Archeologia dell’impressione di realtà
Giancarlo Grossi
La questione del dispositivo cinematografico e della sua potenza plasmatrice di soggettività trova una lucida sintesi nel concetto di impressione di
realtà analizzato da Jean-Louis Baudry nei due saggi Effects idéologiques
proudits par l’appareil de base (1970) e Le dispositif: approches metapsychologiques de l’impression de réalité (1975)1. Il problema di come un
mero flusso di suoni e immagini possa produrre l’illusione proiettiva del
reale era già stato oggetto di indagine sin dalle prime ricerche filmologiche,
in particolare con gli studi di Albert Michotte2. Christian Metz fa esplicito
riferimento a queste analisi nell’identificare il principale fattore produttivo
dell’impressione di realtà con il movimento, anche più potente del volume
nel produrre l’effetto del reale nella percezione dello spettatore3. Come
afferma il semiologo francese, «Il “segreto” del cinema è anche questo,
iniettare nell’irrealtà dell’immagine la realtà del movimento»4.
L’originalità della prospettiva di Baudry consiste invece nel considerare
l’impressione di realtà come prodotto di un processo ideologico. L’ideologia, in senso althusseriano, si identifica con un atto di posizionamento
e determinazione dell’identità da parte di un sistema rappresentativo, un
dispositivo. Per Baudry l’effetto ideologico del cinema è determinato dalla
continuità e unificazione del movimento apparente delle immagini che
occulta alla radice la reale scissione dei fotogrammi immobili producendo
nello spettatore un’identificazione immaginaria e alienante. Il centro della
sua analisi si situa però nel considerare il dispositivo cinematografico come
fase culminante di un unico processo storico-ideale, quello dell’Idealismo,
che a partire da Platone porta a compimento con mezzi diversi un identico
1
I due articoli sono raccolti in J.L. Baudry, L’effet cinema, Albatros, Paris 1978, pp. 13-49.
2
Si veda in particolar modo Le caractère de «réalité» des projections cinématographiques,
in “Revue internationale de filmologie”, nn. 3-4 (1948), pp. 249-261.
3
Cfr. C. Metz, Semiologia del cinema. Saggi sulla significazione nel cinema, tr. it., Garzanti,
Milano 1975, pp. 23-37.
4
Ivi, p. 37.
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Giancarlo Grossi
programma di soggettivazione immateriale. In questo senso la condizione
dello spettatore cinematografico non fa altro che ereditare il proprio effetto
da un ulteriore dispositivo che ha segnato la storia dei regimi di percezione,
la camera obscura del Rinascimento italiano. Quest’ultima inaugura infatti
con la costruzione simbolica della prospettiva l’idea dell’unificazione dello
spazio, che la concezione greco-classica vedeva scisso e informe, nell’unico
atto percettivo di una soggettività che si fa punto immateriale di dominio sul
reale. Non è difficile intravedere nell’argomentazione di Baudry in qualità di
bersaglio il soggetto cartesiano dalla visione chiara e distinta, che perpetua
le sue illusioni nell’immaginario descritto da Lacan come nell’ideologia
analizzata da Althusser.
Il punto che questo articolo vuole porre in questione è se veramente l’immagine in movimento sia il prodotto di un unico cammino meta-temporale,
o non derivi piuttosto da una precisa riorganizzazione delle condizioni della
visione e della spettatorialità che emerge in una determinata positività5
storica, molto differente da quella rinascimentale, in cui il movimento e la
locomozione sono diventati oggetto di studi, analisi, serializzazione e ricomposizione6 da parte di una serie di fisiologi, psicologi, estetologi, teorici
sperimentali delle tecniche ginniche. Il problema del movimento occupa
infatti un posto privilegiato nelle ricerche che si situano a partire dalla
seconda metà dell’Ottocento. In questo periodo si sviluppano soprattutto,
attraverso le ricerche di artisti come Eadward Muybridge e Thomas Eakins,
nonché di fisiologi come Jules Marey, nuove tecnologie fotografiche capaci
di impressionare ogni istante del movimento umano in rapida sequenza
attraverso una velocizzazione dei tempi di esposizione, scomponendo la
locomozione in una serie di fotogrammi dotati di continuità temporale.
Dal momento che è in questo preciso processo che sorgono le condizioni
materiali perché il dispositivo cinematografico possa produrre l’impressio-
5
Uso il termine positività nel senso usato da Foucault in L’archeologia del sapere e interpretato da Agamben, nella genealogia che opera del concetto di dispositivo, come derivante
dall’influsso esercitato sul filosofo francese dal pensiero di Jean Hyppolite, configurandosi
come «il nome che, secondo Hyppolite, il giovane Hegel dà all’elemento storico, con tutto il
suo carico di regole, riti e istituzioni che vengono imposti agli individui da un potere esterno,
ma che vengono, per così dire, interiorizzati dai sistemi delle credenze e dei sentimenti». Cfr.
