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L'utopia del non-identico e la radice mimetica della conoscenza

LA NUOVA TALPA a cura di L. Pastore e Th. Gebur THEODOR W. ADORNO IL MAESTRO RITROVATO INDICE Theodor W. Adorno: una filosofia dell’esperienza Luigi Pastore, Thomas Gebur © 2008 manifestolibri srl via Bargoni 8 – Roma Il presente volume è stato realizzato grazie a un contributo dell’Università degli Studi di Bari. ISBN 978-88-7285-499-0 www.manifestolibri.it [email protected] newsletter www.manifestolibri.it/registra 7 Pensare dalla terra di nessuno. La vita e l’opera di Theodor W. Adorno di Stefan Müller-Doohm 25 Intellectual Transfer. Adorno tra l’America e Francoforte Detlev Claussen 41 Theodor e il Mago. Adorno, Thomas Mann e il Doctor Faustus Simone Costagli 53 Il campo di forze atlantico. Adorno e la sedimentazione concettuale dell’esperienza americana di Michael Werz 73 Paria contro voglia. Adorno, Arendt e la condizione degli intellettuali di Dirk Auer 93 Malattia e criminalità. La teoria critica della medicina di Carl Wiemer 113 Eliot, Adorno e la critica della cultura di Richard Shusterman 129 Dialettica negativa e dialettica speculativa. Adorno ed Hegel di Angelica Nuzzo 159 Perchè “negativa”? L’ontologia dell’inassimilabile di Th. W. Adorno di Francesco Saverio Trincia 181 L’utopia del non-identico e la radice mimetica della conoscenza* Luigi Pastore È possibile rintracciare nella riflessione di Theodor W. Adorno gli estremi di un approccio critico-epistemologico ai fondamenti della genesi soggettiva e della strutturazione individuale della conoscenza? E, inoltre, è possibile impiegare la riflessione adorniana nella direzione di una considerazione epistemologica di carattere critico-immanente rivolta alle forme di manifestazione della conoscenza e, più in generale, del pensiero? Sono diverse le ragioni che spingono a ritenere che una possibile risposta in senso affermativo a queste questioni si trovi proprio al cuore di quella che possiamo chiamare l'utopia cognitiva di Adorno – al cuore cioè del suo tentativo di ripensare senso e funzione della filosofia in quanto critica dialettico-immanente della conoscenza, cosa che in altri termini può essere considerata anche come il suo progetto di una dialettica negativa in quanto pensiero del non-identico. Il conoscere, tradizionalmente, è stato per lo più inteso come tentativo di riportare l’ignoto al noto: in questa direzione è possibile affermare che la mente elabora i propri costrutti e i propri contenuti mediante una ‘dialettica del riconoscimento’, il riconoscimento dell’identico nel diverso, del simile nel dissimile, dell’uno nel molteplice. Nel conoscere – inteso in questa accezione molto ampia – ha luogo un’operazione fondamentale per la costituzione delle forme e dei contenuti del pensiero: la costituzione formale dell’identità, che, per via dell’elementarità e della semplicità della propria manifestazione, viene considerata come qualcosa di immediato. Per Adorno l’identità non rappresenta tout court l’immediato, bensì il risultato di un processo molto complesso; un processo che possiamo in un certo qual modo inquadrare e definire fenomenologicamente come il compiersi di un atto oggettivante, come tale identificante – un atto cioè che, fissando linguisticamente l’identità di un alcunché nella sua stabilità e permanenza temporale, lo trasforma in un oggetto, per l’appunto mediante una identificazione, in primis con se stesso.1 Il non aver inteso a fondo le * Vengono qui riprese e in parte ampliate le considerazioni svolte in una versione precedente di questo lavoro, intitolata Pensiero, concetto, linguaggio. Sull’utopia fenomenologico-cognitiva di Adorno, edita in Il Giornale della Filosofia, n. 13/2005, pp. 17-19. 283 peculiarità e la struttura di questo processo di costituzione delle conoscenze come quel processo che restituisce univocamente e unicamente il contenuto e la forma della conoscenza in generale è la ragione responsabile della maggior parte delle secche in cui la teoria della conoscenza, a giudizio di Adorno, si è venuta a trovare dal sorgere della modernità in avanti. Queste secche, in cui la teoria della conoscenza moderna e contemporanea viene a trovarsi, traggono origine quindi secondo Adorno dal misconoscimento di una ulteriorità presente nell’articolazione interna del processo di costituzione della conoscenza; e in particolar modo questa ulteriorità viene a trovarsi misconosciuta e negata per effetto di una mancata presa d’atto del fatto che l’identificazione e il suo portato non costituiscono – geneticamente parlando – un primum. A partire da questa considerazione, l’indagine di Adorno si spinge a indagare in maniera puntuale e ‘analitica’ l’elemento in cui l’identità, in quanto risultato del processo di identificazione, giunge a manifestarsi: il concetto in quanto termine in cui si compendia l’attività di identificazione e in quanto luogo teoretico in cui il campo semantico in quanto tale viene sottoposto – per effetto delle operazioni di identificazione e della loro susseguente fissazione linguistica – a limitazioni di carattere essenziale. L’identità diventa così il portato necessario del medium fondamentale in cui, secondo l’accezione comune, si muove il pensiero in senso proprio e quindi anche la conoscenza: il concetto. Qui le questioni centrali della critica immanente della conoscenza compiuta da Adorno: l’identità riesce da sola e sulla base delle sue stesse forze ad esprimere il senso pieno delle potenzialità della conoscenza in quanto conoscenza dell’esperienza propriamente umana? Il concetto, in quanto unità logica deputata alla sussunzione del molteplice dell’esperienza, rende davvero ragione in toto della possibilità di conoscere e di far esperienza propria della nostra mente? A mio avviso il pensiero del non-identico rappresenta il tentativo (tutto filosofico) di dare una risposta a queste domande, sviluppando una vera e propria epistemologia (anche se in forma frammentaria) della dimensione costitutiva del pensiero, mediante l’attraversamento teoretico del processo di costituzione del concetto, al fine di metterne in luce i limiti ma anche il potenziale conoscitivo ancora inesplicato. L’attenzione di Adorno è rivolta alla dinamica interna della conoscenza, considerata a partire dal basso,2 a partire cioè dalle dinamiche costitutive elementari proprie della sensibilità, nell’intento di superare quella visione per cui il conoscere coinciderebbe esclusivamente con l’estensione quantitativa del giudizio conoscitivo (determinante), intendendo il concetto esclusivamente come dominio complessivo delle condizioni di identificazione imposte alla 284 realtà a partire da ciò che la logica formalistica ritiene essere l’essenza del concetto stesso, cioè la sua definizione. Adorno si prova nel pensare la conoscenza nella sua costitutiva ambivalenza, la quale contempla non soltanto la necessità, da parte del pensiero, di muoversi in e con concetti, e quindi di muoversi nella dimensione logico-formale delle cose, ma intende anche il conoscere come un inevitabile e spontaneo processo legato al far esperienza della dimensione qualitativa delle cose stesse, e quindi, al contempo, come un processo essenzialmente legato alla fondamentale dimensione qualitativa caratteristica della soggettività esperiente. In ragione di questa sua ambivalenza costitutiva, il momento concettuale deve poter riscoprire la sua mediazione con il non-concettuale, il non-identico, e il medium di questo momento conoscitivo è rappresentato per Adorno da una particolare dimensione, tanto fondamentale quanto inestirpabile della soggettività cognitiva, espressa nel suo risultato da ciò che viene indicato come momento mimetico della conoscenza. Si tratta di una dimensione che appartiene alla soggettività in quanto controparte della costituzione somatica; come traccia implicita, sempre operante, del radicamento somatico della soggettività. Con momento mimetico Adorno esprime una tensione profonda verso la dimensione genetico-materiale del pensare, non-linguistica, sforzandosi di coglierla nella sua irriducibile differenza riguardo la dimensione concettuale, che è di carattere logico-linguistico; lì dove irriducibilità non coincide in ultima istanza né con l’incommesurabilità e nemmeno con una dualità inconciliabile e pertanto assoluta. Questo il programma della Dialettica negativa. Per prendere sul serio questo programma bisogna in prima istanza non considerarlo al pari di una manifestazione di istanze solipsistiche e/o soggettivistiche, il cui scopo sarebbe quello di mettere in scena una tensione regressiva, intenta a dissolvere la soggettività conoscitiva stessa in ciò che non è