a cura di
Fausto Giovannardi
1
Quelli tra noi che non espongono volentieri
le proprie idee al rischio della confutazione
non prendono parte al gioco della scienza.
Karl Popper
L’ideazione non è che il mezzo per raggiungere il
fine, il quale consiste tutto nella realizzazione: chi
si abitui alla prima, senza il conforto e il freno
della seconda, finisce col considerare il mezzo
come fine, e quindi con lo snaturare le proprie
facoltà creative, invece di affinarle.
Se costruire significa operare nella realtà, e se la
realtà è, come ogni giorno ci appare dalle
esperienze fisiche, estremamente complessa e
concatenata, mentre la scienza per la povertà dei
suoi strumenti è costretta a procedere a furia di
limitazioni e di semplificazioni , lasciando fra se e
la realtà un abisso, bisogna pure che l’ingegnere
trovi nel suo spirito una forza che lo animi a
varcare in qualche modo quell’abisso, perché la
sua opera sorga sicura e prenda tra le altre il suo
posto con dignità di forma e di sostanza.
Arturo Danusso, Pensieri introduttivi
Scienza delle Costruzioni
Tamburini Editore 1946
La vita (1880-1968)
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Arturo Danusso nasce il 9 settembre 1880 a
Priocca d'Alba (CN) da Ferdinando e Paolina
Dotta. Trascorre i primi anni a Genova, dove suo
padre insegna matematica e fisica in un istituto
tecnico. A quattro anni rimane orfano e con la
madre, donna di non comune intelligenza e di
forte volontà, ed il fratellino Ernesto, di appena un
anno, si trasferiscono inizialmente in casa del
2
nonno paterno a Priocca, per poi andare ad
abitare a Torino. Qui Paolina, profondamente
religiosa, fa riferimento al parroco di S.Pietro e
Paolo, Mons. Spandre, al quale è stata presentata
dal parroco di Priocca. Arturo frequenta la scuola
elementare gratuita, presso i Fratelli delle Scuole
Cristiane.
Nel 1886 un’altra tragedia in famiglia, Ernesto si
ammala di difterite e poco dopo muore. Anche
Arturo si ammala di pertosse e perde un anno di
scuola.
Non essendo di famiglia agiata, l’infanzia di Arturo
sarà fortemente segnata dalle ristrettezze
3
economiche ed il suo carattere ne rimarrà
1
2
3
Anche AD nel seguito.
Matteo Danusso, geometra.
Unico reddito di Paolina era la pensione di reversibilità di
Ferdinando ed una piccola rendita ereditaria.
segnato in maniera indelebile, nella figura
ascetica e nella profonda religiosità.
Con l’aiuto di Mons. Spandre, Paolina si
trasferisce in un appartamento in via Baretti 36,
vicino alla Scuola degli ingegneri del Valentino,
dove prende a pensione studenti, che lo stesso
prelato le raccomanda. L’ambiente casalingo si
anima ed il giovane Arturo ne ricava stimolo e
giovamento. Tra i pensionanti anche un giovane
4
sardo, Giovanni Antonio Porcheddu(1860-1937) ,
a Torino inizialmente con una borsa di studio, che
rimarrà a pensione anche dopo scaduta la borsa
con la promessa di pagare in futuro, dopo aver
cominciato a lavorare. Nell’appartamento di fronte
abita una giovane vedova, la veneziana Elvira
Mazzaro, con i figli Beppi e Dina (Alessandra). Le
due donne ed i figli diventano ben presto amici, ed
una volta alla settimana le famiglie trascorrono
una serata insieme a chiacchierare ed a giocare a
tombola.
4
Giovanni Antonio Porcheddu nacque in Sardegna, ad Ittiri il 26
giugno 1860. Figlio di un muratore, rimase presto orfano, e si
trasferì a Sassari, dove lavorò come operaio alla costruzione del
Palazzo del Consiglio Provinciale . Nelle ore libere si impegnò nello
studio e si diplomò alla Scuola Tecnica Superiore, sezione di Fisica e
Matematica. Ottenne dalla Provincia una borsa di studio per la
frequenza del biennio di Ingegneria a di Pisa; di qui passò a Torino,
dove frequentò la Scuola di Applicazione per Ingegneri,
conseguendo la laurea in Ingegneria Civile nel 1890, a trent’anni.
L’anno dopo si laureò Ingegnere Elettrotecnico. Rientrato in
Sardegna, gli fu prospettato un impiego nell’Amministrazione delle
Miniere, per il quale però occorreva la laurea in Ingegneria
Industriale. Porcheddu non esitò a tornare a Torino ed in un anno
ottenne la sua terza laurea. Lo stesso anno sposò Amalia Dainesi,
dalla quale ebbe sette figli. Si stabilì a Torino dove aprì uno studio
tecnico con un socio. Ben presto intuì le possibilità offerte dal
nascente sviluppo della tecnica del cemento armato, sperimentata e
brevettata nell’ultimo decennio del 1800 dal geniale costruttore di
origine belga François Hennebique e nel 1896, nonostante il parere
contrario di parenti, amici e colleghi, ne prese la rappresentanza
esclusiva per l’Alta Italia. I risultati non si fecero attendere, e nel giro
di pochi anni la sua società divenne la più importante impresa del
settore operando non solo a Torino e Genova, ma anche nel resto
d’Italia. Tanti successi in opere variamente diversificate (edilizia
abitativa pubblica e privata, edilizia industriale, edilizia di servizio e
viaria: ponti e viadotti), gli valsero un’altissima fama e un’infinità di
riconoscimenti, fra i quali il diploma di Cavaliere al Merito del Lavoro
nel 1914. La Società contava, oltre quella principale, numerose altre
sedi filiali, parecchie decine di ingegneri e tecnici e una fitta rete di
agenti e rappresentanti sparsi per tutta la penisola. Comprendeva
due settori distinti ma strettamente collegati: quello della
progettazione e quello della messa in opera. In un primo momento,
secondo i termini della concessione, la Sociètè Hennebique
collaborò alla formulazione dei progetti e al calcolo delle strutture in
ferro; ma successivamente, col progredire e l’affermarsi
dell’impresa torinese, questa assorbì tutte le competenze
progettuali ed esecutive. Dell’attività costruttiva della Società
Porcheddu due opere, almeno, meritano di essere qui
sommariamente descritte per la loro importanza ed esemplarità: la
ricostruzione integrale del famoso campanile di Piazza San Marco a
Venezia, crollato improvvisamente nel 1902 per cedimento delle
fondazioni, e il ponte sul Tevere a Roma detto comunemente Ponte
Risorgimento. Porcheddu morì a Torino il 17 ottobre 1937.
2
Nel frattempo Arturo frequenta il ginnasio ed il
liceo presso l’Istituto Sociale dei Padri Gesuiti,
accolto gratuitamente come semiconvittore. Suoi
compagni sono giovani della buona società di
Torino, che talora lo umiliano, in particolare per i
suoi vestiti confezionati in casa dalla madre. Ciò
tuttavia non compromette il profitto di Arturo che
per gli ottimi risultati ottiene una borsa di studio
5
del Collegio della Provincia , grazie alla quale può
iscriversi alla Scuola d’applicazione per gli
Ingegneri di Torino e frequentare prima il biennio
presso l’Università coi matematici, poi la Scuola di
Applicazione al Castello del Valentino.
E’ uno studente modello, tanto da ricevere alla
6
fine di ogni anno £. 300 come premio (lascito
Bernardi), risultando sempre primo del suo corso.
Nel frattempo Antonio Porcheddu, che ha dato
inizio con molta difficoltà ad una impresa di
5
Carlo Alberto aveva istituito il Collegio delle Provincie per i nati
negli antichi Stati Sardi (Piemonte, Liguria, Sardegna), poi il Collegio
si era trasformato in una borsa di studio di £. 70 mensili per dieci
mesi all’anno. Per ottenerla bisognava aver superato la licenza
liceale con la media del 7 e presentarsi nella sede dell’Università ad
un bis dell’esame di licenza, aggravato da altre prove scritte di fisica,
matematica, filosofia, e dal componimento latino. I posto per tutti
gli anni universitari erano 100. Arturo (AD nel seguito) riesce 3° su
80. Per mantenere il posto al Collegio delle Provincie bisognava dare
tutti gli esami a luglio, avere la media del 27 e nessun voto inferiore
al 24. AD riesce a meritare la borsa di studio per tutto il corso
universitario.
6
Accumulando questi premi, alla fine degli studi si troverà in tasca
£. 900, che utilizzerà per andare in Germania.
“costruzioni di cemento armato” (una novità per
allora) ha accettato di divenire licenziatario
italiano del brevetto Hennebique, per la nuova
tecnologia costruttiva del cemento armato. Nel
pagare finalmente i debiti a Paolina, promette di
assumere Arturo quando sarà laureato. Ma poco
prima
che
Arturo
si
laurei,
rimane
improvvisamente vedovo, per la morte della
moglie sotto parto, con una neonata ed altri sei
figli. Disperato chiede a Paolina di assumersi la
direzione della casa.
Il 29 agosto 1902, a soli 22 anni, Arturo si laurea
con lode in ingegneria civile e riceve subito dal
suo professore Camillo Guidi (1853-1941), la
proposta di diventargli assistente, ma l’offerta non
è accettabile, perché lo stipendio annuo è troppo
basso ed insufficiente per le condizioni di Arturo.
Proposta che con vivo dispiacere non può
accettare, convinto com’è di dover iniziare a
guadagnare, per non essere più di peso alla
madre.
Nello stesso giorno deve porgere le condoglianze
a Porcheddu: durante la visita, però, nessun
cenno viene fatto sul futuro promesso impiego.
Intanto i Danusso sono in crisi con i pensionanti
che diminuiscono e si decidono un po’ a
malincuore ad aderire al desiderio di Porcheddu,
più volte espresso, andando ad abitare da lui.
Con i soldi dei premi faticosamente risparmiati, e
stimolato dalla madre, intraprende un lungo
viaggio all’estero, con un soggiorno a Koblenz,
7
dove perfeziona il tedesco , che aveva imparato
da autodidatta, con l’aiuto di Padre Briccarelli, suo
professore di liceo.
In autunno rientra a Torino, dove la mamma, suo
malgrado, alloggia ancora in casa di Porcheddu;
quest’ultimo, in occasione del Natale, propone ad
Arturo di assumerlo e Arturo entra nell’ufficio
tecnico di Porcheddu, ma ha la sensazione di
essere stato assunto solo per dovere. Nel
frattempo si fidanza con Dina, alle condizioni
dettate dalle madri: i fidanzati non dovranno mai
uscire da soli e potranno sposarsi solo quando lo
stipendio di Arturo, sarà in grado di mantenerli.
Nel lavoro Arturo, non si sente a suo agio e pensa
ad una diversa sistemazione. Alla prima
occasione che gli si presenta -un concorso
bandito dalle Ferrovie Meridionali- partecipa e
vince. Destinato a Benevento, inizia il lavoro
partendo dalla gavetta, con le funzioni più umili,
come quella di persuadere i viaggiatori che
pretendono di discutere il prezzo del biglietto.
Ricorderà con piacere l’incarico ricevuto dalla
direzione, ”di indagare sulla rottura di una
damigiana di liquore (la strega di Benevento) ed il
successo avuto dalla sua dimostrazione che la
rottura era da ascrivere non a cattivo trattamento
da parte del personale, ma all’esistenza di uno
7
ed in cui stringe un forte legame culturale, che rimarrà inalterato
anche quando l’Italia entra in guerra contro la Germania
3
stato di coazione interna per difetto di
8
costruzione .
Pensa di portare anche la mamma a Benevento,
ma in occasione di un ritorno a Torino, Giovanni
Antonio Porcheddu lo accoglie con una cordialità
nuova, e gli mostra le novità nella sede
dell’impresa facendogli capire che gradirebbe il
suo ritorno all’ufficio studi e progetti. Arturo gli
manifesta i motivi che lo avevano portato ad
allontanarsi, ed i due ingegneri si chiariscono
definitivamente.
Per il giovane Danusso inizia una eccezionale
esperienza pratica e teorica, che testimonierà con
numerosi articoli sulla rivista "Il Cemento", fondata
dal dott. Morbelli, figlio di cementieri, chimico
sperimentale dell’impresa Porcheddu, di cui sarà
9
costante collaboratore . Durante questi anni ha
spesso contatti con il prof. Camillo Guidi, che lo
segue con simpatia, interessandosi alle prime
applicazioni del cemento armato, che ancora non
ha una sua teoria scientifica.
“Si ebbe allora un periodo di eccezionale attività:
ottimi ingegneri, fra loro cordialmente affiatati, vi
collaborarono, inserendo nella feconda corrente di
pensiero le loro particolari fisionomie di studiosi e
di progettisti. L’ingegnere Porcheddu, occupato
nella direzione generale di quella che era oramai
diventata una grande impresa,…,scelti con cura i
propri collaboratori lasciava loro libertà d’azione…
Così quello studio fu, per tutti noi che vi
passammo fervidamente parecchi anni, una
scuola di rara efficacia, in un tempo in cui la teoria
diceva ben poco in confronto di quello che la
10
pratica aveva osato con felice arditezza.”
Egli sente il contrasto tra l’educazione teorica
ricevuta durante la scuola e le attuazioni pratiche
del non ingegnere Hennebique, che costruisce
basandosi prevalentemente sull’intuito, e le cui
opere precedono di molto la scienza, che invece
le reputa insicure. Da qui nasce il suo impegno
nel “rivedere la teoria alla luce della pratica per
giustificare le ragioni che Hennebique attua senza
darne ragione.”
La cultura umanista ed i valori spirituali di cui è
intriso trovano sbocco anche in poesie che Arturo
custodirà gelosamente per i suoi cari. Con questi
versi, ad esempio, si apre un suo lungo poema
dedicato a Dina prima del matrimonio (Torino 20
maggio 1904):
O dolci ore che foste, o giorni miei forieri
Or d’affanni impensati, or di più liete
Speranze, ritornate! – La mia mente
L’ampia fiumana dei pensier seconda.
E rapida s’affonda
Nel mar delle memorie.
Nel 1906 si sposa con Dina (28 agosto 1883 –6
ottobre 1967), e dal matrimonio nasceranno
quattro figli, Eleonora (1907-2006), Emma (19092000), Silvia (1918) ed un figlio Ferdinando (19212006) ai quali sarà impartita una rigorosa
educazione. I due coniugi vivranno felicemente
insieme per 61 anni. Nei primi anni di matrimonio
abitano in via Madama Cristina, dove affittano
anche un appartamento vicino per la mamma
Paolina (loro sono al 3° piano e lei al 4°).
Frattanto il giovane ingegnere si impadronisce
Scrive su “Il Cemento” articoli che illustrano in
dettaglio i nuovi sistemi di costruzione con il
calcestruzzo armato, nonché descrive i calcoli
delle fondazioni continue, della freccia di solette e
travi, di travi a traliccio, di piastre, etc.
8
Dal manoscritto dell’intervento commemorativo tenuto dal prof.
Piero Locatelli all’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere di Milano
nel Febbraio 1969.
9
Pubblicata a Genova dal maggio al dicembre 1904, si trasferisce a
Milano nel gennaio 1905. Esce nel capoluogo lombardo fino al 30
dicembre 1911 (a. VIII, n. 24). Dal 15 gennaio 1912 (a. IX, n. 1) al
novembre-dicembre 1943 (a. XXXIX, n. 11-12) esce a Torino. Dal
gennaio 1943 (a. XL, n. 1), viene nuovamente pubblicato a Milano.
Fra gli aspetti più interessanti della rivista è da segnalare lo sforzo
compiuto dalla redazione per cercare di rispondere alle esigenze
poste dalla realtà; e tale aspetto appare con particolar evidenza in
occasione dello scoppio della prima guerra mondiale, come
testimoniano ad esempio gli scritti Il cemento armato nelle opere
militari (15 gennaio 1915) e Per la ricostruzione dei paesi distrutti
dalla guerra di Arturo Danusso (15 ottobre 1917). È da ricordare
che, anche in quegli anni, interesse precipuo della redazione rimane
quello del progresso dell'arte edile, come scrive, infatti Danusso al
principio del 1915: "Noi non tralasciamo di ricercare le orme del
progresso umano dovunque esse si rivelino, su terreno amico o
nemico, e di diffonderne la visione" (Riflessi d'attualità, 15 febbraio
1915).
10
A. Danusso, In memoria di G.A. Porcheddu, Il cemento Armato
n.11 Nov.1937 Milano
4
della moderna tecnica di progettazione del
cemento armato e si inserisce pienamente in quel
movimento di
modernizzazione, che pur
salvaguardando l’eredità della tradizione, si
appropria dei nuovi metodi costruttivi e li utilizza.
Sono gli anni del futurismo e tutto ribolle di idee
nuove. Dirà poi: il calcestruzzo armato fu una vera
rivoluzione non solo nella tecnica costruttiva, ma
nella stessa Scienza delle Costruzioni, in quanto
nel suo organismo vi si potrà scorgere quella che
di ogni organismo è la suprema perfezione, cioè
la capacità dei suoi organi di associarsi in unità e
di interagire efficacemente gli uni per la salvezza
11
degli altri.
Danusso diviene ben presto uno degli elementi di
punta dell’ufficio tecnico della società Porcheddu
Ing. G.A. e nel 1907 firma il progetto per la
costruzione di un Ponte sull'Astico presso
Calvene (Vicenza), che sarà costruito dalla
società stessa. Ponte a sezione cellulare, che
riesce a superare la luce di 34.50 mt. con una
unica arcata e con una freccia di soli 2 mt. Fino a
quella data non era mai stato realizzato un ponte
ad arco così ribassato. Generalmente per i ponti
Hennebique il rapporto tra freccia e luce era
dell'ordine di 1/10. Un ponte che, come scriverà
anni dopo, “… previsto per veicoli leggeri e
vissuto felicemente attraverso due guerre, che
non gli risparmiarono carichi ben maggiori.”
In occasione del dibattito immediatamente
successivo al terremoto di Messina (28
dicembre 1908), Danusso espone i suoi originali
studi sulla ingegneria sismica, che ne faranno un
precursore a livello mondiale e primeggia nei
concorsi indetti per la ricostruzione post-sismica,
banditi poco dopo il terremoto.
Come vedremo negli Approfondimenti, è ad Arturo
Danusso che va ascritto il merito di aver
compreso la necessità di tenere conto delle
proprietà dinamiche degli edifici, nella risposta alle
azioni del terremoto e di aver compreso come un
sistema lineare elastico, ad n gradi di libertà,
possa essere considerato equivalente ad n
oscillatori ad un singolo grado di libertà.
Partecipa al rivoluzionario progetto del ponte del
Risorgimento a Roma, ma soprattutto si impegna
in un’opera straordinaria, la ricostruzione del
Campanile di S. Marco a Venezia, che il 14
luglio del 1902 si era sbriciolato al suolo, in un
cumulo di polvere. Le murature non avevano retto
al peso e da subito la Municipalità ne aveva
deliberato la ricostruzione “com’era e dov’era”.
Ma se l’esterno non doveva sembrare diverso,
all’interno la struttura doveva essere alleggerita e
resa più resistente. L’appalto ed il progetto delle
strutture portanti in calcestruzzo armato ed i
relativi calcoli, furono affidati alla Società
Porcheddu G.A. ed in particolare ad un ormai
11
affermato ing. Arturo Danusso, uno dei più attivi
nel gruppo di collaboratori dell’ingegnere sardo. Il
progetto di ricostruzione prevede quattro grandi
pilastri interni di cemento armato, legati alle
murature perimetrali. Alleggerita e rinforzata,
rispetto all’originaria, anche la cella campanaria,
formata da adeguate strutture metalliche, il cui
castello deve reggere il peso di 1.500 kg di
campane, e l’ardita ed elegante cuspide
piramidale, alta 20 metri , resa rigida da nervature
verticali e da travature orizzontali di collegamento,
tutte in conglomerato cementizio armato. Alla fine
dei lavori l’intera opera, opportunamente
stabilizzata e rinforzata alla base con un’ampia
piattaforma cementizia poggiante su oltre 3.000
pali, segnò una consistente diminuzione di peso,
da 12 milioni a circa 9 milioni di chilogrammi con
un sensibile abbassamento del centro di gravità. Il
25 aprile 1912 vi fu l’inaugurazione del nuovo
campanile.
La risonanza di questo intervento fu mondiale,
tanto che nello stesso periodo in cui si ricostruiva
il campanile, a New York fu inaugurata la MetLife
Tower, il più alto edificio dell’epoca con I suoi 213
mt, su progetto di Napoleon Le Brun & Sons, che
avevano preso a modello il campanile di S.Marco.
Carlo Goria, I 75 anni della rivista Il cemento,1978
5
L’attività privata di Danusso aumenta e nel 1912
si concretizza nel brevetto dei Solai DUPLEX a
travetti incrociati in cemento armato e laterizi
forati, che avranno notevole diffusione.
Nel 1913 progetta un ponte sul Brenta a
Prunolano, ad arco ribassato con piedritti di
sostegno dell’impalcato stradale, di luce 44,30mt
e freccia 4,50mt, distrutto nella prima guerra
mondiale e ricostruito tal quale nel 1924 ed
ancora in buono stato. Sempre nello stesso anno
progetta anche un ponte sul Busento a Cosenza,
intervenendo su una struttura già iniziata, con una
originale soluzione per le spalle che si adattarono
su quelle già esistenti in muratura. E’ un ponte di
luce 37,0mt con freccia di 2,43mt, con sezione
cellulare a 4 camere larga 7,50mt.
