III
MuPris: il Museo della basilica
di San Silvestro
«Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo; è aperto al pubblico e compie ricerche che riguardano le testimonianze materiali dell’umanità e del suo ambiente: le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto, le espone a fini di studio, educazione e diletto»1.
Pur presentando alcune anomalie, in base alla definizione formulata dall’International Council of Museum, anche la raccolta di frammenti di sarcofagi, ospitata in uno
dei due ambienti di cui si compone la basilica di S. Silvestro presso le catacombe di Priscilla, può essere denominata Museo.
La prima particolarità che si percepisce visitando il Museo di Priscilla riguarda la
tipologia dell’edificio-contenitore della collezione. Non si tratta di un ambiente appositamente concepito, ma di uno spazio impiegato inizialmente semplicemente per
conservare i materiali e soltanto attualmente adattato per esporre i frammenti scultorei. Uno spazio che è anch’esso un monumento storico che conserva importanti testimonianze archeologiche, non tanto in alzato quanto soprattutto a livello del piano pavimentale.
Nel corso degli scavi intrapresi da Giovanni Battista de Rossi nel 1890, proseguiti
in seguito da Orazio Marucchi sino al 1906, sono stati rinvenuti i muri di fondazione di due edifici di forma basilicale2 (fig. 1). L’ambiente a ovest, risalente agli inizi del
IV secolo, è un mausoleo a pianta quadrata costruito in opera laterizia, coperto originariamente con una volta a crociera e ipoteticamente provvisto, sul lato orientale, di
un triforio. In seguito, probabilmente all’epoca di papa Silvestro (314-335), a questo
edificio venne addossata un’abside in mattoni di tufo, munita sul fondo di una nicchia
per sarcofago3. È probabile che proprio in questo spazio abbia trovato posto la sepol-
1
Estratto dallo Statuto dell’ICOM (Articolo 2. Definizioni), adottato dalla 16a Assemblea generale dell’ICOM
(L’Aja, Paesi Bassi, 5 settembre 1989) e modificato dalla
18a Assemblea generale dell’ICOM (Stavanger, Norvegia,
7 luglio 1995) nonché dalla 20a Assemblea generale (Bar-
cellona, Spagna, 6 luglio 2001).
2
DE ROSSI 1890, pp. 106-119; MARUCCHI 1906, pp.
28-34; MARUCCHI 1908, 5-33.
3
TOLOTTI 1973.
91
Fig. 1. Veduta generale da sud-est del sopratterra della catacomba di Priscilla durante lo scavo del 1906 (Foto PCAS,
PRI_A_008)
tura del pontefice, che fonti contemporanee come la Depositio episcoporum del 3364,
ricordano in Priscilla, presumibilmente nel sopratterra, in marmoreo tumulo, come si
evince anche dagli itinerari dei pellegrini del VII secolo, primo fra tutti la Notitia ecclesiarum5. Altro elemento degno di nota è una sepoltura scavata nel terreno, posta esattamente al centro dell’abside e rivestita internamente da lastre marmoree; al di sopra
di questa tomba è stato realizzato un altare a mensa e forse un ciborio, se la base di colonnina su cui sono incisi i nomi dei martiri Felice e Filippo è effettivamente pertinente
a questa struttura, il tutto racchiuso entro una recinzione con plutei marmorei6. A questo arredo liturgico, nella seconda metà del IV secolo, vennero aggiunte alcune iscrizioni monumentali che il papa Damaso (366-384) volle dedicare alla memoria dei martiri qui sepolti: le lastre marmoree originali sono andate perse, ma il testo delle epigrafi,
tramandato da molti copisti, è stato replicato in grandi pannelli affissi sulle pareti laterali della basilica7.
4
5
92
VALENTINI, ZUCCHETTI 1941-1942, II, 13-14.
VALENTINI, ZUCCHETTI 1941-1942, II, 76-77.
6
7
GIULIANI 2008.
Damaso 1985.
Sempre dalle fonti antiche sappiamo anche che i due martiri Felice e Filippo, ricordati
come figli di Felicita, riposavano sub altare maiore e che intorno alla sepoltura papale si
sono concentrate numerose altre sepolture importanti, tra cui quelle dei pontefici Marcello (308-309), Siricio (384-399) e Celestino (422-432). Infine, attraverso una scala, probabilmente realizzata appositamente lungo il muro perimetrale di sinistra, si potevano raggiungere, come in una sorta di cripta ante litteram, i sepolcri del martire Crescenzione e
il cubiculum claro ove era stato deposto il papa Marcellino (296-304)8.
La forza attrattiva delle sepolture venerate, secondo un fenomeno ampiamente attestato in numerose aree catacombali, ha probabilmente ispirato la realizzazione di numerosi mausolei privati e, in particolare, di un secondo edificio. La facciata di quest’ultimo
venne allineata lungo la scala che originariamente conduceva alle gallerie catacombali, determinando in questo modo lo sviluppo in lunghezza dell’ambiente che si trovò
ad avere l’abside pressoché addossata alla facciata del primo edificio con un arco di curvatura piuttosto schiacciato. L’interno venne organicamente riempito di sepolture, sia
sul piano pavimentale, disposte in una griglia regolare, sia lungo le pareti laterali entro nicchie a più piani, creando così quello che si può definire un “cimitero coperto”.
La presenza della scala lungo la parete di fondo ha fatto ipotizzare che l’accesso all’edificio avvenisse dall’abside attraverso una serie di archi; la traforatura dell’abside e il
triforio posto in facciata nell’edificio adiacente avrebbero permesso una fruizione fluida e scorrevole di entrambi gli ambienti, come se si trattasse di uno spazio unitario, eventualità, quest’ultima, che non può essere esclusa e che, in effetti, è stata realizzata nella ricostruzione dell’edificio avvenuta al termine degli scavi archeologici dell’inizio del
secolo scorso9 (fig. 2).
Una differenziazione tra i due edifici è comunque stata mantenuta anche nel recente passato e ribadita altresì nell’assetto attuale, soprattutto dal punto di vista funzionale: lo spazio in cui sono concentrate le sepolture martiriali è stato dedicato a scopi liturgici, mentre la struttura addossata, più difficile da gestire dal punto di vista dell’organizzazione degli spazi è stata utilizzata come “deposito in vista” dei materiali archeologici rinvenuti nell’area circostante le catacombe priscilliane; è questo l’ambiente che è stato trasformato in museo (fig. 3).
*
8
TOLOTTI 1970.
*
*
9
TOLOTTI 1973.
93
Fig. 2. Veduta dall’esterno dei due edifici che compongono la basilica di S. Silvestro (Foto PCAS, PRI_0a_03)
Fig. 3. Veduta dell’interno della basilica di S. Silvestro in occasione dell’innaugurazione nel 1907 (Foto PCAS,
PRI_A_028)
94
Ma per museo non si deve intendere semplicemente la struttura fisica, quanto piuttosto la struttura logica, ovvero i principi e i criteri in base ai quali sono stati organizzati, conservati e esposti i materiali in esso contenuti.
In effetti, il primo criterio da applicare ad una collezione di oggetti che si vuole
convertire in esposizione museale è il riconoscimento di “bene culturale” da attribuire agli oggetti ivi custoditi10.
I frammenti di sarcofagi rinvenuti negli scavi degli inizi del Novecento testimoniano, seppur nella loro lacunosità, almeno tre elementi peculiari al concetto di civiltà e, nello specifico, alla società romana di epoca tardo imperiale, trattandosi di manufatti prevalentemente da attribuire al III secolo, con alcuni esemplari del secolo successivo.