G. Agamben, Che cos’è un dispositivo?, Nottetempo, Roma 2006, pp. 11-12.
6
Foucault individua già nell’Età Classica processi di dissezionamento e analisi del movimento umano da parte delle discipline, in cui «L’atto viene scomposto nei suoi elementi, la
posizione del corpo, delle membra, delle articolazioni viene definita, ad ogni movimento sono
assegnati una direzione, un’ampiezza, una durata; l’ordine di direzione è prescritto». Cfr. M.
Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, tr. it., Einaudi, Torino 1976, pp. 147-185.
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FATA MORGANA
Archeologia dell’impressione di realtà
ne di realtà descritta da Baudry, si cercherà di indagare questa fase come
condizione del suo sorgere.
Il fulcro di questa ricerca sarà costituito dall’analisi de L’esthétique du
mouvement7 dell’estetologo francese Paul Souriau, testo del 1889 che risulta
sintomatico di quest’incrocio che si verifica tra arti e scienze nella comune
finalità del pieno dominio conoscitivo sulle diverse fasi di cui si compone
il movimento umano e animale. Il problema intorno al quale ruota l’opera
di Souriau riguarda le condizioni mediante cui il movimento si possa configurare come produttivo di bellezza. Tale questione porta Souriau a ripensare
l’approccio dell’estetica stessa in relazione ai risultati della fisiologia e
della psicologia sperimentale a lui contemporanee, in questo non differendo da una comune Weltanschauung che caratterizza il panorama francese
della filosofia dell’arte post-positivista8. La bellezza diventa così oggetto
di un’analisi scientifica in cui istanze produttive e spettatoriali risultano
profondamente intrecciate.
L’esthétique du mouvement si divide infatti in tre settori di indagine: una
prima parte riguarda il problema della bellezza meccanica, ossia dell’insieme deterministico di leggi che regolano il movimento umano, una seconda
è invece dedicata all’espressione, ossia al modo in cui il gesto comunica i
sentimenti interiori, una terza infine alla osservazione del movimento, in
cui si pongono le condizioni di una primordiale teoria della spettatorialità.
Seguire l’indagine di Souriau ci servirà a indagare l’impressione di realtà e
il dispositivo cinematografico in relazione a questa riconfigurazione della
disciplina estetica, capace di costituire un paradigma epistemologico senza precedenti. Nel procedere si farà quindi particolare attenzione ai punti
in cui le teorie e i dispositivi di scomposizione del movimento entrano in
dialogo, inaugurando in questa comunanza di fini gli aspetti salienti che
caratterizzeranno l’osservatore del Novecento.
7
Cfr. P. Souriau, L’esthétique du mouvement, Alcan, Paris 1889.
8
Per una ricostruzione del panorama dell’estetica francese a cavallo tra Otto e Novecento e
la sua comune vocazione sperimentale, con autori tra i quali J.M. Guyau, G. Seailles, C. Henry,
E. Veron, H. Delacroix, cfr. V. Feldman, L’estetica francese contemporanea, tr. it., Minuziano,
Milano 1945, e E. Franzini, L’estetica francese del Novecento: analisi delle teorie, Unicopli,
Milano 1984.
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Giancarlo Grossi
La bellezza meccanica
La prima parte de L’esthétique du mouvement è dedicata all’analisi del
piacere del movimento dal punto di vista dell’esecutore. In relazione a ciò il
fine dell’estetica sarà duplice: da un lato dovrà studiare i meccanismi interni
all’organismo che regolano la locomozione, dall’altra cercherà di formulare
in base ad essi dei criteri normativi per la produzione del piacere attraverso
il movimento. In questo senso, a subire una radicale riconfigurazione è lo
stesso concetto cardine della disciplina, quello di bellezza. Se per la tradizione kantiana quest’ultima manifestava la propria specificità nel carattere
del disinteresse, Souriau rifiuta radicalmente l’idea che l’aspetto edonico del
movimento possa dipendere dal suo essere fine a se stesso. Neanche l’agire
del gioco, concetto base di tutte le estetiche, deve la sua piacevolezza al suo
essere libero e autoriflessivo: ad essere piacevole non è l’azione presa in se
stessa, ma l’obiettivo che essa raggiunge. Anche l’esercizio apparentemente
più futile mira in realtà al guadagno dell’amor proprio. Souriau fa l’esempio
dei giocatori di biliardo e di scacchi, che nel gesto tecnico e nel confronto
di abilità mettono in palio la propria reputazione9.