Del 1914 è il ponte sulla Dora Riparia ad Exilles,
eseguito per l’impresa Gino Morsa di Milano, che
aveva vinti l’appalto di un concorso bandito dalla
Provincia di Torino. Un grande ponte ad arco
parabolico di luce 60,0mt e freccia 19,70mt,
composto da due costoloni, collegati tra loro da un
traliccio, con piedritti posti ad interasse di 5,0mt a
sostenere la soletta nervata larga 5,40mt. Per
accedere al ponte due viadotti curvilinei.
Nel 1916 progetta per la ditta Porcheddu, un
ponte ferroviario a Loreo, vicino a Rovigo, oggi
non più esistente, di luce 40,50mt con due traviarco e soletta inferiore.
Si occupa anche della progettazione di navi in
calcestruzzo armato: due piccole navi sotto le
3000 tonnellate sono costruite in un cantiere
12
ligure (un dragamine e un cinque alberi).
Rimane ancora qualche anno a lavorare nella
13
società Porcheddu e poi a 35 anni, la grande
svolta della sua vita. Nel 1915 su sollecitazione
14
del prof. Camillo Guidi partecipa alla selezione
per la cattedra di Meccanica strutturale presso il
Regio Istituto Superiore a Milano (poi Politecnico).
12
13
Da Una piccola storia di Arturo, pag.22
Arturo Danusso sarà sempre riconoscente al Porcheddu, ed il 25
giugno 1960, in occasione del centenario della sua nascita, scriverà
per La Nuova Sardegna un lungo articolo commemorativo
14
Vedi in Approfondimenti
Risulterà vincitore e si trasferirà definitivamente in
questa città, per insegnarvi fino al 1950.
“Per oltre 40 anni dedicò all’insegnamento
propriamente detto la ricchezza spirituale di cui
era dotato e fu docente insigne, dalla parola al
tempo stesso piana ed elevata che, fondata su
basi scientifiche e tecniche, portava in aula il
riflesso di una attività scientifica e professionale di
alto livello e, soprattutto, il riflesso di una intensa
vita spirituale nutrita di profonda meditazione e di
15
non meno profonda umiltà.”
La famiglia va ad abitare in via Pergolesi, in un
appartamento in cui, “ il bagno, l’impianto elettrico,
lo studio per AD, (anche se poco luminoso e
verso il giardinetto), il telefono in portineria sono
novità
e
migliorie
rispetto
all’abitazione
16
precedente”.
Al Politecnico, annesso alla cattedra di Danusso,
vi è un Laboratorio Prove Material. Quando
comincerà il collaudo dei materiali da guerra per i
quali le attrezzature non basteranno, Danusso
otterrà altre macchine e altri aiuti. Nel 1916 il
Laboratorio è dichiarato il più piccolo stabilimento
ausiliario d’Italia e Danusso viene esonerato dalla
chiamata alle armi come Direttore del Laboratorio
stesso. Notevole sarà il lavoro svolto in questo
periodo e l’esperienza che ne consegue sarà
messa a frutto negli anni futuri del dopoguerra,
quando fu affiancato al laboratorio di prove dei
materiali, quello per le indagini scientifiche su
Modelli e Costruzioni. Ma non vi sono solo aspetti
positivi. Durante la guerra (1915-18) Danusso,
essendo stato esonerato dalla chiamata alle armi,
porta come distintivo un bracciale bianco, rosso e
verde, che richiama l’attenzione e a volte lo
sdegno di chi gli passa accanto, e qualcuno lo
chiama disertore.
Passata la guerra la sua carriera accademica
procede congiuntamente con il lavoro di
consulenza; è spesso coinvolto in commissioni di
valutazione dello stato di importanti costruzioni
storiche come la Torre di Pisa, il campanile di
Sant'Ambrogio a Milano, la Mole Antonelliana di
Torino, la Cupola di San Gaudenzio a Novara, le
cattedrali di Milano e di Pavia. Prenderà parte
anche nella progettazione di molte grandi strutture
come ponti, dighe, linee elettriche, e grattacieli,
qualificandosi per le prove su modelli.
I suoi interessi di ricerca si concentrano sulle
strutture in cemento armato, che indaga nel
comportamento statico e dinamico, affacciandosi
anche ad esaminarne il comportamento in fase
plastica, ed ai benefici effetti nelle strutture
iperstatiche, in ciò stimolato dall’esperienza con
Hennebique e dai recenti lavori di Gustavo
Colonnetti.
15
Piero Locatelli, Presentazione del libro: La scienza e lo spirito negli
scritti di Arturo Danusso,
16
Da Una piccola storia di Arturo, pag.21
6
Costante è il suo impegno nelle organizzazioni
cattoliche, testimoniato dai numerosi interventi e
scritti, che ci riportano la figura di un uomo intriso
di un profondo sentimento religioso.
Nel 1921, nell’appartamento di via Pergolesi,
nasce l’ultimo figlio Ferdinando, che fin da
ragazzo rivela doti geniali e che diverrà poi un
grande chimico e stretto collaboratore del premio
Nobel, prof. Giulio Natta. (vedi Approfondimenti).
La famiglia Danusso trascorre le estati a Levanto,
17
a villa Dina , prima in affitto e poi acquistata
(1926).
A tutto pensa la moglie Alessandra (Dina), che si
occupa della famiglia con polso fermo e
inesauribile energia, lasciando ad Arturo la
possibilità di lavorare tranquillamente. Da via
Pergolesi si trasferiranno poi in via Andrea Doria
7, in un bell’appartamento che Arturo e Dina non
abbandoneranno più.
Del 1922 è il ponte sul Brembo a S. Pellegrino
Terme (BG) di 5 campate in travi continue,
realizzato dall’impresa di Luigi Terzi e “decorato”
dal Prof. Arch. A.Cavallazzi e quello sul Trebbia a
Travo (PC), un ponte a 6 campate, di luce
49,50mt con freccia di 4,90mt. e di cui segue
anche la direzione lavori ed in particolare le
fondazioni in alveo che richiesero l’impiego di
cassoni cilindrici in cemento armato, di 9,0mt di
diametro.
Del 1923 è Il famoso Ponte della Vittoria, un
ponte ad arco di luce 53,50mt. che realizza
l'attraversamento del torrente Pioverna, tra
Cremeno e Maggio, in Provincia di Lecco su una
incisione naturale avente circa 86 metri di
profondità. L’appalto fu vinto dalla ditta Terzi di
Milano per 456.000 lire, con progetto strutturale di
Arturo Danusso. I lavori furono eseguiti nella
17
In precedenza dal 1922 al 1924 la villa era stata affittata da
Benito Mussolini.
seconda metà del 1923 in soli 6 mesi, grazie
all'utilizzo di un ardito ponte di servizio realizzato
con due travi tipo Fink e di una centina, per il cui
progetto Danusso si rifece al lavoro fatto dall’ing.
Zucheri-Tosio, per un piccolo ponte vicino ad
Aosta, con l’impresa Cavacini. Il disarmo avvenne
il 9 dicembre 1923. Il ponte è stato per lungo
tempo considerato uno dei più apprezzabili
esempi italiani di utilizzo del cemento armato.
Strutturalmente composto da due archi (funicolari
del peso proprio + metà sovraccarico uniforme
400kg/mq) collegati trasversalmente da cordoli, e
posti inclinati per resistere al vento. Nel 1984 è
stato oggetto di un intervento di riqualificazione
progettato da Francesco Martinez y Cabrera, che
ha previsto l'allargamento dell'impalcato da 5.00 a
8.90 mt, il rinforzo delle arcate e dei puntoni,
nonché l'aggiunta di traversi di controvento dei
puntoni, che ha rispettato il più possibile,
l'architettura originale del manufatto.
Luigi Terzi dirigeva un ufficio di rappresentanza
di Porcheddu a Milano. Nel 1916 o 17 si dimette
18
dalla Porcheddu e comincia a lavorare per conto
proprio, affidando la consulenza al prof. Danusso
Notevole è per Danusso il ricordo di un lavoro
eseguito con questa impresa, chiamata nel 1917
a costruire un ponte ferroviario a Loreo sulla
Rovigo-Chioggia (luce di 40 metri fortemente
obliquo rispetto al canale attraversato. L’opera
risultava particolarmente ardita rispetto alle
abituali vedute degli ingegneri ferroviari dai quali
dipendeva
l’approvazione;
essi
avrebbero
richiesto una travata metallica, come forma più
tradizionale, ma l’acciaio scarseggiava per motivi
bellici e occorreva la costruzione in cemento
armato. Supremi comandanti nel Veneto erano
allora i militari; al Generale il prof. Danusso
faceva presente che si sarebbe sentito di fare il
ponte a modo suo, ma che gli ingegneri ferroviari
lo avrebbero bocciato. Il Generale lo autorizzava
allora, sotto la sua responsabilità, a progettarlo,
poi convocava per atto di riguardo gli ingegneri
ferroviari, i quali, come previsto, negavano il loro
consenso. Il Generale allora decideva d’autorità
per questo progetto che veniva eseguito per
18
Dalla Porcheddu, oltre a Terzi, si stacca anche Stura, che
costituisce una propria impresa a Genova, con la quale Danusso
collaborerà per un periodo.
7
azione di Danusso e di Terzi. Durante
l’esecuzione Danusso si accorgeva che i ferri da
mettere nel cemento erano quelli del mercato in
tempo di guerra, cioè duri e gli facevano paura
perché avrebbero potuto spezzarsi (un giorno uno
si ruppe cadendo a terra mentre lo scaricavano
dal carro); la sua speranza era che avvolgendoli
di calcestruzzo resistessero, ma la responsabilità
era forte e ne aveva grande pensiero fino al
giorno del collaudo, riuscito poi ottimamente,
19
presente il ministro Bonomi.
All’alba del primo dicembre 1923, sei milioni di
metri cubi di acqua e fango si riversarono,
dall’enorme fenditura della diga di Pian del
Gleno (in val di Scalve, Bergamo), sui villaggi
sottostanti, causando 356 vittime accertate, ma
probabilmente, i deceduti furono di più. Grande fu
l’emozione che portò anche ad un didattito in
parlamento. Nel processo penale che si celebrò
fra il gennaio 1924 ed il luglio 1927, il tribunale
nominò come periti i proff. Gaetano Ganassini e
Arturo Danusso, mentre la difesa si avvalse della
consulenza del professor Mario Baroni e degli
ingegneri Ugo Granzotto, Luigi Kambo e Urbano
Marzoli. La difesa tentò di attribuire il crollo ad
un’attentato anarchico, ma la perizia di Ganassini
e Danusso, dimostrò che il crollo derivava da una
insufficienza statica della muratura di fondazione.
Il processo si concluse con la condanna del
proprietario dell’impianto, (l’azienda Viganò), del
progettista e direttore dei lavori, l’ingegner Giovan
Battista Santangelo, e dell’impresa costruttrice, ad
alcuni anni di reclusione, poi condonati. Fu
un’esperienza umanamente impegnativa, che
Arturo Danusso visse con travaglio.
Tra i suoi allievi al Politecnico vi fu anche il grande
matematico Bruno de Finetti, che secondo il
20
ricordo della figlia Fulvia :”Durante il terzo anno
universitario (1925 NdR) si limitò a seguire le
bellissime lezioni di Elettrotecnica tenute da
Riccardo Arnò e di Scienza delle costruzioni
tenute da Arturo Danusso, che ancora nel 1962
pubblicò in Civiltà delle Macchine, la rivista
fondata nel 1953 da Leonardo Sinisgalli e alla
quale mio padre collaborò fin dagli inizi, l’articolo
Lo scienziato e la civiltà, che termina citando una
terzina del XXXIII canto del Paradiso. Bruno
superò con 110 e lode l’esame di Scienza delle
costruzioni (omaggio alla memoria del papà e del
nonno?) e con 110 quello di Elettrotecnica,…”
alle quali la cultura di Danusso non è sufficiente.
Egli capisce allora che un buon insegnante deve
vedere la materia da un punto di vista
notevolmente più alto di quello che il programma
richiede e decide di frequentare nella Facoltà di
Matematica Pura i corsi di Fisica matematica e di
Meccanica superiore tenuti dal prof. Cisotti,
grande maestro col quale ha fatto buona amicizia.
Dispone che questo impegno sia anteposto a tutti
gli impegni professionali, sicchè non debba
perdere alcuna lezione e, poiché si tratta di corsi
monografici con programma variabile di anno in
anno, decide di prendere gli appunti per poterli poi
meditare. La frequenza ai corsi continua per una
decina d’anni con soddisfacente risultato, prima
con Cisotti («infatti, Danusso, quanti perché!») e
21
più tardi con Finzi, titolare della stessa cattedra.
Oratore nato, le sue lezioni, senza fronzoli ne
ricercatezze retoriche, erano spesso veri
capolavori, che si ascoltavano nel più religioso
silenzio, presi dal fascino che emanava dalla sua
parola, dal suo sorriso. Era chiaro che gli piaceva
fare lezione, era chiaro che lo considerava un
esercizio di carità nel senso più nobile della
parola, era chiaro che vi prodigava tutto se stesso
22
senza riserve.
Tra il 1919 ed il 1922 a Milano in via Moscova, si
costruisce un edificio che suscita scandalo tra la
popolazione, che lo chiama da subito la cà bruta
(la casa brutta). Il progetto è dello studio
Colonnese e Barelli ed il cantiere è seguito dal
giovane architetto Giovanni Muzio.
Durante la costruzione dell’edificio si verifica un
fatto curioso: lo “scoppio” di un pilastro. In
cantiere vi sono 400 operai e la cosa non passa
inosservata, tanto che tutta la zona viene chiusa
al traffico. Nel mentre che viene chiamato il prof.
Danusso a studiare il singolare caso, altri 6 pilastri
“scoppiano”. Subito Danusso chiama una squadra
di arditi carpentieri per i necessari puntellamenti e
poi inizia lo studio dello strano fenomeno e si
rende conto che l’edificio poggia “su tanti piedi
con diversa cedevolezza”.
Dopo avere rassicurato la proprietà: “Questi
scoppi sono come una valvola di sicurezza; dopo
un certo numero si raggiungerà l’assestamento
definitivo del palazzo.”, provvede a far tagliare
l’edificio, riducendolo da uno a tre corpi, cosa non
semplice ma che risolse definitivamente lo strano
fenomeno.
Ai suoi corsi compaiono allievi, come Bruno Finzi
e Giulio Krall (1901-1971) forti in matematica che
promuovono richieste ed obiezioni per rispondere
19
20
Da Una piccola storia di Arturo, pag. 24-25
Istituto Lombardo:di Scienze e Lettere Milano, 8 giugno 2006 Palazzo Brera, Incontro di studio Bruno de Finetti — Bruno de
Finetti e l’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere Fulvia de Finetti
21
Da Una piccola storia di Arturo, pag. 28-29
22
Dal manoscritto dell’intervento commemorativo tenuto dal prof.
Piero Locatelli all’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere di Milano
nel Febbraio 1969.
8
Del 1926 è l’incontro con il giovane Piero
23
Locatelli , fresco di laurea in ingegneria
elettrotecnica, che ne diverrà il fido collaboratore
ed amico per l’intera vita. A casa di questi ed a
rotazione dagli altri, si terranno per vari anni le
riunioni del “Microseminario, consesso di belli
spiriti composto dai colleghi Bruno Finzi, Ercole
Bottani, Oscar Chisini, Giovanni Polvani, Maria
Pastori e padre Giacon, che si riuniva il giovedì
sera per parlare di temi scientifici-filosofici e fare
24
onore a dolcetti appositamente approntati” .
I Locatelli affitteranno una casa d’estate a
Levanto, affinchè Piero possa lavorare con
Danusso, anche in questo periodo.
Nella primavera del 1927 la Fabbrica Lapidea
della Basilica di San Gaudenzio in Novara, lo
interpella per un parere sulla stabilità della cupola
Antonelliana. Inizia così un lungo e travagliato
periodo in cui Danusso si trova a dover affrontare
anche forti critiche per il suo lavoro, che si protrae
per lunghi anni, con due successivi interventi di
consolidamento. Le polemiche, alimentate dal
giovane ingegnere Arialdo Daverio, allievo del
Politecnico ed impiegato presso la Fabbrica
Lapidea, continueranno fino al 1954, senza però
che nuovi evidenti dissesti si manifestino sulla
struttura. (vedi Approfondimenti).
Nel 1927 per conto della Società Italiana di
Ferrovie e Tranvie (S.I.F.T), che dal 1908 gestisce
la rete della Lombardia, segue le opere edili sulla
strada ferrata Piacenza – Bettola e realizza il
Ponte sul Nure a Ponte dell’Olio, uno dei
pochissimi manufatti ferroviari in curva da 300
metri di raggio ed in salita del 15 per mille, con
cinque campate da 40 metri ciascuna.
Nel 1929 viene chiamato a progettare il rinforzo
del campanile dei canonici della Basilica di
Sant'Ambrogio, uno dei simboli della metropoli
23
Piero Locatelli (1902-1988) dal 1943 docente di Scienza delle
costruzioni al Politecnico di Mi e dal 1950 successore di Danusso
come direttore del Laboratorio per la sperimentazione dei materiali.
Ebbe un ruolo importante nel rilancio posbellico del Politecnico ed
ebbe allievi illustri (Leo Finzi, A. Berio, G.Grandori,..)
24
Testimonianza di Arturo Locatelli, figlio di Piero, a Cristina
Danusso. Le riunioni avvenivano nelle varie dimore degli aderenti.
meneghina, eretto intorno al 1128, ma rimasto
incompiuto ed ultimato con la cella campanaria
solo nel 1889, su progetto dell'arch. Gaetano
Landriani. Di proporzioni slanciate, con un fusto
articolato da sottili membrature in pietra che si
stagliano sulle pareti di laterizi, è stato rinforzato
tra il 1929 ed il 1940, con una poderosa struttura
interna in cemento armato, progettata da Arturo
Danusso.
Nel 1930 progetta il suo primo “grattacielo”,
l’edifico INA a Brescia, nella centrale Piazza della
Vittoria progettata da Marcello Piacentini.
Fonda nel 1931 il laboratorio “Prove modelli e
25
costruzioni” all’interno del Politecnico di Milano ,
allo scopo di indagare “l’entità dei divari, nello
stato di sollecitazione, tra i risultati effettivamente
riscontrati e quelli desumibili dai calcoli tecnici”.
Nel 1933 entra in funzione la sezione fotoelastica
e nel 1935 quella per i grandi modelli, che opera
inizialmente per le indagini sulle dighe e che sarà
completata nel 1939, con un impianto per le prove
su condotte in pressione.
Tra il 1931 ed il 1932 è consulente per il progetto
strutturale del Mercato Coperto di Perugia.
Del 1932-33 è il ponte Attilio Vergai in comune
di Villa Collemandina (Lucca), lungo 160 metri,
con due arcate di 40 e 60 metri. Il Ponte, oggetto
di un intervento di restauro nel 2008, congiunge le
frazioni di Canigiano, Corfino e Sulcina e scavalca
da una altezza di 83 metri una bella gola scavata
nei calcari del fiume di Corfino.
Nel 1932 inizia un fecondo
rapporto di
consulenza con l’Ansaldo e poi con le Acciaierie
di Cornigliano, interrotta durante la guerra e
ripresa verso il 1950 si protrarrà fino agli anni ’60
attraverso la Finsider. Consulenza che consisteva
nell’incontrare periodicamente l’ufficio tecnico ed
aiutare a risolvere i problemi tecnici, al momento
aperti.
25
con il contributo delle società Italcementi e Montandon.
9
Lo stesso anno “ tiene per la prima volta una
conferenza all’Università Cattolica sulle analogie
fra la vita morale e quella che il Creatore ha
messo come legge di natura nel mondo fisico: “La
meccanica e la vita”. Il pubblico accorso supera
per numero il previsto e da un’aula qualunque si
deve passare a quella magna. Emozione, critiche,
interesse. Su questo argomento a lui caro parlerà
e scriverà spesso finché, incitato più volte da
Paolo VI durante la malattia, raccoglierà i suoi
pensieri nel fascicoletto: “L’ordine fisico specchio
26
analogico dell’ordine morale?””
Nel 1933 a seguito dell’incarico del progetto di
ristrutturazione del Palazzo delle Colonne (sede
della Cassa di Risparmio delle Province
Lombarde (oggi confluita in Banca Intesa),
affidato a Giovanni Greppi, che aveva vinto il
concorso indetto l’anno precedente, al quale
venne affiancato il giovane ma già famoso
Giovanni Muzio, AD progetta con Emilio Noè le
strutture dei sotterranei corazzati a piani multipli.
Nel marzo 1934, il Ministero dell’Aeronautica
bandisce
il
concorso
per
il
progetto
dell’aerostazione di Linate, vinto dal bolognese
Gianluigi Giordani. Con l’architetto Duilio Torres
(1882-1972), Arturo Danusso progetta, nel 1936
la grande aviorimessa. Si tratta di un’opera di
dimensioni notevoli ad unica campata sostenuta
da due travature metalliche paraboliche di 235
metri di ampiezza e di 64 metri di profondità con
apertura totale mediante portali in ferro scorrevoli
e sovrapponibili. Ai lati dell’hangar vengono
sistemati i magazzini delle parti di ricambio,
l’officina, gli alloggi e la mensa del personale
militare, nonché gli uffici per le aviolinee.
Nel 1938 il Vescovo Costantini incarica Don
Pellegro Daneri di costruire una Chiesa
Parrocchiale in Levanto, che viene subito
dedicata, per espresso volere della Comunità, alla
Madonna della Guardia. Viene chiesto al Prof.
