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Sguardo d’insieme all’architettura umbra del Duecento

2011

Comitato Nazionale per le celebrazioni del VII centenario della morte della beata Angela da Foligno (1309-2009) L’UMBRIA NEL XIII SECOLO a cura di Enrico MEnEstò FON DAZ IONE C E NTR O I TALI ANO DI S TUDI S ULL’ALTO M E DIOE VO SPOLETO 2011 FABIO CODEN Sguardo d’insieme all’architettura umbra del Duecento La creazione dei primi comuni in Umbria è attestata fra XI e XII secolo ed eccetto il caso del ducato di Spoleto, che conservò anche se solo nominalmente la propria unità, la storia della regione deve essere ricondotta inevitabilmente alle fortune dei singoli centri urbani, spesse volte di dimensioni davvero esigue. Questa particolare contingenza storica, nonché il sistema di vie di comunicazione che fin dall’epoca romana condizionò lo sviluppo antropico principalmente lungo le due direttrici della via Flaminia e della via Amerina, che collegavano Roma all’Adriatico, sono nodi cruciali per comprendere anche le vicissitudini urbanistiche ed architettoniche nel momento in cui la stagione gotica fece breccia nella consolidata tradizione romanica, il cui linguaggio estremamente caratteristico continuò a influenzare, seppur in maniera via via più attenuata, il lessico artistico che si stava imponendo anche in quest’area della penisola 1. Nonostante ciò, il passaggio allo Stato Pontificio nel 1198, all’epoca di Innocenzo III, che ebbe interesse a mantenere la frammentazione in piccolissimi centri 2, onde poter controllare più facilmente il territorio, determinò un allargamento delle prospettive culturali oltre i naturali confini dei secoli precedenti 3. Forse, come naturale conseguenza a questa costante tensione a par1 M.T. GIGLIOZZI, Architettura romanica in Umbria. Edifici di culto tra la fine del X e gli inizi del XIII secolo, Roma, 2000 (Università. Strumenti, 34), p. 3. 2 U. TARCHI, L’arte medioevale nell’Umbria e nella Sabina, IV, Architettura religiosa (dalla metà del secolo XIII al principio del secolo XV), Milano, 1940, pp. 1-4. 3 M.E. SAVI, Umbria, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, XI, Roma, 2000, p. 398. 334 FABIO CODEN cellizzare il territorio, il XIII secolo è anche il momento delle grandi trasformazioni interne dei centri urbani che, in un naturale processo d’inglobamento dei borghi e di attrazione delle nuove realtà religiose, produsse un’inevitabile rivitalizzazione dei linguaggi architettonici 4. Accanto a questa particolare temperatura politica s’insinuò un’innegabile floridezza economica che interessò la regione fin dall’apertura del secolo e che rese possibile l’apparizione di cantieri spesse volte di straordinaria importanza e grandezza 5. Più nello specifico, se già allo scadere del XII secolo apparvero alcune componenti del nuovo linguaggio gotico, fu a partire dai primi decenni del XIII che la regione ebbe il momento cruciale e più fecondo della propria stagione più caratterizzante, anche se l’adesione al nuovo idioma incontrò in molti contesti notevoli resistenze 6. Il carattere tutt’altro che periferico di molti episodi architettonici umbri del Duecento, che diedero avvio nel territorio talvolta a veri e propri fenomeni d’imitazione, la fortunata sopravvivenza di una grande quantità di testimonianze edilizie di quest’epoca fin nei centri più piccoli, i davvero numerosi interventi di ammodernamento alle preesistenti realtà succedutisi per tutto l’arco cronologico in questione e ancora documentabili, nonché la notevole mole di letteratura critica, spesso di livello davvero significativo, rendono problematico effettuare, in questa sede, approfondimenti esaustivi e capillari. Si è scelto pertanto di valutare alcuni aspetti delle maggiori e più caratterizzanti realtà duecentesche, con l’intento di consegnare una panoramica il più possibile chiara del complesso patrimonio architettonico che questa regione seppe produrre nel corso di quel fiorente secolo. 4 V. FRANCHETTI PARDO, Città in trasformazione, in Arnolfo di Cambio una rinascita nell’Umbria medievale, catalogo della mostra (Perugia, 7 luglio 2005 - 8 gennaio 2006), a cura di V. GARIBALDI, B. TOSCANO, Cinisello Balsamo, 2005, pp. 35-36. 5 TARCHI, L’arte medioevale nell’Umbria IV cit., p. 4; V. GARIBALDI, Una rinascita nell’Umbria medievale, in Arnolfo di Cambio una rinascita cit., p. 13. 6 G. DE ANGELIS D’OSSAT, L’architettura sacra del Medioevo in Umbria, in L’Umbria nella storia, nella letteratura e nell’arte, Bologna, 1954, pp. 259-260; M. RIGHETTI TOSTI-CROCE, Spunti di ricerca per un’indagine sull’architettura gotica nello Spoletino, in Il ducato di Spoleto, atti del 9° Congresso internazionale di studi sull’alto medioevo (Spoleto, 1982), II, Spoleto, 1983, p. 738. SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO CATTEDRALI, 335 CHIESE MINORI ED EDIFICI MONASTICI NELL’UMBRIA DEL XIII SECOLO L’architettura religiosa umbra del Duecento può essere compresa appieno solamente valutando anticipatamente i più rilevanti episodi che ancora addentro per pochi anni al XII secolo, costituirono l’ideale ponte fra il linguaggio romanico maturo delle singole aree, identificabili in regione per fisionomie ben riconoscibili, e gli stimoli che timidamente si andavano affacciando grazie alla circolazione di nuove concezioni artistiche. La presenza di repertori lessicali locali, secondo alcuni da identificarsi in vere e proprie scuole, che di fatto coincisero abbastanza con i territori controllati culturalmente dai maggiori centri urbani, consente di rintracciare alcuni caratteri architettonici omogenei 7. A partire dai primi anni del nuovo secolo uno straordinario fervore artistico coincise con la conclusione, la trasformazione e la nuova erezione di molte realtà edilizie, che trovarono proprio nella concezione della facciata il proprio cardine di massima esibizione. Nella dinamica di ridefinizione dell’aspetto urbanistico delle cittadine umbre e nel contempo di risveglio costruttivo dei maggiori centri religiosi fuori dalle mura, si inserisce pure l’esperienza architettonica monastica che, fin da dall’epoca comunale, per limitarsi ai momenti più vicini all’arco cronologico qui valutato, ebbe un’importanza nodale nella trasmissione della cultura artistica all’interno e all’esterno della regione 8. Di fatto, il progressivo spostarsi verso la città, nel corso del Duecento, di queste realtà religiose determinò una spinta considerevole alla diffusione di quel particolare linguaggio gotico che andava affermandosi anche nelle altre regioni italiane 9. Ma, il dato significativo risiede nella capillarità 7 DE ANGELIS D’OSSAT, L’architettura sacra cit., pp. 259-260. Il ruolo che il messaggio monastico ebbe nella cultura comunale umbra è evidenziato da S. DA CAMPAGNOLA, Gli ordini religiosi e la civiltà comunale in Umbria, in Storia e Arte in Umbria nell’età Comunale, atti del VI Convegno di studi umbri (Gubbio, 26-30 Maggio, 1969), II, Perugia, 1972 (Collana Centro di Studi Umbri Casa di Sant’Ubaldo in Gubbio), pp. 470-476, 501, 507, il quale nota come proprio questo tipo d’insegnamento religioso fu destinato ad influenzare profondamente il sentire comune, seppure nelle contraddizioni legate al rapporto fra città e contado. 9 SAVI, Umbria cit., pp. 397, 405. 8 336 FABIO CODEN con cui gli insediamenti si disposero nel pur esiguo territorio umbro 10, determinando così una fittissima rete di cenobi che garantirono una costante trasmissione del sapere 11. In tal modo, gli ordini monastici rivestirono un ruolo fondamentale nella formazione di alcuni tratti della cultura architettonica della regione, grazie alla spiccata vocazione ad entrare in contatto con zone anche assai distanti da quest’area geografica. Bevagna conserva delle fortunate testimonianze riguardanti il nome di alcuni magistri che fra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo contribuirono a rendere scenografica la piazza principale della cittadina, con l’organizzazione uno di fronte all’altro dei due edifici religiosi più importanti per la comunità locale 12. San Silvestro, la più piccola delle due chiese in questione, riporta nell’epigrafe di facciata, tracciata con grafia piuttosto incerta in un grande concio appena sotto all’imposta destra del portale 13, il nome del suo artefice, Binello, e l’anno di ultimazione del lavoro, 1195, sotto l’imperatore Enrico VI, mentre era priore Diotisalvi: + ANNO DOMINI MCXCV ERRICO IMPERATORE REGNANTE DEUSTESALVET PRIOR ET FRATRES EIUS ET BINELLUS 14 MAGISTER VIVANT IN XRISTO AMEN . Le peculiarità di questa precoce testimonianza di architettura a ridosso del XIII secolo sono fondamentali per rintracciare la tipica vocazione umbra a formulare linguaggi caratterizzati per aree omogenee, seppure, è necessario ribadirlo, non completamente impermeabili alle coeve sperimentazioni di terre anche molto lontane. Il fronte, levigato fino alla cornice marcapiano, mostra un paramento in conci perfettamente squadrati, organizzato sopra ad uno zoccolo emergente che corregge il leggero pendio della piazza. Al centro si apre il portale la cui arcata decorata è sormontata da due ghiere a filo del muro, rese evidenti da un elegante utilizzo croma10 F. GUARINO, A. MELELLI, Abbazie benedettine in Umbria, Perugia, 2008, pp. 11-12, 1617; F. GUARINO, Appendici, in Ibid., pp. 210 ss. 11 DE ANGELIS D’OSSAT, L’architettura sacra cit., p. 261. 12 S. CHIERICI, S. Michele e S. Silvestro a Bevagna, in L’Umbria, Milano, 1979 (Italia romanica, 3), pp. 177, 182. 13 E. LUNGHI, Facciate romaniche nella media valle umbra, in Foligno A.D. 1201. La facciata della cattedrale di San Feliciano, a cura di G. BENAZZI, Milano, 1993, pp. 65, 73. 14 B. SPERANDIO, Chiese romaniche in Umbria, Perugia 2001, pp. 49-50. SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 337 tico, bianco e rosa, delle pietre 15; al di sopra, due bifore ai lati e una trifora al centro permettevano l’illuminazione dell’interno, dal momento che è improbabile l’esistenza di un oculo o di un rosone mediano per questioni di spazio 16. Nonostante la parte superiore sia fortemente compromessa, è molto plausibile che il prospetto terminasse in modo rettilineo, a paravento, non molto al di sopra della cornice marcapiano, poggiandosi a destra sulla canna del campanile, della cui esistenza si conservano tracce sia all’interno sia all’esterno. La stessa eleganza si trova nel catino absidale, lavorato con sapiente disposizione del materiale da costruzione, mentre i fianchi mostrano una tecnica d’esecuzione decisamente più sommaria. L’interno, a pianta basilicale, offre una pregevole testimonianza di coperture in pietra che si impostano in naturale continuità sulle murature, con volte a tutto sesto nella navata principale e ad arco rampante in quelle laterali, che rimandano ad analoghi esempi presenti in Alvernia, ma pure documentati in terra umbra e al sud della penisola 17. A poco tempo di distanza, verosimilmente nei primi anni del Duecento, nell’altra parte della piazza s’iniziarono i lavori a San Michele Arcangelo, chiesa già documentata nel 1070, anno della consacrazione, che mostra, nonostante i cospicui restauri del XIX e del XX secolo, soluzioni simili a quelle adottate nella vicina San Silvestro, per quanto riguarda il prospetto principale 18. Nell’imposta sinistra del portale, sotto alla scena con san Michele che uccide il drago, è ricordato nuovamente il maestro Binello, questa volta assieme a Rodolfo, ma l’anno di questo monumentale intervento non viene esplicitato: RODULFUS ET BINELLUS FECERUNT HEC OPERA XPS BENEDICAT 19 ILOS SENPER ET MICHAEL CUSTODIAT . Il progetto di questo fronte, sempre a paravento, ma assai più complesso, aderisce più consapevolmente alla consuetudine umbra 15 LUNGHI, Facciate romaniche cit., p. 74. GIGLIOZZI, Architettura romanica in Umbria cit., p. 106. 17 CHIERICI, S. Michele e S. Silvestro cit., p. 184; GIGLIOZZI, Architettura romanica in Umbria cit., p. 104; R. PARDI, Architettura religiosa medievale in Umbria, Spoleto, 2000 (Biblioteca del Centro per il Collegamento degli Studi Medievali e Umanistici in Umbria, 21), pp. 125-126. 18 SPERANDIO, Chiese romaniche cit., pp. 48-49. 19 LUNGHI, Facciate romaniche cit., pp. 73-74; GIGLIOZZI, Architettura romanica in Umbria cit., pp. 103, 117. 16 338 FABIO CODEN di partire in modo geometrico la superficie muraria, però mediata dal lessico architettonico caratteristico di questa maestranza. In basso un’ampia fascia priva di articolazione ospita i tre portali, dei quali il centrale, a triplo rincasso, è decorato a bassorilievo – gli stipiti reimpiegano pezzi romani rilavorati 20, mentre le imposte esibiscono eleganti figure in forte aggetto – e ad intarsio marmoreo di gusto cosmatesco nell’arcata più esterna 21. Appena sopra alla linea del portale maggiore quattro lesene, sicuramente un tempo spinte fino al colmo della facciata, scandiscono la superficie muraria, creando ampi specchi arretrati, intersecati ad un terzo dell’altezza da una cornice ad archetti e protomi umane ed animali: nei settori estremi in basso si trovano due trifore ad arco a tutto sesto oltrepassato; in quello centrale in alto campeggia un grande oculo, un tempo sicuramente ospitante un rosone, ripristinato nei recenti restauri 22. All’estrema destra s’impostava il campanile, la cui consistenza architettonica si percepiva solo a partire dalla sommità del fronte, giacché in basso solamente la presenza di una bifora per l’illuminazione della canna ne svela timidamente l’esistenza 23. La cattedrale di Foligno, edificata nel 1133 e consacrata nel 1146 24, alla fine del XII secolo subì una radicale metamorfosi con l’inserimento di un possente corpo trasversale a tre navi che trasformò l’originaria icnografia basilicale in una nuova a croce latina imperfetta, monca cioè di uno dei bracci del transetto 25. Il fronte di questo corpo aggiunto, rivolto alla piazza in cui si trovavano pure la canonica e i principali edifici della città, fu monumentalizzato divenendo emblematico 26 della presenza religiosa anche in questo 20 L. SENSI, Le testimonianze dell’antico, in Foligno A.D. 1201 cit., p. 83. CHIERICI, S. Michele e S. Silvestro cit., p. 182; LUNGHI, Facciate romaniche cit., pp. 74, 76; GIGLIOZZI, Architettura romanica in Umbria cit., p. 107. 22 GIGLIOZZI, Architettura romanica in Umbria cit., p. 106. 23 L’attuale doppia cella campanaria è il risultato di una assai tarda ricomposizione. CHIERICI, S. Michele e S. Silvestro cit., p. 182. 24 Sulla conformazione dell’impianto del XII secolo si veda R. PARDI, L’architettura del duomo di Foligno nel Medioevo, in Foligno A.D. 1201 cit., pp. 17-21. 25 F. FINAURI, Trasformazioni e restauri della facciata “minore” di San Feliciano, in Foligno A.D. 1201 cit., p. 114. 26 A. PRANDI, Le facciate del duomo a Foligno, in L’Umbria cit., p. 219. 21 SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 339 spazio cittadino tutt’altro che secondario 27. Tale straordinaria operazione, nel contempo artistica, religiosa e politica, fu portata a compimento nel 1201, come ricorda un’iscrizione posta nella chiave di volta più esterna delle arcate del portale 28, ANNO DOMINI MCCI, 29 MENSE IUNII SIDERA SOL LUNA MONSTRANT SUA TEMPORA PURA, accompagnata proprio dalle immagini di quei simboli celesti citati, originariamente incastonate con una lamina metallica e con intarsi di marmi colorati 30, mentre nel capitello dello stipite destro è riportato fieramente il nome del vescovo committente dell’opera, ANSELMUS 31 FULGINENSIS ET NUCERINAE ECCLESIAE EPISCOPUS HOC OPUS FIERI FECIT . Il settore inferiore della facciata, che pur nella non eccessiva ampiezza (15,80 m) mostra una consapevole organizzazione, conserva ancora il suo aspetto originario, contrariamente a quanto avvenne alla parte superiore, ripetutamente manomessa nel XV secolo, con l’inserimento delle tre bifore gotiche, nel 1819, con la demolizione del rosone, sostituito da un balcone, e nel 1903-1904, con il ripristino del rosone 32. Una possente modanatura orizzontale, molto aggettante, riccamente abitata da figure animali, come accade a San Rufino ad Assisi e a San Silvestro a Bevagna, divide la sobria parte inferiore con i tre portali, da quella mediana con i due rosoni e la fitta sequenza di aperture nel mezzo. Eliminato idealmente pure il tardo timpano, nonché tutte le superfetazioni, il prospetto assume una tipica conformazione a salienti 33, nella quale agli stimoli di epoca romanica si è oramai imposto il nuovo lessico gotico: una fac27 PARDI, L’architettura del duomo cit., p. 22; G. BENAZZI, La decorazione scultorea nella facciata “minore” di San Feliciano, in Foligno A.D. 1201 cit., p. 32; L. SENSI, Le cattedrali di Foligno, in Foligno A.D. 1201 cit., p. 99; FINAURI, Trasformazioni e restauri cit., p. 114. 28 Foligno. Antichi e nuovi splendori di una città, a cura di A. MELELLI, A. CICIONI, Città di Castello, 2009, I, pp. 65-66. 29 F. MARINI, La cattedrale di San Feliciano. Annali e piccola guida, in San Feliciano. Cattedrale di Foligno, a cura di G. BERTINI, M. SENSI, Foligno, 2004, p. 339; D. CESARINI, Guida alla cattedrale di Foligno, Foligno, 1983, p. 24; SENSI, Le cattedrali cit., pp. 98-99. 30 BENAZZI, La decorazione scultorea cit., p. 40. 31 Ibid., p. 45. 32 LUNGHI, Facciate romaniche cit., p. 65; FINAURI, Trasformazioni e restauri cit., pp. 118 ss., 128 ss.; MARINI, La cattedrale di San Feliciano cit., p. 319. 33 Non a caso il risultato della trasformazione della plausibile forma a spioventi si ebbe molto dopo la creazione della facciata, com’è stato esaurientemente provato dalle indagini stratigrafiche condotte da FINAURI, Trasformazioni e restauri cit., pp. 114 ss. 340 FABIO CODEN ciata organizzata in aree geometriche in modo più libero rispetto agli altri esempi umbri, che per alcuni aspetti, come la loggetta centrale affiancata dai due rosoni, sembrerebbe rimandare all’area spoletina 34. Assai problematico è stabilire se furono proprio Rodolofo e Binello 35, gli stessi maestri che ornarono l’accesso di San Michele a Bevagna, a lavorare all’apparato decorativo del portale, che esibisce, nella migliore tradizione medievale, un’allegoria del tempo già pienamente informata delle spinte gotiche del secolo che si era appena affacciato 36, ma nel contempo una raffinata policromia degli intarsi, in adesione agli stimoli di ascendenza romana. Tale gusto cromatico è altresì evidente nella composizione del parato murario del primo settore inferiore, costituito da filari di conci, accuratamente tagliati e posati in una perfetta stereometria, alternativamente di colore chiaro e rosato, ad ingentilire questo prospetto della cattedrale alternativo, ma tutt’altro che secondario 37. La medesima attenzione al cromatismo, uno dei tanti tratti distintivi che connotano l’evoluzione dei linguaggi della regione attraverso i prestiti artistici, si trova anche nell’abbazia di Santa Croce di Sassovivo, potente realtà benedettina a breve distanza da Foligno: una testimonianza epigrafica ricorda che il chiostro fu ristrutturato nel 1229 per opera di Pietro de Maria, scultore di Roma, città dalla quale furono portati i singoli pezzi finiti, per essere montati nella nuova struttura voluta dall’abate Angelo 38. Sulle cinquantotto arcatelle che scandiscono il perimetro, s’impostano centoventotto esili colonne marmoree, sistemate a coppie, alcune con entasi, altre semplicemente cilindriche, varie tortili, tutte reggenti semplici capitelli a quattro foglie angolari con nervatura centrale. La prima cornice marcapiano sopra alle aperture e quella che segna il colmo del tetto sono ornate con una preziosa deco34 PRANDI, Le facciate del duomo cit., p. 219. Questa tipologia di facciata per PARDI, L’architettura del duomo cit., p. 22, s’incontra anche a Bevagna e nel più tardo duomo di Todi. 35 BENAZZI, La decorazione scultorea cit., pp. 51, 53; LUNGHI, Facciate romaniche cit., p. 76. 36 Ibid., pp. 39-41, 47. 37 Ibid., pp. 33-34. 38 LUNGHI, Facciate romaniche cit., p. 65; SENSI, Le testimonianze cit., p. 84; SPERANDIO, Chiese romaniche cit., pp. 69-70; D. BAZZARRI, Abbazia di Santa Croce di Sassovivo, in GUARINO, MELELLI, Abbazie benedettine in Umbria cit., pp. 72-75; Foligno. Antichi e nuovi splendori cit., II, p. 206. SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 341 razione ad intarsio vitreo, della quale permangono ampi settori, che denota un gusto coloristico e polimaterico raramente riscontrabile in regione prima di questa data. Di fatto, quest’opera di squisita raffinatezza e di chiaro sapore classicheggiante documenta inequivocabilmente la penetrazione di stilemi romani in terra umbra 39, come accadde ad esempio qualche anno più tardi anche nella facciata di San Francesco ad Assisi. Ancorata maggiormente alla consolidata tradizione locale è invece la piccola chiesa di San Giovanni a San Giovanni Profiamma 40, presso Foligno, la cui facciata fu eretta verso il 1231, come ricordava una scomparsa iscrizione posta nel fronte ed ora non più rintracciabile 41. Il prospetto, eseguito in origine con conci rosati sommariamente tagliati e sbozzati, e che si caratterizzava per un profilo superiore rettilineo 42, è partito in due zone da una cornice assai aggettante, di marcato gusto classico, nella quale una fitta sequenza di mensoline decorate a motivi vegetali si alterna a bulbi floreali di varie fogge. Il più significativo apparato scultoreo di questo episodio folignate, ancorché di non particolare pregio 43, si conserva nel portale a doppio arco leggermente acuto, il cui stipite destro ospita una lastra con una figura di prelato, sul bordo della quale è indicato il nome dell’artefice di questa parte dell’edificio: 44 FILIPO ME FECIT . A breve distanza da questo centro, ad Assisi s’iniziò nei primi anni del secolo la trasformazione del più importante monumento della città, la cattedrale di San Rufino, le cui vicende costruttive sono assai significative per comprendere l’evoluzione delle forme ar39 DE ANGELIS D’OSSAT, L’architettura sacra cit., p. 258. PARDI, Architettura religiosa medievale cit., pp. 73, 390, 400-410, la valutazione degli interni è resa assai difficoltosa a causa dei pesanti restauri novecenteschi. Rimane, ad ogni modo, chiara un’icnografia a T, con alto presbiterio e una cripta che ospita i resti scultorei di una delle precedenti redazioni dell’edificio: alla fase duecentesca sembrerebbe corrispondere anche l’aggiunta delle cappelle laterali nel capocroce. 41 LUNGHI, Facciate romaniche cit., p. 67; PARDI, Architettura religiosa medievale cit., p. 404; Foligno. Antichi e nuovi splendori cit., II, p. 202 42 PARDI, Architettura religiosa medievale cit., p. 401. 43 Riguardo al rosone si veda M. PISANI, Rosoni in Umbria, elementi architettonici nelle chiese dal XII al XX secolo, Perugia, 2002, p. 48. 44 LUNGHI, Facciate romaniche cit., p. 67. 40 342 FABIO CODEN chitettoniche da un linguaggio schiettamente romanico verso i nuovi stimoli che in regione andavano timidamente manifestandosi 45. Il progetto di un nuovo edificio, che Giovanni da Gubbio predispose a partire dal 1140 46, al tempo del priore Rainerio, trovò compimento solo molto tempo dopo 47, come confermano alcuni eventi tutti cadenzati entro la prima metà del XIII secolo: nel 1210 il fronte dell’edificio non era ancora concluso, giacché il comune ne auspicava, per ovviare alla sorte avversa, un veloce compimento 48; nel 1212 vennero inglobati definitivamente gli spazi precedentemente occupati dalla cattedrale ugoniana, alle spalle del nuovo edificio; l’altare maggiore fu consacrato nel 1228 da Gregorio IX 49, mentre la consacrazione solenne di tutta la chiesa avvenne nel 1253, ad opera di Innocenzo IV 50. La facciata a capanna, a paravento, mostra chiaramente una doppia fase di erezione 51, con i primi due ordini sicuramente appartenenti ad un progetto unitario 52. Quello inferiore mostra la superficie organizzata in grandi riquadri che aumentano la propria altezza man mano che si avvicinano alla cornice marcapiano, contrastando così la sensazione di compressione che questo sistema inevitabilmente porta con sé. I tre portali, riccamente decorati, si trovano al centro degli spazi definiti da 45 P.F. PISTILLI, Assisi, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, II, Roma, 1991, pp. 625-626. GIGLIOZZI, Architettura romanica in Umbria cit., pp. 110-113. 47 L’edificio, di particolare ampiezza, prevedeva un’icnografia a tre navate, divise da pilastri cruciformi, priva di transetto, con un tetto a capriate lignee nella navata principale, con archi rampanti ancora visibili nei sottotetti, e volte a botte in quelle laterali; ad oriente un basso tiburio sovrastava il coro leggermente sopraelevato ed un unico catino absidale di forma semicircolare concludeva il capocroce. M.E. SAVI, Archi-diaframma, contributi per una tipologia architettonica, in Arte medievale, ser. 2a, I, 1-2 1987, p. 174; GIGLIOZZI, Architettura romanica in Umbria cit., p. 112. 48 F. SANTUCCI, La cattedrale e il Francescanesimo, in La cattedrale di San Rufino in Assisi, a cura di F. SANTUCCI, Cinisello Balsamo, 1999, p. 88; F. CRISTOFERI, La facciata, in Ibid., pp. 92, 103, PARDI, Architettura religiosa medievale cit., p. 152. 49 L’epigrafe di consacrazione della chiesa è riportata in La cattedrale di San Rufino cit., p. 32, fig. 8. 50 A. PRANDI, S. Rufino ad Assisi, in L’Umbria cit., p. 258; GIGLIOZZI, Architettura romanica in Umbria cit., p. 110; SPERANDIO, Chiese romaniche cit., p. 41. 51 Su tale argomento si veda soprattutto N. BERNACCHIO, P. CASTELLANI, Analisi stratigrafica della facciata, in La cattedrale di San Rufino cit., pp. 110-112. 52 PRANDI, S. Rufino cit., p. 259; PISTILLI, Assisi cit., p. 626; CRISTOFERI, La facciata cit., p. 92. 46 SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 343 due lesene che svettano in altezza fino al settore soprastante incluso, senza però proseguire anche sul timpano 53. La sezione mediana, a paramento liscio, è introdotta da una finta galleria su colonnine ed archi a tutto sesto 54 e prevede tre rosoni gerarchicamente disposti, di cui quello centrale, di dimensioni maggiori, si colloca leggermente più in alto rispetto agli altri 55. Il timpano, concluso forse entro il terzo decennio del secolo, fu organizzato da maestranze differenti, che sicuramente conoscevano le soluzioni adottate nel prospetto del duomo spoletino, probabile modello per la creazione di un’ampia nicchia archiacuta che occupa quasi interamente lo spazio a disposizione 56: la presenza di buche pontaie al suo interno, organizzate in cinque pontate di esigua altezza, potrebbe confermare l’ipotesi di un’originaria intenzione a collocarvi un pannello musivo 57. In questo medesimo contesto creativo rientra anche l’abbazia benedettina di San Pietro ad Assisi, il cui cantiere di pieno XII secolo 58 subì nel corso di quello seguente una ristrutturazione che introdusse nella navata principale otto archi diaframma ogivali a sorreggere il nuovo tetto, la cui sistemazione si potrebbe collegare con la consacrazione del 1254 da parte di papa Innocenzo IV 59. Questi possenti elementi s’impostano sulle pareti perimetrali partendo da zero sul profilo del muro e sono segnati nell’imposta da una cornice appena aggettante, dal discreto disegno. 53 CRISTOFERI, La facciata cit., p. 93. PRANDI, S. Rufino cit., p. 260. 55 Ibid., p. 262; CRISTOFERI, La facciata cit., pp. 99-101; PISANI, Rosoni in Umbria cit., p. 26. 56 A. PERONI, Elementi di continuità e innovazione nel romanico spoletino, in Il ducato di Spoleto, atti del IX Congresso internazionale di studi sull’alto medioevo (Spoleto, 27 settembre - 2 ottobre 1982), Spoleto, 1983, II, pp. 696 ss. Questa tipologia di fronte rimanda ad una concezione che ebbe particolare fortuna nella regione e che trovò le proprie più significative esperienze in edifici come il duomo di Spoleto, San Ponziano e San Pietro nella medesima città, San Felice a Castel San Felice, Santa Maria a Ponte di Borgo Cerreto, San Michele a Bevagna. Cfr. anche GIGLIOZZI, Architettura romanica in Umbria cit., p. 111. 57 CRISTOFERI, La facciata cit., pp. 101-103. 58 L’edificio prevede un impianto a tre navate, con transetto non sporgente, tiburio con cupola sopra all’incrocio degli assi principali, un catino semicircolare ad est, copertura a capriate nella nave principale e volte a botte in quelle laterali. PARDI, Architettura religiosa medievale cit., p. 214. 59 PISTILLI, Assisi cit., p. 628; SPERANDIO, Chiese romaniche cit., p. 37. 54 344 FABIO CODEN Pochi anni dopo, nel 1268 sotto l’abate Rustico, evidentemente in stretta successione con la sistemazione degli interni, fu ripensata anche la facciata, come dichiara la lunga iscrizione presente nella cornice marcapiano 60. Il prospetto vagamente assimilabile a quello della cattedrale assisiate, seppure più semplificato, prevede tre portali nel primo settore in basso, tre rosoni in quello mediano, organizzati gerarchicamente, e un timpano eliminato a seguito del terremoto dell’inizio del XIX secolo 61. Il panorama architettonico di ambito perugino evidenzia soluzioni costruttive altrettanto peculiari nel contesto regionale, a ulteriore conferma dell’esistenza di linguaggi connotati fortemente su base territoriale. Tuttavia non è inusuale incontrare in quest’area anche episodi edilizi che senza difficoltà aderiscono ad una consuetudine di più ampio respiro, che trova proprio nelle esperienze mendicanti, di cui si parlerà oltre, un vocabolario fertilissimo da cui attingere. Negli anni Cinquanta del XIII secolo lungo la via per Cortona, appena fuori dalle mura di Perugia, è documentata una comunità di monache cistercensi presso la chiesa di Santa Giuliana 62, edificio che conserva ancora oggi parte delle strutture originarie, seppur provate da vicende conservative che ne hanno compromesso non poco l’integrità 63. La chiesa, ad aula unica di dimensioni davvero considerevoli, coperta con capriate lignee di restauro, evidenzia nel più tardo fronte a capanna la semplice struttura icnografica adottata 64. 