Golem L'indispensabile - Il lettore di Varazze
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Massimo Leone
Il lettore di Varazze
Gent.mo Massimo Leone,
Le scrivo questa mia affinché Lei possa, attraverso le pagine luminescenti di "Golem l'Indispensabile", far sì che i Suoi lettori condividano, almeno in
parte, le sventure che hanno segnato la mia esistenza, ma anche la speranza che, da qualche tempo, è ritornata ad accendersi nei miei giorni.
Sin dall'infanzia alcuni misteriosi e drammatici avvenimenti parevano già indicare che io fossi nato sotto una cattiva stella. Recatomi in compagnia di mia
madre presso il più grande supermercato di Varazze durante le Feste Natalizie, fui sottratto con l'inganno alla sorveglianza della mia genitrice,
impegnata, probabilmente, a compulsare i prezzi delle zucchine e dei fagiolini.
Avvedutasi del misfatto, ella lanciò subito un grido d'allarme, così che frotte di commessi e impiegati si riversarono per ogni dove alla mia ricerca. Il
cielo volle che in quella circostanza la mia tenera vita fosse risparmiata: per fortuna, mi ritrovarono quasi immediatamente nella toilette per signore
dell'immenso centro commerciale, in compagnia di una vecchia zingara, intenta a tagliarmi i capelli con lo scopo evidente di offuscare la mia identità e
rapirmi, per poi destinarmi a chissà quale pratica illecita. Pochi mesi dopo, tuttavia, allorché mia madre, superata la paura che oramai le incutevano gli
assembramenti di persone, si recò nuovamente nel suddetto supermercato, quello stesso luogo in cui io ero scampato per miracolo alla tragedia, fece da
scenario all'orribile morte della mia sorellina, e questa volta non per mano di donna, né di uomo.
Memore delle pericolose distrazioni del passato, mia madre stringeva la piccola saldamente al seno mentre si chinava su caschi di banane e ceste di
ananas. All'improvviso, un velenosissimo serpente tropicale, sopravvissuto chissà come al trasporto della frutta esotica, si scagliò in un lampo sulla
morbida gola della mia sorellina, mordendola mortalmente.
I miei genitori ne furono disperati. Dopo qualche tempo, allora, forse desiderosi di obliare l'accaduto grazie al fascino seduttore dei paesi esotici,
cominciarono a viaggiare in lungo e in largo, ma il cambiamento di latitudine e longitudine non migliorò affatto la loro sorte. Durante una di queste
spericolate avventure, mia madre, che ricordo come una bellissima donna dalla pelle d'avorio e dagli occhi cobalto, destò l'attenzione di alcuni loschi
figuri, i quali ebbero l'ardire di chiedere a mio padre se avrebbe accettato di scambiarla per un cospicuo numero di cammelli (si trovavano, infatti, in una
qualche regione desertica). Mio padre pensò che si trattasse di una semplice spiritosaggine, ma dovette poi pagare molto cara la propria ingenuità. Un
giorno, mentre si aggiravano nel labirinto di un mercatino locale, egli si rivolse a mia madre per commentarle la bellezza di uno splendido tronchetto
della felicità, pianta esotica assai diffusa presso i climi caldi, ma scoprì con sgomento che la sua dolce metà era svanita nel nulla. La cercò
disperatamente ma invano: la polizia del luogo gli rivelò che con ogni probabilità ella era stata rapita per essere poi destinata alla tratta delle bianche,
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oppure al popoloso harem di un qualche ricchissimo emiro. Affranto, mio padre ritornò a Varazze, portando con sé in patria soltanto quello stesso
tronchetto della felicità che aveva provocato la sua disattenzione, e dunque la rovina di mia madre. Tuttavia, mai scelta fu più disgraziata. L'amara ironia
del destino volle che quello stesso amore per l'esotismo che aveva condotto alla scomparsa prima della mia sorellina, e poi di mia madre, cagionasse
anche a mio padre una fine penosa. Chi mai avrebbe potuto immaginare che proprio quel tronchetto serbava dentro di sé le uova di un aracnide mortale,
e che tale tarantola, risvegliatasi dal suo letargo, avrebbe poi iniettato il veleno letale del suo morso nel corpo di mio padre?
Così, ritrovatomi completamente orfano, fui accolto in casa di alcuni zii, sempre nella piccola cittadina di Varazze. I viaggi e i supermercati destavano in
me un panico irrefrenabile; la perdita di tante persone care mi spinse ben presto a trovare rifugio nell'alcool, e nella musica assordante delle discoteche.
