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Immagini di donna nella poesia
della Svizzera italiana
di Laura Lazzari
Figure mitologiche, ritratti di donne reali e immaginarie, personaggi recuperati dalla storia, genealogie femminili, rappresentazioni autobiografiche, simboliche, religiose, ossessive, sono solo alcune delle immagini di donna presenti nella
poesia femminile della Svizzera italiana. Dalle sensibilità poetiche e dalle esperienze delle autrici della nostra regione prendono forma molteplici immagini di
donna. In questa sede prenderò in considerazione tre poetesse che alle diverse
sfaccettature del femminile hanno dedicato ampio spazio nelle loro opere: Prisca
Agustoni, Solvejg Albeverio Manzoni e Ketty Fusco.
1. Prisca Agustoni – La condizione femminile (“Sorelle di fieno”)
Le figure femminili che animano la raccolta Sorelle di fieno (2002) nascono da
un profondo interesse di Prisca Agustoni per la condizione della donna, indagata
non soltanto a livello poetico, ma anche nelle ricerche effettuate dall’autrice
durante il Diploma interdisciplinare in Etudes genres frequentato dal 2000 al
2002 presso l’università di Ginevra. Durante un seminario offerto dalla professoressa Liliane Mottu e grazie alla visione di un documentario, Agustoni ebbe l’occasione di scoprire la storia di alcune donne che all’inizio del secolo scorso partirono dal Ticino e si recarono nella Svizzera tedesca per essere impiegate come
tessitrici presso convitti diretti da suore. Nell’opera, la rappresentazione del femminile e della sua condizione è strettamente legata ad altri temi ricorrenti della
poesia di Prisca Agustoni, come l’emigrazione, il senso di sradicamento, l’esilio e,
infine, la frontiera che in Sorelle di fieno è rappresentata dal San Gottardo ed è
intesa sia in senso fisico, che culturale e linguistico. Qui la frontiera, l’esperienza
dell’esilio e del distacco dalla propria terra sono ispirati dagli eventi storici e raccontati attraverso le vicende di giovani d’inizio Novecento partite per lavorare nei
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conventi di oltre Gottardo, dove erano costrette a rinunciare alla loro lingua
materna per esprimersi solo in tedesco. In altre opere di Agustoni i topoi sono
invece declinati in modo più chiaramente autobiografico.1 Dal punto di vista linguistico l’autrice convive, infatti, con varie realtà e, oltre all’italiano, si esprime
poeticamente anche in spagnolo e portoghese; i suoi studi e il suo lavoro, inoltre, l’hanno portata lontano dal Ticino, dapprima a Ginevra e in seguito in Brasile.
Il legame fra la propria esperienza di esule e quella di queste donne è testimoniato in maniera esplicita dalla poesia che apre la raccolta:
ALIBI
Perché è più facile
attraversare l’Atlantico
che passare il valico
del San Gottardo
Sorelle di fieno è il frutto di una triplice ricerca. In primo luogo troviamo l’approfondimento della storia ticinese, dettata dal desiderio e dal tentativo di recuperare in termini artistici un’esperienza ancora poco conosciuta del Ticino, regione alla
quale l’autrice è profondamente legata da vincoli affettivi. La scrittrice indaga
inoltre la storia e la condizione delle donne. Vi è la volontà di testimoniare questa esperienza tutta femminile, di dare voce a queste donne, costrette ad adattarsi a un ruolo imposto dalla società e schiacciate dal peso della religione cattolica. Secondo Agustoni questa è la storia di tante ragazze comuni che videro scemare la possibilità di realizzare e concretizzare i loro sogni e i loro desideri. Infine,
si tratta di una ricerca all’interno della propria storia famigliare e dei propri vincoli affettivi. Le vicende di queste donne, infatti, sono simili a quella vissuta dalla
nonna della poetessa che trascorse un lungo periodo presso un convento del canton Svitto.
1
Secondo Maria José Somerlate Barbosa, la poesia di Agustoni «insinua spazi di frontiera, ambigui, ambivalenti, molteplici, dislocati e frammentati» (M. J. SOMERLATE BARBOSA, Soglie udibili, in P.