60 PARDI, Architettura religiosa medievale cit., p. 228; GIGLIOZZI, Architettura romanica in Umbria cit., p. 111; SPERANDIO, Chiese romaniche cit., p. 37. 61 PISANI, Rosoni in Umbria cit., p. 24; D. BAZZARRI, Abbazia di San Pietro, in GUARINO, MELELLI, Abbazie benedettine in Umbria cit., pp. 54-55. 62 Il 29 settembre 1253 papa Innocenzo IV confermò la regola benedettina cistercense al monastero, evidentemente già esistente in quella data. L’insediamento, sorto per volere del cardinale Giovanni da Toledo, e posto sotto l’autorità di San Galgano nella diocesi di Volterra, già a partire dal XIII secolo ebbe una singolare vivacità e cospicue fortune dal punto di vista economico. F. PALOMBARO, Il complesso di San Domenico. Le radici della sua composizione architettonica, in La basilica di San Domenico di Perugia, a cura di G. ROCCHI COOPMANS DE YOLDI, G. SER-GIACOMI, Perugia, 2006, pp. 179-180; A. STACCIOLI, Un’occhiata alla storia, in Vivere conoscere Santa Giuliana, a cura di A. STACCIOLI, G.P. ZANZOTTI, Perugia, 2010, pp. 13-14. 63 A. STACCIOLI, Visitiamo la chiesa, in Vivere conoscere Santa Giuliana cit., p. 17. 64 P. SCARPELLINI, Perugia. Secoli 13°-14°, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, IX, Roma, SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 345 Assai più caratteristica è la chiesa di San Bevignate, sorta a qualche distanza dalla cerchia muraria di Perugia in tempi abbastanza brevi, fra il 1256 e il 1262 65, e la cui esistenza è legata al nome del cavaliere Bonvicino da Assisi 66. Si tratta di un edificio di dimensioni ragguardevoli (39,50 x 17,50 m) 67, sebbene la prima impressione inganni, e di aspetto decisamente massiccio, come ribadiscono la tecnica muraria a conci di pietra giallastra di piccolo formato, posati in file abbastanza irregolari, e la quasi totale assenza di decorazione scultorea, ad eccezione dei due portali marmorei 68. L’impianto a navata unica, sviluppato su due campate di forma quadrata, probabilmente prevedeva già in origine una copertura a doppia crociera 69, sottolineata esternamente da tetti indipendenti, come confermano i timpani sviluppati in senso longitudinale; secondo altre ipotesi, invece, sarebbero state utilizzate capriate lignee, rette da archi trasversali a sesto acuto 70. Oltre a quest’aspetto, ciò che caratterizza maggiormente l’edificio è la presenza nei perimetrali esterni di una sequenza regolare d’imponenti contrafforti, tre per parte, dei quali quelli sistemati sulla facciata si dispongono sullo spigolo, conservando autonomia volumetrica rispetto alle pareti adiacenti: un rimando consapevole alla tradizione architettonica della città, confermata in altri edifici come ad esempio nel San France- 1998, p. 316; PISANI, Rosoni in Umbria cit., p. 92; F. QUINTERIO, L’architettura del Due e del Trecento. Il gotico: da una comune madre francese, in F. QUINTERIO, F. CANALI, Percorsi d’architettura in Umbria, a cura di R. AVELLINO, Foligno, 2010, pp. 196-197. Relativamente al rosone si veda PISANI, Rosoni in Umbria cit., p. 92. 65 F. TOMMASI, L’ordine dei Templari a Perugia, in Bollettino di Storia Patria per l’Umbria, LXXVIII (1981), p. 9; SCARPELLINI, Perugia cit., p. 316. 66 Solo dopo il 1224-25 nel luogo s’insediò una comunità femminile a seguito della volontà di Ricco di Corbolo che aveva acquisito la chiesa e il monastero rimasti privi di religiosi. D. BAZZARRI, Abbazia di San Bevignate, in GUARINO, MELELLI, Abbazie benedettine in Umbria cit., p. 120. 67 P. RASPA, M. MARCHESI, La chiesa di San Bevignate, i Templari e la pittura perugina del Duecento, in Templari e Ospitalieri in Italia. La chiesa di San Bevignate a Perugia, a cura di M. RONCETTI, P. SCARPELLINI, F. TOMMASI, Milano, 1987 (Quaderni storici del Comune di Perugia, 4), p. 79. 68 D. BAZZARRI, Abbazia di San Bevignate, in GUARINO, MELELLI, Abbazie benedettine in Umbria cit., p. 120. 69 A. CADEI, Templari, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, XI, Roma, 2000, p. 105. 70 QUINTERIO, L’architettura del Due e del Trecento cit., pp. 194-195 346 FABIO CODEN sco al Prato. Ad oriente la cappella quadrangolare, che internamente prevede un coro rialzato per la presenza di un’angusta cripta, è ulteriormente rinforzata da quattro più bassi contrafforti negli spigoli, deputati a contenere le spinte della volta anch’essa originariamente coperta con un tetto a capanna 71. L’interno era illuminato da una luce assai debole che filtrava da strette finestrelle lungo i muri longitudinali, situate una per ogni campata e terminanti ad arco trilobato, ad oriente tramite una bifora con soprastante rosoncino e in facciata da un semplice oculo posto molto in alto. Alcune di queste caratteristiche sono presenti anche a Santa Maria di Valdiponte a Montelabate 72, nei pressi di Perugia, abbazia benedettina documentata già nella seconda metà del X secolo, ma completamente rinnovata nel corso del XIII 73. Per la riedificazione della chiesa, avvenuta intorno al 1281, all’epoca dell’abate Trasmondo, fu adottata un’icnografia a navata unica, suddivisa in tre campate, di volumetria davvero ragguardevole, voltate a crociera 74. I muri longitudinali sono scanditi da quattro possenti contrafforti per parte, che ad un aspetto funzionale, di controspinta per i semipilastri degli interni, ne associano uno di carattere formale, volto a conferire alla parete un forte senso ascensionale, rimarcato ulteriormente dalla successione dei timpani di andamento trasversale rispetto all’asse mediano dell’edificio. Ad oriente un catino poligonale di dimensioni davvero contenute, decisamente sproporzionato rispetto alle volumetrie ricercate nell’aula, è ugualmente coperto con una volta costolonata, mentre ad occidente la facciata è costituita da un esteso diaframma murario quadrangolare, piano, occupato unicamente dal portale principale archiacuto e da un rosone decorato, voluto all’inizio del Trecento dall’abate Uguccione Monalducci 75. 71 RASPA, MARCHESI, La chiesa di San Bevignate cit., pp. 79, 86. P. HÉLIOT, Sur les églises gothiques des ordres mendiants en Italie centrale, in Bulletin Monumental, CXXX, 3 (1972), p. 232. 73 Le più antiche carte dell’abbazia di S. Maria di Valdiponte (Montelabbate). 969-1170, a cura di V. De Donato, Roma, 1962; SCARPELLINI, Perugia cit., pp. 316-317; QUINTERIO, L’architettura del Due e del Trecento cit., p. 195. 74 PARDI, Architettura religiosa medievale cit., pp. 40, 42, 276, 297; D. BAZZARRI, Abbazia di Santa Maria di Valdiponte, in GUARINO, MELELLI, Abbazie benedettine in Umbria cit., p. 127; QUINTERIO, L’architettura del Due e del Trecento cit., p. 196. 75 SPERANDIO, Chiese romaniche cit., p. 94. 72 SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 347 Le sperimentazioni architettoniche di Perugia trovano il proprio apice a pochissimi anni dallo scadere del secolo in un episodio, Sant’Ercolano, davvero singolare nel panorama non solo della città, ma anche dell’intero territorio umbro 76, poiché nel medesimo luogo la tipologia del martyrium 77 si fonde a quella della doppia chiesa sovrapposta, seppure adottando una variante assai anomala relativamente all’esigua ampiezza della cappella superiore 78. Sorto fra il 1297-1298 e il 1326 79 in aderenza alle mura della città 80, questo edificio memoriale a pianta ottagonale, ancora una volta, manifesta chiaramente come i particolari stilemi costruttivi locali si siano adattati senza imbarazzo a forme anche inusuali, come quella qui adottata. L’impianto prevede un’ampia cappella inferiore illuminata da grandi finestre ad ogiva, coperta con una volta ad ombrello, costolonata, le cui membrature partono da terra, e una superiore, demolita nel XVI secolo 81, di altezza e perimetro decisamente più contenuti, con esili contrafforti in corrispondenza degli spigoli, circondata da un camminamento balaustrato 82. L’esterno assume l’aspetto di un corpo assai possente, turriforme, che ha ogni faccia scavata da profondi nicchioni archiacuti spinti fino al coronamento superiore ad archetti pensili: proprio in questa particolare configurazione degli alzati non è difficile rintracciare quei tipici e maestosi contraf76 PARDI, Architettura religiosa medievale cit., p. 243. A. BELLUCCI, La chiesa di Sant’Ercolano di Perugia, in Augusta Perusia, II (1907), p. 11; M. MARIANI, Il restauro della chiesa di Sant’Ercolano 1999-2006, a cura di A. GIORGI, M. ALBERTI, Perugia, 2006, p. 13. 78 SCARPELLINI, Perugia cit., p. 316. Per gli edifici di area italiana che adottarono la particolare soluzione ad ambienti sovrapposti si veda G. DE ANGELIS D’OSSAT, Le chiese medioevali a due piani e la basilica di San Francesco d’Assisi, in atti del Convegno nazionale di storia dell’architettura (Assisi, 1-4 ottobre 1937), Roma, 1939, pp. 179-182. 79 Le attestazioni documentarie che comprovano la cronologia dell’edificio sono edite da BELLUCCI, La chiesa di Sant’Ercolano cit., pp. 12, 13-14, 16, 17. 80 BELLUCCI, La chiesa di Sant’Ercolano cit., p. 11; PARDI, Architettura religiosa medievale cit., pp. 239-240. La chiesa sorse in un luogo alquanto complesso dal punto di vista orografico, dato che il fianco dell’edificio si trovò proprio a ridosso del declivio della collina su cui insiste la cinta muraria. 81 PARDI, Architettura religiosa medievale cit., pp. 240-241, 243, 250. 82 QUINTERIO, L’architettura del Due e del Trecento cit., pp. 192-194. 77 348 FABIO CODEN forti, in questo caso angolari, ben documentati in molti altri edifici della città del medesimo secolo 83. Anche a Gubbio, così come negli altre città principali della regione, fra la seconda metà del XII e l’inizio del XIII secolo, si decise la ricostruzione della cattedrale, per la quale furono adottate quelle caratteristiche formali che proprio in terra eugubina andavano ad alimentare una nuova sensibilità artistica 84. L’antefatto storico fu la distruzione della precedente sede, che indusse il vescovo Bentivoglio, nel 1188, a donare un sito posto nella parte alta dell’abitato per l’erezione della nuova chiesa. Nonostante sia appurato che fra il 1240 e il 1243 l’edificio non fosse ancora completamente concluso, è certo che il progetto originario fu seguito in modo scrupoloso, con l’apporto solo di modifiche di poco conto 85. La cattedrale, intitolata ai Santi Giacomo e Mariano, presenta un’icnografia ad aula unica che termina ad oriente con un catino absidale poligonale all’interno e rettangolare all’esterno, ed è dominata da una luce assai attenuata, che filtra solamente da una grande trifora, sormontata da un piccolo rosone nella cappella maggiore, da un oculo in facciata e da poche finestre nei perimetrali. La caratteristica che contraddistingue questo grande parallelepipedo, lungo complessivamente ben 59,37 m, è la fittissima sequenza di dieci archi trasversi, ad ogiva, che si appoggiano su possenti contrafforti interni, larghi mediamente 1,05 m, la cui chiave si trova a 15,90 m rispetto al pavimento attuale 86: il maggior spazio fra l’ultimo elemento e la testata orientale concorre a formare l’area presbiteriale, emergente in altezza rispetto al corpo antistante 87. All’esterno, 83 PARDI, Architettura religiosa medievale cit., pp. 252-253. DE ANGELIS D’OSSAT, L’architettura sacra cit., p. 567; SAVI, Archi-diaframma cit., pp. 174-175, 179. 85 Quasi certamente l’edificio trovò compiutezza entro il XIII secolo, poiché nel 1310 furono necessari dei restauri. E. GIOVAGNOLI, Gubbio nella storia e nell’arte, Città di Castello, 1932, pp. 82, 83; M.E. SAVI, Gubbio, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, VII, Roma, 1996, p. 142. 86 SAVI, Archi-diaframma cit., pp. 175-176. 87 La distanza di questi elementi non è costante, denotando una sorta di approssimazione nella composizione della scatola architettonica. Partendo dalla controfacciata si riscontrano i seguenti intervalli di passo: 3,83 - 3,38 - 2,94 - 3,42 - 3,51 - 3,28 - 3,18 2,89 - 2,90 - 3,40 - 8,28 m, in relazione ad una lunghezza dell’aula di 51,54 m. 84 SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 349 un’analoga sequenza di contrafforti, posti in perfetta corrispondenza di quelli interni, oltre che a rinforzare i perimetrali, dona alla parete una scansione ritmica di forte resa chiaroscurale; la percezione di uno scheletro portante è ulteriormente ribadita dalle arcate che collegano ogni sostegno, contribuendo così alla creazione di enormi nicchioni 88. La facciata a capanna è partita in due da una sottile cornice orizzontale, ma il settore mediano, che ospita il portale maggiore archiacuto e l’oculo, sporge tanto quanto le due lesene laterali. Il prospetto presenta una sapiente lavorazione a conci di pietra ben squadrati e posati con cura, quasi scevro di elementi decorativi scultorei, fatta eccezione per le cinque lastre con il tetramorfo e l’Agnus Dei in posizione dominante che abbracciano l’oculo 89. La tipica soluzione eugubina di adottare archi trasversi che scavalcano la navata 90, conferendole un aspetto assai severo, è presente anche in un edificio di più esigue dimensioni, ma particolarmente interessante per lo squisito equilibrio dei volumi 91. La chiesa di San Giovanni, della metà del XIII secolo circa 92, presenta una navata unica – conclusa da una cappella quadrangolare voltata con una crociera costolonata –, percorsa da quattro esili e distanziati archi trasversi ogivali di formulazione piuttosto differente rispetto a quella degli altri edifici della città 93: impostati a mezz’altezza nei perimetrali, questi elementi sono retti da eleganti mensole formate 88 SAVI, Archi-diaframma cit., pp. 175-176; SAVI, Gubbio cit., p. 142. GIOVAGNOLI, Gubbio nella storia cit., pp. 84-85. 90 Questa tipologia di coperture ebbe nella regione una singolare fortuna, poiché secondo alcuni studiosi era in grado di unire ad una effettiva maggiore resistenza dell’edificio anche innegabili vantaggi dal punto di vista della manutenzione e della sicurezza. Tuttavia non è da escludere che alla base dell’adozione di questo sistema possano esserci state anche motivazioni di carattere eminentemente estetico. W. KRÖNIG, Caratteri dell’architettura degli Ordini mendicanti in Umbria (con un contributo su Giovanni Pisano architetto), in Storia e arte in Umbria nell’età comunale cit., I, p. 180; C. BOZZONI, Le tipologie, in Francesco d’Assisi, II, Chiese e conventi, catalogo della mostra (Narni, 1982), Milano 1982, p. 147; C. BOZZONI, Il ‘cantiere mendicante’: osservazioni su chiese francescane dell’Umbria, in Saggi in onore di Renato Bonelli, a cura di C. BOZZONI, G. CARBONARA, G. VILLETTI, I, Roma, 1992 (Quaderni dell’Istituto di Storia dell’Architettura, n.s. 15-20, 1991-92), p. 144; QUINTERIO, L’architettura del Due e del Trecento cit., p. 185. 91 GIOVAGNOLI, Gubbio nella storia cit., pp. 84-85; SAVI, Archi-diaframma cit., p. 175. 92 Ibid., p. 275. 93 SAVI, Archi-diaframma cit., p. 175. 89 350 FABIO CODEN da coppie di colonnine fra modanature complesse 94, vaga eco delle soluzioni utilizzate nella facciata della cattedrale di Spoleto e nei perimetrali di quella di Todi. Una cornice continua, che prende avvio dalle imposte dell’abside, intercetta la parte mediana delle grandi finestre ogivali, cadenzate entro gli spazi delimitati dalle arcate: ogni elemento risulta in questo modo intimamente partecipe di una generale ed accurata composizione d’insieme. Il fronte, ampiamente restaurato, mostra un semplice portale con ciglio, marcato da fasce piane di pietra rosa e bianca, come avviene in alcuni episodi perugini: la strombatura degli stipiti è abbellita a livello delle imposte da capitelli a foglie lavorati con ampio uso del trapano 95. L’icnografia ad aula unica, seppure di dimensioni piuttosto contenute, è adottata anche nella chiesa di Santa Maria Nuova, edificata dai benedettini di Santa Maria di Alfiolo fra il 1270 e il 1280 96, nella quale la navata è percorsa ancora una volta da archi trasversi, sottolineati all’esterno da cinque possenti contrafforti controventati; alla sommità dei nicchioni trovavano posto delle semplici finestre archiacute assai allungate 97. La facciata a capanna, in conci di pietra ben squadrati, è divisa verticalmente in settori da sottili paraste al centro e da contrafforti negli spigoli, quasi ad imitare una tripartizione interna dell’edificio; nella specchiatura più prossima allo spigolo sinistro fu previsto il portale principale, trilobato, in posizione decentrata forse per renderlo disponibile dalla via principale che corre lungo il fianco della chiesa 98. L’impianto ad aula singola coperto con archi diaframma ebbe tale fortuna in città da essere applicato, non senza difficoltà progettuale, anche a San Pietro, edificio a tre navate di epoca romanica, la cui originaria forma è ancora chiaramente leggibile nel fronte 99. Nonostante le tarde trasformazioni, la presenza di questo sistema di 94 GIOVAGNOLI, Gubbio nella storia cit., p. 275. SAVI, Gubbio cit., pp. 141-142. Secondo l’autore il portale sarebbe da collocare nei primi anni del Trecento. 96 GIOVAGNOLI, Gubbio nella storia cit., p. 292. L’edificio è ricordato in una bolla di Nicolò IV del 1292, che concesse indulgenze a chi l’avesse visitato. 97 SAVI, Archi-diaframma cit., p. 176; SAVI, Gubbio cit., p. 142. 98 GIOVAGNOLI, Gubbio nella storia cit., p. 292. 99 Ibid., pp. 293-294; I. MORETTI, R. STOPANI, Architettura romanica religiosa a Gubbio e nel territorio della sua antica diocesi, Firenze, 1973, p. 49; SAVI, Gubbio cit., p. 142. 95 SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 351 copertura è ribadita all’esterno dai possenti contrafforti, congiunti in alto da arcate longitudinali, sotto alle quali si trovano snelle monofore archiacute 100. Assai difficile è rintracciare la precisa cronologia delle numerose campagne costruttive cui fu sottoposta, fra la fine del XII e la seconda metà del secolo seguente, la cattedrale di Todi dedicata alla Santissima Annunziata, affacciata sulla piazza principale della cittadina, con orientamento assai prossimo all’asse nord-sud 101. La chiesa, attestata nel 1187 102, subì i danni di un incendio scoppiato nell’episcopio nel 1190, il quale potrebbe aver determinato la necessità di una riedificazione 103, che si protrasse per lungo tempo fra il primo quarto e la seconda metà del XIII secolo 104. In questo cantiere, che prese il via dalla parte absidale, comunemente assegnata entro i primi decenni del XIII secolo 105, si crearono le soluzioni costruttive e i modelli decorativi che sarebbero diventati i caratteri peculiari di un nuovo linguaggio di marcata accezione classicista. Questo lessico dai tratti esuberanti è evidente nella cornice marcapiano, notevolmente aggettante, che all’esterno distingue il livello della cripta da quello del presbiterio, retta da mensoline con protomi animali, sotto alle quali si sviluppa una teoria di arcatelle che, invece di essere 100 SPERANDIO, Chiese romaniche cit., p. 76; D. BAZZARRI, Abbazia di San Pietro, in GUARIMELELLI, Abbazie benedettine in Umbria cit., pp. 83-84. 101 La cattedrale di Todi nel Duecento trovò la più completa espressione all’interno delle dinamiche urbanistiche della cittadina, divenendo, vista la sua posizione sul colle che prospetta il lato corto della piazza, il punto dominante dello spazio pubblico su cui si affacciarono i palazzi del potere civico. Solo negli ultimi anni del secolo questa condizione trovò un contrappeso in San Fortunato, posto poco oltre la parte opposta della platea, in posizione ugualmente elevata. A. PRANDI, M. RIGHETTI, Il duomo di Todi, Milano, 1975, pp. 20-21. Riguardo alla discreta casistica in area umbra di edifici religiosi non sempre disposti lungo il consueto asse liturgico si veda D. COOPER, Franciscan Choir Enclosures and the Function of Double-Sided Altarpieces in Pre-Tridentine Umbria, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, 64 (2001), p. 8. 102 A. PRANDI, La cattedrale di Todi, in L’Umbria cit., pp. 228, 230. 103 PRANDI, RIGHETTI, Il duomo di Todi cit., pp. 45-53; M.C. ROSSINI, Todi, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, XI, Roma, 2000, pp. 210-211. 104 Le differenti caratteristiche che contraddistinguono le varie parti del complesso furono già notate da CECI, Todi nel Medioevo cit., p. 295. L’edificio fu consacrato da Innocenzo III nel 1198; cfr. inoltre PARDI, Architettura religiosa medievale cit., pp. 201-202, 205. 105 PRANDI, RIGHETTI, Il duomo di Todi cit., pp. 67, 87-88. NO, 352 FABIO CODEN sostenuta da peducci, prevede eleganti colonnine su mensole ugualmente a teste animali 106. L’ambito cistercense a cui talvolta si è voluto fare riferimento, non sembra tuttavia svelare in modo compiuto la particolarità del caso tudertino, che basa il proprio carattere più distintivo nella fusione fra elemento decorativo di alto valore estetico e sistema acquisito di demarcazione dei volumi architettonici 107. Alle fasi successive sembra appartenere la restante parte della chiesa 108, edificata o forse semplicemente riassettata a seguito dei danni del terremoto del 1246 109: il corpo longitudinale a tre navate, coperte con capriate lignee, il transetto a nord di cospicue dimensioni, voltato con crociere costolonate, la parte superiore del catino absidale, direttamente innestato sulla navata trasversale 110. Degno di segnalazione è sicuramente il sistema alternato, di tipo regolare (ABAB) 111, creato dalla successione di colonne e pilastri compositi 112, dei quali i primi due in prossimità della controfacciata sviluppano sottili paraste che arrivano fino alla linea di gronda, la cui esistenza ab origine è accertata dalla maggiore sezione del sostegno sottostante 113. All’esterno, il fianco prevede una scansione ritmica di 106 Ibid., p. 26. Il rapporto più diretto non può che essere istituito con la cattedrale di Spoleto, che nella cornice marcapiano appena sotto al timpano, propone il più plausibile modello di riferimento. PRANDI, RIGHETTI, Il duomo di Todi cit., pp. 59-60. 108 W. KRÖNIG, Hallenkirchen in Mittelitalien, in Römischen Jahrbuch für Kunstgeschichte, 2 (1938), p. 23. 109 Il priore Rustico, prima nel 1248 e quindi nuovamente nel 1269, si prodigò per ricercare denari per l’edificazione e la riparazione, oltre che degli edifici del complesso episcopale, anche della cattedrale stessa (PRANDI, RIGHETTI, Il duomo di Todi cit., pp. 54, 70; ROSSINI, Todi cit., pp. 210-211). Secondo Ceci, nel 1256 sarebbe inoltre documentata la costruzione di due pilastri (G. CECI, Todi nel Medioevo, Todi, 1897, p. 299; PRANDI, La cattedrale di Todi cit., pp. 231-232), anche se questa interpretazione non è accolta unanimemente dalla critica, giacché il vocabolo che l’autore identifica con pilastro potrebbe attribuirsi anche ad altre parti architettoniche, come ai gocciolatoi. Cfr. PRANDI, RIGHETTI, Il duomo di Todi cit., pp. 56, 96 nota 52. 110 PRANDI, RIGHETTI, Il duomo di Todi cit., pp. 28, 74. 111 Ibid., pp. 27-28. 112 Soluzioni di questo tipo non sono estranee in terra umbra. Cfr. PARDI, Architettura religiosa medievale cit., pp. 118, 309, 335-336. 113 La regolarità della muratura e le caratteristiche formali dei capitelli, di straordinaria eleganza, confermano che tutti questi elementi sorsero nel medesimo cantiere, nella secon107 SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 353 semicolonne, inanellate a livello della soglia delle finestre, che rispettano la sequenza dei pilastri interni, e, a livello della linea di gronda, si presenta la medesima teoria di archetti su colonnine incontrata nel catino absidale 114. Il senso di equilibrio che ogni singolo elemento contribuisce a creare entro la generale organizzazione della parete è qui più che mai evidenza di una matura progettualità, ben consapevole dell’effetto che si intendeva raggiungere. Tuttavia, è necessario sottolineare che la parte del perimetrale più prossima al capocroce presenta una varietà di forme decorative veramente straordinaria, che tende a fossilizzarsi invece, all’improvviso, in schemi più rigidi e ripetitivi nella rimanente porzione verso il prospetto principale 115. Il lessico romanico spoletino, i cui caratteri formali sono stati ampiamente evidenziati dalla critica 116, nonostante abbia avuto un ruolo particolarmente condizionante nella definizione del linguaggio architettonico del secolo XIII, si arricchì abbastanza precocemente di nuovi apporti che contribuirono a rinfrescare il panorama artistico di questo lembo meridionale della regione. Esemplare in tal senso è il cantiere del duomo cittadino, dedicato a Santa Maria Assunta, consacrato nel 1198 da Innocenzo III 117, ma i cui lavori continuarono ancora addentro al secolo seguente, quando Onorio III celebrò la consacrazione dell’altare 118. Proprio le vicende costruttive del fronte, concentrate in un breve arco cronologico posto a cavallo da metà del Duecento. PRANDI, RIGHETTI, Il duomo di Todi cit., pp. 70, 83-84. Il ricorso a maestranze di origine veronese per spiegare questa particolarità sembra tuttavia arduo; tale artificio potrebbe essere semplicemente il frutto di una necessità di carattere liturgico che imponeva la partizione della chiesa in aree ben identificabili. Ciò tuttavia non è in contraddizione con la possibilità che le pareti possano essere state innalzate in momenti di poco differenti. 114 PRANDI, RIGHETTI, Il duomo di Todi cit., p. 62. 115 Ibid., pp. 76-87. 116 Si veda ad esempio PERONI, Elementi di continuità cit., pp. 683-712. 117 L’inizio dei lavori potrebbe essere collocato verso il principio dell’ultimo quarto del XII secolo, L. GENTILI, L. GIACCHÈ, B. RAGNI, B. TOSCANO, L’Umbria. Manuali per il territorio, II, Spoleto, Roma, 1978, p. 325. 118 G. TAMANTI, Il Duomo di Spoleto, in L’Umbria cit., pp. 301-302; B. TOSCANO, Spoleto in pietre. Guida artistica della città, Spoleto, 1963, p. 138. Nel 1232 Gregorio IX canonizzò sant’Antonio da Padova proprio all’interno della cattedrale spoletina, ragion per cui l’edificio dovette essere concluso in ogni sua parte entro tale data. 354 FABIO CODEN fra i due secoli, palesano come ad una prima fase demarcata da un vocabolario di consolidata tradizione regionale 119, sia subentrato un nuovo gusto che portò ad una straordinaria monumentalizzazione dell’edificio 120. L’originaria soluzione a salienti, con la superficie muraria organizzata in modo geometrico, fu presto ripensata e trasformata in un’ampia e compatta cortina muraria con profilo a capanna 121: un setto a paravento che certamente ebbe la funzione di enfatizzare la percezione volumetrica dell’edificio, accentuandone oltremodo la verticalità e nel contempo formando quella necessaria quinta prospettica in grado di catalizzare immediatamente l’attenzione verso l’estremità della piazza. Le tracce di questa trasformazione sono facilmente identificabili sia sulla muratura, sia nella differente tipologia delle decorazioni destinate alle parti nuove della facciata 122. Nell’ordine inferiore i rosoni divennero cinque 123 e nel timpano trovarono posto tre ampie nicchie archiacute, forse tutte destinate a ricevere al proprio interno una raffigurazione, sormontate da altri tre rosoni di più articolata trama che seguono l’inclinazione degli spioventi 124. L’anno 1207 è il riferimento certo di questo secondo intervento 125, in quanto compare nel pannello musivo con la Deesis messo in opera da Solsterno 126, anche se è plausibile che i lavori si siano protratti ancora per diversi anni 127. Un atteggiamento decisamente conservatore è invece leggibile nelle strutture duecentesche della chiesa di San Paolo inter vineas, 119 DE ANGELIS D’OSSAT, L’architettura sacra cit., pp. 257-258. TAMANTI, Il Duomo di Spoleto cit., pp. 301-302; S. NESSI, Nuovi documenti sulle arti a Spoleto. Architettura e scultura tra romanico e Barocco, Spoleto, 1992, pp. 19, 22. 121 RIGHETTI TOSTI-CROCE, Spunti di ricerca cit., pp. 739-740. 122 GENTILI, GIACCHÈ, RAGNI, TOSCANO, L’Umbria cit., p. 327. 123 PISANI, Rosoni in Umbria cit., pp. 122-123. 124 TOSCANO, Spoleto in pietre cit., p. 141. 125 GENTILI, GIACCHÈ, RAGNI, TOSCANO, L’Umbria cit., pp. 327-328; GIGLIOZZI, Architettura romanica in Umbria cit., p. 108. 126 Su questo pannello e sulla valutazione dell’epigrafe si veda M. BONFIOLI, Qualche appunto sull’iscrizione metrica latina sotto il mosaico della facciata del duomo di Spoleto, in Arte d’Occidente, temi e metodi, studi in onore di Angiola Maria Romanini, a cura di A. CADEI, M. RIGHETTI TOSTI-CROCE, A. SEGAGNI MALACART, A. TOMEI, Roma, 1999, III, pp. 1001 ss., part. pp. 1005-1006. 127 TOSCANO, Spoleto in pietre cit., p. 141; RIGHETTI TOSTI-CROCE, Spunti di ricerca cit., p. 741. 120 SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 355 sempre a Spoleto, consacrata nel 1234 da Gregorio IX 128, a seguito probabilmente di una campagna di generale ammodernamento 129. L’impianto basilicale a tre navate, interamente ascrivibile al XIII secolo, tranne il catino absidale che appartiene alla precedente fase 130, si sviluppa su sei campate, interrotte da un transetto continuo, non sporgente, leggermente sopraelevato rispetto alla nave principale, al quale si accede per mezzo di tre grandi archi trasversali 131. Il fronte a salienti, d’impronta piuttosto conservatrice 132, risulta partito in settori scanditi sia verticalmente, per mezzo di quattro paraste, sia orizzontalmente, con possenti cornici di sapore classico, rette da archetti pensili: al centro trova posto un semplice portale gradonato, sormontato da un grande rosone frammentario 133, decorato con motivi vegetali, eleganti ma di gusto assai attardato 134. Gli archetti a sesto acuto che segnano gli spioventi delle navatelle e i due livelli orizzontali della facciata mostrano un’organizzazione abbastanza precisa dei motivi decorativi a quadrifogli che occupano la ghiera interna, rara concessione ai linguaggi figurativi del nuovo secolo 135. L’arrivo ad Orvieto, per volere di papa Onorio III, di una comunità di monaci premonstratensi, insediatasi in un preesistente monastero posto fuori dalle mura urbiche 136, ebbe un effetto indub128 GENTILI, GIACCHÈ, RAGNI, TOSCANO, L’Umbria cit., p. 244; PARDI, Architettura religiosa medievale cit., p. 205. 