Ne divenni un frequentatore assiduo.
Quasi ogni fine settimana, accompagnato da mio cugino Elio, che forse mi seguiva su pressione dei miei zii, mi recavo in uno dei tanti club notturni della
costa ligure, cercando un po' di tranquillità in mezzo al frastuono e alla confusione. Una notte, sia io che Elio adescammo (o fummo adescati? non lo
ricordo più) due giovani e bellissime fanciulle, che parevano esserci state inviate dal cielo per cancellare con i loro occhi profondi e i loro caldi sorrisi
tutte le brutture delle nostre vite. Ballammo sfrenatamente fino alle ore piccole; i loro corpi sinuosi e succintamente vestiti rispondevano armoniosamente
alle movenze dei nostri, come se quell'incontro di anime fosse stato scritto a lettere d'oro dall'inizio dei tempi. La bellezza dei loro volti, i profumi odorosi
che sprigionavano i loro capelli mossi dal vento impetuoso delle danze, ci avevano inebriati, e una buona dose di alcool nelle vene fece il resto. Certe cose
non si contrattano: la rete della danza e della seduzione aveva già formato due coppie, così che a un certo punto io ed Elio ci allontanammo, ognuno con il
proprio sogno. Non ricordo più nulla a partire da quel momento. So solo che il giorno dopo mi risvegliai disteso su di una gelida panchina di un
giardinetto di Varazze, con un dolore lancinante che mi bruciava nel fianco sinistro. Con uno sforzo titanico volsi lo sguardo verso il punto da cui
proveniva il terribile bruciore, e vi scorsi, con mia amarissima sorpresa, un lungo taglio ancora pulsante, ricucito sveltamente con pochi tratti di un rozzo
filo da sutura. Per fortuna alcuni passanti (erano le prime luci dell'alba) mi soccorsero in tempo e mi trasportarono nel più vicino ospedale. Lì i medici
confermarono un mio atroce sospetto: la bella sconosciuta che mi aveva sedotto la notte precedente non mi aveva rubato solo il cuore, ma anche uno dei
miei giovani reni.
Da un certo punto di vista, a mio cugino andò anche peggio, ma perlomeno egli poté godere appieno delle arti amatorie della sua bellissima Circe. Anche
per lui, tuttavia, il risveglio fu amarissimo: ridestatosi nella stanza di un motel, dove aveva trascorso una notte di passione con la giovane sconosciuta,
dopo un primo momento di spaesamento e dopo aver cercato invano una qualche traccia della bellissima amante (sulle prime, come mi confessò, aveva
creduto, pensi un po', che ella si fosse eclissata per una sorta di pudore), si recò nella sala da bagno per prepararsi al nuovo giorno. Fu proprio lì che
Elio poté leggere su un grande e luminoso specchio il messaggio che la seduttrice gli aveva lasciato con il proprio rossetto: "benvenuto nel paese
dell'AIDS". Egli ne rimase, naturalmente, agghiacciato, e si disperò al pensiero che la sconsiderata passione di una notte gli avesse procurato una tale
sciagura. Fortunatamente, però, i suoi timori si rivelarono infondati. Con molta probabilità, si trattò solo di un brutto scherzo, forse giocatogli
dall'amante per punirlo di essersi rifiutato di usare un preservativo.
Così, io con un rene in meno, ed Elio con tanta paura in più, smettemmo di frequentare le discoteche e di passare la notte con donne sconosciute. Ci
iscrivemmo presso l'Università di Siena. Entrambi ci dimostrammo dei cattivi studenti, ma mentre io subivo le angherie dei professori e degli odiosi
assistenti, mio cugino Elio riusciva non di rado a rendere pan per focaccia a quanti desiderassero fargli un torto. Così, mentre una volta io fui costretto a
cercare per ore il mio libretto fra i cespugli che circondano l'Ateneo (durante un esame, un sadico assistente di Semiotica delle Arti me lo aveva gettato
fuori dalla finestra, per ridicolizzarmi davanti agli altri studenti e colleghi), Elio, che aveva scelto la carriera medica, si rese invece protagonista di un
epico esame di anatomia. Interrogato sulla morfologia del sesso femminile, e incapace di rispondere adeguatamente, aveva ricevuto in dono dal docente
una banconota da 50 Euro, con l'invito di andare a controllare di persona le fattezze dei genitali muliebri. Mio cugino Elio però non si scompose di fronte
a un tale affronto, e intascata la banconota, ne consegnò a sua volta una da venti al borioso professore, rivelandogli che 50 Euro sarebbero stati eccessivi
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per richiedere i servigi di sua moglie.