AGUSTONI, Inventario di voci, ed. Mazza, Belo Horizonte, 2001, p. 8), mentre Raffaella Castagnola
segnala «il motivo ricorrente dell’esilio – da casa, dalla propria terra di origine, dalla propria lingua –
che si accompagna alla ricerca di una consonanza tra culture e orizzonti geografici diversi. Risalta,
come punto di partenza, il vissuto, che può essere quello di una generazione di donne (come in
Sorelle di fieno […]) o anche più strettamente autobiografico, come in Inventario di voci e più ancora in La morsa, con i paesaggi ticinesi della nascita, le sponde del Lemano con gli studi in lettere ispaniche e in letteratura comparata, e infine il Brasile, terra ultima di elezione e di vita» (R. CASTAGNOLA e
L. CIGNETTI, Di soglia in soglia. Venti nuovi poeti nella Svizzera italiana, Edizioni Le Ricerche, Losone,
2008, p. 34).
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Il libro è suddiviso in quattro parti. Il contrasto fra la prima e la seconda sezione vuole rendere esplicito il distacco di queste giovani dal mondo mitico e idealizzato in cui erano vissute prima di partire per i convitti d’oltre Gottardo. La prima
parte, intitolata La prima sponda ricrea, anche da un punto di vista semantico,
l’universo naturale della montagna, dal quale queste giovani donne sono costrette a staccarsi (pp. 11-47). Questa realtà è descritta con l’incanto di chi in questo
mondo è nato e cresciuto. La seconda parte, Intermezzo nei convitti (pp. 49-79),
dedicata all’esperienza vissuta nei conventi, si contrappone chiaramente alla
prima. Il tono più secco e tagliente vuole esprimere l’abbandono della vita naturale da parte di queste giovani e la loro entrata nel mondo della produzione industriale. La realtà rurale descritta nella prima sezione, caratterizzata da libertà e
spensieratezza, è in netto contrasto con le condizioni di clausura, di coercizione
e d’imprigionamento vissute all’interno delle mura conventuali. L’oppressione è
sottolineata anche dal rispetto per le regole imposte dalla religione e dall’obbligo
di parlare solo tedesco. La terza parte, La seconda sponda (pp. 81-103), è contraddistinta dall’uso della poesia in prosa e rievoca i fatti a distanza di anni. Il linguaggio è più astratto e simbolico, meno auto-referenziale. L’Epilogo (pp. 105109) è una sorta di commiato, un canto d’addio da parte di queste donne. Può
essere inteso come morte oppure come un’altra forma di oblio. Oblio al quale in
realtà le giovani sono scampate grazie al recupero storico e artistico delle loro
vicende, cui anche Agustoni ha contribuito.
È mia intenzione soffermarmi ora su alcune poesie tratte dalla sezione
Intermezzo nei convitti che, oltre a tratteggiare ritratti di donna, denunciano la
condizione di segregazione alla quale le giovani erano costrette. La prima poesia
(p. 50) si apre e si chiude con l’immagine di Penelope:
Siamo giovani Penelopi.
di marmo
o di carbone
I nostri mari
tutelano sgabelli,
postazioni al buio.
Nell’andirivieni di aghi
i pedali Singer
sono novene che germinano,
lampade a petrolio
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percorrendo
la via dei ciclamini.
Siamo giovani Penelopi
con vecchi retaggi.
Appare evidente il richiamo intertestuale con la tradizione di Penelope che tesse
attendendo il ritorno di Ulisse. Come lei, queste giovani donne cuciono aspettando il momento di vivere la propria vita. Il personaggio di Penelope e la condizione di attesa associata alle figure femminili ritornano in altri componimenti poetici di Agustoni. Si pensi, in particolare, alle poesie in spagnolo presenti nella raccolta Días y otros poemas emigrantes (ed. Mazza, Belo Horizonte, 2004).
