Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
EU INCLUSIVE
trasferimento dati e esperienze per l’integrazione nel mercato del
lavoro dei Rom in Romania, Bulgaria, Italia e Spagna
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione
Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
EU INCLUSIVE
Data transfer and exchange of good practices regarding the inclusion of
Roma population between Romania, Bulgaria, Italy and Spain
National Report on Good Practices for the Social
and Labour Inclusion of Roma People in Italy
Rapporto realizzato da/ Report elaborated by:
Fondazione Casa della Carità “Angelo Abriani”
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Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
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Rapporto nazionale sulle buone pratiche di incluzione
sociale e lavorativa dei rom in Italia = National report on
labour and social inclusion of Roma people in Italy /
Fondazione Casa della Carità „Angelo Abriani”. - Constanþa :
Editura Dobrogea, 2012
Bibliogr.
ISBN 978-606-565-052-7
323.1(=214.58)(450)
ISBN 978-606-565-052-7
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EU INCLUSIVE
trasferimento dati e esperienze per l’integrazione nel mercato del
lavoro dei Rom in Romania, Bulgaria, Italia e Spagna
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche
di Inclusione Sociale e Lavorativa
dei Rom in Italia
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6. Le buone pratiche per (e con) i Rom migranti
Sergio Bontempelli
Parte prima. Rom migranti,
una condizione di precarietà
I.1. Premessa: Rom e migrazioni in Italia
In Italia non esistono dati certi relativi alla consistenza numerica delle
comunità Rom e Sinte, alla loro composizione per classi di età, status giuridico,
paese di origine ecc. E’ tuttavia noto che una parte rilevante di queste popolazioni
è composta da cittadini stranieri. Secondo una recente indagine condotta dalla
Commissione per i diritti umani del Senato, «i Rom e Sinti aventi cittadinanza
italiana sarebbero circa la metà dei presenti sul territorio, con un’altra metà di
stranieri di cui il 50% proveniente dalla ex Jugoslavia e il restante dalla Romania,
con presenze minori da Bulgaria e Polonia»270.
I Rom cittadini stranieri vivono spesso in condizioni analoghe a quelle degli
italiani (molti, ad esempio, abitano nei “campi” o nei “villaggi” predisposti per le
popolazioni cosiddette “nomadi”): tuttavia, le politiche e gli interventi rivolti ai
Rom immigrati devono necessariamente confrontarsi con le problematiche
relative allo status e alla condizione giuridica del cittadino non italiano. In altre
parole, accanto alle questioni che riguardano indistintamente tutti i Rom e i Sinti
(dalla condizione abitativa all’integrazione sociale, dall’inserimento nel mondo
del lavoro per gli adulti alla scolarizzazione dei minori), gli interventi predisposti
per i cittadini stranieri devono affrontare il nodo specifico dell’autorizzazione al
soggiorno sul territorio nazionale.
I.2. Il soggiorno dei cittadini non comunitari
In Italia, le norme riguardanti l’ingresso e il soggiorno dei cittadini non
comunitari sono affidate al Testo Unico delle Leggi sull’Immigrazione e Norme
sulla condizione dello Straniero (decreto legislativo 286/98 e successive modifiche
ed integrazioni, di seguito indicato come Testo Unico).
Emanata allo scopo di dare una forma “organica” alle disposizioni in
materia di immigrazione, questa legge è stata più volte modificata nel tempo:
Senato della Repubblica, Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani,
2011, Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Caminanti in Italia, Roma, p. 22.
270
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Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
talora con interventi marginali, finalizzati a dare attuazione a specifiche
normative europee 271; più spesso con modifiche sostanziali e – a loro volta
– “organiche”, risultato di vere e proprie “riforme” di ampio respiro. Varata
da una maggioranza parlamentare di centro-sinistra, essa è stata oggetto
per esempio di due radicali modifiche ad opera dei governi di centro
destra 272 . A ciò bisogna aggiungere numerosi interventi da parte della
magistratura costituzionale 273 e, più recentemente, della Corte di Giustizia
dell’Unione Europea 274, che hanno costretto il legislatore a riscrivere intere
parti della legge (per esempio quella relativa alle espulsioni e
all’allontanamento dal territorio).
Si tratta quindi di una legge complessa, risultato di interventi e “innesti” di
segno diverso e talora opposto, che proprio per questo presenta disposizioni
lacunose e in contraddizione tra loro. Riassumere, anche solo per sommi capi,
una simile normativa richiederebbe una trattazione articolata, non limitata al
solo testo normativo ma estesa anche alla giurisprudenza di merito, alle circolari
interpretative dettate dai Ministeri competenti, e all’elaborazione dottrinale: un
compito che esula, evidentemente, dagli scopi del nostro lavoro. Ci limiteremo
in questa sede ad accennare, in modo necessariamente sommario, alle
disposizioni che incidono maggiormente sulla condizione dei Rom cittadini “di
paesi terzi” (cioè non comunitari).
Il primo elemento da sottolineare riguarda le condizioni di ingresso. Il cittadino
straniero che voglia entrare in Italia e rimanervi per un periodo ragionevolmente
lungo – colui che, in altre parole, voglia emigrare nel nostro paese, e non entrarvi
per turismo o per visita occasionale – deve dimostrare di avere alcuni requisiti,
che garantiscano in anticipo (cioè prima della sua partenza) la sua (futura)
autonomia economica e la sua capacità di inserimento sociale. In particolare, nel
caso dei visti per lavoro e per ricongiungimento familiare – le due più diffuse
modalità di ingresso finalizzato ad una permanenza stabile275 – lo straniero deve
E’ il caso, solo per fare un esempio, di due decreti legislativi, emanati nel 2007, che modificavano il Testo
Unico allo scopo di adeguare alle normative europee la disciplina in materia di ricongiungimenti familiari
e di permessi per soggiornanti di lungo periodo: Decreto Legislativo 8 gennaio 2007, n. 5, Attuazione della
direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare; Decreto Legislativo 8 gennaio 2007,
n. 3, Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo
periodo.
272
Una prima volta nel 2002, con la legge 189/02 (cosiddetta “Bossi-Fini”), una seconda volta nel 2009 con
il cosiddetto “pacchetto sicurezza” (legge 94/09).
273
Tra i numerosi interventi della Corte Costituzionale si ricordano, per esempio, le sentenze n. 222 e 223
del 2004, che modificarono la disciplina sulle espulsioni, trasformando in profondità le prassi delle forze di
polizia; o, più recentemente, la sentenza n. 245 del 2011, che ha dichiarato illegittima la norma che non
permette il matrimonio ai migranti irregolari.
274
Corte di Giustizia dell’Unione europea, sent. 28 aprile 2011, Hassen El Dridi, causa C-61/11 PPU.
275
Secondo il Dossier Statistico della Caritas, la principale fonte informativa su questi temi, nel 2010 sono
stati rilasciati circa un milione e mezzo di visti per l’Italia (cfr. Caritas – Migrantes, 2011, Dossier Statistico
Immigrazione 2011. 21° Rapporto, Roma, IDOS, p. 141). Gran parte di essi, però, si riferisce a soggiorni
turistici o comunque di breve durata: i visti cosiddetti “per inserimento” (quelli finalizzati alla vera e propria
emigrazione) sono poco meno di 220.000, il 73% dei quali rilasciati per lavoro o per motivi familiari (ibid.,
p. 142).
271
155
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
dimostrare di poter percepire, una volta entrato in Italia, un adeguato reddito
(lavorando con regolare contratto, o facendosi mantenere dal proprio
familiare 276), e di poter disporre di un alloggio idoneo, cioè non sovraffollato
e/o conforme alle normative igienico-sanitarie 277 .
Il secondo elemento riguarda invece le condizioni di soggiorno, ossia i
requisiti che i cittadini stranieri devono soddisfare per poter rimanere in
Italia. Secondo quanto dispone l’art. 5 comma 4 del Testo Unico, «il rinnovo
del permesso di soggiorno (…) è sottoposto alla verifica delle condizioni
previste per il rilascio»: anche per poter rimanere in Italia, dunque, è
necessario disporre di un adeguato reddito, nonché di un alloggio idoneo,
non sovraffollato e/o conforme alle normative igienico-sanitarie.
Disposizioni di questo tipo – in particolare quella riguardante l’idoneità
dell’alloggio – sono state pensate per i flussi “ordinari” di lavoratori stranieri:
criticate da più parti come discriminatorie, fallimentari e inutili 278 , esse
appaiono a maggior ragione inadeguate per comunità, come quelle dei Rom
e dei Sinti, che difficilmente accedono al mercato abitativo, e che vivono in
condizioni di marginalità, nei “campi nomadi”, nei “villaggi Rom” o negli
insediamenti non autorizzati ai margini delle aree urbane.
A ciò bisogna aggiungere che la normativa italiana non prevede alcuna
forma di regolarizzazione “in loco”. In altre parole, lo straniero che si trovi
già in Italia, in condizioni di irregolarità, non può ottenere un permesso di
soggiorno, neppure disponendo di idonei requisiti di lavoro, di reddito o di
alloggio: fatti salvi alcuni casi, assai limitati, di regolarizzazione (ad esempio
per le donne in stato di gravidanza, o per i familiari di cittadini italiani o
276
A norma dell’articolo 29, comma 3, lettera b) del Testo Unico, per poter chiamare in Italia un proprio
congiunto attraverso la procedura del ricongiungimento familiare, lo straniero già presente sul territorio
deve dimostrare di poter disporre «di un reddito minimo annuo derivante da fonti lecite non inferiore
all’importo annuo dell’assegno sociale aumentato della metà dell’importo dell’assegno sociale per ogni
familiare da ricongiungere». Il datore di lavoro, che intenda assumere un lavoratore straniero facendolo
entrare in Italia, deve inviare allo Sportello Unico presso la Prefettura una proposta di contratto che includa
«una retribuzione mensile non inferiore al minimo previsto per l’assegno sociale» (Decreto Presidente
della Repubblica n. 394/99 e successive modifiche, “Regolamento di Attuazione del Testo Unico
sull’Immigrazione, articolo 30-bis, comma 3 lettera c).
277
Nel cosiddetto “contratto di soggiorno” – cioè nella specifica tipologia di contratto di lavoro riservata
all’assunzione di stranieri – viene richiesta «la disponibilità di un alloggio per il lavoratore che rientri nei
parametri minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica» (Testo Unico art. 5-bis,
comma 1 lettera a). Si tratta di parametri relativi all’ampiezza dell’alloggio in rapporto al numero delle
persone che vi abitano, pensati per impedire il sovraffollamento. Nel caso di ricongiungimento familiare, il
richiedente deve invece disporre di «un alloggio conforme ai requisiti igienico-sanitari, nonché di idoneità
abitativa» (Testo Unico art. 29 comma 3 lettera a). In questo caso, dunque, accanto ai requisiti di ampiezza
dell’alloggio si sommano quelli relativi all’idoneità igienico-sanitaria.
278
La letteratura sul tema è letteralmente sterminata. Per un primo inquadramento si veda almeno: Caputo
A., 2009 Immigrazione e politiche del diritto dal Testo Unico del 1998 ai recenti interventi sulla sicurezza, in
Naletto G., a cura di, Rapporto sul razzismo in Italia, Roma, Manifestolibri, pp. 97-104; Callaioli A., 2011, La
normalità dell’emergenza. Il razzismo normativo nella legislazione in materia di immigrazione dal 2008 a
oggi, in Lunaria, a cura di, Cronache di ordinario razzismo. Secondo libro bianco sul razzismo in Italia, Roma,
Edizioni dell’Asino, pp. 71-81; Colombo A., 2012, Fuori controllo? Miti e realtà dell’immigrazione in Italia,
Bologna, Il Mulino.
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Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
comunitari279), l’unico modo di regolarizzarsi, per un cittadino straniero privo del
permesso di soggiorno, è quello di ritornare al proprio paese ed effettuare un
nuovo ingresso280.
Ancor più problematico, per i Rom e i Sinti stranieri – e per gli immigrati in
generale – è il mantenimento del permesso di soggiorno quando viene a mancare
il lavoro. Secondo le disposizioni del Testo Unico, infatti, il permesso di soggiorno
rilasciato per motivi di lavoro ha la stessa durata del contratto di assunzione, e
può essere rinnovato in presenza di un nuovo contratto281. Qualora il cittadino
straniero si trovi in stato di disoccupazione, potrà prorogare la sua permanenza
per i successivi sei mesi, al termine dei quali – se ancora disoccupato – dovrà
lasciare il territorio nazionale282. Questa disposizione ha creato, a seguito della
crisi economica, numerosi problemi ai lavoratori stranieri (secondo dati
ministeriali, nel periodo più acuto della crisi è venuto a cessare circa un quinto
L’art. 19 del Testo Unico prevede l’inespellibilità di alcune specifiche categorie di cittadini stranieri:
donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono (esteso, a seguito
di una sentenza della Corte Costituzionale, anche ai coniugi); minori di anni 18; parenti conviventi entro il
secondo grado, o con il coniuge, di nazionalità italiana. Oltre all’art. 19, va ricordato l’art. 18, che autorizza
il Questore al rilascio di un permesso di soggiorno per le vittime di tratta degli esseri umani; e l’art. 31
comma 3, che disciplina il rilascio del permesso di soggiorno per assistenza minore (su cui ci soffermiamo
più avanti). Inoltre, il decreto legislativo 30/2007, attuativo della Direttiva UE 38/2004, disciplina i casi di
regolarizzazione dei familiari stranieri di cittadini comunitari regolarmente residenti in Italia. Infine, va
ricordata la possibilità di regolarizzarsi presentando domanda di asilo o di protezione internazionale. Benché
apparentemente numerosi, i casi di regolarizzazione in loco di cittadini stranieri sono, nella realtà dei fatti,
abbastanza rari: secondo gli ultimi dati disponibili, diffusi dal Ministero dell’Interno (che risalgono purtroppo
al 2008), ben il 93% dei permessi di soggiorno era rilasciato per motivi di lavoro o per ricongiungimento
familiare. Le forme di regolarizzazione fin qui citate costituiscono dunque solo una parte del 7% di permessi
rilasciati per “altri motivi” (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Generale
dell’Immigrazione, 2011, L’immigrazione per lavoro in Italia: evoluzione e prospettive, Roma, p. 52). Discorso
assai diverso è invece quello delle periodiche “sanatorie”, che consentono ai cittadini stranieri privi di
permesso di regolarizzarsi a determinate condizioni, in deroga alle leggi vigenti: si tratta di provvedimenti
eccezionali, che di solito consentono la regolarizzazione solo per brevi periodi di tempo. L’Italia ha varato,
dalla fine degli anni Settanta ad oggi, ben undici provvedimenti di questo tipo, che hanno regolarizzato
complessivamente 1 milione e 800 mila immigrati (cfr. Colombo A., 2012, op. cit., p. 26). Qui, però, stiamo
ragionando della normativa a regime, e prescindiamo – volutamente – dagli atti normativi di natura
derogatoria ed eccezionale.