e non potrà mai cadere sotto il concetto; una sorta quindi di pensiero nostalgico dell’originario. Se così fosse, il programma adorniano si ridurrebbe a un momento dell’articolazione interna dei diversi paradigmi intuizionistico-esistenzialistici (di cui quello heideggeriano rappresenta forse la variante più significativa e maggiormente influente oggi), il cui tratto distintivo è costituito da una generica opposizione e refrattarietà nei confronti della conoscenza in quanto risultato della mediazione logicoconcettuale.3 In Adorno non agisce nemmeno una forma ingenua di antirappresentazionalismo, posizione per la quale pensiero e razionalità tendono a risolversi (o meglio a identificarsi e quindi a dissolversi reciprocamente) nel nesso tra disposizioni comportamentali e linguaggio.4 Il programma del non-identico dispiega invece un tentativo di inda- 285 gine filosofica tesa a dare un’epistemologia critico-immanente che ha di mira le modalità specifiche della conoscenza, nella convinzione che l’individuazione delle determinanti che formano la nostra conoscenza sia la chiave di volta per raggiungere una conoscenza e un’esperienza delle cose ‘non ideologica’, cioè non basata su fondamenta assunte in maniera parziale e arbitraria. Adorno individua nel conoscere due componenti, una di carattere logico-discorsivo, il concettuale, veicolo di identità e coerenza, e una di carattere mimetico, non-concettuale, che costituisce la modalità con cui vengono colti e poi portati alla coscienza elementi di carattere fenomenico-qualitativo. La componente logica e quella mimetica stanno qui per due modalità conoscitive distinte, ma non reciprocamente indifferenti e completamente indipendenti. Compito di un’adeguata teoria della conoscenza deve essere il riconoscere la loro esistenza e il chiarire il loro rapporto, la dinamica con cui in questo rapporto si origina il nostro conoscere e la nostra relazione con il mondo.5 Qui viene alla luce un elemento centrale del pensiero di Adorno: esperienza e realtà non si lasciano esaurire dalla dimensione linguistica e dalla nozione di schema concettuale.6 Questo specifico aspetto della ricerca di Adorno mostra inoltre alcuni tratti per così dire ’fenomenologici’: il tentativo di comprendere in maniera dinamica il legame tra concettuale e non-concettuale, tra identico e non-identico, può essere accostato sotto certi aspetti ad alcuni momenti fondamentali del programma fenomenologico husserliano, soprattutto lì dove quest’ultimo matura il noto passaggio dalla fase della cosiddetta analisi ‘statica’ a quella cosiddetta ‘genetica’; quella in cui l’attenzione è rivolta principalmente alle forme di costituzione considerate nel proprio ‘farsi’ prelinguistico e preconcettuale. Husserl si provava qui in una investigazione rivolta a cogliere ed esplicitare il senso del pensiero concettuale, quello propriamente predicativo, a partire ‘dal basso’, ossia da una dimensione del pensiero che ancora non è predicativa e concettuale, quella della antepredicatività. L’attenzione husserliana qui è attratta dalle operazioni sintetiche passive, che cioè si svolgono senza la partecipazione attiva e volontaria dell’io, dell’intelletto, che sono proprie della dimensione sensibile e corporea e che strutturano quegli elementi che saranno solo poi il polo su cui attivamente la nostra mente eserciterà le proprie funzioni cognitive superiori. Si dà qui per Husserl una ulteriorità rispetto al piano linguistico-concettuale, una ulteriorità che si dà come residuo in definitiva inassimilabile rispetto al piano del propriamente concettuale, una ulteriorità che mostra delle prossimità a quello specifico piano che esiste anche nella riflessione di Adorno e che individua una ulteriorità e una irriducibilità rispetto all’operato del pensiero concettuale in senso stretto 286 – quel piano che Adorno individua e designa come momento mimetico della conoscenza. LA RIFLESSIONE SULLA FENOMENOLOGIA: UN ITINERARIO INCOMPIUTO? Quanto la fenomenologia di Husserl sia stata importante per lo sviluppo del programma critico di Adorno è attestato dal portato ultimo di lavori come Metacritica della teoria della conoscenza. Qui posiamo ritrovare una delle dichiarazioni programmatiche più significative della critica adorniana alla autoreferenzialità della conoscenza, basata sul primato dell’identità logico-formale: il primato della logica sulla teoria della conoscenza [...] esprime la sostituzione della rete dei concetti al posto della dialettica di concetto e cosa. Logica formale significa un operare [...] con dei meri concetti, senza tener conto della loro legittimità materiale.7 L’intenzione di restituire al conoscere la sua radice esperienziale, di far emergere la differenza tra esperienza fenomenico-soggettiva e conoscenza logico-formale, ciò che nella Dialettica negativa sarà poi indicato come quella specifica dimensione del «non-concettuale», che «obbliga la filosofia a occuparsi dei contenuti materiali», è già presente nelle riflessioni svolte nella Metacritica della teoria della conoscenza, lì dove si fa notare da una parte che il modello della pura non-contraddittorietà logica «può applicarsi solo alle proposizioni» e dall’altra che «il concetto di tali proposizioni implica di necessità un qualche contenuto», che deve stare «alla base anche della proposizione più astratta».8 Per Adorno si tratta qui di riconoscere il carattere sintetico, temporalmente posteriore, della conoscenza linguistico-concettuale. E questo vuol anche dire dover riconoscere come le proposizioni logiche rimandano in pari tempo ad una materia che per l’appunto non è assorbita nel pensiero che è attivo in essa.9 Compito fondamentale della Metacritica della teoria della conoscenza è quello di aprire una via che riesca a riportare la conoscenza a conoscere, l’esperienza a esperire, opponendosi alla perdita di senso da parte del linguaggio, che deriva dalla pretesa del concetto di «esaurire completamente il suo denotato»,10 che poi è la pretesa di identificare completamente il contenuto dell’esperienza con qualcosa che le viene imposto per via logica dall’esterno. L’utopia cognitiva di Adorno lavora all’abbattimento del 287 primato di un «concetto purificato da ogni eterogeneità»,11 il suo essere semplice termine che pretende di esprimere immediatamente e a priori il contenuto dell’esperienza. Diventa quindi necessario ripensare il nesso cognitivo di soggetto e oggetto, di linguaggio e cosa, di logica ed esperienza. È qui, nei meandri della formulazione di questo impegno programmatico, che Adorno sembra essersi produttivamente appropriato del senso profondo della nota formula fenomenologica: alle cose stesse! Quest’ultima affermazione può sembrare incauta. Sono infatti note le critiche rivolte da Adorno nei confronti della fenomenologia di Husserl, il quale era colpevole a suo avviso, per via della sua concezione della conoscenza, di aver dato luogo a una «fenomenologia restauratrice»,12 fossilizzata intorno all’idea della «sicurezza assoluta»13 e animata da una «pretesa di assolutezza» radicata nel suo «ideale di una filosofia come scienza rigorosa».14 Per Adorno questi aspetti del pensiero husserliano sono destinati a cadere vittime di un’acritica esaltazione «dell’immediatezza» e a spingere verso una «tendenza alla regressione, un odio contro il complicato».15 Proposito di Adorno era invece quello di portare all’interno della conoscenza quel carattere complesso e profondamente ricco di mediazioni che è proprio dell’esperienza con la sua «partecipazione spontanea al processo della generazione» della conoscenza.16 Si tratta, in altri termini, di voler portare al pensiero le proprietà dinamiche radicate nelle profondità della sua genesi. In questa sua ricerca Adorno era stato tuttavia sollecitato da alcuni momenti del pensiero di Husserl, come, per suo stesso dire, «il tentativo husserliano di abbattere con la meditazione filosofica la tirannide della reificazione»;17 la sua ricerca sulla «origine del pensare, la ‘preistoria della logica’» per cui «la possibilità della coesistenza di elementi contraddittori nei giudizi di fatto non è più irrilevante»;18 la contestazione della «identità immediata di comprensione e rapporto di cose, di genesi e validità».19 Proprio in questi elementi, a giudizio di Adorno, il pensiero di Husserl «rivela già ben presto di essere una dialettica suo malgrado».20 Adorno era interessato alla promozione di una critica immanente della fenomenologia, che, aprendola alla dialettica, l’avrebbe potuta trasformare in una sorta di critica immanente del pensiero logico-concettuale nel suo complesso, capace di superarne i limiti costitutivi agendo dal suo interno. E che questa sia stata