La bellezza diventa così un criterio prettamente produttivo, che risponde
ad un determinismo sia fisiologico che psicologico: il piacere deriva da
un’economia delle energie fisiche e muscolari in relazione all’obiettivo previsto. Allo stesso tempo, bisogna studiare lo spreco di energia, ossia la fatica
(l’effort), come sensazione spiacevole che si oppone al suo conseguimento.
L’obiettivo dell’estetica diventa così quello di analizzare le leggi economiche
dell’energia fisica per evitare ogni forma di dispersione nell’esecuzione
dell’atto. In questa prospettiva, i movimenti più piacevoli non saranno quelli
che costano meno sforzo, ma quelli che conferiscono l’effetto più utile in
relazione alla minore spesa di forze. L’estetologo francese utilizza un’analogia esplicitamente economica: «L’effort est comme l’argent: nous aimons
à en dépenser beaucoup, parce que cela nous procure du plaisir; mais nous
aimons à en dépenser le moins possible pour obtenir un plaisir donné»10. La
vita più faticosa sarà quindi quella dei soggetti improduttivi, dei corpi non
regolamentati dalla bellezza meccanica che disperdono energia. Souriau ne
offre un elenco molto preciso: il somaro di collegio, il cattivo operaio, il
mendicante, il ladro, contrapposti alle vite energiche di chi lavora e lotta11.
L’economia della bellezza diventa così anche una forma di disciplina e
9
P. Souriau, L’esthétique du mouvement, cit., p. 20.
10
Ivi, p. 32.
11
Ivi, p. 35.
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Archeologia dell’impressione di realtà
controllo dei corpi secondo principi di inclusione-esclusione.
Ma se il dinamismo del piacere nel movimento è puramente meccanico,
quale sarà la legge interna capace di garantire questa economia energetica?
Souriau la identifica con la dimensione del ritmo, seguendo in questo la
filosofia positivista di Herbert Spencer che dedica alla questione un capitolo nella sua opera principale First Principles12. Ma mentre per il filosofo
britannico il ritmo costituisce una legge costante di tutti i fenomeni naturali,
tale che anche il movimento più complesso e disarticolato può essere scomposto in segmenti semplici e regolari, differentemente per Souriau anche
il movimento più elementare presenta un’irriducibile varietà. La spettacolarità dell’elemento ritmico dipende quindi proprio dal suo emergere dallo
sfondo informe dell’incoerenza naturale, in modo che risulterà piacevole
allo sguardo anche l’irregolarità quando si pone come contrappunto ad una
struttura uniforme13.
Il ritmo crea così un automatismo ed un’abitudine nella reiterazione che
esclude la volontà e fa del movimento un agglomerato di atti puramente
riflessivi14: «Nous devrons donc, si nous voulons économiser nos forces,
essayer de donner toujours à nos mouvements une régularité parfaite et en
quelque sorte mécanique»15. Più che una legge naturale, esso si configurerà
quindi come un fine da raggiungere perché la locomozione diventi meccanicamente efficace e quindi bella. L’analisi dettagliata del movimento avrà
quindi un interesse sia teorico che pratico: da una parte porre basi oggettive
per il giudizio di gusto sulla bellezza del movimento, dall’altra perfezionare
il movimento stesso secondo criteri estetici normativi. Si tratta di creare
nuove forme di locomozione che ottimizzino la regolarità e riflessività
dell’azione16. Souriau instaura quindi un dialogo da una parte con le teorie
12
Ivi, p. 52.
13
L’estetologo ha infatti in mente il contrappunto nella melodia musicale come modello di
qualsiasi armonia del movimento; cfr. ivi, pp. 69-70.
14
Pasi Valiaho ha sottolineato, nel suo studio sui rapporti tra la psico-fisiologia del movimento e la nascita del paradigma esperenziale cinematografico, il ruolo giocato dal ritmo nel
processo di esteriorizzazione dell’apparato fisico negli strumenti tecnologici e produttivi. Una
particolare rilevanza assume in questo senso la connessione tra l’automatismo e il fenomeno della
dissociazione psicologica studiata da Pierre Janet nel saggio L’automatisme psychologique del
1889, stesso anno del testo di Souriau da noi analizzato. Cfr. Pasi Väliaho, Mapping the Moving
Image - Gesture, Thought and Cinema circa 1900, Amsterdam University Press, Amsterdam
2010, in particolar modo pp. 12 sgg. e 83 sgg.
