CONCETTA SIPIONE
(Università degli Studi di Catania)
Le glosse “impoetiche”
del testimone lipsiense del Heliand*
The recent discovery of a new fragment of the Heliand (L), found at Leipzig in the
binding of a volume, has aroused renewed interest in the Old Saxon poem. L (one
sheet) contains lines 5823-5870 relevant to the most part of fit 69 and the beginning
of the next one. This section of the Heliand was handed down so far only in the
Cottonianus (C), as the Monacensis lacks the corresponding sheets. L contains also
some readings, quite different from those of C, perhaps a proof that it retains a
much older text than that of C. But the chief interest of L lies in the three
vernacular glosses (written perhaps by the same hand of the main text), whose
function was apparently to explain difficult or outdated words on the line.
Un nuovo frammento del Heliand è venuto alla luce, più di tre anni
fa (aprile 2006), presso la Biblioteca Universitaria di Lipsia: si tratta finora del ritrovamento più recente, che fa seguito, a distanza di circa
trent’anni, alla scoperta dei frammenti di Straubing. Il rinvenimento,
piuttosto fortunoso, come spesso accade in questi casi, costituisce
un’occasione per ripensare le modalità di fruizione dei testi medievali in
volgare e in particolare dell’epica religiosa dei Sassoni.
Ebbi occasione di presentare, in un breve intervento, il nuovo testimone a Pescara, al XXXIII Convegno dell’A.I.F.G., mettendo in luce le
importanti ricadute che la nuova scoperta avrebbe avuto sulla filologia
del Heliand; ne scaturì uno studio approfondito del foglio che, nelle
more della pubblicazione, si è rivelato ormai superato, perché nel frattempo sul nuovo testimone sono apparsi tre diversi interventi, nella sostanza piuttosto simili, ed una breve nota.1
* Rivolgo un sentito ringraziamento alla Prof.ssa Ute Schwab, alla Prof.ssa Maria Vittoria
Molinari e agli amici del Mittellateinisches Seminar di Heidelberg.
1 Si tratta rispettivamente degli articoli di Schmid (2006) e Rauch (2006), apparsi quasi contemporaneamente, a cui si è aggiunto il contributo di Sahm (2007). Schmid (2007) è poi ancora intervenuto brevemente a sostenere le sue tesi e criticare il lavoro delle due studiose. Schmid (2006)
ha condotto uno studio completo e sufficientemente accurato, anche se non privo di alcuni giudizi
affrettati e di considerazioni ormai superate, che avrò modo di commentare di seguito. Rauch
Linguistica e Filologia 29 (2009): pp. 151-177
Linguistica e Filologia 29 (2009)
Mi sembra giusto, a questo punto, riprendere il discorso e concentrarmi, dopo una presentazione generale del nuovo testimone, su alcune
sue caratteristiche a mio avviso non sufficientemente messe in luce da
chi finora ne ha scritto. Nel fare questo, non desidero entrare nella polemica seguita alla pubblicazione del frammento, che ha visto coinvolti
l’autore della cosiddetta editio princeps, cioè Hans Ulrich Schmid dell’Università di Lipsia, Irmgard Rauch di Berkeley e Heike Sahm dell’Università di Colonia.2
Se escludiamo il nuovo foglio di Lipsia, indicato per consuetudine
con L dal luogo del ritrovamento, la trasmissione del Heliand si compone di due testimoni (quasi) completi e di tre frammentari: i codici (quasi) completi sono il Monacensis (M, Cgm 25), risalente all’850 circa,3 e
il Cottonianus (C, Cotton Caligula A VII), della seconda metà del X secolo;4 testimoni frammentari sono gli estratti contenuti nel Vaticanus (V,
Pal. lat. 1447, 27r e 32v),5 il Pragensis (P, oggi a Berlino, Deutsches
(2006) fornisce una trascrizione parziale (limitata al solo verso del foglio e corredata da una “traduzione” troppo aderente al testo as.) ed un’analisi fonomorfologica incompleta, realizzata essenzialmente in funzione contrastiva con il manoscritto C; I. Rauch spiega così questa sua scelta: “all the
data which ms L has to offer have not been considered in this paper, since a great deal of the reproduction of the outer side of the Leipzig fragment is not readable to the naked eye”. Ma questo non
è assolutamente vero, dal momento che anche la riproduzione digitale diffusa su Internet e da me
utilizzata è molto chiara, a parte pochissimi passi danneggiati. La studiosa non aggiunge comunque
niente di sostanzialmente nuovo rispetto a Schmid. Anche lo studio di Sahm, dal molto promettente
titolo “Neues Licht auf alte Fragen”, riprende parzialmente gli argomenti già affrontati da Schmid,
e si concede alcune asserzioni francamente poco accettabili di cui dirò sotto; l’unica novità sostanziale del contributo di Sahm è costituita dall’attenzione per gli accenti che si rinvengono nel testimone, trattati in maniera piuttosto frettolosa da Schmid.
2 Schmid (2007) discredita in maniera veemente i contributi di H. Sahm e I. Rauch sul “suo”
foglio, rivendicando al contempo il suo ruolo di Erstveröffentlicher del testimone, sminuito, a sua
detta, a semplice autore della Fundgeschichte da H. Sahm; quest’ultima avrebbe, inoltre, dato alle
stampe un contributo le cui affermazioni “die Darlegungen in meiner Erstpublikation weder erweitern noch korrigieren”; infine Schmid stigmatizza il metodo editoriale della studiosa come “Verfälschung des graphematischen Systems” e si sente in dovere di pubblicare nuovamente il testo diplomatico di L, in modo da dare a tutti la possibilità “den hier nochmals abgedruckten Text von L mit
den vorausgehenden Editionen in ZfdA und ZfdPh zu vergleichen und so festzustellen, wo sich die
Fehllesungen häufen”. Acre anche la sua critica al contributo di I. Rauch, relegata tra l’altro in una
breve nota a piè di pagina: “eine […] Publikation, die allerdings nur einen unvollständigen und
fehlerhaften Text enthält (gleichwohl indirekt vorgibt die Erstpublikation von L zu sein)”.
3 Sulla base dell’evidenza paleografica Bischoff (1979a: 161-170) identifica in Corvey lo
scriptorium di M.
4 Redatto da mano anglosassone in uno scriptorium dell’Inghilterra meridionale, forse Winchester o Canterbury; cfr. Priebsch (1925: 9-11); Taeger (1996: XIX-X).
5 Il codice, di contenuto computistico, contiene anche gli estratti della Genesi antico sassone;
se l’origine del codice è certa (Magonza, inizio del IX sec.), tuttavia non è stato possibile identifi-
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C. Sipione, Le glosse “impoetiche” del testimone lipsiense del Heliand
Historisches Museum, R 56/2537)6 e lo Straubingensis (S, oggi a Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Cgm. 8840),7 datati intorno alla metà
del secolo IX o poco più tardi.
Il nuovo testimone L (MS Thomas 4073, Universitätsbibliothek
Leipzig) consta di un foglio completo, delle dimensioni di circa 24 x
16,6 cm,8 sciolto dalla legatura di un volume contenente scritti di logica, stampato a Wittenberg nel XVII secolo.9 Il foglio ha ventitré righe
su entrambi i lati, si presenta in buono stato ed è leggibile senza particolari difficoltà; sul recto, che costituiva la parte esterna della legatura, le
righe centrali (11-15) sono sbiadite: questa sezione combaciava infatti
con il dorso del volume ed era, di conseguenza, particolarmente soggetta ad usura. Il verso invece è estremamente ben conservato.10
L riporta i vv. 5823-5870a del Heliand, cioè la parte centrale e finale
della fitta 69 e l’inizio di quella successiva; vi si narra delle pie donne
che, recatesi al sepolcro in cerca di Cristo, incontrano gli angeli che ne
annunziano la resurrezione.11 Questa sezione del poema aveva in C
l’unico testimone, dato che M è mutilo della parte corrispondente:12 di
conseguenza il rinvenimento di L riveste un interesse particolare ai fini
del confronto con il testo parallelo del Cottonianus.
care il luogo della trascrizione degli estratti; cfr. Bischoff (1971: 128-29), Taeger (1996: XXI). Riproduzioni in Taeger (1985: tavv. 31-32).
6 Descrizione del frammento e trascrizione in Lambel (1881: 613-624), riproduzioni in Taeger (1985: tavv. 15-16) e Becker/Overgaauw (2003: 29).