280
Questa possibilità è tuttavia ostacolata dal fatto che il cittadino straniero, qualora venga rintracciato
in condizioni di irregolarità sul territorio nazionale, deve essere espulso (come dispone l’art. 13 del Testo
Unico). L’espulsione comporta un periodo di divieto di reingresso di durata variabile, fino a cinque anni: chi
è stato espulso non può dunque tornare in Italia fino allo scadere del periodo di divieto.
281
Testo Unico, art. 5, comma 3-bis: «Il permesso di soggiorno per motivi di lavoro è rilasciato a seguito
della stipula del contratto di soggiorno per lavoro di cui all’articolo 5-bis [cioè dello speciale contratto di
lavoro riservato ai lavoratori stranieri, ndr.]. La durata del relativo permesso di soggiorno per lavoro è quella
prevista dal contratto di soggiorno e comunque non può superare (…), in relazione ad un contratto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato, la durata di due anni».
282
Testo Unico, art. 22 comma 11: «Il lavoratore straniero in possesso del permesso di soggiorno per lavoro
subordinato che perde il posto di lavoro, anche per dimissioni, può essere iscritto nelle liste di collocamento
per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e comunque (…) per un periodo non inferiore a
sei mesi». La norma prescriverebbe un periodo minimo di sei mesi, lasciando alle amministrazioni competenti
(le Questure) la facoltà di concedere un permesso di soggiorno per periodi più lunghi. Tuttavia, questa facoltà
è stata vanificata dal Regolamento di Attuazione del Testo Unico (DPR 394/99), che all’art. 37 comma 5 così
dispone: «Quando (…) il lavoratore straniero ha diritto a rimanere nel territorio dello Stato oltre il termine
fissato dal permesso di soggiorno, la questura rinnova il permesso medesimo (…) fino a sei mesi dalla data
di iscrizione nelle liste di cui al comma 1 [liste di collocamento, ndr.]». E’ evidente la contraddizione tra una
norma che dispone il rilascio di un permesso di soggiorno «per un periodo non inferiore ai sei mesi» e
un’altra norma che autorizza la permanenza «fino a sei mesi».
279
157
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
dei permessi rilasciati per lavoro 283). Queste difficoltà sono evidentemente
maggiori nel caso dei Rom e dei Sinti, più esposti alla precarietà e all’espulsione
dal mercato del lavoro in ragione delle loro qualifiche mediamente più basse284.
Gli interventi e i progetti rivolti ai Rom stranieri devono necessariamente
tenere conto di questo quadro normativo. Se il reperimento di un alloggio e
l’inserimento nel mondo del lavoro sono azioni fondamentali per l’inclusione dei
Rom e dei Sinti, nel caso dei cittadini stranieri essi assumono una particolare
rilevanza e urgenza, perché in assenza di questi requisiti non è possibile rimanere
legalmente sul territorio nazionale.
I.3. I permessi di soggiorno “speciali”: protezione internazionale, status di apolide,
assistenza minore
Non esistono stime attendibili sulle tipologie di permesso di soggiorno diffuse
tra i Rom e i Sinti. Tuttavia, l’esperienza di molti operatori dimostra che spesso i Rom
stranieri soggiornano in Italia con permessi diversi da quelli “tipici” degli immigrati.
Passiamo brevemente in rassegna quelli che – almeno nell’esperienza empirica –
risultano essere i più comuni.
In primo luogo, bisogna menzionare i casi dei Rom e dei Sinti richiedenti asilo (o
rifugiati). E’ da ricordare come molti Rom siano arrivati in Italia a seguito delle crisi
umanitarie degli anni Novanta, dalla ex-Jugoslavia prima e dal Kosovo poi. Essi
presentarono allora domanda di asilo, oppure usufruirono dei permessi speciali previsti
dagli appositi decreti emanati in quegli anni285. Oggi, non esistono più disposizioni di
natura “umanitaria”, che autorizzino la permanenza dei cittadini provenienti dai paesi
della ex-Jugoslavia. Molti Rom, tuttavia, continuano a chiedere asilo, lamentando
situazioni di discriminazione o di persecuzione in tutti i paesi dei Balcani286.
«Dall’archivio del Ministero dell’Interno», si legge nel citato Dossier Caritas 2011, «risulta che 398.136
permessi per lavoro dipendente, validi al 31 Dicembre 2009, non sono stati registrati come validi al 31
Dicembre 2010 (…). Viene a cessare un quinto dei permessi e si determina una rotazione gigantesca» (cfr.
Caritas – Migrantes, 2011, op. cit., p. 255). L’attuale governo sembra essersi posto il problema: nel disegno
di legge sulla riforma del mercato del lavoro, attualmente in discussione al Senato, si prevede infatti il
rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione «per un periodo non inferiore ad un anno [il
doppio rispetto ai sei mesi attuali, ndr.] ovvero per tutto il periodo di durata della prestazione di sostegno al
reddito percepita dal lavoratore straniero, qualora superiore» (Senato della Repubblica, XVI Legislatura,
disegno di legge recante Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita,
presentato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, comunicato alla Presidenza il 5 Aprile 2012, Atto
Senato n. 3249, art. 58 comma 1).
284
«All’interno della popolazione straniera», scrive la Fondazione Leone Moressa, «i giovani lavoratori con
bassi livelli di istruzione (…) hanno risentito più di altri della crisi» (Fondazione Leone Moressa, 2011, Rapporto
annuale sull’economia dell’immigrazione, Bologna, Il Mulino, p. 44-45).
285
Legge 390/92 per gli sfollati dalla ex-Jugoslavia; DPCM del 12.05.99 e DPCM del 18.09.00 per la crisi in
Kosovo. Si veda Schiavone G., 2000, I Rom e il diritto d’asilo. Il caso italiano negli anni ’90, in AA.VV. Rom e
Sinti: un’integrazione possibile. Italia e Europa a confronto, Atti del Convegno, Napoli, 23-24 giugno 2000,
pubblicato in http://www.cestim.it/argomenti/03rom-Sinti/03zingari-integrazione-2000.htm.pdf (ultimo
accesso in data 05-04-2012).
286
All’inizio del 2010, per esempio, 128 Rom del campo di Salone, a Roma, avevano richiesto la protezione
umanitaria, ed erano in attesa del “responso” della competente Commissione. Si veda Prime demolizioni
al Casilino 900. Sant’Egidio abbandona il Comune, in «Il Corriere della Sera», 19 Gennaio 2010.
283
158
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
Benché l’Alto Commissariato ONU raccomandi alle Commissioni per il
riconoscimento dello status di rifugiato (gli organi competenti all’esame di una
domanda di asilo) la massima attenzione nel vagliare le situazioni individuali dei
Rom 287, e nonostante qualche isolata pronuncia favorevole da parte dei
Tribunali288, nel complesso la situazione dei Balcani è considerata stabilizzata, ed
è quindi assai improbabile che una domanda di asilo da quei paesi possa avere
esito favorevole.
Perciò, i Rom che abbiano presentato istanza di protezione internazionale
usufruiscono di permessi di soggiorno (per richiesta asilo, appunto) di fatto
provvisori e a scadenza: destinati cioè ad essere revocati a seguito della decisione
prevedibilmente negativa della Commissione. Ciò rende difficile predisporre
anche gli interventi di accoglienza e di inserimento sociale da parte di associazioni,
ONG o enti locali.
Il secondo caso da menzionare è quello dell’apolidia. E’ noto, benché non
abbastanza indagato nelle sue proporzioni numeriche, il fenomeno dei Rom
stranieri – in maggioranza provenienti dai territori della ex-Jugoslavia – che non
sono in possesso di nessuna cittadinanza. Si tratta infatti di persone che i paesi di
origine non riconoscono come propri cittadini: ciò per varie ragioni, cui non sono
estranei casi di vere e proprie persecuzioni a sfondo etnico (la revoca della
cittadinanza rappresenta spesso una forma di persecuzione, come ci ha insegnato
il caso, tragico ed estremo, degli ebrei nella Germania nazista289). D’altra parte, si
tratta di persone che non possono essere riconosciute cittadine italiane, perché
nate da genitori stranieri (sulla base del principio dello jus sanguinis)290.
Come noto, l’individuo privo di qualunque cittadinanza si definisce apolide,
e ha diritto, secondo norme internazionali recepite anche dall’Italia, a specifiche
forme di protezione, tra le quali il rilascio di un permesso di soggiorno291. Tuttavia,
mentre lo status di apolide garantisce un’ampia gamma di diritti e di possibilità di
permanenza, è assai arduo poter accedere a quello stesso status.
Le norme in materia di accertamento amministrativo della condizione di
apolidia prevedono infatti che il richiedente produca una serie di atti e certificati
UN High Commissioner for Refugees, 2009, UNHCR’s Eligibility Guidelines for Assessing the International
Protection Needs of Individuals from Kosovo, HCR/EG/09/01, reperibile al sito: http://www.unhcr.org/refworld/
docid/4af842462.html (ultimo accesso in data 07-04-2012). Sul punto si veda anche Perin G., 2011,
L’applicazione ai Rom e ai Sinti non cittadini delle norme sull’apolidia, sulla protezione internazionale e
sulla condizione degli stranieri comunitari ed extracomunitari, in Bonetti P., Simoni A., Vitale T., a cura di, La
condizione giuridica di Rom e Sinti in Italia, Milano, Giuffré, Tomo I, pp. 363-414.
288
Si veda per es. Tribunale di Roma, 7 gennaio 2005, in «Diritto, Immigrazione e Cittadinanza», n. 1/2005,
p. 116, citata in Perin G., 2011, op. cit.
289
E’ d’obbligo il riferimento alle indimenticabili pagine di Arendt: Arendt A., 1999, Le origini del totalitarismo,
Milano, Edizioni di Comunità (ed. or. 1948), cap. IX, «Il tramonto dello Stato nazionale e la fine dei diritti
umani», pp. 372-419. «Si è quasi tentati», scriveva la filosofa, «di misurare il grado di infezione totalitaria
di un governo nell’uso fatto della privazione della cittadinanza» (ibidem, p. 387).
290
Sull’apolidia dei Rom si veda Perin G., 2011, op. cit.; Senato della Repubblica, Commissione straordinaria
per la tutela e la promozione dei diritti umani, 2011, op. cit., pp. 22-25.
291
Per una disamina delle principali norme internazionali in materia di apolidia si veda Perin G., Bonetti P.,
2009, Apolidia. Scheda pratica aggiornata al 12-02-2009, reperibile sul sito dell’ASGI alla pagina web http:/
/www.asgi.it/home_asgi.php?n=documenti&id=321&l=it – ultimo accesso in data 05-05-2012.
287
159
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
rilasciati dal paese di nascita o di ultima residenza, nonché la documentazione
relativa all’iscrizione anagrafica in un Comune italiano292. Queste disposizioni
sono in larga parte inapplicabili, soprattutto ai Rom e ai Sinti. Per varie ragioni, su
cui non possiamo soffermarci in questa sede293, per molti Rom è infatti assai
complicato – quando non impossibile – ottenere i documenti dei paesi di origine.
Inoltre, una persona realmente apolide difficilmente potrà avere la residenza in
Italia: l’iscrizione anagrafica, infatti, è subordinata al possesso di un permesso di
soggiorno294; ma per ottenere un permesso di soggiorno è necessario disporre di
un passaporto o di altro documento di viaggio rilasciato dal proprio paese295. E gli
apolidi, per definizione, non hanno un loro paese.
Si crea in altre parole uno di quei “circoli viziosi”, di cui è ricca la normativa
italiana in materia di immigrazione: chi non ha la cittadinanza di alcun paese non
può disporre di un passaporto; senza passaporto niente permesso di soggiorno;
senza permesso di soggiorno, niente residenza; senza residenza, niente status di
apolide; e, ovviamente, in assenza di riconoscimento dello status di apolide non
sarà possibile ottenere documenti di identificazione, permessi di soggiorno,
residenza anagrafica ecc...
Lo status di apolide si può accertare, oltre che per via “amministrativa” (cioè
facendone richiesta agli organi prefettizi), anche per via “giurisdizionale”,
rivolgendosi direttamente al giudice. Tuttavia, non esistendo alcuna specifica
disposizione che disciplini l’accertamento giurisdizionale, la procedura è soggetta
ad interpretazioni difformi da parte dei singoli magistrati296, e può avere dunque
esiti assai diversi.
Ciò che qui interessa è il destino dei Rom che chiedono – per via
amministrativa o giurisdizionale – il riconoscimento dello status di apolide. La
legge italiana prescrive in questi casi il rilascio di un permesso di soggiorno per
attesa apolidia. Tuttavia, a differenza di quanto accade con la procedura di asilo
(dove il richiedente ha diritto comunque al permesso di soggiorno fino alla
conclusione della procedura), in questo caso il permesso viene rilasciato solo se
lo straniero si trovava già in condizioni di regolarità sul territorio nazionale297: un
D.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572, Regolamento di esecuzione della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante
nuove norme sulla cittadinanza, art. 17 comma 1: «Il ministero dell’interno può certificare la condizione di
apolidia, su istanza dell’interessato corredata della seguente documentazione: a) atto di nascita; b)
documentazione relativa alla residenza in Italia; c) ogni documento idoneo a dimostrare lo stato di apolide.
2. E’ facoltà del Ministero dell’Interno richiedere, a seconda dei casi, altri documenti». Sul punto si veda
Perin G., Bonetti P., 2009, op. cit.