15
P. Souriau, L’esthétique du mouvement, cit., p. 87.
16
Souriau è in questo influenzato dall’estetica del contemporaneo Gabriel Séailles, che nella
sua opera principale considera il movimento come opera d’arte prodotta dall’immaginazione
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Giancarlo Grossi
ginniche che verso la fine dell’Ottocento erano diventate oggetto di analisi
scientifica e tecnica, dall’altra con gli studi che vedono nella locomozione
animale un modello efficace per l’automatismo.
Questi due ambiti di studio erano anche l’oggetto peculiare intorno
al quale si stava sviluppando una nuova tecnologia di segmentazione e
oggettivazione del movimento: la fotografia istantanea. Souriau infatti cita
ampiamente gli studi di Jules Marey sulla locomozione aerea degli uccelli17 e, nella parte dedicata al galoppo del cavallo, anche se solo in nota,
gli esperimenti di Muybridge18. Il testo ritornerà inoltre sulla fotografia
istantanea nella terza parte dedicata alla percezione visuale del movimento,
incrociando problemi inerenti alla rappresentazione artistica. Queste emergenze sconnesse del tema, che sembra fungere più da strumento scientifico
finalizzato alla descrizione che da vero oggetto della trattazione, lasciano
intravedere però un comune orizzonte di ricerca tra Souriau e le tecnologie
cronofotografiche. Si tratta di un confine labile in cui le pretese della ricerca scientifica e quelle dell’estetica sembrano confondersi19, e nello stesso
tempo l’interesse puramente rappresentativo rifluisce in strategie pratiche
di utilizzazione del corpo umano. In questa prospettiva, la ricerca scientifica
è in un certo senso rimediata nelle esigenze di spettacolarizzazione tipiche
dell’immagine: «Notre intelligence se plait au spectacle des mouvements
ordonnés suivant ses propres lois»20.
Come abbiamo accennato, anche la fotografia istantanea scompone
il movimento animale e analizza quello umano suddividendolo in pose
equidistanti21 di carattere ginnico. Così anche per Souriau, il movimento
animale diventa modello della locomozione umana in virtù della meccanicità istantanea con cui persegue naturalmente il suo fine. È una produzione
creatrice. Cfr. G. Séailles, Essai sur le genie dans l’art, Alcan, Paris 1897, pp. 133-148.
17
P. Souriau, L’esthétique du mouvement, cit., pp. 151-153.
18
Ivi, pp. 130-132.
19
Tom Gunning ha evidenziato come in Muybridge, differentemente che in Marey, le pretese
scientifiche della fotografia istantanea finiscano per cedere il passo a quelle esigenze estetiche,
industriali e di spettacolarizzazione visiva che caratterizzeranno la produzione cinematografica.
Cfr. T. Gunning, Never Seen This Picture Before. Muybridge in Multiplicity, in P. Prodger, Time
stands still: Muybridge and the instantaneous photography movement, Oxford Univiersity Press,
Oxford 2003, pp. 223-256.
20
P. Souriau, L’esthétique du mouvement, cit., p. 75.
21
Gilles Deleuze parla infatti del sorgere del cinema come passaggio da una configurazione
del movimento per pose formali trascendenti ad una per elementi materiali immanenti, i fotogrammi equidistanti. Il movimento pone così le sue basi sul momento qualsiasi. Cfr. L’immaginemovimento, tr. it., Ubulibri, Milano 1984, p. 16 sgg.
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Archeologia dell’impressione di realtà
immediata di bellezza, di dimensione persino artistica: «Que l’animal n’ait
pas conscience de cette beauté dont il donne le spectacle, cela est possible
[…] Il arrive ainsi à produire, sans le vouloir, de véritables chefs d’ouvre»22.
L’efficacia istintuale produce così un surplus di spettacolarizzazione, lo
splendore della meccanicità che l’uomo dovrà conseguire.
La fantasmagoria della grazia
Il secondo campo indagato da Souriau riguarda la questione del carattere
espressivo del movimento. L’espressione è composta dall’insieme di emozioni e sensazioni che sono oggettivate attraverso il gesto, ossia naturalmente
attribuite a colui che lo esegue in modo da formare una sorta di spettacolo23.
Essa definisce un terreno meno solido per l’oggettività del giudizio estetico,
dal momento che è relativa alla reazione empatica dell’osservatore rispetto
all’esecuzione del gesto: «nous essayons de nous représenter, pour le plaisir que nous pouvons avoir a considérer un mouvement, le plaisir que l’on
peut avoir à l’executer»24. Inoltre è l’esecuzione stessa a essere determinata
dall’idea di come appaia, in modo che risulta impossibile astrarla dall’effetto
che vuole compiere sullo spettatore25. Si assiste così alla visione primordiale
di un’influenza reciproca tra corpo dell’attore e corpo dello spettatore a
livello sia fisico che emozionale.