La loro concentrazione in quest’area del suburbio romano permette di ricostruire le caratteristiche del contesto di provenienza, ovvero la necropoli subdiale che doveva estendersi al III miglio della via Salaria nova costituita da un recinto quadrangolare da assegnare, nella sua fase originaria, alla fine del I-inizi del II secolo e occupato
da almeno due ambienti coperti, pavimentati a mosaico bianco e nero; sul lato meridionale doveva svilupparsi una sorta di portico pavimentato in opus signinum dove poteva essere stata collocata una serie di sarcofagi11. Il recinto funerario era collegato tramite un pozzo ad una grande cisterna sotterranea, da cui si dipartiva una galleria ad
L; questi ambienti sotterranei, all’inizio del III secolo, vennero utilizzati per scopi funerari, dando avvio ad uno dei nuclei originari della catacomba. All’interno della cisterna sono state rinvenute numerose iscrizioni, presumibilmente precipitate dal sopratterra, che menzionano personaggi appartenenti alla famiglia degli Acili, tra cui una
clarissima foemina di nome Priscilla12. Il recinto funerario del sopratterra è stato quindi attribuito alla gens Acilia e molti dei sarcofagi in esso contenuti e giunti sino a noi,
seppur in stato frammentario, potrebbero avere quali committenti proprio i personaggi
appartenenti a questa famiglia.
Un secondo fattore utile a ricostruire la civiltà del periodo tardo romano, che si
può desumere dalle testimonianze scultoree, riguarda l’aspetto stilistico. Il III secolo
rappresenta un momento di svolta del linguaggio artistico, che è di contenuto prima
ancora che di forma, ma con significative ripercussioni anche sull’aspetto esteriore attraverso cui questi nuovi contenuti vennero espressi. Nelle opere di questo periodo, infatti, si assiste ad un progressivo abbandono della forma ellenistica, che porta all’allontanamento da una riproduzione razionale della natura e dalla ricerca di forme anatomicamente corrette, eleganti e spontanee. La rottura con questo sistema espressivo
avviene per cause interne e intrinseche alla civiltà stessa dell’Impero: crisi delle istitu10
In base al Decreto Legislativo del 22 gennaio 2004,
n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137. (GU
n.45 del 24-2-2004 - Suppl. Ordinario n. 28 ), Art. 2, 2
«Sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, sto-
rico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base
alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà».
11
TOLOTTI 1970.
12
Vd. Il contributo di R. Giuliani in questo stesso volume.
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Fig. 4. Frammento di sarcofago a vasca con rappresentazione di una Vittoria alata che sostiene un festone (N. Inv.
PRI 0147) (foto PCAS)
*
*
zioni governative, fattori economici gravosi e squilibri etnico - sociali. Questa generale situazione di insicurezza e malcontento si rispecchia nella forma artistica,
che sempre più si rivolge all’astrazione e
all’irrazionale come forma di fuga e di anelito verso un futuro migliore. Si assiste così
ad un progressivo disfacimento delle forme, con figure sommariamente sbozzate,
pesantemente plastiche, ma circoscritte da
solchi profondi sia nei contorni sia nelle
pieghe dei panneggi, in una alternanza
netta di luci e ombre che produce illusori effetti ottici13 (fig. 4).
L’aspetto più significativo e caratteristico del periodo è, come si diceva,
rappresentato dai mutamenti di contenuti e quindi dei soggetti da raffigurare
sulle opere scultoree. La selezione dei motivi iconografici presenti sui frammenti
di Priscilla illustra primariamente quali fossero le aspettative per l’aldilà in un
periodo di passaggio dal paganesimo al
cristianesimo. Sono tutti temi carichi di
simbolismo, ispirati da concezioni spirituali e tendenze filosofiche tipiche e ampiamente diffuse in questo frangente storico-culturale.
*
Una volta riconosciuto il valore di bene culturale rappresentato dall’oggetto collezionato, questo acquisisce il diritto (anzi il dovere) di essere messo a disposizione della comunità per assolvere al suo compito di testimone del passato. Il museo diviene quindi lo spazio precipuo ove svolgere tale importante funzione: è il luogo riservato all’esposizione. Ma non basta semplicemente esibire l’oggetto ai visitatori, bisogna fornire al fruitore tutte le chiavi di lettura necessarie a comprenderne la valenza storica; il
processo di musealizzazione è quindi l’insieme delle soluzioni ideate per far si che le
13
96
BIANCHI BANDINELLI 1970.
opere esposte possano mantenere e comunicare i propri rapporti con l’ambiente storico e culturale cui appartengono.
Nella maggior parte dei casi gli oggetti esposti in un museo non sono stati appositamente concepiti per quello spazio, ma provengono da contesti differenti entro cui
svolgevano funzioni specifiche, funzioni che vengono quasi completamente alienate una
volta rimosso il manufatto dal suo ambiente di destinazione.
Uno dei valori aggiunti che questa esposizione offre al visitatore risiede propriamente nella sopravvivenza del legame opera d’arte – contesto per il quale è stato creato ed è per evidenziare tale aspetto che nella fase di progettazione del riallestimento dei
materiali scultorei si è ritenuto importante mettere in evidenza anche le strutture archeologiche conservate nel piano pavimentale, trasformando l’ambiente da semplice
contenitore a contestuale sito di provenienza dei manufatti scultorei.
Nel recente passato le strutture superstiti erano state progressivamente occultate
da un riempimento di sabbia e pozzolana, il quale, inoltre, aveva contribuito al formarsi
di importanti depositi di polvere sulle superfici marmoree. Nel febbraio del 2010 è stato intrapreso uno scavo archeologico che ha riportato in luce le formae pavimentali, disposte organicamente lungo un muro di spina centrale14. Il lavoro è consistito, inizialmente,
nella rimozione dei riempimenti progressivi che avevano obliterato quasi interamente le strutture antiche; in seguito si è passati alla revisione delle murature che, nel corso dei decenni, avevano subito numerosi interventi di consolidamento e vere e proprie
ricostruzioni, alcune delle quali realizzate con materiali antichi; grazie all’ausilio delle
foto di Archivio è stato possibile ripristinare lo stato in cui si trovavano le strutture al
momento della scoperta15. Inoltre, si è deciso di svolgere alcuni piccoli saggi con lo scopo di approfondire e chiarire la situazione stratigrafica e la conoscenza di alcuni particolari settori dell’edificio. In particolare, si è indagato all’interno della forma posta all’angolo sud-est dove è stato rinvenuto un muro in tufelli che doveva costituire la fondazione del muro perimetrale orientale dell’aula basilicale, se non addirittura del recinto funerario; all’interno del riempimento della sepoltura sono stati rinvenuti, inoltre, numerosi frammenti di intonaco dipinto, la cui provenienza e quindi funzione non
è possibile accertare con sicurezza, ma si potrebbe ipotizzare che fossero pertinenti ad
una qualche forma di decorazione della basilica stessa.
Ai fini dell’allestimento dei sarcofagi, le mutate condizioni del piano pavimentale, con creste murarie sporgenti e terreno degradante sul lato settentrionale, quindi fortemente accidentato e in condizioni conservative estremamente delicate, hanno richiesto
l’inserimento di un nuovo piano pavimentale, posto non troppo al di sopra dell’originario (fig. 5).
14
Lo scavo archeologico è stato eseguito dal dott. Marco Bruzzesi.
15
Si ringrazia la d.ssa Agnese Pergola che si sta occupando
della riorganizzazione dei materiali fotografici dell’Archivio della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.
97
Si è pensato perciò di realizzare una
copertura trasparente attraverso la quale poter mantenere in vista l’impianto sepolcrale preesistente e, contemporaneamente, ampliare lo spazio espositivo
dell’aula inserendo dei basamenti su
cui poggiare i frammenti marmorei di
maggiori dimensioni. La progettazione
della nuova pavimentazione è stata impostata, sin dalle prime fasi, come un elaborato lavoro di equipe interdisciplinaFig. 5. Rilievo laser scanner con texture del piano pavire, dovendo ricercare soluzioni di commentale dell’ambiente meridionale dopo la campagna di
promesso tra differenti esigenze16.
scavi del 2010 (rilievo Area 3D per la PCAS)
L’elemento maggiormente condizionante, quello al quale ogni fase del lavoro e ogni scelta operativa è stata sottoposta,
è rappresentato dalle particolari condizioni microclimatiche dell’ambiente.