7 Il testimone è stato pubblicato da Bischoff (1979b: 171-180) e Taeger (1996: 211-16); si vedano anche: Scardigli et al. (1978: 270-289) e i dettagliati articoli di Taeger (1979, 1981a, 1982,
1984). Riproduzione in Taeger (1985: tavv. 17b-21a). Nessuna indicazione precisa del possibile
scrittorio (Bischoff 1979b: 174), ascritto da Taeger (1996: XXII) genericamente “dem nördlichen
Teil des (engrischen) Mittelbereichs des as. Sprachraums”.
8 I margini del foglio sono stati tagliati e dunque è impossibile ricostruire con esattezza le dimensioni originarie.
9 Sulle circostanze del ritrovamento riferisce in dettaglio Schmid (2006: 309-10).
10 Il foglio è visibile sul sito: http://www.ub.uni-leipzig.de/service/aktuell/heliand.htm.
11 I versi combinano variamente i passi di Mt 28.6-8 e Lc 24.4-7. Questa fitta del Heliand
dunque non utilizza soltanto il Vangelo di Luca, come viene erroneamente riferito. D’altronde anche i passi corrispondenti del Taziano armonizzano le due fonti evangeliche (oltre che Mc 16.4, ma
non nella parte corrispondente al testo di L): cfr. Taziano, cap. CLXXIII, Sievers (1892: 275-6).
12 M, che si presenta lacunoso per via di rasure e dell’asportazione di fogli (si calcola che nel
complesso sia andato perduto circa una quarto del contenuto originario), manca dei vv. 5275b5968.
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Linguistica e Filologia 29 (2009)
Note paleografiche e codicologiche
Il testo è scritto in una minuscola carolina ordinata ed elegante.13 Non
sempre è rispettata la corretta segmentazione delle parole14 e i versi, come
era d’uso all’epoca, sono scritti di seguito; punti di separazione sono posti, in maniera abbastanza regolare, a distinguere i versi lunghi (ben visibili sul verso, non sempre evidenti sul recto, dato il maggiore sfregamento
cui era soggetto);15 in alcuni casi i punti servono a dividere i semiversi;16
inoltre ogni verso lungo è quasi sempre contrassegnato da un capolettera,
di solito una minuscola ingrandita;17 il capolettera è spostato a sinistra
quando l’inizio del verso lungo coincide con una nuova riga, (recto: rr. 2,
6, 12, 23; verso: rr. 38, 39, 40).18 La fitta 70 comincia con una lettera H in
capitale quadrata dell’altezza di due righe, evidenziata tramite colorazione
rossa nella parte superiore e gialla in quella inferiore.19
La scrittura di L mostra le caratteristiche tipiche della carolina del IX
secolo (Battelli 2002: 180-1): le aste superiori di d, l, b, h hanno forma a
fuso; le aste di f, ſ, r, p scendono di poco sotto la riga; d ha l’asta dritta e
non obliqua, mentre a ha la forma tipica dell’onciale, con il cappello
obliquo e l’occhiello a sinistra (Bischoff 1986: 93, tav. 8); si trova N maiuscola con l’asta sinistra che scende appena sotto la riga, all’inizio e alla fine di parola, mentre all’interno si trova solitamente la minuscola.
Posta ad inizio di verso lungo e assume forma maiuscola con il tratto
superiore obliquo (ENgilos recto, r. 19, Endi verso, r. 30).
13
14
Si veda la trascrizione di L (con resa in versi e traduzione) in calce.
Così ad esempio: uuill spell (recto, r. 7), faNthem (recto, r. 9), fandoda (recto, r. 12), ansundigaro (verso, r. 33). Sempre unite sono le grafie tegihorianna (recto, rr. 7-8) tesuikle, tesehanna
(verso, r. 24).
15 recto, rr. 3, 8, 11, 15, 17, 19, 21 i punti non sono più distinguibili.
16 recto, rr. 9 e 12; verso, rr. 26, 40, 41, 44, 45).
17 Ad eccezione di: recto, rr. 3, 5, 7, 8, 21; non più leggibili: recto, rr. 15, 19.
18 Sahm (2007: 94) postula una certa intenzionalità nella distribuzione di tali iniziali ingrandite: “Die Verteilung dieser Initialen erscheint willkürlich, doch folgt sie nicht nur dem Zufall, wie
sich in L zeigt: Denn hier hat der Schreiber die drei Verse vor dem Einsatz der neuen Fitte durch
herausgerückte Initialen als abgesetzte Verse markiert und damit darauf hingearbeitet, dass die Anfangsinitiale der nun folgenden 70. Fitte versgerecht am Zeilenbeginn stehen kann”. Tuttavia, la
sua conclusione, e cioè che l’archetipo del Heliand sarebbe stato redatto in versi distinti e non in
scrittura continua mi sembra piuttosto affrettata, nonostante questa opinione sia già stata avanzata
da altri studiosi.
19 Anche in M si trovano lettere in capitalis quadrata: si veda ad esempio l’inizio della fitta
43 riportato da Taeger (1985: tav. 11a).
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C. Sipione, Le glosse “impoetiche” del testimone lipsiense del Heliand
Tra i testimoni del Heliand, quello che presenta maggiori affinità con
L è certamente il frammento di Praga:20 oltre alle dimensioni pressoché
identiche (24 x 17 cm circa) P ha, come L, ventitré righe per lato; anche
in P ricorrono regolarmente i punti e le lettere minuscole ingrandite a
inizio di verso lungo; il dettaglio che accomuna particolarmente i due
testimoni è l’uso di spostare leggermente a sinistra tali iniziali, quando
l’inizio del verso lungo coincide con una nuova riga (Lambel 1881:
614). Se la scrittura di P è molto somigliante a quella di L, soprattutto
per quello che concerne la resa di a, g, d, e, N, differenze si rilevano però nella realizzazione di alcuni capilettera. Così g iniziale ha in P la caratteristica forma della semionciale con il tratto superiore dritto (Bischoff 1986: 102, tav. 12), mentre in L g iniziale riproduce la forma della minuscola con occhiello superiore tondo e chiuso; a iniziale presenta
in P una forma con asta verticale a destra e occhiello tondeggiante, tipica della semionciale recenziore,21 differente da quella minuscola utilizzata altrimenti, che ha, come in L, cappello obliquo. Simile ad L invece
è la forma di E capolettera in P. Anche se i due fogli si somigliano fortemente sia per quello che riguarda le convenzioni della mise en page, che
per alcune caratteristiche paleografiche, essi non derivano dalla mano di
un medesimo copista: potrebbero benissimo appartenere ad un medesimo codice, come da più parti viene caldamente sostenuto,22 ma il confronto non è risolutivo.23
Gli accenti
Un elemento caratteristico di L, che non ricorre in P, sono gli accenti
20 Il ritrovamento di P è in tutto simile a quello di L: il foglio è stato sciolto dalla legatura di
un volume di contenuto teologico pubblicato a Rostock nel 1598 e presenta, come L, gli spigoli
della pergamena tagliati a formare degli angoli ottusi. Il foglio di Praga ha subito inoltre seri danneggiamenti, causati dall’uso di reagenti chimici ed è parzialmente illeggibile; cfr. Taeger (1985:
IX); Becker/Overgaauw (2003: 28).
21 Ibidem.
22 Così ad esempio si esprime più volte Schmid (2006: 310, 311, 318, passim). Riporto per
completezza, pur senza condividerla affatto, l’opinione di Rauch (2006: 11): “P is the only fragment that raises the question of whether it may […] belong to the same manuscript as does the
newly found ms. L. The handwritings, though similar to the naked eye, appear more upright in L
than in P, which appears slightly sloped to the right”.
23 Una precisa identificazione dello scrittorio di P è risultata impossibile anche a B. Bischoff
(1971: 128 e 1998: 70).
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Linguistica e Filologia 29 (2009)
acuti;24 se ne trovano circa trenta,25 disposti, sia sul recto che sul verso,
apparentemente senza una regola precisa; nella maggior parte dei casi
sono collocati su sillabe lunghe, contenenti vocali lunghe o dittonghi;
nella metà dei casi la sillaba contrassegnata con accento acuto allittera.