in effetti la genesi delle idee programmatiche di Adorno può essere attestato da un breve esame di alcuni spaccati dell’epistolario tra Adorno e Horkheimer risalente alla metà degli anni ’30. Questo percorso, tuttavia, sembra essersi arrestato, dal momento che Adorno stesso, interromperà – o quantomeno rallenterà – il suo lavoro di ‘rivitalizzazione’ interna e immanente della fenomenologia, proprio nel 288 momento in cui egli stesso arriva a cogliere il mutamento di analisi operato da Husserl nel passaggio dalla fenomenologia statica a quella genetica, con la conseguente rivalutazione della dimensione sensibile, antepredicativa, della costituzione della conoscenza. LA RIPRESA DEGLI STUDI HUSSERLIANI A OXFORD Nelle fasi iniziali del suo esilio dalla Germania nazista, il giovane Adorno si era stabilito ad Oxford, località in cui aveva a disposizione solidi agganci esistenziali, poiché lì risiedevano alcuni parenti. Ad Oxford viene ammesso alla frequenza del Merton-College con la qualifica di advanced student, circostanza che doveva rappresentare una notevole fonte di frustrazione per via della perdita di status, rispetto alla sua condizione originaria di Privatdozent nell’Università tedesca.21 In questo ambiente, vissuto dal punto di vista delle aspirazioni esistenziali come stressante e mortificante, anche se dal punto di vista lavorativo capace di offrirgli quella calma e quella tranquillità necessarie alla prosecuzione del proprio lavoro teoretico, Adorno si era immerso nel progetto di una nuova dissertazione di dottorato, dedicata alla fenomenologia husserliana, riprendendo i percorsi già tracciati durante gli studi che erano culminati nel 1924 con la redazione della sua tesi di laurea. Alla metà degli anni ’30 le forze intellettuali del giovane Adorno erano ancora stabilmente impegnate nell’elaborazione di questo progetto, dalla cui realizzazione Adorno auspicava di poter guadagnare delle fondamenta utili all’edificazione di una ‘logica materialistica’, circostanza che gli avrebbe consentito un significativo e profondo riavvicinamento al lavoro teorico che in quel periodo andava svolgendo Max Horkheimer. L’interesse per Husserl e per la sua fenomenologia era circostanza già nota – anche se non eccessivamente gradita – a Max Horkheimer. In relazione al tema di queste pagine, al di là delle vicende di carattere strettamente biografico, quello su cui è interessante fermare l’attenzione, al fine di comprendere più in dettaglio l’intreccio tra la riflessione di Adorno e quella di Husserl nella direzione della genesi del pensiero del non-identico e della ‘riabilitazione teoretica della categoria di mimesi’,22 è la comprensione che in questo periodo Adorno mostra di possedere della fenomenologia husserliana. Si tratta di una comprensione gravida di interesse ma non priva di ambiguità. Dall’immersione nella meditazione della e sulla fenomenologia, riemergerà, rafforzata, l’attenzione di Adorno verso il problema della fissazione linguistica delle conoscenze e degli effetti derivati dal processo di nominalizzazione dei contenuti conoscitivi. Queste 289 tematiche, per Adorno come per Husserl, costituiscono la chiave di volta per guadagnare un accesso alla struttura della conoscenza concettuale e all’intendimento delle dinamiche caratteristiche del rapporto pensiero/linguaggio, che sia foriero di rivelarne limiti intrinseci e potenzialità ancora inespresse. Proviamo quindi a prendere in considerazione il rapporto vissuto da Adorno con la fenomenologia di Husserl in questo periodo. In una lettera datata 24 novembre del 1934 Adorno comunicava ad Horkheimer di ritenere di aver già pronto lo schizzo della prima parte della sua nuova dissertazione dottorale, dedicata all’analisi «del primo libro delle Ricerche Logiche», cioè i Prolegomeni a una logica pura. Adorno comunicava inoltre che nel corso di questo lavoro egli era giunto alla conclusione che la fenomenologia ormai rappresentava ai suoi occhi la «più progredita teoria borghese della conoscenza»;23 pertanto proprio la fenomenologia si mostrava, se assunta nel suo complesso, in grado di gettare le basi per lo sviluppo di una logica materialistica, prospettiva alla quale lo stesso Horkheimer stava lavorando. Da questo punto di vista Adorno si mostrava convinto che l’impianto fenomenologico avesse compreso meglio di qualunque altro impianto filosofico quella specifica dinamica che portava alla sclerotizzazione concettuale dei contenuti d’esperienza nelle maglie del pensiero formalistico, quello logico-linguistico, contribuendo così alla critica delle caratteristiche tipiche della razionalità formale della logica propria della scienza neopositivista. La fenomenologia quindi rappresenta agli occhi di Adorno un eccellente prototipo per l’individuazione delle pecche del logicismo, un modello esemplare per procedere alla comprensione delle dinamiche che portano alla fissazione linguistica dei contenuti conoscitivi, eliminando da questi i residui d’esperienza soggettiva. 24 E questa impressione è confermata anche dai titoli delle sezioni di cui questa parte della sua dissertazione avrebbe dovuto comporsi: nella lettera ad Horkeihmer menzionata, Adorno indica in via provvisoria le quattro sezioni di cui il suo lavoro avrebbe dovuto comporsi, rispettivamente dedicate all’analisi della «ontologizzazione della scienza» (ossia alle pretese conoscitive in senso apodittico delle concettualità scientifiche di determinare l’ontologia del mondo); alla «reificazione della logica»; al «problema del ‘normativo’ in quanto oscuramento del problema della prassi» e alla «dialettica della lotta contro lo psicologismo».25 Tutti questi temi sono riconducibili alla autonomizzazione del logico nella sfera del linguistico, con la sua conseguente eliminazione delle componenti materiali, esperienziali e ‘somatiche’ propria dell’esperienza soggettiva (la sua dimensione qualitativa) dal contenuto conoscitivo. 290 Illuminante in proposito la chiosa aggiunta da Adorno su quest’ultimo punto. Si tratta di una digressione parentetica, tuttavia estremamente significativa: uno dei risultati più interessanti del mio lavoro, quello che fino a questo momento ho sono riuscito a sviluppare non senza molta fatica, mi sembra essere il fatto che viene messo in risalto come la lotta di Husserl contro lo psicologismo, fino a che questa è nel suo pieno diritto, ha assolutamente, dal punto di vista oggettivo, lo stesso senso di una lotta contro la cattiva [schlechte] psicologia,26 cioè contro la psicologia razionalistica, e inoltre ha anche lo stesso senso dell’eliminazione psicologistica dell’oggettività sociale – ma essa [la fenomenologia, L.P.] diventa falsa e reazionaria nel suo assolutizzare la logica, cosa che non viene motivata in maniera logico-immanente.27 Dallo sviluppo immanente di queste ambiguità e contraddizioni che caratterizzano la fenomenologia, Adorno vuole ricavare una logica materialistica di carattere produttivo, capace di superare in un certo qual modo le ipostasi concettuali edificate dalla fenomenologia stessa, nel suo residuo di positivismo, per via della sua eccessiva attenzione e importanza tributata esclusivamente al momento della nominalizzazione del contenuto dell’esperienza nella prassi conoscitiva,28 con la sua conseguente immobilizzazione e fissazione linguistica, cosa che espelle dalla conoscenza stessa la dinamica costitutiva intima di cui consta il conoscere stesso nel suo necessario radicarsi nell’esperienza. Continuando a scorrere l’epistolario di Adorno con Horkheimer di questi anni, è facile constatare come questa descrizione sia dotata di una qualche plausibilità. Difatti è possibile prendere atto di come la fenomenologia venga a rappresentare, e contemporaneamente ad illustrare nelle sue dinamiche più proprie, «la più progredita teoria della conoscenza borghese», rappresentando al contempo «una sorta di preludio dialettico-critico per una logica materialistica». Questo sarebbe stato il punto in cui – continua Adorno – «il lavoro [di Adorno, L.P.] entra in strettissimo rapporto con il Suo [quello di Horkheimer, L.P.]».29 In altri termini Adorno si ripropone una conciliazione (ricomposizione) tra dialettica e fenomenologia; una sorta di correzione interna e immanente della coscienza fenomenologica mediante la dialettica, dal momento che lo stesso Adorno non esitava ad affermare che non era a conoscenza di alcun «caso più grande di ‘coscienza correttamente falsa’ di quello di Husserl».30 Si tratta di un compito estremamente stimolante, ossia «far venir fuori dalla filosofia, proprio lì dove essa si dà nella maniera più astratta, le scintille della concretezza storica, e [questo] era forse una sorta di prova