FrAnco mottA
ePiStemoloGie cArdinAlizie.
iPoteSi, veritÀ, APoloGiA
1. il ritorno dell’epistemologia nella lunga storia della lettura dell’affaire Galilei risale a un secolo fa, ossia, com’è noto, al celebre Salvare le
apparenze, o Sózein tà fainòmena, di Pierre duhem, pubblicato nel 1908.
Prima di allora c’era stato un precedente, e cioè la discussione che si era
sviluppata all’interno della curia romana fra il 1754 e il 1757 in merito
alla riforma dell’indice voluta da Benedetto Xiv.
Alla metà del Settecento la materia, a roma, era ancora scottante: il
divieto di tenere ac defendere l’eliocentrismo, ossia di esporlo in forma non
ipotetica, era in vigore, e i nomi di copernico e Galilei, e con loro quelli di Kepler, Foscarini e zuñiga, continuavano a figurare all’indice. la
soluzione, dovuta a due docenti del collegio romano, Giuseppe Boscovich e Pietro lazzari, fu brillante. i progressi della scienza astronomica –
era la loro tesi – rispetto all’età di Galilei avevano fornito abbondanti
prove della reale costituzione del sistema cosmico; senza contare che l’eliocentrismo canonizzato da newton non poteva più dirsi contrario alla
lettera biblica, giacché il principio del moto relativo dei corpi svuotava
di significato l’idea stessa di un centro assoluto dell’universo, e la legge
di gravitazione universale individuava non nel sole, bensì in un punto
interno al sole, il comune centro di gravità dei corpi celesti1.
le apparenze, sul piano giuridico, erano salve: non sussisteva più la
causa formale dell’inconciliabilità del copernicanesimo con la Scrittura,
e dunque la proibizione di sostenerlo fu espunta dall’indice. vi restarono invece copernico, Galilei e gli altri autori condannati: ma questa era
faccenda che esulava dall’ambito delle scienze esatte e toccava la questione del peso dottrinale dei decreti del Sant’uffizio. Per superarla
occorsero altri settant’anni e una nuova, dura polemica interna alla
1 P.-n. Mayaud, La condamnation des livres coperniciens et sa révocation à la lumière de documents
inédits des Congrégations de l’Index et de l’Inquisition, roma, editrice Pontificia università Gregoriana, 1997, pp. 169 sgg.
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curia. il primo indice a non proibire alcun testo astronomico fu quello
di Gregorio Xvi del 18352.
nel suo saggio del 1908, duhem riprese la questione praticamente
negli stessi termini. la sua ricostruzione dell’idea di teoria fisica da Platone fino alle soglie della modernità si concludeva proprio con Galilei
e con una lucida analisi di tutte le ambiguità della sua lotta per il copernicanesimo. lo scienziato non era stato immune da errore, poiché fra il
1615 e il ‘16 aveva affidato la propria strategia alla convinzione che la
dimostrazione della falsità del sistema tolemaico, attraverso l’accumulo
di prove contrarie, fosse la migliore dimostrazione della verità di quello copernicano, mentre all’epoca esisteva almeno una terza soluzione,
quella di tycho Brahe, con la terra al centro e i pianeti a orbitare attorno al sole, che consentiva di salvare le apparenze celesti. A sostegno di
questa sua tesi ai limiti della provocazione duhem portava l’autorevole
parere del cardinale Bellarmino, espresso nell’aprile del 1615 in una lettera al carmelitano Paolo Antonio Foscarini, che era rimasta sconosciuta fino alla sua pubblicazione da parte di domenico Berti, nel 1876, fra
i documenti su Copernico e il sistema copernicano in Italia3.
il testo di Bellarmino, con la sua distinzione fra ipotesi e verità scientifica e con il suo richiamo alla cautela nell’interpretazione di alcuni versetti biblici secondo il moto della terra, introdusse un’importante
variante storica nell’interpretazione fino ad allora accreditata del caso
Galilei. la tradizionale immagine dello scontro frontale tra conservazione e modernità andava sfumata e ridiscussa; non era più lecito parlare sic
et simpliciter di chiusura pregiudiziale dell’ortodossia romana verso la
nuova scienza. la chiesa, insomma, aveva avuto le sue ragioni.