Fra mille difficoltà, e a parte questi piccoli incidenti, sia io che Elio riuscimmo a laurearci. Dopo vari tentativi fallimentari, io ho trovato impiego in
un'oreficeria, mentre mio cugino ha lavorato per diversi anni come chirurgo d'urgenza presso l'ospedale di Varazze. Il fatto che egli si sia dimesso da una
tale occupazione non è che la conseguenza dell'ennesima sfortuna che ha colpito la nostra famiglia. Superato con grande sforzo il sacro timore delle
donne che gli aveva ispirato la sua avventura giovanile e il mio rene mancante, Elio aveva finalmente ricominciato a frequentare il gentil sesso, legandosi
in fidanzamento con una giovane e piacente infermiera della nostra cittadina. Pareva si trattasse di vero amore, di quello che cancella ogni diffidenza dai
cuori e consente a due persone di avere cieca fiducia l'una nell'altra. Il lavoro di mio cugino lo obbligava spesso a lunghi turni di notte, mentre la
compagna lavorava di giorno, ma nonostante a volte passassero intere settimane senza vedersi, Elio si sentiva profondamente innamorato di quella
fanciulla, e credeva con fermezza che nulla avrebbe potuto guastare il loro idillio. Fino a quella fatidica notte. Mio cugino era di turno presso l'ospedale
di Varazze quando ricevette una chiamata da un'ambulanza. All'altro capo del telefono, un medico che non conosceva gli comunicò, riuscendo a malapena
a soffocare i singulti del riso, che stavano trasportando in ospedale due amanti, i quali, forse per eccesso di ardore, erano rimasti incastrati l'uno
nell'altra, e avevano richiesto l'intervento di un medico che li aiutasse a separarsi. Anche Elio, di fronte all'idea di assistere a un tale spettacolo, non poté
non sorridere, richiamando l'attenzione di tutti i colleghi sulla delicata operazione che lo aspettava. I suoi sberleffi non proseguirono a lungo. Gli amanti
incastrati gli si presentarono come un mostro mitologico disteso su una barella, la loro vergogna occultata da un candido lenzuolo. Quando Elio ne ritirò
un lembo, riconobbe che la donna il cui corpo era selvaggiamente avvinghiato a quello dell'amante apparteneva alla sua fidanzata, la gentile infermiera
nella quale aveva riposto tutte le sue speranze.
Insomma, gentilissimo Leone, come vede la vita mia e della mia famiglia è stata funestata da un'impressionante sequela di disgrazie, lutti, incidenti,
delusioni. Ma non Le scrivo soltanto per comunicarLe il mio dolore; tutt'altro. Le invio questa mia anche per trasmettere a Lei e ai Suoi lettori una nota di
speranza. Da qualche giorno la mia triste solitudine è allietata dalla compagnia di un simpatico e buffo cagnetto, che una coppia di amici, di ritorno da un
lungo viaggio nelle Filippine, mi ha portato in dono. Le assicuro che il mio cuore si riempie di gioia quando lo vedo scodinzolare sotto la tavola
imbandita, o accovacciarsi ai piedi del mio letto. E che tenerezza, poi, desta in me questo buffa creatura quando si distende sulle mie ginocchia mentre
guardo la televisione. Certo, i vicini quando lo porto fuori al guinzaglio mi dicono che il mio cane è un po' strano, con quelle sue zampette corte corte e
quella coda lunga e stretta. Mi dicono che ha gli incisivi un po' troppo sviluppati e il pelo straordinariamente lucido e ispido. Ma io penso che la loro sia
soltanto invidia. Invece di essere contenti: ma mi dica Lei, dove lo troveranno un cane così educato che invece di abbaiare squittisce?
