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Richelieu e la corte di Luigi XIII

Relazione elaborata nell'ambito degli studi per il conseguimento della Laurea Magistrale in Storia e Società nella quale si affronta la tematica del "favorito" Richelieu alla corte del re di Francia Luigi XIII. Si evidenzia come gli intrighi di corte portassero a resistenze marcate all'avvento di questa figura, che comunque riuscì ad affermarsi concretamente durante il "secolo di ferro".

Università degli Studi di Cagliari Corso di Laurea Magistrale in Storia e Società Relazione sul tema: “Richelieu e la corte di Luigi XIII” Studente: Fabio Manuel Serra, matr. N°20/44/6**** La concezione politica sviluppatasi alla fine del Cinquecento aveva mostrato il gran peso del sistema della corte e dei meccanismi che al suo interno si venivano a generare. Avere, infatti, due o più fazioni in essa, comportava il costante scontro politico tra i più alti esponenti delle parti, che aveva riflessi fin negli angoli più distanti del regno. Il sistema dei sovrani di appoggiarsi a diversi esponenti della corte medesima non è frutto di una scelta, ma dell'esigenza dei grandi nobili di mantenere i privilegi conseguiti nei secoli e, dunque, di farli sentire pienamente coinvolti nelle vicende di governo dello Stato. Naturalmente, l'esistenza di più fazioni, portava a una frammentazione della nobiltà e obbligava il re a cercare di accontentare tutte le parti. Con il diffondersi del pensiero del giurista francese Jean Bodin, però, si iniziava a intravedere come la figura del re dovesse essere sostanzialmente dotata di poteri illimitati, se non dalla sola legge di Dio. Tutti i sovrani, ovviamente, puntavano al raggiungimento di questo obiettivo, che avrebbe garantito loro una egemonia assolutistica in tutto lo Stato; ma il conseguire questo risultato era tecnicamente arduo, in quanto essere monarca assoluto obbligava sostanzialmente all'esautorazione dei grandi nobili, alla privazione del loro ruolo di governanti, e questo era un sistema che poteva drasticamente minare l'unità stessa dello Stato. Le monarchie composite, infatti, basate su un sistema feudale o comunque legate a una ripartizione in ambito locale della signoria bannale ovvero territoriale, erano sottoposte a un rischio non indifferente in questo senso. Il tentativo dei sovrani di assurgere al diretto potere assolutistico, dunque, doveva per forza di cose passare attraverso una reductio ad unum nell'ambito delle fazioni di corte. Questo essenziale passaggio doveva essere raggiunto con la collocazione in una posizione di preminenza di un favorito del re, normalmente un suo caro amico, ovviamente di nobili natali, che potesse dunque ergersi a figura rappresentativa del potere esecutivo, mentre al re rimaneva la sacralità del potere per diritto divino. Questa prassi di governo ebbe origine in Spagna, con quel metodo che si chiama valimiento, e si estese progressivamente a tutta l'Europa, sostanzialmente per legittimare tre aspetti cardine: la lotta politica e le sue trasformazioni, la critica al sistema decisionale del monarca, e la legittimazione del potere assoluto del re per diritto divino1. Sul modello di quanto operato alla corte di Filippo III dal Duca di Lerma, in Francia ascese al ruolo di favorito un nobile di grande ambizione e di indiscussa abilità: Armand-Jean Du Plessis, duca di Richelieu (1585 – 1642). 1 1 Cfr. F. BENIGNO, Favoriti e ribelli, Stili della politica barocca, Roma 2011, pagg. 12 – 13. Il 7 ottobre 1615, a Bordeaux, la corte regia di Francia prese dimora e ivi rimase fino al 14 dicembre. L'occasione per la quale ciò avvenne era data dalle nozze del quindicenne Luigi XIII con l'infanta Anna d'Austria2. Quegli anni erano particolarmente difficili per la politica interna della Francia. A causa della morte prematura del re, infatti, la reggenza del trono era stata affidata alla regina consorte, Maria de' Medici, madre di Luigi XIII, la quale non ebbe difficoltà a nominare un proprio favorito come proprio consigliere: Concino Concini, principe del Sacro Romano Impero e discendente da una delle più antiche famiglie toscane. La progressiva politica accentratrice della regina madre la portò a convocare, insieme al Concini, gli Stati Generali proprio tra il 1614 e il 1615; e fu in quell'occasione che si decise il matrimonio con Anna d'Austria, per avvicinare politicamente la casa Asburgo a quella di Francia. Ma in quella medesima occasione si palesò con forza la figura di Enrico II di