Danusso, che da tempo vi soggiornava per le
vacanze estive con la famiglia, di redigere il
progetto. Le vicende della costruzione della
Madonna della Guardia sono tormentatissime, a
causa della guerra, dei problemi finanziari e
burocratici, sia con lo Stato che col Vaticano e gli
enti ecclesiastici, e degli impegni di Danusso, che
26
Da una piccola storia di Arturo.
veniva ripetutamente sollecitato. Il 23 agosto 1939
hanno inizio i lavori per la costruzione delle
fondazioni della Chiesa. Nell'aprile 1940 don
Daneri chiede per lettera a Danusso informazioni
circa la sua parcella e questi gli risponde: “Quanto
al compenso per il lavoro fatto e per le spese di
disegnatore, che Ella mi offre di sostenere, ha già
27
provveduto la Madonna della Guardia” . Ma la
costruzione procede con lentezza e la chiesa è
inaugurata nel 1958.
In una lapide,
successivamente apposta, la gratitudine della
gente semplice lo ricorderà con il titolo di “
Architetto”.
Poi arrivò la tragedia della guerra. La famiglia
Danusso sfolla a Cernobbio.
Per un periodo si rifugia da loro Carlo Pesenti, per
evitare di essere trasferito in Germania al servizio
dei tedeschi.
“La seconda guerra mondiale trova Arturo già
62enne, per la prima volta incerto e preoccupato
per il proprio avvenire. Sfollato a Cernobbio, si
sente messo da parte e dimenticato, tanto da
temere veramente di non poter più riprendere la
professione a guerra finita. Invece il periodo di vita
che ancora lo attende è per lui interessante e
28
nuovo ”.
La figlia Silvia, ricorda che Danusso studiava in
casa e forse faceva qualche lavoretto e spesso
andava con suo marito, Renato Targetti, a Desio
alla fabbrica tessile di questi, ove pare facesse
27
Storia della parrocchia santuario di N. S. della Guardia il Levanto
attraverso le pagine di cronaca del suo fondatore don Pellegro
Daneri – Genova, Compagnia dei Librai, 1998
28
Da Una piccola storia di Arturo.
10
grandi conversazioni con il capomastro… per
imparare.
Con il dopoguerra
Arturo Danusso sente il
bisogna di impegnarsi nella vita civile. E’ il primo
presidente dell’Ordine degli Ingegneri della
Provincia di Milano e per il biennio 1946-48 è
presidente del Rotary Club di Milano. Viene eletto
Consigliere Comunale a Milano, nelle file della
Democrazia Cristiana per tre mandati, nelle
elezioni del 7 aprile 1946, 27 maggio 1951 (con
242417 voti) e del 27/28 maggio 1956 (con
260267 voti). Rimane in carica fino al 12
novembre 1956, quando il Consiglio Comunale
ratifica le sue dimissioni.
Ma non era adatto a questo tipo d’incarichi, tanto
da suscitare l’ironia in una sagace vignetta, che lo
raffigura, insieme al collega consigliere Prof.
Bottani, in un angolo dell’aula consigliare, assorti
in “nirvanica beatitudine.”
Nel 1946, al convegno di Torino organizzato dal
Centro Studi del CNR di Gustavo Colonnetti,
Arturo Danusso presiede la seduta dedicata alle
grandi strutture, in cui saranno gli interventi di
Guido Oberti e di Pier Luigi Nervi ad evidenziare
l’importanza della ricerca sperimentale, da lui
avviata, su modelli.
Partecipa attivamente ai seminari di Milano
Matematica e Fisica, dove nel 1949 contribuì ad
istituirvi un pioneristico corso di Meccanica delle
vibrazioni.
Nella riorganizzazione del Consiglio Nazionale
delle Ricerche, da parte di Gustavo Colonnetti,
viene creato un nuovo centro studi di ricerche
teoriche e sperimentali sulla stabilità delle
costruzioni, e gliene viene affidata la direzione.
Come tutti i centri dispone di pochi fondi, ma
Danusso seppe trovare i suoi finanziatori, grazie
soprattutto al progetto per lo sfruttamento elettrico
del bacino imbrifero del Piave, che prevedeva la
costruzione di una serie di sbarramenti artificiali,
per la cui progettazione era necessario eseguire
prove su modelli. Il laboratorio del Politecnico era
troppo piccolo per eseguire prove su di un
modello di grandezza significativa della diga. Ne
occorreva uno di dimensioni eccezionali, che fu
costruito grazie all’entrata in campo della
Italcementi di Carlo Pesenti, a suo tempo allievo
di Danusso, che si accordò con la concessionaria
SADE. Grazie al grande impegno di Danusso si
costituisce un nuovo soggetto, che prenderà il
nome di
ISAC (Istituto Sperimentale per
Applicazioni in Calcestruzzo) e che realizzerà, alla
periferia di Bergamo, il laboratorio. Già alla fine
del 1948 vengono eseguite le prove su di un
primo modello, con risultati positivi. E’ un grande
successo che in breve coinvolge tutti i soggetti
interessati a sviluppare le risorse idroelettriche
nazionali e che porterà nel 1951 alla costituzione
dell’ISMES (Istituto Sperimentale Modelli e
Strutture), una società per azioni senza fini di
lucro, di cui il prof. Arturo Danusso sarà
presidente ed anima fino a che le forze glielo
consentiranno.
(vedi
Approfondimenti).
Nel mentre che giungeva a fine l’estenuante
vicenda della cupola della Basilica di San
Gaudenzio a Novara, fu chiesto a Danusso un
parere per un altro immobile religioso, la Chiesa
dei Santi Cornelio e Cipriano, a Pessano con
Bornago, costruita nel 1935 e chiusa nel 1949 per
il diffondersi nei muri di crepe e screpolature
causate dall’assestamento. Il Prof. Arturo
Danusso dopo aver fatti studi approfonditi, nel
1953 constatò che la statica della chiesa si era
ormai normalizzata. Sotto la sua direzione,
dall’autunno del 1954 alla primavera del 1955, si
eseguirono i lavori di restauro e di consolidamento
della chiesa, con la posa di grandi catene di ferro
alla base degli archi al di sopra dei cornicioni. La
chiesa venne così riaperta domenica 10 aprile
1955, giorno di Pasqua.
Nel 1948 progetta i grandi tralicci (232 mt) per
l’attraversamento elettrico dello Stretto di
Messina, premio ANIAI 1957 come migliore opera
dell’elettrotecnica italiana.
Collabora con l’arch. Antonio Cassi Ramelli
(1905-1980) e realizza un edificio in piazzale
Principessa Clotilde a Milano ed uno stabilimento
industriale a Rovato (Bs).
I suoi scritti, successivi alla seconda guerra
mondiale, sono caratterizzati da una riflessione di
carattere filosofico-spirituale sul ruolo della
scienza e della tecnica, anche alla luce dei rischi
a cui l’innovazione può portare. Danusso,
profondamente religioso, ritiene che “la tecnica
apre nuove vie allo spirito, e quando le vie sono
aperte lo spirito non sosta”. Da professore ritiene
che l’università debba formare i giovani con una
buona cultura generale e che la specializzazione
sia successiva.
11
Le sue riflessioni contribuiranno a sdoganare la
tecnica dal ghetto d’inferiorità in cui era confinata,
elevandola ad un piano più alto al pari delle
29
discipline umanistiche .
Tra il 1950 ed il 1960 lavora ai progetti dei tre
grattacieli di Milano, la torre Galfa, la torre
Velasca ed il grattacielo Pirelli ed affronta anche
un lungo viaggio a Caracas in Venezuela, per il
progetto di un grattacielo, che poi non si farà.
Progetta e dirige la costruzione del ponte
sull'Adda a Lecco, all’uscita di quel ramo del
lago di Como di Manzoniana memoria:
“Quel ramo del lago di Como, che volge a
mezzogiorno, tra due catene non interrotte di
monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello
sporgere e del rientrare di quelli, vien quasi a un
tratto, tra un promontorio a destra e un'ampia
costiera dall'altra parte; e il ponte, che ivi
congiunge le due rive par che renda ancor più
sensibile all'occhio questa trasformazione e segni
il punto in cui il lago cessa, e l'Adda ricomincia per
ripigliar poi nome di lago dove le rive,
allontanandosi di nuovo, lascian l'acqua
distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi
seni...,”.
Inaugurato nell’ottobre 1955 è un ponte in
cemento armato in tre campate dalla lunghezza
complessiva di circa 100 metri.
Nel 1955 a Milano, nell’aula Magna del
Politecnico, si tenne, alla presenza del prof.ing.
Gustavo Colonnetti presidente del CNR, un
Symposium Internazionale su La plasticità nella
Scienza delle Costruzioni, indetto in onore di
Arturo Danusso, che ne era stato uno dei pionieri
e che da poco ha lasciato l’insegnamento per
limiti d’età, nominato all’unanimità professore
emerito del Politecnico. Al convegno partecipano
tra gli altri William Prager ed Eduardo Torroja. Il
prof. Piero Locatelli, fedele collaboratore di
Danusso e successore nella sua cattedra, dirà nel
suo intervento:
“Trentaquattro anni or sono, in un’aula del Museo
di storia Naturale ai giardini pubblici – un’aula che
29
Per gli scritti di questa natura vedi: La scienza e lo spirito negli
scritti di ARTURO DANUSSO, Morcelliana Brescia 1978.
il Museo prestava al Politecnico – io ascoltavo a
bocca aperta un giovane professore, un
professore diverso dal solito. Era entrato in aula
assai poco solennemente, quasi di corsa. Si
seppe poi che il bidello vedendolo passare con
tanta fretta l’aveva avvertito: non corra, non corra,
il professore non c’è ancora!... Era chiaro che gli
piaceva essere lì, che non considerava una
degnazione da parte sua l’insegnare (come già
cominciava ad essere di moda); si sarebbe anzi
detto che godesse all’idea di iniziare un nuovo
corso.”
Nell’occasione il primo e l’ultimo dei suoi allievi
(Luigi Crosti e Marco Locatelli) gli consegnano
una medaglia d’oro che riproduce il ponte di
Calvene, una delle sue prime audaci opere,
disegnata da un altro suo ex allievo, il prof,
Cavallè.
Danusso
commosso
dalla
manifestazione d’affetto che gli è stata tributata,
ringrazia con un breve, ma intenso discorso, in cui
afferma che il progresso tecnico è un meraviglioso
strumento, ma può anche diventare un’arma
molto insidiosa, ed invita i suoi ex allievi, molti dei
quali insegnanti, a preoccuparsi, oltre che della
preparazione didattica dei propri allievi, anche
della loro coscienza.
Nel suo saluto, per niente formale il prof.ing.
Gustavo Colonnetti, rende omaggio a Danusso,
come lui allievo a Torino del prof. Camillo Guidi,
riconoscendone i grandi meriti di pioniere nel
campo dell’ingegneria sismica, di insigne docente
e, con riferimento al Simposio, per il contributo
30
alla comprensione del fenomeno elastoplastico.
30
Gli studi compiuti nel campo della Scienza delle Costruzioni
vennero adattati al cemento armato, convenzionalmente sostituito,
per i calcoli, ad un materiale elastico omogeneo ideale, al quale si
applicano le teorie della originaria resistenza dei materiali. E’ quello
che allora (1907) venne chiamato Metodo regolamentare, e
successivamente metodo delle tensioni ammissibili o anche metodo
“n”. Esso si basa sulle ipotesi seguenti:
1. le sezioni si mantengono piane anche dopo la
deformazione ( Hp. di N avier)
2. il calcestruzzo non reagisce a trazione
3. perfetta aderenza tra acciaio e calcestruzzo
4. cls ed acciaio si comportano come materiali elasticolineari
In forza di queste ipotesi ed a partire dalla legge di Hooke (ε = σ/E),
sviluppando l’equazione della perfetta aderenza (εa= εc) si ottiene:
σa/Ea = σc/Ec da cui σa = σc Ea /Ec e quindi, ponendo n= Ea /Ec, σa =n σc
Il ritenere il rapporto tra i moduli elastici dell’acciaio e del
calcestruzzo una costante ed i materiali perfettamente elastici è una
grossolana approssimazione, che semplifica certamente i calcoli ma
non risulta aderente alla realtà dei fenomeni, e soprattutto trascura
quella riserva di resistenza che i materiali hanno una volta superata
la fase elastica.
L’opposizione a questa teoria approssimata, si è manifestata nel
tempo, soprattutto ad opera di quei tecnici e costruttori (
Hennebique, Maillart, Freyssinet,etc.) che si accorsero anche di altri
fenomeni, non secondari, come la deformazione differita sotto
carico (scorrimento viscoso o fluage). Arturo Danusso, in particolare,
forte del lavoro svolto con Hennebique, si rese ben presto conto
dell’ineguatezza della teoria regolamentare
a rappresentare
compiutamente il comportamento delle strutture reali che invece
beneficiano delle deformazioni plastiche, soprattutto se trattasi di
strutture iperstatiche in cui i fenomeni plastici portano al graduale
12
“E che i tempi fossero ormai maturi per procedere
oltre, tu – amico Danusso – puoi, meglio di
chiunque, attestare; tu che, insieme con un altro
tra i migliori allievi del Guidi – penso ad Emilio
Giay- eri chiamato ad assistere, nell’ufficio
tecnico di Porcheddu, alle irruenti e geniali
intuizioni con cui l’Hennebique col suo progetto
del Ponte del Risorgimento avrebbe aperto la via
a impensati ardimenti.
Tu eri allora l’uomo che, dotato di quella non
comune preparazione matematica che ti avrebbe
permesso di affrontare i problemi della dinamica
delle strutture e di gettare la base di una
regolamentazione razionale delle costruzioni in
zone sismiche, meglio di chiunque poteva
comprendere le concezioni dell’Hennebique,
intuirne la grande portata innovatrice e sentire il
bisogno di una loro impostazione razionale. Io
ricordo certi nostri incontri, certi nostri colloqui –
ed in particolare uno che risale al 1936 quando
ancora non possedevamo alcuno strumento
matematico che ci permettesse di approfondire il
problema – ricordo il nostro concorde
riconoscimento della importanza che avrebbe
potuto assumere una teoria della influenza delle
deformazioni plastiche su l’equilibrio elastico.
Quel colloquio, quel tuo riconoscimento fondato
su di una esperienza di progettista e di costruttore
che io non possedevo, fu per me prezioso
incitamento a quegli studi che, pochi mesi
appresso, dovevano condurmi alla prima
enunciazione del teorema generale su l’equilibrio
dei corpi deformabili.”
Arturo Danusso, anche se oramai in pensione, è
sempre impegnato ed attivo.
Ricalcava malvolentieri vie già battute ed anche
anziano era alla ricerca del nuovo. A ottant’anni
studiava come un giovane di venti per arricchire la
sua cultura e sapeva far appello, quando riteneva
ne valesse la pena, ai più validi e più moderni
31
strumenti matematici.
trasferimento delle tensioni interne dalla parti più sollecitate a
quelle che inizialmente lo sono meno, con una migliore utilizzazione
globale della struttura. Con Danusso si dividerà il merito di queste
scoperte Gustavo Colonnetti, entrambi allievi di Camillo Guidi. Essi
proposero un modo nuovo di considerare l’iperstaticità delle
strutture, introducendo il concetto di “stati di coazione” (Colonnetti)
o “autotensioni” (come le chiamerà Danusso) a significare gli stati di
tensione e deformazione che si verificano in assenza di forze esterne
(cedimenti vincolari, deformazioni termiche). Le difficoltà di calcolo
furono notevoli sia per l’inapplicabilità del principio di
sovrapposizione degli effetti, che per la non dipendenza lineare tra
le deformazioni plastiche e le incognite iperstatiche, che imposero il
ricorso al metodo delle approssimazioni successive. L’estensione
della teoria dei corpi deformabili al di là dei limiti della perfetta
elasticità ha permesso di avvicinare lo studio alle soglie della rottura
e quindi anche alla “ determinazione del vero coefficiente in grado di
cautelare una costruzione rispetto al collasso”, come scriverà Odone
Belluzzi nel suo vol.III della Scienza delle Costruzioni (Zanichelli,
pag.551)
31
Leo Finzi, In memoria di A.Danusso, Costruzioni metalliche, N.1
1969
Nella sua lunga vita Arturo Danusso è stato
membro di numerose prestigiose istituzioni, quali
l’Accademia delle Scienze di Torino, l’Istituto
Lombardo di Scienze e Lettere e del Consiglio
Nazionale delle Ricerche. Dal 1948 al 1966 ha
fatto parte del Consiglio di amministrazione della
veneranda Fabbrica del Duomo di Milano. Nel
1958 è nominato Presidente del Congresso di
Messina tenuto in occasione del 50° del
terremoto, congresso a cui parteciparono
sismologi e ingegneri di tutto il mondo.
Nominato in vari Consigli d’amministrazione, fra i
quali quello del Banco Ambrosiano, è stato
Presidente dei Laureati Cattolici quando Mons.
Montini, poi Paolo VI, era loro assistente.
Presidente del Comitato centrale Docenti Cattolici.
“Insegna con soddisfazione e con vero piacere
nella Scuola Antincendi di Roma a ingegneri che
si devono specializzare. E’ un corso preparatorio
per selezionare le domande di arruolamento fra gli
ufficiali destinati poi al delicato incarico di
comandare i corpi dei Vigili del Fuoco con
sapienza, coraggio e prudenza. Deve per questo
recarsi alle Capannelle dove gli è riservata una
bella stanza da letto nel silenzio assoluto. L’ing.
Cuomo, Comandante dei Vigili, gli è amico
affezionato. A. conserverà questo incarico finchè
la malattia lo coglierà. Darà allora le dimissioni
durante l’estate del 1963 con una lettera all’ing.
Cuomo: «… lascio a malincuore la nostra scuola e
tutti voi colleghi carissimi, sottomesso al volere di
32
Dio che mi fu sempre largo di doni».”
Nel 1967, quando era già gravemente malato,
venne istituito in suo nome il Centro
Internazionale d’Ingegneria Sismica “Arturo
Danusso”, per iniziativa del Politecnico di Milano
e dell’ ISMES, sotto l'egida del l’UNESCO e del
Consiglio Nazionale delle Ricerche. (vedi
Approfondimenti).
Lo fermerà ad 82 anni, un grave problema
circolatorio, che lo immobilizzerà tra il letto e la
poltrona. Piero Locatelli gli farà fare un regolo
speciale, pesante affinchè lo potesse manovrare
con l’unica mano rimasta attiva. Vivrà ancora sei
anni, nella serenità dello spirito, sostenuto
dall’amore della famiglia e dalla sua profonda
religiosità.
Si rassegnò sereno, così come sereno sopportò la
morte della sua fedele compagna (1967), sicuro di
raggiungerla presto; sereno attese la morte;
sereno sorridente, con un ultimo segno di croce,
33
pienamente cosciente morì .
32
Da: Una piccola storia di Arturo
33
Dal manoscritto dell’intervento commemorativo tenuto dal prof.
Piero Locatelli all’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere di Milano
nel Febbraio 1969.
13
Arturo Danusso muore a Milano il 5 Dicembre
1968.
Era un discente, ossia uno che impara
sempre. … E siccome sapeva quanto sia
difficile l’imparare bene e il “provare” a fondo,
non si ostinava mai di fronte alle affermazioni,
magari presuntuosamente sbrigative di chi
“doveva” saperne più di lui: semplicemente
sorrideva e taceva. Avrebbe, poi, studiato
meglio e più a fondo, ascoltato di nuovo e con
maggior pazienza.
Da Moderno.
In morte di Arturo Danusso (g.br.)
Approfondimenti
A proposito di François Hennebique34
“… ebbi la ventura di iniziarmi alla sua scuola e di
seguirne le ispirazioni durante i primi dodici anni
della mia vita professionale, alle dipendenze
dell’ing, Porcheddu al quale egli aveva affidato,
sulla fine del secolo scorso, la rappresentanza del
suo sistema costruttivo… il Bureau Hennebique di
Parigi, che nei primissimi anni aveva accentrato i
progetti delle strutture, fornendo gli esecutivi e
nascondendo gelosamente i calcoli, si era un bel
giorno deciso a rivelarli mossa dall’urgenza che lo
sviluppo delle applicazioni imponeva. Ho ancora
vivissimo il ricordo della meraviglia che provai,
quando, nutrito dall’insegnamento chiaro e
preciso del mio venerato maestro Guidi, entrai in
quell’ufficio ed ebbi in lettura il piccolo codice in
cui si raccoglieva il succo dei calcoli coi quali avrei
dovuto avviare l’esercizio professionale. Avevo
appreso a scuola che, postulata la parentela
elastica tra forze e deformazioni, dovevano
imprescindibilmente esigersi l’equilibrio delle
prime e la congruenza delle seconde. Invece in
quel codice, il legislatore si muoveva con una
inconsueta e sorprendente libertà: della
congruenza non si preoccupava affatto, e
dell’equilibrio fino ad un certo punto… A mettere
qualche ordine nella sconnessione di questo
garbuglio teorico, emergeva costante un postulato
ottimista, secondo il quale gli elementi costruttivi
associati,
tenderebbero
ad
aiutarsi
reciprocamente per alleviare le fatiche della
costruzione…
Su questo postulato ricadevano in vario modo
tutte le risposte dell’Hennebique alle perplessità
dei collaboratori… “per quanto bene voi
progettiate“ egli ammoniva ”la natura avrà sempre
una parola da dire, un correttivo da apportare più
sapiente delle vostre previsioni, preoccupatevi
dunque innanzi tutto di assegnare alla struttura
una sufficiente snellezza perché essa accolga
facilmente quel correttivo.”