Nell’ultima sezione, intitolata La larga incubación, alle immagini di donna è dedicato ampio spazio, e l’attesa – interpretata in maniera ambivalente, come virtù e
come costrizione – è condizione tipicamente femminile. Secondo la poetessa,
infatti: «la espera es femenina».2 Oltre all’attesa, le ospiti dei convitti vivevano
anche in condizioni di clausura esistenziale. Ogni loro gesto era controllato, vigilato dalle suore e dalla nozione di peccato della dottrina cattolica (p 54):
Le suore sono sentinelle.
Nei loro occhi
ritratto
i crocifissi e le piaghe
di Cristo
(ma siamo noi
che sentiamo
le pieghe nella pelle).
L’asso nella manica
è lo stufato di fagioli,
il bianco di Genova
la domenica
con il lambicco
del Deutschsprechen, bitte.
2
«L’attesa è femminile» (idem, p. 86). Nei Nuevos versos de Penélope l’attesa dell’eroina è considerata «paciente y entera» [«paziente e integra»], mentre nella rivisitazione poetica di Agustoni la
figura di Andromeda «se cansó de esperar. / […] Murió ahogada / en su mar interior» [«si stancò di
aspettare / […] Morì annegata / nel suo mare interiore»]. (idem, pp. 92 e 96). Le traduzioni sono mie.
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L’incapacità di sopportare la pressione del convento, la sofferenza causata
dalla segregazione e la mancanza di libertà portarono alcune di queste ragazze a
compiere gesti estremi. Il suicidio di una di loro, anche se non è descritto in modo
esplicito, è raccontato nella seguente poesia. La poetessa ricrea il caso di una giovane che si gettò nel fiume dalla finestra del convento (p. 56):
La Luigina ha preso il fiume,
le braccia come ali.
il volo
Suor Rima rimase
devota cripta
ma alcuni barcaioli
si persuasero
del silenzio.
La repressione della propria gioia di vivere e delle proprie passioni – come ad
esempio quella per il canto – è ugualmente rappresentata (p. 58):
A Elvezia piace cantare.
Ma qui non vale
filare la voce
l’argenteria lirica:
i papaveri sono alti
e le persiane
continuano
ermetiche.
Nel corso della raccolta è possibile notare un’oscillazione della voce narrante che,
in alcuni casi racconta le vicende in terza persona (Elvezia, Luigina), in altri usa la
prima persona singolare (io), in altri ancora la prima persona plurale (noi). Così
facendo, attraverso un processo d’immedesimazione, le loro storie si confondono con quella dell’autrice e finiscono per diventare anche la nostra storia. In
Ripostigli, utilizzando la forma impersonale, Agustoni universalizza il sentimento
di sofferenza vissuto dalle ragazze in convento. Attraverso l’uso di parole incisive
e di versi brevi riproduce il clima di soffocamento e di silenzio forzato, ma anche
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la tacita complicità e il clima di sorellanza esistente fra queste «sorelle di fieno»
(p. 64):
Si vive in apnea,
totale insolazione.
ripostigli
Nella scarsità irrompe l’eccesso,
e nel chiostro
sapersi isole
tra sorelle di fieno.
2. Solvejg Albeverio Manzoni – La dea, l’amica e il suicidio
La presenza femminile è centrale anche nella poesia di Albeverio Manzoni tanto
da costituire uno dei suoi soggetti preferiti. Le figure di donna che abitano i versi
della poetessa – fantastiche, reali, oniriche e idealizzate – sono variegate e numerose, ma caratterizzate anche da aspetti in comune. In particolare, non esistono
immagini di donna tranquillizzanti. Tutte appaiono inadeguate e portano addosso, come un fardello, il peso della vita, delle sofferenze. La condizione femminile
è vissuta in modo violento, con sgomento e disincanto. Si tratta spesso di donne
costrette alla passività, che aspettano con rassegnazione. L’autrice non censura
nulla e descrive senza timore anche la dimensione corporea, gli odori, gli eventi
biologici, la malattia, il sudore, il sangue, il dolore. Anche le raffigurazioni mitologiche perdono la loro forza e appaiono deboli, impotenti e sottomesse. Ho già
avuto modo di soffermarmi in passato su alcuni dei «possibilia femminili» delle
produzioni in versi, in prosa e in pittura di Albeverio Manzoni.3 Per questa ragione, in questa occasione ho deciso di concentrare la mia attenzione principalmente su alcune poesie inedite, in alcuni casi recentissime, messe gentilmente a disposizione dalla poetessa (e qui riportate in Appendice).