dell’applicabilità del metodo dialettico-materialistico».31 La dialettica stessa, tuttavia, dove- 291 va essere a sua volta liberata dall’assolutismo hegeliano: solo in questa maniera avrebbe potuto rappresentare lo strumento per aprire la fenomenologia a una reale «esperienza critica degli oggetti», dal momento che il pensiero dialettico rifiutava l’identificazione totale tra pensare, esperire e concettualizzare.32 Quindi il compito che Adorno si ascriveva era quello di riportare l’astratto nella sua massima espressione alla concretezza, ossia riportare l’assolutismo logico della fenomenologia, forma di idealismo assoluto, a una dimensione umana. E su questa questione torna Adorno qualche mese più tardi, nel febbraio 1935, comunicando ad Horkheimer titolo e sottotitolo provvisori del suo lavoro su Husserl, ossia, rispettivamente «le antinomie fenomenologiche» e «prolegomena a una teoria dialettica della conoscenza».33 Adorno diventa ora più esplicito: si proponeva di «spingere le contraddizioni immanenti della fenomenologia fino alla propria autodissoluzione, quindi, per così dire, dialettizzare interamente la meno dialettica tra tutte le filosofie».34 In questa maniera egli aveva in mente di sviluppare un programma teorico assolutamente compatibile con quello promosso da Horkheimer e dall’Institut für Sozialforschung: lavorare a una «liquidazione immanente dell’idealismo» assoluto,35 ossia lavorare alla liquidazione della pretesa, da parte del linguaggio, di poter coincidere immediatamente e in toto con il conosciuto nella sua concretezza. E che il ‘concetto’, in quanto portato della fissazione e dell’identificazione linguistica, costituisca il problema principale che affascina e assorbe le forze di Adorno in questo periodo, è attestato ancora da uno spaccato del suo epistolario con Horkheimer, risalente questa volta al novembre del 1935. L’elemento su cui concentrare l’attenzione è costituito dal modo in cui Adorno saluta la sua lettura di Logica formale e trascendentale di Husserl: in questo momento sono occupato principalmente con ‘Logica formale e trascendentale’. La trovo la cosa più interessante che H[usserl] abbia scritto e forse anche la più significativa. Probabilmente è un indizio dell’autosuperamento della fenomenologia.36 Qui l’effettività dell’identificazione tra idealismo assoluto, logicismo e fenomenologia costituisce lo sfondo delle osservazioni di Adorno, uno sfondo contro cui non può che risaltare per un verso l’entusiasmo, ma ancor più la sorpresa, con cui Adorno sembra accogliere Logica formale e trascendentale. Sembra che Adorno si mostri in un certo qual modo confermato nei propri intenti teoretici da quella che appare agli occhi di Adorno come una vera e propria ‘svolta’ operata da Husserl con la pubblicazione di quest’opera, che pone in primissimo piano il ruolo dell’esperien- 292 za per l’analisi della costituzione della conoscenza e dei suoi contenuti. Edita nel 1929, Logica formale e trascendentale, ben lungi dal rappresentare una vera e propria svolta interna alla metodologia fenomenologica, presentava tuttavia per la prima volta in un testo a stampa e quindi al grande pubblico degli studiosi, lontani dalle aule universitarie in cui Husserl teneva i propri corsi, quelle specifiche tematiche, destinate a costituire il nucleo portante della cosiddetta ‘fenomenologia genetica’. A fare la propria comparsa alla piena luce del giorno è qui il tema della cosiddetta antepredicatività, quella specifica dimensione al cui interno si viene a costituire, sul presupposto di un intreccio tra operazioni sintetiche di carattere passivo (prevalentemente basate sulle associazioni della sensibilità) e operazioni carattere attivo (prevalentemente intellettuali, giudicativa, discorsive) la dinamica conoscitiva nella sua complessità. L’analisi fenomenologica ammette qui espressamente l’esistenza di una ulteriorità rispetto al piano meramente logico-linguistico e a quello dell’analisi del significato. Viene intaccata qui quell’immagine della fenomenologia come disciplina legata principalmente alla identificazione tra conoscenza e formalizzazione logico-linguistica dei significati, tra contenuto e concetto, tra mente e linguaggio – identificazioni e immagini che la stessa fenomenologia aveva in un certo qual modo accreditato, mediante la concentrazione dell’attenzione sulla cosiddetta analisi ‘statica’. Nella cosiddetta fenomenologia ‘genetica’, la quale non rimpiazza, bensì completa e integra la cosiddetta fenomenologia ‘statica’, quella sviluppata da Husserl propriamente in opere come Ricerche logiche e il primo volume di Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica (i testi fondamentali su cui Adorno aveva quasi esclusivamente concentrato la propria attenzione e il proprio lavoro), trova spazio una descrizione della soggettività conoscitiva che apre il raggio della propria investigazione a una dimensione dinamica e incarnata della soggettività, a una dimensione cinetica e passiva del piano di costituzione dei contenuti cognitivi, che coinvolgono in posizione eminente il livello della sensibilità e dell’esperienza cinestetica. Questa soggettività si mostra capace di modalità cognitive che si muovono su un piano prelinguistica. Questo è l’elemento che in questa fase sembra catturare l’interesse di Adorno, l’individuazione di questa dimensione concettualmente muta, propria dei ‘comportamenti’ propri della spontaneità sensibile in cui radica la soggettività; e tuttavia non pensata assolutamente in quanto scissa, refrattaria e ‘totalmente altra’ rispetto al piano della conoscenza. Si profila piuttosto un piano di complementarità e interazione necessaria, inevitabile, comunque effettuale, sia esso venga o non venga colto esplicitamente dalla coscienza nella riflessione. Logica formale e trascendentale poneva all’ordine del gior- 293 no una riflessione su questa forma di complementarità, evitando ipostasi dogmatiche e gratuite, dovute soprattutto alla progressiva separazione del linguaggio del sapere positivo dal campo del mondo-della-vita e dell’esperienza vivente. Nel programma adorniano di una discussione rivitalizzante, di carattere critico-immanente, della fenomenologia husserliana sono all’ordine del giorno problemi importanti, quali la pretesa da parte della scienza di ‘ontologizzare’ i suoi ritrovati; non sembra improprio ipotizzare che proprio meditando anche sulle prospettive aperte da Logica formale e trascendentale, quest’opera che sembra anticipare (e sterilizzare?) l’intento di dialettizzazione forzata della fenomenologia husserliana, che forse Adorno giunge a maturare con ancora maggiore fermezza la necessità di procedere a un’analisi sistematica delle forme in cui pensiero e conoscenza giungono a costituirsi, manifestarsi e riprodursi. Questa sarà una traccia che resterà continuamente attiva e operativa in tutta la sua produzione. Adorno sembra uscire da questa fase del proprio percorso rafforzato nella convinzione dell’impellenza di un esplicito lavoro di comprensione critica del medium fondamentale dell’espressione della conoscenza e del pensiero, il concetto, ma anche del momento metodico che ne segna la formazione, l’astrazione. Per Adorno, infatti, dall’assolutismo logico – sinonimo di idealismo assoluto – «si verrebbe fuori solo se si rinunciasse a formare i concetti per via d’astrazione».37 Il che vuol dire rinunciare a una visione puramente nominalistica della conoscenza, la quale pretende di porre il mondo e l’esperienza indipendentemente dal mondo e dall’esperienza. E questa era in un certo qual modo anche la direzione che Husserl aveva in mente di percorrere quando, nella sua critica alla rappresentazione linguistico-concettuale – anche per lui momento indispensabile per le operazioni più elevate del pensiero – ravvisava nella definizione basata sulla semplice procedura astrattiva l’elemento negativo e il limite interno della corrente teoria della formazione dei concetti, che li rendeva incapaci di afferrare fino in fondo la dimensione dinamica dell’esperienza, ossia quel ‘senso’ concreto che eccede il significato e che si pone al di qua e al di sotto del mero significato sancito una volta per tutte dalla struttura definizionale dei termini. Sollecitato dalla consapevolezza di questa stessa insufficienza della teoria classica della formazione e della struttura dei concetti, anche lo Husserl autore Logica formale e trascendentale mostrava di essersi tutto sommato incamminato lungo la via di una lunga e minuziosa ricerca tesa a una sorta di ‘riforma’ interna della teoria del pensiero e del concetto, diretta ad ampliarne il potenziale di resa conoscitiva, senza tuttavia viola- 294 re il compito fondamentale della