a diversi aspetti 318 bruniana & campanelliana dell’iconograia medievale e moderna (Dieter Blume, Ettore A. Sannipoli), ino a un ampio studio dedicato al nome ‘cane’ nelle lingue e tradizioni indoeuropee (Aldo Prosdocimi). Il titolo rivela solo in parte quello che sembra essere il punto focale della raccolta, ovvero la concezione dell’animalità tra medioevo ed età moderna, e in particolare il problema dei suoi limiti. Si considerano quindi momenti e igure del trapasso da umano ad animale (ad esempio nei saggi di Franco Cardini e Fabio Troncarelli), dall’animalesco al demoniaco (in particolare nel saggio di Patrizia Castelli sui demoni con le zampe d’oca), ma anche aspetti del contatto tra santi ed animali (ad esempio nel saggio di Ettore A. Sannipoli sul lupo ammaestrato da Francesco d’Assisi). L’animale al centro di questa raccolta è quindi un animale sfuggente, la cui natura viene spesso aferrata solo nella trasformazione in un essere diverso : un demone, ad esempio, o un essere mostruoso a metà tra uomo e bestia. Ricordando la raccolta di saggi Il mondo animale e la società degli uomini (in « Micrologus », viii, 2000), Agostino Paravicini Bagliani sostiene che la continuità tra uomo e animale così come essa viene tematizzata nel Rinascimento (ad esempio da Leonardo) può essere messa in relazione con la « tendenza ad eliminare la frontiera tra uomo e animale » (p. 79) che emerge già tra il xii e il xiii secolo. Questo avviene anche con riferimento all’illustrazione zodiacale, ofrendo un collegamento a quanto aferma Dieter Blume nel suo saggio, ovvero che gli animali sono costantemente presenti nella cultura medioevale già nel movimento delle costellazioni, portando alla luce anche in questo caso lo sfumare da uomo ad animale, a creatura mostruosa : « una vera e propria cavalcata di animali, mostri, semidei e demoni che percorrevano il cielo » (p. 86). Il tema del passaggio da uomo ad animale è al centro anche dei saggi di Grado Giovanni Merlo e Gino Benzoni, dedicati rispettivamente alla bestialità degli eretici e alla pericolosa privazione dell’umanità nella rappresentazione dei villici. Mentre Paola Carusi pone al centro del suo contributo il ruolo allegorico degli animali nell’alchimia islamica, i saggi di Maria Luisa Ceccarelli Lemut e Stefano Perfetti considerano invece da diverse prospettive due ambiti in cui l’animale è esaminato, per così dire, in quanto tale e non in quanto simbolo, aprendo a mio avviso linee di ricerca promettenti. Nel primo si esaminano i modi in cui le fonti altomedievali trattano dell’allevamento del porco, della sua utilità e anche della sua rappresentazione come cosa, « res muta » (p. 105). Stefano Perfetti analizza invece la trasformazione della tradizione aristotelica nel Cinquecento per quanto riguarda l’osservazione e la classiicazione degli animali, e di quelli marini in particolare. Nel suo complesso, il testo ofre sicuramente una molteplicità di spunti di rilessione, anche se diversi contributi si limitano ad indicare una direzione di ricerca piuttosto che trattarla in maniera dettagliata, mentre altri saggi (ad esempio – ma non solo – quelli di Castelli, Perfetti e Prosdocimi) esulano dai limiti della semplice introduzione, fornendo una ricca varietà di particolari sui temi considerati. C. M. giostra 319 * Hanno collaborato alla redazione delle schede di « Giostra » del presente fascicolo : Simonetta Adorni Braccesi, Alessandro Arienzo, Candida Carella, Stefano Dall’Aglio, Valerio Del Nero, Rino Modonutti, Cecilia Muratori, Sandra Plastina, Tiziana Provvidera, Rafaella Santi, Michaela Valente.