129 GENTILI, GIACCHÈ, RAGNI, TOSCANO, L’Umbria cit., p. 245; SPERANDIO, Chiese romaniche cit., p. 108; D. BAZZARRI, Abbazia di San Paolo inter vineas, in GUARINO, MELELLI, Abbazie benedettine in Umbria cit., pp. 150-151. Questo insediamento fu sede di una comunità benedettina femminile, che già nel 1241 tuttavia abbracciò la regola di santa Chiara. 130 GENTILI, GIACCHÈ, RAGNI, TOSCANO, L’Umbria cit., p. 245. 131 CHIERICI 1979b, p. 309. 132 GENTILI, GIACCHÈ, RAGNI, TOSCANO, L’Umbria cit., p. 245; RIGHETTI TOSTI-CROCE, Spunti di ricerca cit., p. 738; PARDI, Architettura religiosa medievale cit., p. 205. 133 PISANI, Rosoni in Umbria cit., p. 126. 134 S. CHIERICI, S. Paolo inter vineas a Spoleto, in L’Umbria cit., p. 309. 135 Nonostante la squisita fattura si notano sulla parete alcune imprecisioni nell’organizzazione degli elementi. RIGHETTI TOSTI-CROCE, Spunti di ricerca cit., p. 739. 136 SPERANDIO, Chiese romaniche cit., p. 399; R. CERONE, L’abbazia premostratense dei Santi Severo e Martirio presso Orvieto, in Arte medievale, n.s. VI, 1 (2007), p. 98. Il complesso si trova a sud della città, isolato su un pianoro della collina, lungo la strada che porta a Porano. 356 FABIO CODEN biamente innovatore per una vasta area tradizionalmente sotto l’influenza culturale della città 137. Il bagaglio di nuovi stimoli che questi religiosi giunti dalle terre francesi apportarono fu talmente significativo da trovare, a partire dal secondo quarto del XIII secolo, ampia risonanza non solo nell’architettura religiosa, ma anche in quella civile 138. I canonici regolari, subentrati nel 1226 nel cenobio dei Santi Severo e Martirio di Orvieto 139, a seguito dell’abbandono del sito nel 1221 da parte dei benedettini 140, intervennero subito con cospicui lavori di riqualificazione dell’intera area, trasformando in modo sostanziale le preesistenti strutture monastiche erette solo pochi decenni prima 141. I corpi di fabbrica nuovamente edificati, che rappresentano ancora oggi il nucleo più consistente disposto attorno ai due cortili, adottarono in modo sistematico volte a botte a tutto sesto o ad ogiva poco pronunciata, impostate in continuità sui perimetrali, con archi di rinforzo appena accennati che conferiscono ai vani un aspetto di elegante sobrietà 142. Oltre a ciò, le finestre a larghe fasce occupate da file di dadi sfalsati, per le quali si è voluto vedere un rimando diretto alla Piccardia 143, e che in seguito divennero una sorta di motivo firma in molte architetture della città umbra 144, caratterizzano gli alzati, spesso ingentiliti con modanatu137 R. PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto nel Medioevo, in Storia di Orvieto, II, Il Medioevo, a cura di G. M. DELLA FINA, C. FRATINI, Orvieto, 2007, p. 284. La presenza francese in terra orvietana ebbe un’importanza fondamentale per il sopraggiungere di metodologie costruttive prima di allora assenti, l’importanza delle quali risiede nella singolare fortuna che ebbero non solo in questa città. 138 PARDI, Architettura religiosa medievale cit., pp. 95, 257-258; CERONE, L’abbazia premostratense cit., p. 97. 139 E. CARPENTIER, Orvieto a la fin du XIIIe siècle. Ville et campagne dans le cadastre de 1292, Paris, 1986, p. 45; PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., pp. 280-285; D. BAZZARRI, Abbazia dei Santi Severo e Martirio, in GUARINO, MELELLI, Abbazie benedettine in Umbria cit., p. 199. 140 SPERANDIO, Chiese romaniche cit., p. 399. 141 CERONE, L’abbazia premostratense cit., pp. 97, 98. Le strutture di epoca benedettina – la torre campanaria di forma poligonale, l’impianto dell’abbaziale occidentata e il suo l’atrio – sono attentamente valutate nella prima parte del saggio di questo studioso (Ibid., pp. 99-105). 142 PARDI, Architettura religiosa medievale cit., pp. 95, 258; CERONE, L’abbazia premostratense cit., pp. 105-110. 143 CERONE, L’abbazia premostratense cit., pp. 107, 109. 144 GIGLIOZZI, Architettura romanica in Umbria cit., pp. 145, 168, 176 nota 49. SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 357 re continue e cornici marcapiano ad archetti con peducci parecchio allungati. Un analogo rimando oltremontano sembra potersi rintracciare anche nell’avancorpo della chiesa abbaziale, trasformato mediante l’addossamento di un nuovo setto murario alle strutture preesistenti e tramite la riconfigurazione degli spazi per adattarli alle nuove esigenze liturgiche e funzionali 145. In tale circostanza fu creato sul lato nord un arcone ogivale strombato 146, di dimensioni imponenti, con le imposte situate molto in basso e le ghiere occupate da motivi geometrici di foggia particolare, il quale innegabilmente rimanda alla cultura artistica di area francese 147. Quando nel 1284 si posero le basi per l’erezione della nuova cattedrale di Orvieto 148, dedicata all’Assunta 149, e l’anno seguente se ne iniziò l’elaborazione progettuale 150, l’intento esplicito fu quello di creare un edificio in grado di rappresentare pienamente l’importanza politica che la città aveva raggiunto grazie ad una fase di particolare prosperità economica 151. Solo nel 1290 però, con una solen145 Della primitiva versione sono ancora perfettamente percepibili l’originario ingresso centinato con capitelli cubici e la controabisdiola al piano superiore, inquadrata poi da un’arcata che andò in parte a nascondere le monofore preesistenti. 146 CERONE, L’abbazia premostratense cit., pp. 100, 109-110. 147 M. BASS-FAVRE, La sculpture figurée des arcs romans de France, Zurich, 1987, II ed. 2000, passim. 148 La letteratura relativa a questo straordinario episodio dell’architettura della penisola italiana è davvero cospicua; per approfondimenti critici si rimanda a R. BONELLI, Il Duomo di Orvieto e l’architettura italiana del Duecento Trecento, Perugia 2003 (Collezioni dell’Opera del Duomo di Orvieto, 2), pp. 19-31, 249-263. 149 Il nuovo edificio sorse su un’area precedentemente occupata da Santa Maria de episcopatu, documentata già nel 1038, e dalla chiesa canonicale di San Costanzo. La vecchia cattedrale forse versava in cattivo stato di conservazione, dal momento che nella seconda metà del XIII secolo alcuni dei più importanti eventi religiosi furono ospitati in San Francesco e in Sant’Andrea. P. PERALI, Le origini del Duomo d’Orvieto, in BONELLI R., Uno studio inedito di Pericle Perali, in Il duomo di Orvieto, a cura di L. RICCETTI, Roma-Bari, 1988, p. 19; L. RICCETTI, ‘L’uópara de Sancta Maria Maghore’: protasi ad una sotira sociale dell’opera del Duomo di Orvieto, in Saggi in onore di Renato Bonelli cit., I, p. 170; R. DAVANZO, Il disegno e i disegni della città medievale, in Storia di Orvieto, II, Il Medioevo cit., pp. 355-356; A. SATOLLI, Il duomo mascherato ovvero, l’antica cattedrale di Orvieto, Terni, 2010 (Conoscere e sapere, 21), pp. 19-27. 150 PERALI, Le origini del Duomo cit., pp. 19, 21. 151 D. WALEY, Orvieto medievale. Storia politica di una Città-Stato Italiana. 1157-1334, Cambridge, 1952, ed. it. Roma, 1985, pp. 89-109; R. DAVANZO, Orvieto, in Enciclopedia 358 FABIO CODEN ne processione 152, prese avvio il nuovo cantiere 153, al quale fra il 1291 e il 1300 risulta sovrintendere fra’ Bevignate 154; ma le documentazioni informano pure della presenza di altri maestri come Giovanni da Uguccione da Orvieto, artefice delle volte a crociera, e Ramo di Paganello, nel 1293, forse responsabile di una parte dell’apparato decorativo 155. La maestosità e la sontuosità di questo impianto architettonico pone di diritto il duomo Orvieto, assieme a quelli di Firenze e di Siena, al vertice degli episodi gotici del Duecento peninsulare 156: le dimensioni straordinarie, la tecnica costruttiva e le soluzioni architettoniche adottate sottolineano senza dubbio l’eccezionalità di questa struttura, che fonde richiami di aulica ascendenza romana (il ri- dell’Arte Medievale, VIII, Roma, 1997, pp. 889, 892; L. RICCETTI, Il Duomo: origini e cronologia, in Storia di Orvieto, II, Il Medioevo cit., pp. 328-239. 152 Il 15 ottobre 1290 si iniziò lo scavo delle fondazioni e il 15 di novembre fu papa Nicolò IV a presiedere la cerimonia della posa della prima pietra. M. ROSSI CAPONERI, Il duomo e l’attività edilizia dei Signori Sette (1295-1313), in Il duomo di Orvieto, a cura di L. RICCETTI cit., pp. 29-30; PERALI, Le origini del Duomo cit., p. 24; PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., p. 299. 153 RICCETTI, L’uópara de Sancta Maria cit., p. 171; BONELLI, Il Duomo di Orvieto cit., p. 219. 154 PERALI, Le origini del Duomo cit., pp. 24-25; DAVANZO, Orvieto cit., p. 895; L. RICCETTI, Opera Piazza Cantiere. Quattro saggi sul Duomo di Orvieto, Foligno, 2007, pp. 67, 68-69. La figura di fra’ Bevignate, con particolare riferimento al ruolo che ebbe anche nelle vicende politiche della città, è indagata da G. CECCHINI, Fra’ Bevignate e la guerra perugina contro Foligno, in Storia e arte in Umbria nell’età comunale cit., II, part. pp. 356-360. La questione storiografica relativa alla presenza di questo importante personaggio nel cantiere è riassunta da P. CELLINI, Appunti orvietani, III, Fra’ Bevignate e le origini del Duomo di Orvieto, in Paragone. Arte, IX, 99 (1958), pp. 3-7. 155 E. CARLI, Architettura e scultura, in Il Duomo di Orvieto e le grandi cattedrali del Duecento, atti del Convegno internazionale di studi (Orvieto, 1990), a cura di G. BARLOZZETTI, Torino, 1995, pp. 29-30; PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., p. 299; RICCETTI, Il Duomo: origini e cronologia cit., pp. 338-339; RICCETTI, Opera Piazza Cantiere cit., pp. 27-28, 75-77. Per la presenza di Arnolfo di Cambio nel cantiere del duomo si veda soprattutto A.M. ROMANINI, Arnolfo di Cambio e l’architettura del Duomo di Orvieto, in Storia e arte in Umbria nell’età comunale cit., I, pp. 43-72. 156 ROMANINI, Arnolfo di Cambio e l’architettura cit., passim; C. BOZZONI, Le cattedrali del Due-Trecento in Umbria e Toscana, in Il duomo di Orvieto e le grandi cattedrali del Duecento, atti del Convegno internazionale di studi (Orvieto, 1990), Torino, 1995, pp. 213, 233 ss.; BONELLI, Il Duomo di Orvieto cit., pp. 33-47; PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., p. 299. SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 359 ferimento a Santa Maria Maggiore è esplicitato dalle fonti) 157, a innegabili novità della fortunata stagione del gotico europeo 158. Della redazione duecentesca si conservano ancora intatti gli alzati, fino a livello delle coperture, dalla controfacciata fino al transetto 159, mentre ad occidente il fronte prevedeva originariamente quattro possenti pilastri su cui si impostavano gli spioventi, ad identificare le tre navate 160; di fatto la critica più recente tende ad individuare tre fasi distinte, pur appartenenti ad un progetto unitario, desumibili soprattutto per il cambio di linguaggio decorativo nelle varie parti della fabbrica 161. Solo nei primi anni del secolo entrante si ebbero le trasformazioni maggiori della facciata con il coinvolgimento di personalità di spicco come Lorenzo Maitani, che lavorò pure alla soluzione dei problemi statici del capocroce, mutandone radicalmente l’aspetto 162. L’impianto basilicale – largo 33,50 m e profondo fino al muro di testa orientale ben 73,60 m, spinto a 89 m dalle successive modifiche del catino absidale – prevede una divisione in tre navate scandite da una doppia infilata di cinque pilastri circolari, distanziati circa 8 m uno dall’altro 163, e all’incrocio con il transetto una coppia di sostegni polistili, sui quali si imposta l’arco trionfale, cir157 È necessario ribadire che non vi fu copia esplicita della chiesa romana, quanto piuttosto un rimando di carattere devozionale, forse esplicitato per la presenza papale in città. Effettivamente il richiamo a San Pietro e a San Giovanni in Laterano sembra in qualche modo soddisfare maggiormente le caratteristiche architettoniche. GILLERMAN, The Evolution of the Design cit., pp. 303, 306; BOZZONI, Le cattedrali del Due-Trecento cit., pp. 233-234, 236; RICCETTI, Il Duomo: origini e cronologia cit., pp. 329-330; RICCETTI, Opera Piazza Cantiere cit., pp. 20, 54-55; DAVANZO, Il disegno e i disegni cit., pp. 372-373, 377. 158 RICCETTI, Il Duomo: origini e cronologia cit., p. 323; DAVANZO, Il disegno e i disegni cit., pp. 369-370. 159 BONELLI, Il Duomo di Orvieto cit., p. 65. 160 PERALI, Le origini del Duomo cit., p. 26. Interessanti considerazioni sul cantiere, tratte dalla valutazione di numerosi apparati documentari, sono contenute in ROSSI CAPONERI, Il duomo e l’attività edilizia cit., pp. 36-44. 161 M. GILLERMAN, The Evolution of the Design of Orvieto Cathedral, ca 1290-1308, in Journal of the Society of Architectural Historians, 53 (1994), pp. 300-321. 162 CARLI, Architettura e scultura cit., pp. 27-28; BONELLI, Il Duomo di Orvieto cit., pp. 6869; RICCETTI, Il Duomo: origini e cronologia cit., pp. 331, 332 ss., 342-343. 163 Le misure precise di ogni luce, che vanno da un minimo di 7,90 m a un massimo di 8,47, sono riportate in BONELLI, Il Duomo di Orvieto cit., p. 226. 360 FABIO CODEN ca a metà dell’altezza del claristorio: sei ariose campate rendono assai dilatato in ogni direzione l’ambiente interno, che, nella sequenza di linee concave e convesse 164, ritmicamente modulate, trova la parte più preziosa del proprio vocabolario 165. La navata principale, coperta da un tetto a doppio spiovente, ha la propria altezza massima interna ad una quota di ben 37 m, mentre la chiave delle arcate che dividono le tre navi si trova a 17,30 m circa dall’attuale piano di calpestio. Appena sotto al claristorio corre un cornicione di notevole dimensione, retto da una fittissima sequenza di mensole variamente decorate, la cui tipologia è riscontrabile anche in terra toscana, laziale e nel sud della penisola 166. I muri d’ambito ospitano cinque cappelle semicircolari per parte, alte poco meno del perimetrale, che risultano disposte in modo asimmetrico rispetto ai pilastri della navata 167; una sesta cappellina estradossata era situata nella testata del transetto 168, prima che fossero aggiunte nel Trecento le ampie cappelle con i contrafforti per controbilanciare le spinte delle coperture della nave trasversale 169. Per questa, in principio inclusa nel perimetro dell’edificio, furono fin dall’origine previsti un sistema di copertura a volte a crociera costolonate (realizzate nel 13351338) 170, impostate tutte alla medesima altezza, e un catino absidale semicircolare, sostituito per problemi di statica con un’enorme scarsella quadrangolare 171. L’effetto di luce uniformemente diffusa è garantito dalla presenza di grandi finestre regolarmente e sapientemente disposte nei perimetrali e nel claristorio 172, nonché in faccia164 BONELLI, Il Duomo di Orvieto cit., pp. 99, 101-102. Ibid., pp. 67 ss. 166 PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., p. 301. Questo elemento aggettante permette lo svolgimento di un percorso a mezza altezza, protetto da plutei, lungo i perimetrali interni della chiesa. 167 GILLERMAN, The Evolution of the Design cit., p. 302; PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., p. 301. 168 BONELLI, Il Duomo di Orvieto cit., pp. 66-67. 169 RICCETTI, Il Duomo: origini e cronologia cit., p. 325. 170 BONELLI, Il Duomo di Orvieto cit., p. 65. 171 BOZZONI, Le cattedrali del Due-Trecento cit., p. 236; BONELLI, Il Duomo di Orvieto cit., p. 65; RICCETTI, Il Duomo: origini e cronologia cit., p. 326. 172 Nei muri longitudinali delle navatelle è prevista un’apertura all’interno di ogni cappella semicircolare e una fra gli spazi che le dividono, ad esclusione del luogo in cui si trovano le porte laterali; nel claristorio si trovano sei grandi aperture, sempre archiacute, 165 SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 361 ta dalle monofore che occupano la testata delle navatelle, dal grande rosone mediano e dalla sottostante lunetta ad arco ribassato 173. La straordinarietà di questo episodio umbro risiede anche nella tecnica muraria a corsi alternati di marmo chiaro e scuro, che interessa ogni parte dell’edificio, sia all’interno sia all’esterno, ad esclusione della facciata. La scelta di adottare un paramento di forte impatto cromatico ha anche contribuito a mascherare la percezione delle pur scarne e limitate modanature: nei muri delle navatelle, solo i catini sporgenti delle cappelline prevedono sottili semicolonne addossate, delle quali le due mediane risultano inoltre inanellate; nel claristorio analoghi elementi si interpongono alle monofore, quasi scomparendo; il transetto appare come un diaframma murario di eccezionale ampiezza, definito solo dalle paraste degli spigoli. Anche le possenti cornici marcapiano delle linee di gronda comprimono la propria consistenza al cospetto di questa esuberante sequenza di fasce orizzontali chiare e scure 174. ESPERIENZE EDILIZIE DEGLI ORDINI MENDICANTI Nel multiforme panorama dell’architettura duecentesca umbra il fenomeno edilizio legato agli ordini mendicanti necessita di una trattazione distinta, non tanto con l’intenzione di rintracciarne forzatamente una visione unitaria 175, quanto piuttosto di riconoscerne quell’innegabile dato sovrastrutturale che è intrinseco alle scelte architettoniche adottate nei singoli cantieri 176. Da questo punto di vi- che all’esterno risultano collegate da una cornice continua che prende avvio dalla linea di imposta dell’arco ogivale. ROMANINI, Arnolfo di Cambio e l’architettura cit., pp. 59-60. 173 Il rosone, di straordinaria raffinatezza, è analizzato da PISANI, Rosoni in Umbria cit., p. 80. 174 ROMANINI, Arnolfo di Cambio e l’architettura cit., p. 54. 175 DE ANGELIS D’OSSAT, L’architettura sacra cit., pp. 264-265. 176 Sull’effettiva esistenza di un’architettura cosiddetta mendicante si veda soprattutto A.M. ROMANINI, L’architettura degli ordini mendicanti: nuove prospettive d’interpretazione, in Storia della città, 9 (1978), pp. 5-6, 8-9, 12; A. CADEI, Architettura mendicante: il problema di una definizione tipologica, in I francescani in Emilia, atti del Convegno di studi (Piacenza, 1983), in Storia della città, 26-27 (1983), pp. 21-32; R. BONELLI, Una definizione per l’« ar- 362 FABIO CODEN sta, è fatto tutt’altro che contingente constatare che proprio in questa regione prese avvio, ad esempio nel caso dei francescani, quella particolare sensibilità artistica, destinata, seppure con vari idiomi, ad essere il punto di riferimento per un territorio ben più vasto della penisola italiana. E con la medesima prospettiva si deve valutare anche il fenomeno domenicano che, in terra umbra, ebbe precoce comparsa, anche se purtroppo le sopravvivenze duecentesche sono assai esigue, rispetto alla reale entità del fenomeno 177. Di fatto, sono proprio le specificità religiose dei francescani, dei dominicani e degli agostiniani che diventano il punto di partenza concettuale per identificare le esperienze edilizie di ambito mendicante 178. Se in un primo momento gli edifici di queste comunità si caratterizzarono per le dimensioni contenute, il sistematico trasferimento all’interno dei centri abitati determinò una generale monumentalizzazione degli impianti 179, che corrispose con la creazione di aree esclusive d’influenza 180. I francescani L’esordio architettonico dell’ordine minoritico è da ricercare proprio in terra umbra, dove Francesco, interessato in prima persona a questioni di carattere architettonico, già nei primissimi anni del XIII secolo ebbe modo di applicare a specifiche realtà edilizie i chitettura » mendicante, in Lo spazio dell’umiltà, atti del Convegno sull’edilizia dell’Ordine dei minori (Fara Sabina, 1982), Fara Sabina, 1984, pp. 343-350; W. SCHENKLUHN, Architettura degli Ordini Mendicanti. Lo stile architettonico dei Domenicani e dei Francescani in Europa, Darmstadt, 2000, Padova 2003, pp. 12-14. 177 B. CIRULLI, Una ricerca sulle chiese degli ordini mendicanti, in Arnolfo di Cambio una rinascita cit., p. 83. Nei territori umbri, fra la metà del Duecento e l’inizio del Trecento, ben settantaquattro furono gli insediamenti dei minori, otto i monasteri dei predicatori e trenta quelli degli agostiniani. 178 M. RIGHETTI TOSTI-CROCE, Francescani. Architettura, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, VI, Roma, 1995, p. 337. 179 DE ANGELIS D’OSSAT, L’architettura sacra cit., p. 265. 180 La scelta dei luoghi d’insediamento e il conseguente ‘controllo’ di quel settore delle cittadine non fu subordinato a schemi predefiniti, ma semplicemente alla precedenza di arrivo nel sito. M. SANFILIPPO, Il convento e la città: nuova definizione di un tema, in Lo spazio dell’umiltà cit., pp. 335-337; SAVI, Umbria cit., p. 399. SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 363 dettami di quel peculiare spirito di genuina povertà che contraddistingueva il suo pensiero religioso 181. La prima regola, nonostante sia ad oggi sconosciuta, molto probabilmente non conteneva indicazioni precise relative al modo di concepire i luoghi di culto e di vita comunitaria, mentre quella del 1223 fa riferimento unicamente alla necessità di non detenere la proprietà di beni di qualsiasi specie 182. Tale precetto, che porta inevitabilmente con sé anche il rifiuto all’elaborazione di un linguaggio architettonico specifico 183, almeno fino alla comparsa della seconda generazione francescana 184, si tradusse in azioni volte principalmente alla ristrutturazione di edifici preesistenti, affidati ai frati in semplice custodia 185, piuttosto che alla fondazione di nuovi conventi 186. La prima fase, cosiddetta dei 181 Ibid., p. 262; A.M. ROMANINI, Il francescanesimo nell’arte: l’architettura delle origini, in Francesco, il francescanesimo e la cultura della nuova Europa, atti del Convegno internazionale (Roma, 1982), a cura di I. BALDELLI, A.M. ROMANINI, Roma, 1986 (Acta Encyclopedica, 4), p. 182; G. VILLETTI, Legislazione e prassi edilizia degli Ordini mendicanti nei secoli XIII e XIV, in Francesco d’Assisi, II, Chiese e conventi cit., p. 23; L. PELLEGRINI, Insediamenti francescani nell’Italia del Duecento, Roma, 1984 (Studi e ricerche, nuova serie), pp. 57 ss. 182 M. SALVATORI, Le prime sedi francescane, in Lo spazio dell’umiltà cit., p. 78; M. RIGHETTI TOSTI-CROCE, La chiesa di Santa Chiara ad Assisi: architettura, in Santa Chiara in Assisi. Architettura e decorazione, a cura di A. TOMEI, Cinisello Balsamo, 2002, p. 21. 183 HÉLIOT, Sur les églises gothiques cit., p. 231; RIGHETTI TOSTI-CROCE, Francescani cit., p. 339. 184 ROMANINI, Il francescanesimo nell’arte cit., p. 181. 185 L. PELLEGRINI, L’espansione degli insediamenti francescani in Italia, in Francesco, il francescanesimo e la cultura cit., pp. 94-95. I primi edifici francescani di questo tipo sono analizzati da SALVATORI, Le prime sedi francescane cit., pp. 77-106; P. CASTELLANI, La Verna e le fonti architettoniche dei primordi dell’Ordine Francescano, in Itinerarium Montis Alvernae, I, atti del Convegno di studi storici (La Verna, 5-8 maggio 1999), in Studi francescani, XCVII, 3-4 (2000), pp. 286-289 [490-493]. 186 L’intento del santo era rivolto a creare un modello di convivenza in schietta povertà evangelica, pur nel rispetto della libertà personale relativamente al luogo dove dimorare. SALVATORI, Le prime sedi francescane cit., pp. 77-78; PELLEGRINI, L’espansione degli insediamenti francescani cit., pp. 92, 94; SCHENKLUHN, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 31. Per le questioni legate alla legislazione in campo architettonico si veda G. VILLETTI, L’edilizia mendicante in Italia, in Lo spazio dell’umiltà cit., p. 226; R. BONELLI, Nuovi sviluppi di ricerca sull’edilizia mendicante, in Gli Ordini Mendicanti e la città. Aspetti architettonici, sociali e politici, atti del II ciclo di seminari (Ravello, 25-26 febbraio 1982), a cura di J. RASPI SERRA, Milano, 1990 (Metodologia e storia delle componenti culturali del territorio), pp. 18-19; G. VILLETTI, Studi sull’edilizia degli ordini mendicanti, Roma, 2003, pp. 19 ss. 364 FABIO CODEN restauri 187, ben documentata dalla Vita prima di Tommaso da Celano e dalla Legenda Maior, è direttamente legata alla figura del santo e dei primi confratelli, impegnati in ristrutturazioni di piccole chiese, come sembrerebbero testimoniare alcuni episodi nei pressi di Assisi, solo per citare quelli direttamente connessi con i territori umbri che ancora conservano testimonianze materiali 188. Il complesso di San Damiano, luogo in cui Francesco trovò riparo per sfuggire alle ricerche del padre, manifesta tuttora le tracce dell’intervento diretto del santo, al quale, come le vicende agiografiche narrano, il crocifisso avrebbe indicato di recuperare le strutture cadenti della chiesa 189. Le analisi archeologiche recentemente condotte hanno provato che nel primitivo impianto a navata unica 190 fu accuratamente sistemata l’area presbiteriale e fu predisposto un nuovo pavimento 191. Forse, in un momento leggermente più avanzato 192 fu costruita una nuova volta a botte, a sesto acuto, di andamento assai incerto, con piano d’imposta molto in basso, la cui forma potrebbe essere messa in relazione con analoghe soluzioni di ambito cistercense 193, anche se in verità la tradizione locale offriva spunti decisamente più immediati 194. In questa architettura si pos187 ROMANINI, Il francescanesimo nell’arte cit., pp. 183-184. C. BOZZONI, Osservazione sui procedimenti costruttivi e su alcune soluzioni tecniche in edifici mendicanti dell’Umbria, in Gli Ordini Mendicanti e la città cit. p. 140; A. CADEI, Assisi. Architettura e scultura, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, II, Roma 1991, p. 632; E. GUIDONI, Assisi. Urbanistica, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, II, Roma, 1991, p. 623; RIGHETTI TOSTI-CROCE, Francescani cit., p. 338; SCHENKLUHN, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 18. 189 RIGHETTI TOSTI-CROCE, La chiesa di Santa Chiara cit., p. 22. 190 L’edificio, che fu donato alla cattedrale di San Rufino nel 1103, è attestato già nel 1030. SPERANDIO, Chiese romaniche cit., p. 38. 191 L. ERMINI PANI, M.G. FICHEERA, M.L. MANICELLI, San Damiano: dall’insediamento di epoca romana alla chiesa medievale, in Indagini archeologiche nella chiesa di San Damiano in Assisi, a cura di L. ERMINI PANI, M.G. FICEHERA, M.L. MANICELLI, Assisi, 2005 (Arte, 1), pp. 1315; M.G. FICHEERA, M.L. MANICELLI, Proposta per la successione delle fasi, in Indagini archeologiche nella chiesa di San Damiano cit., pp. 36-39. 192 ERMINI PANI, FICHEERA, MANICELLI, San Damiano cit., pp. 16-18. Su questo argomento si veda però anche CASTELLANI, La Verna e le fonti architettoniche cit., p. 290 [494]. 193 ROMANINI, Il francescanesimo nell’arte cit., p. 184; A. CADEI, Assisi cit., pp. 629-630; RIGHETTI TOSTI-CROCE, Francescani cit., p. 339; GIGLIOZZI, Architettura romanica in Umbria cit., p. 89. 194 CASTELLANI, La Verna e le fonti architettoniche cit., pp. 291-292 [495-496]. 188 SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 365 sono perciò rintracciare i lavori eseguiti dal santo nel 1207 e gli interventi accorsi fra il 1212 e il 1257, che riguardarono l’allungamento della chiesa e il sopralzo dei perimetrali, per la creazione del dormitorio in cui trovarono dimora Chiara e le pauperes domniae 195: una stanza delle stesse dimensione dell’aula sottostante, coperta con capriate lignee e illuminata da semplici finestre rettangolari 196. Infine, prima della metà del secolo, fu aggiunto un ulteriore corpo di fabbrica ad oriente che prevedeva un’abside leggermente disassata al piano terra e sopra una cappella ugualmente absidata, alla quale si accedeva direttamente dal dormitorio, scendendo alcuni gradini 197. Una vicenda architettonica simile ebbe anche il piccolo oratorio di Santa Maria della Porziuncola, attestato già nel XII secolo 198, nel quale il santo dimorò fra il 1209 e il 1211 199. Il modesto edificio, ottenuto in concessione con i suoi annessi dall’abate di San Benedetto al Subasio, consiste in una cappellina ad aula unica, con un catino ad oriente di dimensioni contenute, che sicuramente doveva versare in cattive condizioni nel momento in cui Francesco vi si stabilì all’inizio della sua conversione 200. L’o195 GIGLIOZZI, Architettura romanica in Umbria cit., p. 90; FICHEERA, MANICELLI, Proposta cit., pp. 39-46. 196 CASTELLANI, La Verna e le fonti architettoniche cit., p. 289 [493]. 197 L’analisi stratigrafica compiuta da ROMANINI, Il francescanesimo nell’arte cit., pp. 191192, è stata recentemente supportata dalle considerazioni di RIGHETTI TOSTI-CROCE, La chiesa di Santa Chiara cit. pp. 23-29. 198 SPERANDIO, Chiese romaniche cit., p. 47. 199 A. CADEI, Assisi cit., p. 630. 200 Porzioni di muratura, comprendenti un’arcata tamponata con bardellone, inglobate nel fianco della cappella del Transito, sorta nel XIV secolo a nord-est della Porziuncola (F. PAOLI, La Cappella del Transito di san Francesco, in Francesco, il francescanesimo e la cultura cit., pp. 253-256), ma rispetto a questa leggermente divergenti, potrebbero essere appartenute all’edificio nel quale Francesco fu deposto in agonia prima della morte, sopraggiunta il 3 ottobre 1226. Si trattava di un vano già presente nel complesso e che probabilmente era pertinente ad ambienti di servizio della piccola chiesa, ma che, rispetto alla disposizione attuale, si sviluppava all’esterno della cappella del Transito, sorta sul luogo ove il santo si fece deporre, ovvero sulla nuda terra all’esterno di quella che le fonti interpretano come l’infermeria. Cfr. A.M. ROMANINI, Nuovi documenti sulla Cappella del Transito in Santa Maria degli Angeli di Assisi: introduzione, in Francesco, il francescanesimo e la cultura cit., pp. 231, 233; M. RIGHETTI TOSTI-CROCE, Racconto e documento; inedite testimonianze della morte di san Francesco nella Cappella del Transito in Santa Maria degli Angeli ad Assisi, in Francesco, il francescanesimo cit., pp. 237-248. 