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Il Dante reazionario di Sanguineti [1992]

Recensione del volume «Dante reazionario» di Edoardo Sanguineti (Editori Riuniti 1992)

Pietro Cataldi La strana pietà Schede sulla letteratura e la scuola Palumbo © Copyright by G.B. Palumbo & C. Editore S.p.A. - 1999 Proprietà letteraria dell’Editore Stampato in Italia Indice Premessa. Giustificazione di un percorso 9 1 Perché leggere Dante (oggi)? 15 2 Dante per pochi. Vita Nova di Gorni 25 3 A chi appartiene Dante? Per un commento della Commedia 31 4 Il Dante reazionario di Sanguineti 39 5 Percorsi dell’invenzione: Maria Corti e Dante 43 6 Il “mistero” di Guittone e il Canzoniere curato da Lino Leonardi 47 7 Folengo e la fantasia. Un saggio di Segre su «Strumenti critici» 49 8 L’opera in versi e in prosa di Sbarbaro 51 9 L’edizione critica della Cognizione del dolore di Gadda curata da Manzotti 55 10 La «strana pietà» dei montalisti 61 11 Il Diario postumo di Montale 69 12 Pasolini non è il fato 73 13 La natura e la civiltà. L’impianto leopardiano del Pianeta irritabile di Volponi 87 14 La poesia straniante di Leonetti tra Palla di filo e Le scritte sconfinate 91 15 Le scritte sconfinate di Leonetti 95 16 Sulle Lezioni americane di Calvino 99 17 L’olivo e l’olivastro di Consolo 103 18 Il domani di Ciabatti 107 6 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 Indice Niente di personale di Gianfranco Ciabatti Non solo oggi di Fortini Il “metodo” di Timpanaro Elogio della critica (per una ristampa di Luigi Russo) Quarant’anni di critica letteraria in un libro di Leone de Castris Eco e l’estetica della serialità Reagan, Eco e l’“intentio lectoris” La tradizione in Gadamer. Comprendere e persuadere Da Derrida a Saussure. Ritorno al futuro La retorica al servizio della linguistica Contro le riviste di poesia La cultura e la propaganda. Tatò e Bosetti La letteratura a dispense di Siciliano Il Dizionario della letteratura italiana del Novecento di Asor Rosa Complessità e illuminismo. La Storia di Ferroni Le Lettere a Belfagor di del Brica ricevute da Ferroni La «ricreazione» e la riforma della scuola. A proposito di un libro di Ferroni Scuola e mercato. L’insegnamento nel tempo del Postmoderno Elogio del difficile Commento e parafrasi Conversando con Levìfilo 111 115 119 143 147 151 163 169 175 179 183 189 191 199 205 211 215 225 229 233 249 Il marchio veramente decisivo del tradimento della propria classe è dato in Baudelaire […] dalla sua incompatibilità con i costumi del giornalismo. W. BENJAMIN 4. Il Dante reazionario di Sanguineti «Forse si può affermare che ogni grande tratto poetico riposa, per una sua naturale dialettica, in ultima istanza, sopra un paradosso». Così Sanguineti a p. 170 del suo Dante reazionario (Editori Riuniti, Roma 1992), che raccoglie sedici saggi danteschi composti tra il 1956 e il 1989 (tre dei quali, inediti). Volendo condividere la boutade, sarà però da estenderne di getto l’applicazione allo statuto della critica. E richiesto di un nome a conferma, non esiterei a esibire quello di Sanguineti medesimo. Né vi sarà studioso di Dante che leggendo — e per lo più rileggendo — i saggi di questo volume non vorrà ammettere l’utilità di molti, se non di tutti, i paradossi sanguinetiani. Bisognerà anche ammettere, però, la calcolata preterintenzionalità (se mi si passa l’ossimoro) di uno almeno di tali paradossi, quello schiettamente provocatorio (e insieme banalizzante) del titolo. A trovare ragione del quale, il paziente lettore deve attendere fino a p. 284, cinque prima dell’explicit: «un bel saggio su Dante reazionario rimane ancora da scrivere», con quel che segue. Parole datate 1965 (né meno vere oggi, nonostante il libro ora assemblato da Sanguineti con tanto impegnativo battesimo). Dove, naturalmente, non mi sfugge la natura antifrastica del referto nel coro di celebrazioni per il centenario, stante la sua utilizzazione in chiave critico-negativa a dispetto delle mitologie borghesi progressive, sul modello del Balzac marxiano, così da dedicare la fresca scheggiatura del “reazionario” a mordere l’ideologia del guadagno, concludendosi il miracolo economico, e ricorrendo al termine inconsueto, per un reazionario, di «utopia» (p. 285). Infine, il paradosso dei paradossi, per il Sanguineti critico, sta nell’unione