Bellarmino riusciva a svolgere egregiamente la propria missione di
difensore a oltranza della fede anche a tre secoli dalla morte e, nel corso
della storia novecentesca dell’affaire galileiano, la chiesa non ha esitato
a ricorrere a piene mani al suo aiuto per evidenziare come errori e
ambiguità stessero da entrambe le parti, e come in fondo non si fosse
trattato che di un secolare malinteso a ostacolare il riconoscimento della
fondamentale armonia di scienza e fede: così padre Gemelli nel 1942,
padre Selvaggi nel 1968 e più recentemente, seppure con maggiori
distinguo, richard Blackwell4. Fino alla canonizzazione di questa
2 la derubricazione dall’indice degli autori copernicani fu la conseguenza del dibattito tutto
interno alla curia romana – e tutto giocato in punta di argomentazioni giuridiche sulla cogenza delle determinazioni del Sant’uffizio – che si sviluppò fra il 1820 e il ‘22 a seguito della proibizione del manuale astronomico di Giuseppe Settele da parte del maestro di Sacro palazzo
Filippo Anfossi. Sulla vicenda, ibidem, pp. 235 sgg., e Giuseppe Settele, il suo diario e la questione
galileiana, a cura di P. maffei, Foligno, edizioni dell’Arquata, 1987.
3 P. Duhem, Sauver les apparences. Sózein tà fainòmena. Essai sur la notion de théorie physique de
Platon à Galilée (1908), ora nell’ediz. Paris, vrin, 2003, pp. 144 sgg.
4 F. Selvaggi, La responsabilità del Bellarmino nella condanna di Galileo, «Giornale di metafisica», XXiii (1968), 2-3, pp. 219-245; r. J. Blackwell, Galileo, Bellarmine, and the Bible, notre
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nuova volontà di concordia da parte di Giovanni Paolo ii, nel 1992, in
occasione della chiusura dei lavori della commissione vaticana di studi
sulla questione galileiana5.
Galilei, dichiarava il pontefice, «rifiutò il suggerimento che gli era
stato dato di presentare il sistema di copernico come un’ipotesi, finché
non fosse confermato da prove inconfutabili. eppure si trattava di una esigenza del metodo sperimentale, del quale egli fu il geniale iniziatore»6. il
presidente della commissione, il cardinale Poupard, confermava:
Bellarmino […] enuncia il principio decisivo per la lettura della Sacra Scrittura, fondato sul riconoscimento pieno, incondizionato della ragione e della
scienza acquisita dagli uomini […]. i teologi vengono apertamente invitati a
rivedere le loro interpretazioni dei testi biblici che sono apparentemente in
contrasto con le nuove teorie copernicane, sì da non considerare come false
quelle opinioni la cui verità fosse stata scientificamente dimostrata […]. in
questa breve, limpida, rigorosa affermazione ermeneutica è detto tutto. Galileo esprime in sostanza la stessa cosa nella sua lunga e complessa lettera a cristina di lorena7.
doverosa è, al proposito, l’elementare osservazione di Annibale Fantoli: «Se Bellarmino fosse stato realmente convinto della possibilità di
una futura prova del copernicanesimo, avrebbe dovuto suggerire a
Paolo v di non precipitare una decisione che di fatto escludeva quella
possibilità»8.
2. il cardinale Bellarmino scrisse migliaia di pagine a difesa dell’autorità della chiesa romana. ma il suo testo più citato e riprodotto resta
quella lettera in tre capoversi indirizzata al padre Foscarini, in risposta a
un libretto in cui il carmelitano calabrese avanzava un’esegesi eliocendame-london, university of notre dame Press, 1991. Sulle tesi di Agostino Gemelli, cfr. m.
A. Finocchiaro, Retrying Galileo, 1633-1992, Berkeley-los Angeles - london, university of
california Press, 2005, pp. 275 sgg.
5 Sulla commissione istituita da Giovanni Paolo ii, cfr. m. Artigas – m. Sánchez de Toca,
Galileo e il Vaticano. Storia della Pontificia commissione di studio sul caso Galileo, 1981-1992, trad. ital.
venezia, marcianum Press, 2009, versione dall’originale. Galileo y el Vaticano. Historia de la Comisión pontificia de estudio del caso Galileo, madrid, Biblioteca de Autores cristianos, 2008.
6 Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 31 ottobre 1992, qui in
La nuova immagine del mondo. Il dialogo tra scienza e fede dopo Galileo, a cura di Paul Poupard, casale monferrato, Piemme, 1996, trad. ital. dall’orig. Après Galilée. Science et foi: nouveau dialogue,
Paris, desclée de Brouwer, 1994, pp. 23-34 (27).