Significativo è il caso del ponte del
Risorgimento sul Tevere (1911), per il quale il
Comune di Roma, in previsione dell’Esposizione
Internazionale d’Arte, aveva accettato (1909) la
proposta rivoluzionaria di Hennebique di un ponte
ad unica arcata di 100 metri di luce, 10 di monta e
24 di larghezza, con il solo obbligo di costruirlo in
diciotto mesi, su di una centina stabile, su cui
l’arcata potesse appoggiarsi in caso di pericolo,
non compromettendo il transito all’esposizione.
Opera che “aveva gravemente scandalizzato il
34
François Hennebique (Neuville-Saint-Vaast, 26 aprile 1842 –
Parigi, 7 marzo 1921) è stato un imprenditore francese. Fu
riconosciuto come l'inventore del cemento armato, che brevettò nel
1892, anche se 10 anni dopo la paternità dell'invenzione venne
accreditata all'analogo brevetto di Joseph Monier del
1878.Apprendista muratore ad Arras, a 25 anni si mise in proprio e
andò a lavorare a Bruxelles. All'Esposizione di Parigi del 1867 aveva
visto i contenitori in cemento rinforzato realizzati da Joseph Monier.
Nel 1879 gettò la sua prima soletta di cemento e nel 1892 brevettò
a Bruxelles il suo materiale, iniziando la costruzione del suo primo
edificio in cemento armato, l'immobile di rue Danton 1, a Parigi, che
fu la sede della sua azienda dal 1900 al 1967.Nel 1894 realizzò il
primo ponte in cemento armato a Wiggen, in Svizzera, e nel 1899 un
primo progetto per la Diga di Assuan. Con lo slogan "Plus d'incendies
desastreux" (Basta incendi disastrosi), tra il 1892 al 1908 egli creò
una grande organizzazione commerciale internazionale con 42
agenti all'estero che vendevano il "Systeme Hennebique a l'épreuve
du feu, breveté" in Europa, Africa, America ed Asia.
In Italia il sistema fu introdotto nel 1894 dallo "Studio Tecnico degli
ingg. Ferrero e Porcheddu", di Torino, e venne applicato in alcune
grandi opere come i Silos Granari del porto di Genova, il Ponte
Risorgimento a Roma, la Fiat Lingotto a Torino. Fonte wikipedia.
14
mondo della scienza: quello tedesco in
particolare, che ne aveva chiesto a gran voce la
demolizione per pericolo imminente.”
… “Il nostro gruppetto di giovani ingegneri, che
godeva ormai la simpatia del maestro, fu posto al
cimento con l’arduo problema per cui egli si era
impegnato. Ma l’estrapolazione rispetto agli
ardimenti precedenti metteva paura, e la paura
induceva ad aggrapparsi ancora alla teoria
classica; di tentativo in tentativo il manufatto
continuava
ad
appesantirsi.
Comparimmo
mortificati di fronte al maestro: egli sorrise, poi si
trasse in disparte ad elucubrare da solo. In un
paio di giorni venne fuori lo schizzo dell’opera con
le principali dimensioni; l’arcata ridotta ad una
volta di 20 a 50 cm di spessore, sormontata da
sette sottili pareti di timpano, da qualche
legamento trasversale e da una soletta
d’impalcato… alla nostra meraviglia per aver
osato ripetere in grande gli stessi ardimenti che
finora aveva sperimentato per luci molto minori,
rispose che non per questo la natura si sarebbe
smentita.”
“Ricordava volentieri un episodio occorsogli col
Genio Civile Francese che, avendogli commesso,
come primo esperimento, un’arcata di 20 metri di
luce, lo aveva pregato di raddoppiare, per creduta
prudenza, lo spessore che egli aveva assegnato.
Dopo un anno il ritiro, e forse più l’influsso termico
stagionale, avevano prodotto leggere fenditure
degradanti dai lembi verso il nucleo interno
rimasto intatto; e l’Hennebique, ai funzionari che
lo interrogavano preoccupati, aveva risposto, con
sottile umorismo, che la natura, liberando l’arcata
dall’eccessiva rigidezza, tendeva a riportarla
verso al forma più esile che egli aveva
progettato.”
Le prove di collaudo con carichi statici e dinamici
furono effettuate nei giorni 7,8,9 e 10 maggio, da
un’apposita commissione composta dai Prof. C.
Ceradini, Direttore della Scuola degli ingegneri di
Roma, Camillo Guidi del Regio Politecnico di
Torino e dell’ing. Rinaldi Vice direttore delle
Ferrovie dello stato.
Da allora il ponte “impossibile” svolge
egregiamente le sue funzioni.
Il Ponte Risorgimento fu uno dei primi grandi ponti
del mondo ad unica campata (100 metri di
lunghezza e 10 metri di freccia) ed a minimo
spessore nella chiave di volta (85 centimetri
complessivamente tra soletta di carreggiata, vuoto
cellulare e volta vera e propria dell’arco). Tutti
questi
primati
tecnici (struttura cellulare,
lunghezza della campata e leggerezza) furono
conservati per un decennio, fino a quando, nel
1921, furono superati dal grande ponte di
Minneapolis (USA) con una campata unica di 122
metri .
La Relazione al Concorso per la
cattedra al Regio Istituto Tecnico
Superiore di Milano.
All’On. Commissione Giudicatrice del Concorso
per la Cattedra di “Meccanica applicata alle
Costruzioni” nel Regio Istituto Tecnico Superiore
di Milano.
La Relazione sulla mia operosità scientifica e
didattica
si
raccoglie
in
brevi
termini:
Mi iscrissi nell’ottobre del 1897 nella facoltà
d’ingegneria all’Università di Torino e due anni
dopo iniziai il triennio d’applicazione per ingegneri
civili nella scuola del Valentino.
Trascorsi il periodo
scolastico cercando
soprattutto di fondarmi nella parte teorica delle
varie discipline. Presi ad amare particolarmente
l’Architettura, specie per quanto si connette
all’organismo costruttivo, e per penetrarne più
vivamente lo spirito, viaggiai durante le vacanze
del triennio d’applicazione dapprima in Italia, poi
in Francia, poi, dopo la laurea, in Germania. Quivi
prolungai il soggiorno per tre mesi, trattenendomi
specialmente nelle città renane, visitandone la
grandiosa esposizione universale di Düsseldorf e
cercando d’impratichirmi bene della lingua
tedesca al cui studio mi ero lungamente dedicato,
perchè rappresenta oggi uno dei mezzi più efficaci
di cultura.
Il chiarissimo prof. Guidi ebbe la bontà di
propormi, prima della laurea, e ancora durante il
soggiorno in Germania, la nomina di assistente
alla sua cattedra. Ne fui lusingato e commosso,
sia perché nutrivo altissima stima verso il mio
illustre Maestro, sia perché la via ch’Egli mi apriva
era quella che nel cammino degli studi avrei
15
senza esitazione prescelto. Ma il mio
temperamento
pareva
sospingermi
verso
l’immediata realtà pratica, che rassoda ed integra
la cultura quando alle occasioni di meditare, che
offre abbondantissime, si presti volenteroso
pensiero.
Entrai nello studio tecnico dell’ing. Porcheddu che
era allora di recente salito in fama per il rapido e
grandioso sviluppo delle costruzioni in cemento
armato cui egli –primo e solo- aveva dato impulso
in Italia. E’ noto che il cemento armato non solo
ha risolto un grande quesito economico, ma
altresì ha reso possibili ardimenti insperati nella
costruzione di tipo murario. L’opera dei colleghi e
mia, doveva dunque improntarsi di continuo alla
saggia ricerca di questi ardimenti. Io mi vedevo
naturalmente ricondotto agli studi preferiti; mentre
le responsabilità di fatto che le opere ovunque
velocemente ergentesi traevano con sé volta a
volta, incoraggiavano, correggevano, moderavano
le conclusioni teoriche.
In questa scuola naturale io ho vissuto fino ad
oggi, per quasi dodici anni, vigilando –durante i
lavori- sui progressi che la Scienza delle
Costruzioni andava rapidamente compiendo,
poiché ogni nuova esperienza mi riconfermava
nella necessità di una soda cultura scientifica, mi
valsero per questa, oltre alla letteratura nostra,
quella tedesca, che rispecchia specialmente nelle
riviste il movimento scientifico universale.
Per incitarmi a proseguire continuamente su
questa via, accettai di collaborare nella redazione
della rivista “Il Cemento” nella quale dal 1908 in
poi ebbi occasione di pubblicare numerose
recensioni critiche, di riassumere importanti
pubblicazioni straniere, di riferire della mia visita
all’Esposizione delle Costruzioni in Berlino, e di
stampare alcuni miei studi con essenza teorica,
ma con riflessi pratici immediati.
Era naturale infatti che dal mio posto
d’osservazione io udissi le voci dei teorici e dei
pratici della costruzione e fossi indotti a rivolgere
le deboli forze del mio pensiero dovunque
apparisse tra le due una discrepanza, certo che in
quel punto l’una voce o l’altra o forse entrambe si
scostavano dalla verità.
Due studi in particolare nacquero da questo
concetto.
a) Il “contributo al calcolo delle piastre, et.” si
propone di riavvicinare per via d’intuizione
e con mezzi scientifici elementari i risultati
della teoria a quelli che i collaudi
quotidiani ci mostrano. Questo studio
ebbe l’onore di una traduzione tedesca in
due diverse edizioni.
b) “La statica delle costruzioni antisismiche”
(venute in luce pochi mesi dopo il
terremoto calabro-siculo e classificato
primo al concorso di Milano) combatte i
due concetti estremi dell’eccessiva rigidità
e dell’eccessiva elasticità dei fabbricati;
tenta i primi passi sulla via di mezzo, e
cerca di sottrarla all’empirismo mostrando
come si debba sperare di ridurre il
complesso fenomeno della vibrazione
elastica dei fabbricati colpiti dall’urto
sismico ad un’analisi teorica sufficiente
per i fini pratici, e come questi possano
conseguirsi con ossature resistenti che
non impegnano in alcun modo strano la
forma del fabbricato né richiedono spese
eccessive.
Un altro studi recentissimo: “Raffronto fra sistemi
elastici diversamente vincolati” è di carattere
prevalentemente teorico.
Degli studi rimanenti, alcuni sono allegati in
estratto, altri si possono rintracciare nella rivista “il
cemento”. Ricordo tra questi soltanto un
“Contributo al calcolo delle fondazioni continue”
che esamina diffusamente le condizioni statiche
delle platee di fondazione tenendo conto di un
cedimento elastico del terreno.
Altri documenti della mia attività difficilmente si
potrebbero produrre. Sono progetti di lavori nelle
condizioni statiche più svariate. Mi sono limitato
ad elencare i titoli e presentare qualche fotografia
dei lavori eseguiti; assai maggiore è il numero di
quelli non eseguiti e pure studiati a fondo, non
solo dal punto di vista economico, ma anche da
quelli statico, talvolta per presentare una relazione
di calcolo ufficialmente richiesta, tal’altra, perché
presentandosi difficili le condizioni statiche
dell’opera, bisogna confrontare diverse soluzioni
prima
di
compromettersi
con
un’offerta
impegnativa. Aggiungerò soltanto che il compito a
me affidato per ogni singolo lavoro si estese
sempre dai preliminari di progetto, fino alla
preparazione dei minimi particolari d’esecuzione –
ogni qual volta poi ragioni speciali lo
richiedessero, feci visite sui cantieri e prestai
assistenza ai collaudi.
L’attività didattica si riduce a lezioni private di
Scienza delle Costruzioni date per diversi anni, e
ad un triennio d’insegnamento professionale sulle
“Costruzioni civili” nelle scuole operaie di San
Carlo. L’una e l’altra modestissima occupazione
stimolarono sempre più in me l’antico desiderio
ch’io nutro – fors’anco per eredità paterna – di
dedicarmi all’insegnamento.
Per questo e per rendere omaggio ad autorevoli
consigli mi sottopongo umilmente al giudizio
dell’Onorevole Commissione.
Torino, 10 settembre 1914
Ing. Arturo Danusso
Il restauro (con polemiche) della
cupola della Basilica di San Gaudenzio
a Novara.
Nella primavera del 1927 la Fabbrica Lapidea
della basilica di San Gaudenzio in Novara, chiamò
16
Arturo Danusso per un parere sulla stabilità della
cupola. Ma andiamo per ordine e torniamo
indietro di quasi 400 anni, quando la Basilica fu
costruita sull'area occupata precedentemente
dalla Chiesa di San Vincenzo, a partire dal 1577
su progetto dell'architetto Pellegrino Pellegrini,
detto il Tibaldi.
Sulla basilica poggia la
35
spettacolare cupola che domina la città, alta 122
metri, realizzata da Alessandro Antonelli
(Ghemme, 14
luglio 1798
– Torino, 18
ottobre 1888) e completata nel 1878. Il campanile
settecentesco della basilica è opera di Benedetto
Alfieri.
Come per la Mole di Torino, l’Antonelli costruì la
cupola modificandone continuamente il progetto,
verso soluzioni più audaci. Il primo progetto della
cupola venne presentato alla municipalità nel
1841. Tre anni dopo iniziarono i lavori, e nel 1855
l’Antonelli, in seguito a ritardi causati dalle guerre
d'indipendenza, presentò un secondo progetto
che innalzava l’altezza della cupola. Nel 1860
presentò un ulteriore progetto, che elevava
ancora l’edificio. Nel 1862 la costruzione era
terminata, con la sola esclusione della guglia che
fu costruita tra il 1876 e il 1878. Alla sommità fu
posta una statua del Cristo Salvatore, realizzata in
bronzo ricoperto di lamine d’oro e alta quasi 5
36
metri, opera di Pietro Zucchi.
Ma una cupola di queste dimensioni e con un
peso che supera le 5.500 tonnellate, poggiante su
di una imposta che 200 anni prima non era stata
progettata per reggere un simile peso, cominciò
subito a dare segni di un cedimento strutturale. Fu
lo stesso Antonelli a realizzare il consolidamento
dei quattro piloni della basilica portanti la cupola e
della loro fondazioni. Terminati i lavori , per circa
vent’anni, non vennero più sollevati dubbi sulla
sua sicurezza.
Una nuova fase di allarmi si riaprì nel 1907 a
seguito del crollo improvviso della copertura del
Santuario di Boca, sempre dell’Antonelli, e poi
sull’onda del terremoto di Messina e Reggio
Calabria del 28.12.1908.
Le indagini misero in risalto un fenomeno del tutto
nuovo ed inaspettato: il dissesto del cupolino
(piccole screpolature concentrate nei giunti degli
elementi granitici). Il fenomeno si sviluppò
progressivamente, fino a ché nel marzo del 1927,
la situazione fu giudicata allarmante e la Fabbrica
Lapidea stabilì l’urgenza di un intervento e si
rivolse al prof. Arturo Danusso. Questi attribuiti i
dissesti alle continue oscillazioni provocate dalla
spinta del vento ed all’effetto della gelività. Si
limitò inizialmente a suggerire di tenere il
monumento sotto osservazione, redigendo poi un
primo progetto di consolidamento, che prevedeva
la demolizione e ricostruzione della cuspide
mediante una nuova struttura in cemento armato,
ed il consolidamento delle strutture sottostanti con
una struttura interna cilindrica in cemento armato
e l’incamiciamento degli otto pilastri in muratura
posti alla base del cupolino. I lavori furono
realizzati tra il 1931 ed il 1932. Ma il comparire di
nuovi dissesti in alcuni capitelli delle colonne
interne dei due ordini inferiori del cupolino
rialimentò le preoccupazioni e nel 1935 fu
convocato nuovamente
Arturo Danusso. Nel
1936 egli redasse un secondo progetto di
consolidamento, che prevedeva la costruzione “di
pilastri in cemento armato, a ridosso delle colonne
interne esistenti, costituenti come una grande
camicia
opportunamente
sbadacchiata
da
traverse e collegata trasversalmente da un
elicoide, atta a formare la struttura portante della
nuova scala” , sempre in cemento armato. Tutta la
nuova struttura doveva appoggiare su un
basamento in cemento armato che trasferiva i
carichi
alle
strutture
sottostanti
ed
il
consolidamento era esteso anche ai ritti inferiori
interni alla grande cupola, che venivano fasciati
con una camicia di cemento armato, mentre le
36
35
Attualmente la statua che si trova in cima alla cupola è una
moderna copia in vetroresina, mentre quella originale, danneggiata
dal tempo, si trova all’interno della basilica, nei pressi dell’altare.
interamente in mattoni e calce, senza impiego di ferro.
17
colonne interne ed esterne dei due ordini inferiori
dovevano essere sbadacchiate con elementi
metallici radiali e trasversali. Il progetto suscitò
numerosi dubbi nei tecnici della Fabbrica Lapidea,
che temevano che l’aggiunta di nuove strutture in
cemento
armato
potesse
incrementare
eccessivamente i carichi gravanti sulle strutture
sottostanti in muratura. Danusso rispose
sostenendo che si trattava di un “cucchiaino di
cemento armato” che non avrebbe influito in alcun
modo sul comportamento della costruzione
sottostante. I lavori iniziarono nell’estate del 1937.
Pochi mesi dopo, con i lavori in corso, vi fu un
ulteriore allarme, perché comparvero piccole
lesioni negli arconi di base, in corrispondenza
della chiave e dei bolzoni di ancoraggio delle
catene. Danusso propose di concludere i lavori in
corso e fece installare degli strumenti per il
monitoraggio della struttura, che iniziarono subito
a segnalare movimenti in atto. L’allarme fu grande
tanto che con un comunicato del 29 ottobre il
Comune “suggeriva” ai residenti nel raggio di 90
metri dalla basilica di lasciare le proprie abitazioni.
Danusso diede subito disposizioni per un
intervento di puntellatura d’urgenza, ma già alla
fine di dicembre, la puntellazione non sembrava
più efficace ed i cunei posti negli arconi
risultavano allentati, mentre gli strumenti di
monitoraggio continuavano a segnalare nuove
deformazioni e nuovi dissesti si manifestavano
anche sui pennacchi. Danusso attribuì questi
dissesti alla “singolare audacia” di Antonelli, al
terreno di fondazione ammollato da infiltrazioni
piovane ed alla demolizione, scoperta solo di
recente, di alcune parti della struttura per
l’introduzione di una scala di servizio, che aveva
ridotto la sezione resistente, e ribadì che il peso
aggiunto nei restauri comportava un modesto
aggravio delle strutture portanti dell’edificio. Ma di
fronte al progredire dei dissesti, venne meno la
fiducia della popolazione nei confronti del prof.
Danusso, tanto più che scese apertamente in
campo contro il suo operato, l’ing. Arialdo
Daverio, un giovane tecnico della Fabbrica
Lapidea che da tempo seguiva la lettura degli
strumenti. La critica di Daverio era radicale e
contestava sia le procedure e gli strumenti di
monitoraggio, predisposti dai tecnici del
Politecnico di Milano ed in particolare dal prof.ing
Piero Locatelli, assistente di Danusso, sia gli
interventi progettati da Danusso, che riteneva
ingiustificati e dannosi.
Daverio sosteneva che gli iniziali danni al cupolino
erano dovuti allo zolfo impiegato da Antonelli per
connettere tra loro con elementi metallici i conci
lapidei costituenti la struttura, e non dalle
oscillazioni indotte dal vento, e che gli interventi di
consolidamento realizzati da Danusso, oltre ad
aver creato un aumento di peso, avevano anche
portato ad un aumento della rigidezza della parte
superiore della struttura, modificandone il
comportamento dinamico. Quindi per lui “La
cupola ora soffre per le parti ortopediche che le
sono state imposte”. Inoltre i danni rilevati negli
arconi alla base della cupola a partire dal 1937
erano da attribuire, oltre che alle modifiche subite
dalla struttura, con un innalzamento del baricentro
ed un aumento dei pesi in gioco, anche alle
variazioni termiche derivanti dal fatto che
nell’inverno tra il 1937 ed il 1938, per la prima
volta dopo più di trent’anni, la basilica non fu
riscaldata artificialmente e quindi era probabile
che le rotture che si verificarono in quel periodo
fossero derivate dall’eccesso di tiro nelle catene,
prodotto dalla diminuzione di temperatura. Per
Daverio l’allarme non era stato giustificato e le
puntellazioni realizzate d’urgenza erano “il
monumento della paura”. Per anni egli chiese la
demolizione delle opere in cemento armato
progettate da Danusso, adducendo come
motivazioni la paura per l’effetto di un ciclone o di
un terremoto ed il valore dell’architettura
Antonelliana. La sua proposta, però, non fu mai
accettata.
In sua difesa Danusso sostenne “che l’aumento
di peso o di massa se si pensa alle azioni
dinamiche influenti sugli arconi si è limitato al 4%
circa di quello primitivo…”. e relativamente
all’aumento di rigidezza “… lo sforzo dinamico:
prodotto di massa per accelerazione, ha subito col
rinforzo un aumento del primo fattore, ma una
diminuzione del secondo. Se la torre si riducesse,
per falsa ipotesi, ad un solido elastico privo di
massa all’infuori di quella della guglia, un calcolo
semplicissimo direbbe subito che la variazione dei
due fattori porta ad un perfetto compenso”.