Gent.mo lettore di Varazze,
Innanzitutto La ringrazio per la Sua lettera, mi dolgo per gli spiacevoli accadimenti che hanno segnato la Sua vita passata e mi congratulo che il Suo futuro si
affacci su nuove prospettive di speranza (sulle quali ritornerò). Non posso tuttavia non constatare una coincidenza: la sua biografia è intessuta di ciò che gli
specialisti della comunicazione definiscono "leggende urbane o metropolitane" e "voci che corrono". Non intendo affermare che Lei abbia inventato tutto di
sana pianta, tutt'altro. Ritengo, invece, che Lei sia caduto vittima di una rara sindrome, detta appunto "di Varazze", che prende nome dal luogo che diede
illustri natali a uno dei più grandi agiografi della storia occidentale, vale a dire Jacopo da Voragine (oggi Varazze), autore della celeberrima Legenda Aurea
(del resto, i suoi frequenti riferimenti all'oreficeria m'inducevano già a sospettare che questa rara sindrome si fosse impadronita della Sua vita e della Sua
scrittura). Tuttavia, la Sua missiva mi fornisce altresì la lieta opportunità di occuparmi di un fenomeno che è di estrema importanza per la costituzione e
l'evoluzione di ciò che comunemente si denomina "l'opinione pubblica".
La diffusione di miti e leggende su vastissima scala sin da tempi remoti, oltre a farci sospettare che l'immaginazione umana non brilli proprio per fantasia
(ovvero, come sostengono gli antropologi strutturalisti, e Claude Lévi-Strauss prima di tutti, che vi siano delle costanti comuni all'immaginazione di tutti gli
esseri umani, qualsiasi siano l'epoca storica - o preistorica - e il luogo geografico in cui essi vivono), testimonia anche del fatto che, ben prima che i cosiddetti
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mezzi di comunicazione di massa moderni fossero inventati, determinati contenuti culturali (o frammenti di essi, variamente arrangiati) erano in grado di
diffondersi per spazi e tempi sterminati. L'invenzione e la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, e soprattutto di quelli elettronici, che hanno
contraddistinto l'evoluzione sociale dell'ultimo secolo in maniera sempre più decisiva, non hanno affatto eliminato i canali di comunicazione precedenti, i
quali, invece di scomparire, si sono invece evoluti sviluppando delle complesse modalità di interazione con i nuovi media.
Voci e leggende costituiscono un fenomeno comunicativo teoricamente molto interessante: pur diffondendosi attraverso una comunicazione perlopiù da punto
a punto (senza passare, cioè, da forme di broadcasting come quelle offerte dalla radio o dalla televisione), conseguono una larghissima popolarità, che
travalica sovente i confini geopolitici o generazionali. Nonostante ciò, gli studiosi che abbiano dedicato le loro ricerche scientifiche a questi modi di
costruzione del tessuto connettivo culturale non sono numerosi. Al di là delle innumerevoli raccolte pubblicate più che altro per divertire il lettore , o
l'ascoltatore sono soprattutto gli specialisti della comunicazione orale, vale a dire gli antropologi, i sociologi e gli psicologi della comunicazione, che hanno
dedicato a questo tema l'interesse più spiccato. Naturalmente, ogni disciplina ha manifestato una palese tendenza a proiettare sull'argomento i propri
preconcetti metodologici: gli antropologi hanno spesso letto le leggende metropolitane in chiave di costanti dell'immaginario umano e così pure hanno fatto gli
psicologi junghiani , ravvisandovi un'inclinazione a stigmatizzare come mostruoso o deleterio tutto ciò che è altro, diverso, esotico rispetto a una certa cultura,
mentre i sociologi si sono occupati essenzialmente delle dinamiche d'interazione sociale che regolano la circolazione di queste forme bizzarre della
comunicazione .