filosofia (e della fenomenologia) in quanto teoria descrittiva e critica della ragione conoscitiva. Ossia, per dirla con Adorno, con la volontà di condurre questo compito, «nonostante tutto, con gli unici mezzi di cui la filosofia disponga, i concetti».38 Da questa prospettiva, pare possibile dire che la ricerca di Adorno rappresenti un’originale e produttiva appropriazione critica del senso profondo del programma husserliano, condensato nella massima fenomenologica ‘alle cose stesse’, rivisitata dal punto di vista metodologico dell’ analisi genetica, quell’analisi che sembra andare nella direzione dell’afferramento dei diritti del non-concettuale. Per Adorno è necessario porre riparo con gli strumenti della ragione stessa alla progressiva perdita di concretezza da parte della ragione medesima, rimediando alla perdita di senso concreto dei concetti, sancita dal loro trasformarsi da parola in mero segno. Bisogna restituire all’intima tensione tra concettuale e non-concettuale il suo proprio diritto di cittadinanza nella teoria della conoscenza e, per Adorno, il fallimento di questo programma determina una concezione sincopata, parziale, arbitrariamente nominalistica – e pertanto ideologica – della conoscenza. Quindi, per dirla questa volta con Husserl: basta con le vuote analisi verbali! Dobbiamo interrogare le cose stesse. Torniamo all’esperienza, all’intuizione che sole possono dare un senso e una legittimità razionale alle nostre parole.39 CONCETTO, ASTRAZIONE, DEFINIZIONE: LA COSTRIZIONE DEL ‘SENSO’ Poniamo ora da parte le eventuali prossimità e differenze tra l’impostazione husserliana e quella adorniana, che saranno oggetto di discussione in altra sede, per fermare in maniera peculiare l’attenzione sull’analisi adorniana delle specificità dell’elemento concettuale e soprattutto sulla descrizione di quel che accade all’atto della sua formazione, ossia su ciò che – stando alla teoria classica della formazione dei concetti – l’astrazione di fatto ‘fa’ nel suo dar luogo alla costituzione del concetto stesso. Agli occhi di Adorno questo ‘fare’ è un rimuovere la componente fenomenico-qualitativa dell’esperienza. Non si tratta di una rimozione indolore e innocua, poiché ciò che viene rimosso dal concetto è anche quell’elemento che de facto, nella nostra reale, vitale e concreta esperienza del mondo e delle cose, ci permette di mentalizzare e di afferrare la dimensione qualitativa del reale nel suo darsi, conferendo alla conoscenza discorsiva un carattere di concreta pienezza. Lì dove questa compo- 295 nente nella conoscenza che conosce se stessa viene disconosciuta, quest’ultima si riduce a un puro gioco linguistico, giocato da segni senza senso, dove con senso si intende la dimensione concreta di cui il linguaggio e il concetto vorrebbero parlare, il contenuto materiale. In questa perdita per Adorno risiede il limite della forma contemporanea del modello dominante della razionalità, quella positivistica, come pure della teoria filosofica della conoscenza da questa direttamente influenzata, quella cosiddetta ‘analitica’, che per via del suo vuoto formalismo, «può essere copiata e appresa dai robot».40 Senza quindi alcun bisogno di una soggettività concreta esperiente. Questa forma di conoscenza è contraddistinta da un muoversi in un universo di concetti ridotti a vuote formule verbali, senza più essere ancorate ad alcun senso concreto. Questo è ciò che Adorno denuncia come quell’eccessiva «formalizzazione della ragione», che, attenta solo alla forma logica e identificando in questa il contenuto veritativo del pensiero, considera il pensiero come «sensato solo se ha compiuto il sacrificio del senso».41 Astrazione è quindi «liquidazione»,42 mutilazione,43 espulsione dal contenuto della conoscenza discorsivo-concettuale delle componenti qualitative proprie dell’esperienza fenomenico-materiale degli oggetti. Nell’astrazione ha luogo quindi non la conoscenza, ma la pura e semplice perdita dell’oggetto; in essa soggetto e oggetto si annullano entrambi, il soggetto astratto non ha davanti a sé che l’oggetto materiale che non possiede altra proprietà se non quella di fungere da sostrato.44 Qui l’oggetto è posto come puro sostrato adatto a fungere da neutra materia, svuotata di ogni qualità, per le operazioni della logica formale. Queste ultime, però, non devono essere confuse con le concrete operazioni cognitive, che per Adorno sono il momento genetico-dinamico del pensiero. Questo momento, che coglie l’elemento concreto dell’esperienza, può e deve essere tuttavia portato ad espressione linguistico-concettuale, portato alla conoscenza. Ma non tramite quei concetti che ricevono le condizioni di identificazione del loro contenuto dall’esterno, cioè soltanto in base alle definizioni, bensì mediante ciò che egli stesso indica come ‘concetti dialettici’, i soli strumenti concettuali atti a rendere ragione dei momenti genetici del pensiero e quindi a conservare nella loro espressività la dimensione dinamica dell’esperienza, restituendo al pensiero stesso la sua origine, la presa di coscienza della sua genesi da e con il suo altro. Il linguaggio che si fa imporre il contenuto unicamente dalla defini- 296 zione è lingua ridotta a segno e, come tale, questo «linguaggio deve limitarsi a essere calcolo», reificandosi in un «processo automatico che si svolge per conto proprio, gareggiando con la macchina che esso stesso produce perché lo possa sostituire».45 Questa scena, preparata dalla cancellazione dall’interno del concetto di ciò che gli è eteronomo, riduce la conoscenza allo stato di un palcoscenico su cui si esibisce una logica solo formale che ha espulso da sé il pensiero.46 Adorno parla qui di un processo conoscitivo sincopato, dimentico del fatto che il qualcosa, in quanto sostrato mentalmente necessario del concetto [...] è l’astrazione suprema del contenuto materiale non-identico al pensiero, un’astrazione che non è tuttavia eliminabile per mezzo di alcun ulteriore processo mentale.47 Sacrificare il senso vuol dire per Adorno sacrificare una delle due componenti della nostra modalità conoscitiva: quella mimetica. La conoscenza che espelle la mimesi non riesce più a cogliere l’esperienza nel suo complesso, perché «scacciando la mimesi ha scacciato la conoscenza che coglie effettivamente l’oggetto».48 Il suo contenuto, la sua esperienza, è presunzione di esperienza, semplice artefatto mentale, rappresentazione simbolica istituita per definizione, stilizzazione della realtà che ne rende irriconoscibili i particolari nella nebbia della generalità. I concetti generali sono gli strumenti con cui i fenomeni dinamici vengono livellati trasformandosi – per Adorno – in parole feticizzate, «simboli [che] prendono l’aspetto di feticci», strutture prive di contenuto materiale perché prive di un’intenzionalità capace di trascendere il mero gioco linguistico che le ha prodotte, recuperando nel campo della referenza la dimensione mimetica. La forma di conoscenza che ne deriva tende a ridurre il mondo «a un gigantesco giudizio analitico», la cui possibile verità può essere solo e unicamente quella imposta al contenuto concettuale dalla dimensione normativa della sua definizione. NEGAZIONE ASSOLUTA E NEGAZIONE DETERMINATA Questa visione del concetto sembra completamente negativa e si accompagna a un’immagine altrettanto negativa dell’idea della ‘ragione’ in quanto espressione più alta del pensare. Adorno sarebbe allora semplicemente un anticoncettualista, un critico radicale e totale dell’idea di ragione e di razionalità sic et simpliciter? Per venire a capo della questione bisogna tenere presente la fondamentale funzione epistemologica assolta in Adorno dalla nozione di nega- 297 zione determinata e il suo nesso con l’idea stessa del pensare. Al pensiero, per Adorno, appartiene intrinsecamente il negare, e questo, a sua volta, è un atto che non si esercita nell’etere, ma sempre a partire da un contenuto determinato. Per questo alla negazione appartiene la determinatezza. La negazione, se interrogata circa il proprio cominciamento, non può che rivelare il suo non poter iniziare da sé e quindi il non poter procedere da sé della dimensione logico-conoscitiva del pensiero, la quale trova struttura e coerenza a livello linguistico grazie alla negazione e al principio di non-contraddizione. La fondamentalità della negazione per la conoscenza e, per converso, per il pensiero nelle sue forme linguisticamente articolate, è ciò che motiva il programma adorniano della restituzione al linguaggio del suo essere «più di un semplice sistema di segni».49 Il che sta a dire che la formalizzazione segnico-linguistica è preceduta e sempre accompagnata dall’intenzionamento del senso, che