366 FABIO CODEN pera di restauro 201, forse ascrivibile proprio a questo periodo, previde anche in questo caso l’inserimento di una singolare copertura a botte, a sezione ovoidale, inserita in rottura nei muri d’ambito e in sostituzione di una precedente ad ogiva, della quale rimangono le tracce sul muro di controfacciata 202. Questi episodi confermano quindi l’iniziale vocazione dei frati a stabilirsi in piccole chiese concesse dal clero, poste ai margini delle città, spesso lungo i principali assi di comunicazione; tuttavia, col trascorrere del tempo i minori si avvicinarono progressivamente ai centri urbani, fino a trovare sistemazione all’interno delle mura in prossimità delle porte 203, e solo a partire circa dalla metà del secolo il rapporto privilegiato istituito con le autorità cittadine li indusse a fissare i propri insediamenti nei luoghi più significativi dei centri abitati 204. L’inurbamento caratterizzò perciò la seconda fase dell’edilizia francescana 205 e, in netto contrasto con i precetti del fondatore 206, arrivò alla definizione di scelte costruttive contraddistinte spesso da una spiccata monumentalizzazione 207; mai però vi fu una precisa disposizione a seguire schemi predefiniti, se non relativamente ad alcune questioni sostanziali, come ad esempio stabilirono i precetti del capitolo generale di Narbona del 1260 208. Dalla pre201 Le fasi archeologiche di questo sito francescano sono dettagliatamente valutate da L. PANI ERMINI, De Portiuncula: dalla frequentazione romana all’insediamento francescano, in San Francesco e la Porziuncola, dalla ”chiesa piccola e povera” alla Basilica di Santa Maria degli Angeli, atti del Convegno di studi storici (Assisi, 2-3 marzo 2007), a cura di P. MESSA, Assisi, 2008 (Viator, 5), part. pp. 48-62. 202 R. PARDI, Ricerche di architettura religiosa medioevale in Umbria. Integrazioni ed inediti, Perugia, 1972, p. 94; ROMANINI, Il francescanesimo nell’arte cit., pp. 184, 186; SALVATORI, Le prime sedi francescane cit., pp. 89-90; A. CADEI, Assisi cit., p. 630; GIGLIOZZI, Architettura romanica in Umbria cit., p. 89; CASTELLANI, La Verna e le fonti architettoniche cit., p. 290 [494]. 203 PELLEGRINI, Insediamenti francescani cit., pp. 123 ss., 155 ss. 204 R. BONELLI, Introduzione, in Francesco d’Assisi, II, Chiese e conventi cit., p. 8; PELLEGRINI, L’espansione degli insediamenti francescani cit., pp. 96-101. 205 M. SALVADORI, Rapporti tra conventi e città nell’evoluzione del fenomeno francescano, in Francesco d’Assisi, II, Chiese e conventi cit., pp. 32-33. 206 RIGHETTI TOSTI-CROCE, Francescani cit., p. 340. 207 Al momento della loro apparizione, a partire dal secondo quarto del secolo, le chiese mendicanti risultano essere fra i più grandi edifici eretti in quel periodo: cfr. BONELLI, Introduzione cit., p. 7; BONELLI, Nuovi sviluppi di ricerca cit., pp. 23-24. 208 VILLETTI, Legislazione e prassi edilizia cit., p. 23; SANFILIPPO, Il convento e la città cit., p. 331; BONELLI, Nuovi sviluppi di ricerca cit., pp. 20-21. SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 367 dicazione itinerante si passò così, a partire già dal secondo quarto del secolo, ad una scelta di carattere stanziale 209. Le indicazioni che il santo aveva fornito ancora in vita si scontrarono fatalmente proprio nella concezione architettonica della basilica di San Francesco ad Assisi 210 – sorta per ricevere le spoglie mortali del poverello, conservate dall’anno della morte (1226) in San Giorgio –, alla quale sovrintese proprio quel frate Elia che lo stesso Francesco aveva voluto a capo dell’Ordine 211. L’impasse giuridico-dottrinaria relativa alla proprietà del sito fu presto risolta da papa Gregorio IX, committente ufficiale dell’opera, il quale aveva espressamente stabilito fin dalla prima donazione di terreni, che il complesso apparteneva alla Santa Sede, che il luogo veniva dato in uso ai francescani, che San Francesco rappresentava la chiesa madre dell’Ordine e che il convento era fondato in qualità di palazzo apostolico 212. Seppure la storia di questo edificio sia scandita da date ben precise, che fissano in modo puntuale i passaggi principali di questa straordinaria impresa architettonica, non altrettanto univoche sono le interpretazioni relative alla successione delle fasi del cantiere 213. L’inizio della vicenda costruttiva si ebbe con la cessione di un terreno, nel luogo definito Collis Inferni 214, documentata nel 1228, 209 SANFILIPPO, Il convento e la città cit., p. 335. L’importanza nodale di questo monumento nel panorama architettonico europeo è sottolineata dalla davvero cospicua letteratura che lo riguarda e che in questa sede non può essere valutata esaurientemente per ragioni di spazio; è necessario perciò rimandare per maggiori approfondimenti ad alcuni contributi fondamentali che inquadrano oltre che le vicende architettoniche, anche il dibattito critico, talvolta parecchio articolato. A. CADEI, Studi sulla basilica di S. Francesco ad Assisi, architettura (prima parte), in Arte medievale, ser. 2a, II, 1 (1988), pp. 79-100; A. CADEI, Studi sulla basilica di S. Francesco ad Assisi, architettura (seconda parte), in Arte medievale, ser. 2a, III, 1 (1989), pp. 117-135. 211 DE ANGELIS D’OSSAT, L’architettura sacra cit., pp. 261-262; F. CADEI, S. Francesco ad Assisi, in L’Umbria cit., p. 289; A. CADEI, Assisi cit., p. 632. 212 A. CADEI, Assisi cit., p. 633. 213 Un inquadramento generale dell’edificio, con interpretazioni a volte un po’ ardite riguardo alle fasi, è proposto da QUINTERIO, L’architettura del Due e del Trecento cit., pp. 220-225. 214 Al momento dell’edificazione questo luogo si trovava al di fuori delle mura, in un rilievo, come definisce il nome, assai scosceso ed isolato, separato dalla città da un avvallamento. GUIDONI, Assisi cit., p. 624. 210 368 FABIO CODEN anno in cui Gregorio IX, il 17 luglio 215, giorno seguente a quello della canonizzazione di Francesco, presenziò alla solenne cerimonia di posa della prima pietra 216; è inoltre plausibile che intorno alla data di consacrazione degli altari, avvenuta per opera di Innocenzo IV, il 25 maggio 1253, ogni parte della chiesa fosse conclusa 217. L’innegabile esemplarità di questo episodio induce pertanto ad un’accurata valutazione delle sue principali caratteristiche formali, che talvolta unitariamente, più spesso come singole soluzioni, furono mutuate in altre sedi non solo dell’Ordine, lasciando un’impronta profonda nell’architettura dei secoli che seguirono 218. L’edificio, occidentato, sviluppato su due piani con ambienti approssimativamente della medesima ampiezza, fonde in un organismo unitario concezioni costruttive assai differenziate 219. La chiesa inferiore, quasi certamente in gran parte completata entro la data di traslazione del corpo, avvenuta il 25 maggio 1230 220, prevede un’icnografia a croce latina, a navata singola, originariamente costituita dalla successione di tre campate quadrangolari, coperte da volte a crociera con imponenti costoloni e archi trasversi di sezione rettangolare, poggianti su tarchiati pilastri trilobati 221. La caratteristica conformazione delle coperture, di aspetto cupoliforme, ha suggerito, a ragione, un confronto con alcuni episodi del XII secolo della pianura padana 222. I due bracci del transetto, invece, prevedono una 215 F. CADEI, S. Francesco ad Assisi cit., p. 288; cfr. inoltre l’agile sunto di A. CURUNI, Architettura degli Ordini Mendicanti in Umbria, problemi di rilievo. Orvieto, S. Domenico, in Francesco d’Assisi, II, Chiese e conventi cit., p. 85. 216 Le implicazioni urbanistiche che questa vicenda costruttiva comportò alla città di Assisi sono affrontate esaurientemente da A. GROHMANN, Assisi, Roma-Bari, 1989 (Grandi opere), pp. 45-73. Cfr. inoltre M. SENSI, Santuari, pellegrini, eremiti nell’Italia centrale, Spoleto, 2003 (Uomini e mondi medievali, 6), pp. 241-244. 217 F. CADEI, S. Francesco ad Assisi cit., p. 291; A. CADEI, Assisi, S. Francesco cit., pp. 141-142; KRÖNIG, Caratteri dell’architettura cit., pp. 168-170. 218 HÉLIOT, Sur les églises gothiques cit., pp. 231, 235; BOZZONI, Le tipologie cit., p. 143145; BOZZONI, Il ‘cantiere mendicante’ cit., p. 144. 219 KRÖNIG, Caratteri dell’architettura cit., pp. 166-167; F. CADEI, S. Francesco ad Assisi cit., p. 284. 220 F. CADEI, S. Francesco ad Assisi cit., p. 289. 221 Ibid., pp. 284-285. 222 Sulle tipologie di area padana si veda soprattutto Ibid., p. 284; A. CAVALLARI MURAT, Problemi delle sedi del potere comunale nelle strutture cittadine tra i secoli XI e XIII, in Romanico SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 369 volta a botte ciascuno, mentre la campata del presbiterio, all’incrocio dei due assi, che ospita l’altare sopraelevato su un’ampia pedana, è ugualmente coperta da una crociera, i cui costoloni rettangolari però mostrano gli spigoli smussati, così come gli arconi che delimitano i quattro lati della zona sacra. La luce nella navata penetrava da finestre ad arco a tutto sesto di grandi dimensioni, sistemate nei muri d’ambito, una per ogni fianco di ciascuna campata, delle quali sopravvivono alcune tracce delle due in prossimità del transetto, risparmiate dall’apertura delle cappelle nel corso del Trecento 223; il catino absidale, di forma semicircolare, ne mostra tre ricavate direttamente, e in modo poco usuale, nella calotta a quarto di sfera. Inoltre, due torri semicilindriche affiancano all’esterno la cappella maggiore per tutta l’altezza dell’edificio, mettendone in comunicazione i vari piani 224. Al limite della terza campata dell’aula, si trovava una struttura trasversale alla navata, forse uno jubé, con un piano percorribile nella parte superiore, la cui presenza è confermata sia da piccoli armadi ricavati all’interno della muratura dei perimetrali, segno dell’esistenza di altari, sia dalla decorazione pittorica duecentesca che organizza lo spazio in modo altrimenti non comprensibile 225. Oltre a questa cesura, si trova la pedana presbiteriale con l’altare, sotto al quale fu sistemata la sepoltura del santo, ricavata in un vano scavato molto in profondità sotto al pavimento; solo all’inizio dell’Ottocento fu creata la cripta alterando profondamente l’originaria conformazione della tomba 226. Nella parte anteriore della chiesa, ad padano, romanico europeo, atti del Convegno internazionale di studi (Modena-Parma, 1977), a cura di A.C. QUINTAVALLE, Parma, 1982, pp. 103 ss. 223 F. CADEI, S. Francesco ad Assisi cit., pp. 292-294. 224 W. SCHENKLUHN, La basilica di San Francesco in Assisi: Ecclesia Specialis. La visione di papa Gregorio IX di un rinnovamento della Chiesa, Milano, 1994 (Fonti e ricerche, 5), pp. 47-62. 225 I. HUECK, Der Lettner der Unterkirche von San Francesco in Assisi, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XXVIII, 2 (1984), pp. 173-202; ID., Assisi, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, II, Roma, 1991, pp. 638-639; SCHENKLUHN, La basilica di San Francesco cit., p. 80. 226 L’assetto originario del sepolcro di san Francesco e le successive sue trasformazioni sono dettagliatamente analizzati da I. GATTI, La tomba di s. Francesco nei secoli, Assisi, 1983, pp. 67 ss. al quale si rimanda. 370 FABIO CODEN oriente, la prima delle tre campate della navata era occlusa da una parete, oltre la quale si trovava un nartece, inglobato nel corpo longitudinale della chiesa verosimilmente durante la prosecuzione del cantiere superiore, e trasformato in una sorta di contro transetto con l’aggiunta di una campata a nord e una a sud 227. Il punto di ancoraggio alle pareti di questo setto, le cui fondazioni sono ben documentate, è perfettamente identificabile ancora oggi nei primi due semipilastri, il cui profilo fu sommariamente trasformato in semicircolare 228. La considerevole sezione dei muri perimetrali e la presenza di basi cubiformi davvero imponenti per i contrafforti semicilindrici esterni 229 non può che confermare l’organicità progettuale di un edificio pensato su due piani differenziati 230. Nonostante ciò, lo scarto linguistico che s’impone a partire delle strutture del corpo superiore induce a credere che il programma iniziale fu in realtà parzialmente revisionato 231. Questo cambio di tendenza, in direzione più marcatamente europea, forse è da imputare al nuovo generale dell’Ordine Aymone di Faversham (1241-1244), per il tramite del quale sarebbero giunte nel cantiere assisiate quelle influenze oltremontane assenti nella precedente fase edilizia 232. La chiesa superiore mostra una verticalità e un’attenzione alla luce davvero significative, inedite nella chiesa inferiore, della quale tuttavia ripropone il medesimo impianto planimetrico. Appena varcato l’accesso principale, uno pseudo endonartece coperto con una botte archiacuta introduce alla navata, che si sviluppa in senso longitudinale con quattro campate voltate a crociera, con costoloni po227 F. CADEI, S. Francesco ad Assisi cit., pp. 294, 295. A. CADEI, Assisi cit., pp. 632-633; SCHENKLUHN, La basilica di San Francesco cit., pp. 70-71, 82-89. 229 L’adozione di questa particolare soluzione di contrafforte è stata interpretata come una mancanza di comprensione del reale valore statico degli elementi di rinforzo della scatola architettonica di ambito gotico. E.B. SMITH, « Ars Mechanica ». Problemi di struttura gotica in Italia, in Il gotico europeo in Italia, a cura di V. PACE, M. BAGNOLI, Napoli, 1994, p. 60. 230 DE ANGELIS D’OSSAT, Le chiese medioevali a due piani cit., pp. 179-180; DE ANGELIS D’OSSAT, L’architettura sacra cit., pp. 265-256; KRÖNIG, Caratteri dell’architettura cit., p. 168. 231 SCHENKLUHN, La basilica di San Francesco cit., pp. 14-19. 232 BOZZONI, Il ‘cantiere mendicante’ cit., p. 144. 228 SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 371 ligonali 233; anche la campata d’incrocio e le due del transetto adottano il medesimo sistema di copertura, mentre il catino absidale poligonale, a cinque lati (5/10), è voltato con vele di profondità differenziata 234. Caratteristica peculiare di questa parte dell’edificio è la riduzione di sezione dei muri d’ambito, a partire da circa un terzo dell’altezza, i quali nel punto di scarto sviluppano un percorso continuo tutt’intorno all’invaso. Profondi nicchioni archiacuti si manifestano così in aderenza ai perimetrali, al centro dei quali trovano posto le grandi bifore, sormontate da un quadrilobo, che illuminano l’interno. Il linguaggio gotico presente in questa parte del cantiere è stato messo in relazione con quello delle regioni dell’Ilede-France e dello Champagne 235 e anche la particolare tipologia di capitelli a crochet sembra affine a quella delle imposte del coro e del transetto della cattedrale di Reims 236. Il rimando più immediato per comprendere alcuni aspetti costruttivi dell’episodio assisiate sembrerebbe essere Saint Maurice d’Angers (1149-1153) 237, dal quale pare provengano l’impianto icnografico, la successione di campate quadrangolari voltate a crociera, ma soprattutto i passaggi perimetrali sotto al claristorio 238. All’esterno, queste innovative tendenze tuttavia vengono compresse nell’organizzazione di pareti quasi completamente prive di decorazioni, per l’erezione delle quali furono utilizzati conci di pietra del Subasio, sommariamente sbozzati, ma con un elegante e 233 Appoggiati alle pareti si elevano pilastri formati da uno zoccolo a cinque lati, sormontato da cinque basi cubiformi, una per ogni elemento verticale, il quale si spinge poi a formare l’ossatura delle volte e degli archi trasversi. BOZZONI, Il ‘cantiere mendicante’ cit., p. 144; SCHENKLUHN, La basilica di San Francesco cit., p. 20. 234 All’incrocio con il transetto era sistemato, fino alla fine del Duecento, il tramezzo, del quale rimangono ancora i resti lignei della trave che era sistemata nella sua parte superiore. 235 KRÖNIG, Caratteri dell’architettura cit., p. 170. 236 A. CADEI, Assisi, S. Francesco, l’architettura e la prima fase della decorazione, in Roma anno 1300, atti della IV Settimana di studi di storia dell’arte medievale dell’Università di Roma “La Sapienza” (Roma, 1980), a cura di A.M. ROMANINI, Roma, 1983 (Mediaevalia, 1), pp. 142-145; A. CADEI, Assisi cit., p. 634, ma soprattutto A. CADEI, Indagine nel cantiere della chiesa superiore di S. Francesco ad Assisi, i capitelli di transetto e coro, in Arte medievale, n.s. I, 2 (2002), pp. 119-148. 237 KRÖNIG, Hallenkirchen in Mittelitalien cit., pp. 39-46. 238 KRÖNIG, Caratteri dell’architettura cit., pp. 170-171. 372 FABIO CODEN sommesso cromatismo 239; pure la facciata propone un modello a capanna, largamente documentato nella regione, di forte reminiscenza romanica 240, con la divisione in tre settori per mezzo di cornici marcapiano, delle quali la più sontuosa, sopra al portale, ad un’innegabile eleganza di sapore classico fonde echi locali attardate. Solo l’ingresso a doppia luce con arco trilobato, nonché in certa misura il rosone 241, sembrano spingersi meno timidamente in direzione gotica, anche se per la decorazione di questi elementi si fece ampio uso della tecnica ornamentale cosmatesca. Le soluzioni adottate nella basilica del santo fondatore dell’Ordine furono replicate puntualmente anche nella chiesa destinata ad accogliere le spoglie mortali di santa Chiara, sorta sempre ad Assisi fra il 1255 e il 1265, anno della consacrazione 242, in un’area situata nel versante opposto della cittadina 243. Alla morte di Chiara, avvenuta l’11 agosto 1253, la salma fu tumulata nella chiesa di San Giorgio, nella quale le clarisse pensavano di stabilirsi, ma l’opposizione dei canonici di San Rufino, cui l’edificio apparteneva, ad una permuta con il piccolo San Damiano, fu vinta solo quando l’abate di Farfa donò alle sorelle la chiesa di San Giacomo de muro rupto con tutte le pertinenze. Solamente dopo l’arbitrato del 20 aprile 1257, reso operativo dal papa il 9 luglio, cui seguì la bolla di conferma del 10 maggio 1259, s’iniziò l’edificazione del nuovo insediamento, il cui committente deve essere identificato proprio nella figura del pontefice 244. La chiesa, che accolse il corpo della santa il 2 ottobre 1260 245, fu consacrata il 6 settembre 1265 da Clemente IV 246. Il modello di riferimento fu chiaramente la chiesa superiore di San Francesco, anche se alcune scelte costruttive furono qui sempli239 BOZZONI, Osservazione sui procedimenti costruttivi cit., p. 136. F. CADEI, S. Francesco ad Assisi cit., pp. 285-286. 241 PISANI, Rosoni in Umbria cit., pp. 20-22. 242 Un agile sguardo alla chiesa è presente in QUINTERIO, L’architettura del Due e del Trecento cit., pp. 181-182. 243 H.R. MEIER, Santa Chiara in Assisi. Architektur und Funktion im Schatten von San Francesco, in Arte medievale, ser. 2a, IV, 2 (1990), pp. 151-154. 244 RIGHETTI TOSTI-CROCE, La chiesa di Santa Chiara cit., pp. 29-30, 31. 245 SCHENKLUHN, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 58. 246 KRÖNIG, Caratteri dell’architettura cit., p. 173; CURUNI, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 88; A. TOMEI, s.v. Assisi, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, II, Roma, 1991, pp. 640-641. 240 SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 373 ficate 247. Identico è l’impianto icnografico a croce (11 x 53 m ca.), con quattro campate giustapposte nell’asse longitudinale e tre nel transetto emergente, tutte di modulo quadrangolare costante, ma non perfettamente omogeneo, voltate con crociere costolonate e appoggiate ad archi trasversi che scavalcano la navata; ad oriente il catino poligonale a cinque lati (5/10) è direttamente innestato sulla testata 248. Mancano però lo pseudo endonartece e le torri scalari, mentre i contrafforti a sezione semicircolare sono trasformati in più esili elementi poligonali a nord e rettangolari a sud. Gli alzati mostrano la caratteristica riduzione dello spessore, in questo caso predisposta ad un livello assai prossimo a quello delle imposte delle volte 249, ulteriormente sottolineata da una cornice marcapiano molto sporgente e retta da grevi mensole, a formare un percorso perimetrale continuo 250; i semipilastri addossati alle pareti sono a tre elementi e solo nella campata d’incrocio si svolgono in modo più articolato; i lunettoni che si susseguono nei muri d’ambito ospitano esili monofore archiacute, invece di più grandi bifore; infine, l’apparato decorativo è di foggia decisamente dimessa, con capitelli a crochet di modesta fattura 251. Anche la facciata a capanna, pur rispettosa della tripartizione orizzontale desunta dal modello d’origine, mostra un portale semplificato, ad unica luce, ad arco a tutto sesto, nel settore mediano un elegante rosone 252 e nel timpano un oculo di dimensioni contenute 253. Il paramento murario è apparecchiato a fasce alternate di pietra grigia e rosata, diversamente che a San Francesco 254, ma nonostante ciò il fronte risulta diafano, anche per 247 CURUNI, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 89; MEIER, Santa Chiara in Assisi cit., pp. 157-160; SCHENKLUHN, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 59. 248 DE ANGELIS D’OSSAT, L’architettura sacra cit., pp. 263-264; RIGHETTI TOSTI-CROCE, La chiesa di Santa Chiara cit., p. 30. 249 KRÖNIG, Caratteri dell’architettura cit., p. 173. 250 MEIER, Santa Chiara in Assisi cit., pp. 158-159. Tale cornicione potrebbe essere riferibile ad una seconda fase del cantiere, in virtù del suo rapporto con le altre membrature dell’edificio che interseca. Cfr. KRÖNIG, Caratteri dell’architettura cit., p. 174; RIGHETTI TOSTI-CROCE, La chiesa di Santa Chiara cit., pp. 33-35. 251 RIGHETTI TOSTI-CROCE, La chiesa di Santa Chiara cit., pp. 32-33. 252 PISANI, Rosoni in Umbria cit., p. 30. 253 MEIER, Santa Chiara in Assisi cit., pp. 160-161; RIGHETTI TOSTI-CROCE, La chiesa di Santa Chiara cit., pp. 31-32. 254 BOZZONI, Osservazione sui procedimenti costruttivi cit., p. 136. Il primo settore in basso è 374 FABIO CODEN la quasi totale assenza di elementi decorativi, salvo le due figure di leone ai fianchi del portale, che peraltro rimandano alla tradizione umbra 255. Orvieto ospitò precocemente una comunità francescana, insediatasi verso il 1227, sotto il vescovo Capitaneo, presso la chiesa di San Pietro in vetere, in un rione appena fuori dalla città, particolarmente importante da un punto di vista strategico 256. A partire dal 1240, subito dopo la morte di Ambrogio da Massa, figura cardine per l’arrivo dei minori in città, si iniziò l’erezione di un nuovo complesso dedicato a San Francesco, all’interno della cinta muraria, ma nel versante opposto rispetto a quello in cui si trovava San Domenico 257. Gregorio IX stabilì quaranta giorni d’indulgenza per coloro che avessero contribuito a favorire questa impresa 258, e già nel 1243 i francescani lasciarono il primitivo sito per entrare nel nuovo insediamento 259. Il progetto iniziale fu presto riconsiderato, in una logica di competizione architettonica innestatasi fra i due principali ordini mendicanti, per essere trasformato in uno di più ambizioso nel 1262, forse per volere di Bonaventura da composto da fasce formate da singoli conci ben squadrati e perfettamente lisciati di grandi dimensioni; quello mediano propone la medesima alternanza realizzata però con liste di altezza variabile, composte da blocchetti più piccoli e lavorati in modo più sommario; il timpano, infine, è a fasce solo fino all’oculo ed adotta blocchi di grandezza ancora inferiore. È curioso rilevare che questa organizzazione della parete interessa in certa misura anche i perimetrali, seppure adottando fin dal livello di campagna solo conci di dimensioni esigue; nonostante ciò, a partire dal settore che include l’entrata laterale, la disposizione del materiale litico bicromo risulta casuale, senza che alcuna cornice marcapiano segni il passaggio netto alla soprastante parte organizzata in fasce regolari. 255 MEIER, Santa Chiara in Assisi cit., pp. 161-164. 256 CARPENTIER, Orvieto a la fin du XIIIe siècle cit., p. 45; L. RICCETTI, Primi insediamenti degli Ordini Mendicanti a Orvieto. Note per una introduzione alla documentazione esistente, in Chiese e conventi degli ordini mendicanti in Umbria nei secoli XIII-XIV. Inventario delle fonti archivistiche e catalogo delle informazioni documentarie, a cura M. ROSSI CAPONERI, L. RICCETTI, Perugia, 1987 (Archivi dell’Umbria, 9), pp. XIX-XX; L. RICCETTI, Orvieto medievale: definizione urbana e impianti urbanistici, in Storia di Orvieto, II, Il Medioevo cit., p. 414. 257 L’edificio si trova nella parte più elevata della città, con la facciata che ad occidente prospetta verso la piazza. R. BONELLI, La chiesa di S. Francesco in Orvieto e S. Bonaventura, in Doctor Seraphicus, 5 (1958), p. 56. 258 RICCETTI, Primi insediamenti cit., pp. XXIII-XXIV. 259 Sulla data presunta di fondazione del 1240, desunta dagli Annales Urbevetani, si veda BONELLI, La chiesa di S. Francesco cit., pp. 53-54. SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 375 Bagnoregio 260. Nel 1266 l’edificio fu consacrato da Clemente IV 261, ma con ogni probabilità il suo compimento si ebbe solo verso gli anni Ottanta del secolo 262. La struttura, profondamente trasformata in epoca barocca 263, prevedeva un ambiente ad aula (56 m di lunghezza per 22,20 di larghezza) 264, concluso ad oriente con una cappella quadrangolare, in antico voltata a crociera, vista la presenza all’esterno di contrafforti angolari a rinforzo dell’abside 265. La navata, al contrario, era coperta con capriate lignee poggianti su articolati semipilastri che creano cinque nicchioni longitudinali ad arco acuto, una sorta di omaggio ad Assisi, che restringono di oltre un metro per parte lo spazio interno della navata 266. Il fronte a capanna, a paravento, ospita tre ingressi ad arco acuto, dei quali i laterali sono assai semplici, mentre il principale, strombato, è ricavato all’interno di un setto marmoreo chiaro che ne nobilita l’aspetto 267: negli stipiti la parte sommitale delle colonnine e in alto gli archi delle ghiere, alternativamente, furono composti con pietra rosata, conferendo all’insieme un’innegabile eleganza formale. I capitelli a crochet, assai raffinati, le più vigorose cornici vegetali e le sottili colonnine tortili ingentiliscono questa parte scarna dell’edificio. La facciata risulta tuttavia alquanto disarmonica per la presenza di due rosoni di piccole dimensioni, spinti molto in alto in una posizione non in asse con le sottostanti porte laterali, e la supposta presenza di un rosone mediano, per quanto di dimensioni maggiori, non avrebbe di sicuro giovato ad un’equilibrata percezione d’insieme 268. 260 BONELLI, La chiesa di S. Francesco cit., p. 60; DAVANZO, Orvieto cit., p. 892; PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., p. 293. 261 RICCETTI, Primi insediamenti cit., p. XXIV. 262 BONELLI, La chiesa di S. Francesco cit., p. 53; DAVANZO, Il disegno e i disegni cit., p. 365. 263 Ibid., p. 56. 264 Ibid., p. 62. 265 Ibid., p. 58; PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., p. 293. 266 BONELLI, La chiesa di S. Francesco cit., p. 58, l’autore sostiene che la navata si restringe precisamente di 2.20 m. Cfr. inoltre G. DE ANGELIS D’OSSAT, Architettura e realizzazione del S. Fortunato, in Il tempio di San Fortunato a Todi, a cura di G. DE ANGELIS D’OSSAT, Milano, 1982, p. 62; BOZZONI, Le tipologie cit., p. 143. 267 DE ANGELIS D’OSSAT, L’architettura sacra cit., p. 265. 268 PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., p. 294. 376 FABIO CODEN Com’era avvenuto nelle altre città umbre anche a Spoleto i francescani arrivarono assai presto, nel 1213: ospitati in un primo momento nella chiesa di Sant’Apollinare, già nel 1226 si trasferirono nei pressi del colle della Rocca, in Sant’Elia, vicino alle mura e ad una delle porte 269. Solo verso il 1254 si iniziò la costruzione del nuovo convento dei Santi Simone e Giuda, in onore dell’illustre confratello Simone da Collazone morto due anni prima 270. La chiesa, conclusa fra gli anni Sessanta e Ottanta del secolo, nella prima fase proponeva un’aula con una terminazione difficilmente ipotizzabile, anche se potrebbe avere contemplato tre cappelle ricavate all’interno di un capocroce emergente, risolto con un muro rettilineo adiacente alla cinta 271. Solo dopo l’ampliamento delle mura urbiche (1296) fu possibile proiettare l’edificio nei prati retrostanti, permettendo la divisione in tre navate e l’adozione di un più imponente impianto absidale 272: per reggere le tre cappelle poligonali si dovette però creare una sostruzione, che funge da falsa cripta, in grado di correggere il declivio del colle 273. Ma è proprio il fronte ad offrire alcuni tenui rimandi alla matrice assisiate, con la tripartizione a fasce orizzontali per mezzo di cornici aggettanti, rette da mensoline, e forse con la presenza di un rosone al centro del settore mediano 274. Il semplice portale a tutto sesto, strombato, mostra imposte di foggia davvero scarna. 269 B.O. FERRELLI, Primo insediamento dei Francescani a Spoleto, in Spoletium, XII, 14 (1970), pp. 37-40; GENTILI, GIACCHÈ, RAGNI, TOSCANO, L’Umbria cit., p. 420; RIGHETTI TOSTI-CROCE, Spunti di ricerca cit., p. 741; B. COMMODI, Itinerario storico francescano a Spoleto. Da S. Apollinare a S. Ansano, Spoleto, 1998, pp. 76-88. 270 GENTILI, GIACCHÈ, RAGNI, TOSCANO, L’Umbria cit., p. 420; G. GUERRINI, G.C. PAOLETTI, B. SPERANDIO, Un fattore di cambiamento: gli Ordini Mendicanti, in Spoleto, argomenti di storia urbana, a cura di G. DE ANGELIS D’OSSAT, B. TOSCANO, Cinisello Balsamo, 1985, pp. 4851; ROMANINI, Il francescanesimo nell’arte cit., p. 193; COMMODI, Itinerario storico francescano cit., pp. 89-103, 117 ss. 271 A.M. ROMANINI, Tracce per una storia dell’architettura gotica a Spoleto, in Il ducato di Spoleto cit., p. 729; COMMODI, Itinerario storico francescano cit., p. 97. 272 ROMANINI, Tracce per una storia dell’architettura cit., pp. 726, 727-728; ROMANINI, Il francescanesimo nell’arte cit., pp. 193-195; M.E. SAVI, Spoleto, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, X, Roma, 1999, p. 814. 273 ROMANINI, Tracce per una storia dell’architettura cit., pp. 730-731. 