Condé, che si opponeva alla reggente al trono. Questo fenomeno si stava evidenziando perché Maria de' Medici cercava una piena unione con la Chiesa di Roma, naturalmente a danno delle fazioni ugonotte francesi3. Fu proprio durante gli Stati Generali di quegli anni che il Concini favorì l'ascesa del suo pupillo: il vescovo di Luçon, Armand-Jean Du Plessis. Le tensioni alimentate dal Condé, dunque, sfociarono nel suo ordine di arresto, giunto nel 1616. Di contro, però, Luigi XIII non restava a guardare. Ansioso di prendere in mano il potere, spaventato dall'autorità che il Concini stava guadagnando, non riuscendo ad acquisire la posizione che meritava di fronte alla figura materna, ordinò l'assassinio del favorito di Maria de' Medici, che avvenne il 24 aprile 1617. Questa è la data che segna l'inizio dello scontro aperto tra la reggente al trono e il re. In tutto questo, naturalmente, Richelieu era direttamente coinvolto: con la morte del Concini, infatti, fu confinato ad Avignone e ivi rimase durante lo scontro tra i due augusti pretendenti. Nel contempo, con la defenestrazione di Praga del 1618, ecco che scoppiava duramente la prima fase della Guerra dei Trent'anni, che presto avrebbe stravolto la visione della politica in Europa. Fu in questo contesto che, lentamente, le cose iniziarono a placarsi e a ricomporsi: nel 1622 Richelieu veniva creato cardinale e nel 1623 Luigi XIII riammetteva a corte la madre, con una piena riconciliazione4. Naturalmente, i favoriti di corte dopo il Concini erano stati altri: i Luynes, e ora i Brûlard, con esponente La Vieuville, che era al servizio di Luigi XIII e che, atterrito dalla crescente presenza del Richelieu a corte, che dimostrava una grande abilità e spregiudicatezza, tenta in vari modi di sbarazzarsene addirittura producendo documenti assai impertinenti indirizzati direttamente al re 5. Il cardinale, però, che non stava a guardare, stava alimentando una forte pubblicistica per screditare il più possibile la figura di La Vieuville; e il re, invero, si preparava a licenziarlo, ma stava ponderando su chi potesse essere il nuovo favorito: Schomberg, Marillac, Champigny, Molè o chi altri. Fu nell'aprile del 2 3 4 5 2 Cfr. C.J. BURCKHARDT, Richelieu, B. REVEL (ED.), Milano 1973, pag. 80. Cfr. M. CARMONA, La France de Richelieu, Poitiers 1984, pag. 10. Cfr. M. CARMONA, La France de Richelieu, cit., pag. 11. Cfr. C.J. BURCKHARDT, Richelieu, cit., pag. 164. 1624, infine, che Luigi XIII prese la decisione: liberatosi di La Vieuville, scelse formalmente come suo favorito Armand-Jean Du Plessis, duca di Richelieu6. La forza politica di Richelieu, come è ben evidenziato dal Carmona, si fondò sulla sua affermazione della ragion di Stato come giustificazione della sua condotta. La sua linea era decisamente filocattolica, e anche vicina a quella della Spagna con la quale puntava per la politica matrimoniale 7. Se Richelieu era uno spregiudicato uomo politico, anche in campo economico non ebbe nulla di meno rispetto a quanto aveva nella gestione degli affari statali. La creazione di una solida economia, infatti, doveva essere per Richelieu la base per conferire grandezza alla Francia, e dunque potenziò senza dubbio la sua rete diplomatica, la marina e naturalmente le infrastrutture terrestri8. La ferrea volontà del cardinale, dunque, si focalizzò lucidamente sul principale problema del controllo territoriale, chiave essenziale per ogni riforma economica e politica. In primis egli fece in modo di privare gli ugonotti delle loro piazzeforti, espugnando militarmente La Rochelle nel 1628, e riconducendo così la presenza militare come esclusiva dello Stato. In seguito non si privò di ridurre sensibilmente il potere dell'alta nobiltà, dei Pari di Francia, puntando all'istituzione di vari intendenti a lui fedeli, in modo da generare una rete di burocrati che potesse accentrare il potere nelle mani del re, ovvero del favorito9. La politica del cardinale, che aumentò la pressione fiscale sul popolo (che quindi si ribellò più volte), dette origine però anche a pesanti invidie proprio nella stessa corte di Luigi XIII. La nobiltà, infatti, mal sopportava di aver perso il peso politico che esercitava un sessantennio prima, quando era organizzata in fazioni e aveva la possibilità di strappare al re migliori condizioni per sé, sentendosi direttamente coinvolta nel governo. Le congiure per eliminare fisicamente il cardinale, dunque, non mancarono. Proprio nel periodo immediatamente successivo alla presa de La