Due delle poesie più recenti di Albeverio hanno come soggetto Ishtar. Nel
componimento poetico intitolato Al Louvre, Ishtar (2008-2009) la dea – ispirata
all’immagine scolpita nell’avorio, esposta al museo – è definita come bella
(«Altera, ricca della propria bellezza», v. 1), protetta («scortata da leoni e civet3
L. LAZZARI, Tra pittura e scrittura: i «possibilia femminili» di Solvejg Albeverio Manzoni, in Voci
poetiche della Svizzera italiana, Atti delle Giornate internazionali di studio, Centro Stefano Franscini
(Ascona), Alta Scuola Pedagogica (Locarno), 14-15 novembre 2007, a c. di M. M. Pedroni, «Quaderni
di Poesit» ? 1, Edizioni Casagrande, Bellinzona, 2008, pp. 112-126.
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te», v. 3), leggera («alata», v. 8) e potente («stringe fra le mani i simboli del potere», v. 10). Alcuni degli aspetti positivi, presenti nelle raffigurazioni abituali della
dea, si ritrovano nella prima strofa di un’altra poesia dedicata alla divinità, intitolata Ishtar terra terra (2008). «Sulla parete» del museo (v. 1) la statuetta di Ishtar
appare, infatti, maestosa («maestosa e delicatissima», v. 2) e bella («di una bellezza che commuove», v. 7). Nella seconda strofa, però, l’immagine della dea
cambia radicalmente, contrapponendosi in maniera chiara sia alla prima strofa sia
alla poesia citata in precedenza. La poetessa ora non si riferisce più alle raffigurazioni tradizionali della dea. Ad essere descritta è la figura di Ishtar incisa da
Solvejg Albeverio «sulla lastra» (v. 15). In questo caso, le caratteristiche di forza,
potenza e leggerezza non sono più presenti. La dea «è una vecchia» (v. 16), che
«mai / ha stretto fra le mani i simboli / del potere» (vv. 17-19). Questa nuova
immagine si contrappone a quella della poesia precedente, in cui la divinità
«stringe fra le mani i simboli del potere». Alla leggerezza («alata») si oppone l’idea di pesantezza e d’instabilità («immobilizzata / dal peso del proprio corpo»,
vv. 19-20; «e c’è la pesantezza instabile», v. 28). Inoltre, non è più protetta e scortata («non protetta da leoni né / dalle civette né dai pipistrelli», vv. 24-25).
L’incisione legata a questa poesia esiste davvero e rappresenta chiaramente il
senso d’instabilità, precarietà e pesantezza della dea, che – in bilico su un ombrello sostenuto da una civetta e da un pipistrello – appare tutt’altro che maestosa e
potente.
Un’altra immagine ricorrente nelle poesie di Albeverio Manzoni è quella dell’amica pittrice – suicidata impiccandosi – che già alcuni anni prima aveva tentato di togliersi la vita. La figura dell’amica e il suo gesto sono rievocati in una poesia intitolata Piccolo foglio d’album per Elise (1997):
Oscillavi appesa
alla cintura dell’accappatoio.
Allontanata ti sei dalla vita
in un mutismo cocciuto
Riferimenti a questo personaggio a lei caro e al suo tragico gesto si ritrovano
in altre poesie di Albeverio, in cui vengono citate anche altre figure di donne suicide. È il caso del componimento inedito Tonfi (1991) – che conclude idealmente
la serie di tre poesie pubblicate nella raccolta Spiagge confinanti4 – dedicato a
4
S. ALBEVERIO MANZONI, K. FUSCO, C. RAGNI, Spiagge confinanti, Book editore, Castel Maggiore,
1996, pp. 20-24.