I due edifici basilicali, infatti, mantengono uno stretto legale con le sottostanti gallerie catacombali, sia dal punto di vista concettuale sia da quello fisico (fig. 6). Ma, rispetto agli ambienti propriamente ipogei, la situazione microclimatica è ulteriormente complicata dal contatto diretto con l’esterno che accresce la variabilità delle condizioni ambientali. La presenza delle due scale di accesso alle catacombe permette la risalita di aria calda e, soprattutto, fortemente umida dal sottosuolo, la quale, a contatto con la temperatura esterna, dà luogo ad un importante fenomeno di condensa. Il
disequilibrio che si viene a creare dà luogo a numerosi processi di deterioramento di
natura fisica, chimica e biologica che possono alterare l’aspetto, le dimensioni, o il comportamento chimico dei materiali. Per comprendere e quindi prevenire il verificarsi di
tali fenomeni è stato installato un sistema di monitoraggio microclimatico, i cui risultati
hanno fornito importanti indicazioni per rendere lo spazio museale adatto a garantire le condizioni ottimali di conservazione sia per i manufatti sia per le strutture interne17. Si è trattato di stabilizzare i parametri microclimatici per rendere l’ambiente in
grado di assolvere alla sua funzione di necessaria intercapedine tra le sottostanti catacombe e l’esterno. Viste le particolari condizioni anche gestionali del monumento si
è optato per una soluzione di “condizionamento” naturale, senza l’ausilio di macchinari appositi che avrebbero snaturato eccessivamente la carattere archeologico del contesto, semplicemente permettendo all’aria di defluire dalle finestre posizionate subito
al di sotto del tetto, appositamente schermate per limitare l’eccessivo afflusso di aria
16
La progettazione dell’intervento e la Direzione dei Lavori sono stati affidati al dott. Arch. Laura Pecchioli, che
ringrazio per l’entusiasmo, la professionalità e la costante
condivisione d’intenti nel corso di tutte le fasi del lavoro.
98
17
Il progetto di monitoraggio ambientale e la consulenza
scientifica relativa è stata fornita dal prof. Stefano Ridolfi della Ars Mensurae.
fredda dall’esterno e evitare il percolamento di acqua piovana. La strategia selezionata, per ora ancora in fase di sperimentazione, è supportata anche dalle
modifiche apportate alla copertura dell’edificio, che presenta un tetto a due
spioventi traspirante e munito di camera d’aria per mitigare maggiormente le
differenze di temperatura che, in alcune
stagioni dell’anno, possono venirsi a
creare tra interno e esterno.
In ogni caso, in fase di progettazione
sia della struttura pavimentale sia di tutti gli elementi architettonici, si sono opeFig. 6. Sezione trasversale dell’ambiente meridionale (rilievo
rate delle scelte ben precise, curando op- Area 3D per la PCAS)
portunamente la selezione dei materiali da impiegare.
Per sostenere la nuova pavimentazione è stata progettata una struttura portante
in acciaio che è stata opportunamente trattata per evitare ossidazioni causate dall’elevato grado di umidità18. Il trattamento applicato non deve essere rimosso o alterato,
pena la perdita di efficacia, per cui è stato ideato un sistema di montaggio ad incastro
dei vari moduli pre-assemblati in officina19. La modularità della struttura è giustificata, inoltre, da necessità di distribuzione dei carichi che non devono concentrarsi soltanto in pochi punti, in quanto il terreno sottostante non presenta un elevato spessore a causa del passaggio delle gallerie catacombali. Infine, la scelta di moduli quadrangolari
rispecchia e quindi si adatta perfettamente alla griglia regolare costituita dalle murature archeologiche.
Un’altra difficoltà affrontata è rappresentata dall’inserimento di una struttura portante moderna all’interno di un contesto archeologico: i sostegni verticali sono stati inseriti negli incavi delle tombe antiche rispettando per quanto possibile il livello del terreno originario, ma per evitare movimenti oscillatori si sarebbe dovuto ancorare il piano orizzontale alle pareti della basilica che, però, all’altezza della nuova pavimentazione, erano costituite dalle murature antiche20 (fig. 7). Inoltre, per salvaguardare e mantenere in vista quanto di originario era stato rinvenuto negli scavi del secolo scorso, la
pavimentazione attuale si mantiene piuttosto distante dai muri perimetrali. Una so-
18
La progettazione e la Direzione dei Lavori per la parte strutturale è stata affidata all’Ing. Enzo Pietropaolo e alla
società Spac Engineering S.r.l..
19
Il lavoro di metallurgia è stato eseguito dal Sig. Salvatore Brancato della Gigliotti S.r.l..
20
L’esecuzione dei lavori è stata affidata alla ditta
Ago.Men. S.r.l.. Un ringraziamento particolare va al Sig.
Paolo Agostini, Capo cantiere, per l’estrema sensibilità dimostrata nei confronti del contesto archeologico.
99
luzione di compromesso tra istanze di tutela e necessità strutturali ha portato alla
realizzazione di una sorta di gradino sporgente oltre la linea dell’abside per poter
fissare a terra, almeno in testata, l’intera struttura.
Il progetto iniziale prevedeva un uso
estensivo di pannelli vetrati che però con
la loro trasparenza alla luce, da un lato,
e la loro impermeabilità al vapore acqueo,
dall’altro, avrebbero favorito il proliferare
Fig. 7. Veduta dell’interno della basilica di S. Silvestro con
la struttura portante in acciaio della nuova pavimentazione
di muffe e muschi21; per scongiurare tale
Foto PCAS, PRI_0w_72)
evenienza alcuni pannelli vetrati sono stati sostituiti con griglie metalliche, posizionate strategicamente nelle zone in cui il percorso museale avrebbe previsto la presenza di basamenti per i frammenti scultorei di maggiori dimensioni; inoltre, le zone
in cui il terreno non presentava rilevanze archeologiche è stato ricoperto con lastre di
travertino. Sempre dettate da esigenze di microclima, per garantire il necessario flusso dell’aria, due porzioni della pavimentazione sono state lasciate completamente a vista, una in corrispondenza della galleria che copre la scala che conduce in catacomba,
anche per evitare pesi non necessari, l’altra in corrispondenza di una serie di sepolture significative, offrendo al visitatore una visione diretta, senza filtri, delle testimonianze
archeologiche (fig. 8).
Anche l’aspetto illuminotecnico è stato fortemente condizionato dalle particolari caratteristiche ambientali. Sono state selezionate esclusivamente lampade a LED, che
mantengono un basso grado di riscaldamento per evitare variazioni eccessive della temperatura ambientale, ma ogni corpo illuminante è stato sigillato ermeticamente per scongiurare la penetrazione di umidità al suo interno, che ne avrebbe inficiato il corretto
funzionamento22. Un altro accorgimento è stato impiegato per calibrare il grado di illuminazione nel corso delle visite, nei momenti di pausa e durante le funzioni liturgiche che possono svolgersi nell’ambiente adiacente: una serie di luci direzionali di tonalità più morbida illuminano, al di sotto della pavimentazione, le strutture archeologiche; dei fari a bassa energia diffondo dall’alto la luce sulle pareti ove sono allestiti
la maggioranza dei frammenti di sarcofagi; alcune luci dirette sono posizionate in corrispondenza dei reperti più significativi23 (fig. 9). Ancora una volta, le condizioni microclimatiche hanno preteso uno sforzo creativo: i tubi illuminanti da posizionare al
di sotto della nuova pavimentazione non potevano essere avvitati direttamente alla strut21
I pannelli vetrati sono stai forniti dalla ditta BTT S.r.l.
con la consulenza del Sig. Maurizio Forcella.
22
La fornitura dei materiali elettrici è stata effetuata dal-
100
la QualyService S.r.l..
23
Il progetto illuminotecnico è stato elaborato dal Sig.
Rocco Argentero della System Tech.
Fig. 9. Progetto illuminotecnico (System Tech per la
PCAS)
Fig. 8. Pianta progettuale della nuova pavimentazione (L.
Pecchioli per la PCAS)
tura in acciaio per non intaccare lo strato protettivo; è stato ideato, quindi, un sistema di aggancio calamitato che ha però richiesto una attenta verifica dei campi magnetici
che si sarebbero potuti venire a creare; i test effettuati hanno accertato l’innocuità del
tipo di magnete scelto24.
*
*
*
Altra funzione normativa del museo è la conservazione dei beni ad esso affidati.
Nel caso del museo di Priscilla tutto è cominciato da una ordinaria attività di manutenzione e restauro che la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra attua nei confronti dei beni che ha in custodia. Nel giugno del 2009 era stato programmato un intervento di restauro, suddiviso in tre lotti successivi, dei materiali scultorei conservati
nella basilica di S. Silvestro25.
