GIURISPRUDENZA . COMUNITÀ EUROPEE
n
Libera prestazione di servizi
L’esercizio privato di funzioni
amministrative comunitarie
Corte di giustizia Ce, sez. I, 29 novembre 2007, causa C-393/05 - Commissione delle Comunità europee
c. Repubblica d’Austria
Richiedendo ad organismi privati riconosciuti in un altro Stato membro di disporre di uno stabilimento
nel territorio austriaco per potervi fornire prestazioni di controllo, la Repubblica d’Austria è venuta meno
agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell’art. 49 Ce.
Omissis.
IL COMMENTO
di Dario Bevilacqua
Con questa decisione, la Corte di giustizia delle Comunità europee ha seguito il precedente orientamento
giurisprudenziale secondo cui la nozione di pubblica
amministrazione deve essere intesa in senso restrittivo
e funzionale al perseguimento degli obiettivi che orientano l’ordinamento europeo. Ha cosı̀ sancito che una
prassi amministrativa nazionale che subordini l’esercizio di un’attività di controllo e certificazione di prodotti biologici all’obbligo di disporre di uno stabilimento
nello Stato in questione contrasta con la libertà fondamentale di prestazione di servizi a meno che non si
provi una specifica e concreta attività di esercizio di
poteri pubblici. Gli organismi di controllo dei prodotti
biologici, ancorché volti alla cura concreta di interessi
generali, non sono configurabili, stando all’interpretazione della Corte di giustizia delle Comunità europee,
come figure soggettive facenti parte della pubblica amministrazione di un Paese membro. Questi, operando in
un regime di mercato unico, possono esercitare la propria attività su tutta l’area europea anche in assenza
di una stabile organizzazione sul territorio degli Stati
ove operano, con l’unico limite di conformarsi alla disciplina comunitaria che regola la materia.
Introduzione
In questa sentenza, la Corte di giustizia delle Comunità europee (di seguito la Corte o Cdg) si pronuncia
sulla nozione comunitaria di pubblica amministrazione della quale ribadisce il carattere funzionale (1) orientato
dai principi di ragionevolezza e proporzionalità - e sulle
eccezioni di interesse generale alle libertà fondamentali
della Comunità, anch’esse sottoposte ad un sindacato
giurisdizionale che valuti, di volta in volta, la necessa-
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rietà di una misura restrittiva tesa a tutelare beni giuridici di interesse generale.
Con la sua pronuncia, la Corte ha confermato la
propria «vocazione di organo motore dell’integrazione» (2) amministrativa europea e ha offerto un ulterioNote:
(1) Sul tema la dottrina è cospicua. Gli studiosi che si sono dedicati all’esame della nozione comunitaria di pubblica amministrazione hanno posto
l’accento sul suo carattere funzionale ed elastico e su un’interpretazione teleologicamente orientata al perseguimento dei diritti fondamentali della
Comunità. Tale prospettiva ha seguito un approccio restrittivo nel definire la pubblica amministrazione come una deroga alle libertà fondamentali
sancite dal Trattato istitutivo della Comunità europea. All’opposto, in tema di organismo di diritto pubblico, la Corte si è fondata su un orientamento che definiremmo espansivo e basato su criteri generali, al fine di
garantire il rispetto dei principi d’imparzialità e d’eguaglianza in modo uniforme e ad un maggior numero di soggetti. Sulla nozione comunitaria di
pubblica amministrazione in generale si veda, in special modo, S. Cassese,
Una nozione comunitaria di pubblica amministrazione, in questa Rivista, 1996,
10, 915-923; Id, Stato-Nazione e funzione pubblica, in questa Rivista,
1997, 1, 88; M.P. Chiti, Diritto amministrativo europeo, Milano, 2004, 265
ss. Sul carattere di nozione funzionale della pubblica amministrazione e
sugli effetti di tale definizione nei confronti degli apparati amministrativi
nazionali si rinvia, per tutti, a S. Cassese, Le basi costituzionali, in S. Cassese (a cura di) Trattato di diritto amministrativo, Milano, 2003, 180 ss. e S.
Cogliani, La nozione di pubblica amministrazione tra diritto interno e diritto comunitario, in questa Rivista, 2000, 10, 975-982. Sulla nozione estesa di
pubblica amministrazione, con riferimento all’organismo di diritto pubblico, e sulle diverse nozioni adoperate dalla Corte di giustizia in varie pronunce, è utile consultare M.P. Chiti, The EC Notion of Public Administration: The Case of the Bodies Governed by Public Law, in European Public
Law, 2002, 473 ss.; Id, L’organismo di diritto pubblico e La nozione comunitaria di pubblica amministrazione, in Associazione italiana dei professori di diritto
amministrativo, Annuario 1999-2000, Collana «Seminari-Conferenze Spisa» n. 19, 7 ss.; J.A. Moreno Molina, Le distinte nozioni comunitarie di pubblica amministrazione, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 1998,
562 ss.; A. Sciortino, Qualche osservazione sulla nozione di pubblica amministrazione nell’ordinamento comunitario in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 1994, 2, 389-406.
(2) S. Cassese, Stato-Nazione, cit., 88.
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re contributo a tale orientamento: limitando la nozione
di pubblica amministrazione e subordinandola alle libertà fondamentali dell’acquis communautaire, ha sottratto
alcune figure soggettive private esercenti attività amministrativa (gli organismi di controllo dei prodotti da
agricoltura biologica) al regime pubblicistico dello Stato
di riferimento. In tal modo il giudice europeo ha, seppur
indirettamente e in modo implicito, affidato agli organismi di controllo un ruolo di soggetti attivi che, operando come figure private in un regime di mercato, svolgono funzioni amministrative per conto dell’Unione europea. Come si vedrà, questi ultimi, non facendo parte
dell’amministrazione degli Stati, ma svolgendo comunque attività autoritative dirette alla cura di interessi
pubblici comunitari, sono assoggettati ad una disciplina
pubblicistica europea e funzionalizzati alla cura concreta
e specifica di interessi generali riconosciuti nell’ordinamento comunitario.
Dopo aver brevemente riassunto il caso deciso dalla
Cdg si esamineranno le conclusioni dei giudici riguardo
alla nozione comunitaria di pubblica amministrazione.
Ciò consentirà, quindi, di soffermarsi sugli effetti e sulla
ratio della decisione della Corte - che implicitamente
ammette che soggetti privati agiscano in funzione dell’amministrazione comunitaria - approfondendo le tematiche dell’integrazione amministrativa europea e dell’affermazione dei principi di equivalenza, ragionevolezza
e proporzionalità come propulsori dello sviluppo del diritto amministrativo comune dell’Unione.
Il caso
Il regolamento Ce n. 2092/91 (3) dispone i requisiti
e le procedure necessarie perché un operatore possa produrre e commerciare beni recanti l’indicazione, ad
esempio in etichetta, che attesti l’utilizzo di un metodo
di produzione biologico (descritto agli artt. 6 e 7 del Regolamento). Poiché la denominazione deve necessariamente basarsi sul conseguimento di determinati requisiti
che vanno accertati da appositi organismi, il Regolamento prevede, a tale fine, che gli Stati membri istituiscano un sistema di controllo gestito da una o più autorità designate e/o da organismi privati riconosciuti ai
quali gli operatori che producono, preparano o importano da paesi terzi i prodotti di cui all’articolo 1 debbono
essere soggetti (art. 9).