293
Sul punto si veda Perin G., 2011, op. cit.
294
Il Regolamento Anagrafico (DPR 30/5/89, n. 223) dispone, all’art. 14 comma 2, che lo straniero debba
esibire il permesso di soggiorno all’atto di iscrizione all’anagrafe. Inoltre, secondo l’art. 11, comma 1 lettera
c) dello stesso Regolamento, il mancato rinnovo del permesso di soggiorno determina la cancellazione dal
Registro Anagrafico della Popolazione Residente.
295
Così dispone il Regolamento di Attuazione del Testo Unico (DPR 394/99 e successive modifiche), all’art.
9 comma 3.
296
Si veda sul punto Perin G., Bonetti P., 2009, op. cit.
297
Così dispone il Regolamento di Attuazione del Testo Unico (DPR 394/99 e successive modifiche), all’art.
11 comma 1: «Il permesso di soggiorno è rilasciato, quando ne ricorrono i presupposti, per i motivi e la
durata indicati nel visto d’ingresso o dal testo unico, ovvero per uno dei seguenti altri motivi (…): c. per
acquisto della cittadinanza o dello stato di apolide, a favore dello straniero già in possesso del permesso di
soggiorno per altri motivi, per la durata dei procedimento di concessione o di riconoscimento».
292
160
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
requisito per molti aspetti paradossale, che preclude la regolarizzazione dei
richiedenti Rom o Sinti (la cui condizione di apolidia, nella maggior parte dei casi,
non è sopravvenuta durante il soggiorno in Italia, ma si è creata ab origine, prima
dell’ingresso, determinando dunque una condizione di irregolarità).
Infine, il terzo caso meritevole di una piccola analisi è il permesso di soggiorno
per assistenza minore. Si tratta di un documento che viene rilasciato dalla
Questure, a seguito di un apposito provvedimento del Tribunale per i Minorenni,
ai familiari irregolari di minori stranieri che abbiano necessità di assistenza. La
norma prescrive che il Tribunale per i Minorenni rilasci un’autorizzazione alla
permanenza sul territorio nazionale, in deroga alle altre disposizioni in materia di
ingresso e soggiorno, quando sussistano “gravi motivi” legati all’età, alle condizioni
di salute o psico-fisiche del minore298. Questa formulazione lascia però spazio a
letture diverse e di segno opposto. Così, alcuni Tribunali rilasciano l’autorizzazione
solo in presenza di gravi malattie o handicap permanenti del minore. Altri, invece,
ritengono che i “gravi motivi” invocati dal legislatore possano consistere anche in
pericoli potenziali e futuri, che potrebbero essere determinati – per esempio –
dal dover affrontare in tenera età il trauma dell’espulsione dei propri genitori, e
del conseguente rimpatrio di tutta la famiglia: seguendo quest’ultima
interpretazione, alcuni Tribunali – su tutti quello toscano – non si limitano a
valutare le condizioni di salute del minore, ma tengono conto della frequenza
scolastica, del grado di integrazione del nucleo familiare, delle eventuali condizioni
di indigenza nel paese di origine; persino l’essere nato e cresciuto in Italia può
rappresentare una discriminante, perché in quel caso l’espulsione potrebbe
risultare doppiamente traumatica, dovendosi effettuare il rimpatrio in un paese
che il minore non ha mai visto299.
Si tratta, come si vede, di un permesso di soggiorno che potremmo definire
latu sensu di carattere umanitario, per il quale non sono previsti requisiti di reddito
né di alloggio. E’ anche per questo che molti Rom, che non possono regolarizzarsi
in altro modo, si rivolgono ai Tribunali per i Minorenni allo scopo di ottenere un
permesso per assistenza minore.
Così dispone il Testo Unico Immigrazione all’art. 31 comma 3: «Il Tribunale per i minorenni, per gravi
motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che
si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di
tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni del presente testo unico. L’autorizzazione è
revocata quando vengono a cessare i gravi motivi che ne giustificano il rilascio o per attività del familiare
incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia. I provvedimenti sono comunicati alla
rappresentanza diplomatica o consolare e al questore per gli adempimenti di rispettiva competenza». A
coloro che siano in possesso dell’autorizzazione alla permanenza sul territorio nazionale, disposta dal
Tribunale per i Minorenni, viene rilasciato dalla Questura competente un permesso di soggiorno per
assistenza minore, in ottemperanza al disposto di cui al Decreto Legislativo 8 gennaio 2007, n. 5, Attuazione
della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare, art. 2 comma 6: «Al familiare
autorizzato all’ingresso ovvero alla permanenza sul territorio nazionale ai sensi dell’articolo 31, comma 3,
è rilasciato, in deroga a quanto previsto dall’articolo 5, comma 3-bis, un permesso per assistenza minore,
rinnovabile, di durata corrispondente a quella stabilita dal Tribunale per i minorenni. Il permesso di soggiorno
consente di svolgere attività lavorativa ma non può essere convertito in permesso per motivi di lavoro».
299
Si veda per esempio Tribunale per i Minorenni di Firenze, decreto n. 4304/2010.
298
161
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
Con il Decreto Legislativo 8 gennaio 2007, n. 5 (art. 2 comma 6) il legislatore
ha tuttavia disposto che questo permesso di soggiorno – che consente l’esercizio
di regolari attività lavorative – non può essere, alla scadenza, convertito per via
amministrativa in permesso per motivi di lavoro. Ciò comporta una sostanziale
precarietà nella condizione dei molti Rom, che per rinnovare il loro soggiorno si
vedono costretti a inoltrare una nuova istanza al Tribunale per i Minorenni.
Ed è forse proprio la precarietà della condizione di soggiorno la vera cifra della
condizione dei Rom stranieri: una precarietà che per molti aspetti caratterizza lo
status di tutti gli immigrati, ma che nel caso dei Rom e dei Sinti assume connotazioni
peculiari, e per alcuni versi estreme. Ogni progetto di inserimento sociale e
lavorativo di Rom e Sinti deve necessariamente tenere conto di questa condizione.
I.4. I Rom comunitari
Negli ultimi anni, l’arrivo di consistenti flussi migratori di Rom provenienti
dalla Romania, e il successivo ingresso di questo paese nell’Unione Europea,
hanno generato una consistente presenza di Rom cittadini comunitari.
Lo status dei migranti provenienti da paesi UE è assai diverso da quello dei
cosiddetti “cittadini dei paesi terzi”300. L’art. 45 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea stabilisce infatti che «ogni cittadino dell’Unione ha il diritto
di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri»301. A
differenza di quanto accade con i migranti dei paesi terzi, la cui facoltà di
soggiornare è subordinata alla preventiva autorizzazione dello Stato italiano302,
per i comunitari l’ingresso, la circolazione e la permanenza sul territorio
Si evita qui, volutamente, di usare l’espressione “extra-comunitari”: un termine originariamente tecnicogiuridico, poi divenuto di uso comune con funzioni spesso dispregiative. Si tratta, oggi, di un termine non
tecnico, che infatti non compare nei testi di legge: i non appartenenti all’Unione Europea sono definiti dalla
normativa “cittadini di paesi terzi” o semplicemente “cittadini stranieri”. Per le connotazioni negative del
termine si veda Faso G., 2008 Lessico del razzismo democratico. Le parole che escludono, Roma, Derive e
Approdi, pp. 64-66.
301
Si veda Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (2010/C 83/02), in «Gazzetta ufficiale
dell’Unione europea», 30 Marzo 2010. Come noto, la prima versione della Carta è stata elaborata da una
Convenzione composta da un rappresentante di ogni paese membro, da un delegato della Commissione e
da membri dei Parlamenti europeo e nazionali. Fu proclamata a Nizza nel Dicembre 2000. Con il Trattato di
Lisbona, alla Carta è stato conferito valore giuridico vincolante: essa è stata perciò modificata e proclamata
una seconda volta nel Dicembre 2007 (si veda la scheda su Carta dei diritti fondamentali sul sito internet
dell’Unione Europea alla pagina web: http://europa.eu/legislation_summaries/justice_freedom_security/
combating_discrimination/l33501_it.htm - ultimo accesso in data 05-04-2012).
302
Da lungo tempo la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha stabilito che lo straniero non ha un
diritto soggettivo all’immigrazione, e che la facoltà di ingresso e di permanenza nel territorio italiano è
subordinata al possesso di specifiche autorizzazioni (visto, permesso di soggiorno, nulla-osta ecc.). Si veda,
tra le numerose pronunce, la sentenza n. 62 del 1994, forse la più esplicita sul punto. In sede di dottrina
giuridica, tuttavia, non sono mancate interpretazioni diverse che, sulla scorta di un’analisi dei lavori
preparatori dell’Assemblea Costituente, hanno individuato in alcuni articoli del testo costituzionale (su
tutti l’art. 35 comma 4) il fondamento di un vero e proprio diritto soggettivo all’immigrazione. Si veda in
particolare: Nicotra Guerrera I., 1995, Territorio e circolazione delle persone nell’ordinamento costituzionale,
Milano, Giuffré, pp. 208 e ss.; Patroni Griffi A., 1999, I diritti dello straniero tra Costituzione e politiche
regionali, in Chieffi L., a cura di, I diritti sociali tra regionalismo e prospettive federali, Padova, Cedam, pp.
345-346; Rossi E., 2009, I diritti fondamentali degli stranieri irregolari. Una lettura costituzionale, in Consorti
P., a cura di, Tutela dei diritti dei migranti, Pisa, Plus, pp. 43-78.
300
162
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
costituiscono un vero e proprio diritto soggettivo, sia pure limitato dalle condizioni
e dai requisiti previsti dalle normative comunitarie303.
Tali condizioni e requisiti sono stati specificati dalla Direttiva 38/2004304, e
delineano una differenza tra soggiornanti di breve periodo, fino a tre mesi (art. 6),
e soggiornanti per un periodo superiore (art. 7). Mentre per i primi l’ingresso e il
soggiorno sono liberi e non soggetti ad alcuna formalità amministrativa, i secondi
devono poter disporre di un lavoro, subordinato o autonomo, o di risorse
economiche sufficienti305.
Con il decreto legislativo 30/2007306, che recepisce e dà attuazione alla Direttiva
38, il legislatore italiano ha disciplinato anche la tipologia dei documenti da rilasciare
ai migranti comunitari. Poiché questi ultimi hanno – come si è visto – un diritto
soggettivo alla permanenza, sarebbe stato improprio obbligarli alla richiesta di un
permesso di soggiorno, che per sua natura ha carattere “autorizzatorio”. Il decreto
30 ha perciò previsto l’accesso dei comunitari direttamente alla residenza anagrafica,
ovviamente subordinandola al possesso dei requisiti della Direttiva 38 (lavoro e/o
risorse economiche sufficienti). Così, per ottenere i loro documenti di soggiorno, i
cittadini comunitari non devono più andare in Questura – come accadeva in
precedenza307 – ma si recano al Comune dove dimorano: qui, gli uffici preposti
rilasciano una “attestazione di soggiorno”, e contestualmente iscrivono il cittadino
nel Registro Anagrafico della Popolazione Residente308.
Proprio l’accesso alla residenza anagrafica rappresenta oggi un problema per i
Rom immigrati da paesi UE. In molti Comuni permane infatti la prassi di non concedere
la residenza nei “campi nomadi”, soprattutto se non autorizzati309. Talora questa prassi
viene giustificata alla luce di un comma del cosiddetto “Pacchetto Sicurezza” del 2009,
303
Si veda sul punto D’Ascia L., 2009, Diritto degli stranieri e immigrazione. Percorsi giurisprudenziali, Milano,
Giuffré, pp. 428 e ss.
304
Si veda Direttiva 2004/38/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 Aprile 2004, relativa al diritto
dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati
membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/
CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (Testo rilevante ai fini del SEE), in
«Gazzetta ufficiale dell’Unione europea», 29 Giugno 2004.
305
Direttiva 2004/38/CE, art. 7: «1. Ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo
superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro, a condizione: a) di essere lavoratore subordinato
o autonomo nello Stato membro ospitante; o b) di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse
economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro
ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato
membro ospitante; o c) — di essere iscritto presso un istituto pubblico o privato, riconosciuto o finanziato
dallo Stato membro ospitante in base alla sua legislazione o prassi amministrativa, per seguirvi a titolo
principale un corso di studi inclusa una formazione professionale, — di disporre di un’assicurazione malattia
che copre tutti i rischi nello Stato membro ospitante e di assicurare all’autorità nazionale competente, con
una dichiarazione o con altro mezzo di sua scelta equivalente, di disporre, per se stesso e per i propri familiari,
di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato
membro ospitante durante il suo periodo di soggiorno; o d) di essere un familiare che accompagna o raggiunge
un cittadino dell’Unione rispondente alle condizioni di cui alle lettere a), b) o c)».
306
Decreto Legislativo 6 Febbraio 2007, n. 30, Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei
cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati
membri, e successive modifiche ed integrazioni.
307
Il Decreto del Presidente della Repubblica 18 Gennaio 2002, n. 54, prevedeva all’art. 5 il rilascio, da
parte delle Questure, di una “carta di soggiorno per cittadino comunitario”.
308
Decreto Legislativo 30/2007, art. 9.
309
Si vedano, tra i molti rapporti che documentano questa diffusa pratica: Open Society Foundations –
Open Society Justice Iniziative, 2010, I Rom in Italia: nota informativa per la Commissione Europea, in http:/
/www.soros.org/initiatives/justice/litigation/ec-v-italy-20100910/ECUpdate-20101001.pdf, punto 18
(ultimo accesso in data 05-05-2012); Perin G., 2011, op. cit.
163
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
che in realtà non vieta affatto la residenza in luoghi “impropri”, limitandosi a disporre
la possibilità di controlli sugli alloggi dei cittadini che chiedono l’iscrizione anagrafica310.
Inoltre, accade spesso che i Rom non abbiano né lavoro né risorse economiche proprie,
e non possano quindi soddisfare i requisiti previsti dalla Direttiva 38.