Tali diacritici ricorrono anche su avverbi (thuo, nu, iu, so) e pronomi (gi,
them), cioè su parole che di solito sono atone e che rarissimamente allitterano;26 per di più, nel caso di lemmi come nu, gi, la lunghezza della sillaba è incerta.27 Così non è corretta l’affermazione di Schmid, che attribuisce genericamente agli accenti in L la funzione di segnalare la lunghezza della vocale (“Am augenfälligsten in L sind die Akzente in der
Funktion von Längebezeichnungen, die in P kein Gegenstück haben
[…]”).28 È più probabile invece che in questi casi l’accento acuto serva a
indicare, senza pretesa di sistematicità, che gli avverbi e i pronomi sui
quali cade si collocano in una posizione rilevante riguardo alla struttura
del verso lungo, venendo così a coincidere con una delle arsi: dunque
l’accento avrebbe la funzione di sottolineare la rilevanza prosodica (e
contemporaneamente anche semantica e sintattica) di queste parole. Secondo P. Sievers, infatti, la funzione degli acuti nei codici del Heliand
non consiste tanto nel segnalare la lunghezza delle vocali sulle quali si
trovano, bensì di suggerire e sottolineare, di tanto in tanto, il ritmo e l’accentuazione del verso.29 Qualunque fosse la loro funzione, sembra co24 Accenti acuti si trovano in tutti i testimoni del Heliand, ad eccezione di P. Delle loro caratteristiche e della loro funzione si occupa Sievers (1909:114-120); sul testimone S si veda in particolare: Taeger (1981a: 410-413); sui neumi in M cfr. Taeger (1978: 184-193). Per ciò che riguarda
S, Schwab (1988: 179-80) attribuisce agli apici sia la funzione di indicare le vocali lunghe, che
quella di segnalare l’intonazione delle cadenze.
25 Quelli effettivamente distinguibili sono ventinove. Non tengo conto dei casi dubbi.
26 Anche in altri codici del Heliand gli apici possono trovarsi talvolta su parole solitamente
atone; al riguardo Sievers (1909: 117) notava che “in den folgenden beiden Versen ist die Betonung
von thúo, só, ér metrisch unmöglich, als Vortragszeichen verleihen die Accente diesen Formwörtchen aber begrundeten Nachdruck […]”.
27 Diverso è il caso di san, al v. 5867, che ha vocale lunga e reca allitterazione.
28 Cfr. Schmid (2006: 318); anche altrove lo studioso si esprime negli stessi termini: “nicht
berücksichtigt sind die längebezeichnenden Akzente […]” (ibidem: 314). Non credo, inoltre, che
alla diversa realizzazione dell’accento in forma di uncino corrisponda una funzione diversa, come
Schmid vorrebbe sottintendere (ibidem: 318).
29 Sievers (1909: 120): “die Acute der Heliandhandschriften und der Genesisbruchstücke
[können] nicht ausnahmslos als Quantitätszeichen erklärt werden […] überdies [scheinen die Acute] sich dem Rhythmus des Verses oder doch dem Satzton des Vortrages anzupassen […] die Heliandaccente [scheinen] hier und da auch die besondere metrisch nicht immer deutlich verwirklichte Deklamation der Einzelstelle anzudeuten […]”.
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C. Sipione, Le glosse “impoetiche” del testimone lipsiense del Heliand
munque evidente che gli apici rinvenibili non solo in L, ma anche in altri
testimoni del Heliand, occasionalmente in M e con una certa frequenza
in V e in S, siano un chiaro indizio dell’effettiva recitazione del poema.
Il dialetto di L
Una descrizione del dialetto di L, seppure in maniera piuttosto cursoria, è stata già realizzata da Schmid,30 di conseguenza mi limiterò a riassumerne qui, per completezza, alcuni elementi caratteristici. Nel vocalismo si rinvengono i tipici franconismi ortografici <ie>, <uo>: tali grafie, tipiche anche dei testimoni C, P, e V vengono considerate solitamente come un corpo estraneo alla fisionomia dei dialetti as., dal momento che in as., a differenza dei dialetti aat., non è avvenuta alcuna dittongazione delle originarie vocali lunghe /ē2/ e /ō/ del germ.31 Eventualmente anche la resa unica di germ */eu/ tramite <io>, caratteristica che
L condivide con P, potrebbe essere indice di influenza grafica dell’aat.
(Krogh 1996: 191-193).
Per quello che riguarda il sistema consonantico, L mostra un notevole grado di coerenza e uniformità, soprattutto nella resa degli esiti della
–
fricativa sonora labiale (<b
> in posizione mediana, <f> in posizione finale) o la distinzione grafica tra le fricative dentali, sorda e sonora (<th>
in posizione iniziale, <đ>in posizione mediana e finale). Anche in questo caso tale uniformità accomuna L e P, ma un trattamento simile delle
dentali è presente anche in S (Taeger 1982: 14 segg.), differenziando così nettamente i tre testimoni da M e C, nei quali la resa delle fricative è
meno accurata e rigorosa (Foerste 1950: 12).
30 Cfr. Schmid (2006: 315-319): dato lo status del suo contributo, da lui stesso definito come
“erste philologische Auswertung des Fragments” (ibidem: 310), sarebbe stata auspicabile una descrizione del dialetto più sistematica e completa; talune sue affermazioni risultano del tutto indimostrabili e, dal punto di vista della filologia heliandea, ormai superate; si vedano tra l’altro le sue
considerazioni sul fatto che la lingua di L “[dürfte] in ihrem Grundcarachter der des Originals
entsprechen” (ibidem: 315); “Aufs ganze gesehen, scheinen di Fragmente L, P (und auch V) die
Regelung des Originals näher zu stehen als M und C” (ibidem: 316).
31 Rooth (1949: 108 segg.) e Foerste (1950: 116 seg.) ritengono che i dittonghi ie, uo rappresentino mere forme grafiche adottate sotto l’influenza dell’ortografia francone e che non corrispondano a fonemi realmente pronunciati. Diversamente Cordes (1956: 25-37), Sanders (1974: 31 seg.).
Sull’intricata questione dei “franconismi” cfr. le sintesi di Rauch (1992: 110-11), Krogh (1996:
257-262) e Klein (2000: 1250).
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Linguistica e Filologia 29 (2009)
Infine, nel trattamento delle sillabe flessive lo Schreibdialekt di L
mostra una netta presenza di vocali non (ancora?) indebolite: si trovano
così ad esempio le desinenze -as e -a, rispettivamente al gen. e al dat.
dei sostantivi masch. e neutri in (a), mentre il dat. pl. dei sostantivi forti
termina solitamente in -um.32 A questo riguardo i vari testimoni del Heliand mostrano una realtà molto complessa e stratificata che non è il caso di riproporre in questa sede:33 basti semplicemente dire che nel trattamento delle sillabe atone L presenta alcune caratteristiche in comune
con P, ma anche con V e la Genesi antico sassone.34 Non saprei dire se
questi fenomeni relativi alle vocali atone in L costituiscano effettivamente un elemento di differenziazione delle varie Sprachlandschaften
as. oppure siano, come è più probabile, da interpretare in funzione puramente diacronica,35 ma potrebbero anche rivelare semplicemente abitudini grafiche diverse.
I vv. 5846-5847ª
Se un confronto diretto tra L e P sembra motivato da caratteristiche
paleografiche e codicologiche, come si è detto in precedenza, la scoperta di L è estremamente interessante anche dal punto di vista della trasmissione testuale del Heliand, perché ci fornisce un testo che ci era noto in precedenza soltanto tramite C. Il confronto tra L e C rivela da una
parte la sostanziale affidabilità del nuovo testimone, superiore a C per
32 Restando in tema di sillabe atone, mi permetto di suggerire una lettura diversa della “singuläre Form” di v. 5829 (per cui cfr. Schmid 2006: 318): invece di uulitesconio uuif, che necessita di
così numerose congetture per la sua spiegazione, io leggo sul mio facsimile uulitesconion uuif, con
-n finale appena visibile perché cade esattamente in corrispondenza di una delle pieghe del foglio.
uulitesconion è forma del tutto consueta e non necessita di ulteriori chiarimenti: infatti la forma debole dell’aggettivo può comparire anche in assenza di altro determinante.
33 Per un’ampia trattazione del vocalismo in sillaba atona, insieme ad una panoramica sulla ricerca precedente si veda in part. Klein (1977: 331-537).
34 Schmid (2006: 317) attribuisce a questi elementi concernenti i flessivi con desinenza piena
(-a) un’importanza conclusiva ai fini della dimostrazione della sua tesi, e cioè che P ed L siano appartenuti ad un unico manoscritto.
35 Un’ipotesi di questo tipo credo che non sia stata finora avanzata nella letteratura specialistica: Foerste (1950), che dedica gran parte della sua monografia alla descrizione del trattamento delle sillabe atone nei vari testimoni del Heliand, non esprime alcuna opinione in merito; Klein (1977:
390-499) tenta di caratterizzare le Sprachlandschaften dell’as. tramite differenti “sistemi” vocalici
in sillaba atona (sistemi (a,o) - (e,o) - (e,a)).