In Austria il sistema di controlli dei prodotti da agricoltura biologica è affidato ad organismi privati. Ai sensi della legge sui prodotti alimentari del 1975 (Lebensmittelgesetz 1975, BGBl. n. 86/1975), questi, per l’esercizio dell’attività di controllo loro attribuita, debbono
avere uno stabilimento o un’infrastruttura permanente
sul territorio austriaco.
Secondo la Commissione europea, il requisito imposto dalla norma citata è in contrasto con il principio
della libera circolazione dei servizi sancito dall’art. 49
del Trattato Ce in quanto impedisce, o rende maggiormente difficoltoso, agli organismi privati stabiliti in altri
Stati membri di fornire servizi alternativi di controllo
sul territorio austriaco. La Corte di Giustizia - adita dall’esecutivo comunitario con ricorso per infrazione ai
sensi dell’art. 226 del Trattato - ne accoglie le istanze,
dichiarando la Repubblica austriaca responsabile della
violazione dell’art. 49 Ce. I giudici comunitari considerano non fondate le due motivazioni addotte dalla convenuta a difesa della normativa nazionale, ossia le eccezioni consistenti nel combinato disposto degli artt. 45 e
55 Trattato Ce e nell’esigenza di assicurare un’elevata
tutela dei consumatori. La difesa austriaca non nega
che la misura interna sia idonea ad ostacolare la libera
prestazione di servizi (punto 22), ma cerca di dimostrare
che la stessa possa essere giustificata dalle deroghe previste dal diritto comunitario.
In primo luogo, si afferma che l’attività di controllo
dei prodotti biologici rientrerebbe tra le attività che costituiscono una partecipazione diretta e specifica ai pubblici poteri. Tali attività, com’è noto, possono giustificare una restrizione alla libera prestazione dei servizi ai
sensi degli artt. 45 e 55 del Trattato Ce. La Corte rileva
però che nel caso di specie l’attività svolta dagli organismi privati non può essere considerata una partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei pubblici poteri, dato il ruolo ausiliario e preparatorio che tali organismi
hanno rispetto all’autorità di sorveglianza. L’argomento
sarà più specificamente analizzato nel paragrafo seguente.
In secondo luogo, la tesi difensiva tenta di giustificare la restrizione alla libera prestazione di servizi con l’esigenza di assicurare un’elevata tutela dei consumatori,
giacché la presenza di un’infrastruttura permanente sul
territorio austriaco garantirebbe alle autorità nazionali
l’esercizio di un più efficace potere di controllo.
In merito a tale ultima censura i giudici di Lussemburgo osservano che, benché la libertà di circolazione
possa cedere il passo alle esigenze di tutela dei consumatori, va parimenti assicurato che le misure adottate siano proporzionate, limitandosi alle sole restrizioni necessarie al perseguimento dell’interesse in questione (4).
Per misurare la necessarietà dell’eccezione austriaca, la
Corte fa riferimento proprio al Regolamento n. 2092
Note:
(3) Regolamento (Cee) n. 2092/91 del Consiglio del 24 giugno 1991 relativo al metodo di produzione biologico di prodotti agricoli e alla indicazione di tale metodo sui prodotti agricoli e sulle derrate alimentari, (GU
L 198 del 22 luglio 1991), disponibile in Internet al sito http://eur-lex.europa.eu.
(4) Il principio di proporzionalità è qui inteso in un’accezione che si richiama al concetto di necessarietà della misura: essa deve essere necessaria,
nel senso che, rispetto ad essa, non devono presentarsi alternative, ugualmente percorribili, capaci di comportare un minor sacrificio alla sfera giuridica del destinatario della misura. Sull’interpretazione del principio di
proporzionalità si dirà infra e per un’interessante tripartizione dello stesso
principio si rinvia a M. Sollini, Il principio di precauzione nella disciplina comunitaria della sicurezza alimentare. Profili critico-riocostruttivi, Milano, 2006,
78-79, che lo scompone in tre sottocategorie: appropriatezza, necessarietà
e adeguatezza.
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che prescrive i criteri minimi di sorveglianza pubblica
degli organismi di controllo, preposti, inter alia, ad assicurare che sia salvaguardato l’affidamento dei consumatori. Siffatti criteri si applicano in tutti gli Stati membri
in modo da garantire che un soggetto riconosciuto in
uno Stato ed ivi esercente prestazioni di controllo assicuri una tutela uniforme e coerente con gli standard
adottati in tutto il territorio europeo (punto 55).
Dal ragionamento svolto dalla Corte il principio di
proporzionalità e la comunitarizzazione di determinate
finalità e funzioni attribuite a figure soggettive nazionali
appaiono strettamente collegati. L’imposizione dell’obbligo di stabilimento nel Paese di destinazione al fine di
assicurare una migliore tutela dei consumatori costituisce una misura irragionevole e sproporzionata perché
eccede nei sacrifici che impone per raggiungere lo scopo
di tale misura. Quest’ultima è reputata non necessaria
se si considera il grado di uniformità assicurato sia dalle
disposizioni del Trattato che prescrivono un’elevata tutela dei consumatori, sia dalla normativa secondaria che
individua, in modo dettagliato, i requisiti necessari a garantire un controllo e una certificazione adeguati dei
prodotti commerciati con la denominazione «biologico» (5).
Sulla base dei ragionamenti esposti, la Corte dichiara
che l’Austria è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell’art. 49 e sancisce, quindi, la facoltà per gli organismi di controllo privati di esercitare la
propria attività su tutto il territorio europeo senza vederla limitata dal requisito di un necessario stabilimento
presso gli Stati in cui operano.
La nozione funzionale e necessaria
di pubblica amministrazione
Come rilevato dalla Corte (punto 28 della decisione), è il Regolamento n. 2092 del 1991 che stabilisce
la procedura e le condizioni per il riconoscimento degli
organismi privati, le modalità di controllo che questi
devono applicare, nonché il procedimento di sorveglianza cui essi stessi sono assoggettati nello Stato membro di riconoscimento. Il regolamento citato non prescrive alcun criterio rigido in merito alla natura giuridica e all’organizzazione dei soggetti nazionali competenti,
né si pronuncia sull’eventuale fornitura di prestazioni di
controllo da parte di organismi privati in uno Stato
membro diverso da quello in cui sono stati riconosciuti.
Con riferimento a tali due ultimi aspetti, può dirsi
che la disciplina non è integralmente armonizzata: il legislatore europeo ha lasciato una limitata discrezionalità
a favore degli Stati, aventi la facoltà di determinare le
condizioni e le strutture per l’esercizio delle attività pertinenti, purché queste siano attuate in osservanza delle
libertà e dei principi fondamentali dell’ordinamento europeo e delle disposizioni contenute nello stesso Regolamento n. 2092.
Nel caso di cui si tratta, il requisito di possedere uno
stabilimento su suolo austriaco, imposto agli organismi
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di controllo dalla legge di tale Paese come condizione
necessaria per poter esercitare la loro attività, rientra tra
le facoltà concesse alle istituzioni degli Stati membri.