poi è ciò che egli descrive come il ‘momento mimetico della conoscenza’. Se, infatti, «il pensiero è già in sé, prima di ogni contenuto particolare, negazione»50 – dove la locuzione ‘contenuto particolare’ sta per il contenuto concettuale linguisticamente linearizzato e inferenzialmente strutturato – allora prima dell’espressione concettuale (quella con cui il contenuto linguisticamente si esterna e si comunica) dev’esserci una sorta di possesso interno da parte della mente di un contenuto non-concettuale, che rende possibile l’atto del negare come atto determinato che si esercita nei confronti di una determinata datità che gli preesiste. Questo è l’indice del non-concettuale nella sua precedenza rispetto al concettuale, che dice della vita mentale come dimensione rappresentazionale interna, derivante dal contatto con i momenti materiali dell’esperienza – la mimesi. È quindi il momento mimetico che conferisce alla possibilità della negazione la sua giustificazione logica e genetica. E questo momento non può essere ignorato. Qualora lo fosse, «se questo momento venisse completamente estinto, la possibilità che il soggetto conosca l’oggetto diverrebbe assolutamente incomprensibile», poiché mimesi in quanto afferramento prelinguistico della dimensione qualitativa, utile anche a distinguere ciò che nelle classi logiche staticamente identiche è semplicemente dissimile, e ratio come articolazione linguistico-concettuale di ciò che viene colto, mediante il suo inserimento all’interno di classi concettuali, tendono, nella effettività delle operazioni conoscitive del soggetto, a cooperare. Il momento mimetico si fonde a sua volta con quello razionale. Questo processo si riassume come differenziazione. Essa include la capacità mimetica di reazione e l’organo logico per il rapporto di genus, species et differentia specifica.51 298 Il carattere logico-concettuale e il carattere mimetico (non-concettuale) sono pertanto due necessità per il pensiero. Torniamo ora al rapporto di Adorno con il concetto. Dall’articolazione appena descritta ne viene che l’atteggiamento di Adorno verso la ragione logica (e verso l’idea di scienza che da questa deriva), per non essere frainteso, deve essere compreso proprio a partire dalla intrinseca determinatezza che struttura il nesso pensiero-negazione. Di qui, si è visto, ne viene che l’idea di negazione operante nel pensiero di Adorno è sempre rivolta a qualcosa di specifico. Nell’ambito delle sue riflessioni sulla ragione e sulla scienza la negazione riguarda la specifica forma storica assunte da queste nozioni in epoca contemporanea: quella positivistica e neopositivistica. È allora questo il senso in cui deve intendersi la critica rivolta all’idea di razionalità. Del resto, Adorno esplicita chiaramente questo punto: la scienza, nella sua interpretazione neopositivista, diventa estetismo, sistema di segni assoluti, privo di ogni intenzione che lo trascenda: diventa gioco.52 Anche le sue affermazioni più radicali, apodittiche e paradossali sulla scienza come «l’ordine totalitario insedia completamente nei suoi diritti il pensiero calcolante, e si attiene alla scienza come tale»53 o anche «l’illuminismo è totalitario più di qualunque altro sistema»,54 devono essere interpretate sulla base della clausola limitativa per cui a trovarsi sotto accusa e nel fuoco della negazione è una forma specifica di razionalità, quella positivistica; quella forma di razionalità che «ha accantonato l’esigenza classica di pensare il pensiero» nella sua dinamicità e complessità, restando indifferente alla perdita della capacità di cogliere la complessità dell’esperienza e del reale. MIMESI, SENSO E NON-IDENTITÀ La critica di Adorno è rivolta quindi alla presunta identità, positivistica e neopositivistica, di concetto e definizione, che tende a risolvere la conoscenza in qualcosa di essenzialmente linguistico. In questa costellazione teorica il concetto come portato di una definizione possiede il suo momento di verità nel suo fungere esclusivamente da principio d’ordine e classificazione rivolto ai ‘dati’ e a un generico ‘materiale empirico’, trovando il proprio momento di verità solo all’interno di una teoria come schema linguistico internamente coerente. Il concetto così inteso è un’entità statica che presuppone una concezione altrettanto statica della verità. 299 Secondo questa concezione il concetto e il suo contenuto si identificano con il valore di posizione assegnato loro all’interno di un determinato sistema logico-linguistico, ricavando da questo, e non dall’esperienza, la propria verità. Con concetto è qui inteso il significato come referente della definizione, la quale fissa le condizioni di identità che tramite il concetto stesso sono imposte alla realtà. Questo momento – nel quale l’elemento linguistico ingloba e dissolve la realtà – è anche il luogo in cui Adorno lascia intendere la sua distinzione tra significato (linguaggio) e senso (esperienza mimetica dell’oggetto). Il senso indica la componente non linguistica che supporta il concetto e originariamente deputata a conferirgli concretezza nell’atto di comprensione. Senso esprime qui una dimensione rappresentazionale interna del soggetto. Essa coglie l’alterità tra soggetto e oggetto, restituendo al soggetto l’oggetto come titolare delle proprietà esperite e permette così di portare a consapevolezza la componente qualitativa degli oggetti, che non può coincidere in toto con la sua descrizione nominale. Senso è ciò che Adorno intende come il portato della dimensione mimetica del pensiero. La tensione interna tra concetto e senso, tra formalizzazione linguistico-scientifica e proprietà mimetiche dell’esperienza, rivela l’insufficienza fondamentale della teoria dei concetti fondata sul primato dell’astrazione. Una teoria della conoscenza – e quindi dell’esperienza – che avanzi pretese di adeguatezza, dovrebbe cercare di catturare e dispiegare questa tensione. È qui che si mostra la spinta epistemologica di fondo del programma critico della Dialettica negativa come ricerca ispirata da una «utopia della conoscenza» tesa a restituire alla filosofia il suo autentico compito, ossia «pensare il diverso dal pensiero, che soltanto lo rende tale» o, in altri termini, restituire alla filosofia il compito e il merito che essa aveva avuto in passato: la scoperta di «istanze di verità in espressioni soggettive e oggettive che non sono in se stesse pensiero».55 Questo intento corrisponde allo sforzo di «aprire l’aconcettuale con i concetti, senza omologarlo ad essi».56 Si tratta di ritornare a dare dignità conoscitiva a ciò che continuamente, facendo esperienza, sappiamo: l’esperienza del senso come elemento proprio dell’oggetto, il non-linguistico. Questo programma, che si esprime in maniera più sistematica nella Dialettica negativa, era già abbozzato nella Dialettica dell’illuminismo, dove si parla di una «utopia implicita alla ragione»,57 tesa a rinvenire il potenziale positivo del concetto. Il concetto, come strumento del pensiero, assolve la propria funzione di allontanamento dalla natura con finalità di dominio, ma assolve anche questa funzione nei confronti del pensiero stesso, lì dove la filosofia, pensando, cerca di conoscere la conoscenza. Dove si perde la distinzione tra processo e risultato, tra genesi e generato, 300 si ha l’ipostasi del pensiero nelle sue sole funzioni logico-formali che lo restituiscono come ciò che esso non è: pensiero puro, «natura immemore di sé». Ma, per altro verso, il concetto può anche operare come organo della «presa di coscienza».58 Il pensiero, infatti, «può sostenere la causa di ciò che ha rimosso», la causa del «momento mimetico della conoscenza, quello dell’affinità elettiva tra il conoscente e il conosciuto».59 Nel concetto stesso si cela quindi la traccia del suo momento mimetico, dell’eterogeneo rispetto a sé, che è anche la marca del suo potenziale positivo. A partire da questa traccia si può comprendere come il concetto, che si suole «definire come unità caratteristica di ciò che è compreso sotto di esso, è stato invece sin dall’inizio un prodotto del pensiero dialettico, dove ogni cosa è ciò che è solo in quanto diventa ciò che non è».60 Nel potenziale del concetto non vi è solo la funzione di una assoluta presa di distanza dalla realtà nel linguaggio, ma anche la possibilità di portare il pensiero verso il reale, cogliendo come nel concetto stesso albergano le tracce del reale, il suo altro. Cogliere questo significa comprendere che la realtà non è (solo) pensiero e che pertanto non è assimilabile in toto al linguaggio. Questo è l’obiettivo tendenziale della Dialettica negativa: che il «concetto, ciò che etichetta e mutila, possa trascendere