Al momento dell’avvio dei lavori l’ammontare complessivo dei frammenti scolpiti superava le 700 unità. La maggioranza dei materiali, sin dal momento della ricostruzione della basilica, erano stati affissi lungo le pareti della basilica con delle grappe in ferro rivestite di malta e cemento; quelli di più grandi dimensioni erano stati, in24
I test dei campi magnateci sono stati effettuati dal dott.
Giulio Cocomello per lo Studio “E.” Roma S.r.l..
25
Il primo lotto di restuaro dei materiali lapidei è stato affidato alla restauratrice Maria Gigliola Patrizi, coa-
diuvata da Antonella Basile e Saverio Ceravolo; il secondo e terzo lotto è stato curato dalla restauratrice Maria Brancati, assistita da Vittoria Albini, Lorenzo Budello, Angela Nardi, Anna Ravi Pinto.
101
vece, fissati con malte cementizie al di sopra di baggioli in mattoni; gli esemplari
costituiti da più frammenti erano stati
sommariamente ricomposti con collanti,
che nella maggior parte dei casi avevano
perso il loro potere adesivo. Nel corso dei
decenni notevoli accumuli di polvere e depositi, anche molto consistenti, avevano
omogeneamente ricoperto le superfici, tanto da rendere particolarmente difficoltosa una lettura sia del rilievo sia dell’effettivo stato di conservazione. I frammenti
più esposti agli agenti atmosferici, quali
pioggia penetrata dalle finestre e infiltrazioni idriche, presentavano anche zone colpite da alghe e muffe; infine, schizzi di verFig. 10. Particolare della fronte di sarcofago PRI 0235,
nici
e impregnati per il legno avevano ladurante la pulitura (Foto PCAS)
sciato pesanti scolature e ampie zone
macchiate.
A seguito delle prime fasi di spolveratura e pulitura ci si è potuti rendere conto della presenza di ulteriori livelli di sostanze sovrammesse alla superficie scolpita, costituite
principalmente da più o meno compatti accumuli di concrezioni pozzolaniche e carbonatiche, evidenti residui delle terre di scavo non eliminate al momento della scoperta; la
presenza di abrasioni e sgraffiature permette di ipotizzare che tentativi di asportazione,
almeno dei materiali più incoerenti, siano comunque stati tentati nel recente passato. Inoltre, in base alla tipologia del marmo, il fatto di essere rimasti per tanti secoli a contatto
con il terreno aveva reso particolarmente decoese alcune delle superfici scultoree.
A fronte della varietà delle tipologie del degrado sono state impiegate differenziate
tecniche di pulitura, dalle più blande costituite semplicemente da acqua demineralizzata e pennelli, all’applicazione di soluzioni solventi, dalla rimozione con mezzi abrasivi di precisione, sino all’impiego dell’ablazione con tecnologia laser. In alcuni casi, ovvero in presenza di macchie di ruggine e di vernici oramai assorbite all’interno del marmo, non si è potuto raggiungere il livello di pulitura ottimale per non compromettere l’integrità del materiale costitutivo. Si è passati poi a ristabilire la coesione del marmo tramite impregnazione a pennello di sostanze aggreganti e, in presenza di fragili scaglie decoese, si è proceduto alla riadesione con resine idonee (fig. 10).
I frammenti precedentemente riassemblati che avevano perso la necessaria consistenza sono stati nuovamente distaccati e, rimossi i sistemi di connessione, generalmente
eseguiti con materiali poco adatti alla conservazione, nuovamente ricomposti con accorgimenti minimamente invasivi e soprattutto maggiormente innocui. In alcuni casi
102
sono stati rinvenuti antichi sistemi di assemblaggio risalenti al momento stesso della creazione dell’opera; in genere si tratta di grappe in ferro che assicuravano blocchi di marmo anche differenti; trattandosi
di materiale originale, piuttosto che asportarlo e sostituirlo, si è cercato quanto più
possibile di trattarlo con sostanze che arrestano la progressiva, ma costante, ossidazione in modo da salvaguardare sia il
materiale metallico sia il marmo a contatto
con esso.
Uno degli esiti più eclatanti dell’operazione di rimozione delle sostanze
estranee dalla superficie marmorea è osservabile sul frammento PRI 0271, una
fronte di sarcofago suddivisa in cinque
campi, di cui due, quelli centrali, strigilati e gli altri tre figurati. Nel pannello centrale si trova il ritratto del defunto raffigurato in busto, abbigliato in tunica e pal- Fig. 11. Particolare della fronte di sarcofago PRI 0271,
durante la pulitura in cui si sono evidenziate tracce di polio e posizionato davanti al parapetasma, licromia (Foto PCAS)
un tendaggio che si pone al confine tra la
realtà e l’oltremondo e che, incorniciando il ritratto del defunto, ne sottolinea l’apoteosi personale. Nel pannello laterale di destra, il solo conservatosi, compare un giovinetto che incede verso destra, ma con il busto rivolto all’indietro; indossa soltanto un corto mantello (la clamide), tra le cui pieghe sono raccolti alcuni frutti; nella mano destra sollevata tiene un grappolo d’uva verso cui tende un cagnolino rizzato sulle zampe posteriori. Il solco che definisce le figure è colmato di pigmento rosso, mentre le pieghe della mantellina sono bordate di arancio e i frutti, la cui volumetria è accentuata dal chiaro-scuro ottenuto con fori di trapano, è punteggiata dalle nuances rosacee del cinabro (fig. 11).
Una volta raggiunto il livello di pulitura ottimale su tutti i frammenti, grazie alle
peculiarità di ciascun tipo di marmo ci si è resi conto che molti frammenti potevano
essere accostati o addirittura ricomposti26. È iniziata allora una attenta e accurata osservazione dello sterminato patrimonio scultoreo a disposizione giungendo, in alcuni
casi più fortunati, a ricostituire quasi per intero alcune fronti di sarcofago, estenden26
Si ringrazia per l’attenta e fruttuosa attività di ricerca dei materiali pertinenti il Sig. Sergio Di Fruscia della
PCAS.
103
Fig. 12. Fronte di sarcofago PRI 0150 prima della ricomposizione (Foto PCAS)
do la ricerca anche a quei frammenti che, ritenuti poco significativi dagli archeologici del passato, erano stati collocati nelle gallerie catacombali27.
Il lavoro di reperimento dei frammenti pertinenti ad una medesima unità monumentale è stato reso maggiormente difficoltoso dalla organizzazione secondo cui i
materiali scultorei erano stati distribuiti nella sistemazione precedente. Il criterio adottato all’epoca era stato eminentemente estetico - iconografico, senza alcuna attenzione a similitudini tipologiche o esecutive, che avrebbero potuto guidare quanto meno
all’avvicinamento di frammenti con soggetti iconografici differenziati.
L’attuale fronte frammentaria di sarcofago, catalogata con la sigla PRI 0149, è stata ricomposta da ben sei frammenti che inizialmente erano stati distribuiti in tre settori differenti nella disposizione precedente. Ne è scaturita una importante fronte di
sarcofago strigilata con imago clipeata centrale; ai margini laterali, soltanto parzialmente
superstiti, dovevano trovarsi due pannelli figurati di cui, quello di destra, doveva essere occupato da una figura stante in atteggiamento di orante, come si evince dal palmo della mano aperta verso l’esterno che sborda dalla cornice sul motivo a strigili.