Tuttavia, rendendo maggiormente gravose le attività
esercitate dai competenti soggetti privati provenienti da
un altro Paese dell’Unione europea, il requisito imposto
dalla Lebensmittelgesetz del 1975 risulta in contrasto con
la libertà di cui all’articolo 49 del Trattato Ce. La Corte
ha dovuto verificare se tale obbligo potesse essere giustificato come eccezione alla suddetta libertà fondamentale ai sensi del combinato disposto degli articoli 45 e 55
del Trattato Ce. Questi prevedono che le disposizioni
concernenti la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi non si applichino a quelle attività che
nell’ordinamento di uno Stato membro «partecipano,
sia pure occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri».
In proposito la Corte - richiamandosi al principio di
proporzionalità come criterio per valutare la necessarietà
di una misura normativa (6) - rammenta che «l’art. 55
Ce, in combinato disposto con l’art. 45, primo comma,
Ce, ponendo una deroga alla regola fondamentale della
libera prestazione dei servizi, deve essere interpretato in
modo che la sua portata si limiti a quanto è strettamente
necessario per tutelare gli interessi che esso permette agli
Stati membri di proteggere» (punto 35, corsivo aggiunto). La Corte continua sostenendo che «secondo una
giurisprudenza costante, la deroga prevista dai detti articoli va limitata alle attività che costituiscono una partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei pubblici poteri considerate di per sé (...); i meri compiti ausiliari e
preparatori nei confronti di un ente il quale, dal canto
suo, effettivamente esercita pubblici poteri adottando la
decisione finale, non possono, dunque, essere considerati una partecipazione all’esercizio dei pubblici poteri ai
sensi di tale deroga» (punto 36).
Secondo la ricostruzione fornita dai giudici comuniNote:
(5) L’armonizzazione del settore in oggetto è indiscussa per ciò che concerne le merci. Si prevede, infatti, che i beni indicati all’art. 1 del Regolamento n. 2092 del 1991 siano commerciati liberamente nel territorio europeo: uno Stato membro non può opporsi ai prodotti biologici commerciati da operatori di un altro Stato membro e recanti una denominazione
ottenuta dai rispettivi organismi di controllo finché risulti rispettato il suddetto Regolamento comunitario n. 2092. La medesima ratio deve pertanto rinvenirsi nel procedimento che regola l’attribuzione della denominazione dei beni in questione: le modalità di controllo sulle produzioni debbono seguire un criterio omogeneo e coerente, ispirato al mutuo riconoscimento e ai principi comuni. Nel caso in commento l’Austria, invece
di imporre il più gravoso requisito dello stabilimento su suolo nazionale,
avrebbe potuto chiedere agli organismi di controllo provenienti dalla Germania, come condizione preliminare di ogni prestazione, la prova di disporre di un’autorizzazione nonché delle infrastrutture e del personale necessari per eseguire le prestazioni che intendevano fornire nel territorio
austriaco. Gli Stati membri dispongono, inoltre, del potere di segnalare alle autorità nazionali competenti a vigilare sugli organismi privati eventuali
irregolarità da questi commesse (punti 58 e 59).
(6) Sul principio di proporzionalità nella sua accezione di principio di necessarietà si veda nota 4.
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tari al punto 41 può dirsi che sebbene l’attività degli organismi privati non si limiti ad una mera organizzazione
di controlli di conformità dei prodotti da agricoltura
biologica, ma comprenda anche il potere di emanare
sanzioni e conferire certificati, è proprio il regolamento
n. 2092/91 a prevedere che detti organismi siano «assorbiti» dalle autorità pubbliche competenti: all’art. 9, n.
4, la norma assoggetta gli organismi privati alla sorveglianza di queste ultime e, al paragrafo 6 dello stesso articolo, precisa altresı̀ le modalità con cui tale attività va
esercitata. In conclusione, emerge che l’esercizio specifico e concreto di poteri pubblici spetta formalmente alle
autorità pubbliche austriache (i Landeshauptmänner) che
risultano responsabili dei controlli e delle decisioni,
mentre gli organismi privati dispongono «solo di una
competenza propositiva». Il ruolo ausiliario e preparatorio, attribuito agli organismi privati dallo stesso Regolamento n. 2092 del 1991, «non può essere considerato
una partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei
pubblici poteri ai sensi dell’art. 55 Ce in combinato disposto con l’art. 45, primo comma, Ce» (punto 42).
La nozione di pubblica amministrazione fornita dalla
Cdg nella decisione in commento è in continuum con il
precedente orientamento offerto dalla giurisdizione comunitaria in tema di eccezioni alle libertà fondamentali (7) e presenta alcuni elementi caratteristici che è utile elencare: si tratta di una definizione funzionale e restrittiva preclusa alle interpretazioni delle autorità statali (8); si rifà al principio di proporzionalità; si basa sulla
necessaria coesistenza dei due requisiti identificativi dell’esercizio di pubblici poteri e della cura concreta di interessi pubblici (9); è volta ad evitare che siano indebitamente limitate le libertà fondamentali del trattato.
Proporzionalità e nozione
di pubblica amministrazione
L’interpretazione adottata dai giudici comunitari segue un approccio ispirato al criterio secondo cui le misure che limitano o restringono il mercato unico debbono essere necessariamente proporzionate. Ciò sta a significare che queste, in primo luogo, dovranno costituire l’unica alternativa possibile per perseguire un determinato obiettivo con il minor sacrificio per gli altri interessi coinvolti; in secondo luogo, dovranno essere appropriate a raggiungere le finalità per cui sono state
emanate e, nel contempo, essere in grado di determinare un rapporto di ragionevole contemperamento tra l’obiettivo perseguito ed il sacrificio imposto al destinatario
della misura.
Il principio di proporzionalità (10) svolge da criterio
guida per ribadire che nella definizione comunitaria di
pubblica amministrazione occorre adottare un approccio
funzionale secondo cui l’eccezione alle libertà fondamentali dovuta all’esercizio di pubblici poteri può essere
giustificata ed è comunque limitata solo a quanto è
strettamente necessario per tutelare gli interessi che
l’art. 55 del Trattato permette agli Stati membri di proteggere (punto 35).
Più che per le sue caratteristiche sostanziali, la pubblica amministrazione si configura per le sue funzioni (11) e per le finalità che è chiamata a perseguire. EsNote:
(7) Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 21 giugno 1974,
Causa 2-74, Jean Reyners c. Regno del Belgio, rinvio pregiudiziale; sentenza 2 luglio 1996, Causa C-473/93, Commissione c. Granducato di
Lussemburgo; Causa C-174/94 Commissione c. Regno del Belgio; Causa
C-290/94, Commissione c. Repubblica Ellenica; sentenza del 5 ottobre
1994, Causa C-55/93, Criminal proceedings against Johannes Gerrit Cornelis
van Schaik; sentenza 11 dicembre 1997, Causa C-55/96, Job Centre coop.
a r.l.; sentenza 29 ottobre 1998, Causa C-114/97 Commissione c. Spagna;
sentenza 9 marzo 2000, Causa C355/98, Commissione c. Regno del Belgio; sentenza 17 gennaio 2008, Causa C-105/07, N.V. Lammers & Van
Cleeff contro Belgische Staat.
(8) Cosı̀ S. Cassese, Stato-nazione, cit., 88.
(9) Ibidem; S. Cogliani, La nozione di pubblica amministrazione, cit., 979.