274 GENTILI, GIACCHÈ, RAGNI, TOSCANO, L’Umbria cit., p. 422, la reminiscenza di una tradizione precedente, tutta locale, è altresì evidente nella sobrietà di questa facciata. SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 377 Un altro degli episodi che trassero la propria ispirazione in modo diretto dalla basilica assisiate, a tal punto da riproporne l’occidentazione, è San Francesco al Prato a Perugia, edificato all’inizio degli anni Cinquanta del XIII secolo e forse già concluso entro il 1256 275. Nonostante le cospicue trasformazioni settecentesche e i pesanti restauri del 1926, l’impianto a croce è sostanzialmente integro e prevede una navata unica di notevole ampiezza (58 x 33 m) 276, suddivisa in tre campate, delimitate da pilastri a fascio che si spingono molto in alto a reggere volte a crociera, non più esistenti 277, e il transetto su cui si innesta un’unica cappella a pianta poligonale (5/10), affiancata a sud da una torre scalare 278. La luce penetrava da bifore sistemate nei perimetrali e in ogni faccia dell’abside, che garantivano in tal modo una cospicua illuminazione, particolar275 Un’accurata analisi sulle attestazioni relative alla presenza francescana in città è condotta da A.M. SORBI SALMAREGGI, I primordi della chiesa di San Francesco al Prato, Assisi 1962, p. 49. In un primo momento i frati si stabilirono nel borgo Sant’Angelo, nella località di Pastina, e solo successivamente si avvicinarono alla città edificando San Francesco in prossimità della porta di Santa Susanna; cfr. A.I. GALLETTI, Insediamenti e primo sviluppo dei frati minori a Pergia, in Francescanesimo e società cittadina: l’esempio di Perugia, studi storici per il VII centenario del convento francescano di Monteripido in Perugia (1276-1976), a cura di U. NICOLI, Perugia, 1979 (Pubblicazioni del « Centro per il collegamento degli studi medievali e umanistici nell’Università di Perugia », 1), pp. 4, 9-11; CURUNI, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 122; SCARPELLINI, Perugia cit., p. 316. La cerimonia della posa della prima pietra si ebbe nel 1251. Si veda anche anche QUINTERIO, L’architettura del Due e del Trecento cit., pp. 182-183. 276 L’edificio, la cui navata misura 12 m di larghezza, presenta un transetto di 33 x 11 m. Le volte a crociera si impostano ad un’altezza di circa 20 m. Cfr. CURUNI, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 122; B. COMMODI, L’oratorio di San Bernardino presso la chiesa di San Francesco al Prato in Perugia, Perugia, 1996, p. 28; SCHENKLUHN, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., pp. 56-57. 277 CURUNI, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 122; SCARPELLINI, Perugia cit., p. 316; PARDI, Architettura religiosa medievale cit., p. 136. 278 SCHENKLUHN, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 57; V. BORGNINI, La chiesa di San Francesco al Prato in Perugia: vicende costruttive e conservative dell’edificio e delle sue opere d’arte, in Bollettino per i beni culturali dell’Umbria, IV, 7 (2011), (Bollettino per i beni culturali dell’Umbria. Quaderno, 3), pp. 14-31, 42-57. La presenza della torre scalare nello spigolo fra il braccio del transetto e la cappella maggiore ha determinato una leggera imperfezione della pianta dell’abside, poiché questa non si appoggia direttamente al muro di testata della chiesa, ma solo a partire da oltre l’ingombro della torre stessa. Essendo quest’ultimo elemento contemplato solo in uno dei due lati, dall’altra parte la geometria della cappella si adatta in modo più libero allo spazio a disposizione. 378 FABIO CODEN mente accentuata nella parte più significativa dell’interno 279. I rimandi al cantiere assisiate 280 possono essere rintracciati anche nell’originaria presenza di un vano ipogeo delle medesime dimensioni della chiesa, colmato di detriti nel Settecento per ovviare ai consistenti problemi di stabilità che l’edificio mostrò fin dal momento della sua erezione 281. All’esterno le pareti longitudinali sono scandite da possenti contrafforti a sezione quadrangolare, dei quali i due ai lati della facciata assumono l’aspetto di esili torri mozzate per la notevole imponenza e per la posizione sugli spigoli con il fronte: la presenza di questi due elementi, in particolare, non può essere messa in relazione ai sopra menzionati problemi statici 282, ma più semplicemente rispecchia un gusto locale ormai consolidato a metà del Duecento 283. La peculiare commistione fra impianti di ascendenza mendicante e caratteri distintivi dell’idioma architettonico perugino si trova anche a Santa Maria di Monteluce, appena fuori dalla città, dove le clarisse si insediarono a partire dal 1218, momento in cui si iniziò anche la costruzione di un edificio di culto con l’annesso monastero 284. Dell’impianto duecentesco della chiesa 285 si conservano i peri279 Sul rosone di facciata si veda PISANI, Rosoni in Umbria cit., p. 88; note veloci sugli interventi del fronte sono contenute anche in COOPER, Franciscan Choir Enclosures cit., pp. 12-14. 280 CURUNI, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 122; PARDI, Architettura religiosa medievale cit., p. 134; COOPER, Franciscan Choir Enclosures cit., p. 14; SCHENKLUHN, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 58. 281 BORGNINI, La chiesa di San Francesco al Prato cit., pp. 27-28. 282 PARDI, Architettura religiosa medievale cit., p. 144; PISANI, Rosoni in Umbria cit., p. 88. 283 Gli interventi per sanare la precaria statica dell’edificio si susseguirono per molti secoli, già a partire da poco tempo dopo l’edificazione della chiesa. Si veda a tale riguardo soprattutto BORGNINI, La chiesa di San Francesco al Prato cit., pp. 17-21, part. pp. 45-47. 284 P. HÖHLER, Il monastero delle clarisse di Monteluce in Perugia (1218-1400), in Il movimento religioso femminile in Umbria nei secoli XIII-XIV, atti del Convegno internazionale di studio nell’ambito delle celebrazioni per l’VIII centenario della nascita di S. Francesco d’Assisi (Città di Castello, 27-29 ottobre 1982), a cura di R. Rusconi, Firenze-Perugia, 1984 (Quaderni del « Centro per il collegamento degli studi medievali e umanistici nell’Università di Perugia », 12), p. 162 e nota 4; G. CASAGRANDE, Insediamenti religiosi femminili a Perugia nell’area Monteluce - San Bevignate (secoli XIII-XV), in Templari e Ospitalieri in Italia cit., p. 47; SCARPELLINI, Perugia cit., p. 316. 285 Le caratteristiche formali di questo edificio sembrerebbero però suggerire una data più avanzata rispetto a quella di arrivo delle monache. SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 379 metrali della navata unica (37,35 x 12,80 m circa), terminanti in un coro rettilineo 286, dei quali il fianco meridionale, la sola parte facilmente leggibile, è contraddistinto da una fitta serie di undici contrafforti di notevole grandezza 287; il fronte, seppur successivamente nobilitato con marmi colorati, mantiene ancora l’impianto generale del portale gemino, di chiaro rimando umbro 288. Un caso che invece mostra un’autonoma elaborazione delle tipologie icnografiche adottate dai mendicanti 289 è rappresentato dalla chiesa di San Francesco a Gubbio 290 (officiata già nel 1256) 291, a tre navate (52,80 x 20 m) 292, con pilastri poligonali a otto facce, disposti a distanze differenziate, che originariamente reggevano un tetto a capriate lignee 293; l’invaso viene così diviso in due aree ben di286 KRÖNIG, Caratteri dell’architettura cit., p. 181. Ibid., p. 180 e PARDI, Architettura religiosa medievale cit., p. 140, confermano che questi elementi furono contemplati per reggere la spinta di archi diaframma che scavalcava l’aula, oggi però non più visibili a causa delle tarde trasformazioni dell’interno. 288 PISANI, Rosoni in Umbria cit., p. 100. 289 La particolare varietà di soluzioni adottata dai francescani è sottolineata da BOZZONI, Il ‘cantiere mendicante’ cit., p. 143. 290 La presenza francescana a Gubbio è analizzata da GIOVAGNOLI, Gubbio nella storia cit., pp. 89 ss., con particolare attenzione agli insediamenti nel territorio. Per l’edificio in questione invece si veda SAVI, Gubbio cit., p. 141; QUINTERIO, L’architettura del Due e del Trecento cit., pp. 186-187. 291 Una testimonianza del 1241 attesta che i francescani, lasciata la Vittorina, primo insediamento minoritico di Gubbio, si trasferirono nel nuovo convento di S. Francesco, in platea Mercatalis. Inoltre, un atto steso innanzi alla chiesa il 15 settembre 1257 conferma che a quella data l’edificio era compiuto o in fase davvero avanzata di lavori. Cfr. F. ROSATI, Chiesa di S. Francesco Gubbio. Raccolta documentario-bibliografica (Secc. XIII-XX), Gubbio, 1989, pp. 61-62, nrr. 1-2. Si vedano, inoltre, CURUNI, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 102; C. BOZZONI, I francescani a Gubbio, in Arte d’Occidente, temi e metodi cit., 1, pp. 205-206. Fra i primi riferimenti espliciti della chiesa è bene segnalare che in data 1256 “4 Iulii. Alexander papa IV concedit centum dierum indulgentiarum omnibus qui in festivitatibus S. P. Francisci et S. Clare, ecclesia Sancti Francisci Eugubii visitaverint, et hoc usque ad octo dies sequentes”, P. MONACCHIA, Le pergamene del convento di San Francesco di Gubbio. Inventario - Regesto, Assisi, 2007, p. 29. 292 Questo edificio rappresenta una scelta estranea anche alle consuetudini eugubine che, com’è possibile verificare anche in questa sede, predilessero piante a navata unica. BOZZONI, I francescani a Gubbio cit., p. 206. 293 CURUNI, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 102; SCHENKLUHN, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 183. 287 380 FABIO CODEN stinte 294, una anteriore, ad occidente, profonda circa un terzo della lunghezza dell’edificio, con due campate di pianta quadrangolare (profonde 6,70 m ca.), l’altra di seguito, assai più ampia, con le successive cinque campate poco profonde fino al presbiterio (4,50 m ca.) 295. Quest’artificio, che rivela una precisa volontà a distinguere l’interno in due zone, una per i fedeli e una per i religiosi, non trova all’esterno un’analoga evidenziazione, tant’è che i muri d’ambito propongono una regolare sequenza di paraste lungo tutta la superficie. Ad est il capocroce si conclude con tre catini a sezione poligonale, uno dei quali, il minore sud, ospita un campanile ottagonale, di pianta schiacciata, eretto nel XV secolo 296, e le campate immediatamente antecedenti, essendo prive delle volte, svettano maggiormente in altezza 297. Per quanto attiene agli alzati, San Francesco rappresenta un significativo esempio della variante cosiddetta a gradoni (Staffelkirche) o a sala pseudo basilicale (pseudobasilikale Hallenkirche) 298, ben documentata in regione, in quanto, pur essendo contraddistinto da un’accentuata verticalità, contempla uno scarto minimo di altezza fra le navate laterali e quella centrale 299. Per tale motivo l’illuminazione dell’interno era garantita solo dalle finestre disposte lungo i perimetrali delle navatelle, da quelle del catino e dal rosone di facciata, riadattato in epoca più tarda. L’accesso più significativo di questo edificio non è, come ci si aspetterebbe, quello della facciata, che adotta una terminazione ad archivolto di particolare sobrietà, ma quello ricavato nel fianco nord, in prossimità 294 BOZZONI, I francescani a Gubbio cit., p. 207. Le misure degli intercolumni, partendo dalla controfacciata, sono: 6,73 – 6,65 – 4,53 – 4,54 – 4,52 – 4,53 – 4,52 – 4,48 m. 296 F. ROSATI, La chiesa di San Francesco in Gubbio nella storia, nell’arte, Gubbio, 1983, p. 18; BOZZONI, I francescani a Gubbio cit., pp. 210-211. La tipologia di torri poligonali ebbe in Umbria, fra l’XI e il XII secolo, una singolare fortuna, quasi certamente derivata dalla presenza di prototipi di epoca romana; cfr. PARDI, Architettura religiosa medievale cit., pp. 281-302; GIGLIOZZI, Architettura romanica in Umbria cit., p. 52. 297 Le volte furono ricostruite nel XVIII secolo, momento in cui si ricomposero pure i capitelli dei pilastri. KRÖNIG, Caratteri dell’architettura cit., pp. 183-184; CURUNI, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 102. 298 HÉLIOT, Sur les églises gothiques cit., p. 234; CURUNI, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 102. 299 KRÖNIG, Caratteri dell’architettura cit., p. 184; BOZZONI, I francescani a Gubbio cit., pp. 209-210; SAVI, Gubbio cit., p. 143. 295 SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 381 della parte anteriore dell’edificio 300. Lo spazio della terza e dalla quarta specchiatura è qui interessato da un setto piano, spinto fino alla linea di gronda, emergente tanto quanto le vicine lesene, nel quale si apre un portale gemino che duplica le forme di quello anteriore 301: gli stipiti, appena strombati, alternativamente in pietra bianca e rosata, sono delimitati da due larghe fasce piane e continue, delle quali quella rosa funge da vera e propria incorniciatura; le imposte sono marcate da semplici capitelli a motivi vegetali, lavorati molto in profondità e modellati con il trapano; un doppio ciglio, infine, delimita la parte superiore, riproponendo l’andamento curvilineo delle arcate. Questa particolare tipologia di accesso può senz’altro essere considerata un’elaborazione originale di area umbra, che mescola a reminiscenze oltremontane una pacata decoratività e un delicato gusto cromatico derivanti dalle locali sperimentazioni di ambito mendicante 302. Oltre il marcapiano che taglia a due terzi di altezza il setto col portale, senza peraltro proseguire nelle adiacenti pareti, si apre il piccolo rosone elegantemente decorato, inserito in perfetta armonia e in garbato equilibrio con gli altri elementi 303. Nonostante l’entrata più rappresentativa della chiesa fosse stata spostata nel fianco, il valore evocativo del fronte non fu del tutto sacrificato, come dimostrano le scelte decorative adottate nel prospetto, ma conservò, seppure in modo più limitato, la propria intrinseca efficacia 304. La singolare scelta adottata a San Francesco fu dovuta quasi certamente a ragioni di necessità, ovvero con l’adattamento al tessuto urbano della città si garantiva maggiore visibilità all’edificio dalla piazza del mercato, amplificando così il ruolo aggregativo che la comunità francescana intendeva assumere 305. A breve distanza di tempo si edificò a Terni la chiesa cruciforme di San Francesco 306, che, nel corso del XV secolo, tuttavia, mutò il proprio aspetto a causa dell’aggiunta di una fitta sequenza di 300 Questa parte dell’edificio risulta essere inoltre lavorata con una maggiore accuratezza rispetto alle altre. BOZZONI, Osservazione sui procedimenti costruttivi cit., p. 136. 301 BOZZONI, I francescani a Gubbio cit., p. 207. 302 DE ANGELIS D’OSSAT, L’architettura sacra cit., p. 265. 303 Questa tipologia di portale ebbe particolare diffusione in area eugubina. BOZZONI, I francescani a Gubbio cit., p. 209. 304 PISANI, Rosoni in Umbria cit., p. 56. 305 BOZZONI, I francescani a Gubbio cit., p. 208. 306 PARDI, Architettura religiosa medievale cit., p. 138, suggerisce Santa Chiara come modello di riferimento. 382 FABIO CODEN cappelle laterali che assunsero la forma di pseudo navatelle 307. La data di erezione della chiesa sembrerebbe essere prossima al 1265 308, anno in cui i frati si spostarono in un sito che nelle fonti fa esplicito riferimento al santo assisiate 309. La prima questione, di non marginale importanza, riguarda l’ubicazione del complesso a ridosso della cinta medievale, all’interno della città, che impedì la precisa orientazione liturgica. Il contesto urbanistico, ma soprattutto il percorso delle mura, obbligarono così a disporre l’edificio e i suoi annessi lungo l’asse nord-est/sud-ovest 310. Il modello d’ispirazione, la basilica madre dell’Ordine, da cui vennero mutuate le fondamentali caratteristiche tipologiche, è immediatamente percepibile, nonostante l’episodio ternano mostri un linguaggio in parte semplificato 311: l’aula è formata da tre campate quadrangolari 312, seguite dalla crociera che ha invece pianta leggermente più compressa, come pure il catino che si discosta dalla soluzione poligonale assisiate 313; il transetto prevede due campate rettangolari sporgenti alle estremità, di dimensioni più ridotte rispetto a tutte le altre 314. Come ad Assisi, inoltre, tutti gli spazi sono coperti con crociere costolonate che s’impostano su esili pilastri a fascio, esordienti da uno zoccolo poligonale, sormontato da plinti 307 CURUNI, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 132; VILLETTI, L’edilizia mendicante in Italia cit., p. 247. 308 La presenza dei frati in città è documentata dalla bolla papale di Alessandro IV del 5 ottobre 1259, nella quale la comunità francescana è espressamente ricordata. Cfr. G. CASSIO, San Francesco. Il santuario di Terni. Visione incantevole di arte e fede, Perugia 2005, pp. 95-96. 309 DE ANGELIS D’OSSAT, L’architettura sacra cit., p. 265; CASSIO, San Francesco cit., p. 100; QUINTERIO, L’architettura del Due e del Trecento cit., pp. 188-189. 310 CURUNI, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 131; CASSIO, San Francesco cit., pp. 98-100. 311 PARDI, Architettura religiosa medievale cit., p. 140. 312 VILLETTI, L’edilizia mendicante in Italia cit., p. 67. 313 L’originario coro aveva forma identica a quella della campata d’incrocio, ovvero rettangolare, ma nel XVI secolo fu sostituito da un imponente catino semicircolare, ampio quanto l’intero corpo longitudinale a tre navate. 314 Nello spigolo fra l’aula e il braccio sinistro del transetto fu ricavata in aggetto, rispetto alla pianta della chiesa, una scala entro un corpo semicilindrico. CURUNI, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 131; CASSIO, San Francesco cit., p. 110. SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 383 quadrati 315; all’esterno, a contrastare le spinte delle volte, furono predisposti dei contrafforti semicircolari, però di foggia assai snella 316. Anche San Francesco a Gualdo Tadino segue abbastanza scrupolosamente alcune idee assisiati 317, ma nel contempo sembra proporre la sicura consapevolezza di un vocabolario rinnovato 318. Sempre a croce, con sviluppo longitudinale su tre campate (41,20 x 11,10/13,18 m), la chiesa mostra una peculiare interpretazione del modello d’origine in relazione alla bipartizione dell’unico braccio realizzato del transetto, il cui pilastro mediano determina un intervallo spaziale puntualmente riproposto anche nei muri d’ambito, senza che ciò fosse necessario da un punto di vista strutturale 319: in tal modo si intese fondere nel medesimo impianto l’idea della presenza del transetto con la percezione spaziale di un vano ad aula unica. Anche la soluzione adottata ad oriente è assai interessante, per la presenza di un catino absidale poligonale (7/12), decisamente maestoso 320, molto illuminato, coperto con una volta i cui costoloni poggiano su pilastri alquanto aggettanti 321. I muri perimetrali prevedono grandi nicchioni archiacuti alla base dei quali si trova il consueto camminamento continuo 322, ma il setto sottostante anziché pieno risulta profondamente scavato da coppie di cappelle ad arco ribassato, in origine affrescate. Anche i pilastri trilobati 323, poggiati su doppi plinti, e le volte a crociera rimandano puntualmente alla basilica madre 324. Questa libertà interpretativa può in parte essere spiegata anche con la cronologia del monumento sullo scadere del secolo, come 315 VILLETTI, L’edilizia mendicante in Italia cit., p. 247. CASSIO, San Francesco cit., pp. 107, 109. 317 PARDI, Architettura religiosa medievale cit., p. 138. 318 HÉLIOT, Sur les églises gothiques cit., p. 231. 319 In modo abbastanza inconsueto questo braccio trasversale prevede due campate. 320 KRÖNIG, Caratteri dell’architettura cit., p. 175. 321 QUINTERIO, L’architettura del Due e del Trecento cit., p. 185. 322 VILLETTI, L’edilizia mendicante in Italia cit., p. 246. 323 KRÖNIG, Caratteri dell’architettura cit., p. 175. 324 L’altezza alla chiave di volta è di circa 14,90 m dal piano attuale di calpestio, confermando anche per questo edificio una ricerca della verticalità. Cfr. inoltre VILLETTI, L’edilizia mendicante in Italia cit., p. 67. 316 384 FABIO CODEN conferma un breve di Nicolò IV, del 5 aprile 1291, relativo ad indulgenze concesse a favore della chiesa francescana, sorta forse a partire dal 1293 325, la cui consacrazione avvenne il 1 maggio 1315, alla presenza di molti vescovi 326. Ma non tutte le chiese minoritiche della regione si ispirarono ad Assisi, come prova ad esempio la sobria San Francesco di San Gemini, sorta in un luogo decentrato della cittadina, poco prima degli anni Novanta del XIII secolo, come pare confermare l’indulgenza concessa da papa Nicolò IV, il 5 giugno 1291, a chi si fosse recato a farvi visita 327. La chiesa ad aula unica (36 x 10,45 m) 328, coperta con un tetto a due spioventi retti da sette agili archi trasversi a profilo ogivale 329, impostati molto in alto nella parete, termina con un catino absidale poligonale a cinque lati, voltato con una crociera costolonata a vele assai profonde 330. Le soluzioni impiegate sembrano quindi guardare con un certo interesse verso la terra eugubina, anche se a datazioni così avanzate erano oramai ampiamente conosciute in regione 331. La facciata a capanna, molto manomessa, mostra chiaramente più fasi di edificazione: l’avanzo di uno zoccolo in basso a destra, sopra al quale si sviluppa un paramento in grossi conci ben tagliati fino a livello delle imposte del portale trecentesco, quindi un settore a pietre di più piccole dimensioni di altezze differenziate e, infine, a partire dalla base della nicchia, un più ordinato parato a conci regolari 332. 325 KRÖNIG, Caratteri dell’architettura cit., pp. 174-175; PARDI, Architettura religiosa medievale cit., p. 140. 326 R. GUERRIERI, Storia civile ed ecclesiastica del comune di Gualdo Tadino, Gubbio, 1933, pp. 372-382. 327 S. NESSI, San Gemini e le terre arnolfe. San Gemini, Carsulae, Cesi, Acquasparta, San Gemini, 1996, p. 16. 328 CURUNI, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 126; SCHENKLUHN, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 56. 329 La particolarità di questo edificio in ambito francescano è unanimemente riconosciuta dalla cristica. KRÖNIG, Caratteri dell’architettura cit., pp. 179, 180; VILLETTI, L’edilizia mendicante in Italia cit., p. 245; BOZZONI, Le tipologie cit., p. 147; BOZZONI, Osservazione sui procedimenti costruttivi cit., pp. 145-146. 330 CURUNI, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 126. 331 HÉLIOT, Sur les églises gothiques cit., p. 232; PARDI, Architettura religiosa medievale cit., p. 140. 332 CURUNI, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 127. SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 385 Fra gli ultimi episodi di architettura francescana del XIII secolo in terra umbra va annoverato San Fortunato di Todi, edificio di committenza comunale 333, fondato il 7 giugno del 1292 334, su una preesistente chiesa dei vallombrosani 335, concessa ai minori da papa Innocenzo IV, nonché dal successore Alessandro IV, il 28 dicembre 1254 336. Già nel 1298 furono trasferiti i corpi dei santi all’interno del nuovo edificio, terminato di sicuro almeno nella parte orientale, anche se i lavori proseguirono ancora per diverso tempo nei secoli XIV e XV 337. L’interazione dialettica che questo organismo istituì immediatamente con la città giunse a condizionare pesantemente la disposizione urbanistica delle altre realtà mendicanti, divenendo di fatto il polo di riferimento indiscusso della comunità tudertina 338. L’edificio, d’incredibile ariosità 339, un unicum nel panorama regionale 333 C. CALANO, Il nuovo impianto francescano a Todi, in Il tempio di San Fortunato a Todi cit., pp. 53, 57, 60. 334 F. TOPPETTI, San Fortunato di Todi: specificità architettonica e ruolo urbano di un complesso edilizio protagonista nel paesaggio della città, in Il tempio del santo patrono. Riflessi storico-artistici del culto di San Fortunato a Todi, a cura di M. CASTRICHINI, M. GRONDONA, E. LUNGHI, E. MENESTÒ, E. PAOLI, F. TOPPETTI, Todi, 1988 (Studi, 1), pp. 69-70, 91 note 13-14; M. GILLERMAN, S. Fortunato in Todi: Why the Hall Church?, in Journal of the Society of Architectural Historians, XLVIII, 2 (1989), p. 159; D. BAZZARRI, Abbazia di San Fortunato, in GUARINO, MELELLI, Abbazie benedettine in Umbria cit., pp. 159. Lo scavo delle fondazioni iniziò però qualche giorno più tardi, il 21 dello stesso mese: cfr. R. DAVANZO, Restauri architettonici a Todi, in Verso un museo della città. Mostra degli interventi sul patrimonio archeologico, storico, artistico di Todi, catalogo della mostra (Todi, 8 agosto - 31 dicembre 1981), Todi, 1982, p. 291. 335 I francescani erano precedentemente stanziati nella chiesa di Sant’Angelo delle Fontanelle, posta fuori dalle mura della città. CECI, Todi nel Medioevo cit., p. 243; TOPPETTI, San Fortunato di Todi cit., pp. 67, 91 nota 5. 336 CECI, Todi nel Medioevo cit., pp. 242-248; CURUNI, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 139; DAVANZO, Restauri architettonici cit., pp. 290-291; CALANO, Il nuovo impianto francescano cit., p. 33; TOPPETTI, San Fortunato di Todi cit., pp. 67-68; ROSSINI, Todi cit., p. 211; QUINTERIO, L’architettura del Due e del Trecento cit., pp.192, 229-230. 337 DE ANGELIS D’OSSAT, Architettura e realizzazione cit., p. 65. 338 CALANO, Il nuovo impianto francescano cit., pp. 35-40; TOPPETTI, San Fortunato di Todi cit., pp. 67, 70, 75, 81, 83; GILLERMAN, S. Fortunato in Todi cit., pp. 160-162. 339 Secondo De Angelis d’Ossat le misure interne confermerebbero che la chiesa fu edificata utilizzando il piede tudertino (0,58 m), per un totale di 100 per 44 piedi. Veloci verifiche, che confermano abbastanza puntualmente questa osservazione, sembrerebbero suggerire però una meno rigida organizzazione metrica degli spazi, solo parzialmente inquadrabile nella moltiplicazione dell’unità di misura: all’interno il vano è di 58 x 25,57 m; se si aggiungono le cappelle laterali la larghezza massima raggiunge 36,15 m; dalla 386 FABIO CODEN per quanto attiene alle soluzioni adottate, è frutto di certo di un progetto unitario 340, per quanto in continua evoluzione 341, la cui omogeneità è evidente nelle rigorose proporzioni degli interni, come ad esempio nel rapporto fra le navate, assai singolare rispetto alle altre costruzioni dell’Ordine 342. L’impianto a tre navi 343, disposto seguendo l’asse sud-ovest/nord-est 344, propone quattro campate quadrangolari lungo l’asse mediano e altrettante nelle navatelle, di dimensioni dimezzate in larghezza; il catino absidale è di forma poligonale, a sette lati, mentre la testata delle navatelle termina con un muro rettilineo 345. In questo enorme ambiente diradato, privo del claristorio, il dato luminoso diviene fondamentale, grazie alla presenza di grandi bifore a doppia lancetta sormontate da un quadrilobo in ogni campata e su ogni lato dell’abside, che inondano l’interno di una grande quantità di luce 346. Tutti gli spazi sono coperti con volte impostate ad uno stesso livello 347 che, seppur anticipate da una copertura a capriate lignee, erano state pensate fin dall’inizio 348; i pilastri a fascio, definiti da un corpo centrale avvolto controfacciata alla testata orientale, escluso il catino, la misura diviene 48,20; l’altezza, rilevata nella prima crociera all’entrata e in relazione al piano attuale di calpestio, corrisponde a 21,60 m ca. 340 DE ANGELIS D’OSSAT, Architettura e realizzazione cit., p. 69. 341 Il più approfondito studio sulle fasi de cantiere tudertino si deve a De Angelis d’Ossat, anche se alcuni aspetti costruttivi del monumento potrebbero suggerire nuovi punti di vista. DE ANGELIS D’OSSAT, Architettura e realizzazione cit., pp. 63-69; cfr. inoltre CURUNI, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 140. 342 La navata principale misura mediamente, fra pilastro e pilastro, 10,70 m, mentre le laterali prevedono una larghezza di 5,40 m ca. 343 SCHENKLUHN, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 183. 344 Questa scelta non fu casuale, ma intese stabilire una connessione diretta con la piazza pubblica e con la cattedrale, ugualmente posta su un’altura. TOPPETTI, San Fortunato di Todi cit., pp. 72, 74. 345 Ibid., p. 79. 346 DE ANGELIS D’OSSAT, Architettura e realizzazione cit., pp. 73-74; DAVANZO, Restauri architettonici cit., pp. 288-289. 347 L’adozione di questo tipo di volte confermerebbe la mala comprensione del sistema di coperture di matrice più schiettamente gotica presente in area oltremontana. Cfr. SMITH, « Ars Mechanica » cit., pp. 63-64. Tuttavia la particolarità di questo edificio risiede anche in questa autonoma elaborazione di un modello che in area umbra non trovò altre applicazioni. BOZZONI, Osservazione sui procedimenti costruttivi cit., p. 144. 348 DE ANGELIS D’OSSAT, Architettura e realizzazione cit., pp. 69, 70; cfr. anche DAVANZO, Restauri architettonici cit., p. 293. SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 387 da otto colonne, poggiano su zoccoli di differente altezza 349. La verticalità interna risulta così assai accentuata 350, malgrado la considerevole larghezza dell’invaso che, seppure all’esterno adotti il doppio spiovente tipico delle Hallenkirche 351, denuncia la propria distanza dai modelli oltremontani da cui discende questa tipologia 352. Nonostante queste anomale caratteristiche i rimandi diretti al San Francesco di Assisi sono subito percepibili 353. I perimetrali subiscono una brusca riduzione dello spessore dando vita, un po’ più in basso rispetto alle imposte, ad un camminamento, sormontato da enormi nicchioni archiacuti 354. I pilastri polistili, inoltre, propongono quel tipico moto centrifugo realizzato dall’aggregazione di semicolonnine addossate ad anime cruciformi o circolari 355, che evoca amplificando la matrice di riferimento 356. Ma la differente tipologia dei sostegni tudertini, più che sintomo di fasi distinte del cantiere, potrebbe indicare una precisa partizione liturgica della chiesa, forse palesata proprio nei sostegni centrali, dei quali la significativa altezza del plinto non sarebbe altrimenti spiegabile. I domenicani L’esperienza architettonica domenicana viaggiò per molti aspetti su un percorso parallelo a quello della coeva sperimentazione francescana, anche se gli esiti formali che ne scaturirono spesso portaro349 KRÖNIG, Caratteri dell’architettura cit., p. 188. DE ANGELIS D’OSSAT, Architettura e realizzazione cit., p. 61. 