Un’altra singolare fronte di sarcofago strigliata con clipeo centrale è stata ricomposta da sei frammenti dispersi in quattro settori differenti28 (fig. 12). La particolarità
di questo rilievo non risiede tanto nell’associazione delle tematiche marine a quelle pastorali, che anzi dalla metà del III secolo hanno un periodo di particolare fioritura, quanto piuttosto dalle modalità secondo cui tale accostamento è stato realizzato: nel campo rettangolare al di sotto del clipeo si vede un personaggio raffigurato sdraiato e dormiente, abbigliato con una corta tunica e dei calzari, circondato da due arieti e da una
pecora, sullo sfondo due esili alberelli connotano l’ambientazione pastorale; il pannello
figurato del margine destro, conservato solo nella metà inferiore, accoglie un personaggio
che incede verso sinistra, vestito con una sorta di perizoma annodato sul davanti. Accovacciato ai suoi piedi si vede un animale di forma ibrida, costituita dal corpo di un
27
Il frammento PRI 0255, una alzata di coperchio di
sarcofago con scene pastorali, è stato riassemblato con un
frammento custodito nel cosiddetto ipogeo degli Acili insieme alle famose iscrizioni che ricordano Priscilla e la sua
gens di appartenenza. Il ricongiungimento dei due fram-
104
menti, uno rinvenuto nel sopratterra e l’altro ritrovato in
catacomba, conferma l’ipotesi che quei materiali fossero
precipitati dal sopratterra.
28
Numero inventario PRI 0150.
capride su cui si imposta un collo sinuoso che sostiene un muso appuntito, con lunghe orecchie, denti rostrati e pinna sporgente dalla gola. Le caratteristiche dell’animale
lo fanno riconoscere come una delle tipiche raffigurazioni fantastiche del mostro marino, fisionomia che venne poi adottata per la rappresentazione del coetus negli episodi del profeta Giona29. La singolarità del complesso iconografico permette forse di collocare questo esemplare del tardo III secolo in quella classe di sarcofagi definiti “criptocristiani”, ovvero quel raggruppamento di opere scultoree in cui si assiste ai primi esperimenti e inserimenti di nuove tematiche di matrice vetero o neo testamentaria30.
Risultati ancora più inattesi ha prodotto la ricomposizione parziale di un sarcofago a vasca dalla articolata e inusuale iconografia. Alcuni dei singoli frammenti erano già stati notati, in particolare una porzione del margine superiore che conservava
una figura femminile, vestita di tunica e palla riportata sulla testa come un velo, vista
di tre quarti verso sinistra, che dispiega tra le mani il volumen; si era ritenuto che la donna fosse stata raffigurata seduta, come era probabile ipotizzare attraverso il confronto
con esemplari simili, così come il fanciullo scolpito alle sue spalle, di cui rimaneva solo
la testa, era stato interpretato come intento ad attività agricole, ma dalla ricomposizione
con un frammento pertinente si è potuto accertare che la statuaria matrona si erge perfettamente stante, mentre il fanciullo retrostante è impegnato nel governo di una piccola imbarcazione31. Il personaggio in navigazione, posizionato nel lato stondato della vasca, ha un corrispettivo analogo sul fianco opposto, così come la figura femminile trova un significativo pendant, posto al di là di un probabile campo strigilato centrale, in una seconda figura muliebre raffigurata in atteggiamento expansis manibus. Ci
troviamo quindi in presenza di un complesso figurativo che trae ispirazione sia dalla
tematica marina, sia da quella filosofica, entrambi temi particolarmente diffusi a partire dagli anni centrali del III secolo, ma inconsuetamente declinati al femminile.
*
*
*
Il museo è il luogo riservato all’esposizione dei beni culturali, ma la sua funzione
non si esaurisce nell’atto di esporre, bensì richiede una attenta attività di conoscenza
e studio dei manufatti per ricreare all’interno del museo tutte le condizioni necessarie
ad una comprensione, la più significativa possibile da tutti i punti di vista, delle opere presentate.
Il primo livello di conoscenza di un manufatto deriva dall’attività di catalogazione, che contemporaneamente svolge un ruolo fondamentale anche a livello di tutela
del bene culturale. I frammenti della basilica di S. Silvestro erano stati inventariati e
schedati negli anni ’70 del secolo scorso, ma le sostanziali modifiche e novità scaturi-
29
30
MAZZOLENI 2000a.
BISCONTI 2000.
31
SALVETTI 1993.
105
te dall’intervento di restauro hanno reso necessaria una estensiva opera di revisione e
aggiornamento delle schede inventariali32.
La revisione della schedatura è stata l’occasione per adeguarsi agli standard internazionali stabiliti dall’International Guidelines for Museum Object Information (ICOMCIDOC), un progetto che ha lo scopo di creare un linguaggio comune per condividere a livello mondiale le informazioni relative alle raccolte museali33. Una documentazione accurata e facilmente accessibile è una risorsa essenziale per la gestione delle collezioni, per offrire un servizio utile e differenziato per i diversi fruitori del museo, siano essi semplici visitatori o specialisti del settore, e per scambiare e integrare la documentazione museale da e tra fonti eterogenee.
Una volta acquisite, revisionate, aggiornate e riorganizzate tutte le informazioni necessarie ad approfondire la conoscenza dei manufatti raccolti nella collezione museale sono
stati stabiliti i criteri più opportuni per organizzare l’esposizione dei materiali34.
Un’altra particolarità di questa collezione museale deriva dalla natura della sua formazione: le opere qui confluite non sono state selezionate per il loro livello di esemplarità, ma qui raggruppate come testimonianza complessiva dei reperti rinvenuti durante l’indagine archeologica dell’area di provenienza. Come già sottolineato, si trattava di una sorta di “deposito in vista”, che acquisisce valore non tanto dalla singolarità di pochi esemplari, quanto piuttosto dall’ampia varietà di tipologie, quasi si trattasse di un repertorio concreto ed esaustivo della produzione scultorea tardoromana.
Nell’esposizione attuale si è voluto mantenere questa caratteristica genetica della collezione, ben consapevoli di quanto possa essere difficile trasmettere, far comprendere
ed apprezzare un museo di frammenti di sarcofagi.
La strada intrapresa ha portato all’organizzazione dei materiali in sei sezioni, ulteriormente suddivise in sottosezioni, sulla base di criteri tipologici e tematici ad un
tempo, che permettessero di mettere in evidenza i soggetti iconografici più usuali e caratteristici della scultura funeraria del periodo di appartenenza.
La prima sezione raccoglie alcuni esemplari appartenenti ad una delle classi di sarcofagi più diffusa nella produzione romana di III e IV secolo. Questa si caratterizza per
l’impiego di uno dei motivi decorativi più semplici, ma estremamente efficace dal punto di vista estetico, che prevede una serie continua di scanalature ondulate in forma di
“S”, a cui è stato attribuito il nome di strigile per la similitudine con lo strumento usato dagli atleti per detergersi il corpo dall’olio di cui si ungevano durante l’attività sportiva35. Nella formulazione più antica, il motivo viene applicato a sarcofagi a forma di
vasca, in genere in associazione a teste di leone, traendo ispirazione dalle vasche per la
32
La schedatura dei materiali della catacomba di Priscilla è stata redatta da Fabrizio Bisconti, Anna Maria Ramieri, Carla Salvetti e Lucrezia Spera; una prima revisione, effettuata nell’attività di informatizzazione delle schede, si deve a Francesca Severini e Matteo Braconi, la revisione finale è stata curata dalla scrivente.
106
http://network.icom.museum/cidoc/
Una delle fasi fondamentali della catalogazione è rappresentata dalla documentazione fotografica, che è stata eseguita dal dott. Roberto Sigismondi e dal Sig. Enrico Fontolan.
35
EAA 1966, s.v. Strigile.
33
34
fermentazione del vino in cui le teste di leone erano utilizzate per spillarlo36, diffondendosi poi più ampiamente sulle casse di forma parallelepipeda.
La serialità del motivo può essere interrotta o da una figurazione centrale, che di
solito si colloca nello spazio a forma di mandorla che si viene a creare dall’incontro delle “S” specularmente disposte sui due lati, o dall’inserimento, sempre in posizione mediana, di una cornice quadrangolare, spesso occupata dall’iscrizione dedicatoria, o circolare (clipeo) con il ritratto del defunto, oppure da uno o tre pannelli che presentano composizioni figurate, a volte limitate semplicemente all’inserimento di motivi architettonici come pilastrini o colonne37.
Tra gli esemplari più integri appartenenti a questa categoria è il frammento PRI
0135, che presenta la fronte occupata da una serie di strigilature convergenti verso il
centro, occupato da una porta a due battenti con le imposte divise in pannelli rettangolari separati da cornici piatte. La parte superiore dei battenti è stata erasa, forse in
una fase di riutilizzo del pezzo, ma la simbologia della porta, che costituisce un elemento
di passaggio e quindi di accesso alla vita oltremondana, rimane inalterato38 (fig. 13).