(10) Il principio di proporzionalità deve essere applicato dalle autorità europee e nazionali, tenendo in considerazione tutti gli interessi confliggenti.
In tal senso si veda il «Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità» del 1997 annesso al Trattato di Amsterdam
che modifica il trattato sull’Unione europea, i trattati che istituiscono le
Comunità europee e alcuni atti connessi, Gazzetta ufficiale n. C 340 del
10 novembre 1997, consultabile in Internet a http://eur-lex.europa.eu. Qui
si legge, all’art. 1, che «ciascuna istituzione assicura, nell’esercizio delle sue
competenze, (...) il rispetto del principio della proporzionalità, secondo il
quale l’azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il
raggiungimento degli obiettivi del trattato». Nella regolazione ambientale,
ad esempio, la proporzione deve essere mantenuta tra il perseguimento
degli obiettivi del mercato unico e la tutela ambientale, tra le politiche
nazionali e l’armonizzazione regionale. Un’indicazione di tale meccanismo
si rinviene nell’art. 5 del Trattato istitutivo della Comunità europea, che
recita: «la Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal presente trattato», cosı̀ le
«measures based on the precautionary principle should be proportional to the
chosen level of protection», J. H. Jans, European Environmental Law, Groningen, Europa Law Publishing, 2000, 33. È opinione comune che il principio in questione sia di origine e di applicazione giurisprudenziale. Si rinvia, pertanto, alle Sentenze della Corte di Giustizia 11 luglio 1989, Schräder, in causa C-265/87, in Racc. 1989, I-2237, § 24 e 13 novembre 1990,
Federa, in causa C-331/88, in Racc. 1990, I-4029, § 13. Più di recente si
è pronunciato il Tribunale di primo grado, con sentenza del 28 giugno
2005, Industrias Quı̀micas del Vallés c. Commissione, in causa T-158/03. In
dottrina, si veda D. De Pretis, La giustizia amministrativa, in G. Napolitano, (a cura di), Diritto amministrativo comparato, Milano, Giuffré, 2007,
309: «il controllo di proporzionalità vero e proprio, mutuato dal sistema
tedesco, entra con forza e in maniera generalizzata nell’ordinamento francese e, insieme, in tutti gli altri ordinamenti europei ad opera della giurisprudenza della Corte di giustizia, che lo impone ai giudici nazionali come
parametro di controllo dell’attività amministrativa discrezionale, quando
essa sia alternativa del diritto comunitario». Per un approfondimento ulteriore si rinvia anche a G. Anschütz, Kritische Studien zur Lehre vom Rechtssatz und formellen Gesetz, Leipzig, 1891, 53; M.C. Ciciriello, Il principio di
proporzionalità nel diritto comunitario, Napoli, Editoriale scientifica, 1999; e
E. Cannizzaro, Il principio della proporzionalità nell’ordinamento internazionale,
Milano, 2000. Sul principio di proporzionalità, in quanto indissolubilmente connesso al tema della mitezza, che con sempre maggiore frequenza caratterizza il diritto amministrativo attuale, si veda R. Ferrara, Introduzione
al diritto amministrativo, Roma-Bari, 2006, 181 e ss.
(11) L’orientamento della Corte si conforma alla dottrina che in Italia
deve la sua diffusione a Massimo Severo Giannini e per la quale sono le
funzioni a determinare l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni. Si veda M.S. Giannini, In principio sono le funzioni, in Amministrazione civile, II, 1959, n. 23, 11 ss. ora in Scritti (1955 - 1962), vol. 4,
2004, 719 ss.
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sa è quindi subordinata non solo al diritto positivo - e
non solo a quello nazionale - che assume spesso una veste indefinita o vaga ed è composto di principi o regole
generali, ma anche alla ragionevolezza e ad una coerenza teleologica individuabile caso per caso dai giudici comunitari. Seguendo tale orientamento, si ha pubblica
amministrazione solo ove essa sia assolutamente necessaria a tutelare determinati interessi di rilievo pubblicistico, lasciando, in via residuale, che sia invece il mercato e la negoziazione tra privati a regolare le restanti
attività. Mediante un sindacato attento alle questioni di
ragionevolezza e proporzionalità, il giudice comunitario
verifica se la misura contestata comporta il minor nocumento agli interessi pubblici primari della Comunità, e
si adegua, tramite un contributo costitutivo, alla mitezza
o fluidità (12) che caratterizza l’ordinamento europeo (13).
Con riferimento all’analisi specifica degli organismi
dibattuti nella controversia, si deve notare che l’approccio ermeneutico adottato dalla Corte non muta in senso sostanziale la loro natura giuridica (14), poiché trattasi in ogni caso di figure giuridiche private; né determina o modifica la loro funzione pubblica: come dimostrato dagli argomenti austriaci, i compiti affidati agli organismi di controllo hanno senz’altro rilevanza amministrativa. Tuttavia, stando a quanto sancito nella decisione, essi svolgono un’attività prettamente ausiliare. Al fine di identificare l’appartenenza o meno degli organismi
di controllo alla pubblica amministrazione si richiede la
dimostrazione di un duplice requisito: da un lato, una
partecipazione diretta e specifica, e quindi non meramente ausiliare, ad un’attività amministrativa; dall’altro,
la circostanza che tale attività non sia meramente diretta alla cura di un interesse generale, ma consista anche
in un effettivo esercizio di poteri di autorità.
Per ciò che riguarda la prova di una partecipazione
diretta e specifica, si deve verificare se vi è un affidamento di compiti sostitutivi dell’amministrazione (15) a
favore dei soggetti in questione. Quanto, invece, all’esercizio di pubblici poteri, questi vanno interpretati nel
senso già suggerito dall’Avv. generale Mayras nelle conclusioni rese nella causa Reyners (16), secondo il quale
costituiscono «l’incarnazione della sovranità dello Stato
e come tali conferiscono la facoltà di esercitare prerogative che vanno oltre l’ambito del diritto comune, privilegi e poteri coercitivi che obbligano i cittadini» (17);
ossia quei poteri autoritativi e impositivi storicamente
attribuiti alle amministrazioni pubbliche.
Gli organismi austriaci - nell’adeguarsi alle disposizioni del Regolamento n. 2092 (artt. 9 e 10) - hanno il
potere di rilasciare o negare certificati di conformità
aventi un effetto autorizzatorio all’utilizzo della denominazione «biologico», di infliggere sanzioni in caso di irregolarità e di svolgere, in sostituzione delle amministrazioni statali, attività di controllo incisive ed estese sugli
operatori privati del settore. Le attività elencate sembrano riconducibili a funzioni amministrative, propriamen-
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te riservate ai pubblici poteri e da cui dipendono le
aspettative di soggetti privati. Con riferimento ai poteri
di autorizzazione, ad esempio, si nota che esercitando
un’attività di controllo (al cui esito positivo segue il rilascio di un certificato che consente ad un imprenditore
di adoperare una denominazione specifica per i propri
prodotti) gli organismi in parola integrano un’attività
autorizzatoria che interviene sull’esercizio del diritto
d’impresa, modificandolo in termini di vantaggio per il
produttore, abilitato ad adottare un nome cui non
avrebbe diritto senza l’intervento dell’autorità (18). Si
ha conferma di quanto detto nella terza condizione necessaria che l’art. 5 del Regolamento n. 2092 richiede
Note:
(12) Il tema della liquidità o fluidità dei fenomeni sociali è crescente e
viene studiato da numerose discipline. In questa sede si rinvia a M.R. Ferrarese, Il diritto al presente. Globalizzazione e tempo delle istituzioni, Bologna,
2002, 56, che, con riferimento alla globalizzazione e al venire meno dei
confini e degli ordini giuridici statali, ha parlato di «liquefazione del mondo».