In questo intreccio di sensazioni comunicate attraverso il movimento
occupa un posto privilegiato la questione della grazia. Souriau la definisce
come «expression de l’aisance physique et morale dans le mouvement»,
dove per «aisance» dobbiamo intendere un misto di levità, libertà interiore
e facilità dell’esecuzione. Per quanto i movimenti che economizzano meglio le forze possiedano le sembianze della grazia, la sua dimensione non
è però riducibile alla dinamica della bellezza meccanica. Può infatti darsi
un’economia perfetta delle forze senza che si produca alcuna impressione
di levità. Se per Souriau la bellezza si riduce all’efficacia regolare del ritmo, la grazia se ne differenzia radicalmente trovando il proprio territorio
nell’apparente sospensione della finalità. In relazione a questo ritorna il
22
23
24
25
P. Souriau, L’esthétique du mouvement, cit., p. 161.
Ibidem.
Ivi, pp. 5-6.
Ibidem.
FATA MORGANA
109
Giancarlo Grossi
tema estetico del gioco, gesto libero contrapposto all’attività del lavoro26.
Secondo Souriau la differenza tra i due regimi non consiste, come abbiamo
accennato, nell’assenza di obiettivo da parte del gioco, ma nella mancanza
di obbligatorietà.
La grazia è quindi un’apparenza che spezza il rigore dell’economia
energetica e sottrae l’evidenza della finalità. Dal punto di vista percettivo,
la sua sensazione dovrà costruire spazi di affrancamento dalla regolarità del
ritmo. Infatti se la bellezza, come abbiamo visto, deve le proprie condizioni
materiali alla regolarità meccanica del gesto riflesso, questa stessa produce
sgradevolezza una volta che emerge pienamente nell’orizzonte dell’apparenza. Souriau descrive come esempio peculiare, e tipico del suo tempo, la
sensazione di orrore provocata sullo spettatore dalle convulsioni ritmiche
delle crisi isteriche ed epilettiche27, in cui il corpo diventa macchina capace di
suggestionare lo spettatore fino a provocarne reazioni analoghe28. Allo stesso
modo la stessa grazia, quando diventa un fine perseguito in modo esplicito,
scade in affettazione perdendo immediatamente la propria efficacia29.
Bellezza e grazia costituiscono quindi due dimensioni radicalmente
differenti per il giudizio di gusto, l’una caratterizzata dalla normatività e
dall’efficacia, l’altra dall’affrancamento e dall’autoriflessività. Dovremo
quindi considerarle come due opzioni antitetiche della costruzione della
sensibilità mediante il movimento? In realtà per Souriau, ben lungi dal
contraddirsi, i due domini sono essenzialmente connessi e reciprocamente
implicati. La meccanizzazione del movimento non costituisce infatti la
condizione sufficiente per il darsi dell’aisance, ma ne è comunque quella
necessaria. Pur essendo apparentemente naturale e spontanea, la grazia è
un prodotto dell’intenzionalità che ne definisce lo statuto artistico. Essa si
26
Ivi, pp. 185-186.
27
Da notare che proprio in questo periodo la gestualità delle crisi isteriche e la meccanizzazione del corpo che ne consegue diventano oggetto di studio anche da parte della fotografia
istantanea. Nel 1883 Albert Londe, fotografo professionale e amico di Marey, introduce i metodi
della cronofotografia nel reparto psichiatrico di Charcot alla Salpêtriére, dove venivano curati
i disturbi nervosi attraverso l’utilizzo dell’ipnosi in un processo di meccanizzazione del corpo
umano. L’apparecchio fotografico poteva infatti impressionare quei movimenti troppo veloci e
convulsi per essere catturati dalla percezione umana. Georges Didi-Huberman ha sottolineato
come l’isteria così oggettivata nella clinica sia da considerare come un’invenzione artistica, un
processo creativo che utilizza corpi e immagini e che in quanto tale va studiato come un momento
della storia dell’arte. Cfr. G. Didi-Huberman, L’invenzione dell’isteria. Charcot e l’iconografia
fotografica della Salpêtriére, tr. it., Marietti, Genova-Milano 2008.
28
P. Souriau, L’esthétique du mouvement, cit., p. 181.
29
Ivi, p. 191.
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FATA MORGANA
Archeologia dell’impressione di realtà
ottiene attraverso una scomposizione metodica dei movimenti mediante
l’esercizio che sola può garantire nell’insieme un’espressione armonica.