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C. Sipione, Le glosse “impoetiche” del testimone lipsiense del Heliand
molti aspetti, e dall’altra mostra delle lezioni totalmente divergenti, da
fare ipotizzare che la tradizione manoscritta del Heliand non sia così costante e uniforme, come comunemente si ritiene.36 Dal momento che
una collazione dei due codici e una discussione delle varianti è stata già
realizzata da Schmid (2006: 315, 321-22), mi limiterò qui alla discussione del passo sicuramente più interessante, quello relativo ai vv. 584647a (L recto, r. 23; verso, r. 24) che mostra certamente le varianti più
cospicue e presenta delle curiose annotazioni interlineari. Riporto per
comodità il testo nei due testimoni (mia evidenziazione):37
C (v. 5845b)
(ne mahtun an thia engilos godes)
v. 5846
bi themo uulite scauuon uuas im thiu uuanami te strang
v. 5847a te suithi te sehanne
L (v. 5845b)
(ni mahtun an thia engilos godas)
scauon
scone
L v. 5846 bi them uulite uulitan uuas im thiu uuaname to strang
t skir
v. 5847a te suikle to sehanna
Le varianti significative (senza considerare le evidenti differenze grafematiche) nel testo principale sono due: a uulitan e suikle38 di L corrispondono in C rispettivamente scauuon e suithi. Se si analizzano più in
dettaglio le occorrenze di L si possono evincere alcuni elementi di sicuro
interesse. Il verbo uulitan (‘guardare’) di L è in as. un hapax assoluto,
ma è comunque attestato in altri dialetti germanici, come l’ags e l’an.39
36 Cfr. da ultimo Sahm (2007: 89): “Der Vergleich des Leipziger Fragments mit […] C ergibt
kaum textkritisch relevante Unterschiede […]. Mit diesen eher geringen Abweichungen zwischen L
und C wiederholt sich eine Beobachtung, die in der Heliand-Forschung schon öfter gehalten wurde: Der überlieferte Text ist in den verschiedenen Textzeugen erstaunlich konstant”.
37 Per le citazioni da C e M faccio riferimento all’edizione sinottica di Sievers (1878) ora reperibile anche in Internet. Dove non sia altrimenti indicato, viene citato il testo di M. L’uso dei diacritici sulle vocali è limitato alle forme standard riportate nei dizionari.
38 Schmid (2006: 320) legge qui te úikle, affermando “Der Anvers te úikle tesehanna in L ergibt in dieser ursprünglichen Form keinen Sinn”; secondo lo studioso solo la mano di un correttore
avrebbe aggiunto poi il grafema iniziale <ſ>. Tralascio le speculazioni successive a questa sua lettura del verso.
39 L’ags. wlītan ‘vedere’ (cfr. an. líta ‘vedere, osservare’) ricorre in numerosi testi poetici, in
particolare nella Genesi, nel Beowulf e nel Cristo; cfr. Bosworth-Toller (1976: 1259).
159
Linguistica e Filologia 29 (2009)
Data la sua natura di hapax, si potrebbe anche pensare che uulitan sia
dovuto ad un mero errore dittografico, scaturito dalla presenza di uulite
(qui ‘splendore, fulgore’) ma l’attestazione in ags. di una struttura simile
consente di escludere decisamente questa ipotesi.
Riporto il passo relativo della Genesi anglosassone, in cui ricorrono
il sostantivo ags. wlite e il verbo ags. wlitan in allitterazione:
Siððan Egypte
eagum moton
on þinne wlite wlitan wlance monige
þonne æðelinga
eorlas wenað
mæg ælfscieno
þæt þu min sie
beorht gebedda
þe wile beorna sum
him geagnian. (vv. 1824-29a).40
La struttura sintattica del testo ags. diverge da quella di L: nella Genesi il verbo wlitan, che è usato di solito come intransitivo, ha in on þinne wlite l’oggetto dell’azione specificata, mentre in L bi them uulite introduce una circostanza limitante all’azione del verbo, ni mahtun… bi
them uulite uulitan (‘a causa di quel bagliore... non potevano guardare’); al di là di questa divergenza sintattica la formula allitterativa è simile (X - wlite wlitan).
Se si continua nell’analisi del lessico di questo passo, si nota che anche il termine as. uulite risulta piuttosto raro (non ricorre al di fuori del
Heliand) e, a giudicare dalle occorrenze, potrebbe costituire un termine
poetico utilizzato specialmente ai fini dell’allitterazione.41
Al posto di uulitan, C ha invece un sinonimo di uso molto più comune, scauuon ‘guardare’. Ma il rapporto tra L e C è poi ulteriormente
complicato dal fatto che il termine uulitan in L viene “glossato” con
40 Krapp (1964: 55 seg.); ‘Quando molti valorosi Egiziani vedranno la tua bellezza, allora alcuni uomini di alto lignaggio penseranno, mia bellissima sposa, che tu sei mia moglie e qualcuno
di questi guerrieri ti vorrà avere per sé’.
41 Ad esclusione del caso appena discusso, uulite ricorre nel Heliand altre tre volte: una volta
con il significato di ‘aspetto, forma’: tho uuard imu thar uppe odarlicora/ uuliti endi giuuadi uurdum im is uuangan liohte ‘in quel momento si trasfigurarono il suo aspetto e la sua veste, le sue
guance divennero luminose’, vv. 3123-24, fitta 38; altrove invece ha, come al v. 5846, il senso di
‘bagliore, splendore, fulgore’: thes uuolcnes uuliti, v. 3152, fitta 38; la terza attestazione si trova all’inizio della fitta 69 (che contiene anche il passo esaminato): thuo sauun sia ina sittian thar/ thiu
uuib– uppan them giuuendidan stene, endi im fan them uulitie [stuodun]/ them idison sulica egison
tegegnes ‘le donne lo videro sedere lì, sulla pietra rovesciata, e a causa di quel bagliore furono sopraffatte da un tale spavento’, vv. 5810b-12a (solo C); cfr. Sehrt (1966: 712).
160
C. Sipione, Le glosse “impoetiche” del testimone lipsiense del Heliand
scauuon. La spiegazione avanzata da Schmid risulta verosimile: “in einem Zwischenglied zwischen L und C [ist] scauuon als das gegenüber
uulitan gebräulichere Verb in den Text übernommen worden” (Schmid
2006: 319); tuttavia, la presenza di una seconda variante significativa in
L, nel verso successivo, rende difficile precisare quale tipo di relazione
possa essere presupposta tra L e C.
Se si può affermare con sicurezza che i verbi uulitan e scauuon sono
sinonimi, lo stesso non si può dire per le varianti relative al v. 5847a, rispettivamente suikle in L e suithi in C. As. suikle (suigli), che ricorre di
rado nel Heliand,42 ha il significato di ‘brillante, splendente’; in questo
caso dunque suikle in L è del tutto pertinente al contesto: was im thiu
uuanami to strang,/ te suikle te sehanna ‘quel bagliore (quell’apparizione?) era per loro troppo forte, troppo luminoso/a da guardare’. suithi
(suiđi) di C ha invece il significato di ‘forte, robusto’, ‘potente’ e le sue
occorrenze nel Heliand sono molto numerose.43 Ma, mentre in L viene
descritta con maggiore precisione la natura dell’apparizione (uuaname)
degli angeli, definita ‘luminosa, splendente’ (suikle), oltre che ‘potente,
magnifica’ (strang), in C, invece, l’apparizione viene caratterizzata meno adeguatamente tramite la variazione dei quasi sinonimi strang e suithi.44 Viene facile ipotizzare a questo punto, vista anche la presenza ai
vv. 5846-7 di L di un hapax come uulitan e di un termine poco usato come suikle,45 che L abbia conservato le lezioni originarie, più difficili e
meno comuni; in C, invece, oppure nel suo antigrafo, uno scriba potrebbe avere innovato adottando delle lezioni più “generiche” come scauuon e suithi.
42 Di solito accompagna i sostantivi lioht e scin: cfr. suikle sunnun lioht (C scin), v. 3577; suigli sunnun lioht v. 5782 (solo C); ni mahta suigli lioht/ sconi giscinan ‘la bella e splendente luce
[del giorno] non poteva brillare’, vv. 5625b-5626a (solo C); cfr. Sehrt (1966: 520).