(13) «Nel quadro della suggestiva formula weberiana dell’amministrazione
soggetta alla legge, e tuttavia libera, il concetto di proporzionalità produce
il significativo risultato (...) di contribuire a conformare il potere delle amministrazioni pubbliche in vista del conseguimento di obiettivi di sostanza
istituzionale e costituzionale in un clima di relativa «mitezza» (...), investendo la nascente giurisdizione amministrativa di tale delicatissima funzione di controllo e conformazione», R. Ferrara, Introduzione, cit., 49.
(14) Com’è stato notato con riferimento alla definizione di organismo di
diritto pubblico, anch’essa inerente al concetto di nozione comunitaria di
pubblica amministrazione, «la qualificazione serv[e] soltanto a determinare
i soggetti tenuti ad applicare una certa normativa; non a individuare una
nuova natura giuridica di cui si possa predicare l’attribuzione addirittura
come termine di identificazione. (...). Ciò, d’altra parte, corrisponde perfettamente al modo di operare del diritto comunitario. Questo tende a definire gli istituti, dovendo imporli in modo uniforme agli Stati membri.
Tali definizioni, tuttavia, hanno valore relativo; non è un caso che le nozioni comunitarie di pubblica amministrazione, proprio perché funzionali,
rimandano a realtà molto diverse tra loro», G. Napolitano, Soggetti privati
«enti pubblici», in Diritto amministrativo, 2003, 4, 809.
(15) In tal senso e con riferimento ai Centri di assistenza fiscale (Caf),
come definiti in una recente pronuncia della Corte di giustizia, D. Gallo,
I centri di assistenza fiscale (C.A.F.) al vaglio della Corte di Giustizia delle Comunità europee (C.d.g. Ce, 30 marzo 2006, Causa C-451/03), in Diritto
del commercio internazionale, 2006, 2, 464. Sulla questione anche B. Mattarella, I centri di assistenza fiscale e il diritto europeo, in questa Rivista, 2007,
3, 301, che, pur condividendo le conclusioni della Corte, ne critica il ragionamento: «piuttosto che affermare genericamente che l’attività dei
CAF non costituisce partecipazione diretta e specifica (punto 47), sarebbe
stato forse più corretto notare che si tratta di un’attività intermedia tra
quella del contribuente e quella dell’amministrazione finanziaria, relativa per l’amministrazione - più all’assistenza ai contribuenti che all’imposizione dei tributi».
(16) Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 21 giugno 1974,
Causa 2-74.
(17) J.A. Moreno Molina, Le distinte nozioni comunitarie, cit., 565.
(18) Con Giannini si può dire che sia qui riprodotta la struttura logica
dei procedimenti autorizzatori: «un potere di un privato (produrre e commerciare beni agricoli), una connotazione giuridica del potere che fa la
norma (indicare in etichetta la denominazione «prodotti da agricoltura
biologica»), un provvedimento che amministra tale connotazione giuridica (il certificato assegnato dagli organismi di controllo che consentono al
privato di usare la predetta denominazione)», M.S. Giannini, Diritto amministrativo, III ed., vol. 2, Milano, 1993, 611.
n
GIURISPRUDENZA . COMUNITÀ EUROPEE
per poter «fare riferimento al metodo di produzione biologico: [...] c) il prodotto è stato ottenuto o importato
da un operatore assoggettato alle misure di controllo di
cui agli articoli 8 e 9».
La Corte, tuttavia, ha giudicato le attività descritte
come inseparabili, e quindi non sostitutive, dalle funzioni svolte dai Landeshauptmänner. Queste autorità pubbliche esercitano una «sorveglianza attiva» sugli organismi
e ad esse vanno ascritti, in concreto, i poteri amministrativi in tema di controllo dei prodotti biologici, relegando ai secondi una mera competenza propositiva e
ausiliare rispetto a quella ufficiale dei Landeshauptmänner
(punto 42).
I privati in funzione
dell’amministrazione comunitaria
La definizione della Corte è condivisibile, quanto alla ratio che la ispira, perché segue un orientamento teleologico modulato sui principi fondamentali che governano l’Unione europea e la strada scelta dall’organo
giudiziario comunitario era l’unica percorribile per evitare un’interpretazione eccessivamente estensiva di un’eccezione alla libera circolazione dei servizi e al diritto di
stabilimento. Tuttavia, è poco convincente negare la rilevanza amministrativa delle attività svolte dagli organismi di controllo, che, indipendentemente dalla veste
formale loro assegnata dagli atti delle autorità pubbliche
di vigilanza, integrano, per loro stessa natura, un esercizio di poteri pubblici.
Ciò che la Corte ha mancato di osservare è la funzionalizzazione comunitaria dei compiti di carattere pubblicistico affidati agli organismi in questione. Questi
esercitano senz’altro un’attività amministrativa ma non
agiscono per conto, né tanto meno come organi dello
Stato in cui hanno la sede giuridica. Al contrario, operano un’attività che si svolge in un regime ibrido, in
parte regolato dal mercato e dalla negoziazione tra privati, e in parte vincolato al perseguimento delle finalità
e delle disposizioni del diritto comunitario: il loro status
perde rilievo a favore della loro attività concreta. Del
resto, ciò è da sempre un tratto peculiare del soggetto
privato che esercita pubbliche funzioni. Quest’ultimo
«non diventa un funzionario, perché esso agisce nomine
proprio e non come titolare di un ufficio costituente un
organo statuale [...], ma nemmeno diventa soggetto di
autarchia [...]: l’istituto dell’esercizio privato di pubbliche
funzioni ha per immancabile caratteristica che tale esercizio non costituisce in nessun modo l’aspetto unico e
l’unico fine del subietto che vi procede, non dà luogo
ad alcuno suo status, ma a diritti e doveri singoli che riguardano solo dei punti perfettamente determinati della
sua attività» (19).
Se si osserva la loro natura formale, gli organismi di
controllo non appartengono all’amministrazione statale,
né a quella comunitaria, di dimensioni peraltro ridotte,
cangiante e «a geometria variabile» (20); e tuttavia essi
svolgono attività diretta alla cura d’interessi pubblici
della Comunità, assicurando che i prodotti biologici,
che saranno poi commerciati liberamente in tutto il territorio europeo, posseggano gli specifici requisiti previsti
dal Regolamento n. 2092 del 1991. Come visto in precedenza, la stessa Corte ha precisato che è proprio il
Regolamento citato a stabilire la procedura e le condizioni per il riconoscimento degli organismi privati, le
modalità di controllo che questi devono applicare, nonché il procedimento di sorveglianza cui essi stessi sono
assoggettati nello Stato membro di riconoscimento
(punto 28).