Il risultato di questi meccanismi è una diffusa, pur se difficilmente
quantificabile, irregolarità del soggiorno di molti Rom comunitari. Si tratta, è bene
specificarlo, di una irregolarità ben diversa da quella dei cittadini di paesi terzi:
mentre per questi ultimi l’assenza di un permesso di soggiorno è condizione
sufficiente per l’emanazione di un decreto di espulsione311, per i comunitari non
esiste alcun automatismo. Eventuali provvedimenti espulsivi debbono essere
decisi caso per caso, valutando la pericolosità sociale del soggetto, ma anche la
durata del suo soggiorno in Italia, l’età, le condizioni di salute e l’integrazione
sociale e culturale312. Queste disposizioni rendono spesso inespellibili i Rom
comunitari, che in tal modo si trovano a vivere in una sorta di “limbo
amministrativo”: non hanno una vera e propria autorizzazione al soggiorno in
Italia, ma non possono essere allontanati. Né “regolari”, né “clandestini”, restano
sul territorio, privi di molti diritti fondamentali, ignorati dai servizi sociali e dai
programmi locali di integrazione e di inserimento.
Come nel caso dei Rom stranieri, dunque, anche la condizione giuridica dei
Rom comunitari sembra essere caratterizzata dalla precarietà: ed è proprio con
questa precarietà che debbono confrontarsi le buone pratiche avviate a livello
locale. Come vedremo tra poco, infatti, lo status dei Rom migranti – incerto,
transitorio, spesso irregolare o semi-regolare – influisce negativamente sul
godimento di alcuni diritti fondamentali. Nelle pagine che seguono, ci occuperemo
soprattutto del diritto alla salute, del diritto all’abitare e dell’accesso al lavoro:
tre ambiti in cui lo status dei cittadini stranieri determina l’inclusione, o
l’esclusione, da servizi e prestazioni erogate dagli enti pubblici.
L’articolo 1 comma 18 della legge 94/2009 (cosiddetto “Pacchetto Sicurezza”), nel modificare la normativa
anagrafica (legge 24 Dicembre 1954, n. 1228, art. 1), prevede che «l’iscrizione e la richiesta di variazione
anagrafica possono dar luogo alla verifica, da parte dei competenti uffici comunali, delle condizioni igienicosanitarie dell’immobile in cui il richiedente intende fissare la propria residenza, ai sensi delle vigenti norme
sanitarie». La dottrina è però concorde nel ritenere che le verifiche sull’idoneità dell’alloggio non possano
precludere in ogni caso l’accesso alla residenza. Si veda Checcoli T., 2011, Articolo 3, commi 38 e 39.
Commentario, in De Francesco G., Gargani A., Manzione D., Pertici A., a cura di, Commentario al “Pacchetto
Sicurezza”, l. 15 Luglio 2009, n. 94, Milano, Utet Giuridica, pp. 461-466.
311
Il citato Testo Unico Immigrazione dispone, all’art. 13 comma 2, che il Prefetto emani un provvedimento
di espulsione per tutti coloro che risultino privi di permesso di soggiorno.
312
In ottemperanza alla Direttiva 38, il decreto 30 prevede all’articolo 20 la possibilità di limitare il diritto
di ingresso e di soggiorno (e dunque di emanare provvedimenti espulsivi) solo per «motivi di sicurezza dello
Stato, motivi imperativi di pubblica sicurezza, altri motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza». I motivi
di sicurezza dello Stato sussistono «quando la persona da allontanare appartiene ad una delle categorie di
cui all’articolo 18 della legge 22 maggio 1975, n. 152, e successive modificazioni, ovvero vi sono fondati
motivi di ritenere che la sua permanenza nel territorio dello Stato possa, in qualsiasi modo, agevolare
organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali» (articolo 20, comma 2). I motivi imperativi di
pubblica sicurezza sussistono in caso di «comportamenti che costituiscono una minaccia concreta, effettiva
e sufficientemente grave ai diritti fondamentali della persona ovvero all’incolumità pubblica» (articolo 20,
comma 3). Il successivo comma 4 chiarisce che i provvedimenti di allontanamento «non possono essere
motivati da ragioni di ordine economico», e che «l’esistenza di condanne penali non giustifica di per sé
l’adozione di tali provvedimenti». L’articolo 21 prevede anche l’espulsione «per cessazione delle condizioni
che determinano il diritto di soggiorno», ma anche in questo caso non sono previsti automatismi: la sola
assenza di un lavoro, o di risorse economiche proprie, non giustifica l’allontanamento, perché il Prefetto
deve comunque tenere conto «della durata del soggiorno dell’interessato, della sua età, della sua salute,
della sua integrazione sociale e culturale e dei suoi legami con il Paese di origine» (articolo 21, comma 2).
310
164
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
Parte seconda. Il diritto alla salute
II.1. Il diritto alla salute dei Rom migranti: un quadro generale
Un primo elemento problematico, per molti Rom migranti, riguarda il diritto
alla salute, e in particolare l’accesso alle strutture sanitarie.
In linea teorica, il nostro paese garantisce a tutti – indipendentemente dalla
nazionalità e dallo status giuridico – l’accesso alle terapie e alle prestazioni
sanitarie. Se per gli stranieri regolari è prevista l’iscrizione al Servizio Sanitario
Nazionale (SSN) in condizioni di sostanziale parità con il cittadino italiano313, per
gli irregolari sono assicurate le cure urgenti o comunque essenziali, anche se
continuative314, in tutti i presidi ambulatoriali o ospedalieri: si tratta, come si
vede, di un ambito molto ampio di prestazioni, non limitato alle sole urgenze, ma
esteso ai cicli terapeutici e riabilitativi di medio e lungo periodo, ai ricoveri
ospedalieri, alla medicina preventiva o alla tutela della gravidanza e della
maternità. Gli irregolari non possono iscriversi al SSN, e non hanno di norma un
medico di famiglia, né possono usufruire del servizio di Guardia Medica:
generalmente accedono agli Ospedali o ai presidi di Pronto Soccorso, dove viene
rilasciato loro il codice “STP” (Straniero Temporaneamente Presente), che
consente di ottenere le prestazioni urgenti o essenziali previste dalla legge315.
Secondo molti osservatori internazionali316, quella italiana è una delle normative
più avanzate dell’Unione Europea, perché garantisce un accesso molto ampio alle
cure, prevedendo anche la gratuità delle terapie e dei farmaci in caso di indigenza.
L’articolo 34 del Testo Unico Immigrazione prevede l’iscrizione – obbligatoria o volontaria, a seconda
delle tipologie di permesso di soggiorno – al Servizio Sanitario Nazionale.
314
Testo Unico Immigrazione, art. 35, comma 3: «Ai cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale, non
in regola con le norme relative all’ingresso ed al soggiorno, sono assicurate, nei presìdi pubblici ed
accreditati, le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per
malattia ed infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute
individuale e collettiva. Sono, in particolare garantiti: a) la tutela sociale della gravidanza e della maternità,
a parità di trattamento con le cittadine italiane, ai sensi della L. 29 luglio 1975, n. 405, e della L. 22 maggio
1978, n. 194, e del decreto 6 marzo 1995 del Ministro della sanità, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 87
del 13 aprile 1995, a parità di trattamento con i cittadini italiani; b) la tutela della salute del minore in
esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva ai
sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176; c) le vaccinazioni secondo la normativa e nell’ambito di interventi
di campagne di prevenzione collettiva autorizzati dalle regioni; d) gli interventi di profilassi internazionale;
e) la profilassi, la diagnosi e la cura delle malattie infettive ed eventualmente bonifica dei relativi focolai».
Il successivo comma 4 dispone inoltre che «le prestazioni di cui al comma 3 sono erogate senza oneri a
carico dei richiedenti qualora privi di risorse economiche sufficienti, fatte salve le quote di partecipazione
alla spesa a parità con i cittadini italiani».
315
DPR 394/99 e successive modifiche ed integrazioni, articolo 43 comma 3: «La prescrizione e la
registrazione delle prestazioni nei confronti degli stranieri privi di permesso di soggiorno vengono effettuate,
nei limiti indicati dall’articolo 35, comma 3, del testo unico, utilizzando un codice regionale a sigla STP
(Straniero Temporaneamente Presente). Tale codice identificativo è composto, oltre che dalla sigla STP, dal
codice ISTAT relativo alla struttura sanitaria pubblica che lo rilascia e da un numero progressivo attribuito
al momento dei rilascio. Il codice, riconosciuto su tutto il territorio nazionale, identifica l’assistito per tutte
le prestazioni di cui all’articolo 35, comma 3 del testo unico (…)».
316
Si veda ad esempio il recentissimo dossier della European Union Agency for Fundamental Rights (FRA),
2011, Migrants in an irregular situation: access to healthcare in 10 European Union Member States, Vienna,
al sito http://fra.europa.eu/fraWebsite/attachments/FRA-2011-fundamental-rights-for-irregular-migrantshealthcare_EN.pdf - ultimo accesso in data 16-04-2012.
313
165
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
Nella pratica, però, la situazione è ben più complessa. «Alcune regioni, come
la Lombardia», scrive ad esempio la Fundamental Rights Agency in una recente
ricerca, «adottano un’interpretazione molto restrittiva della legge e limitano
l’accesso dei migranti irregolari ai soli servizi di emergenza e urgenza»317. Il rilascio
del codice STP, secondo la stessa ricerca, «è discrezionale e dipende dal singolo
medico, dall’ospedale (…) e dal personale amministrativo»318.
II.2. Il caso dei Rom comunitari
Ma la situazione più drammatica, dal punto di vista del diritto alla salute, è
quella dei Rom comunitari. L’accesso al codice STP, e quindi alle terapie urgenti o
essenziali, è infatti disciplinato dal Testo Unico sull’Immigrazione, che a rigore è
una norma applicabile ai soli cittadini di paesi terzi. Per i migranti di paesi UE non
esiste invece una norma espressa che parli di accesso alle cure: così, secondo
un’interpretazione condivisa dalle amministrazioni sanitarie, i comunitari privi di
residenza (e quindi irregolari) non possono usufruire del codice STP e delle prestazioni
essenziali e continuative, ma solo di quelle urgenti di Pronto Soccorso. Si tratta di
un’interpretazione discutibile, perché istituisce una irragionevole discriminazione
tra cittadini comunitari e cittadini di paesi terzi: secondo alcuni commentatori,
questa prassi rappresenta in effetti una vera e propria violazione dei Trattati
istitutivi della UE319.
Ugualmente drammatica è la condizione dei Rom romeni che soggiornano
per brevi periodi, o che comunque adottano modelli migratori fondati sulla
circolarità o la stagionalità. Come si è visto, l’ingresso in Italia di cittadini comunitari
non è soggetto ad alcuna condizione, ed è dunque libero: solo dopo tre mesi è
necessario munirsi di un’attestazione di soggiorno.
Per i primi novanta giorni, le cure sono assicurate a tutti i cittadini di paesi UE
muniti di tessera TEAM: questo documento (l’acronimo sta per “Tessera Europea
Assicurazione Malattia”) consente alle strutture sanitarie di ottenere il rimborso
delle spese di cura dal paese di origine del paziente. Il sistema, disciplinato da
norme comunitarie320, prevede che ciascun paese rimborsi le prestazioni che
avrebbe garantito nelle proprie strutture sanitarie. Così, per esempio, se un
Ibidem, p. 21. La traduzione è mia.
Ibidem, p. 48. La traduzione è mia.
Si veda per esempio il testo dell’avvocato Marco Paggi: Paggi M., 2009, Cittadini comunitari - L’applicazione
della Direttiva 38 è deludente, in http://www.meltingpot.org/articolo13852.html - ultimo accesso in data
05-05-2012.
320
Si tratta in particolare del Regolamento (CEE) n. 1408/71 del Consiglio, del 14 Giugno 1971, relativo
all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori dipendenti e ai loro familiari che si spostano
all’interno della Comunità. Per un quadro delle modifiche apportate all’atto originario, e per la versione
consolidata del regolamento, si veda l’apposita pagina sul sito dell’UE: http://europa.eu/
legislation_summaries/employment_and_social_policy/social_protection/c10516_it.htm - ultimo accesso
in data 05-05-2012. Il regolamento citato istituiva anche la “Commissione Amministrativa per la Sicurezza
Sociale dei Lavoratori Migranti” (CASSTM), composta dai rappresentanti degli Stati membri, con il compito
di sviluppare la cooperazione tra gli Stati in materia di prestazioni sociali e sanitarie. In anni recenti, la
CASSTM ha approvato tre decisioni finalizzate ad istituire una tessera uniforme, riconosciuta da tutti gli
Stati Membri (Decisione n. 189/2003; Decisione n. 190/2003; Decisione n. 191/2003). Si veda, ancora sul sito
UE, l’apposita scheda esplicativa sulla vicenda: http://europa.eu/legislation_summaries/
employment_and_social_policy/social_protection/c10123_it.htm - ultimo accesso in data 06-05-2012.
317
318
319
166
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
paziente rumeno viene ricoverato in un Ospedale italiano per un intervento
chirurgico, la prestazione sarà rimborsata solo se la Romania prevede la gratuità
di quello stesso intervento nei suoi Ospedali. In questo modo, la possibilità di
accedere a cure gratuite (o parzialmente coperte dallo Stato) finisce per dipendere
non dalla legge italiana, ma da quella del paese di origine.
Ciò rappresenta un grave problema soprattutto per i Rom romeni: il sistema
sanitario della Romania, infatti, è assai diverso da quello italiano, e non prevede
un accesso universalistico alle cure321. Sin dalla fine degli anni ’90, con una serie
di interventi normativi culminati nella legge 95 del 2006 (tuttora in vigore)322, il
governo di Bucarest ha smantellato il sistema sanitario di impianto socialista, e ha
varato riforme di ispirazione neoliberale. Da quel momento, l’accesso alle cure è
regolato da un meccanismo di assicurazioni e di contributi individuali della
popolazione economicamente attiva.