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Natalia Berla, una giovane tossicodipendente ospite della Comunità di San
Patrignano che, dopo aver dato segni di miglioramento, si tolse la vita.5 Nella poesia c’è innanzitutto un riferimento a Lydia, immagine ossessiva di donna suicida
che ha a lungo tormentato la poetessa:
Lydia, presente nonostante
io ti abbia scacciata, soppressa.
Il tuo urlo non lo saprò descrivere, mai.
La casa
sulla collina? È stata la paura
a spingerti contro la balaustra?6
Seguito da un riferimento esplicito a Natalia Berla, a cui la poesia è dedicata:
Natalia, connubio imprevisto
su Fabriano dalla grana ruvida.
Trascinavi il fardello d’una vita adolescente,
il mio palmo sfiora i tuoi capelli bianchi
forse nascosti dai colpi di sole.
Angelo musicante, amica mai incontrata
i nostri gesti,
immobili falde di caligine.
[…]
Nulla ti spinse, eppure, correndo
scavalcasti la finestra senza sbarre.
Infine, un accenno all’amica Elise:
Il gesto di lei nella vasca
irreversibile, voleva essere
adesso
in clinica, riaffronta la vita
Natalia Berla è autrice del libro Il gelo dentro. Lettere da San Patrignano, Archinto, Milano, 1991.
Sulla copertina del volume è riprodotto il dipinto di Solvejg Albeverio Manzoni intitolato Nella casa,
di notte.
6
Il personaggio di Lydia viene evocato anche nel componimento poetico Sfinge impolverata:
«Lidia cara, / la tua morte. Quando, / la mia?» (Spiagge confinanti, op. cit., p. 11).
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al suono implacabile della
vicina bambina che ulula
disperazione di animale squartato.
Il tentato suicidio dell’amica è menzionato anche nelle due poesie pubblicate
nella raccolta intitolata Spiagge confinanti (pp. 22-23):
Al telefono la notizia:
tolta gocciolante dalla vasca,
arrotolata nella lettiga, ora è
alla Nervenklinik, reparto chiuso.
(da II. Portavi un turbante?)
Aggrappata ad un castello di carte,
aveva inghiottito pillole a manciate,
nella vasca.
(da III. Sbieca ragionevolezza)
Opere grafiche e letterarie sono per Albeverio Manzoni forme complementari di
espressione artistica. Per questa ragione, spesso, com’è il caso per la dea Ishtar,
le vicende descritte nelle sue poesie si ritrovano nei suoi quadri e nelle sue incisioni. Non fa eccezione il componimento poetico Tonfi, intimamente legato alla
puntasecca La caduta (1992), qui riprodotta nell’Appendice II.
3. Ketty Fusco – Un mosaico di figure
Nel passato le immagini femminili che hanno caratterizzato la poesia di
Ketty Fusco erano spesso legate alla sfera degli affetti famigliari e della memoria, alla madre e a zia Eva, personaggi importanti nella vita della poetessa.7 La
7
La figura della madre e della zia sono rievocate nelle poesie Parole con la madre, L’ultimo Natale
e Zia Eva (S. ALBEVERIO MANZONI, K. FUSCO, C. RAGNI, Il fiore e il frutto. Triandro donna, Edizioni del
Leone, Venezia, 1993, pp. 37-39 e 45).
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raccolta intitolata In fogge dissonanti comprende trentacinque poesie di Ketty
Fusco (accompagnate da disegni di Alda Bernasconi) che in comune hanno il
soggetto: le figure femminili. Ad eccezione di cinque componimenti, si tratta di
testi fino ad ora mai pubblicati, scritti nell’arco degli ultimi quindici anni.8 Le
immagini di donna presenti compongono un mosaico di figure femminili che
rimanda a varie categorie. La prima è quella degli affetti, della memoria, del
tempo che scorre. Filone meno rappresentato del passato, si può tuttavia ritrovare nella poesia intitolata Mamma (p. 10), dedicata ai figli in occasione della
morte della madre:
Eravamo bambini
e per la strada
la nostra mano
verso la sua saliva
cercando protezione
– quella sua mano prodiga
di pane e di carezze –
Lo scorrere del tempo
la rese più minuta
fragile, sotto alberi di vene.