351 DE ANGELIS D’OSSAT, L’architettura sacra cit., p. 267; KRÖNIG, Caratteri dell’architettura cit., p. 187; BOZZONI, Le tipologie cit., p. 148; CALANO, Il nuovo impianto francescano cit., p. 41; DAVANZO, Restauri architettonici cit., p. 285; TOPPETTI, San Fortunato di Todi cit., p. 79; PARDI, Architettura religiosa medievale cit., p. 229. 352 DE ANGELIS D’OSSAT, Architettura e realizzazione cit., pp. 61-62; CURUNI, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 140; GILLERMAN, S. Fortunato in Todi cit., p. 160. Alcuni aspetti costruttivi hanno tuttavia indotto HÉLIOT, Sur les églises gothiques cit., p. 233, a rintracciare delle similitudini con la cattedrale di Poitiers. 353 KRÖNIG, Caratteri dell’architettura cit., p. 171; DE ANGELIS D’OSSAT, Architettura e realizzazione cit., p. 62; TOPPETTI, San Fortunato di Todi cit., p. 79. 354 DAVANZO, Restauri architettonici cit., p. 289. 355 DE ANGELIS D’OSSAT, Architettura e realizzazione cit., p. 81. 356 Ibid., pp. 62, 63. 350 388 FABIO CODEN no a manifestazioni del tutto caratteristiche. Gli edifici dei frati predicatori furono fin da subito soggetti a prescrizioni particolarmente severe riguardo all’aspetto e alle dimensioni, come stabilivano le costituzioni del 1228, e come peraltro lo stesso san Domenico aveva indicato in vita 357. Nel capitolo generale del 1240 e in quelli dei decenni successivi, inoltre, vennero stabilite ulteriori norme riguardo anche alla necessità di adottare apparati decorativi sobri, ma pure le azioni da intraprendere nel caso in cui questi precetti fossero stati disattesi 358. Come accadde per i francescani, anche i domenicani in un primo momento occuparono chiese preesistenti, alle quali, fin da subito, venne affiancato un chiostro, in adesione al concetto di organizzazione degli spazi desunto dall’ambiente cistercense 359. Proprio l’immediata fortuna dell’Ordine, che portò ad un aumento considerevole e repentino dei religiosi, impose quasi ovunque la sostituzione degli iniziali edifici di culto con altri di maggiore capienza, provocando così la quasi totale scomparsa delle prime attestazioni edilizie 360. La mancanza di un modello architettonico schiettamente domenicano 361 suggerisce di indagare il territorio umbro non come un luogo di manifestazione di schemi tipici dell’Ordine, quanto piuttosto come una sorta di provincia che seppe elaborare un linguaggio basato sulle esperienze preesistenti, filtrate attraverso i dettami previsti nei capitoli generali. È possibile rilevare come da subito i domenicani ebbero una chiara vocazione urbana, prediligendo nuclei cittadini di una certa importanza, come Perugia, Orvieto, Foligno e Spoleto 362; la stessa tendenza, in verità, è verificabile anche per i francescani che, già sotto Bonaventura da Bagnoregio, mutando la primitiva propensione per le sistemazioni 357 VILLETTI, Legislazione e prassi edilizia cit., p. 23; VILLETTI, Studi sull’edilizia cit., p. 19. VILLETTI, Legislazione e prassi edilizia cit., p. 23; M. RIGHETTI TOSTI-CROCE, Domenicani. Architettura, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, V, Roma, 1994, pp. 677-678. 359 RIGHETTI TOSTI-CROCE, Domenicani cit., p. 680. 360 BONELLI, Introduzione cit., pp. 7-8; RIGHETTI TOSTI-CROCE, Domenicani cit., p. 680. Il caso esemplare in terra umbra è sicuramente rappresentato dalla chiesa di San Domenico a Perugia, relativamente alla quale si veda più avanti nel testo. Cfr. inoltre QUINTERIO, L’architettura del Due e del Trecento cit., p. 184. 361 RIGHETTI TOSTI-CROCE, Domenicani cit., pp. 682, 685-686, 687. 362 VILLETTI, Legislazione e prassi edilizia cit., p. 24; VILLETTI, L’edilizia mendicante in Italia cit., p. 117. 358 SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 389 rurali e non disdegnando nel contempo pure centri di minor importanza, diedero luogo ad una rete decisamente più capillare di insediamenti rispetto ai predicatori 363. Volendo semplificare, tra le tipologie che ebbero particolare fortuna nelle regioni delle attuali Toscana ed Umbria si annovera la cosiddetta ‘chiesa a capannone’ o ‘chiesa granaio’, impianto a navata unica con terminazione rettilinea (Orvieto, Città di Castello, Spoleto, Cortona) o con cori poligonali anche se poco sporgenti (Foligno) 364; ma non mancano pure esempi di maggiore monumentalità con soluzioni icnografiche cruciformi, ad aula o a tre navate, di dimensioni davvero considerevoli. Un caso assai precoce di presenza domenicana all’interno di un importante nucleo urbano umbro è costituito da Perugia 365, dove i predicatori arrivarono all’inizio degli anni Trenta del secolo, per volere del vescovo Giovanni e del magistrato cittadino, stabilendosi nei pressi di Santo Stefano del Castellare 366: qui, grazie a donazioni di terreni da parte del Comune (1234) 367, si iniziò la costruzione della chiesa, oggi ricordata come San Domenico vecchio 368. Nel 1235 Gregoriò IX accordò un anno e quaranta giorni d’indulgenza a tutti coloro che si fossero prodigati per il nuovo luogo di culto, in quel momento evidentemente già in stato avanzato di erezione, 363 SANFILIPPO, Il convento e la città cit., p. 336; BOZZONI, Osservazione sui procedimenti costruttivi cit., pp. 133-134; SCHENKLUHN, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., pp. 22-25. 364 RIGHETTI TOSTI-CROCE, Domenicani cit., p. 687. 365 QUINTERIO, L’architettura del Due e del Trecento cit., pp. 226-228. 366 Notizie relative alle prime fasi costruttive si possono trarre dalle Memorie del convento di S. Domenico di Perugia, manoscritto anonimo del XVIII secolo: VILLETTI, Studi sull’edilizia cit., pp. 35-36. Cfr. inoltre A. GROHMANN, L’insediamento dei frati predicatori nella città di Perugia, in La basilica di San Domenico di Perugia cit., pp. 60-62. 367 PALOMBARO, Il complesso di San Domenico cit., p. 178. 368 SCARPELLINI, Perugia cit., p. 316; A. VIGANÒ, I domenicani a Perugia tra storia, arte e fede, in La basilica di San Domenico cit., p. 21; PALOMBARO, Il complesso di San Domenico cit., pp. 177-179. La prima chiesa con il suo campanile fu fondata in un’area precedentemente destinata ad orti, obbligando nel frattempo i frati a trovare ospitalità nella vicina San Biagio, concessa ai religiosi per permettere l’officio delle funzioni. Fin da subito è documentata una piena ed intensa attività conventuale, ben inserita nel contesto cittadino, a tal punto che nel 1304 il papa domenicano Benedetto XI si prodigò in importanti donazioni al convento e nello stesso anno i frati, forti dei nuovi beni, gettarono le fondamenta per la costruzione della nuova ampia chiesa contigua a quella esistente, oramai inadeguata per il ruolo che i domenicani rivestivano a Perugia. VILLETTI, Studi sull’edilizia cit., pp. 36-37; GROHMANN, L’insediamento dei frati predicatori cit., p. 62. 390 FABIO CODEN poiché lo stesso anno al suo interno è documentata la canonizzazione di sant’Elisabetta di Ungheria da parte del papa. Nel 1260 la chiesa fu consacrata da Clemente IV, che nell’occasione concesse ulteriori indulgenze 369. Cospicui avanzi della struttura duecentesca si trovano all’interno del chiostro maggiore del nuovo convento, poiché, nonostante l’edificio primitivo sia stato superato a meno di un secolo di distanza da uno di straordinaria maestosità, esso continuò ancora entro il XIV secolo ad adempiere alle proprie funzioni liturgiche. La chiesa (38,90 x 14,60 m) prevedeva un impianto a tre navate, divise da sei sostegni, dei quali ne sono ancora percepibili cinque, collegati in alto da arcate; a oriente l’abside centrale quadrangolare, non più esistente, della medesima larghezza della navata mediana (7 m), era affiancata da due più piccole cappelle, ugualmente quadrangolari, ampie quanto le navatelle (3,25 m), per accedere alle quali si doveva oltrepassare un arco a pieno centro, posto ad un livello inferiore rispetto al perimetrale 370; l’esistenza di questo passaggio è ancora percepibile dalla sala superiore del Museo Archeologico, poiché il muro di testa nuovamente eretto fu fatto coincidere proprio con questa linea trasversale. Poco è possibile dire riguardo alla soluzione adottata per le coperture di questa parte della chiesa, che però verosimilmente doveva prevedere delle crociere, mentre le navate erano interessate da un doppio spiovente continuo fino alle cappelle, confermando anche per San Domenico vecchio l’adozione della tipologia ad Hallenkirche 371. Ad occidente il fronte a capanna si conserva intatto e mostra nella parte inferiore un portale particolarmente interessante 372, sia per il modello impiegato – un accesso gemino con al centro un imponente trumeau che di fatto ripropone gran parte dei profili degli strombi degli stipiti – 373, sia per l’apparato decorativo che ostenta una povertà di linguaggio assai evocativa – tutti i profili sono segnati unicamente da un nastro ritorto. Fa da contrappeso a questa essenzialità ornamentale l’utilizzo di una raffinatissi369 VIGANÒ, I domenicani a Perugia cit., p. 23. SCHENKLUHN, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 51. 371 PALOMBARO, Il complesso di San Domenico cit., p. 179. 372 SCARPELLINI, Perugia cit., p. 319. 373 PALOMBARO, Il complesso di San Domenico cit., p. 179. 370 SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 391 ma tecnica muraria ad opus listatum, con corsi di pietra chiara di cospicua altezza, regolarmente alternati ad altri più bassi di pietra rosata, nei quali tutti i conci sono posati senza malta, con molta cura. Un altro episodio sicuramente ragguardevole è quello di San Domenico ad Orvieto, possente struttura architettonica in tufo, contraddistinta dall’utilizzo, in molte parti, dell’alternanza armonica fra basalto e travertino, in accordo con le sperimentazioni toscane di quel torno d’anni, che proprio in questo episodio furono impiegate per la prima volta in città 374. Purtroppo, della chiesa si conserva oggi solamente il capocroce, poiché in un primo tempo le trasformazioni del 1680, che accorciarono la navata di quattro campate, e successivamente le demolizioni del 1934-1939, per far posto all’Accademia Femminile di Educazione Fisica, portarono alla completa scomparsa del corpo longitudinale 375. I domenicani, stabiliti in città all’inizio del terzo decennio del Duecento in un piccolo oratorio, in posizione strategica vicino ad una delle porte 376, già verso il 1233 iniziarono la costruzione di un nuovo edificio 377, che fu consacrato da Urbano IV nel 1264 378, ma terminato 379, o secondo delle recenti proposte riedificato, intorno agli anni ’80-’90 del secolo 380: pur trattandosi di un esempio abbastanza rappresentativo dell’architettura domenicana dell’area meridionale della regione, emerge prepotente il suo carattere di eccezio374 CARPENTIER, Orvieto a la fin du XIIIe siècle cit., p. 45; R. DAVANZO, La chiesa di San Domenico in Orvieto, in Arnolfo di Cambio una rinascita cit., p. 150. 375 A. BERTINI CALOSSO, La sorte più recente della chiesa di S. Domenico a Orvieto, in atti del V Convegno nazionale di storia dell’architettura (Perugia, 1948), Firenze, 1957, pp. 623627; M.R. PAOLETTI, Demolizione e restauro della chiesa di S. Domenico in Orvieto (1934-1939), in Bollettino dell’Istituto Storico Artistico Orvietano, XIV (1958), pp. 41-48; CURUNI, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 120; VILLETTI, L’edilizia mendicante in Italia cit., p. 234; DAVANZO, La chiesa di San Domenico cit., pp. 149, 153-154. 376 CURUNI, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 118; RICCETTI, Primi insediamenti cit., pp. XXI-XXIII e nota 56. 377 PAOLETTI, Demolizione e restauro cit., p. 40; DAVANZO, Il disegno e i disegni cit., p. 366. 378 DE ANGELIS D’OSSAT, L’architettura sacra cit., pp. 267-268; CURUNI, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 118. 379 CURUNI, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., p. 118. 380 RICCETTI, Primi insediamenti cit., p. XXIV; D.M. GILLERMAN, S. Domenico in Orvieto: the date of construction, in Saggi in onore di Renato Bonelli cit., I, pp. 183-184; DAVANZO, La chiesa di San Domenico cit., p. 153; PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., p. 290. 392 FABIO CODEN nalità, dovuto in primo luogo alle innovative scelte di cui fu destinatario, nonché alle sua indiscussa imponenza 381. Nonostante la difficoltà a ricostruirne la primitiva facies, la chiesa mostrava un ingombro straordinario che in origine doveva svilupparsi per circa 82 m in senso longitudinale 382 e 36,60 m in quello trasversale, con il transetto profondo 11 m circa 383: una basilica a tre navate, con sette campate, su pilastri, terminante ad oriente con un transetto, sul quale si innestavano cinque cappelle quadrangolari – introdotte da un arco a tutto sesto e coperte con crociere costolonate –, delle quali la centrale si caratterizza per le considerevoli altezza e larghezza 384. Inconsueto è il rapporto spaziale fra le tre navate, delle quali la centrale era particolarmente spaziosa, mentre le laterali risultavano così anguste (2,10 m appena di larghezza) da sembrare quasi dei corridoi 385. Forse questo espediente, portato alle estreme conseguenze, tanto da richiamare architetture di area francese, era funzionale alla creazione di una copertura a doppia falda comune per tutto il corpo longitudinale, secondo il modello ad Hallenkirche 386. L’arcata di accesso al presbiterio dalla navata centrale era a tutto sesto, ricostruita sui resti individuati nel Novecento 387, come pure quelle delle cappelle orientali, mentre il profilo ad ogiva caratterizzava i varchi delle navatelle, tutte sottolineate dall’elegante alternanza bicroma dei conci 388. Gli agganci con Santa Maria Novella a Firenze so381 DAVANZO, Orvieto cit., p. 892; QUINTERIO, L’architettura del Due e del Trecento cit., p. 189. 382 PAOLETTI, Demolizione e restauro cit., p. 41. La cappella centrale misura 11 m di larghezza per 13,30 di profondità, mentre le laterali 5,50 x 6,50 m. 384 DAVANZO, La chiesa di San Domenico cit., pp. 149, 150. 385 VILLETTI, L’edilizia mendicante in Italia cit., p. 119; PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., p. 291. Questa caratteristica obbligò ad impostare le arcate ad una quota davvero elevata, favorendo ancor più la sensazione di verticalità, oggi solo timidamente percepibile. 386 TARCHI, L’arte medioevale nell’Umbria IV cit., pp. XXXVII-XL; R. BONELLI, La chiesa di S. Domenico in Orvieto, in Palladio, 7 (1943), pp. 139-151; PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., p. 292. 387 PAOLETTI, Demolizione e restauro cit., pp. 46-47. 388 ROMANINI, Arnolfo di Cambio e l’architettura cit., p. 64; BOZZONI, Osservazione sui procedimenti costruttivi cit., p. 136. Per GILLERMAN, S. Domenico in Orvieto cit., p. 182, la bicromia sarebbe da imputare ad una influenza di area senese, giustificando così la datazione più avanzata della chiesa rispetto alla consacrazione degli anni Sessanta. 383 SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 393 no stati rilevati già negli studi del secolo scorso 389, anche se questo parallelismo pare pertinente solo per alcuni aspetti. Le fonti documentano altresì la presenza di un tramezzo che tagliava le navate e di un coro posizionato fra l’ultima campata e la crociera del transetto, il cui ruolo fu tutt’altro che secondario nell’edificio, giacché forse condizionò pure l’aumento del passo delle campate verso il capocroce 390. Altro esempio di notevole importanza nell’architettura umbra dei predicatori è San Domenico a Foligno, edificio che, nonostante le alterne vicende conservative – con le soppressioni napoleoniche perse la propria funzionalità religiosa e a fine Ottocento divenne addirittura una stalla ad uso dell’esercito –, conserva inalterata la propria originaria volumetria 391. Smentito l’arrivo dei domenicani nel 1251, per un’errata lettura dell’epigrafe di facciata, solo nel 1260 è attestata una comunità nei pressi della cittadina, ma è con il 1285 che si assiste al definitivo stanziamento entro il nucleo urbano con l’erezione del nuovo complesso in prossimità della cinta. Il grande impianto a croce prevede anteriormente un’aula unica di cospicue dimensioni (43,30 x 16 m), coperta con capriate lignee, alla quale si innesta un capocroce formato da un transetto leggermente sporgente (23,35 x 9,40 m), che termina con due cappelle quadrate ai fianchi di un profondo cantino a otto lati, voltato con una crociera costolonata. Alla notevole volumetria dell’insieme 392, accentuata da una spiccata verticalità (18,50 m ca.), fa da contrappeso una certa approssimazione nella progettazione, evidente soprattutto nella testata dell’edificio, come denunciano le arcate che delimitano la crociera, di andamento assai impreciso per adattare la maggiore ampiezza dell’aula a quella leggermente minore della cappella maggiore 393, nonché le misure diseguali delle due cappelle la389 PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., pp. 290-291. DAVANZO, La chiesa di San Domenico cit., pp. 150-151, 153. 391 Foligno. Antichi e nuovi splendori di una città, I, a cura di A. MELELLI, A. CICIONI, p. 120. 392 La tendenza a dilatare lo spazio nelle sperimentazioni architettoniche dei domenicani è ben evidenziata da DE ANGELIS D’OSSAT, L’architettura sacra cit., p. 265. 393 La larghezza della navata da 16 m viene ridotta a 12,30 m, determinando un andamento diagonale delle due arcate longitudinali della crociera, delle quali quella di destra mostra una maggiore inclinazione rispetto all’altra. 390 394 FABIO CODEN terali 394 e l’andamento sghembo del muro di testata del transetto destro. In controfacciata si trova una sorta di compresso endonartece delimitato da un arco trasverso ogivale, impostato su semipilastri aderenti ai perimetrali, di ampiezza e foggia uguali a quelli dell’arco trionfale. L’illuminazione, garantita solo da tre monofore archiacute per lato, consegnava l’aula ad una luce assai soffusa. Forse erano previsti dei passaggi interni di collegamento ad un livello prossimo alle coperture, come potrebbero suggerire dei varchi rintracciati nell’arcata di accesso al coro. Anche a Spoleto la presenza domenicana si pone a ridosso delle mura antiche, nei cui pressi nel 1247 la comunità prese possesso della chiesa del Salvatore la quale, a seguito del passaggio in città di fra Pietro da Verona, che invitò gli spoletini ad abbracciare la causa dei predicatori, fu riedificata in dimensioni maggiori e dedicata a San Domenico 395. L’edificio eretto secondo alcune testimonianze a partire dal 1251 396, ma più verosimilmente sorto fra la seconda metà del XIII e l’inizio del XIV secolo 397, seppure rechi cospicue tracce di trasformazioni intervenute fra il Cinque e il Seicento, evidenzia la propria spiccata adesione a modelli oramai radicati all’interno della consuetudine architettonica degli ordini mendicanti 398. L’icnografia adottata è ad aula con transetto a celle, per un ingombro totale di 50,60 x 26,60 m ca. – 399 anche se la chiesa fu allungata di qualche metro probabilmente nel corso del secolo seguente – 400 e per un’altezza al colmo dello spiovente di 18,20 m ri394 Quella sinistra misura 4,20 x 4,95 m di profondità, mentre l’altra prevede 4,50 x 4,30 m ca. 395 GUERRINI, PAOLETTI, SPERANDIO, Un fattore di cambiamento cit., pp. 51, 54; SAVI, Spoleto cit., p. 814. 396 GUERRINI, PAOLETTI, SPERANDIO, Un fattore di cambiamento cit., p. 54. 397 TOSCANO, Spoleto in pietre cit., p. 67. 398 VILLETTI, L’edilizia mendicante in Italia cit., p. 54. 399 L’aula, fino all’incrocio con il transetto (profondo 6 m), si sviluppa per 35,80 x 13,33 m. 400 TOSCANO, Spoleto in pietre cit., p. 67; GENTILI, GIACCHÈ, RAGNI, TOSCANO, L’Umbria cit., p. 169. Tale circostanza è ben documentabile nella cortina muraria che a qualche metro dalla facciata, mostra una netta cesura; il settore successivo, fino al fronte, pur presentando la medesima opera muraria, in alcuni punti evidenzia una non perfetta coincidenza delle fasce di conci; inoltre, in basso, alcuni grossi massi ben squadrati potrebbero essere il resto dello spigolo originario del prospetto principale. SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 395 spetto al piano pavimentale attuale 401. L’aula termina ad oriente direttamente su una cappella rettilinea di dimensioni minori rispetto alla navata 402, che prende luce da tre finestre archiacute, delle quali la centrale svetta in altezza ed è affiancata nella parte sommitale da due piccoli rosoni. L’abside e le cappelle del transetto, che si aprono nell’aula con slanciati archi a sesto acuto, sono coperte con volte a crociera profilate da costoloni, posati su semplici modanature incassate nella muratura, mentre l’ampia navata prevede capriate di legno che formano un tetto a doppio spiovente. La luce filtra attraverso finestre di grandi dimensioni in fitta sequenza nei perimetrali, poste quasi alla sommità della parete. Il dato interessante di questo edificio riguarda lo spiccato cromatismo del paramento murario ad ampie file alternate di colore grigio e rosato, i cui conci, seppur ben squadrati, mostrano un grado di finitezza non particolarmente accurato nella faccia a vista 403. Gli agostiniani Nel corso del XIII secolo gli eremiti di sant’Agostino, così come accadeva contemporaneamente per i domenicani e i francescani, si stabilirono progressivamente entro le mura delle principali cittadine umbre, manifestando fin da subito uno spiccato adattamento alle scelte architettoniche mendicanti e nel contempo alle nuove sensibilità gotiche presenti in regione, seppur nell’accezione più discreta 404. La preferenza fu comunque accordata alla icnografia ad aula terminante in cori voltati, schema che divenne consueto per l’Ordine fin oltre la fine del secolo, e ad apparati plastici assai discreti, limitati ad ingentilire i portali e le scarne modanature degli interni. A tale riguardo fra gli edifici agostiniani sorti ancora entro il Duecento va ricordata sicuramente la chiesa di Sant’Agostino a 401 Per un inquadramento generale del monumento si veda GENTILI, GIACCHÈ, RAGNI, TOSCANO, L’Umbria cit., pp. 169-180. 402 L’ingombro interno corrisponde in larghezza a 7,77 m e a 8,77 m di profondità. 403 TOSCANO, Spoleto in pietre cit., p. 67. 404 VILLETTI, L’edilizia mendicante in Italia cit., p. 228; P.F. PISTILLI, Eremiti di S. Agostino, in Enciclopedia dell’arte medievale, V, Roma, 1994, p. 848. 396 FABIO CODEN Gubbio, iniziata negli anni Cinquanta del XIII secolo e conclusa probabilmente nel ventennio seguente 405, di impianto particolarmente allungato (di complessivi 48,30 m), ad aula unica, terminante ad oriente con una cappella quadrangolare voltata a crociera. La disposizione a ridosso della via pubblica, appena fuori ad una delle porte urbiche, determinò un notevole sfasamento rispetto al consueto orientamento liturgico, che risulta spostato di parecchi gradi in prossimità dell’asse nord-sud: evidentemente al momento dell’erezione fu giudicato prioritario rispettare il tracciato viario, anche perché in questo modo la facciata veniva a trovarsi perfettamente in asse con l’accesso alla città. Lo spazio della navata, nella più consueta tradizione locale, è percorso da archi trasversi 406, in questo caso sette elementi di un metro di spessore a profilo ogivale, che reggono il tetto a doppio spiovente 407, originariamente su possenti pilastri poggianti a terra; solo nel Quattrocento il muro inferiore della navata fu rettificato, inglobando i sostegni, per creare delle cappelle laterali e occludendo parte della luce delle alte finestre ad arco acuto, disposte al centro di ogni campata. Di certo la grande quantità di luce che originariamente si riversava all’interno della chiesa doveva rendere ancor più spiccata la leggerezza di questo scheletro architettonico, contraddistinto da un forte slancio verticale 408. All’esterno, il prestito linguistico più significativo è costituito dai contrafforti a sezione semicircolare, distribuiti ritmicamente lungo i muri d’ambito, ancora visibili in più punti, la cui forma è assai prossima a quella degli analoghi elementi di San Francesco ad Assisi 409. Se da un lato questo edificio può essere visto come un ri405 GIOVAGNOLI, Gubbio nella storia cit., p. 289, ricorda la bolla di papa Innocenzo IV del 1251, che diede il via ai lavori; QUINTERIO, L’architettura del Due e del Trecento cit., p. 191, riporta la data 1253, che si riferisce però alla donazione di una vigna da parte del Comune per edificare il convento. La consacrazione dell’edificio avvenne nel 1294; PISTILLI, Eremiti cit., p. 849. 406 SAVI, Archi-diaframma cit., p. 175. 407 SAVI, Gubbio cit., p. 142. 408 Dall’attuale piano pavimentale alla chiave delle arcate l’altezza risulta essere di circa 14,60 m. 409 La mancanza di continuità muraria fra questi elementi e i perimetrali sembrerebbe però suggerire la loro messa in opera in un momento successivo. Tale dato risulta confer- SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 397 mando alla locale cattedrale, dall’altro i costruttori seppero far tesoro delle più innovative esperienze dell’architettura mendicante. A Perugia l’Ordine si stanziò verso la metà del secolo, erigendo la chiesa con il vicino convento a partire dal 1256-1260 410. L’impianto di Sant’Agostino, a navata unica con transetto e catino absidale di andamento poligonale, che ricorda per certi aspetti il San Francesco di Ascoli Piceno, conserva del primitivo impianto solo alcune porzioni del capocroce, compresa l’abside, e il ricomposto portale gemino 411. Ad Orvieto la presenza agostiniana è attestata per la prima volta nel 1253, anche se gruppi di eremiti che abbracciavano questa regola sono documentati in città già all’inizio del secolo nella chiesa di San Giovenale, luogo in cui convivevano con i guglielmiti 412. Nel 1255 gli agostiniani acquisirono la preesistente Santa Lucia, di proprietà del monastero dei Santi Severo e Martirio, cambiandone l’intitolazione, e solo a partire dal 1264, anno in cui fu posta la prima pietra, prese avvio l’edificazione di un nuovo impianto più consono alle esigenze della comunità, che però non fu mai portato a termine 413. Tuttavia, la mancanza di assoluta certezza nell’individuazione dei corpi di fabbrica citati dalle fonti obbliga a particolari cautele rispetto alla valutazione cronologica dei corpi di fabbrica che costituiscono il complesso, sorti a breve distanza di tempo gli uni dagli altri 414. mato, inoltre, anche dalla differente lavorazione della superficie dei conci utilizzati, più approssimativa nei muri d’ambito, levigata invece nei contrafforti. 410 O. GURRIERI, La chiesa di Sant’Agostino in Perugia e le sue vicende architettoniche, in atti del V Convegno nazionale di storia dell’architettura (Perugia, 23 settembre 1948), Firenze, 1957, p. 557; SCARPELLINI, Perugia cit., p. 316; PARDI, Architettura religiosa medievale cit., p. 140. 411 KRÖNIG, Hallenkirchen in Mittelitalien cit., pp. 119-121; PARDI, Architettura religiosa medievale cit., p. 138. 412 CARPENTIER, Orvieto a la fin du XIIIe siècle cit., p. 45; RICCETTI, Primi insediamenti cit., pp. XXIV-XXV; PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., p. 294. 413 RICCETTI, Primi insediamenti cit., p. XXV; R. DAVANZO, La chiesa di Sant’Agostino in Orvieto: storia e fasi costruttive dell’organismo architettonico, in Le stanze delle Meraviglie. Da Simone Martini a Francesco Mochi. Verso il nuovo museo dell’Opera del Duomo di Orvieto, a cura di A. CANNISTRÀ, Cinisello Balsamo, 2006, p. 25; PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., p. 294 e nota 74. 414 DAVANZO, La chiesa di Sant’Agostino cit., p. 25. 398 FABIO CODEN La chiesa oggi intitolata a Sant’Agostino, sede del Museo Diocesano, potrebbe coincidere con quella di Santa Lucia, eretta dai premonstratensi poco dopo il 1226, anno della loro attestazione entro la mura della città. L’edificio, che si compone di un’aula assai allungata che termina ad oriente con una cappella quadrangolare 415 illuminata da una bifora in tufo, subì nel corso del tempo delle manomissioni ampiamente riscontrabili nel fianco meridionale 416. Il tetto a doppio spiovente forse prevedeva delle capriate lignee, anche se nella parte orientale, limitatamente allo spazio destinato ai religiosi, potevano essere presenti degli archi trasversi 417; quest’area, inoltre, è riconoscibile chiaramente dalla presenza di alcune strette e allungate monofore archiacute che illuminavano l’interno, assenti nella parte anteriore della navata 418. In un momento imprecisato del XV secolo la struttura fu accorciata e il nuovo prospetto ospitò un portale che a stento può essere messo in relazione con la primitiva fase, ma che forse si deve associare al momento di abbandono dell’ambizioso progetto di donare alla comunità religiosa un luogo di culto più significativo e alla conseguente necessità di riattare la preesistente costruzione 419. Alla campagna di lavori intrapresa a partire dal 1264 dovrebbe invece appartenere il moncone 420 che, in modo quasi perpendicolare, oggi si adagia per un piccola porzione al fianco settentrionale della 415 Attualmente l’aula misura 34,20 x 11 m, che compreso il catino arriva a 41,10 m; l’ampia cappella, larga 8,35 e profonda 6 m, sicuramente appartiene all’impianto originario, come mostra la naturale prosecuzione del paramento lungo il fianco meridionale dell’edificio. 416 DAVANZO, La chiesa di Sant’Agostino cit., p. 26. 417 PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., p. 295, pensa alla presenza di questi elementi in tutto il corpo longitudinale della chiesa. Cfr. inoltre DAVANZO, La chiesa di Sant’Agostino cit., p. 25. 