7 P. Poupard, Introduzione, ibidem, pp. 5-12 (6). una critica alle sue posizioni è avanzata da
A. Fantoli, Galileo e la Chiesa cattolica. Considerazioni critiche sulla «chiusura» della questione galileiana, in Largo campo di filosofare. Eurosymposium Galileo 2001, a cura di José montesinos e carlos Solís, la orotava, Fundación canaria orotava de Historia de la ciencia, 2001, pp. 733-750,
e da Finocchiaro, Retrying Galileo, pp. 350 sgg., che tuttavia, rispetto a esse, individua un’implicita presa di distanza da parte di Wojtyła.
8 Galileo e la Chiesa cattolica, p. 738.
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trica di numerosi passi scritturali, in cui esplicitamente si menzionavano
il moto del sole e la stabilità della terra. il testo ha ricevuto una tale
attenzione storiografica da fondare una sorta di sottogenere nella storia
della questione galileiana: l’ermeneutica dell’ermeneutica di Bellarmino. Per questo mi limito a richiamarne i punti centrali, che sono: 1) è
lecito sostenere in termini ipotetici ma non realisticamente l’eliocentrismo di copernico, perché la realtà di questo determinerebbe la falsità
della Scrittura; 2) un’esegesi scritturale concordata con l’astronomia
copernicana è contraria alla tradizione recepita nella chiesa, e dunque
è inammissibile; 3) non vale sostenere che la costituzione del cosmo
non è materia di fede perché ogni affermazione della Scrittura, anche
secondo il suo senso letterale, è materia di fede; 4) è assai dubbio che si
possa raggiungere alcuna dimostrazione – leggi: dimostrazione fisica –
della stabilità del sole e del moto della terra, e nei casi dubbi è l’autorità della tradizione a fare premio.
Al momento di stendere la sua lettera, il cardinale gesuita ha sul tavolo di lavoro due testi: la Lettera sopra l’opinione de’ pitagorici, e del Copernico di Foscarini, fresca di stampa, e una copia della lettera di Galilei a
Benedetto castelli del dicembre 1613, forse nella versione consegnata
alla congregazione dell’indice da niccolò lorini o, più probabilmente, in quella rivista da Galileo e da lui trasmessa a monsignor dini perché la recapitasse a Bellarmino e al padre Grienberger9.
il cardinale, come sappiamo, non è digiuno di astronomia: due studi
assai dettagliati di ugo Baldini hanno tracciato un profilo esaustivo della
sua formazione e delle sue attitudini nei confronti delle discipline matematiche10. i suoi interessi lo hanno anche messo al corrente, con una
certa precisione, delle novità celesti annunciate da Galilei: nell’aprile
1611 ha scritto ai matematici del collegio romano per avere il loro
parere sulla natura stellare della via lattea, sulla figura di Saturno, sulle
mutazioni di venere, sui satelliti di Giove e sulla superficie della luna,
che lui stesso ha avuto modo di osservare con il «cannone overo ochiale». e i matematici della compagnia, christoph clavius in testa, gli
hanno risposto confermando di massima la realtà di quei fenomeni, con
due eccezioni: la composizione della via lattea, che «si può congetturare probabilmente» sia un aggregato stellare, e la superficie non unifor9 Questa seconda tesi è sostenuta persuasivamente da m. Pesce, Una nuova versione della lettera di G. Galilei a B. Castelli, «nouvelles de la république des lettres», Xi (1991), pp. 89-122,
e Le redazioni originali della lettera “copernicana” di G. Galilei a B. Castelli, «Filologia e critica»,
Xvii (1992), pp. 394-417, ora in Id., L’ermeneutica biblica di Galileo e le due strade della teologia
cristiana, roma, edizioni di Storia e letteratura, 2005.
10 u. Baldini, L’astronomia del cardinale, qui in Id., Legem impone subactis. Studi su filosofia e
scienza dei gesuiti in Italia, 1540-1632, roma, Bulzoni, 1992, pp. 286-303 (orig. L’astronomia del
cardinale Bellarmino, 1984) e Bellarmino tra vecchia e nuova scienza, pp. 305-341 (orig. Bellarmino tra
vecchia e nuova scienza: epistemologia, cosmologia, fisica, 1990).
epistemologie cardinalizie. ipotesi, verità, apologia
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me della luna, sulla quale non nutrono «tanta certezza» da poterlo «affermare indubitamente»11. molto probabilmente l’idea di un progresso
indefinito delle scienze e della perfettibilità degli strumenti osservativi
era estranea al cardinale, se pure poteva non esserlo a clavius e Grienberger, e perciò quanto poteva essere dato per acquisito era che alcuni
fenomeni erano osservabili, e quindi reali, altri solo intuibili, e quindi
congetturali.