Nella seconda sezione sono raccolti alcuni esempi di ritratti dei defunti. I ritratti erano uno dei mezzi più significativi per commemorare il defunto, per perpetuarne
la memoria, ma non sempre era necessario fissarne la precisa fisionomia, a volte venivano utilizzati soltanto degli attributi caratterizzanti o delle vesti particolari che più evidentemente potevano richiamare lo status sociale di appartenenza. Inoltre, non di rado,
questi ritratti sono rimasti a livello di semplice abbozzo, probabilmente perché i sarcofagi con i soggetti più ricorrenti erano eseguiti in serie, con i ritratti preimpostati per
la rifinitura finale una volta che fossero stati acquistati dai proprietari, rifinitura che
non sempre è stata portata a compimento39.
In ogni caso, questo tipo di raffigurazione permetteva di attribuire ai personaggi raffigurati determinate qualità, la più diffusa delle quali fu l’indicazione di un elevato grado di istruzione, illustrata attraverso il rotolo cartaceo stretto tra le mani; altre volte il defunto è raffigurato di fronte ad un tendaggio (parapetasma), sostenuto con due nodi a
fiocco o sorretto da una coppia di eroti o vittorie alate, per trasferire la raffigurazione in
una ambientazione simbolica, genericamente alludente al mondo ultraterreno40.
A volte i defunti abbandonano il loro stato di isolamento e vengono ripresi o in
uno dei momenti topici della loro esistenza, come l’atto nuziale raffigurato nel frammento PRI 0073. Il momento dello sposalizio è rappresentato secondo lo schema consueto della dextrarum iunctio, ovvero con i due coniugi che intrecciano le mani destre
alla presenza della personificazione della Concordia (fig. 14). In altri casi, i defunti scelgono di farsi scortare da un patrono di loro fiducia nel momento del trapasso, come
si può vedere nell’esiguo frammento PRI 0197.
Vd. Sezione V, sottosezione 4.
KOCH, SICHTERMANN1982, pp. 73-82.
38
HAARLOV 1977.
36
39
37
40
L’ORANGE 1968
MAZZOLENI 2000b.
107
Fig. 13. Fronte di sarcofago PRI 0135 (Foto PCAS)
Fig. 14. Frammento di fronte di sarcofago PRI 0073 (Foto PCAS)
Una tipologia di ritratto molto antica, ma che ebbe una buona diffusione tra la
prima età imperiale e il III secolo, rappresenta il defunto comodamente disteso su un
giaciglio (kline), solitamente intento a dissetarsi o a banchettare, come se fosse stato
ripreso in un momento di riposo domestico, ma non è escluso che l’intento fosse di
raffigurare il defunto mentre partecipa al rito del refrigerio che i congiunti riuniti lì attorno stanno consumando in sua memoria. Più spesso le figure femminili sono raffigurate addormentate con una ghirlanda tra le mani, un frutto o in compagnia di un
uccellino, come se dovessero svegliarsi da un momento all’altro. Entrambi sono raffigurati nel momento in cui si godono un momento di otium, da intendersi probabilmente come formula augurale per la vita oltremondana41.
Nella terza sezione, suddivisa in ben cinque sottosezioni, vengono presentate molte delle possibili varianti in cui eroti, amorini o geni, sono stati impiegati nella decorazione dei sarcofagi. Queste personificazioni, infatti, sono uno dei motivi iconografici più diffusi nell’arte classica e derivano il loro aspetto e gli attributi dal dio dell’a41
GOETTE 1993.
108
more42. Una delle principali connotazioni è di tipo prettamente funerario, mutuato dall’impiego di Eros in scene allusive ad amori infelici, in cui viene rappresentato triste,
a capo chino e con la torcia, simbolo dell’ardore, rivolta verso il basso.
Quando le effigi dei defunti o le loro epigrafi commemorative sono poste all’interno di clipei o tavole quadrangolari che vengono sorrette da figure allegoriche si intende associarne la memoria a desideri e speranze incarnate dalle figure porta-ritratto
che, nel caso degli eroti, si possono leggere come riferimenti ai legami sentimentali espressi dai congiunti.
Fortemente legati all’ambito dionisiaco, ma con uno sviluppo autonomo, sono i
rilievi a carattere stagionale dove l’interazione con una natura prospera e lussureggiante
assume un carattere augurale. I geni stagionali rappresentano l’avvicendarsi del ciclico del tempo e quando sostengono il clipeo con il ritratto del defunto significa che esso
è stato accolto in questo percorso di eterno ritorno.
Dioniso come dio dell’ebbrezza procurata dal vino connota anche le scene di vendemmia, che mai rappresentano le fatiche del lavoro agricolo, ma solo esaltano le qualità dei frutti raccolti in abbondanza. Il rimando della scena al concetto di vita beata
è sottolineato dall’impiego degli eroti nell’attività della vendemmia, con una significativa alternanza tra personaggi legati al mondo del mito ed altri appartenenti alla sfera bucolica; in ogni caso non si tratta mai di una rappresentazione realistica, ciò che
si vuole evocare con le scene di vendemmia è l’idea di una vita lieta e spensierata, gioiosamente goduta, lontana dagli affanni e dai limiti imposti dalla vita terrena. Un particolare esempio della resa di questo tema si trova sul frammento PRI 0161 che doveva appartenere ad una fronte di sarcofago con imago clipeata (fig. 15); al di sotto del
breve tratto superstite della cornice del clipeo, si vede una vasca con due protomi leonine che stringono nel morso due maniglie; la tinozza viene riempita di grappoli d’uva da una coppia di amorini che rovesciano i frutti da dei cestini di vimini; a destra,
un altro erote raccoglie in un panno steso sulle braccia degli altri frutti. La particolarità di questo rilievo risiede nel motivo della vasca che viene riempita, che nelle versioni più comuni è sostituita dal momento della pigiatura dell’uva43.
I festoni e le ghirlande intrecciate con foglie e frutti appartenenti alle quattro stagioni dell’anno si potrebbero interpretare, da un lato, come corone celebrative offerte al defunto e, dall’altro, come doni offerti dalla natura durante tutto il corso dell’anno
e quindi simbolo di prosperità.
Alla quarta sezione appartengono i rilievi di sarcofago con Nereidi, Tritoni, Centauri e altri esseri fantastici acquatici, categoria molto diffusa nel III secolo, ma derivata da una consolidata e lunga tradizione iconografica che, nel suo svolgersi dall’età
arcaica, ha ampliato e variato i soggetti canonici, oltre ad averne modificato il significato primigenio. Non si tratta di rilievi narrativi in cui si raccontano le gesta delle fi-
42
SAPELLI 1998.
43
KRANZ 1984.
109
Fig. 15. Frammento di fronte di sarcofago PRI 0161 (Foto PCAS)
glie dell’anziano Nereo, ma di composizioni dal tenore fortemente decorativo che, in
un armonioso e variegato contrasto di forme, con le Nereidi sempre più curate nell’aspetto contrapposte ma fuse in complicati abbracci con i corpi ibridi di possenti di Tritoni e Centauri, compongono un insieme articolato dal carattere prevalentemente giocoso e spensierato. Ed è proprio questo il vero soggetto della raffigurazione, un messaggio augurale di serenità e beatitudine. Avendo come sottofondo il tema dell’amore
è naturale che queste composizioni si popolino anche di eroti e amorini intenti in attività giocose. Nell’arte imperiale anche questo tema, che generalmente si svolgeva senza soluzione di continuità su superfici circolari, venne riconvertito in composizioni simmetriche, semplificate nell’esclusiva presenza di teorie di delfini o tritoni, come nel frammento PRI 0688 (fig. 16), con perno centrale occupato da una raffigurazione a forte
carattere simbolico o significativo, come il ritratto di Oceano, o la conchiglia con i busti dei defunti, o la tabula inscriptionis, creando un perfetto connubio tra l’acqua popolata di esseri mitologici e l’elogio del defunto44.