di puntigliosa pertinenza filologica (al livello dei più 40 La strana pietà grandi dantisti dell’Accademia) e di attualizzazione oltranzista e all’occorenza apertamente strumentale. Con doppia coscienza storica: dell’oggetto-Dante e del presente della ricerca su esso. Quando l’azzardo riesce, ecco un Dante intero senza musei, vivo e “pericoloso” quanto le provocazioni del suo mallevadore. È il caso delle osservazioni sulla narratività dantesca, distribuite in molte pagine e già filo conduttore, con una rilettura del comico e altro, delle Interpretazioni di Malebolge (Olschki, Firenze 1961); ma soprattutto concentrate in «Le visioni della “Vita nuova”» (pp. 35-42), in «Dante, “praesens historicum”» (pp. 43-72) e, ovviamente, in «Il realismo di Dante» (pp. 273-289) — del 1965 il primo e il terzo saggio, del ’58 il secondo. Proposte come quelle di un Dante creatore della prosa moderna quale tendenza allo sliricamento (cfr. p. 42) — in un secolo come il nostro, perseguitato dalla prosa d’arte —, di una struttura, per la Commedia, sostanziata e inverata nella narratività (cfr. p. 46), di un Dante primo romanziere moderno (e inventore del «personaggio essenziale del roman bourgeois», «l’eroe problematico» (pp. 282 e 287) — sono fruibili in sede storico-critica almeno quanto propiziamente “scandalose” per malizia d’anacronismi. E puntualissime sono, d’altra parte, in margine al problema della narratività, le osservazioni su Dante-personaggio: fondato sullo «straniamento» di una «meditatissima retrodatazione prospettica» (in «Canzone sacra e canzone profana», 1980, a p. 160) — che è un altro bel modo per definire, volendo, lo statuto critico sanguinetiano. È pur vero, però, che quel che Sanguineti dà a Dante con una mano poi gli ritoglie — in un caso, almeno: però vitale — con l’altra. La definizione della narratività come struttura può d’un colpo “retrodatare” la Commedia, quando essa venga concepita come la rivelazione per exempla di un mera summa teologale (sostanziata di politica per sovrappiù di esemplarità). Sanguineti dichiara di adoperare il termine “struttura” «in modi assolutamente neutri» (p. 173 e passim), contro la condanna di Croce ovviamente e meno ovviamente contro la opposta pregiudiziale strutturalista. Come se dalla lezione di un Auerbach non fossero venute sufficienti aperture di una direzione radicalmente nuova (indagata poi, fra gli altri, da un Singleton). Ora, il nome di Auerbach non compare quasi mai nei saggi sanguinetiani prima dell’ultimo (lo trovo, salvo il vero, due sole volte, fuggevolmente). E quando finalmente compare è per contrapporre alla sua nozione di «figura», basilare nel poema dantesco, appunto il modello dell’exemplum (pp. 285-287); senza fare i conti con il fatto che quest’ultimo è un genere letterario, un’opzione retorica; e Il Dante reazionario di Sanguineti 41 il concetto di «figura», una gnoseologia (entro la quale quindi può trovare luogo l’exemplum; e non viceversa). La conseguenza è la sottovalutazione dell’allegoria dantesca, cioè la rimozione del bisogno tutto nuovo di mondanizzare la trascendenza, per così dire, ovvero di affrontare in termini radicalmente “civili” e politici le questioni decisive della esistenza (e della salvezza) umana: la teologia e la storia infine faccia a faccia, in opposizione al simbolismo trascendente del Medioevo prima del suo «autunno». E d’altra parte la stessa narratività (in senso anche specificamente moderno) non nasce forse proprio da questo bisogno di articolare tra coordinate mondane una teleologia (e una teologia)? Questioni non irrilevanti per una corretta valutazione del tema al quale il libro si intitola con troppa sbilanciata diagnosi e insoddisfacenti allegati di sintomi, o con parola meno impulsiva, della politicità di Dante. Saltando la mediazione decisiva dell’allegoria (e della funzione che hanno il concetto di «figura» e la concezione conseguente della struttura) si finisce, come fa Sanguineti, con l’aderire alla idea, non importa se frutto della autorevole penna di Barbi, che la Commedia sia stata concepita come una «rivelazione» e non come un poema allegorico (p. 69, 1958): con il che siamo — è vero — un passo avanti nella dimostrazione della natura reazionaria di Dante, ma, per una volta, un passo indietro nel reperimento della verità. 1992