il concetto e così arrivare all’aconcettuale»,61 dal momento che «tutti i concetti [...] mirano al non concettuale»62 e la filosofia ha il compito di «accertare il non-concettuale nel concetto».63 E tuttavia, in che modo è possibile passare dalla pars destruens alla pars costruens di questo programma? PENSARE IN ‘COSTELLAZIONI’ Qui Adorno si limita a indicare la direzione di marcia e il primo passo. Se è necessario riconoscere che «lo stesso concetto di concetto è diventato problematico»,64 se bisogna prendere atto del fatto che «la dialettica mostra l’impossibilità della riduzione del mondo a un polo soggettivo fisso», che il suo senso profondo è una «intransigenza di fronte a ogni reificazione» e che il suo lavoro è la «fluidificazione dei singoli concetti», fluidificazione come manifestazione della complessità di cui consta la «riflessione sull’immediato»,65 allora la proposta di Adorno indica la via verso una concezione ‘dialettica’ del concetto. Questo deve trattenere presso di sé memoria dei suoi momenti dinamici, irriducibili alla formalizzazione logica, evitando così che «il concetto ipostatizzi, ancor prima di ogni contenuto, la sua forma rispetto ai contenuti».66 Questo programma di rideterminazione della struttura del concetto mira all’intenzionamento del senso nella sua concre- 301 tezza in maniera pluriradiale anziché in maniera statica, fissa, monoradiale. La ridefinizione adorniana del concetto cerca di cogliere la pluralità di intenzionamenti diretti al senso, secondo il modello utopico-metaforico della costellazione, che viene schizzato nelle considerazioni su Benjamin. La costellazione è la forma conoscitiva di un pensiero capace di tener conto delle istanze del molteplice, di riguadagnare la forza della sensibilità, di incalzare «la cosa, quasi volesse trasformarsi in un tastare, in un fiutare, in un gustare», di «penetrare negli aurei filoni che a nessun procedere classificatorio è dato di attingere»; un pensiero che ha da «raggiungere lo spessore dell’esperienza e tuttavia non deve rinunciare a nulla del suo rigore».67 Per questo compito è necessaria la riforma del concetto a partire dal riconoscimento del suo attuale limite interno, l’ipostatizzazione dell’identificazione come delimitazione del contenuto logico rispetto all’esperienza fenomenico-sensibile. Riconoscere che nella formazione del concetto è all’opera un ‘apparato mutilante’ che espelle dall’identità del concetto il non-concettuale, il suo elemento materiale, significa riconoscere il carattere sincopato dell’esperienza e quindi mettersi in moto per riguadagnare l’esperienza nella sua pienezza e complessità, senza abbandonarsi alla mitologia contraria, l’espulsione del concettuale dall’esperienza, dal momento che questa «senza i concetti non avrebbe continuità».68 Si tratta di riconoscere quanto di concettuale vi è nella nostra esperienza e impedire che «l’eliminazione delle qualità, la loro traduzione in funzioni», trasformi completamente il nostro «mondo percettivo» in un universo che non conosca più le mediazioni delle qualità fenomeniche, un universo percettivo simile «a quello dei batraci».69 È necessario tornare a cogliere la distinzione tra superfici (immediatezza delle sensazioni) e profondità (costituzione dinamica dei processi e del contenuto di senso), poiché in quel tortuoso cammino che ha condotto alla forma specifica assunta oggi dalla teoria della conoscenza, quel percorso che va dalla «mitologia alla logistica, il pensiero ha perduto l’elemento della riflessione-su-di-sé».70 Bisogna ritrovare la possibilità di tornare a delimitare l’elemento sensibile da quello concettuale, individuandone funzione e diritti, per restituirlo a se stesso e quindi procedere alla sua riabilitazione all’interno di una teoria della conoscenza che voglia davvero conoscere la conoscenza effettiva nella sua pienezza. E questa possibilità alberga in un recupero positivo del ruolo della riflessione, mediante cui «il pensiero è capace di riconoscere criticamente il carattere coercitivo che gli è immanente»,71 dove questa ‘coercizione’ esprime il carattere necessitato del pensiero stesso nel suo intrinseco e costitutivo non poter 302 fare a meno di concettualizzare, di istituire identificazioni concettuali. La dimensione logico-discorsiva è una necessità dell’intelletto, non una scelta soggetta a reversibilità. Riconoscere questa coazione, questo elemento di non-libertà del pensiero è anche riconoscerne i limiti costitutivi e quindi, per effetto della negazione determinata, guadagnare la possibilità dello smascheramento del primato assoluto del concetto. Indagare la costituzione necessitata del pensiero e dell’esperienza è quindi prendere atto della sua natura non immediata, bensì mediata, della coabitazione in essa di elementi concettuali e non-concettuali (mimetici). Filosofia è «estinzione dell’autarchia del concetto» e dell’illusione dell’immediatezza del suo contenuto; essa dev’essere critica immanente della conoscenza. Cosa che la riporta alla sua autentica finalità: essere «denuncia dell’illusione»,72 nel caso specifico, dell’illusione che il pensiero e la conoscenza constino solo di rappresentazioni linguistiche, il cui unico problema è quello di evitare la contraddizione logico-formale. Qui il compito ancora attuale del programma di Adorno: restituire al pensiero e alla conoscenza la consapevolezza del loro intrinseco, inestirpabile e necessario legame con l’esperienza vivente, dimensione questa che, i primi, nel corso della loro lunga storia, si sono lentamente ma progressivamente alienati. 303 NOTE 1 In proposito si vedano le osservazioni di Husserl relative al processo di identitifcazione in quanto oggettivazione in senso pregnante presenti nelle sue lezioni del semestre invernale 1920/21, nel corso friburghese dedicato alla «logica trascendentale». Cfr. E. HUSSERL, Aktive Synthesen: aus der Vorlesung «transzendentale Logik» 1920/21, in: ID., Gesammelte Werke, vol. 31, Kluwer, Dordrecht 2000, in particolare p. 25 e segg. 2 Sul programma della costituzione di una filosofia e di una teoria della conoscenza ’dal basso’ si veda per esempio G. SEMERARI, Trasformazioni della filosofia e verità, in: Paradigmi, n. 27/1991, pp. 201-225; ma anche, per quanto riguarda una specifica declinazione epistemologica di questa nozione coordinata con un programma fenomenologico-trascendentale, D. LOHMAR, Phänomenologie der schwachen Phantasie. Beiträge der Psychologie, Neurologie und Phänomenologie zur Funktion der Phantasie in der Wahrnehmung (apparirà nel 2008 nella collana Phaenomenologica, per i tipi della Springer). Desidero ringraziare Dieter Lohmar per avermi consentito l’accesso al manoscritto. 3 Bisogna sottolineare che spesso il programma di Adorno è stato accomunato a queste operazioni teoriche, come se si trattasse di una particolare forma di ’heideggerismo’, sebbene di segno rovesciato. 4 In questa direzione il programma di Adorno è da distinguere da tutte le forme di riflessione esclusivamente analitica sulla conoscenza, del tipo di quelle promosse, in direzioni diverse, da filosofi contemporanei come Davidson o Rorty. 5 La possibilità di elaborare un’epistemologia critico-immanente della teoria della conoscenza è una delle caratteristiche più stimolanti della riflessione di Adorno. E questa idea sembra legarsi in maniera solida agli sviluppi cui può dar luogo una sistematica rimeditazione della nozione di non-identico e di mimesi. Anche se quest’ultima ha incontrato un certo scetticismo in letteratura, lì dove ad esempio l’idea stessa della radice mimetica della conoscenza è stata giudicata come una posizione contraddittoria (Habermas) o quantomeno confusa (Jameson), essa trova oggi all’interno della filosofia della mente e della coscienza riscontri davvero interessanti che sembrano fornirle una solida base materiale. Si pensi ad esempio alla determinazione della diversità delle funzioni della conoscenza cosciente appurate dalle ricerche di Block, per cui la mente umana dispone di due distinte modalità di conoscenza cosciente, una di tipo fenomenico, tesa alla registrazione della dimensione qualitativa dell’esperienza, l’altra di carattere logico-cognitivo, capace di strutturare l’esperienza in base alle categorie e alle nozioni di cui la mente dispone (cfr. N. BLOCK, On a Confusion about a Function of Consciousness, in: N. Block, O. Flanagan, G. Güzeldere (a cura di), The Nature of Consciousness. Philosophical Debates, MIT Press, Cambridge 1998, pp. 375-415). Un ulteriore elemento deriva dall’individuazione dei cosiddetti neuroni-specchio nella corteccia cerebrale premotoria, responsabili della nostra capacità di accedere in maniera non-linguistica ma dinamico-motoria, al “senso” delle azioni compiute dai nostri simili. In questa direzione la componente mimetica individuata da Adorno troverebbe un posto al sole all’interno di una teoria motoria della mente e del pensiero. Per una discussione di queste ricerche si veda V. GALLESE, A. GOLDMANN, Mirror Neurons and the Simulation Theory of Mindreading, in: Trends in Cognitive Science, 2/1998, pp. 493-501; V. GALLESE, La molteplice natura delle relazioni interpersonali: alla ricerca di un comune meccanismo neurofisiologico, in: Network, 1/2003, pp. 24-47. 