43 suiđi assume anche il significato di ‘destro’, se unito a termini come hand, half. Si vedano,
ad esempio, nella prima accezione: that gi neo ne suerien suuidoron edos,/ meron met mannun ‘che
voi non stringiate con uomini alcun giuramento più forte e più duro’, vv. 1518-19a; ni mugun uuid
them thinum suideun crafte/ anthebbien hellie portun ‘contro la tua forza potente non potranno resistere le porte dell’inferno’, vv. 3071b-72a; iac ina be imu selbon bisuor suithon ethun ‘e lo provocò con pesanti (forti) giuramenti’ (Mt 26,63), v. 5083; cfr. Sehrt (1966: 519).
44 strang è usato in as. più spesso nel senso di ‘potente’ che di ‘forte’: barno strangost, v. 370;
the cuning (Cristo) is […] giboran, bald endi strang, v. 599; he (Cristo) is mid is dadium so strang/
so mari endi so mahtig…, v. 936b-37a; ic hebbiu von is uuorde mid mi stranga stemma (qui in allitterazione), v. 933b-34a. Nel senso di ‘potente’ ricorre però più comunemente mahtig.
45 La forma standard è as. suigli, in suikle si verifica assordimento della velare dinanzi a /l/,
cfr. Gallée (1993: 167, § 241).
161
Linguistica e Filologia 29 (2009)
Anche uuaname è un hapax: il termine ricorre infatti soltanto in questo passo e ha il significato, secondo Sehrt, di ‘splendore, fulgore’;46 a
differenza degli altri due termini discussi sopra, tale lezione viene mantenuta in C (uuanami), nonostante si tratti di un sostantivo decisamente
poco comune.
Riassumendo possiamo dire che ai vv. 5846-47a di L abbiamo una
concentrazione di termini certamente inconsueti (uulitan, uuaname e
suikle), in due casi si tratta addirittura di hapax; di questi termini solo
uno, uuaname, ricorre anche in C, mentre gli altri due sono “rappresentati” da lemmi di uso più corrente come scauuon e suithi. Quest’ultimo
termine in C, inoltre, non costituisce dal punto di vista semantico un
analogo del corrispondente lemma (suikle) presente in L.
Le glosse
Ma l’elemento di maggiore interesse di questo passo di L è costituito
da quelle che, per il momento, chiamerò genericamente annotazioni interlineari e che sono di sicuro, insieme agli accenti acuti, finalizzati alla
recitazione del passo, una ulteriore traccia dell’utilizzo del poema. Ma
di quale utilizzo si tratta?
Le tre annotazioni, scritte con inchiostro più scuro da altra mano rispetto al testo principale,47 si trovano sui tre lemmi, uulitan, uuaname e
suikle, di cui si è già detto. Che si tratti di annotazioni interlineari, cioè
di interpretamenta e non di “correzioni”, è evidente: sembrano note destinate a spiegare termini insoliti o tipici del linguaggio poetico-eroico
del Heliand. Non mi pare dunque corretto l’approccio di H. Sahm,48 che
definisce queste annotazioni Korrekturen, ponendole praticamente sullo
stesso piano degli interventi emendatori apportati da vari correttori ai te46 Cioè Glanz, cfr. Sehrt (1966: 638). Nel Heliand si trova l’agg. wanam, wanum ‘bello,
splendente’ (quattro occorrenze); ricorre anche poco prima del passo esaminato, nella medesima
fitta 69: an alohuiton uuanamon giuuadeom (giuuadion C) ‘nelle candidissime e splendenti vesti’,
v. 5843.
47 Cfr. Schmid (2006: 319) “mit dunklerer Tinte von gleichzeitiger, aber vielleicht anderer
Hand […]”.
48 Sahm (2007: 90): “Wie die Mehrzahl der Überlieferungszeugen, so beinhaltet auch das
Fragment L Korrekturen”; similmente si esprime anche anche Schmid (2006: 319): “Dieses gegenüber uulitan sicher geläufigere Verbum [cioé: scauuon] kann als Korrektur, aber auch als erläuternde Glosse gedacht sein”.
162
C. Sipione, Le glosse “impoetiche” del testimone lipsiense del Heliand
stimoni M, S e C e che riguardano essenzialmente correzioni di carattere (orto)grafico e, più raramente, emendazioni di carattere morfologico
e lessicale.49
Sia scauuon che scone (scōni) rappresentano, rispetto a uulitan e
uuaname termini molto più comuni. Tuttavia, mentre scauuon ricorre
relativamente spesso nel Heliand, scōni non si trova mai come simplex,
ma soltanto nei composti uulitiscōni, ‘bellezza, magnificenza’, e
sinscōni, ‘splendore eterno’;50 come simplex scōni ricorre soltanto nei
documenti minori, ed in particolare nelle glosse as. alla Psychomachia
di Prudenzio,51 dove l’espressione latina pudendi decoris viene glossata
con tale termine; anche se non strettamente attinente all’ambito dell’as.,
mi pare il caso di citare la glossa contenuta nella versione interlineare
dei Salmi in antico basso francone (Altniederfränkische Psalmen),52 dove il termine species (speciei) viene reso con sconi: come si può notare,
in queste annotazioni il significato prevalente è ‘aspetto, sembianza’,
certamente più generico rispetto a quello attribuito da Sehrt a uuaname
(‘fulgore, splendore’) di cui scone in L è l’interpretamentum.
La terza annotazione interlineare, t skir, che costituisce l’interpretamentum di suikle ‘luminoso, sfolgorante’,53 è problematica. L’agg. skir
ricorre nel Heliand con il significato di ‘puro, schietto, genuino’ ed è riferito soltanto ai termini uuater e win;54 al di fuori del Heliand il termine si trova nelle Glosse di Strasburgo alle Etymologiae di Isidoro (X/XI
–
49 Come ad esempio l’aggiunta in C dei tagli orizzontali ai grafemi <b
> e <đ>, spesso tralasciati dai copisti, cfr. Gallée, (1993: 126, 135 §§ 163, 176), oppure le correzioni ortografiche in M;
cfr. Taeger (1985: XII), o ancora, alcune emendazioni presenti in S, cfr. Bischoff (1979b: 175-80).
50 Cfr. Sehrt (1966: 466, 713); frequente è invece l’agg. as. corrispondente scōni ‘splendente,
leggiadro’; cfr. Sehrt (1966: 473-4).
51 Contenute nel codice St. Peter perg. 87 della Badische Landesbibliothek di Karlsruhe, ff.
89rb-93vb; questa parte del codice potrebbe risalire al X/XI secolo, ma è stata realizzata utilizzando glossari più antichi, alcuni dei quali forse provenienti da Corvey; la mano che ha vergato le
glosse viene ricondotta a Lorsch. Edizione in: Wadstein (1899: 73-87, part. 85); cfr. Klein (1977:
315-316) e, di recente, Digilio (2008: 75-81); per la bibliografia: Krogh (1996: 131), Tiefenbach
(2001: 329).
52 Editi per la prima volta da Heyne (1970: 1-59, qui 26). Si trattava di una versione interlineare dei salmi in possesso del canonico Arnold von Wachtendonck (1535-1605); del codice, oggi
perduto, si possiede solo una copia realizzata da Justus Lipsius nel 1591 (Ms. Diez C quart. 90,
Staatsbibliothek di Berlino). Il testo delle glosse viene datato al IX/X secolo; cfr. Sanders (1978:
311-13) per ulteriore bibliografia.
53 t costituisce la parziale ripresa del sottostante avverbio te.
54 Ad esempio skiriane uuin v. 2008, skirea uuatares v. 2040, drog man uuin an flet/ skiri mid
scalun ‘nella sala venne portato vino genuino nelle coppe’, v. 2733b-40a.
163
Linguistica e Filologia 29 (2009)
sec.):55 lì, infatti, l’espressione isidoriana sales agrigentinos viene spiegata tramite la locuzione scirion salt; Isidoro descrive così il comportamento dei cosiddetti “sali agrigentini” nel capitolo sulla Sicilia: “Parturit et mare eius corallium; gignit et sales Agrigentinos in igne solubiles,
crepitantes in aquis (Etymologiae XIV, 6, 33),56 cioè: ‘Il suo mare partorisce coralli e genera i sali di Agrigento, che sono solubili nel fuoco e
scoppiettano in acqua’.