Gli uni e gli altri hanno immancabilmente lamentato le ardue difficoltà che accompagnano uno studio di questa comunicazione residuale: per sua natura
mutevole, flessibile, erratica, essa sfugge a uno studio sistematico e alla creazione di un repertorio esaustivo. D'altra parte, una nuova e approfondita analisi
delle leggende urbane e delle voci che corrono (anche alla luce di prospettive metodologiche e disciplinari alternative) si rende oggi più che mai necessaria,
per almeno due motivi. L'uno riguarda i mezzi attraverso cui tali contenuti culturali circolano (ammesso che l'immagine del cerchio ne catturi
appropriatamente le dinamiche di diffusione - forse bisognerebbe adottare geometrie meno regolari, più caotiche); negli ultimi anni (ma probabilmente lo
sviluppo tecnologico in questo campo è così frenetico che si può persino parlare degli ultimi mesi) i mezzi di comunicazione di massa elettronici hanno
manifestato un'inclinazione alla personalizzazione, alla miniaturizzazione e alla mobilità (non per niente, il telefono cellulare, che incarna a perfezione e nella
stessa tecnologia tutti e tre questi valori, è forse il vero protagonista del panorama mediatico contemporaneo). Ebbene, questa tendenza ha fatto sì che la
tecnologia si mettesse in un certo senso al servizio degli antichi canali della comunicazione di massa (il correre delle voci, delle leggende urbane, etc.),
potenziandone a dismisura la rapidità di diffusione. Scagli la prima pietra chi non ha ricevuto o inviato una storiella divertente durante queste ultime feste,
magari su un Babbo Natale che ruba i doni invece di consegnarli, e la cui fisionomia assomiglia in modo sospetto a quella del Primo Ministro. E saranno
moltissimi anche coloro che hanno ricevuto versioni leggermente modificate della stessa storia, magari con varianti lessicali a seconda della regione di
provenienza - ad esempio, Babbo Natale "ciula" i doni al Nord, mentre al Sud li "fotte"... -, a dimostrazione del fatto che spesso questi contenuti culturali
anomali subiscono una considerevole modificazione a ogni nuova tappa del loro infinito peregrinare; e non saranno pochi, infine, coloro che avranno ricevuto
lo stesso messaggio più volte, o che lo avranno inviato a qualcuno che già lo conosceva (segno della bizzarria che contraddistingue la distribuzione di queste
particelle di contenuto, ma anche dell'enfasi che esse possono acquisire in seguito a un surplus di circolazione).
Il secondo punto che dovrebbe incoraggiare lo studio delle voci e delle leggende metropolitane è più complesso, ma forse anche di decisiva importanza. La
struttura che regola il funzionamento semiotico delle leggende metropolitane o delle voci che corrono (ad esempio, quelle che caratterizzano sempre più il
calcio-mercato europeo e non) è molto simile ai meccanismi che contraddistinguono la comunicazione in molti altri ambiti, che non sono solo quelli, per lo più
frivoli, della chiacchiera sportiva, delle tendenze di moda (ma quali interessi economici dietro queste voci!), delle storielle piccanti, delle barzellette o delle
parolacce (contenuti che esulano solitamente dai circuiti "ufficiali" della comunicazione), ma anche il modo in cui gli individui si appropriano di determinate
particelle di sapere in settori molto meno marginali della vita sociale, e soprattutto in quelli della politica e dell'economia.
Quasi tutti gli antropologi (e, occorre ammetterlo, anche diversi "esperti" di comunicazione) non si sono accorti del fatto che voci e leggende non proliferano
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isolate in una dimensione neo-orale della comunicazione, in cui l'etnologo debba di volta in volta calarsi per fotografarne i contenuti così come farebbe con un
gruppo umano in via di estinzione. Al contrario queste dinamiche caotiche e informali della comunicazione contemporanea non solo interagiscono con i mezzi
di comunicazione di massa elettronici e non (radio, giornali, televisione): essi finiscono molto spesso per condizionarli o addirittura per scavalcarli tout court.
Questa sostanziale anarchia delle voci che corrono può avere effetti deleteri o benefici, a seconda delle circostanze (e dei punti di vista). Nell'ambito
finanziario, per esempio, non è certo un caso che la tendenza al rialzo e quella al ribasso del mercato borsistico siano rappresentati da due animali
(rispettivamente, l'orso e il toro, dalla postura che essi assumono quando attaccano il nemico): in effetti, al di là dell'immagine tranquillizzante che vorrebbe
trasmetterci la meteorologia della finanza, con le sue maniacali misurazioni e i suoi articolati rilevamenti, l'oggetto di cui essa si occupa, ovverosia lo stato e le
tendenze del mercato, non mostrano un comportamento molto più stabile di quello di un animale feroce, ovvero dell'oggetto proprio della meteorologia, vale a
dire le nuvole (e se ne ha un'amara conferma nei periodi di burrasca). Lo stesso dicasi per le attitudini al consumo che il marketing cerca di imprigionare nella
sua cabala al fine di volgerle al proprio favore. La scienza delle nuvole si è spesso affidata a nuovi modelli matematici (la matematica del caos, quella dei
frattali) per prevedere il comportamento dei suoi oggetti, ma coloro che intendano controllare l'andamento dei mercati di ogni tipo dovranno ricorrere ad armi
più sofisticate. In particolare, essi avranno bisogno di un modello che tenga conto del modo in cui particelle di sapere (e quindi le emozioni che esse possono
scatenare) si diffondono da persona a persona, adottando non di rado canali e modalità di trasmissione che non sono quelli studiati dagli analisti dei mass
media classici ma quelli che contraddistinguono, appunto, il propagarsi delle voci e delle leggende urbane. Da questo punto di vista, le scienze dell'economia e
della finanza trarrebbero un enorme profitto dal distogliere almeno per una volta il proprio sguardo dalle discipline dei numeri per rivolgerlo, sia pure
brevemente, verso quello delle lettere. Si pensi ad esempio a come la semiotica cerca di spiegare la diffusione di certi contenuti culturali attraverso il concetto
di contagio, o al modo in cui alcuni filosofi del linguaggio sono in procinto di costruire un modello epidemiologico della cultura, in cui le idee e le emozioni si
trasmettono da individuo a individuo come se si trattasse di un virus .