Nonostante le polemiche in corso, la Fabbrica
Lapidea ed il Comune decisero di accordare
nuovamente fiducia a Danusso, anche a seguito
del parere di una apposita commissione
Ministeriale, formata dai professori Albenga,
Modesto e Pugno del Politecnico di Torino,
chiamata ad esprimersi sulla tanto invocata
opportunità della rimozione delle opere di
consolidamento in cemento armato. Forte del
parere positivo della commissione ed avendo
finalmente a disposizione un rilievo, Danusso
proseguì i suoi studi sulla struttura, ed elaborò un
ultimo intervento di consolidamento, consistente
nella formazione di un anello in cemento armato
all’imposta della prima cupola interna. Il 10
Maggio 1947 l’anello in cemento armato,
attualmente visibile dall’interno della Basilica,
risultava realizzato; ciò, finalmente, consentì la
rimozione dei puntelli orizzontali posizionati a
contrastare le deformazioni dell’anello d’imposta
Le polemiche su questo e sui precedenti interventi
di consolidamento continuarono fino al 1954,
senza però che nuovi evidenti dissesti si
manifestassero sulla struttura. La questione più
accesa fu sempre quella della demolizione o
meno del cupolino, tanto che il 16 Aprile 1954 lo
18
stesso Arturo Danusso, ammettendo di fatto
l’approssimatività del primo intervento, giustificato
dall’urgenza,
si
dichiarò
favorevole
alla
demolizione e ricostruzione dello stesso. Per la
suddetta ricostruzione, fu stabilito di formare un
apposito gruppo di lavoro incaricato di progettare
la nuova struttura, composto da Arturo Danusso,
Giuseppe Albenga e Arialdo Daverio. Ma i tempi
oramai erano cambiati e di questo progetto e dei
dissesti di San Gaudenzio non si è avuto più
notizia.
L’onere delle prove (su modelli)
“Diceva Michelangelo: “ che i più benedetti denari
che si spendono a chi vuol fabbricar son i
modegli” ed aveva ragione, poiché si impara a
leggervi in umiltà, senza pregiudizi, la diretta
lezione della natura.”
Arturo Danusso
.
Danusso, grande teorico ha però avuto sempre
ben presente “il cumulo di restrizioni che la teoria
è costretta ad imporsi per ridurre a schema di
calcolo gli ordinari problemi ed il conseguente suo
difetto di validità, a cui l’esperimento può ovviare
in notevole misura”. Scettico sulla possibilità di
interpretare matematicamente, a tavolino, la
risposta della struttura, si affida ad una “macchina
calcolatrice degli sforzi”, cioè al modello in scala
ridotta, da sottoporre a prove di carico in
laboratorio, che simula, indica, mostra il
comportamento dell’opera e, se correttamente
stimolato, si
comporterà proprio come sarà
capace di fare il suo emulo in scala reale.
Ritenendo che “il modello avvicina la natura
meglio del calcolo”, fonda già nel 1931 il
laboratorio “Prove modelli e costruzioni” all’interno
37
del Politecnico di Milano , allo scopo di indagare
“l’entità dei divari, nello stato di sollecitazione, tra i
risultati effettivamente riscontrati e quelli
desumibili dai calcoli tecnici”. Nel 1933 entra in
funzione la sezione fotoelastica e nel 1935 quella
per i grandi modelli, che opera inizialmente per le
indagini sulle dighe e che sarà completata nel
1939 con un impianto per le prove su condotte in
37
con il contributo delle società Italcementi e Montandon.
pressione.
Per le prove vengono preparati modelli in scala di
cemento o di celluloide. Il primo sarà quello per le
aviorimesse di Nervi ad Orvieto, e proprio il
sodalizio con Nervi porterà lustro alla scuola di
modelli di Danusso, perché Nervi resterà fedele a
questo tipo di verifica per tutta la sua lunga
carriera progettuale.
“Torna qui a proposito la rievocazione di un bel
ricordo
che
mi
ha
lasciato
un’antica
collaborazione con Pier Luigi Nervi, che nel
campo delle invenzioni architettoniche può ben
annoverarsi tra quegli spiriti eletti, per mondiale
consenso. Noi avevamo modellato una delle sue
invenzioni ardite e stavamo insieme eseguendo la
prova del comportamento statico del modello
sotto carico. Nel momento in cui il modello
spasimava sotto l’azione del carico massimo,
Nervi battendo la mano sul tavolo esclamò
improvvisamente: “ non ti pare, Danusso, che in
certi momenti sembra di dover propriamente dire
che le strutture vogliono star su?”, e accentuò
fortemente la parola “vogliono” quasi per
significare come egli vedesse le strutture
determinate da natura ad organizzare nel più
efficiente dei modi la propria resistenza”.
Nella casa di Levanto vi è ancora una
gigantografia dell’aviorimessa di Orvieto, con una
dedica:
Al caro amico e all'illustre Professore con
profondo affetto e illimitata considerazione - P.L.
Nervi - Aeroporto di Orvieto 1926-1927
Al termine della guerra, Danusso presiede la
seduta dedicata alle grandi strutture, al convegno
di Torino del 1946 organizzato dal Centro Studi
del CNR di Gustavo Colonnetti, in cui saranno gli
interventi di Guido Oberti e di Pier Luigi Nervi ad
evidenziare
l’importanza
della
ricerca
sperimentale su modelli.
Nella riorganizzazione del Consiglio Nazionale
delle Ricerche, da parte di Gustavo Colonnetti,
viene creato un nuovo centro studi di ricerche
teoriche e sperimentali sulla stabilità delle
costruzioni, affidato ad Arturo Danusso, che come
tutti i centri dispone di pochi fondi, ma Danusso
saprà trovare i suoi finanziatori, grazie soprattutto
al progetto per lo sfruttamento elettrico del bacino
imbrifero del Piave, dato in concessione nel
marzo del 1948 alla SADE (Società Adriatica di
19
Elettricità), che prevedeva la costruzione di una
serie di di sbarramenti artificiali, il primo dei quali
era una diga dal funzionamento statico ad arcogravità, da realizzarsi a Pieve di Cadore. Le
conoscenze teoriche non erano però, all’epoca tali
da poter convenientemente progettare l’opera ed
il tecnico della SADE ingegner Carlo Semenza,
chiese la collaborazione al prof. Danusso, il quale
coinvolse nell’opera anche il giovane prof. Guido
Oberti.
Il funzionamento statico della diga presupponeva
la ripartizione della spinta idrostatica fra gli
elementi orizzontali ad arco e gli elementi verticali
a gravità. I calcoli di progetto furono eseguiti con il
metodo " trial load', utilizzato per il progetto della
Boulder Dam sul Colorado, che imponeva la
congruenza degli spostamenti sotto carico dei
nodi d'incrocio fra archi e mensole. Ma questa
diga presentava una anomalia nel contatto al
suolo, che non era possibile studiare con gli
strumenti allora disponibili e Danusso propose di
affidarsi a prove su modelli.
Il laboratorio del Politecnico era però troppo
piccolo per eseguire prove su di un modello di
grandezza significativa (in scala 1:40) della diga.
Occorreva
un
laboratorio
di
eccezionali
dimensioni.
Nel frattempo l’ing. Carlo Pesenti, amministratore
della Italcementi, ben noto ad Arturo Danusso di
cui era stato allievo, decise di entrare
nell’operazione e di costruire una cementeria a
Vittorio Veneto, da cui rifornire il legante
necessario per le opere.
Le due società SADE ed Italcementi, si accordano
e Danusso si fa promotore della costituzione del
nuovo soggetto, che realizzerà il laboratorio e che
prenderà il nome di ISAC (Istituto Sperimentale
per Applicazioni in Calcestruzzo). L'Italcementi
mise a disposizione un terreno alla periferia di
Bergamo e l’impresa Torno, che nel frattempo
aveva acquisito l'appalto per la costruzione della
diga, si impegna alla costruzione dell’edificio e del
vascone (mt.10,0x5,0x2,5H) al cui interno
posizionare il modello.
Già alla fine del 1948 furono eseguite le prove su
di un primo modello, con risultati positivi, ma che
fecero intravvedere la possibilità di una
ottimizzazione dei volumi di progetto per i quali
venne preparato e testato un secondo modello,
che sarà quello su cui si eseguirà il progetto
esecutivo e che permetterà un risparmio di un
miliardo di lire del tempo, rispetto al progetto a
base d’asta.
Fu un grande successo che coinvolse tutti i
soggetti interessati a sviluppare le risorse
idroelettriche nazionali ed il 6 settembre 1951,
presso lo studio del notaio Neri, in Milano, venne
costituito l'ISMES (Istituto Sperimentale Modelli e
Strutture), una società per azioni senza fini di
lucro.
Presidente
Vice Presidenti
Prof. Dr. Ing. Arturo DANUSSO
Dr. Ing. Carlo PESENTI
Dr. Ing. Carlo SEMENZA
Direttore dell'Istituto Prof. Dr. Ing. Guido OBERTI
Le quote di partecipazione erano così ripartite:
35%
ITALCEMENTI S.A.
Tre grandi imprese di costruzione in quote uguali:
10% IMPRESA GIROLA
IMPRESA LODIGIANI
IMPRESA TORNO
Imprese produttrici di energia elettrica in quote
proporzionali all'energia prodotta:
55% ACCIAIERIE FALCK S.A.
ADRIATICA DI ELETTRICITA’ (SADE) .
AZIENDA COMUNALE
ELETTRICITA’ ED ACQUE, ROMA
AZIENDA ELETTRICA PIEMONTESE
AZIENDA ELETTRICA
MUNICIPALE MILANO
IDROELETTRICA (SIP) S.A.
OROBIA (GRUPPO EDISON) S.A.
MERIDIONALE DI ELETTRICITA’ SME
MONTECATINI S.A.
ROMANA DI ELETTRICITA’S.A.
SELT-VALDARNO S.A.
TERNI S.A.
Oltre alle dighe, all’ISMES, Danusso, Oberti ed i
loro collaboratori, eseguiranno prove e ricerche
sperimentali anche su altre strutture complesse.
Numerose quelle di Pier Luigi Nervi, e di quegli
ingegneri (Riccardo Morandi, Sergio Musmeci,
etc.) che per naturale inclinazione non potevano
limitarsi ad operare in soluzioni già codificate.
Le opere più interessanti, realizzate grazie
all'ausilio dei modelli e delle prove dinamiche
strutturali svolte nei laboratori ISMES, sono un
esempio di alta ingegneria. Riportiamo solo le più
famose:
- la torre Velasca a Milano
- il grattacielo Pirelli a Milano,
-la cattedrale di S. Mary a S. Francisco, California,
-la copertura a volta sottile dell'Aeroporto di
Newark in New Carolina,
-i grattacieli di Montreal,
-la coperture a volta sottile del Centro Culturale di
Norfolk,
-la nuova sala delle udienze del Papa, detta Sala
Nervi in Vaticano.
Oltre al ponte sul Bosforo, al metanodotto che
collega l'Algeria e la Tunisia alla Sicilia, al Duomo
di Milano e a quello di Pavia, la torre di Pisa, e
molte altre opere di simile importanza.
Al convegno sul tema “I modelli nella tecnica”,
tenutosi a Venezia, nell’ottobre del 1955 per il
cinquantenario della fondazione della SADE,
Danusso giustificava l’ancora scarsa diffusione in
Italia delle prove su modelli come strumento di
progettazione, a causa del contrasto tra “la
20
visione sintetica dell’intuito che guarda il
fenomeno nell’insieme della sua obiettività fisica e
la visione analitica della scienza che, entro i
confini degli schemi ideali di cui dispone,
controlla, precisa, afferma. Così avviene che
alcuni, legati per tradizione a questi schemi,
trovino nei calcoli il riposo della perfezione logica
e vi si adagino, diffidando dell’intuito come di una
buccia di limone che faccia scivolare verso
l’empirismo”.
Nel decennio di presidenza Danusso, tra il 1951 e
il 1961 verranno sperimentate circa 60 grandi
dighe in cemento armato, di cui 24 estere
distribuite in 5 continenti (Svizzera, Spagna,
Yugoslavia,
Messico,
Australia,
Argentina,
Bulgaria
etc.)
Dopo il crollo della diga di Malpasset in Provenza
(1959), la Banca Mondiale deliberò che i progetti
di dighe da lei finanziati dovevano essere verificati
su modello all'ISMES. I governi di Svizzera e
Spagna, preso atto di non disporre di laboratori
idonei, si affidarono all'ISMES.
Un ruolo fondamentale dell’ISMES è stato anche
quello in ambito antisismico, con la realizzazione
della prima tavola vibrante, che consentiva di
simulare l’azione di terremoti, su modelli di
strutture realizzati applicando studi e ricerche su
materiali particolari, che consentivano la riduzione
in
scala
di
tali
fenomeni.
L’Istituto svolse inoltre anche attività collegate alla
sorveglianza delle strutture e del territorio, come
l'imponente sistema che consente la sorveglianza
della Valtellina, il sistema di sorveglianza del muro
del Cenacolo di Leonardo da Vinci, lesionato dalla
bomba del 1945; nonché studi in campo geologico
e geofisico, di meccanica delle rocce e per
migliorare la sicurezza del trasporto dell'energia
sulle
linee
ad
alta
tensione,
etc.
Il 9 ottobre 1963 la tragedia del Vajont (circa 2000
morti), con la frana del monte Toc dentro il bacino
artificiale formato dalla diga, completata nel 1961
e che con i suoi 265 metri di altezza da record, è
uno degli ultimi tasselli del progetto Piave. La
diga, testata con tre modelli a diversa scala a
partire dal 1958 e poi mentre si completava
l’invaso, resistette egregiamente all’impatto della
frana, ma la sua costruzione aveva alterato gli
equilibri instabili del territorio.
Intanto il Prof. Guido Oberti, chiamato a coprire la
cattedra di Tecnica delle Costruzioni al Politecnico
di Torino, lascia la direzione dell'ISMES, pur
continuando a partecipare come consulente
tecnico.
Danusso, nel frattempo, ha lasciato la presidenza
per una grave malattia: il suo posto viene affidato
a Nervi, che lungi dal considerarlo un incarico
onorifico, farà del suo meglio per salvare l’istituto,
ma nonostante il prestigio che l’anziano ingegnere
ancora riesce a trasmettergli, il modello fisico è
destinato a cedere il passo a quello matematico.
E’ oramai iniziato il tempo dei metodi numerici con
la diffusione degli elaboratori elettronici. Nel 1969
l’Istituto apre una sezione di studio proprio sul
metodo agli elementi finiti per cercare di allinearsi
alle sperimentazioni già evolute negli altri paesi
europei, ma non è più certo all’avanguardia.
Nel frattempo l'ENEL, interessata durante la
crescita del nucleare in Italia alle competenze
presenti in ISMES, decise di diventare l'azionista
di maggioranza, acquisendo due importanti centri
di ricerca: il CESI (Centro Elettrotecnico
Sperimentale Italiano) ed il CISE (Centro
Informazioni Studi ed esperienze), per le ricerche
di fisica applicata all'energia, ambedue dislocati a
Milano.
L'Enel fece assumere il personale necessario e
diede i finanziamenti per lo sviluppo di laboratori e
di centri o unità di calcolo numerico. In ambito
dell’ingegneria strutturale, negli anni 90 venne
realizzata una tavola vibrante di grandi dimensioni
(4 metri per 4 metri), che è stata utilizzata per
centinaia di simulazioni di terremoti reali su
modelli di grattacieli antisismici (come il
grattacielo ENEL di Napoli), le casette
antisismiche
studiate
per
l'Umbria,
su
apparecchiature elettriche per le centrali dell'Enel
e l'ISMES poteva considerarsi al pari dei grandi
centri di ricerca antisismica nel mondo.
Con la fine del nucleare iniziò il declino
dell'ISMES ed in parte anche degli altri due centri
di
ricerca.
Oggi l’Ismes è diventata la Divisione ambiente e
Territorio
di
CESI
SpA.
Danusso così ricorderà questa emozionante
storia:
“Della mia attività sperimentale che si svolse in
collaborazione con gli assistenti nel laboratorio
annesso alla cattedra, l’elemento più saliente fu il
passaggio che io volli istituire dalle prove sui soli
materiali a quelle sul comportamento delle
strutture mediante modelli. Il tirocinio fu molto
lungo e difficile per mancanza di mezzi che lo
Stato non concedeva in alcun modo e tanto meno
l’industria, rappresentata dalle imprese di
costruzioni che dei modelli non sapevano nulla e
che alla richiesta di finanziamenti rispondevano di
essere già iugulati dalla concorrenza e quindi di
non avere denaro a disposizione. Tuttavia
qualche piccola prova finanziata da rari
committenti che ne capivano l’utilità fu fatta e
servì a mantenere accesa la fiammella che
profondamente mi animava. Un giorno la
fiammella ebbe un primo guizzo: il sen. Pesenti mi
portò un assegno di £. 200.000; io pensai che
Don Bosco con 8 soldi aveva piantato ben altro
laboratorio, e cominciai a riaccendere le mie
speranze.
Fra i committenti incominciarono a segnalarsi gli
idroelettrici per la singolarità e l’importanza delle
loro costruzioni. Verso il 1950, quando stavo per
andare in pensione, mi fu chiesto dalla S.A.E. il
21
modello della grande diga di Pieve di Cadore.
Impossibile collocarlo nel Politecnico; d’altra
parte, prevedendo che ciò potesse essere l’inizio
di un notevole sviluppo e vedendo dai primi studi
che conveniva passare dai piccoli ai grandi
modelli, proposi nuovamente il problema
all’Italcementi, la quale offerse un terreno a
Bergamo e la propria partecipazione finanziaria
all’avviamento di un nuovo laboratorio che fosse
indipendente da qualsiasi onere burocratico.
Tanto la SADE quanto la S.A.E. concorsero alla
costruzione di un primo capannone di fortuna e
all’acquisto delle prime attrezzature.
Il modello di Pieve di Cadore, lungo 10 metri, fu
eseguito e provato in base ad un progetto
preliminare e rivelò che a tale progetto rispondeva
un eccessivo margine di sicurezza. Prendendo da
ciò coraggio si costruì e si provò un secondo
modello che diede risultati ancora più
soddisfacenti e servì di base per costruire la diga.
La SADE disse in pubblico congresso
internazionale che il risultato economico del
modello fu tale da ridurre di un miliardo il costo
della diga. Di qui il risveglio della coscienza di
tutto il mondo idroelettrico e l’accorrere al mio
nuovo laboratorio per modellare le dighe che
dovevano costruirsi.
Così nel 1951 il laboratorio con la sigla ISMES
(Istituto Sperimentale Modelli e Strutture) fu
istituito in regolare società anonima i cui frutti
anziché dare dividendi agli azionisti dovevano
impiegarsi in ampliamento del laboratorio e delle
sue attrezzature. Nel ’61 il decennale fu celebrato
con una pubblicazione riassuntiva da cui appare
la rinomanza acquistata all’estero e l’importanza
delle commesse che la confermano.
Purtroppo
alcune
circostanze
sfavorevoli
sembrano opporsi all’avvenire dell’Istituto:
1° la diminuzione dei nuovi impianti idroelettrici
per esaurimento graduale delle fonti di energia
idraulica
2° la mancanza ancora grave di una coscienza
del valore scientifico ed economico delle
esperienze su modelli in ogni altro campo
dell’attività costruttiva
3° infine l’incertezza derivante dall’attuale legge
sulla nazionalizzazione delle imprese elettriche.
La novità principale che l’ISMES ha realizzato è
quella di non limitare l’esperimento al regime
normale dei carichi ma di spingerlo fino al collasso
per riconoscere la riserva di stabilità che la natura
concede alla struttura. Questo richiede una
particolare confezione dei modelli sia per i
materiali che li compongono, sia per le dimensioni
che occorre loro assegnare per realizzare
38
condizioni
pratiche
di
lavoro”.
Il contributo all’ingegneria sismica
Le 5,20 del 28 dicembre 1908: “fu in quel
momento che dalle viscere della terra salì un
rombo. Inizialmente simile a un gorgogliare
profondo, come se qualcosa ribollisse nella
pancia buia del pianeta, per poi risalire potente e
veloce, fino a esplodere in un boato che spaccava
timpani e anime, che trasformava la vita in
qualcosa di oscuro e di sconosciuto. Che
spazzava via dagli occhi il presente senza
sostituirlo con nient’altro. Il mondo dopo non
sarebbe
stato
più
lo
stesso”.
Dal romanzo L’Alba nera
di Mario Falcone, Fazi 2008
Il 28 dicembre 1908 un terremoto di magnitudo
7,1 distrusse la vita di più di 100.000 persone e le
città di Messina e Reggio Calabria.
Con questa tragedia ha inizio la storia
dell’ingegneria sismica moderna ed Arturo
Danusso, allora giovane vent’ottenne, ne è il
geniale e dimenticato pioniere.
A Milano, d’iniziativa privata, viene bandito un
concorso internazionale con piena libertà di
espressione per la soluzione del problema dei
criteri per la ricostruzione. Danusso pensa che il
cemento armato abbia una parola da dire e
affronta
l’argomento
per
proprio
conto,
pervenendo a un risultato teorico incoraggiante,
accompagnato dalla dimostrazione di applicabilità
pratica. Presenta il suo lavoro al concorso nella
primavera del 1909 e una Commissione di 20
professori di statica e di sismologia lo classificano
primo su 230 concorrenti, di cui 37 stranieri,
38
Da Una piccola storia di Arturo, pagg.32-35
22
(premio £. 2000). La commozione che il terremoto
ha suscitato dà risonanza al suo lavoro, che viene
così variamente pubblicato nella letteratura
scientifica. Di conseguenza gli viene proposto dal
Ministero dei LL. PP. (auspice il prof. Panetti)
l’incarico di affiancare, in qualità di ingegnere
capo del Genio Civile, l’opera dell’Ispettore
designato a dirigere la ricostruzione delle città
crollate. L’offerta lusinghiera non garantisce la
stabilità dell’impiego e nemmeno una gratifica di
buonuscita quando l’impiego cessasse, così
Danusso è costretto a rifiutare. Alcune offerte
private di consulenza lo inducono a visitare
Reggio e Messina nell’agosto 1910, per assumere
qualche incarico che naturalmente non sarà in
39
concorrenza con l’impresa Porcheddu.