Il significato di skir nella glossa a Isidoro non può essere come nel
Heliand ‘puro, schietto, genuino’,57 ma deve riferirsi a qualche qualità
propria del materiale descritto da Isidoro: in altre lingue germaniche, infatti, i lemmi affini ad as. skir hanno un significato molto più ampio,
‘chiaro, luminoso, splendente’, ‘trasparente’ oltre che ‘puro, genuino’.58
Come attesta la glossa a Isidoro, tale ampio ventaglio di accezioni deve
essere ipotizzato anche per as. skir, che dunque poteva assumere, si suppone, il significato di ‘brillante, lucido’ o ‘chiaro, trasparente’; d’altro
canto il fatto che skir venga utilizzato per glossare suikle ‘brillante, sfolgorante’ in L, con un significato evidentemente ben diverso rispetto all’accezione comunemente attestata per quel termine nel Heliand, ben
più ristretta e specialistica, è indicativo della circostanza che skir doveva avere comunque in as. un significato assai più ampio.
Anche considerando tali motivazioni, sorprende tuttavia che il termine skir, legato nel Heliand ad un ambito semantico così ristretto, sia stato utilizzato per “spiegare” suikle, mentre si sarebbe potuto utilizzare,
sicuramente in maniera più precisa, un altro lemma comunemente adot55 Cod. C. IV. 15. della Universitätsbibliothek di Strasburgo, distrutto nell’incendio del 1870;
l’origine del codice (X/XI sec.) sembra legata al monastero di Hildesheim; edizione in Wadstein
(1899: 106-108, part. 108). Cfr. Klein (1977: 325, 400), Digilio (2008: 50-52), bibliografia in
Krogh (1996: 130), Tiefenbach (2001: 341).
56 I sali agrigentini sono noti sin dall’antichità e ne riferiscono, prima di Isidoro, Plinio il Vecchio, Solino e Agostino. In maniera simile a Isidoro si esprime Agostino in merito alle loro qualità:
“Agrigentinum Siciliae salem perhibent, cum fuerit admotus igni, velut in aqua fluescere; cum vero
ipsi aquae, velut in igne crepitare” (De Civitate Dei, XXI, 5, 1), ‘Dicono che un sale di Agrigento
in Sicilia, quando viene avvicinato al fuoco, si liquefa come se fosse acqua e quando è avvicinato
all’acqua, sfrigola come nel fuoco’.
57 Schützeichel (2004: VIII, 354) riporta questa glossa e la traduce con ‘puro’, salvo poi indicare che all’aggettivo as. corrisponde il termine agrigentinus.
58 Cfr. got. skeirs ‘chiaro, luminoso, evidente’; an. skírr ‘splendente, chiaro, luminoso, evidente’, ags. scīr ‘luminoso, brillante’, ‘chiaro, trasparente’, ‘puro’ (ingl. sheer); cfr. Feist (1939:
432), Bosworth-Toller (1976: 836). Il mat. schīr ‘puro, genuino, luminoso’ è un prestito dal basso
tedesco (ted. schier), cfr. Kluge (1995: 720).
164
C. Sipione, Le glosse “impoetiche” del testimone lipsiense del Heliand
tato nel poema con il significato di ‘splendente, luminoso’, come berht
o lioht. Se dunque il termine scone per glossare uuaname sembra non
del tutto calzante, ancora meno lo è il termine skir per spiegare suikle.
Anche l’idea che sia stata l’allitterazione a guidare il glossatore nella
scelta dei termini da adottare, mi sembra poco probabile: la necessità di
ristabilire il testo dal punto di vista dell’allitterazione non era così pressante, dato che al v. 5846 uulite e uuaname potevano ancora allitterare,
come mostra la struttura del v. 5846 in C, mentre, d’altro canto, un’allitterazione affidata a scauuon e sconi avrebbe originato di certo un verso
difettoso.59 Perciò non è convincente l’ipotesi di uno Stabenwechsel come viene prospettato da H. Sahm, che giunge ad attribuire al “redattore”
di L anche l’intenzione di individuare “eigene, bessere Stäben”.60
Il vero problema legato alle glosse di L è che, benché si tratti di termini presenti altrimenti nel Heliand, non vi compaiono con quel significato che pare vi attribuisca il glossatore, oppure vi compaiono in forma
decisamente differente. In sostanza l’uso dei termini scone e skir nelle
glosse, non corrisponde all’uso attestato nel linguaggio poetico-eroico
del Heliand: sconi, infatti, non vi compare mai come simplex (per ragioni metriche o anche stilistiche, per quanto possiamo supporre), mentre
skir appartiene al lessico del Heliand con un significato estremamente
specialistico e ristretto. In entrambi i casi sembra trattarsi di un uso “impoetico” di termini comunque presenti, in un modo o nell’altro, nel lessico del poema. Che questi termini potessero avere anche un altro uso o
ricoprire altri ambiti semantici sembra comunque confermato dalla loro
presenza nelle glosse.
Anche nel foglio di Praga,61 che riporta i vv. 958-1008 del poema,
trasmessi in C e in M, e relativi alla scena del battesimo di Cristo, è presente una glossa, sulla quale in verità non sono state spese molte parole.
Cercherò di chiarire ulteriormente, anche grazie all’esempio di P, il mio
punto di vista. I vv. 987-8a contengono la descrizione della colomba che
si posa sulla spalla (!) di Cristo; sia C che P riportano la medesima dizione nel testo principale, con alcune trascurabili differenze grafiche: uuas
59 Tra le altre cose, nel rispetto delle regole “classiche“ dell’allitterazione, la sequenza scauuon: sconi non è corretta, visto che nel primo semiverso avremmo una sequenza nome + verbo in
cui il nome non allittera.
60 “Der Redaktor [sic!] von L nimmt also in der Folge der ersten Korrektur einen Stabenwechsel von uu- zu sc- vor”; cfr. Sahm (2007: 91, passim).
165
Linguistica e Filologia 29 (2009)
im an gilicnessia lungras fuglas / diurlicaro dub– on62 ‘aveva l’aspetto di
uccello robusto, di magnifica colomba’; il copista di M, invece, ha scritto
iungras per lungras, mostrando una evidente difficoltà nel comprendere
quest’ultimo termine;63 in P infine, viene riportato correttamente lungras, ma viene glossato con gitalas, scritto, a detta di Lambel, dalla medesima mano del testo principale (Lambel 1881: 619). È evidente che anche per il copista di P il vocabolo fosse problematico.64 Curiosamente
qui lungar, che ricorre quattro volte nel Heliand,65 viene glossato con un
lemma che è un hapax in as. Dal confronto con l’aat., dove i due termini
ricorrono, possiamo anche determinarne più precisamente il significato:
così, ad esempio, aat. lungar si trova nelle glosse per rendere expeditus,
strenuus,66 mentre aat. gizal ricorre, oltre che nelle glosse, in altri documenti, come i Frammenti di Monsee, il Liber Evangeliorum di Otfrid e il
Fisiologo antico alto-tedesco, con il significato di ‘veloce, agile’, ma anche ‘coraggioso’.67
61 Non entro qui sulla questione se l’analogia di procedimento (glosse al testo principale) possa o meno attestare l’appartenenza dei due frammenti ad un medesimo codice, così come del tutto
oziosa mi pare la discussione relativa al famoso codice del Heliand, noto alla cerchia di intellettuali
protestanti intorno a Melantone, che sarebbe stato consultato con avidità da Lutero a Lipsia; il nuovo foglio può effettivamente rappresentare la conferma della localizzazione di tale manoscritto del
Heliand (e della Genesi antico sassone) a Lipsia? Cfr. in proposito Schmid (2006: 322-3), Sahm
(2007: 95-96). Sulla questione si veda Hannemann (1973).
62 Secondo P; ecco il testo negli altri due testimoni: C, uuas im an gilicnesse lungras fugles;
M, uuas im an gilicnissie iungres fugles.
63 L’amanuense di M causa una corruttela poiché la sostituzione di lungras con iungres fa soffrire l’allitterazione; così Sievers (1878: 71, 514) emenda iungres in lungres. Anche altrove l’amanuense
di M sostituisce lung(a)ro con iungaro, segno evidente che il termine non doveva essergli familiare;
si veda C, vv. 1245b-47: thuo gisah he […] cuman/ […] uuerod tesamne/ lungro liudio is lof uuas so
uuido ‘allora vide arrivare […] insieme una enorme folla di gente, la sua fama era così ampiamente
diffusa’, con due allitterazioni al v. 1247a, rispetto al v. 1247 in M: iungaro liudio is lof uuas so
uuido. Cfr. Krogmann (1954: 13): “Da der Schreiber von M lungras in V. 987 durch iungres als auch
lungro in V. 1287 durch iungaro ersetzt hat, erkennen wir, dass ihm da Adjektivum lungar ‘schnell,
stark, kräftig’ unverständlich war. Dass es im As. nicht mehr überall bekannt war, bestätigt das Fragment P […]. Hier ist zwar lungras beibehalten, aber zur Erklärung gitalas darübergeschrieben”.