Un giorno ci accorgemmo
che era lei a salire
verso la nostra in cerca di un approdo.
A poco a poco
il cerchio si chiudeva
fino al giorno in cui
stretta al rosario
la scoprimmo arresa
sull’antica collina della vita.
Le nostre dita allora
la sfiorarono lievi.
E fu l’ultimo cerchio.
8
La raccolta, inedita all’epoca del convegno locarnese, è stata in seguito pubblicata dalle Edizioni
L’Ulivo di Balerna (cfr. K. FUSCO, In Fogge dissonanti, con disegni di A. Bernasconi, Ed. Ulivo, Balerna,
2009).
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Altre poesie si riferiscono ad immagini di donna simboliche, legate alla mitologia
e alle figure religiose. Ne fa parte Il punto di Neandertal (p. 11), componimento
dedicato all’immagine atavica della donna, già incluso nella raccolta intitolata
Giorni della memoria (Pantarei, Lugano, 1974). Nel giorno dell’Assunta (p. 22),
invece, è stata scritta nel giorno dell’Assunzione della Madonna e rievoca le diverse rappresentazioni della Vergine presenti nella nostra cultura:
Visi di cera
bambole celesti,
madri amorose
abbracciate al figlio,
regine del dolore
lignee statue del nord,
fanciulle ignare
ammantate d’una grazia barocca
negli occhi lo stupore
di quel volo estivo.
Mi piace pensarti,
Maria,
confusa fra lo stuolo
di prescelte
in fogge dissonanti
nel giorno dell’Assunta.
In Ritorno a Paestum (p. 28), l’immagine di donna si rifà alla mitologia, mentre
Donna luna (p. 49), è ispirata alla luna, per la poetessa figura chiaramente femminile. In alcuni casi la donna descritta è la poetessa stessa, come avviene in
Risveglio 1 (p. 17), Risveglio 2 (p. 19), Chiederò al vento (p. 21), Grand Café (p.
44) – dove l’autrice ricorda il pranzo del suo matrimonio – e, infine, Dalle quinte
(p. 51), la poesia che conclude la raccolta:
Dalle quinte del mio remoto aprile
quel segnale di vita intermittente
di lucciola longeva. Uno squarcio
nella coltre del tempo, quasi un grido
esse o esse per l’overdose di anni
scatti di ipermnesia prima del niente.
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Altra categoria d’immagini femminili presenti nell’ultima raccolta di Ketty Fusco
sono donne reali, che la poetessa ha conosciuto o incontrato davvero, anche solo
per un momento, al mare oppure al semaforo, e che hanno ispirato alcune sue
poesie. È il caso, ad esempio, di Alda (p. 8), dedicata ad Alda Bernasconi, e di
Carnevale (p. 23), scritta dopo aver visto una bambina che per Carnevale aveva
indossato il vestito della prima comunione e già appariva maliziosa. Fatima che
rivela cicatrici (pp. 30-31) narra di una vù cumprà incontrata in Sardegna, da cui
Fusco ha acquistato due amuleti. Con occhi d’albero (p. 33) parla di una sua
conoscente, triste perché le avevano abbattuto un albero nel giardino; mentre Di
sotto il casco (p. 41) allude ad una giovane donna sul suo motorino, vista solo per
un attimo, mentre la poetessa era in auto, ferma al semaforo. Anche Il tuo sguardo (p. 45) s’ispira ad una ragazza incontrata realmente, mentre Per un attimo ho
visto (p. 47) è il ricordo di una giornata ricreativa organizzata dall’Unitas a cui la
poetessa ha partecipato e dove era stata invitata una cantante cieca. Ketty Fusco
è rimasta profondamente colpita da questa donna, alta, bionda, sulla trentina,
che, mentre cantava, faceva un gesto con le mani, come se cullasse un bambino.