Il suo lavoro intitolato “La statica delle
costruzioni antisismiche” presentato alla
Società degli Ingegneri ed Architetti in Torino e
pubblicato l’anno seguente, contiene già tutti gli
elementi di approccio scientifico al problema.
“Noi sappiamo che alcune fra le case di Messina
e di Reggio erano mal costrutte, inaccettabili per
regola d'arte persino nei paesi dove il terreno a
memoria d'uomo è rimasto stabile. Ma non
possiamo logicamente inferire che se fossero
state osservate le migliori regole dell'arte oggi
note, la rovina non sarebbe avvenuta, poiché ci
manca totalmente il termine di confronto fra la
resistenza dei nostri migliori edifici e le forze da
cui essi sono minacciati per effetto delle scosse
telluriche.
Prima di riedificare le città distrutte conviene
procurarsi questo termine di confronto, con criteri
strettamente scientifici, ricercando da una parte le
caratteristiche meccaniche dei movimenti sismici,
dall'altra l'effetto dinamico da essi prodotto sulle
membrature resistenti degli edifici.
39
Da Una piccola storia di Arturo, pagg. 15-16
…Anzitutto per studiare la stabilità delle
costruzioni antisismiche non occorre risalire alle
cause geologiche del terremoto. Lasciamo ai
sismologi questo difficilissimo compito: a noi basta
conoscere il fenomeno sismico quale si presenta
alla superficie del suolo,
…possiamo ridurre lo studio di un terremoto
normale a quello di due ondulazioni rettilinee,
l'una verticale, l'altra orizzontale, purchè si
ammetta, per quest'ultima, un'orientazione
comunque variabile.
Rendere minima, compatibilmente colle esigenze
pratiche di una casa, la somma di energia che si
trasmette dalla commozione tellurica al fabbricato.
Consideriamo dell'edificio antisismico soltanto
l'ossatura resistente formata da un complesso di
piedritti e di solai piani … un sistema di masse
concentrate alle altezze dei diversi piani e
…trascurabile la massa dei piedritti fra piano e
piano in confronto con quella dei solai e dei
sovrapposti carichi accidentali.
La scossa sismica
fa
oscillare
il
fabbricato, al quale
durante
le
considerazioni
teoriche daremo il
nome di pendolo
elastico
per
l'analogia che passa
(come vedremo in
breve) tra il moto
della
nostra
ossatura e quello di
un pendolo ordinario.
Ricercando in tal modo la massima fra le
sollecitazioni istantanee dell'asta durante tutto il
movimento, si giunge con formole finali che hanno
il pregio di un'estrema semplicità, al seguente
notevolissimo risultato: che il rapporto fra la
massima accelerazione delle masse costituenti il
fabbricato e la massima accelerazione del
terremoto è funzione di un solo termine numerico,
il quale a sua volta è il rapporto fra il periodo
dell'ondulazione sismica e quello naturale di
oscillazione del pendolo elastico. A questo
termine numerico, per l'importanza che assume
nel calcolo delle costruzioni antisismiche, mi è
parso conveniente dare il nome di caratteristica.
Esso riconduce il problema dinamico delle
costruzioni antisismiche ad un ordinario calcolo di
statica dei sistemi elastici.
… tra la sismologia, che cerca la forma dei
terremoti e le loro caratteristiche meccaniche, e la
scienza delle costruzioni era necessario inserire
una teoria di collegamento del tipo di quella da me
proposta.
23
Per utilizzarla bisogna conoscere una funzione f(t)
che rappresenti con sufficiente
approssimazione la proiezione del
moto tellurico sugli assi coordinati.
D'accordo coi sismologi dovrà il
progettista
raccogliere
i
sismogrammi relativi alla regione
su cui si deve costruire e scegliere
in essi, con giusto criterio, l'onda di
massima intensità sulla quale i
calcoli dovranno basarsi.
Cerchiamo ora di spingere innanzi
la teoria verso l'edificio a più piani, e per
semplicità seguiamo dapprima il caso del
fabbricato a due piani. Sia un pendolo elastico a
due masse m1 ed m2. La conclusione è questa : Il
moto di ciascuna delle due masse del pendolo
doppio si può ridurre ad una combinazione lineare
dei moti delle masse di due pendoli semplici ideali
soggetti a dati movimenti alla base e dotati di
speciali costanti elastiche. Inutile oramai ripetere
che analoghe conclusioni si possono trarre per
case con qualsivoglia numero di piani.”
Il giovane e brillante Arturo Danusso si impegna
fortemente nelle iniziative successive al
terremoto, che vedono coinvolto tutto il mondo
tecnico-scientifico nazionale.
Partecipa e vince il concorso indetto dalla Società
Cooperativa Lombarda di Lavori Pubblici, sotto gli
Auspici del Collegio degli Ingegneri ed Architetti di
Milano, per ottenere tipi e sistemi di Costruzioni
Antisismiche civili, rurali ed industriali da costruire
nelle regioni Italiane soggette al terremoto.
Concorso con elaborati da presentare entro il 31
marzo 1909 ed a cui parteciparono oltre 200
concorrenti.
La proposta di Danusso incontra il favore della
commissione esaminatrice con la sua fondazione
a platea, il baricentro tenuto in basso per mezzo
della riduzione nella superficie dei piani superiori
e la buona connessione realizzata attraverso telai
in cemento armato, posti ortogonalmente nei due
versi, che sono più facilmente costruibili nel Sud
Italia rispetto a telai in legno o in acciaio. Sono
apprezzati anche i calcoli di accompagnamento
del progetto, perché "è di massimo interesse dare
al costruttore una guida più rigorosa di un
semplice criterio intuitivo, al fine di consentire
l'applicazione al presente ramo dell’arte delle
costruzioni di quei calcoli e metodi di verifica, che
costituiscono la base degli strumenti
della
scienza delle costruzioni ", pur con qualche critica
sull’assunzione del moto armonico del terreno per
il terremoto e la scarsa importanza attribuita alla
componente
verticale,
mentre
viene
particolarmente apprezzato il calcolo fornito della
deformazione sotto l'azione sismica, come
qualcosa che lo ha reso in grado di spiegare il
motivo per cui "una eccessiva rigidità dell’edificio
non contribuisce alla sua stabilità ".
Nel corso dello stesso anno, un nuovo concorso
viene bandito dal Collegio Toscano degli
Ingegneri e Architetti, in occasione del XII
congresso degli Ingegneri ed Architetti da tenersi
in Ottobre. Il termine è il 30 giugno, poi prorogato
24
al 31 agosto. Solo 18 progetti saranno presentati
e quello di Danusso (una evoluzione di quello di
Milano) risulta anche qui vincitore, anche se molte
sono le resistenze da parte dei tecnici all’impiego
del Cemento armato, che non conoscono e per la
cui esecuzione non vi è disponibilità di mano
d’opera specializzata.
Nell’Ottobre del 1909 partecipa al XII Congresso
degli Ingegneri ed Architetti tenutosi a Firenze,
con una comunicazione su “ La Statica delle
Costruzioni Antisismiche”, poi pubblicata della
Tipografia dell’Unione Editrice, Roma, ed in cui
formula una proposta:
“Perciò mi è parso utile proporre al Congresso di
Firenze un voto: cioè che il Governo nomini una
Commissione permanente di sismologi e di
ingegneri sperimentati, la quale svolga uno studio
teorico-pratico continuato sull'edilizia antisismica,
coordinando in un solo sistema tutto il contributo
di studi e di esperienze che sarà prodotto dal
mondo tecnico, e in pari tempo abbia facoltà di
discutere, modificare e quindi approvare
rapidamente e con unità di criteri i progetti che
saranno presentati per la ricostruzione.”
Scrive numerosi articoli che escono sulle principali
pubblicazioni del settore:
•
•
•
•
•
•
•
“Le Case che non Crollano (A Proposito del
Terremoto Calabro-Siculo)”, Il Cemento, Vol.
5, No. 1, 1909
“Il Problema delle Case nei Paesi del
Terremoto”, Il Cemento, Vol. 5, No. 2, 1909
“La Statica delle Costruzioni Antisismiche”, Il
Monitore Tecnico, Vol. 15, No. 33, 1909
“Contributo al Calcolo delle Fondazioni
Continue in Cemento Armato”, Il Cemento,
Vol. 5, No. 3, 1909
“La Statica delle Costruzioni Antisismiche”,
Giornale dei Lavori Pubblici e delle Strade
Ferrate, Vol. 37, No. 6, 1910
“La Revisione delle Norme Asismiche
Ministeriali”, Il Monitore Tecnico, Vol. 18, No.
10, Il Cemento, Vol. 9, No. 8,. 1912
“Il Terremoto”, Il Cemento, Vol. 12, No. 2, 1915
Frattanto la Commissione Reale per le Norme
tecniche di costruzione nei comuni colpiti da
terremoto, porta all’emanazione, prima del Regio
Decreto n. 193 del 18 aprile 1909 poi modificato
con il R.D. 1080 del 6 settembre 1912, che pur
con importanti novità, si limitano a fornire divieti e
prescrizioni costruttive.
Il clima è già cambiato ed il fervore dei primi anni
lascia il posto alla ordinaria routine. Nel 1914
muore Italo Maganzini, presidente del Comitato
chiamato a scrivere le norme del 1909; anche
Silvio Canevazzi (1852-1918), membro importante
del Comitato, si disimpegna per motivi di salute;
Modesto Panetti (1875-1957), da scaltro politico
quale si rivelerà nel seguito, superando indenne e
sempre in primo piano, il fascismo, la guerra e la
ricostruzione, capisce che non vi è più da ottenere
40
gloria e si dedica alla carriera universitaria a
Torino ed alla politica. Egli comunque conobbe ed
apprezzò il lavoro di Arturo Danusso, tanto da
41
scriverne pubblicamente le lodi :
“Lo studio matematico di questo fenomeno nel
campo delle costruzioni soggette a scosse
sismiche è merito dell'Ing. Danusso, il quale ne ha
tratte delle conclusioni importanti, che confermano
la legge generale ora indicata. Non è il caso di
rinnovare qui la esposizione delle sue ricerche
geniali, che egli stesso ha esposto in questa sede,
nelle quali considerando le strutture degli edifici
come ritti elastici incastrati al piede e con le
masse concentrate alla estremità superiore dove
si collegano coi ripiani, indaga il movimento di tali
masse in relazione con quello, supposto
armonico, dei piedi dei ritti, e ne deduce il
rapporto fra le accelerazioni massime dell'uno e
dell'altro segnalando il pericolo della risonanza
per costruzioni eccessivamente flessibili e quello
della esagerazione della forza d'urto per
costruzioni eccessivamente rigide. Naturalmente
in questa indagine egli è costretto a trascurare
l'influenza delle resistenze smorzanti del moto, le
quali hanno l'effetto di renderlo ben presto
indipendente dalle sue condizioni iniziali. Ma
d'altra parte il problema di cui si tratta è
precisamente tale da porre in giuoco innanzi tutto
gli istanti iniziali della scossa, ossia il termine di
quel brevissimo periodo nel quale si è prodotta nel
suolo la quantità totale di energia, che si rivela poi
nel moto sismico susseguente. In oltre l'Ing.
Danusso riuscì a dimostrare che un moto
oscillatorio del suolo di ampiezza crescente o
decrescente produce effetti sempre minori di un
moto oscillatorio di ampiezza costantemente
uguale alla massima. Le sue deduzioni meritano
dunque tutta la nostra attenzione, se non come
misura, almeno come indice dei fenomeni da
considerarsi.”
L’interesse cessa soprattutto perchè non era più
tempo per le opere di pace. Dal 28 luglio 1914
l’Europa viene sconvolta dal primo conflitto
mondiale, ed anche l'Italia, con il Patto di Londra
del 26 aprile 1915 entrò in guerra.
Per Arturo Danusso inizia una nuova avventura
con la vittoria al concorso di professore al Regio
Istituto Superiore a Milano.
40
Oggi è doloroso dover riconoscere che la lotta contro tale nemico
non è abbastanza attiva, nè abbastanza rapido il progresso, e ciò pel
fatto che fra i perfezionamenti tecnici ed il problema economico non
c'è in questo campo convergenza di intendimenti, ma contrasto, si
direbbe, incompatibilità …
41
“Sulla Tecnica delle Costruzioni Asismiche. Comunicazione
dell’ing. Modesto Panetti fatta nella Seduta del 26 Giugno 1914.
Estratto dagli Atti della Società degli Ingegneri e degli Architetti di
Torino”, Tip. P. Celanza e C., Torino
25
42
Egli tornerà a scrivere di ingegneria sismica nel
1928 in un lavoro, poi presentato a Liegi nel
settembre 1930, alla prima conferenza sul
Calcestruzzo armato, dove presenta nuovamente
i risultati ottenuti nel 1909-1910, mediante l’uso di
un più efficace simbolismo e l'aggiunta di nuovi
risultati. In particolare, studia il caso di una
massa-molla sottoposta sia ad una eccitazione
che è il prodotto di due funzioni seno ed ad una
prodotto di una funzione coseno ed una seno,
dimostrando che sono meno pericolose rispetto a
quelle precedentemente studiate. Poi egli
esamina un sistema con n gradi di libertà,
generalizzando la soluzione già trovata per i due
gradi di libertà e ribadendo
che "è facile
riconoscere nel movimento di massa di un
qualsiasi pendolo n-uplo una combinazione
lineare del movimento di n pendoli semplici ".
Infine, studia il caso di una torre prismatica
elastica ed omogenea.
Nel suo ultimo lavoro sulle costruzioni resistenti
al terremoto (1946), Danusso riconsidera i risultati
precedentemente
ottenuti,
utilizza
una
terminologia oggi più comunemente usata quando
scrive di "autovalori", e fa riferimento ai lavori di T.
Levi-Civita, Rayleigh, e G. Krall, ma senza nuovi
significativi risultati.
Danusso, almeno apparentemente non sembra
essere a conoscenza delle attività di ricerca
sviluppate nel frattempo da Maurice Anthony Biot
(1905-1985), allievo di Theodore Von Karmann
(1881-1963) al Caltech, che portarono alla
enunciazione del metodo dello spettro di risposta
(RSM) per la soluzione dei problemi in ambito
43
sismico .
42
(1928). “Sulla Statica delle Costruzioni Antisismiche”, Rendiconti
del Seminario Matematico e Fisico di Milano, Vol. 2, .
(1931). “Sulla Statica delle Costruzioni Asismiche”, Atti La
Partecipazione Italiana al Primo Congresso Internazionale del
Calcetruzzo Semplice ed Armato, Liegi settembre 1930, Tipografia
del Senato, Roma.
(1946). “Costruzioni Asismiche” in “Tecnica del Cemento Armato
(G.Albenga)”, Edizioni della Bussola, Roma.
(1952). “Vibrazioni degli Edifici” in “Lezioni sulle Vibrazioni
Meccaniche (B.Finzi)”, Tamburini, Milano.
43
Ad inizio novecento, lo sviluppo della matematica applicata e la
diffusione del suo insegnamento in ambito universitario ed il
verificarsi di alcuni terremoti disastrosi (San Francisco 1906,
Messina-Reggio 1908) sono all’origine della nascita dell’ Ingegneria
Sismica.
Nella California del Sud si deve al Prof. R. Millikan (1868-1953),
l’attivazione di studi di ingegneria sismica. Dopo aver completato il
suo dottorato in fisica alla Columbia University nel 1895, egli
trascorre due anni in Germania tra Berlino e Gottinga. Questa
esperienza Europea sembra abbia influenzato molto le sue iniziative
quando ha assunto la guida del Caltech (California Institute of
Technology) due decenni più tardi, chiamandovi dalla Germania
Theodor von Karman (1881-1963) che nel 1930 divenne il primo
direttore del Laboratorio “Guggenheim” di Aeronautica. La
formulazione matematica del Metodo dello spettro di risposta
(RSM) apparve per la prima volta nella tesi di dottorato in ingegneria
aereonautica di Maurice Anthony Biot (1905-1985), un giovane
originario di Anversa in Belgio. Biot studia presso l'Università
Cattolica di Lovanio in Belgio, dove ottiene un diploma di laurea in
Ma è ad Arturo Danusso, fin dai suoi primi lavori
del 1909, che va ascritto il merito di aver
compreso la necessità di tenere conto delle
proprietà dinamiche degli edifici nella risposta alle
azioni del terremoto e di come un sistema lineare
elastico ad n gradi di libertà possa essere
considerato equivalente a n oscillatori ad un
singolo grado di libertà.
Nel 1949 per iniziativa di Danusso, il Seminario
Matematico e Fisico di Milano promosse, insieme
al Politecnico (con la collaborazione di A. Masotti,
L. Amerio, M. Pastori, O. Sesini, B. Finzi, G. De
Marchi, I. Bertolini) un Corso sulla Meccanica
delle vibrazioni,
L’impegno principale di Danusso è ora coi modelli
ed in Italia nessuno sembra più dare importanza
scientifica al problema sismico.
Sarà l’incontro tra l’ISMES ed il CNR di Colonnetti
a riaccendere la scintilla della ricerca in Italia, con
il coinvolgimento di uno degli assistenti di
Danusso, il prof. Piero Locatelli (1902-1988) e del
prof. Giuseppe Grandori (1921), che così
44
ricorda :
"… è iniziata una collaborazione strettissima con
l'ISMES, che era allora una grosso laboratorio in
espansione . Una delle esperienze più importanti
fu con Lauletta il viaggio in Nuova Zelanda del
1965 alla terza Conferenza Mondiale di
ingegneria sismica; per noi italiani erano i primi
vagiti mentre l'International Association of
Earthquake Engineering, si era già costituita da
10 anni nel 1956 in California. Da allora, però, il
contributo della comunità scientifica italiana risultò
tanto evidente ed importante da attribuirmi il ruolo
di organizzatore della quinta conferenza
internazionale a Roma nel 1973. Un impegnativo
lavoro conclusosi in modo lusinghiero".
Nel frattempo l’'UNESCO, sotto la presidenza di
Fournier D'Albe, era interessato a finanziare
iniziative volte a far progredire l'area Mediterranea
dell'Europa, ancora in fase di decollo economico e
sociale, peraltro particolarmente esposta al rischio
sismico.
Nel 1965 il presidente del CNR Vincenzo Caglioti
convocò a Roma Locatelli e Grandori e propose
loro di coordinare il progetto di tenere un corso
filosofia (1927), in ingegneria mineraria (1929) ed in ingegneria
elettrica (1930), con dottorato nel 1931, allievo di Von Karmann che
svolse un ruolo chiave nel guidare il suo allievo e nella promozione
dei suoi risultati.
Dalla sua formulazione il metodo è rimasto nella sfera accademica
fino all’inizio degli anni ‘70 del secolo scorso, quando la disponibilità
di moderni dispositivi di acquisizione dei dati di eventi sismici e di
elaboratori elettronici ha reso possibile, con la registrazione di 241
accelerogrammi del terremoto di San Fernando in California, di
ottenere la prima analisi empirica di risposta spettrale.
44
Carla M. Kovsca Colani,Enzo Lauletta: la modellazione fisica e
l'approccio dello studio di grandi strutture presso l'ISMES, Istituto
Sperimentale Modelli e Strutture
26
annuale
di
Ingegneria
Sismica
come
specializzazione post-laurea.
Nella riunione del Consiglio di Amministrazione
dell'ISMES che si tenne presso la sede dell'ENEL
di Roma il 22 novembre 1966, il prof.Guido Oberti
diede notizia ufficiale della collaborazione con il
CNR per l'avvio del primo corso Internazionale di
Ingegneria Sismica. Pier Luigi Nervi, presidente
dell'Istituto espresse, oltre al compiacimento, la
speranza che in questo contesto, avrebbero
potuto scaturire i necessari aggiornamenti del
regolamento
antisismico
vigente,
da
lui
espressamente sollecitati da tempo. Nasce il
Centro Internazionale d’Ingegneria Sismica
ICEE che viene intitolato ad Arturo Danusso.
Dal gennaio a luglio 1967 si tenne nelle due sedi
di Milano e Bergamo, il primo Corso
Internazionale post-laurea in Ingegneria Sismica e
con crescenti difficoltà sotto il profilo finanziario,
ma con motivazioni scientifiche ed istituzionali
sempre maggiori, i corsi dell'ICEE si protrassero
lungo i due anni seguenti fino al 1969. L'ing.
45
Lauletta ne fu il coordinatore.
Poi improvvisamente il quadro di riferimento
istituzionale cambia radicalmente, con i vertici del
CNR che non ritenevano più importante
proseguire con dei finanziamenti in questo settore
e l'UNESCO che individua altri paesi nell'area
mediterranea a cui devolvere risorse per lo
sviluppo.
Ma questa esperienza dell'ICEE aveva prodotto
una
trasformazione
profonda
nell'ambito
accademico.
Grazie a questa esperienza presero l'avvio negli
Atenei di Ingegneria numerosi corsi di ingegneria
sismica ed ebbe inizio un lavoro di ricerca che ha
permesso all’Italia di recuperare il ruolo di leader
in Europa. Furono quelli anche gli ultimi anni di
lavoro all’ISMES di Lauletta ( che morì nel 1971) e
che riuscì ad organizzare una settantina di prove
sul problema sismico.
In questa storia, che non si è comunque conclusa,
trova sbocco quel cammino della ricerca sui
modelli tanto cara al prof. Danusso, che così
aveva ben illustrato, in un suo scritto al tempo
della nascita dell'ISMES:
“L'idea viene attuata, il primo tentativo si compie.