418 La tecnica a conci ben squadrati, regolarmente posati, riconoscibile lungo tutti i fianchi non sembra mostrare stacchi che facciano pensare a due distinte campagne, quindi, più che ad una doppia fase costruttiva, spesso invocata, sembrerebbe ravvisabile proprio l’intenzione di distinguere il settore orientale della chiesa destinato ai frati agostiniani e quello anteriore ad utilizzo anche dei fedeli, secondo la prassi ampiamente documentata della bipartizione del corpo architettonico. Cfr. SCHENKLUHN, Architettura degli Ordini Mendicanti cit., pp. 45 ss. 419 DAVANZO, La chiesa di Sant’Agostino cit., p. 26. 420 DAVANZO, Orvieto cit., p. 892; RICCETTI, Primi insediamenti cit., p. XXV. SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 399 chiesa sopra ricordata e in gran parte emerge nella piazza con un ampio arco ogivale 421. Il corpo di fabbrica, questa volta disposto lungo l’asse nord-sud per necessità urbanistiche, avrebbe dovuto superare notevolmente per dimensioni la precedente chiesa agostiniana se si considerano l’ampiezza della cappella maggiore e quella della piccola porzione di navata ancora esistente (larga 18,30 m), spingendosi con ogni probabilità ad occupare tutta l’area dell’antistante piazza (per una lunghezza ipotizzata di 48 m) 422. Ancora una volta si replicò il modello icnografico ad aula – con copertura lignea a doppio spiovente su capriate – 423, terminante con un’unica cappella quadrangolare – voltata a crociera costolonata, impostata su esili mensole –, introdotta da un enorme arco a sesto acuto ed illuminata nell’altro versante da una monofora ogivale che include alla sommità un oculo e da due più semplici finestre nei fianchi 424. In alcuni dei punti più significativi della costruzione, come nell’arco trionfale, fu utilizzata l’alternanza di materiali litici di maggior pregio, a proporre una regolare ed elegante bicromia di ascendenza toscana. Fra gli ultimi episodi di architettura agostiniana di particolare importanza, documentabili nel XIII secolo, si colloca il complesso di Sant’Agostino di Montefalco (1279-85), che ricalca modelli già consolidati della tradizione mendicante 425. Disposto intenzionalmente in modo quasi perfetto lungo l’asse nord-sud, poiché questioni di carattere urbanistico non permisero l’orientazione, corregge in facciata l’andamento non ortogonale fra la via pubblica, che porta al centro dell’abitato, e l’asse della chiesa, mostrando quindi una pianta alquanto irregolare. L’aula unica (gli assi mediani misurano 41,90 x 11,30 m) si conclude a nord con un grande catino poligonale, introdotto da un arcone assai dilatato a tutto sesto, voltato con una crociera ad ombrello, dalle unghie molto slanciate; i costoloni si elevano da alte imposte sospese, formate da colonnine con 421 DAVANZO, La chiesa di Sant’Agostino cit., p. 25. Ibid., pp. 25-26. 423 PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., p. 296, ritiene che dovessero essere stati previsti degli archi trasversi sul modello delle numerose chiese mendicanti della regione. 424 DAVANZO, La chiesa di Sant’Agostino cit., p. 25. 425 TOSCANO, Spoleto in pietre cit., p. 249. 422 400 FABIO CODEN capitelli di inconsueta tipologia e da mensole variamente scolpite, due delle quali ospitano protomi umane di disegno assai vigoroso 426. In questa scatola architettonica dalle forme semplici, coperta con tetto a spiovente su capriate lignee, la luce riveste un’importanza nodale, penetrando dalle grandi finestre a sesto appena acuto, disposte lungo i perimetrali, quattro per lato, dalle tre monofore della cappella absidale, delle quali la centrale è di ampiezza significativamente maggiore, e dal semplice oculo di facciata. Il portale principale, anch’esso assai essenziale, mostra una più convinta adesione al gotico nelle imposte, lavorate a crochet a destra, e a bizzarre composizioni vegetali a sinistra 427, mentre la fascia in pietra rossa di coronamento spinge verso la più consolidata tradizione locale 428. EPISODI DI ARCHITETTURA CIVILE La necessità di dotare i nascenti comuni di proprie sedi immediatamente percepibili all’interno dell’assetto urbanistico, in grado cioè di rappresentare in modo compiuto le nuove autorità di governo, spinse alla sperimentazione di forme architettoniche originali, in area padana fra fine dell’XI e il XIII secolo e in quella centro italiana fra l’inizio del XII e il XIII secolo 429. Tuttavia, a differenza che a nord della penisola, dove la tipologia del palazzo pubblico ebbe delle formulazioni abbastanza costanti, con una loggia al piano terreno e grandi sale in quello superiore, nei territori centroitaliani si reagì con una varietà di forme davvero notevole, che può essere suddivisa, per comodità di esemplificazione, in specifiche famiglie di appartenenza. Di fatto le condizioni politiche interne, in continuo fermento, e la tendenza ad insediare le autorità civili in edifici abitativi, come casetorri e dimore borghesi, o in strutture adiacenti 426 Altre due testine si trovano nel punto in cui convergono tutti i costoloni al vertice delle vele, rivolte verso la navata. 427 PISTILLI, Eremiti cit., pp. 849-850. 428 RIGHETTI TOSTI-CROCE, Spunti di ricerca cit., p. 753. 429 P.F. PISTILLI, Comune. Edifici pubblici, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, V, Roma, 1994, p. 246. Sull’argomento si veda soprattutto CAVALLARI MURAT, Problemi delle sedi del potere cit., pp. 94-100. SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 401 o connesse a quelle religiose ritardarono l’apparizione e l’elaborazione di modelli specifici ed unitari 430. Solo dopo il 1270, con la caduta degli Svevi e l’affermazione delle prerogative comunali, anche nelle aree soggette alla Chiesa iniziò una fortunata stagione edilizia, protrattasi fino al secolo successivo con straordinari esempi di architettura civica 431, che può essere giustificata unicamente con il riconoscimento delle libertà cittadine 432: nuove forme architettoniche, rispondenti alle sopraggiunte esigenze del comune, si affacciarono in questi decenni anche in terra umbra. Congiuntamente a tali sperimentazioni si assistette anche a una profonda riformulazione degli spazi urbani, con la ridefinizione dei tracciati stradali, la sistemazione delle piazze per permettere una più consona esibizione dei complessi civici e la creazione di nuove opere di utilità pubblica 433. Ma l’Umbria è anche terra di edifici legati alla corte papale che ad Orvieto trovò nel giro di pochi decenni una esemplare celebrazione. Fra i primi episodi ancora esistenti in regione, ma assai precoce anche nel panorama italiano, va citato il nucleo che compone l’insediamento civico di Todi, con il Palazzo del Popolo o del Comune, eretto agli inizi del Duecento, ampliato nel 1213 con un’ala verso l’odierna piazza del Popolo e sopraelevato fra il 1228 e il 1233 434; nel 1267, al tempo del podestà Pandolfo Savelli, fu costruita una nuova scala, con un imponente arco rampante, che introdusse al nuovo ingresso 435. Questo massiccio corpo di fabbrica, in conci di pietra ben squadrati, caratterizzato al piano terra da un loggiato aperto e al superiore da ambienti di cospicue dimensioni, mostra affinità con edifici comunali dell’Ita430 C. MARTINI, Todi e Perugia. Il “Palazzo pubblico” e le istituzioni comunali, in La coscienza cittadina nei comuni italiani del Duecento, atti dell’XI Convegno di Centro di studi sulla spiritualità medievale (Todi, 11-14 ottobre 1970), Todi, 1972, p. 359. 431 U. TARCHI, L’arte medioevale nell’Umbria e nella Sabina, III, Architettura civile (dalla metà del secolo XIII al principio del secolo XV), Milano, 1938, pp. 1-2. 432 MARTINI, Todi e Perugia cit., p. 359; SAVI, Umbria cit., p. 405. 433 MARTINI, Todi e Perugia cit., p. 359; QUINTERIO, L’architettura del Due e del Trecento cit., p. 199. 434 L’esistenza di un palazzo pubblico a Todi è documentata già nel 1206. Cfr. MARTINI, Todi e Perugia cit., pp. 362-363, il quale riporta la data del 1214 in relazione agli ampliamenti sopra ricordati. 435 M.C. FAINA, Palazzi comunali umbri, Milano, 1957, pp. 108-113; ROSSINI, Todi cit., p. 207; QUINTERIO, L’architettura del Due e del Trecento cit., pp. 202, 206. 402 FABIO CODEN lia settentrionale 436, ma queste caratteristiche formali non sono sufficienti a spiegare le particolarità che innegabilmente manifesta. Sul fronte, fin dall’origine rivolto verso la piazza del Popolo, vi è al piano terra una loggia aperta anche ai lati, voltata con due crociere, alla quale seguono un vano longitudinale, con accesso ad arco in una delle teste, e quindi due lunghi ambienti giustapposti, comunicanti con un’ampia arcata, che sfondano l’intera larghezza dell’edificio, voltati ciascuno con una lunga botte: in tal modo prende forma una stretta e assai profonda struttura edilizia, che in altezza si sviluppa per ben quattro sezioni. L’aula al primo piano, il luogo delle adunanze, possedeva in un primo momento l’accesso sul fianco occidentale, nell’attuale piazza Garibaldi, dove si conserva ancora la porta ad arco e l’impronta della scalinata monumentale appoggiata al prospetto laterale dell’edificio 437. Semplici finestre illuminano il vano da ovest, mentre il lato nord prevede due quadrifore e al centro una trifora, inquadrate da una cornice superiore a dentelli e da una inferiore a modanature multiple. La stessa scansione è riproposta pure al terzo piano. Soluzioni analoghe sono esibite anche dal più tardo Palazzo del Capitano, sempre a Todi, eretto in tempi brevi negli anni novanta del secolo XIII (1289-1290), affiancato al precedente in posizione un poco più arretrata per poter sfruttare la rampa d’accesso edificata poco prima per l’adiacente edificio 438. Il prospetto principale è organizzato in settori rimarcati da eleganti cornici continue 439, che segnano in basso il livello del davanzale della prima serie di finestre, nonché l’imposta della porta d’accesso, e in alto il piano con l’ultima fila di aperture. A terra si apre un loggiato di quattro campate, sviluppate attorno ad un unico maestoso pilastro poligonale mediano, coperte da volte a crociera i cui profili sono segnati da costoloni 436 Al piano superiore, nella grande sala del consiglio, si conservano ancora tracce di affreschi che ornavano le pareti, probabilmente da ascriversi al periodo degli interventi di Savelli. 437 TARCHI, L’arte medioevale nell’Umbria III cit., p. 3. 438 L’acquisizione di un’ampia porzione di terreno a lato del Palazzo del Popolo iniziò già nel 1289; pare che nel 1290 il cantiere fosse completato nelle sue parti principali. ROSSINI, Todi cit., p. 207; QUINTERIO, L’architettura del Due e del Trecento cit., p. 207. 439 Le cornici sono così organizzate: a dentelli in basso, a semplici modanature al centro e aggettante su peducci alla sommità. SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 403 rettangolari di notevole sezione 440. Il linguaggio gotico assai più maturo rispetto a quello del vicino edificio è ravvisabile anche nella tipologia delle trifore trilobate del primo piano, inquadrate da un arco ogivale e sormontate da un’elegante cuspide ornata da cani correnti, mentre al secondo piano una soluzione più sobria prevede quattro analoghe aperture raccolte da un arco a tutto sesto, senza però presupporre nella lunetta l’elegante piccolo rosone previsto al livello inferiore. Un gruppo di palazzi sorti nell’Umbria centrale negli anni Settanta del XIII secolo mostra caratteri autonomi sia dal punto di vista della tecnica costruttiva, sia per le soluzioni adottate nell’organizzazione delle parti decorative 441. Pare che almeno due si possano attribuire all’operato dell’architetto Prode, o del suo entourage, documentato nel cantiere di Spello nel 1270 da una lastra sulla facciata con un leone a rilievo che atterra un toro, anche se non è escluso che questa familiarità di lessico architettonico possa essere semplicemente frutto di una consapevole e mutua influenza fra tali episodi. Della struttura originaria del Palazzo Comunale di Spello, nonostante i consistenti rimaneggiamenti del XVI secolo, sono riconoscibili gli arconi ogivali della loggia al piano terra, voltata con crociere di ottima fattura su massicci costoloni in pietra ben squadrata, e alcune porzioni del piano superiore con finestre centinate di sobrio aspetto 442. La medesima cultura architettonica è rintracciabile anche nel Palazzo dei Consoli di Bevagna, che conserva quasi integralmente il suo aspetto primitivo 443: al piano terra arcate a sesto acuto, che introducono ad un loggiato a due navate, voltato con crociere costolonate, al primo e al secondo piano discrete bifore con esili colonnine al centro 444. L’antica ampia porta, ora murata, situata nel fianco sinistro della costruzione, in prossimità dello spigolo anteriore, indu440 441 TARCHI, L’arte medioevale nell’Umbria III cit., p. 3. PISTILLI, Comune cit., p. 250; QUINTERIO, L’architettura del Due e del Trecento cit., p. 201. 442 FAINA, Palazzi comunali umbri cit., pp. 91-95. PISTILLI, Comune cit., pp. 250-251. 444 FAINA, Palazzi comunali umbri cit., pp. 98-100; RIGHETTI TOSTI-CROCE, Spunti di ricerca cit., pp. 749-750. 443 404 FABIO CODEN ce a credere che la scala di accesso alla sala delle adunanze fosse in linea con la facciata, mentre ad un più tardo intervento si deve la sua inversione, con l’apertura di un nuovo ingresso in posizione più arretrata. Più problematico è il caso del Palazzo Comunale di Montefalco, molto trasformato nel Quattrocento, della cui struttura medievale restano oggi leggibili solo parte del fianco meridionale e poche altre porzioni sotto al loggiato 445. Un altro esempio assai precoce nel panorama umbro è costituito dal Palazzo Comunale di Orvieto, iniziato nel 1216-19, che trovò compiutezza solo nel 1276, contemporaneamente all’opera della generale riqualificazione della piazza e dell’area urbana circostante, ma talmente trasformato dai rimaneggiamenti operati nel 1573-81, su progetto incompiuto di Ippolito Scalza, da risultare difficilmente interpretabile 446. Dai resti ancora visibili dell’edificio duecentesco si può intuire quale fosse il progetto originario, che sembra prevedesse al piano terreno una serie di possenti volte, un ampio terrazzo al piano nobile, con finestre di ordine gigante, e grandi archi acuti, databili 1270-86, a sorreggere il tetto. A metà del Duecento il passaggio a un sistema politico basato sulle rappresentanze del popolo fu occasione per l’erezione, sempre ad Orvieto, dell’imponente Palazzo del Capitano del Popolo, palatium populi, sorto nell’ottavo decennio del XIII secolo e citato negli atti del Comune per la prima volta nel 1280 447. La maestosa strut445 FAINA, Palazzi comunali umbri cit., pp. 103-106. CARPENTIER, Orvieto a la fin du XIIIe siècle cit., pp. 43-45; RICCETTI, Primi insediamenti cit., p. XIV e nota 16; DAVANZO, Orvieto cit., pp. 889, 891. 447 La critica ha per molto tempo proposto un arco cronologico compreso fra il 12501255 per l’erezione di questo edificio (R. BONELLI, Il Palazzo papale di Orvieto, in atti del II Convegno nazionale di storia dell’architettura (Assisi, 1-4 ottobre 1937), Roma, 1939, p. 213; FAINA, Palazzi comunali umbri cit., pp. 121-129; DAVANZO, Orvieto cit., p. 890; QUINTERIO, L’architettura del Due e del Trecento cit., pp. 208-211), tuttavia recentemente è stato suggerito di spostare molto in avanti tale data, al 1280; al riguardo si vedano A. SATOLLI, Orvieto. Il Palazzo del Popolo e i suoi restauri, in Bollettino dell’Istituto storico artistico orvietano, 40-41 (1984-1985), pp. 28-29, 31; CARPENTIER, Orvieto a la fin du XIIIe siècle cit., p. 43; ROSSI CAPONERI, Il duomo e l’attività edilizia cit., p. 34; V. FRANCHETTI PARDO, I Palazzi Papali di Orvieto, in Le stanze delle Meraviglie cit., p. 20; GARIBALDI, Una rinascita nell’Umbria cit., p. 14. Un’approfondita valutazione delle posizioni critiche relative al palazzo si deve a SATOLLI, Orvieto. Il Palazzo del Popolo cit., pp. 11-26, 33-34. 446 SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 405 tura parallelepipeda isolata fra due piazze, in conci di tufo ben squadrati 448, contemplava un loggiato (12,50 x 29 m) con cinque ampie aperture ad arco ogivale nei lati lunghi e due in quelli brevi 449, in seguito tamponate per consentire la creazione di una nuova sala, e al primo piano un grande vano per le assemblee (originariamente di 7,35 x 13,40 m), coperto con tetto ligneo a doppio spiovente, impostato su archi trasversi a sesto acuto, sorretti da mensole posizionate molto in alto nella muratura perimetrale 450: prende così forma un organismo modellato sui palazzi pubblici del nord della penisola, anche se in scala decisamente più monumentale 451. La rampa d’accesso, ricavata all’esterno del corpo di fabbrica, che inizialmente era sistemata in una delle testate, fu spostata ad ovest dopo il 1289 452, in funzione del nuovo assetto viario che fu dato alla città e all’esigenza di prolungare l’edificio 453. A tale riguardo l’aggiunta di una porzione di palazzo, per un settore equivalente all’ultima trifora orientale, fu dettata dalla necessità di creare ambienti destinati al capitano e al giudice 454. Nel 1290 fu eretta la torre campanaria, terminata nel primo decennio del XIV secolo 455. Questa costruzione si contraddistingue senza dubbio anche per la tipologia ornamentale delle grandi aperture della sala delle adu448 SATOLLI, Orvieto. Il Palazzo del Popolo cit., pp. 27-28; PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., pp. 306, 308. 449 SATOLLI, Orvieto. Il Palazzo del Popolo cit., p. 34. 450 PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., pp. 306-307. 451 SATOLLI, Orvieto. Il Palazzo del Popolo cit., p. 31. La forma a parallelepipedo allungato, lo sviluppo in ambienti sovrapposti con il loggiato al piano terra, la sequenza continua di finestre del primo piano sembrerebbero rimandare proprio ad esempi di area lombarda, territorio in cui ancora alla fine del secolo si mostrava una sorta di linguaggio ben strutturato che contemplava solo lievi modifiche dal prototipo, come ad esempio evidenziano i rapporti fra i broletti di Milano, di Monza e di Piacenza. 452 Questa fu voluta dal capitano Neri della Greca, probabilmente perché la precedente risultava troppo piccola. Cfr. R. PARDI, Il restauro del Palazzo papale di Orvieto, in Storia e arte in Umbria nell’età comunale cit., I, p. 204; PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., p. 307. 453 FAINA, Palazzi comunali umbri cit., pp. 124-125; PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., p. 307. 454 SATOLLI, Orvieto. Il Palazzo del Popolo cit., pp. 31-32; RICCETTI, Orvieto medievale cit., p. 420. 455 La torre fu terminata intorno al 1307: cfr. SATOLLI, Orvieto. Il Palazzo del Popolo cit., p. 34; PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., pp. 308-309. 406 FABIO CODEN nanze, cinque trifore per lato impostate su esili colonnine con capitelli a crochet, abbracciate da arcate a tutto sesto, decorate da una larga banda continua a più file di dadi, che formano una scacchiera di forte gusto chiaroscurale; fra questa e l’estradosso delle finestre, marcato da una robusta treccia, si pongono dei piccoli rosoni e dei fiori a rilievo. Tale complessità decorativa, di sapore gotico assai severo, commisto a indubbie persistenze romaniche, è stata messa giustamente in relazione all’operato delle maestranze oltremontane presenti nell’abbazia dei Santi Severo e Martirio, passata all’inizio del secolo ai monaci premonstratensi giunti dalla Francia. Ad una diversa concezione costruttiva appartiene il Palazzo del Podestà di Narni, citato nei documenti medievali come palatium populi in platea majorum, sorto per aggregazione di casetorri indipendenti, il cui atto costitutivo si può rintracciare nei documenti di vendita dei fabbricati che lo compongono (agosto 1273) 456. La fusione dei corpi architettonici in un unico edificio fu ottenuta mediante la riduzione ad una medesima altezza dei vari componenti e con la conseguente creazione di una copertura comune 457. Analogo percorso costruttivo, seppure riferibile al secolo successivo, è rintracciabile nel Palazzo dei Priori di Assisi, per il quale furono accorpati tre distinti edifici acquisiti fra il 1275 e il 1338 458. Sempre ad Assisi, di fianco al tempio di Minerva, che dal 1212 fu sede del Comune 459, sorse fra il 1270 il 1282 il Palazzo del Capitano del Popolo 460. L’edificio manifesta caratteristiche in parte autonome rispetto a quelle degli altri palazzi della regione, con quattro stretti e alti varchi a tutto sesto al piano terra, leggermente distanziati, e due serie sovrapposte di finestre ad arco ribassato nei piani superiori; l’unica decorazione è offerta dalle semplici cornici marcapiano che partiscono il fronte in tre settori. La torre civica, eretta negli anni Settanta del XII secolo e terminata nel 1305 461, 456 FAINA, Palazzi comunali umbri cit., pp. 116-118. QUINTERIO, L’architettura del Due e del Trecento cit., p. 213. 458 FAINA, Palazzi comunali umbri cit., p. 86; GROHMANN, Assisi cit., pp. 58-60; GUIDONI, Assisi cit., p. 625; PISTILLI, Assisi cit., pp. 623, 629. 459 GROHMANN, Assisi cit., pp. 38, 54-55. 460 FAINA, Palazzi comunali umbri cit., pp. 82, 84-85; PISTILLI, Assisi cit., pp. 622-623, 629; GUIDONI, Assisi cit., p. 624; QUINTERIO, L’architettura del Due e del Trecento cit., p. 201. 461 GROHMANN, Assisi cit., p. 58. 457 SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 407 come conferma un’epigrafe sulla facciata, ha la canna liscia fino alle due celle campanarie sovrapposte, segnate alla base da una modanatura aggettante di considerevole sezione 462. L’architettura civica umbra del Duecento si chiude con altri due episodi di rilievo sorti a breve distanza di tempo all’inizio degli anni Novanta del secolo: il palazzo Dei Sette di Orvieto, del 1292, aveva forma ad elle, con loggiato in una delle ali, e fu completamente ristrutturato nel corso del Cinquecento; il palazzo dei Priori di Perugia 463, iniziato nell’aprile del 1292, terminato nel 1296, ma ampliato nel 1443 464, mostra un’adesione così sostanziale al linguaggio gotico da diventare esemplare nel panorama degli edifici pubblici della penisola italiana 465. Il maestoso edificio perugino, sorto nella platea magna e prospiciente al duomo e alla fontana 466, i cui lavori furono diretti da Iacopo di Servadi al quale a partire dal 1293 si affiancò Giovannello di Benvenuto 467, nella prima redazione corrispondeva al corpo di fabbrica che include la Sala dei Notari, un grande vano al primo piano (28 x 14 m circa) 468, coperto da soffitto piatto, retto da otto impo462 FAINA, Palazzi comunali umbri cit., pp. 83-84; PISTILLI, Assisi cit., p. 629. Il palazzo è citato nelle fonti come Palatium novum populi. Cfr. MARTINI, Todi e Perugia cit., pp. 360, 363. 464 TARCHI, L’arte medioevale nell’Umbria III cit., p. 3; G. CRISTOFANI, Ritmi veneziani nel palazzo dei priori di Perugia, in atti del II Convegno nazionale di storia dell’architettura (Assisi, 1-4 ottobre 1937), Roma, 1939, pp. 221-222; FAINA, Palazzi comunali umbri cit., pp. 26-56; A. BARTOLI LANGELI, M.R. SILVESTRELLI, Il Comune duecentesco e i suoi palazzi, in Il Palazzo dei Priori di Perugia, a cura di F.F. MANCINI, Perugia, 1997, pp. 10-11; QUINTERIO, L’architettura del Due e del Trecento cit., pp. 202-204. Sulle trasformazioni successive, intervenute già a partire dal Trecento, si veda soprattutto M.R. SILVESTRELLI, La storia del Palazzo, in Il Palazzo dei Priori di Perugia cit., pp. 21 ss., 33 ss., 41 ss. 465 La prima sede del governo, ancora duecentesca, si trovava però di fianco al transetto della cattedrale. C. MARTINI, Il palazzo dei Priori a Perugia, in Palladio, n.s. XX, 1-4 (1970), pp. 39-40, 43 ss.; P. BELARDI, L’architettura del palazzo nel confronto tipologico, in Il Palazzo dei Priori di Perugia cit., p. 51; BARTOLI LANGELI, SILVESTRELLI, Il Comune duecentesco cit., pp. 3-5. 466 MARTINI, Il palazzo dei Priori cit., pp. 39-40, 52-56; MARTINI, Todi e Perugia cit., p. 362; SCARPELLINI, Perugia cit., p. 318. 467 SILVESTRELLI, La storia del Palazzo cit., p. 19. 468 BELARDI, L’architettura del palazzo cit., p. 55; SILVESTRELLI, La storia del Palazzo cit., p. 19. 463 408 FABIO CODEN nenti arconi trasversi 469. All’esterno quindi il nucleo duecentesco è facilmente individuabile dalla scansione regolare delle aperture disposte sui prospetti nord ed est: sulla testata minore corrisponde con il settore che ospita il portale ad arco trilobato 470, affiancato da esili aperture, e con le soprastanti tre ampie trifore cuspidate; sulla fiancata coincide con i dieci arconi del loggiato al piano terra, con le otto trifore seguite da due quadrifore al primo piano e con le dieci trifore, analoghe a quelle del fianco, al secondo piano 471. Un consapevole espediente prospettico indusse a creare una sequenza solo apparentemente regolare delle aperture al piano terra 472, i cui archi, infatti, man mano che si procede in leggero declivio in direzione opposta alla piazza, aumentano progressivamente la propria luce: questo accorgimento permette così di percepire tutte le aperture del loggiato della medesima grandezza, qualora ci si ponga in prossimità della fontana 473. Il piano terra ospitava un ampio spazio coperto da due volte a botte, rette da maestosi pilastri disposti lungo la linea mediana, allo stesso modo di quanto era avvenuto qualche tempo prima a Todi 474. Il gusto gotico oramai pienamente consapevole 475 è rimarcato dalle cornici su peducci, ornate da cubetti, che, ignorando la scansione dei piani interni, fungono da mero artificio compositivo delle facciate, creando una chiara alternanza di fasce piane e traforate. Da un punto di vista decorativo questa consapevolezza gotica è inoltre esibita dall’elegante foggia delle finestre del secondo piano, trifore 469 KRÖNIG, Caratteri dell’architettura cit., p. 182. Questo sistema di sostegni impone anche il ritmo delle finestre del fianco dell’edificio. Per la sequenza delle fasi costruttive di questa prima redazione del palazzo si veda MARTINI, Il palazzo dei Priori cit., pp. 45-47; SILVESTRELLI, La storia del Palazzo cit., pp. 19-20. 470 SCARPELLINI, Perugia cit., p. 318. Per accedere alla sala al primo piano vi era in origine una scala imponente che fu realizzata nel 1298, trasformata in semicircolare solo nel 1902. 471 TARCHI, L’arte medioevale nell’Umbria III cit., p. 4. 472 BELARDI, L’architettura del palazzo, pp. 52, 55. 473 La sequenza, che potrebbe essere in rapporto con un diverso assetto originario dei piani della via, partendo dalla testa dell’edificio sulla piazza è: 1,84 - 1,92 - 1,94 - 2,18 2,18 - 2,18 - 2,18 - 2,18 - 2,89 - 2,89 m. 474 SILVESTRELLI, La storia del Palazzo cit., p. 19. 475 Per CRISTOFANI, Ritmi veneziani cit., p. 221, il nesso con Venezia sarebbe assolutamente evidente, ma ogni considerazione a tale riguardo necessita di particolari cautele. SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 409 con aperture trilobate su esili colonnine, con capitelli a crochet di varie tipologie, sormontate da due rosoncini quadrilobati; la luce delle aperture, centinate a tutto sesto, è inoltre ulteriormente nobilitata da un timpano che poggia su alte e sottili colonnine. Un discorso a parte è necessario per il complesso dei Palazzi Papali di Orvieto i quali, sorti in un arco di tempo di circa tre decenni, risultano composti da unità architettoniche che, nonostante la giustapposizione e l’utilizzo del medesimo materiale costruttivo, seppero mantenere distinti i propri caratteri formali 476. Il primo gruppo di fabbriche è disposto in direzione nord-sud 477 con ampi vani sia al piano terra, sia in quello superiore, illuminati da finestre collocate in fitta sequenza nelle facciate principali e nelle teste 478. In un momento di poco posteriore, ma ancora entro il secolo, sorse, in posizione isolata, il più sontuoso Palazzo Soliano che, nonostante l’affine tecnica costruttiva, evidentemente per l’intervento di maestranze del luogo, mostra soluzioni architettoniche affatto differenti. Il fermento costruttivo che, a partire dagli anni Sessanta, aveva favorito il sorgere di importanti edifici religiosi in città, nonché la presenza di committenze prestigiose come quelle papali 479, sono perciò il cardine per motivare la presenza ad Orvieto di complessi edilizi tanto solenni 480. Il primo nucleo, attribuito a Urbano IV, sorse fra il 1262 e il 1264 sul fianco meridionale della cattedrale, ma in origine distaccato rispetto a questa 481, e si compone di due corpi architettonici di 476 G.M. RADKE, Gothic style at the papal palace in Orvieto, in Saggi in onore di Renato Bonelli cit., I, p. 211; M.T. GIGLIOZZI, I palazzi del papa. Architettura ed ideologia: il Duecento, Roma, 2003, pp. 133, 163. 477 Il complesso sorge perpendicolare all’asse principale del duomo, a ridosso del quale si sistema, e nelle immediate adiacenze della sede episcopale; GIGLIOZZI, I palazzi del papa cit., pp. 134-135, 146-148. 478 PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., p. 310; GIGLIOZZI, I palazzi del papa cit., pp. 134, 142-143. 479 Le motivazioni che portarono la corte papale a risiedere per lunghi tempi fuori da Roma sono indagate da S. ZUCCHINI, Sedi della curia pontificia, in Arnolfo di Cambio una rinascita cit., pp. 39 ss., che non manca di valutare pure le conseguenze di queste permanenze nelle varie città. 480 BONELLI, Il Palazzo papale di Orvieto cit., p. 211; ZUCCHINI, Sedi della curia pontificia cit., p. 46. 481 RICCETTI, Primi insediamenti cit., p. XIV; ZUCCHINI, Sedi della curia pontificia cit., p. 41; PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., p. 311. 