Per poter beneficiare di un’assicurazione sanitaria pubblica, i cittadini
debbono registrarsi presso un medico generico convenzionato con la «Casa
Naþionalã de Asigurãri de Sãnãtate» o CNAS (il Servizio Sanitario Nazionale rumeno),
e sono tenuti a pagare un contributo mensile in misura proporzionale al loro
reddito. Possono assicurarsi tutti i lavoratori subordinati e autonomi, nonché i
loro familiari a carico. L’assistenza sanitaria è invece interamente coperta da fondi
pubblici, per i disoccupati che usufruiscono di sussidi statali (di solito nei primi
sei mesi di disoccupazione), per le persone disabili e per gli indigenti che
percepiscono il reddito minimo garantito previsto dalla legge 416/01323. Tutti coloro
Per le informazioni che seguono si veda: Rat C., 2008, “No discrimination!”, just unequal access... Barriers
in the use of health-care services among the Romanian Roma, paper presented at the Conference of the
European Social Policy Analysis Network (ESPANET), Stream 15: «Social Exclusion», 18-20 September 2008,
Helsinki,
reperibile
sul
web
al
sito
internet
http://socialzoom.com/echiserv/eng/
C%20Rat%202008%20ESPANET.pdf (ultimo accesso in data 08-05-2012); Rebeleanu A., 2008, Social
Vulnerability in the Romanian Healthcare System, paper presented at the Conference of the European Social
Policy Analysis Network (ESPANET), Stream 13: «Changing Ideas and Consequences on Healthcare Reform»,
18-20 September 2008, Helsinki, reperibile al sito http://socialzoom.com/echiserv/eng/
Adina%20Rebeleanu%202008%20ESPANET.pdf, ultimo accesso in data 08-05-2012; Romanelli M., 2011,
Romania: un sistema sanitario in grave crisi, in «Salute Internazionale», periodico web, 26 Aprile 2011,
http://saluteinternazionale.info/2011/04/romania-un-sistema-sanitario-in-grave-crisi/, ultimo accesso in
data 08-05-2012; Paveliu S., 2012, România în pragul privatizãrii totale a îngrijirilor de sãnãtate. O analizã
a principalelor mãsuri propuse în noua lege a sãnãtãþii, Societatea Academicã din România (SAR), «Policy
Brief», n. 58, sul web alla pagina http://www.romaniacurata.ro/spaw2/uploads/files/
S%20Paveliu_policy%20brief%2058_sanatate.pdf - ultimo accesso in data 08-05-2012.
322
Legea nr. 95/2006 privind reforma in domeniul sanatatii (Legge 95/2006 recante riforma in materia sanitaria).
323
Il “reddito minimo garantito” (venitul minim garantat) è una prestazione di welfare che consiste
nell’erogazione di un piccolo reddito alle famiglie indigenti. Per usufruire del contributo è necessario esibire
prove documentali della propria condizione di indigenza, nonché dimostrarsi attivi nella ricerca di un lavoro
(cfr. Horváth I., Toma S., 2006, The Roma in Romania. General overview and an inventory of problems, Centrul
de Cercetare a Relaþiilor Interetnice (CCRIT), Cluj-Napoca, p. 20, reperibile alla pagina web http://
www.iprs.it/docs/Qualitative%20Report%20Romania.doc - ultimo accesso in data 08-05-2012. L’entità del
contributo è assai modesta: nel 2009, esso ammontava per le singole persone ad appena 108 lei al mese
(circa 25 euro), cifra che rappresenta il 19% del salario minimo lordo (si veda Rat C., 2009, The future of the
welfare state: paths of social policy innovation between constraints and opportunities, paper distributed at
the 7th ESPANET conference «The Social Segregation of the Poor in Romania. The Impact of Welfare Transfers»,
Urbino, 17-19 September 2009, p. 9, http://www.espanet-italia.net/conference2009/paper2/10B-Rat.pdf,
ultimo accesso in data 08-05-2012). Secondo recenti ricerche, i Rom sono tra i maggiori fruitori del reddito
minimo garantito: tra le famiglie Rom che si trovano sotto la soglia di povertà, circa il 20% risultano
beneficiarie di questa prestazione, a fronte del 2% delle famiglie non-Rom (Rat C., 2008, op. cit, p. 13). Sul
reddito minimo si veda anche Ilie S., Vonica S., 2003, Romanian Minimum Income Provision as a Mechanism
to Promote Social Inclusion, paper for the workshop on «The adequacy of social protection system», Parigi,
United Nations Public Administration Network, http://unpan1.un.org/intradoc/groups/public/documents/
nispacee/unpan014819.pdf - ultimo accesso in data 08-05-2012.
321
167
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
che non lavorano, e non rientrano nelle categorie esenti, devono pagare un
contributo mensile pari al valore del contributo corrispondente al salario minimo.
Al fine di beneficiare dei servizi di assistenza sanitaria, è necessaria la prova del
pagamento regolare dei contributi.
Ci siamo soffermati su questi dettagli per evidenziare i meccanismi che
escludono la minoranza Rom di Romania dalla copertura sanitaria. In molti casi, i
Rom non sono registrati nemmeno al medico di famiglia324; più spesso, risultano
assicurati, ma la loro condizione di indigenza impedisce di pagare regolarmente i
relativi contributi. Coloro che emigrano all’estero, poi, sono ancora più
svantaggiati: spesso, la marginalità sociale di cui sono vittime nei paesi di
destinazione rende difficile il pagamento regolare degli oneri dovuti. Il risultato
di queste dinamiche è l’esclusione di gran parte dei Rom dal sistema sanitario
romeno, e dunque l’impossibilità di avere la tessera TEAM richiesta dalle
amministrazioni italiane.
Esclusi dall’accesso all’STP e dall’utilizzo della TEAM, i Rom possono usufruire
del servizio sanitario solo se in possesso della residenza: un requisito assai arduo
da soddisfare, come abbiamo visto.
II.3. Le buone pratiche delle amministrazioni pubbliche: il ruolo delle Regioni
Il problema dell’accesso alle cure può essere efficacemente risolto dalle
Amministrazioni Regionali. Con la riforma del Titolo V della Costituzione, infatti,
la tutela della salute è divenuta materia di “legislazione concorrente”325, affidata
in sostanza alle Regioni. Per queste ultime è dunque possibile, anche a legislazione
nazionale invariata, emanare norme che garantiscano un accesso più ampio e
universalistico al sistema sanitario.
Un primo problema è quello delle prestazioni offerte ai migranti irregolari, titolari
del codice STP. Come abbiamo visto, l’interpretazione della normativa è assai
disomogenea sul territorio: in alcune zone ci si limita a garantire gli interventi urgenti
o di Pronto Soccorso, in altre vengono erogati servizi più ampi, di natura ospedaliera
o ambulatoriale. In alcuni casi i migranti privi di permesso di soggiorno usufruiscono
di servizi dedicati, altrove accedono direttamente alle strutture pubbliche.
I dati in proposito cambiano a seconda delle rilevazioni e del periodo considerato. Secondo una stima
dell’UNDP, nel 2003 più del 35% dei Rom erano privi di copertura sanitaria. Una ricerca del 2008, finanziata
dal programma PHARE dell’Unione Europea, valutava attorno al 10% la quota di Rom non iscritti a un medico
di famiglia (il che significa, sia detto per inciso, che la percentuale di Rom privi di copertura sarebbe superiore,
visto che la registrazione al medico è solo il primo passo per ottenere un’assicurazione). Il dato della ricerca
PHARE è probabilmente sottostimato: ulteriori indagini, condotte su un campione proveniente da aree
rurali, hanno accertato che la quota di famiglie non iscritte al medico si aggira attorno al 17% (per queste
informazioni si veda Rat C., 2008, op. cit., pp. 10 e ss.).
325
L’articolo 117 della Costituzione inserisce la “tutela della salute” tra le materie di legislazione
concorrente. Lo stesso articolo specifica che «nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni
la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione
dello Stato».
324
168
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
Per garantire un’efficace tutela della salute a tutti gli stranieri irregolari,
e in particolare ai Rom, è opportuno interpretare estensivamente la nozione
di “cure urgenti o comunque essenziali”. Da questo punto di vista, le prestazioni
garantite con codice STP dovrebbero avvicinarsi il più possibile a quelle erogate
alla generalità dei cittadini. «In prospettiva», spiega ad esempio Simone
Fusaro, «il medico di medicina generale rappresenta il cardine del sistema di
salute pubblica del Servizio sanitario nazionale, attraverso il quale monitorare,
filtrare e assicurare le cure mediche. La mancanza dell’assistenza sanitaria di
base continuativa per i migranti senza permesso di soggiorno costituisce una
delle principali ragioni di difficoltà nella fruibilità dei servizi sanitari. È stato
dimostrato che oltre il 75% delle visite effettuate negli ambulatori di primo
livello non richiede consulenza specialistica: tali prestazioni dovrebbero essere
erogate proprio dal Medico di medicina generale»326. Molto positiva è in questo
senso l’esperienza della Regione Puglia, che nel proprio Piano Sanitario ha
previsto, per i titolari di codice STP, l’accesso al medico di famiglia e al pediatra
di libera scelta 327 .
Anche per quanto riguarda i Rom comunitari le Regioni possono legiferare
autonomamente, a legislazione nazionale invariata. Negli ultimi anni, per
esempio, sono molte le Regioni che hanno garantito l’accesso alle cure urgenti
o essenziali anche ai migranti privi di residenza o di tessera TEAM. Con proprie
circolari o delibere, esse hanno istituito un codice ENI (acronimo di “Europeo
Non Iscritto”), che assicura le stesse prestazioni del codice STP328. La Regione
Puglia ha poi inserito queste disposizioni in una vera e propria norma
regionale, conferendo loro forza di legge 329.
Fusaro S., 2009, Salute, malattia, migrazioni, in Possenti I., a cura di, Intercultura, nuovi razzismi e
migrazioni, Pisa, Plus, p. 248. Il corsivo è mio.
327
Cfr. Regione Puglia – Assessorato alle Politiche della Salute, Piano Regionale di Salute 2008-2010, allegato
1 alla Legge Regione Puglia 19 settembre 2008, n. 23. “Piano regionale di salute 2008 - 2010”. Burp n° 150
del 26.09.2008, p. 133. Il testo è consultabile anche su internet: http://www.fishpuglia.it/Documenti/
politichedellasalute.pdf. Sul punto è intervenuto anche l’Assessore alle Politiche della Salute Tommaso
Fiore, con una nota esplicativa indirizzata alle strutture sanitarie: cfr. Regione Puglia – Assessorato alle
Politiche della Salute, Nota urgente in materia di accoglienza e assistenza sanitaria degli immigrati, prot. 24/
218/SA, 21 Aprile 2011, sul web alla pagina http://www.sanita.puglia.it/portal/pls/portal/docs/1/514278.PDF
- ultimo accesso in data 08-05-2012). Sull’accesso dei migranti irregolari al medico di famiglia si veda anche:
Foschini G., I clandestini dal medico di famiglia. La Regione ordina: cure gratuite, saranno a carico del servizio
sanitario, in «La Repubblica», ed. Bari, cronaca regionale pugliese, 30 Luglio 2008.
328
Un quadro aggiornato dei provvedimenti in vigore nelle diverse Regioni italiane è reperibile sul sito
internet della SIMM, la Società Italiana di Medicina delle Migrazioni: si veda la pagina http://
www.simmweb.it/index.php?id=345 -ultimo accesso in data 12-05-2012. L’elenco comprende una decina di
Regioni.
329
Regione Puglia, Legge Regionale 4 dicembre 2009, n. 32, Norme per l’accoglienza, la convivenza civile e
l’integrazione degli immigrati in Puglia, art. 10 comma 6: «Ai cittadini comunitari presenti sul territorio
regionale che non risultano assistiti dallo Stato di provenienza, privi dei requisiti per l’iscrizione al SSR e che
versino in condizioni di indigenza, sono garantite le cure urgenti, essenziali e continuative attraverso
l’attribuzione del codice ENI (europeo non in regola). Le modalità per l’attribuzione del codice ENI e per
l’accesso alle prestazioni, sono le medesime innanzi individuate per gli STP». Impugnata dal Governo, questa
legge ha superato il vaglio di costituzionalità, con la sentenza della Corte Costituzionale n. 299 del 2010.
326
169
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
II.4. Le buone pratiche del volontariato
A fronte di queste buone pratiche istituzionali, permangono gravi situazioni
di esclusione dal sistema sanitario. Non tutte le Regioni, per esempio, hanno
introdotto forme di assistenza destinate ai cittadini comunitari privi di residenza
anagrafica. Emblematico è il caso della Lombardia, dove – stando ad una stima
recente di alcune associazioni – circa 13.000 Rom di origine romena sono del tutto
privi di copertura sanitaria330, e faticano ad accedere persino ai servizi di urgenza
e di Pronto Soccorso331.
Per ovviare a queste lacune del sistema sanitario, molte associazioni di
volontariato hanno aperto propri ambulatori, dove vengono visitati e curati
cittadini stranieri altrimenti privi di assistenza.
Il NAGA di Milano, di ispirazione laica, gestisce da anni un ambulatorio di
questo tipo, dove operano medici volontari dell’associazione. Oltre alle visite di
medicina generale, la struttura è in grado di effettuare visite specialistiche, come
quelle psichiatriche o ginecologiche. L’ambulatorio effettua circa 15.000 visite
all’anno332. Lo stesso NAGA ha promosso anche un servizio di medicina di strada,
rivolto a tutti gli stranieri ma molto attivo soprattutto con le comunità Rom e
Sinte. Il servizio funziona con un camper attrezzato a clinica mobile, e raggiunge
aree dismesse e baraccopoli dove i migranti vivono in condizioni di marginalità.
Molte persone possono così ricevere assistenza socio-sanitaria e orientamento ai
servizi presenti sul territorio. L’unità di medicina di strada è composta da circa 25
volontari, tra medici, infermieri, educatori, insegnanti e mediatori culturali. Il
personale sanitario svolge circa 400 visite all’anno333.
Sin dal 2000, a Milano, la Fondazione Fratelli San Francesco, di ispirazione
cattolica, ha aperto un poliambulatorio medico, che fornisce assistenza sia generica
che specialistica. Il servizio ha visto un incremento graduale ma costante di assistiti:
nel corso del 2010, ha effettuato oltre 24.000 interventi, tutti svolti da medici e
paramedici volontari. «Il nostro operato», si legge sul sito della Fondazione, «non
mira a sostituire il ruolo delle strutture pubbliche, ma a coprire quelle carenze
che sono incolmabili per una popolazione svantaggiata»334.