Ancorché aventi natura giuridica privata, gli organismi di controllo sono sottoposti ad una disciplina pubblicistica europea e possono essere assimilati, seguendo
un criterio funzionale, a poteri pubblici a carattere comunitario (21). Le amministrazioni, originariamente
«figlie» dello Stato (22), sono ormai sempre più slegate
Note:
(19) S. Romano, Il Comune, in Trattato di diritto amministrativo, diretto da
V. Orlando, 1907, 610. In senso analogo, seppur con qualche divergenza,
anche la dottrina successiva. Per un approfondimento si veda F. De Leonardis, Soggettività privata e azione amministrativa. Cura dell’interesse generale
e autonomia privata nei nuovi modelli di amministrazione, Padova, 2000, 32
ss. Sull’esercizio privato di funzioni pubbliche si vedano, nella vasta letteratura, G. Zanobini, L’esercizio privato delle funzioni e dei servizi pubblici, in
V.E. Orlando (a cura di), Primo trattato di diritto amministrativo italiano
(1920), vol. II, Milano, Soc. ed. libraria, 1935, 233 ss; M.S. Giannini,
Esercizio privato di pubbliche attività, in Enc. Dir., vol. XV, Milano, 1966,
685 ss.; A. Maltoni, Il conferimento di potestà pubbliche ai privati, Torino,
2005; F. De Leonardis, Esercizio privato di pubbliche funzioni e pubblici servizi, in Dizionario di diritto pubblico (diretto da S. Cassese), vol. II, Milano,
2006, 2296-2305.
(20) J.A. Moreno Molina, Le distinte nozioni comunitarie, cit., 562.
(21) La nozione comunitaria di pubblica amministrazione, sia essa restrittiva, come in questa sentenza, o ampliativa, come in molte pronunce sulla
definizione di organismo di diritto pubblico, si conferma funzionale ad incrementare le figure soggettive assoggettate alla disciplina pubblicistica europea. Ad esempio, proprio nel caso dell’organismo di diritto pubblico,
un’interpretazione estensiva della nozione di pubblica amministrazione con
rifornimento alle amministrazioni aggiudicatici, ha favorito una più estesa
applicazione delle quattro direttive comunitarie in tema di appalti pubblici
di servizi (direttive Ce 18 giugno 1992, n. 50, e 14 giugno 1993, n. 36, 37
e 38, come modificate dalla normativa successiva). La giurisprudenza comunitaria sul tema è cospicua. Si rinvia, inter alia, ad alcune decisioni della
Corte di Giustizia Ce: 3 ottobre 2000 (in causa C-3 80/98), The Queen
e.H.M. Treasury ex parte: The University of Cambridge, in Giur. it., 2001,
601; 15 gennaio 1998 (in causa C-44/96), Mannesmann e. Anlagenbau Austria e a., in Racc. CE, 1998, 1-73, punto 21 e 39; 10 novembre 1998 (C360/96) Gemeente Arnhem, Rheden c. BFI Holding BV, in Giur. It, 1999,
349 ss.; 10 maggio 2001 (in causa C-223/99 e C-260/99), Agorà S.r.L e.
Ente Autonomo Fiera Internazionale di Milano e Excelsior Sue di Pedrotti Bruna & C, in Urb. e app., 2001, 981, con nota di Mameli, La Corte di Giustizia conferma l’estraneità dell’Ente Fiera dalla nozione di organismo di diritto pubblico; 17 dicembre 1998 (in causa C-306/97), Connemara Machine Turf
Co. Ltd c. Coillte Teoranta; 18 marzo 1997 (in causa C-343/95), Diego Cali
& Figli ambedue in ItalgiureWeb.it. CED Cass., Giurisprudenza comunitaria; 16 marzo 2004, cause 264\01, 306 e 354\01, Federazione di casse e società farmaceutiche, nel sito Internet della Corte di Giustizia, www.Curia.eu.int; 17 febbraio 1993, cause riunite C-159/91 e C-160/91, Christian
Poucet e. Assurances Generales de France e Caisse Mutuelle Regionale du Languedoc-Roussillon e Daniel Pistre e. Caisse Autonome Nationale de Compensation de l’Assurance Vieillesse des artisans, Racc., 1993, 1-637.
(22) Sul tema, per tutti, S. Cassese, Crisi e trasformazioni del diritto amministrativo, in questa Rivista, 1996, 9, 869 ss.
GIORNALE DI DIRITTO AMMINISTRATIVO N. 7/2008
737
GIURISPRUDENZA . COMUNITÀ EUROPEE
da quest’ultimo. Nel caso di specie, i soggetti considerati
hanno una veste privata e svolgono un’attività che,
piuttosto che alle norme organizzative nazionali, risponde a norme di diritto privato e a principi, regole e requisiti stabiliti dal diritto comunitario, sia primario, sia secondario: gli organismi di controllo hanno una rilevanza pubblica solo in quanto svolgenti funzioni amministrative nell’interesse della collettività europea e con riferimento all’ordinamento comunitario (23), ma per il
resto si configurano come soggetti privati che, agendo
liberamente nel mercato unico, operano e si conformano ai limiti posti da norme di diritto civile (24).
L’integrazione amministrativa europea
In linea con un orientamento oramai consolidato, la
decisione contribuisce alla conformazione e allo sviluppo del diritto comunitario, con particolare riferimento
all’organizzazione e all’attività amministrativa e, coniugando la funzionalizzazione della nozione di pubblica
amministrazione con l’applicazione del principio di proporzionalità, consente che un soggetto privato stabilito
in un ordinamento di uno Stato membro svolga, sul territorio di altri Paesi, funzioni che, pur se non riconducibili all’esercizio di poteri riferibili allo Stato d’origine,
integrano ampiamente fattispecie proprie dell’amministrazione.
Si va verificando, con frequenza crescente, un fenomeno orizzontale di osmosi che risponde ai principi di
equivalenza e reciprocità ed è favorito da un intervento
verticale effettuato dalla Corte di giustizia. Gli organismi privati preposti al controllo dei prodotti biologici
non appartengono alle pubbliche amministrazioni degli
Stati membri ma, svolgendo funzioni che si possono comunque definire amministrative, eseguono un’attività
amministrativa per conto della stessa Unione europea.
Questi soggetti privati a rilevanza amministrativa perseguono le diverse finalità di cui al Regolamento n. 2092/
01 - quali il legittimo affidamento dei consumatori e la
correttezza in campo commerciale - esercitando le funzioni previste da tale norma attraverso il controllo e la
certificazione dei prodotti biologici. La mancanza di
un’armonizzazione esplicita e dettagliata di tale modalità
di esecuzione (gli Stati sono liberi di affidare il controllo
a soggetti pubblici e/o privati e alle autorità nazionali è
affidato il compito di monitorare l’operato di tali soggetti) non fa venire meno l’obbligo di conformarsi e uniformarsi all’orientamento e alle finalità indicati dal diritto comunitario. La comunitarizzazione, cui si accompagna una mercatizzazione, della materia influisce quindi
sull’armonizzazione, o per meglio dire, sull’integrazione
degli apparati amministrativi dei Paesi membri e la neutralità del diritto comunitario nei confronti delle modalità con cui gli Stati danno attuazione alle norme di
fonte europea si va vieppiù erodendo. Con ciò le pubbliche amministrazioni nazionali devono conformarsi,
anche per quel che concerne l’organizzazione interna, al
diritto comunitario e ai suoi principi d’integrazione, che
738
GIORNALE DI DIRITTO AMMINISTRATIVO N. 7/2008
n
si estendono ai requisiti costitutivi che gli enti debbono
possedere per svolgere la loro attività. Si accentua dunque il fenomeno, proprio dell’ordinamento europeo,
della «pluralizzazione dei soggetti a rilevanza amministrativa, sia per la moltiplicazione degli enti pubblici sia
per l’emergere di numerosi ‘‘soggetti privati-amministrativi’’» (25).