Il rapporto tra il corteo marino e l’aldilà è confermato da testi letterari ed epigrafi funerarie ove viene messa in evidenza la relazione tra la beatitudine eterna e l’elemento
acquatico, come nell’espressione «isola dei Beati» o nell’idea del viaggio attraverso il mare
per raggiungere rive sicure ove vivere, lontano dal mondo degli uomini, un’esistenza
lieta e spensierata45.
44
ZANKER, EWALD 2008, p. 126.
110
45
ZANKER, EWALD 2008, p. 132.
Fig. 16. Frammento di fronte di sarcofago PRI 0688 (Foto PCAS)
Nella quinta sezione sono raccolti i frammenti che più esplicitamente fanno riferimento ad immagini mitiche, le quali appartengono a una tradizione culturale molto ben radicata e vengono comunemente richiamate come exempla a cui ispirarsi. È per
questo che i temi scolpiti su queste fronti di sarcofago possono genericamente essere
indicati come “elogio del defunto”. Infatti, in base ad un particolare fenomeno di identificazione dei defunti con gli eroi e gli dei protagonisti del mito, venivano applicati i
tratti fisionomici del defunto sul volto del personaggio scolpito in modo da rafforzare e rendere immediato il trasferimento da uno all’altro dei sentimenti o delle virtù espresse nel rilievo.
Tra le personificazioni prevale la figura della Nike o Vittoria alata che, nel diffuso atteggiamento di figura porta-ritratto, in alternanza con gli eroti, incarna il desiderio o la speranza in riferimento ad una vita colma di successi, sia in quella vissuta, sia
in quella futura.
La maggior parte dei soggetti o dei personaggi raffigurati mantiene legami più o
meno diretti con la sfera dionisiaca. Dioniso è il dio della festa, dell’estasi e del vino e
tramite quest’ultimo elemento partecipa al ciclo vitale di rigenerazione della natura. Satiri e Sileni, personaggi legati all’ambiente naturale, compongono il suo corteo, così come
le Menadi danzanti, che nel loro vorticare ipnotico liberano le passioni, i Centauri e
gli animali feroci, ammansiti dall’incanto del dio. Il soggetto generalmente raffigurato è il corteo (detto tiaso) che accompagna Dioniso nel suo viaggio verso l’India, dove
verrà riconosciuto, a tutti gli effetti, una divinità: il tiaso stesso è espressione vivace e
articolata di gioia di vivere, dell’estasi raggiunta attraverso la musica, che accompagna
la danza, e tramite il vino, che conferisce l’ebbrezza necessaria46.
46
MATZ 1968-1975.
111
Fig. 17. Frammento di fronte di sarcofago PRI 0361 (Foto PCAS)
Il tema del trionfo di Dioniso sugli Indiani introduce nel corteo che l’accompagna la presenza di numerosi animali esotici, mentre alla capacità del giovane dio di ammansire le belve feroci fanno riferimento i leoni e le pantere che trainano il suo carro.
Estrapolati da questo contesto ci appaiono le protomi leonine, che mantengono ed esplicitano il legame con l’ambito dionisiaco attraverso la forma del sarcofago su cui sono
raffigurate; si tratta, infatti, di una cassa a forma di vasca, o più precisamente di tinozza,
generalmente utilizzata per la pigiatura dell’uva e la produzione del vino, che riconduce
al riferimento mitico da cui proviene (fig. 17).
Durante i misteri dionisiaci si riproduceva, indossando delle maschere come in una
rappresentazione teatrale, il mitico corteo: è per questo legame con il viaggio verso l’immortalità che le maschere vennero assunte a prediletto motivo decorativo degli elementi
angolari dei sarcofagi, adombrando così la speranza nella conquista di un’anima immortale (fig. 18).
112
Fig. 18. Frammento di fronte di sarcofago PRI 0449 (Foto PCAS)
Un’altra immagine estremamente diffusa fu quella del cacciatore vittorioso, intesa come simbolo della virtus virile, allegoricamente interpretata anche come forza morale e vigore fisico, o come dimostrazione di coraggio. Per i mitici cacciatori come Ippolito, Adone e Eracle, o per i più profani cacciatori aristocratici, venne utilizzato il
medesimo schema iconografico, che non riprendeva, quindi, scene di vita reale, ma metteva in scena allegorie volte a esaltare le qualità del defunto, tanto che spesso venivano inserite figurazioni di animali feroci soltanto per accrescerne l’eroismo47.
47
ANDREAE 1980.
113
Nella sesta sezione sono raccolte alcune delle scene legate alla categoria della “consolazione funebre” in cui si possono far rientrare le visioni di mondi felici o di una vita
serena. Le immagini ispirate alla vita pastorale, benché riferentesi ad attività quotidiane,
non hanno nulla di realistico, non mettono in scena le difficoltà e la fatica della vita
contadina, ma al contrario sono ammantate di serenità e richiamano con sottile nostalgia l’ideale di una vita semplice e tranquilla, immersa nella natura. Su molti sarcofagi la figura del pastore crioforo viene isolata e messa in particolare evidenza, divenendo
l’emblema dell’intero mondo bucolico48. Soltanto in sculture più tarde, non presenti
in questa collezione, la figura del pastore che porta una pecora sulle spalle verrà ripresa della cultura cristiana per interpretare l’immagine evangelica del Buon Pastore.
Appartiene a questa classe l’unico esemplare che conserva una quasi intatta completezza e che è stato qui allestito anche se proveniente da un contesto archeologico leggermente differente49 (fig. 19). Il rilievo si dispiega sia sulla fronte sia sui fianchi della vasca, all'interno di due listelli piatti che definiscono i margini superiore ed inferiore.
Il centro della composizione è impegnato da un clipeo, sorretto da due cornucopie intrecciate ricolme di frutti, all’interno del quale è effigiato il busto della defunta, con il
volto solamente sbozzato e mentre stringe un rotolo chiuso con la mano destra. L'emblema centrale è immerso in una ambientazione bucolica che fluisce, senza soluzione
di continuità, nella successione di aneddotiche figurazioni pastorali. All'estremità sinistra si trova un anziano pastore che siede, in atteggiamento pensoso, su un canestro
di vimini capovolto; alle sue spalle e di fronte a lui sono accovacciate una pecora ed un
ariete in rappresentanza del gregge che custodisce. L’anziano pastore è raffigurato sullo sfondo di un portico davanti al quale due giovani pastori sembrano impegnati a dialogare tra loro: il primo, seminascosto dietro un grosso cesto vimineo ricolmo di frutti, sostiene un ovino sul braccio sinistro, mentre il secondo personaggio, raffigurato stante, porge del cibo con la mano destra ad un cane accucciato di fronte a lui; poco più
in là una pecora si allontana in direzione opposta. Al lato opposto del clipeo si susseguono dall'alto, una pecora che si arrampica su di un tronco per raggiungere le foglie
più alte, parzialmente nascosta da un cesto di vimini su cui è sdraiato il corpo di un
altro ovino e di fronte al quale si trova un ariete visto di profilo verso destra, che assiste al gesto affettuoso che un anziano pastore barbato si china ad elargire ad una pecora. In secondo piano si vede, a sinistra, di profilo, un giovane pastore che regge un
bastone nella mano sinistra, mentre beve da un bicchiere che solleva con la destra; alle
sue spalle, appena rilevato dal fondo, un albero, davanti al quale si incurva la cima di
una capanna di giunchi.
Parallelamente alla figura del pastore si diffonde quella del filosofo, interpretato
come maestro nell’arte del vivere e del morire, che viene assunto come una nuova fiHIMMELMAN 1980.
N. Inv. PRI0778. Il rinvenimento del sarcofago è avvenuto nel corso degli scavi, effetuati nel 1991, presso il
48
49
114
pianerottolo di una delle scale antiche che conducevano
in catacomba. Vd. SPERA 2000.