Cfr. NAGA Onlus, Casa per la Pace Milano, Centro Internazionale Helder Camara Onlus, Sant’Angelo Solidale
Onlus, 2012, Comunitari Senza Copertura Sanitaria. Indagine sul difficile accesso alle cure per cittadini rumeni
e bulgari a Milano e in Lombardia: quando essere comunitari è uno svantaggio, Milano, p. 5, in http://
www.naga.it/tl_files/naga/documenti/CSCS_rapporto.pdf - ultimo accesso in data 30-04-2012.
331
Emblematico è il caso citato nel dossier Comunitari senza copertura sanitaria: «Giuseppe ha un diabete
che richiede terapia insulinica e da tre anni è assistito solo dalle associazioni di volontariato che prescrivono
la costosa terapia insulinica a proprio carico. Recentemente (dicembre 2011) non si è sentito bene, si è
presentato al Pronto Soccorso del San Raffaele, vicino alla propria casa, dove è stata riscontrata una glicemia
di 234 mg%, il che significa diabete non controllato, ed è stato dimesso col consiglio di rivolgersi al medico
curante, che ovviamente il paziente non ha e non può avere. Senza le associazioni di volontariato che pagano
in proprio la costosa terapia insulinica, quale sarebbe stata la fine del paziente?» (NAGA Onlus, Casa per la
Pace Milano, Centro Internazionale Helder Camara Onlus, Sant’Angelo Solidale Onlus, 2012, op. cit., p. 15).
332
Si veda l’apposita pagina sul sito del NAGA: http://www.naga.it/index.php/ambulatorio-medico.html ultimo accesso in data 30-04-2012.
333
Si veda l’apposita pagina sul sito del NAGA: http://www.naga.it/index.php/medicina-di-strada.html ultimo accesso in data 30-04-2012.
334
Si veda l’apposita pagina sul sito http://www.fratellisanfrancesco.org/index.php?id=14 - ultimo accesso
in data 30-04-2012.
330
170
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
Strutture simili sono state attivate anche in altre regioni italiane: molto note
sono, ad esempio, le esperienze dell’associazione Sokos a Bologna,
dell’ambulatorio Città Aperta a Genova o del GRIS di Roma335.
Parte terza. Casa e lavoro, un binomio inscindibile
III.1. Le buone pratiche dell’inclusione: quando “casa” fa rima con “lavoro”
Come si accennava all’inizio, i Rom stranieri – comunitari e non comunitari –
vivono spesso in condizioni abitative analoghe a quelle dei Rom e dei Sinti italiani.
I campi nomadi, regolari o “abusivi”, regolamentati o spontanei, sono i luoghi
dove negli ultimi anni sono stati confinati i gruppi provenienti dalla ex-Jugoslavia
prima, e dalla Romania poi.
Abbiamo già analizzato, in un altro capitolo di questo volume 336, i vari
programmi di superamento dei campi sperimentati a livello locale. Qui ci preme
sottolineare che nessun inserimento abitativo è possibile, se non si affronta il
problema più ampio della marginalità sociale, e in particolare se non si scioglie il
nodo dell’esclusione di molti Rom dal mercato del lavoro. La politica dei “campi
nomadi”, perseguita da almeno due decenni dalle autorità nazionali, regionali e
locali, è infatti alimentata anche dalla diffusa disoccupazione, o dall’accesso ai
segmenti più umili e precari del mercato del lavoro.
Disoccupazione e marginalità abitativa producono del resto un vero e proprio
“circolo vizioso”, perché senza un impiego regolare e un reddito stabile è
impossibile ottenere una casa in affitto, ma senza un alloggio adeguato è difficile
superare le discriminazioni sul mercato occupazionale. Per essere efficaci, dunque,
i programmi di inserimento debbono affrontare congiuntamente il tema
dell’abitare e quello del lavoro.
E se questo è vero per i Rom e i Sinti in generale, è ancor più vero per i Rom
immigrati: come abbiamo visto, sia per i comunitari che per i cittadini di paesi
terzi avere un lavoro è decisivo per ottenere lo status di stranieri regolarmente
soggiornanti.
Si veda, sull’ambulatorio Sokos, Redazione Melting Pot, 2003 Bologna - Ambulatorio Sokos: medici di
base per immigrati irregolari. Intervista ai medici Antonio Curti e Tommaso Zambelli, al sito web http://
www.meltingpot.org/articolo857.html - ultimo accesso in data 28-04-2012; Sokos – associazione per
l’assistenza a emarginati e immigrati, Chi siamo, 2012, http://www.sokos.it/page.php?2 - ultimo accesso in
data 28-04-2012. Sull’ambulatorio Città Aperta di Genova si veda il sito dell’associazione: http://
cittaperta.jimdo.com/ - ultimo accesso in data 28-04-2012. Sull’esperienza del GRIS Lazio, Trillò M.E., Gnolfo
F., Geraci S., 2007, I Gruppi locali Immigrazione e Salute (GrIS), Atti del Convegno «Fragilità sociale e tutela
della salute: dalle disuguaglianze alla corresponsabilità», «Rapporti ISTISAN», 07/14, Roma, p. 25-30. Per
una panoramica generale del fenomeno si veda anche Fusaro F., 2009, op. cit.
336
Cfr. capitolo “Le buone pratiche dell’abitare” in questo volume.
335
171
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
Proprio per questo, è opportuno qui soffermarci sui progetti che, rivolti ai
Rom non italiani, hanno cercato di coniugare l’inserimento abitativo con quello
lavorativo: per un esame più dettagliato dei programmi di superamento dei campi
nomadi, rimandiamo invece al capitolo dedicato.
III.2. Autorecupero e inclusione: il “progetto Dado” di Settimo Torinese
Tra le esperienze di inserimento sociale, una delle più innovative è senz’altro
quella del progetto “Dado” a Settimo Torinese, in provincia di Torino337.
La vicenda è cominciata il 16 Novembre 2006, quando un incendio scoppiato
per cause accidentali rase al suolo il campo di Cascina la Merla a Borgaro, in
provincia di Torino, abitato da Rom romeni. Mentre il Comune di Borgaro rifiutò di
farsi carico dell’emergenza, le famiglie vennero accolte per qualche giorno negli
uffici di due associazioni di volontariato, Acmos e Terra del Fuoco, che già
frequentavano l’insediamento. Dopo vari trasferimenti in campi e strutture di
emergenza338, il Sindaco di Settimo Torinese, Aldo Corgiat, individuò un edificio
in via Cottolengo – chiamato comunemente il “Dado” – come luogo di accoglienza
per otto nuclei familiari.
La finalità del progetto è quella di realizzare un percorso di inclusione
attraverso l’autorecupero e l’autocostruzione dello stabile, concesso in uso gratuito
dal Comune di Settimo Torinese.
Come abbiamo avuto modo di vedere nel capitolo dedicato all’abitare, quella
di Settimo Torinese non è l’unica esperienza di autorecupero in Italia. Ciò che la
distingue è proprio l’aspetto multidimensionale e integrato degli interventi
destinati ai Rom, che cercano di affrontare e superare sia l’esclusione abitativa che
Si veda De Salvatore A., Riboni S., 2009, Settimo Torinese: il processo di autocostruzione e autorecupero
come strumento di inclusione sociale, in Vitale T., a cura di, Politiche possibili. Abitare la città con i Rom e i
Sinti, Roma, Carocci, pp. 244-248; Bia B., 2009, Spazi paralleli. Innovazione nelle politiche abitative per Rom
e Sinti in Italia, tesi di laurea, Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura e Società - Corso di laurea in
Architettura, anno accademico 2008-2009 (relatore prof. Antonio Tosi), pp. 140-151; Presidenza del Consiglio
dei Ministri - Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate
sulla razza o sull’origine etnica (UNAR), 2012, Strategia nazionale d’inclusione dei Rom, dei Sinti e dei caminanti.
Attuazione Comunicazione Commissione Europea n.173/2011, Roma, sul web alla pagina http://
www.cooperazioneintegrazione.gov.it/media/6633/strategia_italiana_Rom.pdf, p. 89 (ultimo accesso in
data 03-05-2012); Presidenza del Consiglio - Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la
rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica, 2012 Strategia nazionale d’inclusione
dei Rom, dei Sinti e dei caminanti, Roma, Allegato IV, «Buone Prassi», http://www.interno.it/mininterno/
export/sites/default/it/assets/files/22 0251_ALLEGATO_BUONE_PRASSI_STRATEGIA_ITALIANA_ROM_PER_
MESSA_ON_LINE.pdf, p. 15 (ultimo accesso in data 03-05-2012); Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
– ANCI – Cittalia, 2010 Le politiche di integrazione urbana e la marginalità. Il caso dei Rom e Sinti in Italia,
Roma, pp. 69-71; Zincone G., 2010, L’emergenza integrazione di Rom e Sinti. Una proposta interpretativa e
alcune buone pratiche, Torino, Fieri, p. 5.
338
Il 23 Novembre del 2006 le famiglie furono trasferite presso Strada del Francese, un campo allestito
dalla Croce Rossa militare e dalla protezione civile, sul territorio del Comune di Torino. Il 6 dicembre il
campo venne chiuso e le famiglie smistate; una parte del gruppo fu trasferita presso i campi di “emergenza
freddo” del Comune di Torino, gli altri rimasero in attesa di sistemazioni. Il 24 Dicembre venne allestito il
nuovo campo “Impreuna” (dal romeno “insieme”) presso l’isola del Pescatore, nella frazione di Villaretto
nel territorio del Comune di Borgaro. La protezione civile mise a disposizione delle famiglie 21 roulotte.
Queste informazioni mi sono state fornite dagli operatori di Terra del Fuoco.
337
172
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
quella lavorativa. L’autorecupero ha permesso ad esempio di sviluppare, nei
Rom coinvolti nel progetto, competenze spendibili sul mercato occupazionale.
L’ingresso nel mondo del lavoro è stato supportato anche tramite la costituzione
della cooperativa Terra del Fuoco Lavoro suddivisa in due settori: l’edilizia sociale
e la serigrafia. Gli operatori di Terra del Fuoco hanno poi avviato specifiche
attività finalizzate all’inserimento scolastico per i minori, alla regolarizzazione
dei documenti di soggiorno339, alla tutela del diritto alla salute e al rapporto con
il territorio.
Un ulteriore elemento che differenzia «Il Dado» da esperienze analoghe è
che esso non è dedicato solo ai Rom: dall’Ottobre 2009 la struttura ha ospitato
rifugiati politici provenienti dal Corno d’Africa, dall’Iran e dalla Tunisia, e all’interno
dell’edificio vivono in co-housing tre operatori dell’associazione, che però non
sono coinvolti direttamente nel progetto di inclusione dei Rom.
Il progetto sembra aver avuto finora effetti positivi, sia nelle famiglie
beneficiarie che nel territorio. Tutti i bambini e gli adolescenti in età della scuola
dell’obbligo sono regolarmente iscritti presso le scuole di Settimo Torinese; la
loro frequenza scolastica è pari a quella dei coetanei italiani. Gli adulti, come si
accennava sopra, hanno acquisito competenze che hanno favorito il loro ingresso
nel mercato del lavoro.
III.3. Obiettivo autonomia: l’esperienza del Villaggio Solidale a Milano
Simile al «Dado» nelle finalità, pur se molto diversa nelle modalità concrete
di attuazione, è l’esperienza milanese del «Villaggio Solidale», promossa dalla
«Fondazione Casa della Carità A. Abriani»340.
Anche in questo caso, la vicenda comincia con una emergenza: il 29 Giugno
2005 viene sgomberato il campo irregolare di Via Capo Rizzuto, abitato da cittadini
rumeni. Casa della Carità, da sempre attiva in emergenze di questo tipo, accoglie
73 persone (di cui 31 minori) nell’auditorium della propria sede di Via Brambilla;
nel frattempo avvia una trattativa con il Comune e con gli enti pubblici per
individuare una qualche soluzione.
Nel corso dell’Estate parte il progetto “Villaggio Solidale”. I Rom vengono
divisi in tre gruppi: alcune famiglie rimangono nella struttura di Casa della Carità,
ospitate negli spazi di accoglienza per nuclei familiari; altre vengono destinate ad
appartamenti messi a disposizione dalla Provincia di Milano; un terzo gruppo,
Quando il progetto è partito, alla fine del 2007, la Romania era già entrata nell’Unione Europea, e i Rom
romeni – come tutti i loro concittadini – non avevano più bisogno del permesso di soggiorno rilasciato dalla
Questura.
340
Le informazioni che seguono mi sono state fornite dagli operatori della Fondazione. Un’utile ricostruzione
si trova in una presentazione disponibile in rete: Fondazione Casa della Carità, 2011 La casa della carità e
i Rom. Cinque anni di lavoro: dagli sgomberi all’autonomia, Milano, sul web alla pagina http://
support.datamain.it/sites/casadellacarita.org/files/La_Casa_della_carita_e_i_Rom.pdf - ultimo accesso
in data 03-05-2012.
339
173
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
infine, trova collocazione presso il “Villaggio CEAS” di Parco Lambro. La struttura
del CEAS (Centro Ambrosiano di Solidarietà) viene appositamente riadattata, e
nel cortile attiguo all’edificio viene allestito uno spazio di accoglienza con una
ventina di casette prefabbricate. Negli anni successivi, il progetto di accoglienza
verrà ampliato per ospitare altri gruppi di Rom, vittime degli sgomberi nei campi
di via Ripamonti, via San Dionigi, Cavalcavia Bacula, Baraggiate e via Rubattino.
L’intervento specifico di Casa della Carità riguarda in particolare 57 famiglie:
l’associazione attiva sin dall’Estate 2005 un progetto sperimentale di integrazione,
volto al raggiungimento dell’autonomia sia economica che abitativa. A tale scopo,
in una prima fase le famiglie vengono sostenute interamente da Casa della Carità:
a ciascun nucleo è assegnata un’unità abitativa autonoma, e sono forniti vitto,
indumenti e generi di prima necessità, in modo da soddisfare i bisogni primari
per i primi 6/9 mesi di accoglienza.