6 Questo elemento della riflessione di Adorno rappresenta un’istanza antirelativistica, che distingue l’approccio adorniano dagli esiti del relativismo linguistico ed epistemologico di molta parte dell’epistemologia analitica della mente e del linguaggio contemporanee. 304 7 TH. W. ADORNO, Metacritica della teoria della conoscenza. Studi su Husserl e sulle antinomie fenomenologiche, Mimesis, Milano 2004, p. 133. 8 Ivi, p. 101. 9 Ibidem. 10 TH. W. ADORNO, Dialettica negativa, Einaudi, Torino 2004, p. 147, traduzione modificata. 11 ID., Metacritica della teoria della conoscenza, cit., p. 68. 12 Ivi, p. 72. 13 Ivi, p. 61. 14 Ivi, p. 69. 15 Ivi, p. 63. Questa convinzione di Adorno trae forse origine da una fin troppo letterale interpretazione dell’ipotesi metodologica del giovane Husserl circa la necessità di una ’assenza di pregiudizi’ propria del procedere fenomenologico. 16 Ivi, p. 91. 17 Ivi, p. 86. 18 Ivi, p. 111. 19 Ivi, p. 109. 20 Ivi, p. 135. 21 Si veda in generale sul periodo la sintesi di L. JÄGER, Adorno. Eine politische Biographie, Deutsche Verlags-Anstalt, Monaco 2003, pp. 126-146, in particolare le pp. 126-128. 22 Cfr. U. MÜLLER, Ekenntniskritik und negative Metaphysik bei Adorno, Atheneum, Francoforte 1988, in particolare p. 192 e segg. 23 Lettera di Adorno a Horkheimer del 24.11.1934, in: TH. W. ADORNO, Briefe und Briefwechsel, vol. 4, Suhrkamp, Francoforte 2003, pp. 35-44, citazione a p. 41. 24 Adorno sviluppa questa sua comprensione della fenomenologia husserliana in base a una lettura e interpretazione basata sul modello della cosiddetta analisi ‘statica’ – quella che lo stesso Husserl ha proposto in opere come Ricerche logiche (1900/1901) e Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica, vol. I (1913). Del lavoro profondo e costante sviluppato da Husserl in direzione della cosiddetta analisi ‘genetica’, con la conseguente distinzione tra dimensione attiva e passiva della sintesi conoscitiva, Adorno sembra non aver sentore o di non averne tenuto debitamente conto. Anche se opere importanti di Edmund Husserl in questa direzione, quali Esperienza e giudizio, Meditazioni cartesiane o Logica formale e trascendentale non erano ignote ad Adorno. Resta quindi un dubbio: quale sarebbe stata la comprensione che Adorno avrebbe sviluppato della fenomenologia qualora avesse prestato sitematica attenzione allo sviluppo della dimensione genetica, coniugandolo in particolare con la sua concezione della cognizione mimetica? 25 Lettera di Adorno a Horkheimer del 24.11.1934, in: TH. W. ADORNO, Briefe und Briefwechsel, vol. 4, cit., pp. 35-44, citazione a p. 40. 26 Si noti l’uso da parte di Adorno della locuzione ‘cattiva psicologia’, per indicare la psicologia razionalistica. L’impiego di schlecht – lo stesso impiegato da Hegel nei confronti di Fichte e di Schelling, per porre in risalto la loro concezione giustappositiva e non-dialettica dell’infinità – è degno di nota. Questo uso terminologico, che restituisce un vero e proprio atteggiamento mentale, rende esplicite le intenzioni teoriche adorniane. Per un verso si tratta di individuare e porre positivamente in risalto le potenzialità ‘protodialettiche’ della fenomenologia husserliana, intesa come baluardo immanente contro lo psicologismo e il positivismo più estremi, dal momento che ‘schlecht’ è la tipologia di psicologismo contro cui Husserl cerca un criterio di demarcazione. In questo senso Adorno designerà più tardi la fenomenologia husserliana come una teoria della conoscenza che ‘suo malgrado’ adombra in sé una ‘dialettica’. Per altro verso l’aggettivo 305 ‘schlecht’ sembra assolvere anche un’ulteriore funzione; esso sta a indicare un sapiente utilizzo tecnico del lessico storico della dialettica da parte di Adorno. 27 Ibidem. 28 Su questo aspetto, altamente problematico, della prima fenomenologia husserliana si vedano le sintetiche, ma efficaci considerazioni in S. CUNNINGHAM, Language and the Phenomenological Reductions of Edmund Husserl, M. Nijhoff, L’Aia 1976. Qui in maniera succinta e tuttavia efficace si riconosce che nella fase iniziale della riflessione husserliana, «nelle Ricerche logiche, il linguaggio era lo strumento in cui si esprimeva un atto di coscienza che ‘intenzionava’ un dato oggetto ideale, chiamato ‘significato’. Questi significati erano oggetti ideali senza una specifica costituzione, che erano semplicemente ciò che erano [...] i significati c’erano e basta, indipendentemente dalla coscienza», ossia dalla soggettività, e dal suo ruolo nella loro costituzione. Successivamente, con l’introduzione dell’approccio genetico, diventa chiara la funzione svolta dal linguaggio per la loro fissazione nella conoscenza, ma anche il piano della loro costituzione antecedente al linguaggio stesso (cfr. ivi, p. 71 e segg.). Per una breve ma efficace presentazione complessiva della svolta genetica della fenomenologia husserliana si veda R. BERNET, I. KERN, E. MARBACH, Edmund Husserl. Darstellung seines Denkens, Meiner, Amburgo 1989, pp. 181-189. 29 Lettera di Adorno a Horkheimer del 24.11.1934, in: TH. W. ADORNO, Briefe und Briefwechsel, vol. 4, cit., pp. 35-44, citazione a p. 41. 20 Ibidem. 31 Ibidem. 32 Cfr. TH. W. ADORNO, Aspetti della filosofia hegeliana, in: ID., Tre studi su Hegel, Il Mulino, Bologna 1981, pp. 9-67, citazione a p. 18. In merito si veda anche U. MÜLLER, Erkenntniskritik und negative Metaphysik bei Adorno, cit., pp. 181 e segg.; S. BUCKMORSS, The Origin of Negative Dialectics, The Harvester Press, Hassocks 1977, p. 77 e segg. 33 Lettera di Adorno a Horkheimer del 25.02.1935, in: Briefe und Briefwechsel, vol. 4, cit., pp. 51-57, citazione a p. 56. 34 Ibidem. 35 Lettera di Adorno a Horkheimer del 25.06.1936, in: TH. W. ADORNO, Briefe und Briefwechsel, vol. 4, cit., pp. 162-172, citazione a p. 165. 36 Lettera di Adorno ad Horkeihmer del 12.11.1935, in: TH. W. ADORNO, Briefe und Briefwechsel, vol. 4, cit., pp. 91-94, citazione alle pp. 92-93. 37 TH. W. ADORNO, La coscienza della sociologia del sapere, in: ID., Prismi, Einaudi, Torino 1972, pp. 23-38, citazione a p. 30. 38 ID., Profilo di Walter Benjamin, in: ID., Prismi, cit., pp. 233-247, citazione a p. 247. 39 E. HUSSERL, Filosofia come scienza rigorosa, Laterza, Roma-Bari 1998, p. 35, corsivo mio. 40 TH.W. ADORNO, Dialettica negativa, cit., p. 29. 41 M. HORKHEIMER, TH.W. ADORNO, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino 1992, p. 99. 42 Ivi, p. 21. 43 Cfr. TH. W. ADORNO, Dialettica negativa, cit., p. 11. 44 M. HORKHEIMER, TH. W. ADORNO, Dialettica dell’illuminismo, cit., p. 34. 45 Ivi, p. 25 e p. 33. 46 Per Adorno una logica che risponde soltanto a criteri di tipo formalistico, i cui canoni sono rappresentati soltanto dal rispetto del principio di non contraddizione e di quello del terzo escluso, determina «l’espulsione del pensiero dalla logica», ossia rende la logica un mero “fatto tecnico” (M. HORKHEIMER, TH.W. ADORNO, op. cit., p. 38). 306 47 TH. W. ADORNO, Dialettica negativa, cit. p. 123, traduzione modificata. M. HORKHEIMER, TH.W. ADORNO, Dialettica dell’illuminismo, cit., p. 22. 49 Ivi, p. 32. 50 TH. W. ADORNO, Dialettica negativa, cit., p. 20. 51 Ivi, p. 43. 52 M. HORKHEIMER, TH. W. ADORNO Dialettica dell’illuminismo, cit, p. 92, corsivo mio. 53 Ivi, p. 26. 54 Ivi, p. 14. 55 M. HORKHEIMER, TH. W. ADORNO, Dialettica dell’illuminismo, cit., p. 97. 56 TH. W. ADORNO, Dialettica negativa, cit., p. 11. 57 M. HORKHEIMER, TH. W. ADORNO, Dialettica dell’illuminismo, cit., p. 99. 58 Ivi, pp. 46-48. 59 TH. W. ADORNO, Dialettica negativa p. 43. 60 M. HORKHEIMER, TH. W. ADORNO, Dialettica dell’illuminismo, cit., p. 23. 61 TH. W. ADORNO, Dialettica negativa, cit., p. 11. 62 Ivi, p. 13. 63 Ibidem, traduzione modificata. 64 Ivi, p. 139. 65 ID., Aspetti della filosofia hegeliana, cit., p. 19. 66 ID., Dialettica negativa, cit., p. 139. 67 ID., Profilo di Walter Benjamin, cit., pp. 246-247. 68 ID., Aspetti della filosofia hegeliana, cit., p. 40. 69 M. HORKHEIMER, TH. W. ADORNO, Dialettica dell’illuminismo, cit., p. 44. 70 Ivi, p. 45. 71 TH. W. ADORNO, Dialettica negativa, cit., p. 45. 72 M. HORKHEIMER, TH. W. ADORNO, Dialettica dell’illuminismo, cit., p. 31. 48 307