le lettere di Foscarini e di Galilei, che Bellarmino ha davanti a sé,
parlano però anche, e soprattutto, di altro. non tanto delle caratteristiche dei fenomeni astronomici, quanto della realtà della dinamica che ne
è sottesa, ossia del sistema fondato sulla centralità del sole. Quello che
Foscarini e Galilei chiedono indirettamente a Bellarmino è di convalidare la verità del copernicanesimo con la massima nota di approvazione che possa essere pretesa da un teologo, la dichiarazione di conformità alle fonti della fede. la lettera a castelli e il trattato di Foscarini sono
impregnati di due concetti: verità ed errore. «Se bene la Scrittura non
può errare – scrive Galilei –, potrebbe nondimeno talvolta errare alcuno de’ suoi interpreti ed espositori»; di nuovo, è «convenuto nelle Scritture, per accomodarsi all’intendimento dell’universale, dir molte cose
diverse, in aspetto e quanto al significato delle parole, dal vero assoluto»; e ancora, la Bibbia pronuncia «cose tali, che, dette e portate con
verità nuda e scoperta, avrebbon più presto danneggiata l’intenzion primaria»12. Quanto al libretto di Foscarini, le espressioni «vero», «reale»,
«probabile», «verisimile», «realtà del fatto» si succedono in ogni pagina:
o questa opinione de’ pittagorici è vera, o no – scrive il carmelitano –; se non
è vera non è degna, che se ne parli, né che si metta in campo: se è vera, poco
importa, che contradica a tutti i filosofi, e gli astrologi del mondo […]. Quello che appartiene alle Scritture sacre, né anco gli nuocerà, percioché una verità non è contraria all’altra; se dunque è vera l’opinione pittagorica, senza dubbio iddio avrà talmente dettate le parole della Scrittura sacra, che possano ricevere senso accommodo a quell’opinione, e conciliamento con essa13.
3. l’idea di una verità naturale direttamente attingibile dalla ragione,
quello che in termini epistemologici è definito realismo, costituisce una
delle linee guida dello sviluppo delle scienze profane nel Xvi secolo.
Alla realtà del sistema eliocentrico si appellano Pietro ramo e Giordano Bruno, oltre che, naturalmente, Kepler e Galilei, contro il dispositi11 Le opere di Galileo Galilei. Edizione nazionale, a cura di Antonio Favaro, Firenze. Barbèra,
1890-1907 (d’ora in avanti, oG), vol. Xi, rispettivamente pp. 87-88 e 92-93.
12 Lettera a D. Benedetto Castelli, oG, vol. v, pp. 281-288 (282-283).
13 Lettera sopra l’opinione de’ pitagorici, e del Copernico della mobilità del terra e stabilità del sole, e
del nuovo pittagorico sistema del mondo, qui nell’ediz. a cura di Paolo Ponzio, in appendice a t.
Campanella, Apologia per Galileo, milano, rusconi, 1997, pp. 201-237 (206).
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vo precauzionale della famosa prefazione di Andreas osiander al De
revolutionibus orbium caelestium, che raccomandava di leggere solo in via
ipotetica, come strumento di calcolo, le conclusioni di copernico. il
più devoto allievo di quest’ultimo, Georg Joachim rheticus, appena
ricevute le copie del volume aveva già cancellato a penna quella prefazione anonima, ritenendola uno sfregio alla memoria del maestro14. lo
stesso si potrebbe dire di altre discipline: l’anatomia, ad esempio, in cui
lentamente, nella prima metà del cinquecento e compiutamente con il
De humani corporis fabrica di Andrea vesalio (1543, medesimo anno del
De revolutionibus), si abbandona il paradigma di Galeno attraverso l’osservazione diretta del cadavere abbandonando l’ausilio dei testi canonici di Avicenna e di mondino dei liuzzi15; o la cartografia, con il grande mappamondo di mercatore del 1569, che attraverso l’applicazione
del metodo matematico intende conservare nella figurazione delle terre
emerse le esatte proporzioni che esse hanno nel globo. la cosiddetta
quaestio de certitudine mathematicarum, la polemica che oppone astronomi
e fisici tra Xvi e Xvii secolo in merito allo statuto scientifico della
matematica, si fa strada persino nei corridoi del collegio romano, con
il padre clavio a perorare la capacità del metodo matematico di raggiungere conclusioni reali nell’ambito della filosofia naturale. e, in
fondo, la stessa opera di machiavelli era stata anche una puntuale descrizione dei reali meccanismi del potere, volta a stabilire l’efficace governo della repubblica.