Nel frattempo, con l’ausilio dell’«area lavoro» di Casa della Carità, che
dispone di personale specializzato, vengono attivati percorsi di inserimento
lavorativo. In particolare, gli adulti sono inseriti in corsi di formazione
professionale, con strumenti di sostegno al reddito erogati dagli enti pubblici
(Borse Lavoro del Comune di Milano e Doti di formazione della Regione
Lombardia). Alcuni Rom vengono inseriti nelle cooperative promosse dalla stessa
Casa della Carità (Cooperativa Lavoriamo, Impresa Etica Sociale, Mr Katering);
altri trovano impiego accedendo direttamente al mercato del lavoro.
Ogni attività è condivisa quotidianamente e periodicamente con le famiglie
e i singoli coinvolti: a questo scopo, oltre ai colloqui e agli incontri individuali, si
tiene presso la Casa della Carità un’assemblea settimanale, alla quale partecipano
tutte le famiglie, dove si valutano collettivamente i progressi, o gli elementi
critici, del percorso di inserimento.
La terza fase del progetto riguarda invece il vero e proprio inserimento
abitativo. Dopo il primo anno di attività, le famiglie sono accolte in appartamenti
ad affitto agevolato. Successivamente, man mano che i nuclei si rendono autonomi
dal punto di vista economico, si lavora per l’accesso al mercato delle locazioni.
Si tratta, come si vede, di un progetto “integrato”, dove le iniziative volte
all’inserimento abitativo sono promosse in sinergia con azioni specifiche
finalizzate al reperimento del lavoro e al conseguimento dell’autonomia
economica.
I risultati appaiono più che lusinghieri. Delle 57 famiglie originariamente
accolte nel progetto, oltre la metà ha raggiunto l’autonomia economica e vive
oggi in un appartamento. Se si aggregano i dati relativi a coloro che vivono in un
alloggio regolarmente affittato o in un appartamento della rete della Casa della
carità risulta che il oltre 70% delle famiglie accolte è riuscito a raggiungere
l’autonomia economica e abitativa. E’ da sottolineare inoltre che cinque famiglie
sono riuscite ad acquistare un’abitazione attraverso la concessione di un mutuo
bancario, passando così dalla residenza in un campo abusivo a quella in una casa
di proprietà.
174
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
III.4. Pioltello: dal campo alla città
Per molti aspetti simile al Villaggio Solidale è l’esperienza condotta, sempre
da Casa della Carità, con i Rom romeni provenienti dall’occupazione di Cascina
Bareggiate nel Comune di Pioltello, a pochi chilometri da Milano.
Cascina Bareggiate341 è una struttura composta da diverse unità abitative, in
origine destinate a braccianti agricoli, situata in un’ampia area a verde
nell’hinterland milanese. Abbandonata da tempo, all’inizio degli anni Duemila
comincia a diventare un rifugio spontaneo per immigrati senza casa. Nel 2004 vi si
insedia un gruppo di Rom romeni, che fuggono dal capoluogo lombardo dopo
essere stati sgomberati dalla palazzina di Via Adda, in pieno centro342.
Le presenze di Rom romeni a Cascina Bareggiate aumentano nel corso degli
anni. L’affluenza maggiore si registra tra la primavera e l’estate del 2008, quando
un’imponente serie di sgomberi nei campi milanesi (in particolare in quelli di via
Bovisasca, via Rubattino, via Toffetti, via Pecetta, Rogoredo, zona Garibaldi, via
San Dionigi) spinge molti Rom a cercare rifugio nei comuni vicini. In pochi mesi,
gli occupanti raddoppiano, e la struttura arriva ad ospitare circa 250-300 persone343.
Il Comune di Pioltello chiede un intervento al Prefetto di Milano, che da parte sua
si impegna ad investire della questione il Comitato per l’Ordine e la Sicurezza
Pubblica 344.
La vicenda arriva ad una svolta nell’Estate 2009. Alla Camera dei Deputati,
un’interrogazione della Lega Nord – presentata alla fine di Luglio – sollecita il
Governo ad un’azione urgente sul caso di Cascina Bareggiate. Il Ministro Elio Vito
rassicura gli interroganti: la Prefettura, dice, sta lavorando ad una soluzione, che
tenga conto sia degli aspetti di ordine pubblico che di quelli di natura sociale. E
conclude: «Si ritiene che la questione possa essere a breve definitivamente
Per le informazioni che seguono si veda: Redazionale, Cascina Bareggiate. Storia di un insediamento
abusivo, in «Info Pioltello», notiziario del Comune di Pioltello, n. 9, Ottobre 2009, http://
www.comune.pioltello.mi.it/PortaleNet/portale/streaming/Notiziario%20parte%201.pdf?nonce=
8FRBJDF8ZSMWRA2D, p. 4.
342
La palazzina di Via Adda, a pochi passi dalla Stazione Centrale di Milano, era stata occupata nel Giugno
2002 da un consistente gruppo di Rom romeni (circa 80 persone), che cercavano in tal modo di sfuggire ai
ripetuti sgomberi nel mega-campo di Via Barzaghi (uno dei primi ad ospitare i Rom provenienti dalla Romania).
Nei mesi successivi altre famiglie si unirono all’iniziativa, e l’immobile di Via Adda arrivò ad ospitare alcune
centinaia di Rom. Organizzata con l’ausilio di alcune associazioni e centri sociali, l’occupazione si è protratta
per due anni, dando vita a una lunga serie di polemiche politiche. La palazzina venne poi sgomberata il 1
Aprile 2004 con un’imponente operazione di polizia: secondo l’Alleanza Internazionale degli Abitanti, furono
mobilitati 1400 uomini tra poliziotti, carabinieri e guardie di finanza. Delle 263 persone presenti
nell’immobile al momento dello sgombero, 155 furono rinviate in Romania con un provvedimento di
espulsione, 60 vennero destinate al campo di Via Barzaghi in appositi container allestiti dalla Protezione
civile, 38 rifiutarono ogni aiuto pubblico, e 10 minori vennero affidati ai servizi sociali. Nei mesi successivi,
i “reduci” di Via Adda – tra cui molti Rom espulsi, che rientrarono in Italia in modo irregolare – cercarono
rifugio in campi e case abbandonate alla periferia di Milano: alcuni di essi si installarono così a Cascina
Bareggiate. Per la storia dell’occupazione di Via Adda si veda Alleanza Internazionale degli Abitanti /
International Alliance of Inhabitants, 2004, Scheda sfratti via Adda, documento di sintesi, in http://
ita.habitants.org/media/files/archive/scheda_sfratti_via_adda_italia_italiano_2004_.doc - ultimo accesso
in data 03-05-2012. Per i dettagli dello sgombero si veda ANSA, Milano, 155 immigrati irregolari di Via Adda
rimandati in Romania, Venerdì 2 Aprile 2004, disponibile ora sul sito Melting Pot alla pagina http://
www.meltingpot.org/breve.php3?id_breve=548 - ultimo accesso in data 03-05-2012.
343
Cfr. Redazionale, Cascina Bareggiate, op. cit.
344
Ibidem.
341
175
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
risolta»345. Sembra l’annuncio di un imminente sgombero: la stessa iniziativa
parlamentare (di un gruppo di maggioranza, si noti) sembrerebbe voler imprimere
una forte accelerazione ad una eventuale scelta repressiva.
Pochi giorni dopo, il 3 Agosto, il prefetto di Milano – in qualità di commissario
straordinario per l’emergenza nomadi in Lombardia – notifica ai Rom l’ordinanza
commissariale n. 1 prot. n. 91 b1/200900261-Gab, con la quale si dispone la bonifica
e messa in sicurezza dell’area, e il contestuale allontanamento dei suoi abitanti346.
La mattina del 6 Agosto le forze dell’ordine procedono allo sgombero e alla
demolizione dello stabile 347.
L’intervento lascia senza un’alternativa gran parte delle famiglie (molte delle
quali si trovano temporaneamente in Romania per la pausa estiva). Il Comune di
Pioltello – come vedremo tra poco – prende in carico dieci nuclei, per un totale di
49 persone. Gli altri Rom si disperdono sul territorio348: un esposto al Capo dello
Stato, presentato dalla Federazione Rom e Sinti insieme e dall’associazione Upre
Roma349, e un accorato appello lanciato da Casa della Carità affinché si trovi una
soluzione di emergenza, restano senza esito350. Come si vede, anche nella vicenda
di Pioltello si ripropone il tema dell’ambivalenza degli interventi locali di
inserimento abitativo: che spesso comportano – per i Rom esclusi dai relativi
progetti – il ricorso ai consueti meccanismi espulsivi351.
Qui ci interessa però soffermarci, per così dire, sull’altra faccia della medaglia:
sul percorso di inclusione allestito per (e con) le famiglie Rom prese in carico dal
Comune di Pioltello. Si tratta, come vedremo tra poco, di un modello di
inserimento socio-abitativo efficace e alternativo alla politica degli sgomberi.
Cfr. on. Roberto Cota ed altri, Interrogazione a risposta immediata in Assemblea, Atto Camera dei Deputati
n. 3-00609, presentata il 21 Luglio 2009, discussa nella seduta plenaria n. 205 del 21 Luglio 2009. Per gli atti
della discussione si veda Camera dei Deputati, Atti Parlamentari XVI Legislatura, Resoconto sommario e
stenografico seduta del 22 Luglio 2009, n. 206, Roma 2009, p. 58 e ss.
346
Si veda sul punto l’esposto straordinario al Presidente della Repubblica, presentato pochi giorno dopo
da alcune associazioni milanesi: il testo si trova in Casavola F., Sgombero d’agosto, umanità mia non ti
conosco, in «Mahalla», periodico online su Rom e Sinti in Italia, 13 Agosto 2009, alla pagina web http://
www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3286 - ultimo accesso in data 03-05-2012.
347
Si vedano le notizie d’agenzia della mattinata, in particolare Adnkronos, Milano: smantellato
insediamento abusivo a Cascina Bareggiate, 6 Agosto 2009, riportata sul sito Repubblica.it alla pagina http:/
/www.repubblica.it/ultimora/24ore/nazionale/news-dettaglio/3703374 - ultimo accesso in data 03-052012.
348
«Campeggiano all’aperto», scrive Zita Dazzi in un reportage su Repubblica on-line, «nei campi tra
Vimodrone, Segrate e Pioltello come fossero turisti non troppo esigenti. Ma appena cambieranno le condizioni
climatiche, i circa 200 Rom rimasti senza tetto dopo lo sgombero della cascina Bareggiate, andranno ad
occupare qualche altro stabile dismesso […]. Ci sono […] almeno 87 bambini, fra cui tre neonati, e due donne
incinte, fra i nomadi romeni sgomberati dalla cascina, oggi demolita, dove negli anni passati si sono rifugiati
molti degli zingari sgomberati a Milano» (Dazzi Z., I 200 Rom sgomberati si accampano, 14 Agosto 2009,
articolo dal sito di Repubblica on-line, in http://milano.repubblica.it/dettaglio/i-200-Rom-sgomberati-siaccampano/1696763 - ultimo accesso in data 03-05-2012). Si veda anche il reportage fotografico I Rom si
accampano nei prati, Repubblica.it, 14 Agosto 2009, http://milano.repubblica.it/multimedia/home/
7222149 - ultimo accesso in data 03-05-2012.
349
Si veda Casavola F., Sgombero d’agosto, umanità mia non ti conosco, op. cit.
350
Si vedano le dichiarazioni di Don Massimo Mapelli, vicepresidente di Casa della Carità, riportate in Zita
Dazzi, I 200 Rom sgomberati si accampano, op. cit.
351
Cfr. capitolo “Le buone pratiche dell’abitare” in questo volume.
345
176
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
Alcuni mesi prima dello smantellamento di Cascina Bareggiate – nel mese di
Maggio del 2009 – il Comune aveva presentato il progetto “Scuola e Legalità”,
finalizzato alla scolarizzazione dei minori e all’inclusione abitativa dei nuclei
familiari. Nel Dicembre 2009, il progetto viene approvato dal Ministero dell’Interno
e finanziato con i fondi speciali del cosiddetto “Piano Maroni” (legge n. 133/2008,
art. 61, comma 18)352.
Nel frattempo, ai nuclei presi in carico dal Comune viene data la possibilità,
dopo lo sgombero, di sistemarsi provvisoriamente nell’area di Cascina Vallotta, a
poche centinaia di metri dalla struttura appena demolita. Grazie ad un accordo
con il proprietario353, il terreno viene attrezzato con roulottes, servizi igienici con
acqua calda, fornitura gratuita di energia elettrica nonché un container per le
riunioni e le attività dei minori e delle donne. I Rom vengono formalmente
autorizzati a risiedervi, sia pure per un periodo temporaneo.
La Fondazione Casa della Carità, incaricata di seguire le famiglie, attiva per
ciascun nucleo un progetto personalizzato e condiviso di integrazione, di durata
variabile a seconda delle specifiche esigenze di ciascuno. Le azioni previste
abbracciano più ambiti: culturale, socio-sanitario e lavorativo. Si tratta, anche in
questo caso, di un intervento multi-dimensionale, il cui obiettivo è il
raggiungimento della piena autonomia, prima economica (con la ricerca di un
impiego stabile) e poi abitativa.
Un’attenzione speciale è dedicata alle donne e ai minori. Per le donne,
vengono organizzati due corsi di italiano, che rappresentano uno strumento per
creare uno spazio di crescita e di confronto reciproco interamente al femminile.
Per i minori, Casa della Carità attiva un percorso non limitato alla sola
iscrizione scolastica: gli operatori instaurano contatti con le scuole e con gli
insegnanti, allo scopo di garantire un efficace inserimento dei bambini nel gruppoclasse; curano uno specifico sostegno scolastico pomeridiano, e organizzano
attività ludico-ricreative complementari. Per quanto riguarda il lavoro, si utilizzano
gli strumenti già sperimentati nel Villaggio Solidale: borse-lavoro, corsi di
formazione professionale e inserimenti mirati nel circuito delle cooperative legate
a Casa della Carità.