Infatti per Souriau il movimento metodico sta a quello naturale come una
proposizione logica e argomentata sta ad un blaterare confuso30. In questo
senso, pur occultando la sua finalità, la grazia costituisce in realtà un processo
di naturalizzazione dell’artificiale che trova le proprie condizioni materiali
nella meccanizzazione del corpo umano e nel possesso intenzionale e tecnico del dinamismo fisico. Non basta quindi ai processi di estetizzazione del
movimento la sua adeguazione all’economia della minor fatica in relazione
al risultato da ottenere; è necessario che dalla locomozione scaturisca un
velo fantasmagorico capace di occultare il funzionamento della macchina,
velare i suoi fini, mascherare le condizioni materiali della sua produzione
spettacolarizzata. La bellezza meccanica deve vestirsi di libertà.
Tecnologie dello sguardo
Se le potenzialità espressive del movimento hanno portato l’analisi di
Souriau in un territorio costruito dal dialogo empatico tra la corporeità
dell’attore e quella dello spettatore, l’obiettivo della terza sezione de L’esthetique consiste invece nel fare del soggetto percipiente delle immagini in
movimento l’oggetto peculiare del suo studio. Si tratterà quindi di vagliare
l’intera sfera delle facoltà sensibili e setacciare le dinamiche interne con
cui gli organi di senso producono l’effetto di realtà. L’estetica stessa dovrà
quindi riconfigurarsi divenendo fisiologia e psicologia della percezione, in un
orizzonte speculativo potentemente influenzato dalla ricerca dell’equazione
psico-fisica tra sensazione e stimolo corporeo operata da Fechner, dagli studi
sull’ottica di Helmholtz e dalla psicologia sperimentale di Wundt. Si costituisce così il nuovo paradigma epistemologico descritto da Jonathan Crary
in Le tecniche dell’osservatore, in cui la realtà viene ricondotta all’interno
della corporeità dello spettatore e alle dinamiche materiali della sua percezione, superando il modello rinascimentale della camera oscura che scindeva
una soggettività privatizzata dalla proiezione di un mondo esteriorizzato31.
Tra tutti i sensi corporei, quello che per Souriau diventa il più adatto
ad essere indagato è naturalmente la vista, nonostante anche il tatto sia
considerato uno strumento adeguato per una conoscenza dettagliata del
30
Ivi, p. 196.
31
Cfr. J. Crary, Le tecniche dell’osservatore. Visione e modernità nel XIX secolo, tr. it.,
Einaudi, Torino 2013.
FATA MORGANA
111
Giancarlo Grossi
movimento, tranne che per il difetto di modificare mediante il contatto la
traiettoria dell’oggetto percepito32. L’occhio invece può seguire tutte le
evoluzioni del moto senza intervenire in niente, costituendo in relazione
alla posizione dell’osservatore un campo visuale capace di determinare lo
stesso carattere estetico del dinamismo. Del campo retinico così rappresentato vengono quindi indagate tre caratteristiche principali: la sua potenza
di localizzazione del movimento, l’acutezza della visione e la persistenza
delle immagini postume nella retina dell’osservatore. In tutti questi elementi,
quello che preme più a Souriau è di costruire delle strategie di riconoscimento
della realtà del movimento isolando e analizzando le anomalie e i fenomeni
percettivi soggettivi condizionati dalla fisiologia dell’apparato visivo. Per
quanto riguarda la localizzazione, il metodo consiste nell’individuazione
di due punti luminosi stabili capaci di rendere percettibile la traslazione
dall’uno all’altro, mentre l’indecidibilità è determinata dal presentarsi di
un campo acentrato di oggetti in movimento33. Ritorna in questo campo
anche l’idea della prospettiva, ma ridefinita dai risultati della psicologia
fisiologica di Wundt in modo da essere liberata dalla sua componente idealistica e reimmersa nella dinamica delle angolazioni visuali dell’occhio
che determina zone dirette e indirette di percezione34. Ma è soprattutto nelle
parti dedicate all’acutezza visiva e alla persistenza retinica che troviamo
descrizioni dettagliate dell’esperienza delle immagini in movimento create
artificialmente dai dispositivi pre-cinematografici.
L’acutezza della vista incontra infatti due modalità opposte di percezione delle trasformazioni in atto: da una parte tende a cogliere i processi
continui ma lenti esclusivamente per frammenti separati (ad esempio la
crescita dell’erba, la rivoluzione solare e lunare); dall’altra a uniformare
in un unico flusso sensibile istantanee separate di un oggetto rappresentato
nelle diverse fasi del movimento. Questo avviene quando la successione è
accelerata in modo che l’occhio non possa catturare l’intervallo tra le diverse
apparizioni. Ad attirare Souriau verso quest’ultimo fenomeno è l’analisi
di diversi dispositivi ottici, tra i quali il disco stroboscopico di Stempfer,
il fenachistoscopio di Platau, lo zootropio. L’impressione di realtà è qui
descritta come un’esperienza surreale e febbrile:
32
P. Souriau, L’esthétique du mouvement, cit., p. 224.
33
È curioso pensare che Deleuze identificherà il cinema proprio con il flusso acentrato delle
immagini che costituiscono il piano d’immanenza. Alla base c’è la differenza radicale che si
pone tra un’estetica della forma di cui è esponente Souriau e l’ontologia del dinamismo vitale
propria di Bergson. Cfr. L’immagine-movimento, cit.