64 Cfr. Steinger (1925: 2): “vielleicht war das Wort auch dem Schreiber von P nicht mehr geläufig, denn von seiner Hand stammt nach Piper das übergeschriebene gitalas, das doch wohl der
Verdeutlichung dienen soll”.
65 lungar ricorre altre due volte nel Heliand, sempre in allitterazione: C v. 5298: ledian hiet
ina lungra mann (= ‘soldati’) endi lastar spracun e, nella fitta 69, da noi esaminata, CL vv. 5827b28a: thar is lichamo lag lungra fengum/ gibada an iro brioston.
66 Cfr. Schützeichel (2004: IV, 191); Graff (1834-46: II, 232).
67 Cfr. Schützeichel (2004: XI, 320 seg.); Graff (1834-46: V, 656). Sono attestati anche ags.
getæl ‘veloce’ ‘disobbediente’ e l’avverbio ags. lungre ‘presto, velocemente’‚ cfr. Bosworth-Toller
(1976: 648).
166
C. Sipione, Le glosse “impoetiche” del testimone lipsiense del Heliand
In questo caso tra i due termini, la glossa e l’interpretamentum, sembra non esserci una corrispondenza univoca: anzi essi sembrano abbracciare ambiti semantici che appena si sfiorano. Infatti, mentre as. lungar
ha il significato piuttosto di ‘robusto, pesante’ ‘coraggioso’, as. gital è
piuttosto ‘veloce, irrequieto, agile’ (Sehrt 1966: 193, 353).
Scopo delle glosse?
Dunque questi termini aggiunti successivamente all’ultima riga del
recto di L e alla prima del verso hanno tutto l’aspetto di note esplicative,
destinate e pensate per fornire un aiuto alla comprensione di termini
certamente poco comuni, come uulitan, uuanami e suikle. La loro funzione non è certamente di modificare la struttura metrica del verso, né
di fornire un nuovo testo in alternativa a quello principale. La prima cosa che viene in mente, considerando anche l’uso di questi termini e la
loro limitata applicazione nel lessico del Heliand, è che si tratti, di fatto,
di una glossatura a scopo didattico. E che, molto probabilmente, anche
per quanto riguarda la stessa redazione L, si possa trattare di un lavoro
fatto proprio per la “scuola”, allo scopo di impartire, anche a coloro che
non erano pratici del latino, i primi rudimenti di dottrina evangelica.
Non mi sembra improbabile, infatti, che anche lo stesso Heliand, in base alle indicazioni che il nuovo frammento ci fornisce, e cioè gli accenti
e le glosse “impoetiche” che costituiscono indizi di un uso certo del
poema e di una sua fruizione, anche al di là del suo valore letterario, sia
stato utilizzato come catechismo nella lingua nativa per spiegare il Vangelo ai laici e ai giovani conversi non ancora o non del tutto padroni del
latino. Ipotesi di un uso del Heliand a fini di scuola sono state già proposte, basti ricordare il contesto in cui vanno collocati gli estratti nel Vaticanus (Taeger 1985: XIII); ricordo inoltre che anche U. Schwab ha
proposto per l’Inno di Caedmon un uso in ambito scolastico come introduzione a un ciclo di letture sulla Genesi da tenersi in determinate stagioni dell’anno oppure in occasione del refettorio degli “scolari” nei
monasteri:
Caedmons Verse [mochten] vielleicht einen Zyklus von Tischlektionen
aus der Genesis einleiten […]. Oder aber Lesungen mit ebendiesem The167
Linguistica e Filologia 29 (2009)
ma entweder bei Tagzeiten oder auch bei dem “Kanonischen” Kapitel
Weltgeistlicher […], wo ja auch Gäste teilnehmen konnten – oder aber
bei den Mahlzeiten der Schüler. Bei diesen Gelegenheiten wurden wohl
auch die Themen der liturgischen biblischen Lektionen in verschiedener
Form wieder aufgenommen, sei es im biblischen Wortlaut, sei es als
volkssprachige Auslegung oder auch musikalisch (Schwab 1984: 424-5).
La parola d’ordine qui è appunto volkssprachig: io non penso ad uno
scenario in cui le Scritture per i novizi o per i laici che studiano nella suola del monastero vengano “soltanto” spiegate in volgare, ma in cui vengano lette in lingua saxonica, funzione per la quale il Heliand si sarebbe
prestato assai bene. In questo senso potrebbe costituire una analogo interessante il passo di Asser, biografo di Alfredo il Grande, che racconta dell’organizzazione della scuola voluta dal re per impartire una educazione
elementare ai giovani, sia nobili che di umili origini, e che anche il figlio
più giovane di Alfredo avrebbe frequentato: “In qua schola utriusque linguae libri, Latinae scilicet et Saxonicae, assidue legebantur, […] ita, ut
[…] in liberalibus artibus studiosi et ingeniosi viderentur”.68 Nella scuola
promossa da Alfredo, il cui scopo finale è di impartire i primi rudimenti
nelle arti liberali, vengono letti libri in entrambe le lingue, latina e sassone. Ma l’insegnamento in utriusque linguae continua ben oltre l’età di
Alfredo.69 Con Alfredo e la sua vita (scritta da Asser intorno all’anno
893) siamo già nella seconda metà del IX secolo, dunque non troppo oltre
il periodo a cui risalgono il Heliand e il foglio L con le sue annotazioni.
È del tutto legittimo ipotizzare che l’armonia evangelica dei Sassoni
potesse anche essere bene e proficuamente utilizzata per diffondere e far
conoscere il Vangelo presso i conversi e i laici tramite il ricorso al vernacolo. In fondo è questo lo scopo per cui il Ludovico della Praefatio promuove la stesura del Heliand (e della Genesi antico sassone): alla luce
delle tracce rinvenute in L mi sembra dunque assai probabile che la lettura del Heliand potesse compiersi anche in ambiente “scolastico”, nella
schola del monastero, allo scopo di fornire le necessarie conoscenze di
catechismo agli alunni, e che non fosse confinata soltanto alla sala nobiliare, alla quale la dizione ricercata del Heliand certamente ci riconduce.
68
69
Asser’s Life of King Alfred, 75.15, Stevenson (1959: 58).
Per questo riferimento ad Alfredo e altre notizie relative all’insegnamento “bilingue” nell’Inghilterra altomedievale cfr. Bullough (1972: 453-493).
168
C. Sipione, Le glosse “impoetiche” del testimone lipsiense del Heliand
Testo diplomatico e resa in versi
Ho utilizzato per la trascrizione il facsimile messo a disposizione dalla Biblioteca universitaria di Lipsia su Internet (v. Bibliografia). La resa
diplomatica rispetta, quanto più fedelmente possibile, le caratteristiche
del manoscritto. Sono stati inoltre adottati i seguenti accorgimenti:
– lettere e parole non leggibili, integrate da C, sono in corsivo;
– l’interpunzione e la separazione tra parole rispecchia fedelmente
quella del manoscritto;
– i capilettera a inizio di verso sono evidenziati tramite carattere maiuscolo;
– le glosse sono riportate sulle parole corrispondenti;
– le righe sono state numerate di continuo per una più facile consultazione.