Attraverso il proprio settore dei servizi sociali, il Comune di Pioltello sostiene
attivamente le azioni di Casa della Carità. In particolare, viene curato l’inserimento
scolastico di tutti i bambini, sia nella scuola primaria che in quelle dell’infanzia.
Per gli adulti, l’amministrazione favorisce l’inserimento lavorativo, coinvolgendo
alcune cooperative che gestiscono servizi comunali.
352
Si veda Redazionale, Cento milioni di euro per il potenziamento della sicurezza urbana, in Ministero
dell’Interno, notizia del 10 Dicembre 2009, sul sito del Ministero alla pagina web http://www.interno.it/
mininterno/export/sites/default/it/sezioni/sala_stampa/notizie/sicurezza/
00970_2009_12_10_Decreto_Fondo_sicurezza.html - ultimo accesso in data 03-05-2012. Il Comune di Pioltello
verrà finanziato per 455 mila euro, cifra che consentirà di attuare il progetto senza oneri per l’Amministrazione
comunale (cfr. Redazionale, Cascina Bareggiate. Storia di un insediamento abusivo, op. cit.).
353
«L’area è privata, dello stesso proprietario della cascina» — spiega, all’indomani dello sgombero,
l’assessore ai servizi sociali del Comune di Pioltello Simon Gaiotto — «L’obiettivo è portare [i Rom] ad abitare
in normali alloggi in locazione» (cfr. Dazzi Z., Sgomberi all’insegna del patto di legalità, Repubblica.it, edizione
Milano, 6 Agosto 2009, http://milano.repubblica.it/dettaglio/sgomberi-allinsegna-del-patto-di-legalita/
1690667).
177
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
L’intervento, conclusosi alla fine del 2011, ha ottenuto risultati lusinghieri,
soprattutto sul versante abitativo: delle dieci famiglie prese in carico, due hanno
acquistato una casa, quattro vivono in un alloggio preso in affitto sul mercato
privato, due hanno usufruito dei fondi per il rientro assistito in Romania, e altre
due sono attualmente ospitate in strutture di Casa della Carità354. In pratica, tutti
i nuclei inseriti nel progetto hanno trovato, nel giro di due anni, una sistemazione
dignitosa e definitiva. E’ la dimostrazione dell’efficacia che possono avere i percorsi
condivisi tra volontariato e amministrazioni locali.
Parte quarta. Riflessioni conclusive
IV.1. Status giuridico e integrazione dei Rom stranieri
Il rapido sguardo su tre aree strategiche per l’integrazione dei Rom migranti
– il diritto alla salute, l’accesso al lavoro e l’inserimento abitativo – mostra quanto
lo status dei cittadini stranieri condizioni i percorsi di esigibilità dei diritti. Può
sembrare banale dirlo, ma un Rom privo di permesso di soggiorno o di residenza
anagrafica avrà molte difficoltà ad accedere alle strutture sanitarie, al mercato
delle locazioni o ai progetti di inserimento sociale avviati dai Comuni. Di solito, la
condizione di irregolarità alimenta e produce la marginalità sociale, che a sua
volta impedisce – in una sorta di “spirale perversa” – percorsi di regolarizzazione
e di emersione.
Per spezzare questo “circolo vizioso” è opportuno considerare lo status dei
Rom migranti non come un “dato di fatto” che si dovrebbe semplicemente
constatare, ma come un processo sociale su cui è possibile intervenire. Una “cattiva
retorica”, spesso diffusa dal mondo della politica e da quello dell’informazione,
ci ha abituato a dividere i migranti in due categorie, a loro volta interpretate in
chiave essenzialistica: i “regolari” e i “clandestini”. I primi (frettolosamente definiti
come “migranti buoni”) sarebbero coloro che “rispettano le regole”, ai quali si
può (si deve) garantire diritti e servizi; i secondi (i “cattivi”) sarebbero coloro che,
violando la legge, si porrebbero volontariamente al di fuori del consorzio sociale.
Per questi ultimi sembrerebbe impossibile, o addirittura illecito, costruire percorsi
di inserimento.
Come si è visto dalla sommaria disamina dei principali testi di legge in materia
di immigrazione, nella maggior parte dei casi l’irregolarità dei Rom – e dei migranti
in generale – è prodotta non dalla volontà degli interessati, ma dalle contraddizioni
e dalle strozzature di una normativa spesso rigida, inadeguata e incoerente. Essere
“regolari” o “clandestini”, in altre parole, è frutto di processi sociali, talora affidati
al caso o alla fortuna, e ha poco a che fare con i vizi e le virtù dei cittadini stranieri.
Di queste ultime due, una è ospitata in una casa data in comodato a Casa della Carità essendo un nucleo
monoparentale con tre minori uno dei quali invalido. Ringrazio gli operatori di Casa della Carità, e in
particolare Fiorenzo De Molli, per avermi fornito queste informazioni.
354
178
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
Da questo punto di vista, regolarità e irregolarità andrebbero lette non come
“dati di fatto” statici, ma come processi dinamici e in continuo movimento, su cui
anche le politiche locali possono intervenire in modo efficace. Così, per esempio,
condizioni prolungate di emarginazione sociale – assenza di lavoro stabile,
segregazione abitativa, isolamento urbano – possono determinare la perdita del
permesso di soggiorno o della residenza, e far ricadere i migranti “regolari” in
condizioni di “clandestinità”. All’inverso, percorsi virtuosi di inserimento possono
agevolare l’emersione e la regolarizzazione (soprattutto nel caso dei comunitari,
dove una minore rigidità della normativa agevola l’accesso al soggiorno legale).
Politiche locali “virtuose”, rivolte ai Rom di origine straniera, dovrebbero
dunque avere una speciale attenzione allo status dei beneficiari. Le “buone
pratiche” che abbiamo passato in rassegna ci mostrano, da questo punto di vista,
due possibili strade, su cui è opportuno spendere qualche parola.
La prima strada è ben esemplificata dai provvedimenti delle Regioni che
garantiscono l’assistenza sanitaria a tutti i migranti, indipendentemente dal loro
status giuridico. In questo caso, le amministrazioni agiscono sulla scia di una
consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale: da tempo la Consulta
sostiene infatti l’esistenza di un «nucleo irriducibile» di diritti fondamentali, che
debbono essere svincolati dalla titolarità di un “permesso di soggiorno” o di
documenti – comunque denominati – attestanti uno status 355. Si tratta di
un’indicazione preziosa (tra l’altro vincolante sul piano giuridico), che la politica
potrebbe e dovrebbe far propria: nessun documento, nessun atto amministrativo,
nessun “pezzo di carta” dovrebbe impedire il godimento dei diritti fondamentali
e inalienabili della persona umana.
La seconda strada suggerita dalle “buone pratiche” fin qui passate in rassegna
proviene invece dai programmi che coniugano l’inserimento lavorativo con azioni
specifiche rivolte alla regolarizzazione del soggiorno e all’ingresso nel mondo del
lavoro. In questo caso, le politiche degli enti locali non si limitano a prendere atto
dello status dei Rom migranti, ma agiscono attivamente su quello stesso status. Spesso,
l’inserimento nel mondo del lavoro e l’ingresso in un alloggio “idoneo” garantiscono
ai Rom già regolari il mantenimento del loro permesso di soggiorno. A volte, queste
azioni possono addirittura favorire percorsi di regolarizzazione: ciò accade più di
frequente per i Rom comunitari, perché nel loro caso è possibile – come abbiamo
visto – una vera e propria emersione dall’irregolarità, preclusa invece ai cittadini di
paesi terzi. Come ovvio, i progetti locali debbono tenere conto dei vincoli imposti
dalla normativa, che spesso non rendono possibile un vero e proprio percorso di
emersione: tali progetti indicano però una strada, che può rappresentare anche
un’indicazione per i decisori politici nazionali (da più parti, e da tempo, si invoca una
profonda riforma della normativa in materia di immigrazione, ormai ineludibile…).
Come nel caso delle “buone pratiche” dell’abitare, analizzate in un altro
capitolo di questo volume, anche le esperienze locali di inserimento rivolte ai
Rom migranti non rappresentano “ricette”: molti sono i limiti, le carenze, le strade
non percorse e ancora da percorrere. Ma, anche in questo caso, è opportuno far
tesoro delle strade già percorse, per avviarne di nuove.
355
Sul punto si veda Rossi E., 2009, op. cit.
179
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
180
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
SOMMARIO
Indroduzione
9
Introduzione della lingua Romani
11
PRIMA PARTE
Contesto e politiche nazionali
13
1. Analisi della situazione nazionale
M. Tassan
2. Il quadro legislativo e le politiche per i Rom
U. Daniele
3. Policies e governance su scala locale
U. Daniele
4. La legislazione e le raccomandazioni europee
C. Frari
SECONDA PARTE
Le buone pratiche dell’inclusione sociale e lavorativa
dei Rom In Italia
1. Le buone pratiche dell’abitare
S. Bontempelli
13
23
45
68
82
82
2. Inserimento lavorativo e formazione professionale
B. Rizzo
109
3. Le buone pratiche di inserimento scolastico
G. Zoppoli
123
4. Salute e accesso ai servizi socio-sanitari
C. Frari
133
5. Integrati o differenziati? I servizi sociali per i Rom
U. Daniele, C. Frari
142
6. Le buone pratiche per (e con) i Rom migranti
S. Bontempelli
154
7
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
Dati d’identificazione del progetto:
Titolo del progetto: EU-INCLUSIVE – Scambio di informazioni e buone pratiche
riguardanti l’integrazione nel mercato del lavoro della popolazione Rom in
Romania, Bulgaria, Italia e Spagna
Numero individuazione progetto: POSDRU/98/6.4/S/63841
Asse prioritario 6: Promuovere l’Inclusione Sociale
Principale area d’intervento 6.4: Iniziative transazionali per un mercato inclusivo
del lavoro
Il progetto è implementato nel periodo settembre 2010 – settembre 2012.
Il valore totale del progetto è di lei 9.337.116,25.
EU-INCLUSIVE – Scambio di informazioni e buone pratiche riguardanti
l’integrazione nel mercato del lavoro della popolazione Rom in Romania, Bulgaria,
Italia e Spagna è un progetto comune transnazionale, implementato dalla
Fondazione Soros in Romania, in partenariato con Open Society Institute - Sofia in
Bulgaria, Fundación Secretariado Gitano in Spagna e Fondazione Casa della Carità
Angelo Abriani in Italia.
Lo scopo del progetto è sviluppare le pratiche della cooperazione nel campo
dell’inclusione dei Rom, tramite il trasferimento transnazionale di dati ed
esperienze locali, per promuovere l’inclusione di questo gruppo svantaggiato nel
mercato europeo del lavoro, al fine di aumentare l’efficienza delle organizzazioni
che si occupano dell’integrazione dei Rom in Romania, Spagna, Italia e Bulgaria.
Il progetto si propone di realizzare una diagnosi della situazione
dell’integrazione dei Rom nel mercato del lavoro nei quattro paesi europei per
contribuire all’elaborazione di una serie di politiche di applicazione nazionale e
transnazionale.
Ci proponiamo di:
- creare una base di confronto per dati statistici per quanto riguarda l’inclusione
e l’occupazione dei Rom in ciascuno dei quattro paesi partner;
- individuare e promuovere le pratiche di successo elaborate nei paesi
partecipanti, e la valorizzazione di queste esperienze, aumentare la rilevanza
delle politiche pubbliche nel ambito dell’inclusione dei Rom;
- analizzare ed utilizzare la storia europea degli anni recenti nell’ambito delle
iniziative per l’inclusione dei Rom, al fine di aumentare la presenza dei migranti
Rom nel mercato del lavoro;
- sviluppare un partenariato transazionale, funzionale ed a lungo termine, fra le
organizzazioni e i paesi che lavorano nel campo dell’inclusione sociale delle
persone di etnia Rom.
5
Rapporto Nazionale sulle Buone Pratiche di Inclusione Sociale e Lavorativa dei Rom in Italia
Partner:
Fondazione Soros, Romania (www.soros.ro) - la nostra missione è quella di
promuovere modelli per lo sviluppo di una società basata su libertà, responsabilità
e rispetto per la diversità. A partire dal 2003 abbiamo svolto programmi quadro
dedicati all’inclusione sociale, come ad esempio il Decennio dell’Inclusione dei
Rom, il Programma per lo Sviluppo Comunitario Integrato; abbiamo inoltre portato
a termine un gran numero di indagini sociologiche riguardanti la situazione della
popolazione Rom in Romania, e svariati progetti d’intervento comunitario, fra cui
“Il mio vicino è Rom”, il “Centro Vicino”(RURES) - Lo spazio rurale e l’economia
sociale in Romania.
Open Society Institute - Sofia, Bulgaria (www.osi.bg) – organizzazione non
governativa senza scopo di lucro fondata nel 1990, la cui missione è quella di
promuovere, sviluppare e sostenere i valori, i comportamenti e le pratiche della
società aperta in Bulgaria; OSI inoltre propone dibattiti e politiche pubbliche
riguardanti svariati temi centrali in Bulgaria.
Fundación Secretariado Gitano, Spagna (www.gitanos.org) – organizzazione
sociale interculturale senza scopo di lucro, che assicura servizi per lo sviluppo
della comunità Rom nell’intera Spagna ed a livello europeo. Ha iniziato la sua
attività nel 1960 e dal 2001 è diventata fondazione. La missione della Fundación
Secretariado Gitano rappresenta la promozione integrata della comunità rom
basata sul rispetto e il sostengo della loro identità culturale. FSE è attiva anche in
altre paesi dell’ UE: dirige il Segretariato Tecnico EURoma insieme a piu di 12 stati
membri che partecipano a progetti in Romania.
Fondazione Casa della Carità Angelo Abriani, Italia (www.casadellacarita.org)
– è una fondazione senza scopo di lucro, con scopi sociali e culturali. È stata costituita
nel 2002 con la missione di creare delle opportunità di integrazione delle persone
che vivono in condizioni di emarginazione sociale e culturale: senza tetto, migranti,
persone richiedenti l’asilo, persona di etnia rom, sostenendo l’accesso degli stessi
a servizi, opportunità e risorse. Aspira a contribuire nel creare nuovi modelli di
integrazione sociale sostenibile, trasferibile a livello locale e nazionale.
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