34
P. Souriau, L’esthétique du mouvement, cit., p. 229.
112
FATA MORGANA
Archeologia dell’impressione di realtà
Les igures que l’on voit dans les zootropes, et qui représentent un
objet aux diverses phases d’un mouvement, nous donnent une étrange
impression de mobilité: avec leurs gestes fébriles, saccadés, précipités, elles semblent avoir une activité surnaturelle. Cette dernière
expérience nous servira à comprendre comment une série d’images
immobiles peut nous donner l’impression du mouvement35.
Considerazioni analoghe valgono per la persistenza retinica delle immagini postume, dove un’impressione istantanea e vivace produce un’immagine
la cui durata si prolunga in un tempo superiore a quello dello stimolo che l’ha
provocata. Questo fenomeno era un oggetto privilegiato degli studi di ottica
e psicologia della visione durante l’Ottocento, come sottolineato ancora una
volta da Crary36, risultando paradigmatico di una nuova configurazione della
realtà come immanente alla fisiologia umana e alle sue dinamiche. Souriau
considera le ricerche sulla persistenza delle immagini retiniche, che impediscono una percezione netta degli oggetti in movimento, come portatrici di
cambiamenti rivoluzionari nel campo dell’estetica della rappresentazione.
Si dovrà infatti rivedere in relazione ad esse l’annosa questione di come
sia possibile esprimere efficacemente su tela il dinamismo degli oggetti in
movimento. L’arte contemporanea per Souriau abbondava infatti ancora di
errori grossolani e irreali come il galoppo di un cavallo rappresentato con
tutte le giunture ad angolo retto. L’estetologo francese non li considera più
ammissibili ora che il movimento è stato dissezionato e oggettivato dalla
fotografia istantanea, definita come «œil idéal» che dovrebbe fungere da
base per il lavoro dell’artista come strumento tecnico imprescindibile37.
Questo non vuol dire però che Souriau consideri positivamente una rappresentazione che si limiti a riprodurre meccanicamente i risultati di questa
tecnologia. Gli artisti che operano in questa direzione finiscono per offrire
opere comunque mediocri e irreali, perché non tengono conto delle condizioni concrete della visione, in cui gli oggetti in movimento non sono mai
netti come nella fotografia ma sempre accompagnati dalla scia luminosa
della persistenza delle immagini postume nella retina38. In questa direzione
l’estetologo francese sottolinea le potenzialità espressive dello schizzo, in
cui alcune parti indefinite del disegno sono in un certo senso colmate dalla
35
36
37
38
Ivi, p. 237.
Cfr. J. Crary, Le tecniche dell’osservatore, cit., pp. 102 sgg.
P. Souriau, L’esthétique du mouvement, cit., pp. 243-244.
Ivi, p. 245.
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113
Giancarlo Grossi
psicologia dell’osservatore39 che coglie in modo pieno il dinamismo della
rappresentazione40. Si sviluppa così una teoria estetica capace di unire
tanto le intuizioni allora in fieri dell’impressionismo quanto i risultati delle
nuove tecnologie cronofotografiche in un comune paradigma che fa della
fisiologia del corpo matematizzato e oggettivato dalle scienze l’unica vera
origine dell’impressione di realtà.
Lo studio di Souriau sulla percezione visiva si concentra infine sul movimento degli occhi, i quali seguono naturalmente la traiettoria degli oggetti
che esercitano una fascinazione su di essi. Lo sguardo è infatti attratto dalle
immagini in movimento, in modo tale che noi percepiamo la mobilità oculare in un modo solo indiretto, ossia secondo le figure che ci si presentano
nella traiettoria della vista. Lo spettatore risulta così soggetto ad una precisa
meccanica della suggestione, in modo tale che l’esposizione prolungata
alle immagini in movimento ne provoca una vertigine visuale che produce
sul cervello un effetto ipnotico41. Questo fenomeno è descritto come una
specie di nausea che non riesce tuttavia a vincere l’incanto dello spettacolo
visivo. Uno sforzo minimo basterebbe infatti a distogliere lo sguardo, ma la
volontà «cédant à un sort de vertige mental, à cet esprit de perversité dont
parle E. Poe»42 continua a compiacersene nonostante la sofferenza, finendo
per imporsi volontariamente l’ipnosi al suo pervenire.