L'orizzonte del problema si allarga, appare la
necessità di perfezionare l'impostazione; il
processo di ricerca si acuisce, si approfondisce.
45
Lauletta ha fornito in ambito italiano i più importanti contributi
teorico sperimentali sull'utilizzo del paraboloide iperbolico in
architettura, avviò la partecipazione dell'Ismes alla collaborazione
internazione con la IASS, International Association of Shell
Structures, fondata da Eduardo Torroja nel 1959, nella quale Guido
Oberti e il Comitato Scientifico dell'Ismes mantennero un ruolo di
preminenza fino alla fino del XX° secolo. Ricordiamo in particolare il
Convegno Internazionale IASS, svoltosi nel 1995 a Milano: Spatial
Structures: Heritage, Present, and Future, edito da Gian Carlo
Giuliani, dove l'ISMES ha contribuito come ente organizzatore.
Nuove idee, nuovi bagliori si annunciano: il
secondo, il terzo tentativo vanno attuandosi.
L'oggetto di tutte queste cure si trasforma e si
plasma in forme sempre più armoniche […]. Altri
ricercatori intanto si fanno avanti, ansiosi di
associarsi a questa creazione. Nuovi contributi,
nuovi perfezionamenti; ma, ad onta della varietà
delle menti che collaborano, ecco che la serie di
tentativi va convergendo visibilmente verso un
limite che non si tocca, ma che si continua a
sfiorare.”
Sarà con il terremoto del 23 novembre 1980,
quando verso le 19.00 della sera una lunghissima
scossa della durata di un minuto e venti secondi,
di magnitudo 6,8 della scala Richter, rase al suolo
36 paesi situati al confine tra la Campania e la
Basilicata, in Irpinia, che il nostro paese prenderà
coscienza della necessità di affrontare con
decisione ed in maniera organica il problema della
difesa dai terremoti . Si contarono 2.735 morti e
8.850 feriti. Fu un disastro gigantesco e tutta
l'Italia si mobilitò commossa come non mai.
Il 10 dicembre 1980 i Proff. Franco Barberi e
Giuseppe Grandori, presentarono alle competenti
Commissioni del Senato, alla presenza del
Presidente della Repubblica, una ormai storica
"Relazione del C.N.R. sulla difesa dai
terremoti, in merito alla lezione traibile dal
sisma del 23 novembre 1980". In essa si
esprimevano valutazioni e proposte di notevole
rilievo metodologico sul ruolo della comunità
scientifica, valide anche per la gestione delle
calamità naturali in generale.
In tale documento si affermava: "Ma vi è un altro
ordine di difficoltà, che deriva dal fatto che il
mondo scientifico non può dettare in modo diretto
le soluzioni operative; queste infatti hanno enormi
implicazioni sociali in termini di vittime, di danni
diretti ed indiretti, di distribuzione del peso
economico di una politica di prevenzione fra tutti i
membri della comunità nazionale. Ai ricercatori
spetta il compito di chiarire le conseguenze delle
diverse decisioni possibili, ma la scelta finale
spetta all’intera comunità attraverso meccanismi
decisionali adeguati".
Nasce presso il CNR, il Gruppo Nazionale Difesa
dai Terremoti, diventa operativa la Protezione
Civile e si attiva un percorso virtuoso, anche se
con risorse umane e finanziarie sempre esigue,
culminato con la costituzione della Rete Sismica
Nazionale Centralizzata. Poi avviene qualcosa,
con il terremoto del Molise del 2003 ed il crollo
della scuola di San Giuliano, inizia il tempo delle
ordinanze e nel 2004 cessa l’attività il GNDT.
Nella lettera di commiato il presidente prof.
Claudio Eva esprime rammarico per “ la fine della
ventennale esperienza di stretta collaborazione
tra le varie anime scientifiche che convergono
nella mitigazione del rischio sismico.”
27
Siamo oramai ai giorno nostri e la storia lascia il
posto alla cronaca, e forse è meglio tacere ancora
per un po’.
Ricordi e testimonianze
Prof. Ing. Giuseppe Grandori
Politecnico Milano.
Arturo Danusso, un grande maestro con il quale
ho avuto la fortuna di poter discutere i miei primi
lavori sulla plasticità.
Nel campo dell’ingegneria sismica Danusso è
stato “un geniale e dimenticato pioniere”. I suoi
studi, apparsi dopo il terremoto di Messina,
proponevano concetti e metodi innovativi per lo
studio degli effetti dei sismi sulle costruzioni;
concetti e metodi che anticipavano l’impostazione
successivamente
adottata
come
base
dell’Ingegneria sismica moderna. Questa fiorì
negli anni ‘30 e raggiunse una struttura scientifica
condivisa solo nel dopoguerra. Purtroppo gli studi
di Danusso erano pubblicati in italiano su riviste
non specialistiche e non raggiunsero apprezzabile
diffusione a livello internazionale. D’altra parte in
Italia gli studi di ingegneria sismica fiorirono solo
negli anni ’60 e si innestarono direttamente nel
grande fiume della ricerca internazionale, guidata
essenzialmente dai Californiani e Giapponesi. A
dire il vero. i contribuiti di Danusso sono citati con
molto onore in una inportante opera in lingua
inglese apparsa
nel 1932. Si tratta di un
importante lavoro di raccolta delle osservazioni
allora disponibili sugli effetti di molti significativi
terremoti verificatisi nel mondo. L’autore, Jhon
Freeman, era un autorevole ingegnere americano
il quale si lamentava del fatto che la sismologia
studiasse cause e caratteriastiche dei terremoti
ma non fornisse agli ingegneri i dati fisici
necessari per prevedere gli effetti sulle
costruzioni. Da ciò l’indagine “Earthquake effects
and earthquake insurance” in cui un corposo
capitolo è dedicato alla “lesson from Italians
eatrhquake” ed alla minuziosa descrzione degli
studi di Danusso.
Ing. Emanuele Fumagalli Direttore Generale
dell’ISMES, dimessosi nel 1979 ed “emigrato”
in Canada.
Dietro una cortesia bonaria d'alta classe si celava
un animo quasi francescano. Grande maestro
(docente emerito di Scienza delle Costruzioni al
Politecnico di Milano), sorprendeva per l'acume
del suo ingegno. Ogni onesto studente uscendo
da una prova d'esame non aveva motivo di
risentimento per una sonora bocciatura.
Il suo non era un esame, era un colloquio cui
occorreva partecipare con conoscenza della
materia e senso critico. Peraltro non mancava di
una certa arguzia che l'età matura rendeva
garbatamente impertinente. Ricordo l'incontro
avuto all'ISMES quando, su invito di Pesenti, il
conte Cini fece visita all'Istituto, perché i due
grandi
promotori
dovessero
compiacersi
reciprocamente del buon successo dell'iniziativa.
A Danusso toccò di far gli onori di casa. Egli
interloquì dicendo: "Ed ora che i due portafogli si
sono abbracciati, vediamo che si può fare per
soddisfare alle nostre modeste necessità".
Lo scrivente ebbe motivo di conoscerlo meglio
solo in età avanzata, quando la memoria talora lo
tradiva. Ricordo quando fu chiamato a progettare
la ricostruzione della guglia della Mole
Antonelliana, caduta nel corso di un fortunale.
Dell'Antonelli come statico non nutriva una
particolare stima, ma peraltro anche sul grande
Brunelleschi aveva le sue riserve, perché . a suo
dire . la statica del Cupolone di Santa Maria del
Fiore non era in fondo ben equilibrata.
Era invece pieno d'ammirazione per la saggezza
di Michelangelo. Orbene, in quel periodo ogni
martedì era all'ISMES, dove si doveva maturare il
progetto prima di dar seguito alla verifica su
modello. lo venivo convocato per colmare le
lacune mnemoniche e mi chiedeva a che punto si
era giunti il martedì precedente.Prudentemente io
mi ero fatto un appunto che gli esponevo con
diligenza, leggendo in lui quasi l'ammirazione di
vedere riapparire il quadro della situazione,
soddisfatto di quanto andavo dicendo, quasi che
lo sviluppo del progetto fosse in buona misura
opera mia.Quando la mia esposizione era finita,
ecco emergere l'uomo d'ingegno che . preso il
timone . procedeva nello sviluppo dei calcoli e nel
dimensionamento delle opere con chiarezza e
semplici note, affidate ad un modesto foglio che
gli avevo fornito. All'occasione non mancava di
humour. Pregato dal Vescovo di Bergamo di
verificare la statica di una chiesa di una
parrocchia in Valle, vi si recò e ne decretò la
condanna. Sprovvedutamente la chiesa era stata
costruita per metà su fondazioni in roccia, mentre
la parte restante gravava su terreno di riporto non
consolidato che, con il tempo, aveva iniziato ad
assestarsi e a scivolare lungo il pendio,
portandosi
dietro
metà
del
fabbricato.
Cercò, mi disse al rientro, di spiegare al parroco
con semplici parole la gravità del caso, ma
questo, irrigidendosi, non se ne dava per inteso
finché alla fine mandò a chiamare il capomastro
del paese il cui parere, a giudizio del parroco,
doveva valere almeno quanto il suo.Il dialogo si
svolse in buona misura in purissimo dialetto
orobico, a lui alquanto ostico, ma alla fine - mi
disse - riuscì a convincere il tecnico del luogo e
questo portò a smussare e ad appianare in parte
l'ostilità che il suo giudizio di condanna aveva
determinato nel parroco (evitandogli per
l'occasione un anatema). E di norma che il
maestro esprima la propria benevolenza verso gli
allievi più meritevoli. Per Danusso era
esattamente l'opposto. Mia moglie conserva un
28
biglietto a me inviato, che chiude con la frase
"Perché
lei
mi
vuol
bene,
vero?".
Questo era, per finezza d'animo, il Prof. Danusso
che io ho conosciuto.”
Prof.ing.Leo Finzi:
L’ingegneria moderna gli deve moltissimo.
Danusso è riuscito a trovare un punto d’incontro
(e non era facile) tra la scienza e l’arte del
costruire.
Arturo Danusso e la sua famiglia.
La famiglia Danusso viveva a Milano e passava le
estati a Levanto, a villa Dina. A tutto pensava la
moglie Alessandra (Dina), che mandava avanti
egregiamente la famiglia, lasciando ad Arturo la
possibilità di lavorare tranquillamente, cosa che
faceva sempre, anche nelle estati a villa Dina. La
loro è stata una famiglia unita. Ai quattro figli fu
impartita una educazione rigida. Noretta
(Eleonora) nata nel 1907 e sposata a Franco
Pozzi ginecologo, non ebbe figli ed è vissuta 98
anni, che dal padre aveva ereditato il carattere
ascetico. Emma, (1909-1999) dal carattere vivace
come quello della madre, sposò un allievo del
padre, l’ing. Aldo Tommasini, con cui ha avuto
una vita avventurosa tra l’Africa (dove Aldo fu
fatto prigioniero per 5 anni ed Emma rinchiusa in
un campo di concentramento inglese per 3 mesi,
ed il Brasile, nel Minas Gerais dove adottarono un
bimbo mulatto. Silvia (1918) che ancora oggi è
una alta ed elegante signora, da tempo vedova
dell’ing. Renato Targetti, con tre figli (Roberto,
Lorenza e Raimondo).
Ferdinando, l’ultimo dei figli di Arturo ed
Alessandra. Nacque infatti il 18/10/1921 a Milano.
Ancora giovane studente attrezzò nella soffitta
di casa un piccolo laboratorio di chimica per i suoi
esperimenti ed a 18 anni scrisse un libro di
chimica per i licei, edito da La Prora. Dopo che
ebbe terminato il liceo classico all' istituto
«Gonzaga», si iscrisse al Politecnico di Milano,
ma con lo scoppio della seconda guerra mondiale
fu chiamato alle armi, come ufficiale di artiglieria.
L’8 settembre 1943 lo colse in Francia, dove
l’esercito si disgregò: riuscì a raggiungere sano e
salvo la sua famiglia sfollata a Cernobbio e decise
di fuggire in Svizzera, dove rimase internato fino
alla Liberazione. Tornato a Milano, riprese gli
studi e nel 1948 sposò Lorenza Serafini, dalla
quale ebbe due figlie, Cristina (1951) e Cecilia
(1960). Nel 1950 si laureò in Ingegneria
industriale (con indirizzo chimico) e iniziò la sua
carriera universitaria, tutta all’interno del
Politecnico di Milano. Prima come assistente alla
cattedra di Chimica Industriale, poi nel 1955, dopo
aver ottenuto la libera docenza in Chimica Fisica,
come professore incaricato di Materie Plastiche
ed Elastomeri. Nel 1962 divenne coordinatore del
Centro Nazionale di Chimica delle Macromolecole
del CNR, carica che manterrà fino al 1969.
Nel 1963 risultò vincitore del concorso a cattedra
in Tecnologia dei Materiali e Chimica Applicata e
fu successivamente chiamato alla cattedra di
Chimica Macromolecolare, di nuova istituzione,
tenuta fino al collocamento a riposo, nel 1992.
Fu il primo scienziato italiano ad applicarsi allo
studio delle macromolecole con studi sulla sintesi,
caratterizzazione
e
proprietà
fisiche
e
ingegneristiche
di
composti
e
materiali
macromolecolari di nuova struttura e concezione.
Nel 1954, essendo nell’équipe del prof. Giulio
Natta, partecipò con altri cinque colleghi alla
scoperta della polimerizzazione stereospecifica
(Moplen) che valse a Natta il Nobel nel 1963, ed
ebbe il privilegio di leggere, al posto dello stesso
Natta, già malato di Parkinson, il discorsoconferenza di fronte a Re Gustavo ed agli
accademici di Svezia.
All’interno del Politecnico di Milano fu per un
periodo presidente del Consiglio di Corso di
Laurea in Ingegneria Chimica e promotore
dell’istituzione del nuovo corso di Laurea di
Ingegneria dei Materiali.
Membro di Advisory board di riviste ed
enciclopedie internazionali (Polymer, Polymer
Science, Comprehensive Polymer Science, ecc.),
coautore del libro “Stereoregular Polymers and
Stereospecific Polymerizations. The contributions
of Giulio Natta and his school to Polymer
Chemistry” (Pergamon Press, 1967), con cui
Natta spiegò la scoperta del polipropilene
isotattico, espose i risultati delle sue ricerche in
oltre 200 pubblicazioni, prevalentemente nel
campo della chimica macromolecolare.
Morì il 1 febbraio del 2006 e per tutti coloro che lo
conobbero,… se n’è andato Nandin.
29
Alcune opere significative
Durante la guerra il ponte ha sopportato il
passaggio dei tank tedeschi in ritirata.
Nel 2004 è stato oggetto di un intervento di
restauro e le prove di carico hanno attestato una
portata di 350 ton.
Il Ponte sull’Astico a Calvene
I Tralicci dello stretto di Messina
Realizzato nel 1907-08 dall’impresa Porcheddu su
progetto di Danusso è un ponte ad arco
fortemente ribassato, con sezione cellulare. Luce
di 34.50mt. larghezza della carreggiata di 3,0mt
freccia 2,0mt. L’arco è largo 2,6mt di spessore
I cosiddetti Piloni dello Stretto sono ora dei
tralicci in disuso della linea elettrica ad alta
tensione a 220 KV che attraversava lo stretto di
Messina fra la Calabria e la Sicilia. Il Pilone di
Torre Faro, alto 232 metri, fu costruito tra il 1948
ed il 1955 ad opera della S.G.E.S. (Società
Generale Elettrica della Sicilia) su progetto di
Arturo Danusso, per collegare l'isola al continente
con un elettrodotto aereo, la cui campata era
lunga 3.650 metri, mentre il traliccio calabrese,
situato sulla sommità della collina di Santa Trada
è alto 224 mt. Pur con dimensioni minori, supera
comunque l'altezza del primo perché collocato a
costante pari a 50cm, sostiene la soletta di 12cm
di spessore attraverso due muretti laterali di
sp.30cm. Le spalle pure a sezione scatolare, con
due pareti di 90 cm lunghe 5,50mt, la soletta
superiore di sp.12cm e quella di base sp.20cm
che appoggia sulla platea di fondazione.
Il progetto e la calcolazione di questo ponte e la
perfetta esecuzione mettono quest’opera fra le
migliori ideate strutture in cemento armato. La
leggerezza e l’eleganza del manufatto sono
notevoli, se si considera l’epoca in cui fu
46
eseguito .
Nel 1935 Danusso in Le autotensioni (LEP
Milano) scriverà:
“… da un quarto di secolo in ottime condizioni di
funzionamento e quindi largamente sperimentate,
in contrapposto coi risultati del calcolo statico oggi
consacrato da norme di legge, calcolo che,
applicato a quelle costruzioni, condurrebbe a
risultati disastrosi.”
Nella relazione di calcolo si legge: …
proponiamoci di contrappesare l’arco con rinforzi
dietro le spalle… potremo così contare su tutto
quel grado d’incastro che la forma dell’arco
consente.”
46
un'altezza maggiore.
Dopo il loro completamento, la durata ed
estensione delle oscillazioni delle strutture furono
determinate in un modo molto insolito: i tecnici
hanno montato tre razzi con una spinta di 9800
kN sulle parti superiori dei piloni e li hanno accesi.
L'inaugurazione avvenne il 15 maggio 1956, in
occasione del decennale della nascita della
Regione siciliana, e l'opera con due piloni
Ponti Italiani in C.A. Sanaterella Miozzi Hoepli 1924
30
autoportanti rappresentò, con l'elettrodotto aereo
di 3650 metri, la più grande campata elettrica del
mondo.
Un’opera faraonica per quei tempi, che dopo
avere vinto il Premio ANIAI nel 1957, come
migliore realizzazione dell’elettrotecnica italiana,
fu dimessa nell’1985 per far posto ad un
collegamento elettrico sottomarino di nuova
generazione.
Pur non avendo più alcuna funzione pratica, i
piloni non furono abbattuti, e oggi rappresentano
un'attrazione turistica dello Stretto.
47
Ricorda il prof. Leo Finzi : sul finire degli anni
quaranta collaboravo con lui alla progettazione
delle torri a tralicci in acciaio, alte oltre 200 metri,
per l’attraversamento dello stretto di Messina con
linee a 220 Kv e lo ricordo nel suo studio la sera
intento a raffrontare con acume in termini di
efficienza statica e dinamica una ricca rosa di
soluzioni che si era proposto e a migliorarle e a
correggerle sereno ed entusiasta ad un tempo.
sin
dal
tempo
della
sua
costruzione.
Dalla piastra di fondazione si innalza l'edificio, che
supera i 102 metri di altezza con 33 piani
complessivi,
di
cui
due
interrati.
La struttura portante è in cemento armato, non
basata su pilastri ma su quinte orientate
diversamente per garantire la massima resistenza
di fronte alle fortissime spinte derivate dall’altezza,
e dalla relativamente contenuta dimensione in
pianta. Salendo verso l'alto, la sezione delle
quinte si assottiglia e si biforcano. Quattro delle
sei pilastrate sono arretrate di mt. 2,50 all'interno
del perimetro della base, un rettangolo di m 30 x
18, determinando così lo sbalzo continuo dei
solai.
La torre Velasca
La torre Galfa
Costruita tra il 1956 ed il 1959 su progetto
dell’architetto Melchiorre Bega, e consulenza al
progetto strutturale di Arturo Danusso, si trova nel
cuore del centro direzionale milanese, a pochi
passi dalla Stazione Centrale e dal vicino
Grattacielo Pirelli, tra le vie Galvani e Fara, dalle
La Torre Velasca, con i suoi 99 metri di altezza
(28 piani e 2 interrati), si trova a sud del Duomo di
Milano, nella piazza omonima. Progettata dallo
studio BBPR con la collaborazione di Arturo
Danusso per la parte strutturale, venne realizzata
tra il 1956 e il 1958 dopo un iter progettuale lungo
quali deriva l'acronimo (Gal-fa) con cui è chiamata
47
Leo Finzi, In memoria di A.Danusso, Costruzioni metalliche, N.1
1969
31
e complesso. L'edificio è diviso in due parti che ne
individuano le funzioni differenti: il volume
inferiore destinato al terziario e commerciale,
quello superiore, aggettante, dove si trova la
funzione residenziale. Il rivestimento in pietra,
unitamente alla raffinatezza dei dettagli costruttivi,
ne fanno un manifesto della ricostruzione italiana.
Qui
la
forma
è
struttura,
enfatizzata
dall’ampliamento
della
parte
superiore
(determinato
da
esigenze
di
massimo
sfruttamento della cubatura costruibile). A
garantire l’equilibrio di questo colossale fungo in
cemento armato gettato in opera, un nucleo
centrale rettangolare e 16 pilastri perimetrali. Due
piastre orizzontali, dissimulate nei solai,
mantengono la risultante dei pesi lungo la linea
spezzata dei pilastri: un sistema di tiranti stringe
verso
l’interno
i
pilastri
all’altezza
del
diciassettesimo piano mentre una doppia soletta
compressa li puntella al quattordicesimo. I pilastri
hanno sezione rettangolare alla base che si
trasforma a T nello sviluppo in altezza.
Dal 15° al 18° piano la pianta si allarga, i pilast ri si
inclinano all’esterno, con uno sbalzo di 3,20mt,
per poi sorreggere gli ultimi 10 piani.
Per dimensionare e verificare la complessa
struttura, la cui conformazione varia piano per
piano, Danusso ricorse ad una serie di prove su
modelli nel laboratorio dell’ISMES di Bergamo.