Nella decisione esaminata la Corte ha concentrato il
proprio ragionamento sulla mancanza di un carattere
realmente autoritativo dell’attività degli organismi privati e sul loro carattere ausiliario, ma ciò che rileva
maggiormente è il loro scorporo dai poteri pubblici statali - che qui sono scavalcati per fare riferimento alle
norme del Regolamento comunitario n. 2092 - e il loro
operare in un regime che, pur facendo affidamento sugli
apparati amministrativi nazionali, è integrato, armonizzato e funzionalizzato da principi e norme comunitarie.
La conferma di quanto si è detto si rinviene nel fatto
che gli organismi di controllo dovranno rispondere ai
requisiti del Regolamento comunitario di riferimento
(n. 2092) e potranno svolgere le proprie funzioni di
controllo su tutta l’area europea, senza limitazioni legate
alla loro sede ufficiale: mediante il mercato unico e seguendo un modello di organizzazione amministrativa indiretta, gli organismi eseguono attività di controllo e
certificazione sugli operatori senza limitazioni territoriali,
agendo come organi amministrativi comunitari di natura privata ancorché abbiano uno stabilimento sul territorio di uno degli Stati membri. Anche in questo caso
può dirsi che la Comunità amministra, come osservava
Jean Monnet, «facendo fare» a soggetti nazionali, ma, a
differenza dell’esecuzione indiretta cui si riferiva lo statista francese, i soggetti di cui si tratta hanno natura privatistica, operano in un regime di mercato comune e
non rispondono, né appartengono, agli Stati, giacché è
la stessa Comunità a determinarne finalità, indirizzo e
fonti normative. È ad essa e ai suoi principi e diritti fondamentali che i soggetti in questione dovranno rifarsi,
mentre alle autorità nazionali che vigilano sull’operato
di siffatti organismi spettano compiti marginali e residuali di vigilanza e controllo della conformità alle norme e agli obiettivi comunitari.
Note:
(23) «Il concetto di pubblico non appare limitato allo Stato persona né
allo Stato amministrazione, ma, collegandosi, invece, con lo Stato ordinamento, esalta giuridicamente il dovere di agire nell’interesse della collettività», F. De Leonardis, Soggettività privata e azione amministrativa, cit., 346.
(24) La sottoposizione degli organismi di controllo dei prodotti biologici
a regole e finalità del diritto comunitario dà un’ulteriore conferma che la
definizione di pubblica amministrazione in tale ordinamento non può che
essere funzionale, giacché, «in un sistema caratterizzato dalla moltiplicazione delle figure soggettive incaricate della cura di interessi generali, la questione sembra porsi in termini [di] verificare quali norme ‘‘orizzontalmente’’ riferite alle amministrazioni e agli enti pubblici siano ad esse applicabili, sulla base delle finalità perseguite e degli interessi tutelati», G. Napolitano, Pubblico e privato nel diritto amministrativo, Milano, 2003, 177.
(25) M.P. Chiti, Diritto amministrativo europeo, cit., 285.
n
GIURISPRUDENZA . COMUNITÀ EUROPEE
La decisione adottata dalla Corte, ancorché questa
non lo nomini mai, sembra poggiare - e certamente vi
si conforma - sul principio di equivalenza di cui all’art.
10 del Trattato. Il principio di equivalenza o leale cooperazione è strettamente connesso al concetto di pubblica amministrazione giacché, a seconda di come quest’ultimo è interpretato, si applicherà, o meno, il principio di cui all’art. 10 Trattato Ce, con la conseguenza di
subordinare o preservare le norme nazionali dall’applicazione della prevalente disciplina comunitaria (26). La
Corte, esigendo che gli Stati membri si adeguino al
principio della reciprocità, adatta organismi titolari di
funzioni amministrative negli Stati membri all’amministrazione comunitaria di determinati settori e favorisce,
in via indiretta, l’osmosi amministrativa nell’area europea, cosı̀ da contribuire allo sviluppo e all’incremento,
per quanto ancora in forma indistinta, settoriale ed eterogenea, di un’autonoma amministrazione europea. Seguendo l’approccio della Corte, i soggetti amministrativi
si trasformano in organi serventi la Comunità (27),
operanti in un regime di reciproco riconoscimento (28).
Può dirsi, dunque, non solo che l’Unione europea
tende ad «impossessa[rsi] dei diritti amministrativi nazionali e [a] sviluppa[re], quindi, un suo (ancorché non
esclusivo) diritto amministrativo» (29), ma che ciò avviene altresı̀ per quel che riguarda l’organizzazione: mediante il mercato unico l’Unione europea «si impossessa», limitatamente a determinati settori o materie, di figure soggettive private che svolgono funzioni pubbliche,
cosı̀ da amalgamare, uniformare e funzionalizzare al diritto comunitario anche alcune strutture amministrative
nazionali.
Conclusioni
I tratti peculiari evidenziati nell’analisi della sentenza
in commento sono coerenti con le tendenze evolutive
del diritto amministrativo degli ultimi anni.
In primo luogo, si ritrova la funzione pretoria della
Corte di giustizia. Questa, con numerose e significative
pronunce, ha sviluppato l’ordinamento comunitario e
contribuito a creare un diritto amministrativo europeo,
confermando la tendenza storica secondo cui il diritto
amministrativo cresce e si rinnova naturalmente attraverso le pronunce dei giudici (30). Tramite una definizione funzionale di pubblica amministrazione, la Comunità europea rinuncia ad imporre agli Stati un modello
unico, rigido e uniforme: al tempo stesso, essa riserva a
sé (rectius alla Corte di giustizia) il compito di definire,
di volta in volta, tale nozione, subordinandola alla realizzazione degli obiettivi fondamentali dell’Unione europea e facendone derivare un coerente regime giuridico (31). La sentenza C-393/05 fornisce una conferma
di questo fenomeno.
In secondo luogo, la decisione in commento incide
sulla tipizzazione legislativa degli apparati pubblici, con
un rafforzamento del principio di ragionevolezza: la
mancanza di una definizione ufficiale e unica di pubblica amministrazione ne diminuisce la certezza giuridica
e rende indefinito il riferimento delle amministrazioni
alla legge; tuttavia, tale mancanza rafforza il ruolo dei
giudici e consente a questi un’interpretazione funzionale del concetto di pubblica amministrazione che si conforma ai principi fondamentali dell’ordinamento, seguendo dunque un orientamento guidato dal rule of
reason, piuttosto che dal rule of law (32). I principi di
Note:
(26) In tal senso M.P. Chiti, The EC Notion of Public Administration, cit.,
473.
(27) Cosı̀ A. Gil Ibanez, The administrative Supervision and Enforcement of
EC Law, Hart, Oxford, 1999, 284: «the principle of loyal cooperation transforms administrative national bodies into real bodies acting on behalf of the
Community, which may not fit into the autonomy that cooperation usually requires».