Gli studiosi di comunicazione (oltre che i classici della drammaturgia d'ogni epoca, dalla Grecia arcaica sino a Shakespeare e oltre) sanno inoltre che esiste
un'arte, delicata e rischiosa, di controllare le voci e le leggende, tessendone i fili sottili proprio come fece con le sue dita dorate Jacopo da Voragine diversi
secoli or sono. Nella politica, nell'economia, nella moda, nello spettacolo, saper gestire il formarsi, il correre, lo svanire delle voci è di radicale importanza.
Tuttavia, il carattere anarcoide di queste forme di comunicazione risiede anche nel fatto che esse non si lasciano mai catturare completamente. Il loro
carattere sfuggente, volatile e residuale sfugge a un dominio completo. Da questo punto di vista, uno studio approfondito del modo in cui circolano le voci o
le leggende metropolitane è fondamentale anche per quelle società in cui l'informazione ufficiale o istituzionale, quella che passa attraverso i canali
convenzionali della comunicazione, è sottoposta a vincoli molto restrittivi, dettati da regimi dittatoriali (si ricordi come il fascismo intimasse a tutti di tacere,
perché il nemico era in ascolto: in realtà il nemico temuto dai gerarchi mussoliniani era il libero circolare delle voci, il formarsi di un'opinione pubblica
alternativa rispetto a quella della propaganda governativa) oppure da situazioni di oligopolio o monopolio dell'informazione.
Cordialmente, e con i miei migliori auguri per il suo nuovo amico a quattro zampe,
Leone Massimo
Note
1. Si legga per esempio Cancellieri, Titta (1993) E se capitasse a te?, Roma-Napoli: Edizioni Theoria.
2. "Elio", cfr. "Mio Cuggino" di Elio e le storie tese.
3. Fra i contributi migliori, segnalo Bonato, Laura (1998) Trapianti sesso angosce - Leggende metropolitane in Italia, Roma, Meltemi; nel testo si analizza un
corpus di leggende metropolitane trascritte a partire da interviste effettuate a un pubblico italiano (prevalentemente studentesco) e divise in varie categorie
(rapimenti, espianti e commercio di organi; vizi privati e pubbliche umiliazioni; i nuovi untori; storie del mondo studentesco; il ritorno dei morti; strani
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ingredienti; animali e piante); segnalo anche la vastissima opera di Jan Harold Brunvand (autore anche di una Encyclopedia of Urban Legends, Santa
Barbara: ABC-Clio, 2001, dalla cui lettura si evince che i contenuti delle leggende metropolitane trasmigrano facilmente da un continente all'altro).
4. Da questo punto di vista, cfr il celebre studio di Jean-Noël Kapferer(1987) Rumeurs, Parigi, Seuil, trad. it. Laura Guarino (1988) Le voci che corrono,
Milano: Longanesi.
5. Così come in un film hollywoodiano di discreto successo che s'intitola, appunto, Urban Legend, diretto da Jamie Blanks nel 1998.
6. Cfr. Manetti, Giovanni (2003) Il contagio e i suoi simboli, Pisa: ETS e Sperber, Dan (1996) La contagion des idées: théorie naturaliste de la culture,
Parigi: O. Jacob, trad. it. Gloria Origgi (1999) Il contagio delle idee: teoria naturalistica della cultura, Milano: Feltrinelli.
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