il punto è che il cardinale Bellarmino è, per così dire, un ‘esperto di
verità’, anzi il massimo ‘esperto di verità’ a disposizione della chiesa
romana. tutta la sua vita intellettuale è stata spesa a dimostrare la verità della fede cattolica attraverso il metodo della teologia controversista:
confutare gli errori, persuadere la coscienza della verità ultima della tradizione e, quindi, dell’autorità inappellabile della Sede apostolica.
Quanto alla filosofia naturale, Bellarmino non mostra alcun problema a riconoscere che essa possa raggiungere uno statuto veritativo: «È
certo – aveva insegnato nei suoi corsi di commento alla Summa di tommaso, a lovanio, nel 1572 – che il vero senso della Scrittura non è in
contrasto con nessun’altra verità, sia essa filosofica o astronomica». e
appena prima, a proposito delle apparenze delle traiettorie dei corpi
celesti, specificava che «alcuni le spiegano con il moto della terra e la
quiete di tutte le stelle, altri con alcune invenzioni [figmenta] come gli
epicicli e gli eccentrici, altri con il moto autonomo degli astri; quanto
14 o. Gingerich, From Copernicus to Kepler: Heliocentrism as Model and as Reality, «Proceedings of the American Philosophical Society», cXvii (1973), 6, pp. 513-522 (514).
15 A. Carlino, La fabbrica del corpo. Libri e dissezione nel Rinascimento, torino, einaudi, 1994,
pp. 230 sgg.
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a noi, possiamo scegliere quello che ci sembra più conforme alle Scritture sacre»16.
la specificità della cosmologia copernicana risiede tuttavia nel fatto
di investire un settore nel quale la verità della natura e la verità della
Scrittura si sovrappongono, sostenendo princìpi contraddittori. e quando è la verità della Scrittura e della tradizione a essere in gioco non c’è
dubbio, dal punto di vista del cardinale, che debba essere la verità del
teologo ad avere la parola conclusiva su quella del filosofo.
l’esito della procedura di inchiesta sul copernicanesimo è, a questo
proposito, lineare: non è condannato il copernicanesimo in quanto teoria astronomica, ma in quanto verità. i due elementi definitori del sistema eliocentrico, la centralità del sole nel cosmo e il moto della terra,
sono esaminati dai consultori del Sant’uffizio come propositiones, proposizioni, e in quanto tali condannati. Secondo la metodologia dialettica
che costituisce la strumentazione di base dei teologi delle scuole, la proposizione è la prima parte del sillogismo: «la proposizione è ciò attraverso cui mostriamo sinteticamente in cosa consiste ciò che vogliamo
provare»; «la proposizione è ciò attraverso cui viene brevemente esposto quel luogo dal quale è necessario emani tutta la forza della ragione»:
così, empiricamente, le definizioni rinvenibili sul Lexicon di Forcellini,
tratte da Quintiliano e dalla Rhetorica ad Herennium, testi fondamentali
nella formazione dei teologi degli ordini regolari. la proposizione, in
altri termini, è forma di espressione della realtà, non dell’ipotesi.
delle due propositiones censurandae, non a caso, la prima, «il sole è il
centro del mondo, e del tutto immobile di moto locale» è definita «stulta et absurda in philosophia et formaliter haeretica»; la seconda, «la terra
non è il centro del mondo né è immobile, ma si muove secondo sé
tutta, anche di moto diurno», merita la stessa censura in filosofia, ossia
quella di stoltezza e assurdità, e «rispetto alla verità teologica», è definita almeno «erronea in fide»: non eretica, poiché è la centralità del sole
a costituire il dato identificativo fondamentale della verità copernicana,
mentre il moto della terra ne rappresenta, per così dire, la conseguenza
per accidens, volta, appunto, a salvare le apparenze.
negli stessi giorni della risposta di Bellarmino a Foscarini, del resto,
monsignor dini aveva espressamente avvertito Galilei che «si possa scrivere come matematico e per ragion d’ipotesi, come voglion che habbia
16 «idcirco dum inter astrologos durat lis, sicut vero adhuc durat de modo explicandi huiusmodi apparentias. nam alii explicant per motum terrae, et quietem omnium stellarum, alii per
quaedam figmenta epyciclorum [sic], et eccentricorum; alii per motum syderum a se ipsis: possumus nos eligere id quod videtur Scripturis sanctis conformius. […]. certum enim est verum
sensum Scripturae cum nulla alia veritate sive philosophica, sive astrologica pugnare»: cfr. The
Louvain Lectures (lectiones lovanienses) of Bellarmine and the Autograph Copy of his 1616 Declaration to Galileo, a cura di ugo Baldini e George v. coyne, città del vaticano, Specola vaticana, 1984 («vatican observatory Publications - Studi Galileiani», i/2), p. 21.