RECTO
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
aſtandan iú eNdi ſind theſa ſtedi lárea •
Thit graf aN theſuN griota Nu muguN gi gangaN
herod Nahor mikilo ik uuet that iſ iu iſ Niod
ſehaN • AN theſaN ſtéN innaN hier sind Noh thiu
ſtedi ſkina • Thar iſ líchamo lag lungra fenguN •
Gibada an iro briostuN blæcoN idise • Uuliteſco
nioN uuif uuaſ im that uuillſpell mikil • Tegi
horianna that im fan iro hérroN ſagda engil
thaſ alouualdoN • híet ſia eft thanaN • FaNthem
graua gangan endi faraN te them giungarom
xriſtaſ • Seggean them iſ geſíđoN ſuođoN uuordun
That iro drohtiN uuaſ • fandođa aſtandaN • Hiet
ok anſundroN ſymoN petruſa • Uuillſpell mikil
uuorduN kuđiaN • Kumi drohtinaſ io that
xriſt ſelb– o uuaſ aN galileoland thar ina eft
iſ giungaroN ſculuN • GiſehaN iſ geſíđos ſo hie im
–
er ſelb
o giſprak Uuarom uuorduN reht ſo thuo
thia uuif thanaN • Gangan uuelduN ſo ſtuodun im
(C 5823)
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tegegnaſ thar Engilos tueNa aNalohuitoN • uuana
moN giuuadeom endi sprakuN im miđ iro uuor
duN tuo Hélaglico hugi uuarđ giblóđid • them
idiſoN an egiſoN NimahtuN aN thia engiloſ godaſ
ſcauuoN
ſcone
Bi them uulite uulitaN uuas im thiu uuaname to
(C 5845)
VERSO
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t ſkir
ſtrang • Teſuikle teſehanna thúo ſprákuN im san
aNgegiN • Uualdandaſ bodoN endi thea uuif fra
goduN • Tehui ſia criſta tharod • quicaN mid dó
duN • Suno drohtinaſ ſuókiaN quámiN • Ferahaſ
fullaN Nú gi ina Nefíđat hier • AN theſuN ſteNgra
ua ac hie is aſtandaN giu • AN is líchamon theſ
–
ean ſculuN • ENdi gehuggiat thero uuor
gí gilob
–
do the hie iu teuuaraN oft • Selb
o sagda thann hie
an iuuuoN geſíđea uuas • AN galileo landa hu hie
–
eN uuerđaN • Giſald ſelbo anſundigaro
ſcoldi gigeb
manno • Hetteandero hand helag drohtiN • That
ſea ina quelediN endi aN crucea ſlúogiN • DođaN
gidádiN endi that hie ſcoldi thuruh drohtinaſ
craft • AN thriddioN daga thioda teuuilleaN •
LibbeaNdi aſtandaN Nú habat hie all gileſtid ſo •
Gefrumiđ miđ firihoN ileat gí nu forđ hinaN •
Gangat gahlico • eNdi giduat it them iſ giungarom kúđ •
–
at ſia giu farfarana • endi iſ im forđ
Hie hab
hinaN • AN galileoland thar ina eft iſ giunga
roN ſculuN • Giſehan iſ geſíđos thuo uuarđ ſáN af
tar thiu • Thém uuiboN an uuilleoN • that ſia gihor
duN ſulic uuord ſprekaN • KuđeaN thia craft godaſ •
uuaruN im ſó akumaNa thúo noh • Ia forohta
(C 5846)
(C 5870a)
C. Sipione, Le glosse “impoetiche” del testimone lipsiense del Heliand
Per facilitare la lettura del passo e il confronto con l’edizione del Heliand, si dà di seguito una resa parzialmente normalizzata, con divisione
in versi, punteggiatura moderna, maiuscole ad inizio di frase e per i nomi propri. Non si è tenuto conto qui delle annotazioni interlineari. A seguire ho aggiunto una parafrasi in italiano.
(LXIX)
(C 5823) … astandan iú endi ſind thesa ſtedi lárea (L recto)
5824 thit graf an thesun griota. Nu mugun gi gangan herod
5825 nahor mikilo - ik uuet that is iu is niod sehan
5826 an thesan stén innan- hier sind noh thiu stedi skina
5827 thar is líchamo lag”. Lungra fengun
5728 gibada an iro briostun blæcon idise,
5829 uulitesconion uuif: uuas im that uuillspell mikil
5830 te gihorianna, that im fan iro hérron sagda
5831 engil thas alouualdon. Híet sia eft thanan
5832 fan them graua gangan endi faran te them giungarom Xristas,
5833 seggean them is gesíđon suođon uuordun,
5834 that iro drohtin uuas fan dođa astandan.
5835 Hiet ok an sundron Symon Petrusa
5836 uuillspell mikil uuordun kuđian,
5837 kumi drohtinas, io that Xrist selb– o
5838 uuas an Galileo land “thar ina eft is giungaron sculun
–
5839 gisehan is gesíđos so hie im er selb
o gisprak
5840 uuarom uuordun”. Reht so thuo thia uuif thanan
5841 gangan uueldun, so stuodun im tegegnas thar
5842 engilos tuena an alohuiton
5843 uuanamon giuuadeom endi sprakun im miđ iro uuordun tuo
5844 hélaglico. Hugi uuarđ giblóđid
5845 them idison an egison, ni mahtun an thia engilos godas
5846 bi them uulite uulitan: uuas im thiu uuaname to strang, (L verso)
5847 te suikle te sehanna. Thúo sprákun im san angegin
5848 uualdandas bodon endi thea uuif fragodun,
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te hui sia Crista tharod quican mid dódun,
suno drohtinas suókian quámin
ferahas fullan; “nú gi ina ne fiđat hier
an thesun stengraua, ac hie is astandan giu
–
ean sculun
an is líchamon: thes gí gilob
endi gehuggiat thero uuordo, the hie iu te uuaran oft
–
o sagda, thann hie an iuuuon gesíđea uuas
selb
–
en uuerđan,
an Galileo landa, hu hie scoldi gigeb
gisald selbo an sundigaro manno,
hetteandero hand, helag drohtin,
that sea ina queledin endi an crucea slúogin,
dođan gidádin endi that hie scoldi thuruh drohtinas craft
an thriddion daga, thioda te uuillean,
libbeandi astandan. Nú habat hie all gilestid so,
gefrumiđ miđ firihon: ileat gí nu forđ hinan,
gangat gahlico endi giduat it them is giungarom kuđ.
LXX
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–
Hie habat sia giu farfarana endi is im forđ hinan
an Galileo land, thar ina eft is giungaron sculun,
gisehan is gesíđos”. Thuo uuarđ sán aftar thiu
them uuibon an uuilleon, that sia gihordun sulic uuord sprekan,
kuđean thia craft godas -uuarun im só akumana thúo noh
ia forohta…
C. Sipione, Le glosse “impoetiche” del testimone lipsiense del Heliand
TRADUZIONE
(LXIX, v. 5823)… (poiché egli) è già risorto e vuoti sono questi siti,
questa tomba su questa terra. Adesso venite qui, (5825) assai più vicino, – so che avete desiderio di guardare dentro il sepolcro: sono ancora
visibili qui i luoghi in cui il suo corpo giacque”. Si rincuorarono enormemente le pallide donne, le luminose Marie; fu per loro così inaspettato (5830) sentire la buona novella che del loro Signore recava l’angelo dell’Onnipotente. Ordinò poi loro di andare via di lì, da quella tomba, e di recarsi presso i discepoli di Cristo e dire loro, i suoi fedeli, con
parole autentiche, che il loro Signore era risorto dalla morte. (5835)
Particolarmente a Simon Pietro, ordinò ancora di annunciare la magnifica, lieta novella, il ritorno del Signore e anche che Cristo in persona
era in terra di Galilea: “Lì i suoi discepoli dovranno incontrarlo, i suoi
seguaci, come egli stesso aveva affermato (5840) con parole di verità”.
Proprio quando le donne vollero andar via, stettero lì, dinanzi a loro,
due angeli in candidissime e splendide vesti e pronunciarono allora parole assai pie. L’animo delle donne ne fu sconvolto (5845) per il timore;
né riuscirono, in tutto quel bagliore, a guardare gli angeli di Dio: per loro era quell’apparizione troppo intensa, (L verso) troppo luminosa da
guardare. Quindi si rivolsero di nuovo loro i messaggeri del Signore e
chiesero alle donne perché fossero venute a cercare lì, tra i morti, il Cristo vivente, (5850) il figlio del Signore, colui che è pieno di vita:
“Adesso non lo troverete qui in questo sepolcro, ma è già risorto con il
suo corpo: questo dovete credere, e ripensate a quelle parole che egli
spesso, in verità, (5855) diceva, quando era in vostra compagnia, in terra di Galilea, di come egli sarebbe stato ceduto a uomini peccatori, consegnato in mano ai persecutori, affinché essi lo tormentassero, lo crocifiggessero (5860) e lo uccidessero e di come, attraverso la potenza del
Signore, al terzo giorno sarebbe dovuto risorgere da vivente per il bene
dell’umanità. Adesso egli ha compiuto e realizzato tutto questo tra gli
uomini: allontanatevi di qui ora, andate, presto, e annunziatelo ai suoi
discepoli. (LXX, 5865) Egli li ha già preceduti ed è andato via di qui, in
terra di Galilea, lì i suoi discepoli, i suoi seguaci lo rivedranno”. Dunque, subito dopo le donne gioirono nell’udire pronunciare tali parole e
annunciare la grandezza di Dio – anche se erano ancora così impaurite
e intimorite…
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