Riusciamo così a delineare nello studio che Souriau fa della ricezione fisio-psicologica delle immagini dei corpi in movimento alcune delle
caratteristiche che saranno peculiari della teoria della spettatorialità cinematografica. In primo luogo si presenta la ricollocazione nella fisiologia
e nella psicologia dello spettatore dell’unificazione dei fotogrammi scissi
nella continuità unificata del movimento apparente, l’impressione di realtà.
In secondo, proprio in relazione a questa rilocazione sorge la necessità di
nuovi criteri estetici di rappresentazione del movimento che rispondano
meglio alle dinamiche senso-motorie della corporeità percipiente. Infine, si
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Si noti come la capacità dello schizzo di essere completato nelle sue lacune dalla psicologia del fruitore, che crea una continuità e unità assenti nella rappresentazione, corrisponda
pienamente all’esperienza filmica, in cui i fotogrammi assumono movimento solo in relazione
alle facoltà percettive dello spettatore.
40
P. Souriau, L’esthétique du mouvement, cit., p. 248.
41
Ivi, p. 256. All’ipnosi Souriau dedicherà pochi anni dopo un testo in cui lo studio del
fenomeno servirà come base per spiegare il potere fascinatorio delle opere d’arte, Cfr. La suggestion dans l’art, Alcan, Paris 1893. Per una ricostruzione della scena ipnotica classica e moderna
come prefigurazione, metafora e genealogia dell’esperienza spettatoriale cinematografica Cfr.
R. Eugeni, La relazione di incanto. Studi su cinema e ipnosi, Vita e Pensiero, Milano 2002.
42
P. Souriau, L’esthétique du mouvement, cit., p. 256.
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FATA MORGANA
Archeologia dell’impressione di realtà
crea un nuovo tipo di esperienza capace di imporsi al corpo dello spettatore
con un meccanismo fascinatorio e ipnotico che lo riconfigura nel ruolo di
una vittima volontaria dell’apparato. È la nascita del dispositivo cinematografico di base.
L’analisi de L’esthétique du mouvement di Paul Souriau ci è servita soprattutto a riflettere sulla positività storica in cui scaturisce l’impressione di
realtà, in un processo in cui diverse discipline, che vanno dall’estetica alla
psicologia e alla fisiologia della percezione fanno della locomozione umana
e animale l’oggetto specifico della propria analisi, trovando una base solida
della loro reciproca riconfigurazione nelle tecnologie pre-cinematografiche
di scomposizione e ricomposizione del movimento umano e della sua percezione. Il ruolo dell’estetica, nel suo tentativo di definire le condizioni
di possibilità del giudizio di gusto, assume in relazione a questo processo
nuove caratteristiche di normatività: la bellezza diventa meccanica, ed il
movimento può corrispondervi solo rispettando determinate condizioni di
efficacia ed economia delle forze in relazione alla produzione. Questa meccanizzazione estetica del corpo umano, che scaturisce dal dialogo con altre
tecnologie della corporeità quali le teorie ginniche sperimentali e lo studio
della locomozione animale, diventa così criterio di determinazione di una
soggettività adeguata ai nuovi dispositivi industriali come la divisione del
lavoro, in cui ogni gesto viene serializzato e scomposto per essere ricollocato
nel sistema produttivo.
La meccanicità non basta però a definire l’esperienza della bellezza:
l’evidenza dell’automatizzazione deve scomparire, e far posto alla fantasmagoria della spontaneità e della grazia perché il corpo mantenga pienamente
le sembianze spettacolari di una libertà intenzionale. Si stabilisce così tra
la meccanicità del movimento e la sua espressione-ricezione un nuovo paradigma esperienziale che fa del soggetto umano e delle sue facoltà il vero
oggetto calcolabile delle discipline. Ben lungi dal derivare dal modello della
camera obscura rinascimentale descritta da Baudry, in cui mondo esterno
e soggettività interiore risultavano irriducibilmente scissi, l’impressione
di realtà risulta così legata ad un’istanza che pone il reale all’interno della
conformazione fisica e psicologica della visione, che sola può fungere come
base dell’unificazione della mobilità apparente. La percezione umana diventa
così campo di conquista delle scienze e di riconfigurazione dell’estetica in
un processo di spettacolarizzazione delle discipline, dando origine ad una
nuova disposizione dello spettatore, allo stesso tempo origine e vittima
dell’esperienza ipnotica delle immagini in movimento.
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