Rochelle, infatti, per Richelieu si profilavano nuove difficoltà provenienti dalle malversazioni dei più potenti nobili francesi. Gastone d'Orléans, secondogenito di Maria de' Medici, e dunque principe di sangue reale, era in netta opposizione alla figura del favorito del fratello, in quanto la presenza di Richelieu, ingombrante nel panorama nazionale e sempre più anche sullo scenario internazionale, andava ad oscurare sia lui che tutti i Pari di Francia. Ciò non poteva essere tollerato. E dunque, per primo il Condé, seguito da altri nobili tra cui Cesare duca di Vendôme, Enrico di Montmorency e altri, iniziarono a cospirare a danno del cardinale10. I congiurati avevano identificato proprio in Gastone un ipotetico capo, e non di certo perché questi brillasse di intelligenza e di saggezza. Come infatti tramanda lo storico Burckhardt, il secondogenito della de' Medici era assai viziato, debole e svergognato, tanto impertinente quanto 6 7 8 9 10 3 Cfr. C.J. BURCKHARDT, Richelieu, cit., pag. 165. Cfr. M. CARMONA, La France de Richelieu, cit., pag. 119. Cfr. M. CARMONA, La France de Richelieu, cit., pag. 177. Cfr. A. DESIDERI, G. CODOVINI, Storia e Storiografia plus, 1B, Messina 2015, pagg. 352 – 353. Cfr. C.J. BURCKHARDT, Richelieu, cit., pagg. 202 – 203. spregiudicato11. Dunque, fare lui re, significava per i grandi nobili avere una figura manovrabile sul trono, tale che consentisse loro di avere campo libero nelle questioni dirette di governo. Si giunse a questo punto quando la Regina madre aveva organizzato il matrimonio di Gastone con Maria di Montpensier, erede del ramo collaterale dei Borboni: i congiurati temevano parecchio questo rafforzamento regio, e dunque si ingraziarono il maestro di corte, Ornano, cedevole alla lussuria anche se, a quanto tramanda il Burckhardt, “era l'uomo più brutto della Francia”12. La congiura fu subodorata dal cardinale Richelieu, il quale si assicurò che il re stesse dalla sua parte, convincendolo della bontà del matrimonio di Gastone con la Montpensier, e fece nominare Ornano gran maresciallo di Francia, e questi fece sì che Gastone entrasse a far parte del consiglio del Re13. Questa situazione portò i congiurati a tentare di far fuoriuscire Gastone dalla corte; e al loro progetto si unì l'omologo inglese del Richelieu, ossia il duca di Buckingham14. I congiurati giunsero alla conclusione di offrire a Gastone la corona di Francia, come ricordavo sopra, e naturalmente di togliere di mezzo lo scomodo cardinale, ma in un modo che doveva sembrare accidentale: una rissa durante un banchetto, con tanto di spade, e una stoccata fortuita al petto del favorito. Fu per l'intervento di un cavaliere dell'Ordine di San Giovanni, di Rodi e di Malta che la congiura andò sventata: questo era il signore di Velençay, zio Enrico di Talleyrand, uno dei congiurati. Il cavaliere costrinse il nipote a confessare tutto al cardinale, e questi accompagnò il Talleyrand dal re e gli fece ripetere la confessione. Fu così che Luigi XIII prese la decisione di inviare dei soldati in tenuta da guerra nel castello di Fleury, dove si sarebbe dovuto tenere il banchetto, e mettere Gastone dinanzi al fatto compiuto15. Così, dunque, la congiura fu sventata. Richelieu porse le proprie dimissioni al re, ma questi, ormai ben contento della politica accentratrice del suo favorito, lo pregò di rimanere al suo posto e anzi gli assegnò una guardia personale16, confermandogli piena fiducia. Il mondo della Francia di Richelieu era assolutamente permeato dalla violenza e dalla morte, come tramanda il Carmona, e quindi non stupisca che la nobiltà pensò di eliminare il cardinale con una rissa17. La sua figura, storicamente importante per l'ascesa della Francia, è passata attraverso un evento così drammatico che però il cardinale ha usato per una pesante epurazione nel corpo della nobiltà francese, facendo decapitare i congiurati e riducendo di molto le posizioni degli altri nobili18. Attraverso dunque questa strada, si posero dunque le basi per il grande esempio di assolutismo dato al mondo da Luigi XIV nella seconda metà del Seicento. 11 12 13 14 15 16 17 18 4 Cfr. C.J. BURCKHARDT, Richelieu, cit., pag. 205. Citazione testuale tratta da C.J. BURCKHARDT, Richelieu, cit., pag. 206. Cfr. C.J. BURCKHARDT, Richelieu, cit., pag. 207. Ibidem. Cfr. C.J. BURCKHARDT, Richelieu, cit., pag. 208. Cfr. C.J. BURCKHARDT, Richelieu, cit., pag. 209. Cfr. M. CARMONA, La France de Richelieu, cit., pag. 275. Cfr. F. BENIGNO, Favoriti e ribelli, cit., pag. 44.