Fusco ha pensato che questo bambino fosse il piccolo folle che portiamo dentro
di noi, che si era adagiato lì, proprio in braccio alla cantante. In questa occasione
le si illuminò il pensiero che anche un cieco può vedere:
Oltre la luce
nel muoversi del corpo
filiforme
le braccia nude
mimavano una ninna
senza saperlo verso la platea.
E il bimbo fatto d’aria
sognava di ridere quieto
i sogni di Amadeus
e di Johann Sebastian:
fra quelle braccia ariose
in armonia di onda,
nella luce di un buio solo visivo,
misi il piccolo folle
che dentro di me vive.
Ad occhi chiusi, poi,
la mia sulla sua mano:
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un dialogo di vene.
L’aria, una presenza viva
di umori,
tessere di grazia.
Ad occhi chiusi,
per un attimo ho visto
come lei.
alla cantante cieca
Altre figure di donne reali sono quelle che si rifanno all’attualità del momento. Ne
fanno parte A Melissa Ann soldato cormorano (p. 26), già inclusa nella raccolta Il
fiore e il frutto, che si riferisce ad una soldatessa che ha partecipato alla prima
guerra del Golfo, Madri cilene (p. 27), scritta nel periodo della rivoluzione, e
Centro d’accoglienza (p. 43), che narra la nascita di una bambina su un barcone
di profughi.
Le voci di Prisca Agustoni, Solvejg Albeverio Manzoni e Ketty Fusco danno origine ad un canto polifonico caratterizzato da molteplici figure femminili che,
invece di trasmetterci un’immagine univoca della donna, ne riflettono la varietà,
la complessità e la ricchezza; e nella diversità testimoniano un comune interesse
per il femminile e per la sua rappresentazione.
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APPENDICE I – Testi inediti di Solvejg Albeverio Manzoni
Al Louvre, Ishtar
Altera, ricca della propria bellezza
Ishtar dalle zampe di rapace
scortata da leoni e civette
osserva.
Attratta da lei,
nella mia subalternità
– la invidio?
Isthar alata
scolpita nell’avorio – vellutata –
e stringe fra le mani i simboli del potere.
È e non è
Ereshkigal, coi suoi occhi di morte
nel palazzo di lapislazzuli
Tre sono gli astri, Sin luna crescente
Shamash sole alato
e la stella Ishtar.
Sul davanzale, la luna calante
scalda il sasso scuro
dalle circolari trasparenze
lattescenti: agata, pietra viva
lungamente appoggiata sopra
palpebre arrossate, doloranti,
pietra che inutilmente si è consunta.
La stella irradia
trasognati castelli all’uncinetto
resi solidi da zucchero e resina.
[2008-2009]
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Ishtar terra terra
Sulla parete
maestosa e delicatissima, la dea
di avorio – guerriera e amante
dea notturna
ed anche specchio della morte –
splendente
di una bellezza che commuove,
a Ninive, il suo culto,
quelle terre, adesso trafitte
lacerate
violentate
deturpate
dai padroni, i seminatori d’odio
ladri di petrolio.
Sulla lastra
la mia Ishtar è una vecchia
mai
ha stretto fra le mani i simboli
del potere
– immobilizzata
dal peso del proprio corpo
confusa nelle voglie povere,
intorno, muri si sgretolano
cintasi da sola nel patagio
non protetta da leoni né
dalle civette né dai pipistrelli.
Sonnambolica erra nella fucina
del desiderio spento
– e c’è la pesantezza instabile
di chi ascolta i fruscii
perversi, beffardi della morte.
[2008]
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Piccolo foglio d’album per Elise
Oscillavi appesa
alla cintura dell’accappatoio.
Allontanata ti sei dalla vita
in un mutismo cocciuto,
le tue case senza fondamenta
fissavano il mondo
supplicando approvazione. L’eco
rimandava soltanto silenzio.
Atona, la tua voce che s’alzava maldestra.