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fatto il copernico: il che se bene non si concede da’ suoi seguaci, basta
a gli altri che l’effetto medesimo ne risulta, cioè del lasciare scrivere
liberamente, purché non s’entri, come s’è altre volte detto, in sagrestia»17. «entrare in sagrestia», ruvida metafora per intendere che la verità, quando si tratta di fede, è riservata ai teologi, e a nessun altro.
4. È stato a lungo dibattuto, e ancora lo è, se l’ipoteticismo di Bellarmino, il suo paterno consiglio di «contentarsi di parlare ex suppositione e non assolutamente», discenda dalla filiera dello strumentalismo
medioevale, ossia dell’ipoteticismo ‘tecnico’ che riconosceva lo iato
incolmabile tra i princìpi della fisica di Aristotele e le osservazioni astronomiche sul moto irregolare dei pianeti, oppure da quella dello scetticismo di matrice sapienziale e neoplatonica, che si nutriva di una sostanziale sfiducia nelle capacità gnoseologiche della ragione umana e informava probabilmente la prefazione di osiander, figlia, non a caso, del
pessimismo antropologico agostiniano e luterano.
Personalmente, data la formazione scolastica di Bellarmino, propendo per la prima ipotesi: soprattutto in ragione di un passo spesso trascurato della lettera a Foscarini, quello in cui è ricordato «che chi si parte
dal litto, se bene gli pare che il litto si parta da lui, nondimeno conosce
che questo è errore e lo corregge, vedendo chiaramente che la nave si
muove e non il litto», una considerazione che sembra rinviare ai presupposti fenomenistici della fisica aristotelica.
tuttavia il punto è un altro. la ragion d’essere del cardinale Bellarmino, come degli altri teologi della controriforma, sta nella difesa della
verità della chiesa cattolica. la quale ha come scopo ultimo la salvezza
dell’anima del cristiano, una salvezza che si realizza attraverso l’assenso
interiore agli articoli di fede presentati dalla tradizione. Conoscere la verità, in questo caso, corrisponde a credere la verità, ossia a compiere un atto
che implica sì la ragione – è questo lo scopo della teologia controversista: persuadere delle ragioni dell’autorità della chiesa romana –, ma
anche, in prima istanza, la volontà. in questa prospettiva il rapporto dialettico fra verità e ipotesi si gioca su un piano diverso da quello della
filosofia naturale, e cioè sul piano della coscienza.
il fedele, per la salvezza della propria anima, ha il dovere di credere
in conscientia alle determinazioni dei concìli e della Sede apostolica.
non importano, in questo senso, le evidenze e il metodo sperimentale,
poiché la questione si gioca sul piano morale, e non su quello conoscitivo. È questa, io credo, la scelta della chiesa romana nella prima metà
del Seicento: scindere radicalmente le due verità e spendere tutto il proprio peso nella conservazione del vincolo che lega interiormente il
17
Piero dini a Galilei, 2 maggio 1615, oG, vol. Xii, p. 175.
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fedele alle determinazioni della chiesa. Per questo il testo della condanna e dell’abiura di Galilei sarà riprodotto nei trattati fisico-matematici
dell’epoca, primo fra tutti l’Almagestum novum del padre riccioli: la
definizione dottrinale della chiesa impone una verità, e le altre, a scapito del montare delle prove a favore, possono essere rubricate a mera
ipotesi, perché non alla ragione, ma alla coscienza in primo luogo si
rivolge il magistero.
Giova ricordare che una situazione non dissimile è quella che, negli
stessi anni delle vicende di Galilei, vivono i cattolici inglesi: tenuti a credere in conscientia alla superiore autorità spirituale del pontefice e al suo
potere di deporre i sovrani eretici, anche contro l’evidenza, anche in un
contesto in cui assistere alla messa cattolica comporta il carcere e il re
d’inghilterra, capo supremo della chiesa nazionale, non tiene in conto
alcuno le determinazioni della Sede apostolica.