Fig. 19. Sarcofago a grandi pastorali (Foto PCAS)
gura guida nella ricerca della pace interiore. Inoltre, il valore della cultura e dell’educazione filosofica, dalla metà del III secolo, diviene segno essenziale di distinzione sociale ed è per questo motivo che numerosi defunti si fanno raffigurare muniti degli attributi distintivi di tale categoria, come il singolo rotolo stretto tra le mani, o il fascio
di rotoli poggiato ai loro piedi. Esemplare di questa tematica è il frammento PRI 0257,
probabilmente pertinente al fianco di un sarcofago di grandi dimensioni (fig. 20). Vi
è rappresentata una figura giovanile vista di profilo, vestita con il pallio filosofico che
lascia scoperta la spalla destra; il giovane poggia entrambe le braccia su un lungo bastone, in atteggiamento meditativo, rivolgendo la sua attenzione ad un volumen aperto posto su una colonnina che funge da leggio. La scelta del soggetto, che probabilmente
era ribadito ed anzi affermato sul rilievo della cassa, del tipo a fregio continuo con Muse
e filosofi, illustra le attitudini del defunto che, attraverso la speculazione filosofica e l’adesione ai valori della cultura può raggiungere un ideale ambiente ultraterreno50.
Sui rilievi dei sarcofagi si ritrovano spesso anche rappresentazioni di banchetti dove
la presenza del vino non ha attinenza con l’ambito dionisiaco quanto piuttosto con la
concreta realtà del rito funebre, anche se l’atmosfera che trapela da queste scene è sicuramente gioiosa e festante51.
Estremamente esigui sono i frammenti chiaramente appartenenti all’ambito di produzione cristiana, la cui scarsità è probabilmente da attribuire al frangente cronologico precoce entro cui si attestano la maggioranza dei frammenti qui rinvenuti. Il tema
maggiormente ricorrente e con più certezza riconducibile ad una tematica cristiana è
quello che vede protagonista il profeta Giona, anche se alcuni frammenti particolarmente minimi conservano parti di decorazioni che potrebbero appartenere ad altre figurazioni, come ad esempio il frammento PRI 0055, in cui si vede esclusivamente una
porzione di un mostro marino, o come il frammento PRI 0078a, in cui è raffigurato
un personaggio che governa una imbarcazione, entrambi soggetti che potrebbero es50
MARROU1964.
51
GHEDINI 1990.
115
Fig. 20. Frammento di di sarcofago PRI 0257 (Foto PCAS)
116
sere ricondotti ad una più generica metafora marina, o come il frammento PRI 0056,
in cui è rimasta la parte sommitale di una imbarcazione che potrebbe anche riferirsi
all’episodio di Ulisse con le Sirene, soggetto, del resto, già presente in questa collezione52. Come per le scene pastorali, per quelle filosofiche con oranti, o per quelle di banchetto, nella più precoce scultura di committenza cristiana gli schemi, o alcuni dei soggetti, mutuarono le loro forme da prototipi già in uso nella plastica di matrice profana, mantenendo, inoltre, una espressione stilistica senza soluzione di continuità53.
*
*
*
Illustrare i criteri della musealizzazione contribuisce a rivitalizzare l’oggetto esposto, permettendogli di rientrare nel processo vitale come fonti di ricerca scientifica e
di promozione della cultura per tutti i fruitori. Il museo è quindi il luogo ove gli oggetti vengono conservati per poter trasmettere la loro testimonianza ai posteri, forniti di tutti gli elementi necessari per mantenere vivo il legame con il contesto storico di
appartenenza, in modo da partecipare allo sviluppo culturale del futuro.
Le sei sezioni in cui sono stati riorganizzati i materiali scultorei sono state disposte in una sequenza fluida intorno al perimetro dell’edificio, diramandosi strategicamente anche sul piano pavimentale. I frammenti, infatti, sono stati principalmente allestiti sulle pareti in blocchi verticali in base alla sezione e sottosezione di appartenenza, ma con brevi cesure tra un settore e l’altro volendo mantenere l’effetto di unitarietà
o di mutuo scambio tra i vari soggetti raffigurati; sul piano pavimentale sono stati posizioni alcuni basamenti che ospitano i frammenti con una maggiore tridimensionalità, dislocati in corrispondenza diretta o anche visiva con la sezione di riferimento54.
Vista l’ingente quantità di frammenti, la limitata disponibilità degli spazi e, soprattutto, la scelta programmatica di evidenziare al massimo la rilevanza delle testimonianze
scultoree, si è deciso di limitare al massimo l’inserimento diretto di supporti didattici. L’apparato informativo e didattico è stato quindi affidato a supporti informatici. Tramite l’uso di QR code55, dislocati in connessione con le sei sezioni allestitive, il visitatore può accedere autonomamente ad una serie di informazioni aggiuntive, arrivando
sino al dettaglio di ogni frammento esposto. Il museo reale è stato riprodotto in un museo virtuale, visitabile tramite una applicazione denominata ISEESoftware56, sia di-
Frammento PRI 0080.
BISCONTI 2000.
54
L’allestimento dei frammenti alle pareti è stato realizzato con semplici supporti in acciaio e plexiglass per ottenere il massimo grado di visibilità del rilievo scultoreo;
più difficoltoso si è rivelato il posizionamento dei frammenti sui basamenti, per l’assenza, in alcuni casi, di stabili piani di appoggio. Il lavoro è stato eseguito dalle ditte Progetto Artiser S.N.C. di Claudio Del Vico e Marco
52
53
Micheli e da La bottega dell’arte fabbrile di Riccardo Piaggesi, con la consulenza di Andrea Pesce Delfino.
55
Si tratta di un codice a barre bidimensionale, composto da moduli neri disposti all'interno di uno schema
di forma quadrata. Viene impiegato per memorizzare informazioni generalmente destinate a essere lette tramite un
telefono cellulare, uno smarphone o un tablet.
56
ISEESoftware è stato ideato e progettato da Laura Pecchioli sin dal 2008: Vd. PECCHIOLI 2008.
117
rettamente in situ, sia tramite il sito
Web57 (fig. 21). ISEESoftware è un programma di visualizzazione e di accesso alle
informazioni in uno spazio tridimensionale, appositamente pensato per i beni culturali, di uso intuitivo e didattico (e-laerning). Il visitatore può, semplicemente
“guardando”, navigare nel modello e ottenere le informazioni relative all’oggetto che ricade nel suo cono visivo, oppure può interagire più direttamente per fare
ricerche mirate e approfondire gli aspetti di proprio interesse.
Il museo virtuale è stato ottenuto da
una ripresa laser scanner della totalità dell’ambiente, comprese le strutture al di
Fig. 21. Visualizzazione della pagina di Benvenuto del sito
sotto della nuova pavimentazione e gli
http:// mupris.net
accessi alle gallerie catacombali, da cui è
stato prodotto il primo modello tridimensionale del complesso con il suo aspetto cromatico e materico58. All’interno del museo virtuale ci si potrà anche soffermare a osservare da vicino il sarcofago a grandi pastorali, l’unico esemplare integro della collezione, che, grazie ad una tecnologia innovativa basata sull’impiego della fotocamera digitale, è stato riprodotto in un modello
virtuale tridimensionale.
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Il Museo delle sculture della basilica di S. Silvestro ha rappresentato un sfida che
ha visto impegnati numerosi attori, primo fra tutti la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, che ha tra i suoi principi statutari la valorizzazione delle opere da essa
affidate59.
Una sfida che è stata guidata da uno straordinario spirito di collaborazione e di
scambio interdisciplinare, in cui si è riusciti a fondere istanze archeologiche, storiche
e artistiche con aspetti tecnici, strutturali e tecnologici, anzi, proprio la necessità di trovare dei compromessi ha stimolato l’impiego di soluzioni innovative, trasformando il
http://mupris.net.
La campagna laser scaner e la creazione del modello
virtuale si devono al dott. Mirco Pucci e alla Società Area
3D.
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Art. 12,2 dell’Acta Apostolicae Sedis. Inter Sanctam Sedem et Italiam Conventiones initae diebus 18 febr. et 15 nov.
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58
118
1984. Si coglie l’occasione per ringraziare del sostegno costante e fondamentale il Presidente, S.E. il Cardinale Gianfranco Ravasi, il Segretario, Monsignor Giovanni Carrù e
il Sovrintendente per le catacombe, Prof. Fabrizio Bisconti
e tutto il personale della PCAS.
cantiere del museo in un centro di produzione culturale, in cui i vari aspetti della cultura si sono incontrati e hanno dialogato tra loro. Produzione culturale che si protrae
nell’esposizione museale per divenire luogo di studio, educazione e diletto per i visitatori di oggi e per le generazioni future.
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