Il grattacielo Pirelli
Nel 1950 Alberto Pirelli, presidente dell’omonima
società, decise di costruire un grattacielo in cui
trasferire la sede direzionale dell’azienda,
nell’area di piazzale Duca d’Aosta, dove
sorgevano i vecchi stabilimenti della Pirelli, e su
cui vi erano imposti pochi vincoli architettonici. Il
suo principale progettista è Giò Ponti, cui si deve
la definitiva scelta formale, con lui hanno
collaborato Antonio Fornaroli, Alberto Rosselli,
Giuseppe Valtolina e Egidio Dell’Orto.
Ultimata la demolizione delle preesistenti
fabbriche, tra il giugno e il dicembre del 1955 vi si
installò il cantiere con l’impianto di produzione del
calcestruzzo. L’impresa esecutrice fu la Bonomi in
associazione con la ditta Comolli. Il cantiere ed i
lavori furono gestiti direttamente dalla Pirelli. Il 12
luglio 1956 fu ufficialmente posata la prima pietra.
La costruzione del grattacielo fu seguita dai
giornali e dalla televisione fino all’inaugurazione
avvenuta nel 1960. Nel 1978 l’edificio fu venduto
alla Regione Lombardia. Le trattative furono
condotte da Leopoldo Pirelli e da Cesare Golfari,
l’allora presidente della Regione.
Il Pirellone, come lo chiamano affettuosamente i
milanesi è uno dei più celebri simboli della città. È
un'opera architettonica importante, propria del
razionalismo italiano; con i suoi 127,10 metri di
altezza è uno degli edifici in cemento armato più
48
alti al mondo.
Questo "piccolo grattacielo" affilato (m 127,10 di
altezza, 18,50 di profondità al centro, 70,40 di
larghezza) "emerge", con la sua forma
"essenziale", che deve molto alla “semplicità”
della sua struttura portante, in cui come
raccontava Pier Luigi Nervi "si è andati a caccia
dei pesi inutili". È una "forma finita ", nata da una
"invenzione strutturale" che per realizzarsi
richiese il meglio dei pensieri di Nervi e Danusso,
per garantire la stabilità all’azione del vento, in un
edificio in cui il rapporto larghezza/altezza è molto
piccolo, e che costituiva un problema senza
precedenti per soluzioni in cemento armato. La
struttura così come realizzata è scaturita dal
confronto tra Giò Ponti e gli altri architetti e gli
ingegneri Nervi e Danusso, di cui Ponti così
scriverà:
“l’uno di fama internazionale d’audacia e bellezza
di opere dove brilla una immaginatività
d’eccezione;
l’altro
per
fama
altrettanto
internazionale in questo campo di dottrina e
d’insegnamento, di rai valori e virtù: affascinanti
personalità umane ambedue, entrambi due grandi
49
maestri.”
Per arrivare alla soluzione finale sono state
necessarie cinque successive soluzioni che
hanno portato dalla prima ipotesi di una maglia
48
E’ uno degli edifici più alti d'Italia dopo la Torre Telecom Italia di
Rozzano (187 metri), la Mole Antonelliana di Torino (167 metri), la
basilica di San Pietro a Roma (136 metri) e la Torre Telecom Italia di
Napoli (129 metri).
49
Domus,n.316 anno 1956.
32
regolare di pilastri e travi alla megastruttura alla
fine realizzata con la caratteristica forma
lenticolare. È una struttura composta di pochi
grandi elementi: le punte scatolari e i due grandi
setti trapezoidali fortemente rastremati ed
alleggeriti dal basso in alto, che sostengono i solai
di grande luce, fino ai 24 metri della campata
50
centrale .
Per le fondazioni, che dovevano sorreggere un
peso di 60.000 ton. fu organizzata una livellazione
di precisione che rilevò un abbassamento di 10
mm con variazioni relative trascurabili.
Per mettere a punto i dettagli Nervi e Danusso
utilizzarono, oltre ai calcoli, prove su modelli
(all’ISMES di Bergamo ne vennero costruiti due:
uno dell’insieme alto undici metri, ed uno di un
elemento del solaio in scala 1:5).
Per questo progetto, la cui mole supera tutti quelli
precedenti, Arturo Danusso non si sente di
seguire la sola via teorica poiché non può affidarsi
alla sua esperienza e chiede ai Pirelli di affiancare
lo studio con un modello dicendo che: «la scienza
delle costruzioni ha bisogno del continuo controllo
dell’esperienza perché i suoi schemi non hanno la
possibilità di rappresentare interamente il
fenomeno naturale a cui si riferiscono».
Ottiene così il consenso, e il modello di 10 m di
altezza è costruito all’ISMES, mentre un modello
minore è sperimentato nella galleria del vento al
Politecnico, e dimostra che il grattacielo avvolto
dal vento agisce all’incirca come un’ala di
aeroplano e quindi tutto quello che è
sostentamento per l’ala diventa gravame contro la
torre. In particolare l’azione massima di risucchio
del vento propone il problema della resistenza dei
vetri delle finestre ed obbliga a prevederne il
51
rinforzo.
Agli atti rimane la definizione dispregiativa di
Bruno Zevi di “mobile bar ingrandito alla scala di
grattacielo”. Evidentemente non era d’accordo
con lui Walter Gropius (1883-1969) che con lo
studio Emery Roth & sons progettava il Pan Am
Building (246mt) di New York, inaugurato nel
1963 e chiaramente ispirato al Pirellone.
Il giorno 18 aprile 2002, alle ore 17,50, un aereo
privato ha colpito il Pirellone all'altezza del 25°
piano, causando tre morti e decine di feriti, ma
senza danni importanti alla struttura.
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•
Crediti
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50
Il ponte del Risorgimento attraverso il Tevere
in Roma,Tip. Artero Roma 1911
A. Danusso, In memoria di G.A. Porcheddu, Il
cemento Armato n.11 Nov.1937 Milano
Solai che inizialmente dovevano essere precompressi per limitare
la freccia, ma che non fu necessario fare a seguito delle prove
all’ISMES che assicurarono del buon risultato anche senza.
51
Da una piccola storia di Arturo, pag.37
•
•
A. Danusso, Il problema spirituale nel
processo formativo della tecnica. In:
L'ingegnere, n. 4, 1951
Memorie presentate al Symposium su La
plasticità nella Scienza delle Costruzioni,
Zanichelli Editore BO 1956
La scienza e lo spirito negli scritti di ARTURO
DANUSSO, Morcelliana Brescia 1978.
Arturo Danusso, Tra scienza e tecnica. Tesi di
laurea di Giorgia Favaretti IUAV 1999-2000,
relatore prof. Enzo Siviero
Calderini Chiara, I monumenti della paura:
cultura e tecnica del cemento armato nel
restauro dei monumenti in Italia (1900-1945),
Cap. 6 Il Consolidamento della cupola di San
gaudenti a Novara: rapporti e scontri tra
tradizione e modernità (1931-1947).Tesi di
laurea, Politecnico di Torino, Facoltà di
Architettura,2000
Enzo Siviero Ilaria Zampini L’ingegneria dei
ponti in Italia nel XX secolo.
Tullia Iori, Il boom dell’ingegneria italiana:il
ruolo di Gustavo Colonnetti e Arturo Danusso
http://www.storiadimilano.it/citta/milanotecnica/
volo/linate_malpensa.htm
Francesco Ogliari. Linate, dagli idrovolanti ai
jet ,Trasporti in Lombardia n.6 /2001
Carla M. Kovsca Colani, L'International Center
of Earthquake Engineering: una tappa
importante dell'Ingegneria Strutturale italiana
(1967-1969)
Carla M. Kovsca Colani,Enzo Lauletta: la
modellazione fisica e l'approccio dello studio di
grandi strutture presso l'ISMES, Istituto
Sperimentale Modelli e Strutture
Sergio Poretti,Ingegneria e architettura nel
modernismo italiano:strutturalismo e realismo
http://www.asim.it/ismes/Ismes_It/default.htm
Franco Manzoni, Danusso, dalle
macromolecole all’invenzione del «Moplen» Corriere della Sera del 21 febbraio 2006
Roberto Gori, THE EARLIER HENNEBIQUE
R/C BRIDGES BUILT IN ITALY TICCIH
Congress 2006 Terni 14-18 september 2006
Umberto Barbisan Matteo Guardini,
Reinforced concrete: A short History, 2007
Tecnologos Editore
Luigi Sorrentino, The Early Entrance of
Dynamics in Earthquake Engineering: Arturo
Danusso’s, ISET JOURNAL OF
EARTHQUAKE TECHNOLOGY vol.44 anno
2007
S. Poretti, L’ingegneria e la “scomparsa delle
lucciole”, in A. Buccaro, G. Fabbricatore, L.M.
Papa (a cura di), Storia dell'ingegneria, 1°
convegno nazionale, Napoli 8-9 marzo 2006,
vol. 1, pp. 157-166;
S. Poretti, “Ingegneria e architettura nel
modernismo italiano”, Storia dell’Ingegneria
Atti del 2° Convegno Nazionale Napoli, 78-9 aprile 2008 a cura di Salvatore
D’Agostinovol. 1, pp. 331-338; Entrambi
disponibili su www.aising.it
S. Poretti, Un tempo felice dell’ingegneria
italiana. Le grandi opere strutturali dalla
ricostruzione al miracolo economico,
«Casabella»,N.739-740, 2006, pp. 6-11;
33
•
Oltre ai numerosi lavori sull’argomento della
Prof.sa Ing.Tullia Iori riportati sul sito:
www.tulliaiori.com
Non si può seriamente pensare a chiudere nella cerchia
ferrea di norme legali gli accorgimenti teorici e pratici di
un ramo qualunque della tecnica, accorgimenti mutevoli
col progredire d’ogni giorno, suscettibili di varie
interpretazioni, resi efficaci soltanto dalla sapienza e
dalla discrezione di chi, vivendone il quotidiano
esperimento, impara a coordinarli per un buon fine. Chi
penserebbe mai a regolamentare i precetti diagnostici
della medicina, o gli accorgimenti operatori della
chirurgia, e a presentare al prefetto il programma di
cura di un malato, perché venga verificato ed
approvato?...
Ma vi è di peggio. Non si possono sempre avere, per
l’applicazione di un regolamento, funzionari di grande
valore, capaci di interpretarne lo spirito più che la
lettera, capaci soprattutto di superarlo di fronte alla
richiesta di un progettista che proponga qualche novità
o qualche sano ardimento. E siccome soltanto alla
somma di questi ardimenti, frutto di forti meditazioni
individuali, è dovuto il progresso della costruzione,
poiché uno avrà osato per primo, e gli altri oseranno
sull’esempio di quello… Non si racchiuda in norme
protocollari il sacro fermento degli spiriti. Si istruisca e si
educhi fortemente il futuro costruttore col valido
insegnamento dei fondamenti culturali nella scuola e
con un tirocinio pratico, sotto l’altrui responsabilità, nei
primi anni di lavoro. Dopo gli si conceda la libertà dei
suoi atti pareggiandola con la contropartita della
responsabilità personale. Meglio arrischiare qualche
immeritata concessione di fiducia in regime di libertà,
che tarpare le ali ai migliori con la tirannia di una
costrizione legale, che rende illusorio il buon fine della
prevenzione dei crolli, mentre realizza in pieno il cattivo
fine di inceppare il progresso e di dare agli inetti
l’albagia del sapere falso e posticcio.
Arturo Danusso,
intervista al Corriere della sera 1929
Scritti
52
1.
Contributo al calcolo delle fondazioni continue in
cemento armato, Il cemento 1907
2. La statica delle costruzioni antisismiche, Atti
Società degli Ingegneri ed architetti in Torino 1909
3. Il massimo momento negativo nelle travi di
cemento armato perfettamente incastrate agli
estremi, Il cemento n.17 1910
4. Sul calcolo corrente delle travi a traliccio con
maglie rettangolari, Il Cemento n.3 1910, n.6 1919,
n.7 1928
5. Il calcolo delle sezioni di cemento armato
sollecitate separatamente da due moneti flettenti di
opposto segno, Il Cemento n.14 1910
6. Il cemento armato nel campanile di S.Marco, Il
cemento n.9 1912
7. La ghisa cerchiata, Il cemento n.10 1913
8. Reitrag zur Berechnung der kreuzweise bewhrten
Eisembetonplatten und deren Aufnahmetrager,
Berlin 1913
9. Il palazzo delle feste in Breslavia, Il cemento n.23
1913 n.1 1914
10. I solai monolitici nervati in due direzioni, Rivista
tecnica, Venezia 15.06.1913
52
11. Raffronti fra sistemi elastici diversamente vincolati,
Monitore tecnico n.24 1914
12. libertà di stampa in materia scientifica, Il cemento
n. 9 1914
13. Ponte ad arco ribassato sul Busento a Cosenza, Il
cemento 1914
14. Sul calcolo dei sistemi costruttivi incastrati alle due
estremità, Il Cemento n.5 1917
15. Il laboratorio per le prove dei materiali nel Regio
Istituto tecnico superiore di Milano, L’industria vol.
32 n.6 1918
16. Sul calcolo delle ossature che sopportano
macchinario e trasmissioni. Un caso di
sincronismo, Il Cemento n.2 1919
17. Le navi in cemento armato nella realtà, Il Cemento
n.12 1919
18. Calcolo delle sezioni di cemento armato sollecitate
separatamente da due momenti flettenti di segno
opposto, Il Cemento n.5 1921
19. Il massimo momento negativo nelle travi di c.a.
perfettamente incastrate agli estremi, Il Cemento
n.5 1921
20. Fondazioni in acqua con affondamento di canne
armate, Il Cemento 1922
21. Il solaio duplex a travi incrociate nascoste in c.a. e
mattoni forati, Il costruttore edile, n.1 1923
22. Contributo al calcolo pratico delle piastre
appoggiate sul contorno, Il Cemento armato, 1925
23. Calcolo dei solai duplex dell’ing. Pietro Vaccarelli,
LEP Milano 1926
24. Esperimenti sui tubi Eternit, laboratorio prove
materiali, 1926
25. Notizie sull’impiego della matematica negli
nordinari problemi di scienza delle costruzioni,
Rendiconti Seminario matematico e fisico di MI,
vol.1 1927
26. Contributo al calcolo delle fondazioni continue in
c.a. Il Cemento armato 1927
27. Sulla statica delle costruzioni antisismiche. Atti
convegno internazionale sul beton semplice e
armato Liegi, 1930
28. Il calcestruzzo armato, L’industria italiana del
cemento 1928
29. Esperienze su traverse in eternit armate, Boll.n.2
Ist.Meccanica costruzioni Politecnico Milano
30. La meccanica e la vita, Vita e pensiero Milano
1932
31. Indagini sperimentali sulle costruzioni: la
foteelasticità, con G. Oberti. Seminario Matematico
e fisico Milano n.1-2 vol.VI 1932
32. Le autotensioni – spunti teorici ed applicazioni
partiche, Seminario Matematico e fisico Milano n.4
vol.VIII 1934
33. La tecnica e lo spirito, Vita e pensiero milano 1935
34. Prove comparative sopra elementi di solai di C.A.
con particolari casseforme laterizie, con G.Ceruti e
G. Oberti. Boll.n2. Politecnico MI, 1935
35. Relazione su traversine in cemento amianto con
armatura metallica. Bollettino del Politecnico 1936
36. Cultura e specializzazione, Atti 1° convegno
laureati cattolici, FI 1936
37. Determinazioni sperimentali su particolari tipi di
solai a struttura mista di C.A. e laterizi. con
G.Ceruti e G. Oberti. Il cemento armato n2. 1937
38. Indagini sperimentali su di un telaio multiplo in C.A.
di G. Oberti, nota introduttiva . Boll.n3 Politecnico
MI, 1937
Elenco tenuto dalla Prof. Cristina Danusso
34
39. Sul comportamento statico di archi incastrati
notevolmente ribassati tipo ponte del risorgimento,
di G. Oberti Nota introduttiva Boll. Politecnico n. 6
1937
40. Orizzonti nello studio della stabilità delle
costruzioni, Realtà 1.12.1938
41. Il laboratorio “ Prove modelli e Costruzioni”
dell’istituto di Scienza delle Costruzioni del R.
Politecnico di Milano, con G. Oberti Boll.
Politecnico n.4 1939
42. Lezioni di scienza delle costruzioni, Milano 1940
43. Sulla riforma delle scuole per Ingegneri. Atti
sindacato Prov. Fascista Ingegneri di Lombardia,
n.1-2, 1942
44. Orientamenti nella ricerca scientifica, Nella scuola
e nella vita, 1943
45. Tecnica del cemento armato, con Albenga,
Colonnetti, Giannelli, Krall, Martinelli, La bussola
1943
46. Costruzioni asismiche, Lez. Corso La tecnica del
C.A. Failli Roma 1945
47. Le ragioni e i fondamenti della ricerca sperimentale
sulle costruzioni, Lez. Corso La tecnica
del C.A. Failli Roma 1945
48. Nuove ricerche nelle costruzioni civili, con
Cestelli,Martinelli,Oberti,Pistolesi,
Sobrero, ed. Bussola Roma 1946
49. Sulla riforma dei politecnici, Il Cemento
n.8 1950
50. Riflessi spirituali nella scienza e nella
tecnica, Humanitas II,10,929 1947
51. Nuovi orientamenti nel campo delle
costruzioni, Soc. Italiana per il progresso
delle scienze, Roma 1949
52. Sull’arte di costruire stabilmente, Il
Cemento n.5 1950
53. Ordine fisico e ordine morale, Il Cemento
n.4 1950 Scienza e civiltà Roma 1951
54. Contributo al calcolo pratico delle piastre
di C.A. rettangolari e triangolari vincolate
al contorno. Il Cemento nn .7 a 12 1949
55. Il problema spirituale nel processo
formativo della tecnica, l’ingegnere, aprile 1951
56. Intuito e scienza nel C.A. Rend. Politecnico fasc.1
1952, Rotary MI 485
57. Unità del sapere: scienza ed intuito, L’ingegnere
n.8 1952
58. Nuovi orientamenti nella scienza delle costruzioni,
Il Cemento nn-5,9,10,12 1052
59. Scienza e natura, L’elettrotecnica vol.40 n.1 1954
60. Le autotensioni – spunti teorici ed applicazioni
pratiche, Il Cemento n.11.12 1953 e n. 1 1954
61. Vibrazioni degli edifici, Il Cemento n.12 1954
62. Contributo ad una tavola rotonda interdisciplinare,
agosto 1954
63. Stabilità dei grattacieli, Il progresso della tecnica
RAI vol.III pag. 91
64. I ponti in C.A.,Il progresso della tecnica RAI vol.III
pag. 99
65. Risposta alla relazione dell’ing. Uccelli, comitato
Museo Naz. L.da Vinci,1955
66. lo scienziato al servizio della civiltà, MI 1955
67. I rapporti tra scienza e fede, Vita e pensiero,
Fasc.IX 1955
68. Diga arco-gravità sul Piave.Criteri di progetto e
ricerche sperimentali, L’energia elettrica n.12
vol.32 1955
69. Inticin y ciencia en la historia del hormigon armado,
Instituto Tècnico de la construccion y del
cemento,n.160 1955
70. Scienza ed intuito nell’arte di costruire. Tamburini,
Mi, 1957
71. Intuition und wissenschaft in der geschichte des
stahbetons, Die bautecnick 34, 325 1957
72. scienza e natura, studium n.3 Roma 1957
73. Scienza e coscienza dell’ingegnere, atti collegio
Ing.Milano n.3-4 1959
74. Intuito, scienza e coscienza, Istruzione tecnica e
professionale n.1 1959
75. Nel cinquantenario del terremoto di Messina, Il
Cemento n. 1 1960
76. L’Università Italiana e la formazione spirituale degli
studenti, atti I congresso nella cittadella cristiana
dei Professori Universitari, 1960
77. I terremoti e le case, Rotary club Mi,659 1960
78. Sul valore educativo della scienza, Atti VI
convegno Scholè, 1960
79. Il sapore della scienza, Elettrotecnica n.3 1963, Il
Cemento n.9 1965
80. Scienza ed arte del costruire, rend.
Ist. Lombardo Accademia delle
scienze e lettere, vol.97 1963
81. L’ordine fisico specchio analogico
dell’ordine morale? Vita e pensiero
MI 1965
82. Spiritualità dell’architettura sacra,
confidenze di un vecchio ingegnere
agli amici architetti.
83. Il carattere costruttivo della natura,
quaderni di San Giorgio
84. Luci ed ombre sulle costruzioni
antisismiche
85. Problemi universitari ad un
convegno in Cittadella
86. Lo scienziato e la civiltà
87. Orientamenti nella ricerca
scientifica
88. Prima l’esperienza e poi la ragione,
Pirelli VIII n.6 dic. 1955
Ringraziamenti
Un ringraziamento particolare alla prof.sa Cristina Danusso
De Pol, figlia di Nandin, per la piena disponibilità e la cordiale
collaborazione e per aver fornito numerosi documenti inediti ed
in particolare per "Un piccola storia di Arturo", 45 pagine
dattiloscritte dalla figlia Eleonora, tra il 1963 ed il 1966.
Al prof. Giuseppe Grandori per le parole di sostegno ed
apprezzamento
e
per
la
testimonianza
originale
sull’importanaza del prof. Danusso nella stroria dell’ingegneria
sismica.
Al prof. Duilio Benedetti per la sua copia del libro introvabile
“La scienza e lo spirito negli scritti di Arturo Danusso”, e per la
sua fiducia nelle operazioni impossibili.
All’arch.Giorgia Favaretti per aver messo a disposizione la
sua originale tesi di laurea. Cosa che sembra ovvia, ma che
invece spesso non lo è.
1 edizione Giugno 2009
Fausto Giovannardi
www.giovannardierontini.it
Questa opera è pubblicata sotto
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