(28) «Nel sistema comunitario, ogni amministrazione nazionale deve essere funzionale alle altre amministrazioni: accanto al principio dell’armonizzazione degli ordinamenti, realizzata attraverso la disciplina in senso
verticale degli ordinamenti dei singoli Stati, opera, infatti, il principio del
mutuo riconoscimento, che agisce in senso orizzontale tra gli ordinamenti
statali», S. Cassese, Le basi costituzionali, cit., 194.
(29) Id, La signoria comunitaria sul diritto amministrativo, in Rivista italiana di
diritto pubblico comunitario, 2002, 295.
(30) «The foundation of all legal organisations as of any legal community is
the judicial process», H. Kelsen, Peace through Law, Chapel Hill: Univ. of
North Carolina Press, 1944, 73. I contributi della scienza giuridica al tema sono molteplici. Per ciò che concerne il diritto europeo, si veda, ad
esempio, T.C. Hartley, Constitutional Problems of the European Union, Oxford and Portland, Oregon, Hart, 1999, 22-66 e P. Craig, European Administrative Law, Oxford, Oxford University Press, 2006, 283 ss. Con riferimento al diritto americano è utile consultare R.B. Stewart, The Reformation of American Administrative Law, in Harvard Law Review, 1975, N. 8,
Vol. 88, 1670, ove si afferma che «judges have greatly extended the machinery of the traditional model to protect new classes of interests». Nel diritto globale si veda S. Cassese, La funzione costituzionale dei giudici non statali. Dallo
spazio giuridico globale all’ordine giuridico globale, in Rivista trimestrale di diritto
pubblico, 2007, 3 e letteratura ivi indicata. Con riferimento, infine, al diritto nazionale si è notato che «quanto a istituti e principi generali, il diritto amministrativo è in larga misura un diritto di origine giurisprudenziale», M. Clarich, La giustizia, in S. Cassese (a cura di), Trattato, cit., 2027
ss.; sull’«ancoraggio del diritto amministrativo ai giudici» si veda anche S.
Cassese, Crisi e trasformazioni, cit., 869 e ss.. In determinati casi si è persino parlato, in relazione al Consiglio di Stato, di «giurisprudenza pretoria,
di giurisprudenza creativa, di formazione giudiziale della legge processuale
amministrativa oppure di ‘‘bruta normazione giurisprudenziale’», M. Nigro, Giustizia amministrativa, VI ed., Bologna, a cura di E. Cardi e A. Nigro, 2002,. 267 e 312.
(31) Il diritto europeo, pur evitando un’uniformità sostanziale, si caratterizza per un’omogenea esecuzione, giacché, com’è stato notato, «la produzione, l’applicazione e l’attuazione delle regole non sono sempre e necessariamente centralizzate e identiche su tutto lo spazio giuridico europeo [...]
[ma] la determinazione delle condizioni di equivalenza è, questa sı̀, centralizzata e desumibile direttamente dalle norme primarie e specificata con la
normativa secondaria, oltre che articolata dalla giurisprudenza della Corte
di giustizia», L. Torchia, Il governo delle differenze. Il principio d’equivalenza
nell’ordinamento europeo, Bologna, 2006, 19.
(32) Per rule of reason si dovrà intendere non solo un riferimento al principio di ragionevolezza, come «fattore primario e di verifica e misurazione
della legittimità costituzionale della legge» e dell’amministrazione, ma altresı̀ come «regola del giusto procedimento (in quanto rule of reason)», ossia come una forma di proceduralizzazione dell’attività amministrativa
non sufficientemente supportata dal principio di legalità. Cosı̀ R. Ferrara,
Introduzione, cit., 67 e 131.
GIORNALE DI DIRITTO AMMINISTRATIVO N. 7/2008
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GIURISPRUDENZA . COMUNITÀ EUROPEE
ragionevolezza e proporzionalità costituiscono i principali limiti sia all’agire delle amministrazioni o dei governi, sia alla discrezionalità interpretativa delle Corti
europee. Come detto in precedenza e come confermato
dalla tendenza del rule of reason a surrogarsi al rule of
law, un elemento caratterizzante le società moderne e i
loro diritti amministrativi è la fluidità. Gli ordinamenti
giuridici si evolvono e si adattano alle finalità da perseguire e ai mutevoli interessi da curare e cosı̀ le funzioni
amministrative, e gli apparati cui queste sono attribuite,
si plasmano alle esigenze della modernità, con un’accentuazione delle forme privatistiche e contrattuali,
nonché di meccanismi procedimentali, che prendono
il posto di rigide soluzioni organizzative. Le pubbliche
amministrazioni sono cangianti e procedimentalizzate
e, benché ancora subordinate al diritto, più «sfuggenti», ossia meno legate a vincoli normativi statici o rigidi. Si conferma la tendenza, in verità non nuova, secondo cui l’amministrazione è in continuo divenire ed
è determinata dagli atti che pone in essere e dalle funzioni che è chiamata a svolgere (33). In tale contesto
assume una peculiare rilevanza il principio di ragionevolezza che guida l’agire discrezionale delle autorità amministrative e conforma le loro strutture alle finalità
dell’ordinamento europeo.
Infine, dalla pronuncia esaminata si evince un’ulteriore conferma della costante e sempre maggiore armonizzazione e integrazione amministrativa all’interno dell’ordinamento europeo: dall’amministrazione «che fa fare», che dettava principi e norme generali lasciando
esecuzione e attuazione agli apparati degli Stati, si va
costituendo sempre di più una articolata e polimorfa
amministrazione europea. Oltre ad un diritto amministrativo europeo, con norme e principi uniformi diretti
alle pubbliche amministrazioni degli Stati membri e oltre ad organi comunitari propriamente amministrativi,
come le agenzie o i comitati, si diffondono figure a natura privatistica, ibride o di difficile collocazione giuridica. Queste, indipendentemente dalla sede stabilita in
uno Stato membro e dalla loro natura, mediante il mercato unico, possono operare indistintamente sull’intero
territorio europeo, contribuendo ad integrare la stessa
organizzazione amministrativa dell’Unione. Anche
quando la regolazione di un settore è affidata ad organismi aventi sede sui territori nazionali, infatti, può verificarsi che questi ultimi non siano considerati parte dell’amministrazione pubblica dello Stato in cui operano e,
dovendo essi agire nel rispetto del diritto comunitario,
finiscano per esercitare, più o meno indirettamente, attività amministrative in funzione e per conto della Comunità.
Da un punto di vista prettamente descrittivo, quanto
appena osservato è da ricondursi al fenomeno della «denazionalizzazione parziale» (34), per cui alcune figure
soggettive, se per taluni aspetti - per lo più formali - si
debbono considerare nazionali, per altri - quali le finalità perseguite, le funzioni svolte e l’ambito territoriale di
740
GIORNALE DI DIRITTO AMMINISTRATIVO N. 7/2008
n
attività - non fanno più parte delle istituzioni statali e si
connettono, invece, direttamente all’ordinamento comunitario.
Note:
(33) L’amministrazione «è dunque ciò che appare essere in reazione a ciò
che essa stessa fa», F. Benvenuti, Disegno dell’amministrazione italiana. Linee
positive e prospettive, Padova, 1993, 110.
(34) Per un’analisi sociologica del fenomeno si veda S. Sassen, Una sociologia della globalizzazione, Torino, 2008, 49 ss.