Noi, adesso, infastiditi
da una vaga rosicatura della coscienza
per non aver saputo – né voluto –
nel nostro egoismo, sacrificare
più tempo
offrendo appiglio alle tue dita
angosciate a strisciare
su rive scivolose.
Senza protezione, hai affrontato
il lungo viaggio. Le tue ossa
si scompongono
sotto il gelo degli inverni
e le tue case, forse ormai fumo
di un inceneritore.
[1997]
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Immagini di donna nella poesia della Svizzera italiana
Tonfi
Per Natalia Berla
Occhiali annebbiati
fissano prospettive di bottiglie.
Accosciata contro pareti
coprirò i timpani con cuffie di peli
per non udire frusciare la morte.
Sommergiamoci nel vino, nel tè, nell’orina,
sempre temendo d’essere banali,
ci si vorrebbe bardare: gioielli,
intuizioni, astuzie,
accanto a triangoli d’emergenza.
Chiudo porte e capelli in una treccia
attendendo altre voci
che non impediranno lo scialo.
Costretti
a soffiare dentro palloncini,
mormorii sfuggiranno dalla botola
del suggeritore sordo.
Le mute si susseguono secondo
un apparato tegumentale rispettabile.
Quadrati mai divenuti spirali,
rapporto morto,
putrefatti boccioli del Mar dei Sargassi.
Lydia, presente nonostante
io ti abbia scacciata, soppressa.
Il tuo urlo non lo saprò descrivere, mai.
La casa
sulla collina? È stata la paura
a spingerti contro la balaustra?
L’indifferenza benpensante muove
sguardi che trapassano,
accompagnati di sorrisini sussiegosi
uccidono angeli, schiacciano
riccioli che formano tappeti.
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Laura Lazzari
Un angelo giovane, spavaldo,
aveva scoperto un fior di sambuco.
Piangendo lo sbriciolò.
Il fantasma suona il bandoneon
mentre giungono le grida
a ondate dei cigni,
sopra l’isba della Baba Yaga.
Le angurie provocano diarrea, a Tashkent.
Gli intestini sussultano ai brusii,
apparirà uno shamano
e stuoli di acche
in agguato, pronte ad intrufolarsi
nei padiglioni dove
le principesse dai tanti colori
raccontano per notti intere.
Natalia, connubio imprevisto
su Fabriano dalla grana ruvida.
Trascinavi il fardello d’una vita adolescente,
il mio palmo sfiora i tuoi capelli bianchi
forse nascosti dai colpi di sole.
Angelo musicante, amica mai incontrata
i nostri gesti,
immobili falde di caligine.
A Ibiza, durante notti arruffate,
anch’io avrei potuto…
– di lui ho dimenticato il nome,
un sorriso vago forse un po’ insolente
ma ricordo il tremito delle mani
e il tono accorato
nel mettermi in guardia –
Nulla ti spinse, eppure correndo
scavalcasti la finestra senza sbarre.
Rovescio nella pattumiera
avanzi di ospiti malvezzi
(nei campi di profughi non si sperpera il cibo)
tedioso, dietro, lo stropiccio
della contabilità. E della corrispondenza
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Immagini di donna nella poesia della Svizzera italiana
per intrattenere le relazioni.
Il gesto di lei nella vasca
irreversibile, voleva essere
adesso
in clinica, riaffronta la vita
al suono implacabile della
vicina bambina che ulula
disperazione di animale squartato.
Cautelosa sposto scodelle,
un sorso: Vodka Kosher 40° Buffalo gras
il fegato scoppierà
rendendo la pelle color dei girasoli.
I morti distillati sollevano le ossa
rifugiandosi negli angoli.
Sadegh, ti incontreranno?
La tenda staccatasi di colpo
cadde al suolo: segnale
di pizzo?
E se ci crocefiggessero
mentre ci laviamo i denti?
[1991]
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Laura Lazzari
APPENDICE II – Immagini
SOLVEJG ALBEVERIO MANZONI, Ishtar terra terra (acquaforte/puntasecca), 2008
SOLVEJG ALBEVERIO MANZONI, La caduta (puntasecca), 1992