410 FABIO CODEN forma parallelepipeda, affiancati 482, ma leggermente slittati lungo l’asse principale 483, con una sorta di torre in una delle teste 484. Il corpo anteriore, prevede al piano terra una grande stanza coperta con una volta a sesto acuto, impostata su quattro archi di rinforzo, che danno vita a cinque strette campate. Tre semplici aperture, di aspetto allungato, sul lato occidentale e una su quello settentrionale permettevano l’illuminazione degli interni 485. Il piano superiore è occupato da una sala (19 x 7,70 m) con forte sviluppo verticale, coperta con un tetto a doppio spiovente, rinforzato da sette snelli archi trasversi a sesto acuto. Sei grandi trifore, sistemate al centro delle campatine, inondavano di luce il salone da occidente 486, mentre analoghe aperture, una a nord e una a sud, trovano posto nelle testate 487. Il secondo corpo di fabbrica, sistemato alle spalle, presenta al piano terra un vano, coperto da una grande volta a botte sorretta da tre archi trasversali a sesto acuto, che a nord s’innesta in una stanza quadrangolare voltata a crociera, sopra alla quale si trova una loggia aperta verso la cattedrale 488. Alle spalle di questa, sempre al piano superiore, si trova un unico ambiente (17,70 x 9,60 m) con un tetto a doppio spiovente retto da quattro archi trasversi; cinque finestre aperte sulla facciata orientale permettono l’illuminazione dell’interno. Sulla testata meridionale, in prossimità dello spigolo orientale, s’inserisce una torre che al piano superiore ospita una cappella, orientata, con due campate coperte da crociere costolonate e illuminata da quattro grandi bifore e una monofora. All’e482 Per RADKE, Gothic style cit., p. 212, è plausibile che le due parti di edificio siano state concepite in modo indipendente e che quindi appartengano a fasi distinte. 483 PARDI, Il restauro del Palazzo papale cit., p. 200. 484 BONELLI, Il Palazzo papale di Orvieto cit., pp. 212-213; PARDI, Il restauro del Palazzo papale cit., p. 200; GIGLIOZZI, I palazzi del papa cit., pp. 150 ss., 165, 157; FRANCHETTI PARDO, I Palazzi Papali di Orvieto cit., pp. 19-20. 485 L’esiguità delle aperture al piano terra, nonché l’aspetto di fortezza dell’insieme sono state messe in relazione con la necessità di difesa della sede papale. PARDI, Il restauro del Palazzo papale cit., pp. 204-205. 486 Alcune delle finestre furono in seguito tamponate per l’addossamento di una costruzione che occupò tutta l’area compresa fra il braccio sud del transetto, il coro della cattedrale e la facciata occidentale del palazzo papale. 487 PARDI, Il restauro del Palazzo papale cit., p. 200. 488 Questa struttura è stata messa in relazione con gli interventi di Martino IV. Cfr. PARDI, Il restauro del Palazzo papale cit., p. 205. SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 411 sterno le aperture sono disposte sopra ad una grossa cornice marcapiano che stacca nettamente il diafano piano terra da quello superiore assai articolato e, a livello delle imposte, un’altra cornice segna il piano superiore 489; tutte le finestre adottano il motivo a scacchiera disposto in una larga fascia continua, stilisticamente affine a quello presente nell’abbazia dei Santi Severo e Martirio, nonché successivamente nel palazzo del Capitano 490. Sotto il pontificato di Martino IV, negli anni Ottanta del XIII secolo 491, fu eretto un nuovo edificio in aderenza allo spigolo sudoccidentale di quello preesistente, caratterizzato al piano terra da un loggiato aperto su tre lati 492 per mezzo di ampi arconi a sesto acuto, i quali introducono ad un vano coperto da sei crociere 493. Questo luogo di passaggio, proprio per le singolari caratteristiche rispetto alla consueta architettura della regione, ha fatto pensare a schemi desunti dall’area nord italiana o addirittura francese 494, i quali nondimeno debbono essere considerati all’interno di una più che normale circolazione di modelli 495. Il piano superiore, ancora una volta coperto con tetto a doppio spiovente su due arconi trasversi, mostra una grande sala (19,20 x 11,10 m) illuminata da tre finestre nel lato occidentale, da tre in quello orientale e da due nella testata nord 496. Tuttavia, all’esterno la tipologia delle bifore archiacute è assai più sobria rispetto a quella dei vicini corpi di fab489 PARDI, Il restauro del Palazzo papale cit., p. 200; DAVANZO, Orvieto cit., p. 891. BONELLI, Il Palazzo papale di Orvieto cit., p. 213; RADKE, Gothic style cit., p. 213. 491 BONELLI, Il Palazzo papale di Orvieto cit., pp. 211, 216; PARDI, Il restauro del Palazzo papale cit., p. 200. Assai più cauta e giustificata pare la posizione di GIGLIOZZI, I palazzi del papa cit., pp. 168-169. Di parere opposto sulle cronologie e sull’attribuzione dei vari corpi di fabbrica alla committenza è P.-Y. LE POGAM, I palazzi papali, in Arnolfo di Cambio una rinascita cit., pp. 55-56, 58. 492 Le arcate dei lati lunghi est ed ovest sono oggi ben comprensibili, mentre quelle del lato nord furono tamponate ed ospitano delle porte di dimensioni contenute. 493 PARDI, Il restauro del Palazzo papale cit., pp. 200, 201. 494 BONELLI, Il Palazzo papale di Orvieto cit., p. 214; FRANCHETTI PARDO, I Palazzi Papali di Orvieto cit., p. 21. 495 GIGLIOZZI, I palazzi del papa cit., pp. 166-168: le influenze padane potrebbero essere giunte attraverso i podestà e i capitani di provenienza nord italiana presenti in città nella seconda metà del XIII secolo, ma pure l’influsso cistercense ebbe qualche ruolo in questo scambio culturale. 496 FRANCHETTI PARDO, I Palazzi Papali di Orvieto cit., p. 20. 490 412 FABIO CODEN brica, ma contempla ugualmente una cornice marcapiano all’altezza delle imposte 497; un’altra cesura orizzontale si trova inoltre poco sotto la linea di gronda 498. I prospetti principali sono altresì scanditi da quattro robusti contrafforti che svettano per tutta l’altezza della parete 499. In posizione indipendente, di fronte al prospetto sud del duomo, con direzione est-ovest 500, si trova il cosiddetto Palazzo Soliano, edificato nel 1297 su commissione del Comune, per volontà di papa Bonifacio VIII 501, a seguito della sopraggiunta pace fra la Santa Sede e la città di Orvieto 502. La struttura d’insieme 503, che per nulla rassomiglia ai contigui edifici papali, è invero straordinariamente simile a quella del palazzo cittadino del Capitano 504, a tal punto che, oltre all’impianto generale, vennero riproposte addirittura soluzioni peculiari, come il ritmo delle aperture, il grande scalone e il terrazzo sostenuto da archi aggettanti, che fu addossato in un momento successivo alla testa minore ovest 505. Si tratta di un edificio di grandi dimensioni che prevede al piano terra un ambiente (37 x 16,30 m) suddiviso in due navate, disposte in senso longitudinale, voltate con botti ribassate, sorrette nella linea mediana da sette sostegni 506; cinque strette finestre a nord, sette a sud e due a est illuminano in modo assai contenuto il vano. Al piano superiore vi era l’enorme sala forse per i concistori e il conclave, coperta già in origine con 497 PARDI, Il restauro del Palazzo papale cit., p. 201. PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., pp. 311-312. 499 Il palazzo è analizzato con cura in GIGLIOZZI, I palazzi del papa cit., pp. 148 ss. 500 DAVANZO, Orvieto cit., pp. 891-892; PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., p. 312; FRANCHETTI PARDO, I Palazzi Papali di Orvieto cit., p. 22. 501 GIGLIOZZI, I palazzi del papa cit., p. 138; SATOLLI, Il duomo mascherato cit., pp. 27-28, 41-42. 502 BONELLI, Il Palazzo papale di Orvieto cit., pp. 211, 217; PARDI, Il restauro del Palazzo papale cit., p. 201; GIGLIOZZI, I palazzi del papa cit., pp. 138-139, 162 ss. Spiegazioni differenti sono fornite da LE POGAM, I palazzi papali cit., p. 58. 503 BONELLI, Il Palazzo papale di Orvieto cit., p. 217; PARDI, Il restauro del Palazzo papale cit., p. 201. Un maestro Janni è citato dalle fonti nel 1298, forse a soprintendere ai lavori di erezione di questa sontuosa residenza. 504 BONELLI, Il Palazzo papale di Orvieto cit., p. 219. 505 PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., p. 313; GIGLIOZZI, I palazzi del papa cit., p. 163; LE POGAM, I palazzi papali cit., p. 58. 506 GIGLIOZZI, I palazzi del papa cit., p. 162. 498 SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 413 tetto ligneo su possenti archi trasversi ogivali 507. Dieci ampie trifore in stretta sequenza – cinque a nord, una a ovest, quattro a sud – arricchiscono i prospetti, che risultano partiti in tre piani distinti: in basso un primo settore è caratterizzato da una muratura liscia, forata dalle porte di accesso e da semplici feritoie ad arco ribassato; una possente cornice aggettante introduce al piano delle eleganti e sobrie trifore, alla cui linea delle imposte si innesta un ulteriore analogo elemento; sopra, il muro continua piano senza ulteriori modanature, fino al coronamento sommitale di restauro 508. Questo edificio, che nell’intento originario doveva diventare la sede pontificia più rappresentativa in città, rimase incompiuto fino al XV secolo inoltrato, per mancanza di fondi e per lo spostamento della corte papale ad Avignone 509. NOTE SU ALCUNE OPERE DUECENTESCHE DI CARATTERE PUBBLICO Nel corso del Duecento in terra umbra furono pensate e realizzate alcune opere di valenza pubblica che assunsero nel contempo anche un forte significato civico, divenendo cardini nell’organizzazione dei nuovi assetti urbanistici, nonché punti focali ed identitari per le singole realtà. Fra gli interventi più importanti è necessario ricordare la realizzazione di acquedotti e di fontane pubbliche 510, il cui decoro assunse in questi anni anche un ruolo di esibizione dell’orgoglio cittadino 511. Nel 1241 entro le mura di Todi, nella parte bassa della città, fu fatta costruire dal podestà Scannabecco dei Fagnani da Bologna 507 Ibid., pp. 170-171. BONELLI, Il Palazzo papale di Orvieto cit., p. 218-219; GIGLIOZZI, I palazzi del papa cit., pp. 162-163; SATOLLI, Il duomo mascherato cit., pp. 71 ss. 509 Le fasi post duecentesche sono ben documentate in GIGLIOZZI, I palazzi del papa cit., pp. 138-139, 141, 163; PARDI, Edifici monumentali ad Orvieto cit., pp. 312-313; cfr. inoltre BONELLI, Il Palazzo papale di Orvieto cit., pp. 217-218; FRANCHETTI PARDO, I Palazzi Papali di Orvieto cit., pp. 21-22. 510 D. POLI, Acqua, Cupa e Parola, in Il linguaggio figurativo della Fontana Maggiore di Perugia, atti del Convegno di studi (Perugia, 14-16 febbraio 1994), a cura di C. SANTINI, Ponte San Giovanni (Perugia), 1996 (Ex aere tabualaria, 1), p. 27. 511 A. GROHMANN, La Fontana Maggiore: sintesi dei fermenti economici e sociali della città a metà del Duecento, in Il linguaggio figurativo della Fontana Maggiore cit., p. 55; GARIBALDI, Una rinascita nell’Umbria cit., p. 14. 508 414 FABIO CODEN una fonte che garantisse un regolare approvvigionamento di acqua. Nel fianco di un declivio fu predisposta un’ampia vasca coperta con otto volte a crociera, di cui sono ancora intuibili i profili, unificate sotto ad un unico tetto; capitelli a crochet di fattura assai rozza, ma di chiaro linguaggio gotico, delimitano le arcate sul fronte. Pochi anni dopo, a partire dal 1272, Orvieto vide la creazione di un acquedotto di particolare rilevanza, che convogliò l’acqua dalla fonte, difesa da un fortilizio, verso il centro della città 512; nel 1276 fu raggiunta Piazza Maggiore, dove una fontana in marmo rosso, con una conca di bronzo, ne concluse il percorso 513. Analogamente anche Perugia realizzò, fra gli anni Cinquanta e Settanta del XIII secolo, un acquedotto, del quale si era cominciato a discutere già a partire dal 1254 514, che assicurò un costante rifornimento di acqua, prelevata dal Monte Pacciano, distante sei chilometri dalla città. L’esecuzione della complessa opera idraulica fu dapprima affidata dal Comune a fra’ Plenerio e al maestro Bonomo di Filippo da Orte, ma le cospicue difficoltà incontrate consigliarono poi di rivolgersi a Boninsegna Veneziano, con la supervisione e il coordinamento di fra’ Bevignate 515. Il 13 febbraio 1278 questo poderoso intervento ingegneristico terminò il proprio tragitto al centro della Piazza Maggiore, per irrorare la sontuosa fontana che Nicola Pisano e il figlio Giovanni 516 avevano iniziato a costruire qualche tempo prima e che quasi certamente trovò compimento fra la fine del 1277 e l’inizio del 1278 517. 512 ROSSI CAPONERI, Il duomo e l’attività edilizia cit., pp. 30-32. DAVANZO, Il disegno e i disegni cit., p. 353. 514 M.R. SILVESTRELLI, “Super aquis habendis in civitate”. L’acquedotto di Montepacciano e la Fontana Maggiore, in Il linguaggio figurativo della Fontana Maggiore cit., pp. 74-75; A. BARTOLI LANGELI, L’iscrizione: i dati storici, materiali e grafici, in A. BARTOLI LANGELI, L. ZURLI, L’iscrizione in versi della fontana Maggiore di Perugia (1278), Roma, 1996 (Biblioteca del « Giornale italiano di filologia »), p. 11; M.R. SILVESTRELLI, Acqua per la città. Lo spazio perduto della fontana di Arnolfo, in Arnolfo di Cambio una rinascita cit., p. 113; V. CENCI, La Fontana Maggiore di Perugia. Restauri e Metodi Conservativi, Città di Castello, 2006, p. 23. 515 SILVESTRELLI, Super aquis cit., pp. 75, 77-78, 80, 84; SCARPELLINI, Perugia cit., p. 322; CENCI, La Fontana Maggiore cit. pp. 23-25. 516 P. CELLINI, Della Fontana Maggiore di Perugia, in Paragone. Arte, II, 15 (1951), p. 19; SCARPELLINI, Perugia cit., p. 317. 517 Piuttosto che ritenere l’enorme struttura finita in un solo anno in base ad una forzata lettura della documentazione, ovvero dal 1277 al 1278 (cfr. ad esempio SCARPELLINI, Pe513 SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 415 Simbolo riconoscibile delle virtù della città 518 e condensato della più raffinata cultura duecentesca, la Fontana Maggiore va sicuramente annoverata fra le più significative opere di arte pubblica del medioevo italiano 519. Un possente basamento circolare in conci ben squadrati di pietra, che corregge il dislivello della piazza, regge una sequenza di gradini, l’ultimo dei quali funge da appoggio alla grande opera d’arte 520: una struttura polimaterica assai complessa che svetta in altezza per numerosi metri, formata da elementi marmorei e metallici congiunti in una monumentale esibizione di maestria artistica e nel contempo di grande sapere tecnico 521. Il bacino inferiore, di forma poligonale, è organizzato in venticinque facce, ognuna delle quali ospita due lastre di marmo divise da una colonna; ogni lato è a propria volta identificato da tre stili accoppiati disposti a trifoglio. Le narrazioni presenti nei cinquanta rilievi si aprono con la storia della caduta, nella quale la responsabilità di Eva viene volutamente enfatizzata 522; alla cacciata dal Paradi- rugia cit., pp. 317, 321-322; BARTOLI LANGELI, L’iscrizione cit., p. 11), è maggiormente plausibile che questa sia stata iniziata qualche tempo prima e terminata entro il 1277, momento in cui il Comune chiese a fra’ Bevignate il percorso preciso dell’acquedotto fino al luogo specifico ove montare la fontana e gli accorgimenti tecnici da adottare. SILVESTRELLI, Super aquis cit., pp. 81-82; B. TOSCANO, Arnolfo, la fonte, la piazza: ipotesi e problemi, in Arnolfo di Cambio una rinascita cit., pp. 17-18. Cfr. inoltre L. BIANCHI, La Fontana di Perugia e il suo architetto, in atti del V Convegno nazionale di storia dell’architettura (Perugia, 1948), Firenze, 1957, pp. 517-520. 518 La monumentale opera sorse quindi in un cantiere straordinariamente articolato, che prevedeva la compartecipazione di personalità d’innegabile prestigio agli occhi dei contemporanei. BARTOLI LANGELI, L’iscrizione cit., p. 12. 519 BIANCHI, La Fontana di Perugia cit., pp. 305-306; GROHMANN, La Fontana Maggiore cit., pp. 50-52, 55, 57-58; C.B. VERZAR, The semiotics of the public monument in 13th- and 14th century city squares. Civic values and political authority: vox civitatis, in Arte d’Occidente, temi e metodi cit., pp. 260, 262; CENCI, La Fontana Maggiore cit., p. 15. 520 L. CENCIAIOLI, L’area del foro: presenze archeologiche, in Arnolfo di Cambio una rinascita cit., p. 104: scavi archeologici effettuati nella zona della fontana hanno permesso di verificare la consistenza della platea sottostante con le strutture di approvvigionamento dell’acqua. 521 Un’agile descrizione del monumento è offerta da CENCI, La Fontana Maggiore cit., pp. 16-20. 522 F.E. CONSOLINO, Tre mulieres perniciosae: Eva, Dalila e Salomè. Considerazioni sul programma iconografico della fontana Maggiore di Perugia, in Il linguaggio figurativo della Fontana Maggiore cit., pp. 221-222. 416 FABIO CODEN so, che segna l’avvento della vita terrena, seguono soggetti biblici e personaggi storici con significato morale, le allegorie dei dodici mesi con i relativi segni zodiacali, le personificazioni delle sette arti liberali e della filosofia 523, e infine le raffigurazioni di animali fantastici 524. Quattro serie di colonne reggono la vasca superiore 525, dodecagonale, il cui fronte ospita a propria volta ventiquattro doppie lastre neutre, due per ogni lato; ogni faccia, di andamento leggermente concavo, prevede tre statue, una al centro e due in corrispondenza degli spigoli, che mettono in opera un ulteriore livello narrativo. I personaggi rappresentati hanno anche in questo caso un forte valore simbolico, sia in riferimento alla città – a nord si trova la Heulixstes Perusine conditor urbis e nel lato opposto l’Augusta Perusia 526, nonché Matteo da Correggio ed Ermanno da Sassoferrato, magistrati in carica nel momento in cui si edificò l’opera – 527, sia relativamente al parallelo che viene stabilito fra Gerusalemme, identificata con Salomone, ad est, e il nuovo centro della cristianità, ovvero Roma ad ovest; personaggi del Vecchio e del Nuovo Testamento, nonché nove santi, concludono questa esibizione 528, seppure originariamente quasi con certezza erano disposti in un ordine differente 529. Lungo il bordo inferiore di questo catino è presente un’iscrizione in versi leonini che ricorda i nomi di coloro che contribuirono alla realizzazione di questo straordinario monumento, fra’ Bevignate in qualità di structor, Buoninsegna, addetto alle opere idrau523 Sull’argomento, con particolare riferimento alle fonti e alle rappresentazioni iconografiche, si veda F. STOK, La raffigurazione delle Arti liberali, in Il linguaggio figurativo della Fontana Maggiore cit., pp. 291-312. 524 BARTOLI LANGELI, L’iscrizione cit., pp. 13-15; CONSOLINO, Tre mulieres perniciosae cit., pp. 229-231. 525 Partendo dalla fila più esterna vi sono ventiquattro sostegni alternativamente a sezione quadrilobata e circolare; quindi, tredici colonnine nella seconda serie, seguite da dodici a sezione quadrilobata nella terza fila; vicini al possente pilastro centrale vi sono, infine, quattro colonne disposte a croce. 526 F. SCORZA BARCELLONA, I Santi della Fontana Maggiore di Perugia, in Il linguaggio figurativo della Fontana Maggiore cit., p. 272. 527 BARTOLI LANGELI, L’iscrizione cit., p. 12. I loro nomi compaiono anche sulla colonna che regge il catino bronzeo. 528 SCORZA BARCELLONA, I Santi della Fontana Maggiore cit., pp. 271 ss. 529 CONSOLINO, Tre mulieres perniciosae cit., pp. 231-233. SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 417 liche, e gli scultori Nicola e Giovanni Pisano 530, nella più schietta necessità di autoproclamazione 531. Al centro della seconda vasca si erge una colonna che sostiene un bacino di bronzo 532, all’interno del quale si trovano tre statue di portatrici d’acqua – forse personificazioni da leggere in chiave religiosa, oppure mitologica o addirittura sociale – 533, sopra alle quali si trovava fino a metà del secolo scorso un gruppo con due grifoni e due leoni 534; infine, alla sommità vi era una pigna, la fons vitae. La tipologia a più vasche sovrapposte è presente in alcune fontane cronologicamente vicine a quella perugina, documentate sia in territorio italiano, sia oltremontano, delle quali si possono ricordare il fonte del chiostro dell’abazia di Saint Denis 535, voluto dall’abate Ugo da Milano nei primi anni del XIII secolo, e quello perduto, un tempo nella piazza di Cortona, di cui rimane un prezioso disegno 536. 530 BIANCHI, La Fontana di Perugia cit., pp. 523-529; BARTOLI LANGELI, GIOVÈ MARCHIOLI, Le scritte incise cit., pp. 187-188; ZURLI, I dati formali cit., pp. 102-111. 531 L’imponente ed elegante apparato epigrafico, in versi, che occupa molte delle parti della fontana è analizzato da A. BARTOLI LANGELI, N. GIOVÈ MARCHIOLI, Le scritte incise della fontana Maggiore, in Il linguaggio figurativo della Fontana Maggiore cit., pp. 163, 167 ss., 176 ss., 179 ss., 183 ss, ma soprattutto BARTOLI LANGELI, L’iscrizione cit., pp. 15-23, 42-54 e L. ZURLI, I dati formali: il testo, in A. BARTOLI LANGELI, L. ZURLI, L’iscrizione in versi della fontana Maggiore cit., pp. 73-81. 532 Appena sotto al catino, nell’elegante nodo, è riportato il nome dell’esecutore di questa parte della fontana, Rubeus me fecit. BIANCHI, La Fontana di Perugia cit., pp. 508, 510; BARTOLI LANGELI, L’iscrizione cit., p. 13; BARTOLI LANGELI, GIOVÈ MARCHIOLI, Le scritte incise cit., pp. 167-168. 533 P. MERCURELLI SALARI, Portatrici d’acqua, in Arnolfo di Cambio una rinascita cit., pp. 230-231. 534 CELLINI, Della Fontana Maggiore cit., p. 18; F.I. NUCCIARELLI, Tre esercizi d’analisi iconologica: 1. Giuditta o Salomone? 2. I leoni e i grifi di bronzo 3. Il probabile modello di una formella, in Il linguaggio figurativo della Fontana Maggiore cit., pp. 239-243. P. MERCURELLI SALARI, Grifi e leoni alati, in Arnolfo di Cambio una rinascita cit., pp. 228-229. 535 Pure questa sontuosa opera fu voluta dalla cittadinanza. VOSS 1995, pp. 275-276; QUINTERIO, L’architettura del Due e del Trecento cit., pp. 204, 240-241. 536 F. SANTI, Di una scomparsa fontana duecentesca a Cortona e dei suoi rapporti con la Fontana Maggiore di Perugia, in Storia e arte in Umbria nell’età comunale cit., I, pp. 73-82. Il disegno, che si conserva presso la Biblioteca Comunale di Cortona, è riferibile al canonico Tomaso Braccioli, vissuto nella seconda metà del XVI secolo. Molti dei caratteri costruttivi della fontana toscana sono comparabili a quelli dell’episodio perugino, come la convessità delle lastre che compongono il bacino inferiore, la presenza di una vasca superiore su colonne, in questo caso con lastre lavorate a bassorilievo con le rappresentazioni dei dodici 418 FABIO CODEN Nel frattempo venne prevista un’altra fontana, quella degli Assetati 537, anch’essa destinata alla piazza Maggiore, ma in pede platee 538, per la quale fu chiamato un altro dei grandi artisti dell’epoca, Arnolfo di Cambio 539, giunto a Perugia su indicazione di fra’ Bevigante, su consenso di Carlo d’Angiò 540. L’opera, iniziata già a partire dal 1277 e conclusa in ogni sua parte nel 1281 541, ma presto smantellata 542, fu voluta non in contrapposizione a quella dei Pisano, ma nel più che probabile completamento di una pianificazione urbanistica di straordinario rilievo 543. Secondo alcune interpretazioni, questa sarebbe servita per adempiere alle necessità quotidiane della popolazione, e forse dovette essere di dimensioni e di struttura assai più semplici dell’altra, dal momento che lo scultore si trattenne in città solamente fra il gennaio e il febbraio di quell’anno per montare i pezzi precedentemente scolpiti 544; tuttavia, non è da escludere che nel contempo questo secondo fulcro mesi, nonché un catino in alto al centro del quale si trovava un elegante elemento verticale da cui sgorgava l’acqua. Quest’opera, collocabile nella seconda metà del XIII secolo, probabilmente iniziata nel 1278, fu demolita fra il 1530 e il 1550. 537 Sono di fondamentale importanza gli studi di G. NICCO FASOLA, La fontana di Perugia, Roma, 1951, di G. CUCCINI, Arnolfo di Cambio e la fontana di Perugia ”pedis platee” (percorsi umbri del maestro di Colle Val d’Elsa), Perugia, 1989, solo per citarne alcuni titoli della notevole bibliografia che interessa quest’opera. Per una valutazione sul dibattito critico si rimanda a CUCCINI, Arnolfo di Cambio e la fontana cit., pp. 15 ss. e A.M. ROMANINI, Arnolfo di Cambio e lo « stil novo » del gotico italiano, Milano, 1970, pp. 160-164. 538 Sulla collocazione di questa ulteriore fontana si veda CUCCINI, Arnolfo di Cambio e la fontana cit., pp. 52-58; SILVESTRELLI, Acqua per la città cit., pp. 116-118. 539 G. CUCCINI, Arnolfo di Cambio a Perugia, in Il linguaggio figurativo della Fontana Maggiore cit., p. 316. 540 E. CARLI, Arnolfo, Firenze 1993, pp. 61, 77; CUCCINI, Arnolfo di Cambio a Perugia cit., p. 317: SILVESTRELLI, Acqua per la città cit., p. 113. 541 P. CELLINI, Giuochi d’acqua a Perugia, Fra’ Bevignate e la fontanina di Arnolfo, in Paragone. Arte, XI, 127 (1960), pp. 4-6; SILVESTRELLI, Super aquis cit., p. 87; CUCCINI, Arnolfo di Cambio a Perugia cit., pp. 322-324; TOSCANO, Arnolfo, la fonte, la piazza cit., pp. 18-20. 542 A partire dal secolo seguente alla sua realizzazione la fontana fu smontata, per permettere alcune trasformazioni urbanistiche, e alcune sue sculture furono reimpiegate in nuovi contesti, mentre altre andarono disperse. La sua vita fu quindi di circa soli venticinque anni. CUCCINI, Arnolfo di Cambio a Perugia cit., pp. 327-328; TOSCANO, Arnolfo, la fonte, la piazza cit., p. 20; T. BIGANTI, I frammenti della fontana. Una storia di dispersioni, recuperi e ritrovamenti, in Arnolfo di Cambio una rinascita cit., p. 135. 543 SILVESTRELLI, Super aquis cit., p. 89; SCARPELLINI, Perugia cit., p. 317; GARIBALDI, Una rinascita nell’Umbria cit., p. 16; TOSCANO, Arnolfo, la fonte, la piazza cit., p. 16. 544 SCARPELLINI, Perugia cit., p. 322. SGUARDO D’INSIEME ALL’ARCHITETTURA UMBRA DEL DUECENTO 419 completasse quella parte di programma, non solo utilitaristico, che fin dall’origine aveva previsto uno sviluppo alle estremità della stessa piazza 545. Di sviluppo longitudinale, con un lato addossato ad un muro, prevedeva due vasche sovrapposte 546, appoggiate su alcuni gradini, un apparato scultoreo a bassorilievo, solo in parte sopravvissuto 547, bocchette indipendenti per la fuoriuscita dell’acqua e un bacino con catena: questo fu il luogo ove trovarono collocazione, seppure temporaneamente, anche il grifo e il leone di bronzo voluti dal Comune nel 1274 548. Anche a Spoleto, come in altri centri della regione, fu costruita intorno al 1279 una fonte 549, la cosiddetta fontana Orsini, di cui sarebbe sopravissuta solamente la tazza superiore con otto fori per le cannelle, per permettere il passaggio dell’acqua ai sottostanti elementi; inoltre, i resti di un basamento di forma circolare, con soprastanti gradini, rinvenuti a seguito di fortuiti scavi in piazza Duomo, sembrerebbero confermare che la struttura fosse particolarmente complessa, forse sul modello di quelle degli altri centri maggiori dell’Umbria 550. Ma l’opera idraulica che sicuramente rappresenta uno dei vertici dell’architettura ad uso civile del territorio umbro è il Ponte delle torri a Spoleto, databile verso la fine del XIII secolo 551, testimone 545 CUCCINI, Arnolfo di Cambio a Perugia cit., p. 315. Per realizzare la fontana fu necessario, oltre che reimpiegare materiale litico antico, anche acquistare marmi fuori dalla città. CUCCINI, Arnolfo di Cambio a Perugia cit., pp. 324-325; GARIBALDI, Una rinascita nell’Umbria cit., p. 16. Le varie teorie sull’aspetto di quest’opera sono riportate da B. SPERANDIO, La fontana di Arnolfo. Ipotesi di ricostruzione, in Arnolfo di Cambio una rinascita cit., pp. 218-221. Cfr. inoltre CARLI, Arnolfo cit., pp. 78-79. 547 M.R. SILVESTRELLI, La fontana di Arnolfo, in Arnolfo di Cambio una rinascita cit., pp. 206-213, a cui si rimanda anche per la cospicua bibliografia precedente. 548 CELLINI, Giuochi d’acqua cit., pp. 20 ss.; CUCCINI, Arnolfo di Cambio e la fontana cit., pp. 63-82; CARLI, Arnolfo cit., p. 78; M.R. SILVESTRELLI, Grifo. Leone, in Arnolfo di Cambio una rinascita cit., pp. 222-225. 549 GARIBALDI, Una rinascita nell’Umbria cit., p. 14. 550 B. TOSCANO, Fontana Orsini, in Arnolfo di Cambio una rinascita cit., pp. 236-237 e B. SPERANDIO, Fontana Orsini, in Arnolfo di Cambio una rinascita cit., p. 238. 551 Nonostante l’indubbia importanza il monumento risulta esser uno dei meno documentati della città, motivazione che indusse in passato ad ascriverlo a cronologie assai differenziate; sullo scorcio del XIV secolo, tuttavia, furono necessari dei lavori di restauro (S. 546 420 FABIO CODEN indiscutibile dell’importanza economica che la città aveva raggiunto in quegli anni 552. La struttura, lunga circa 230 m, è composta da piloni quadrangolari, congiunti da archi a sesto acuto, che permettono di superare un dislivello di ben 82 m 553: le quattro arcate verso le sorgenti di Cortaccione sono di dimensioni assai più contenute rispetto alle seguenti cinque, che mostrano una luce più che doppia 554, mentre archi di scarico ad altezze intermedie furono previsti per consentire una più efficace tenuta statica 555. All’interno dei due piloni centrali, la cui base è di ampiezza maggiore rispetto a quella degli altri, furono previsti degli ambienti, la cui funzione potrebbe essere collegata a necessità di vedetta o, più semplicemente, a fini pratici non più individuabili 556. NESSI, Nuovi documenti sulle arti cit., pp. 79-80). È plausibile che l’opera sia da mettere in relazione con i lavori, intrapresi nel 1297, di erezione della nuova cinta muraria, la quale altresì si raccordava al ponte-acquedotto. TOSCANO, Spoleto in pietre cit., p. XVIII; RIGHETTI TOSTI-CROCE, Spunti di ricerca cit., pp. 751, 752; G. DE ANGELIS D’OSSAT, La cinta urbica e il Ponte delle Torri: interpretazione e problemi, in Spoleto, argomenti di storia urbana, a cura di G. DE ANGELIS D’OSSAT, B. TOSCANO, Cinisello Balsamo, 1985, pp. 59, 71; GENTILI, GIACCHÈ, RAGNI, TOSCANO, L’Umbria cit., pp. 16, 432-433. 552 ROMANINI, Tracce per una storia dell’architettura cit., p. 734; ROMANINI, Il francescanesimo nell’arte cit., pp. 182-183; SAVI, Spoleto cit., p. 814. 553 Le tracce delle pontate sembrano facilmente individuabili sulla muratura ad altezze non sempre costanti, a conferma che la maggior parte dei piloni fu eretta in modo indipendente; maggiore uniformità è visibile solo a partire dal settore inferiore a quello delle imposte, per ovvie necessità di cantiere. 554 Per i caratteri di quest’opera si veda TOSCANO, Spoleto in pietre cit., pp. 202-204. 555 RIGHETTI TOSTI-CROCE, Spunti di ricerca cit., p. 252. 556 È stato recentemente proposto che i due elementi in questione possano essere internamente cavi. GENTILI, GIACCHÈ, RAGNI, TOSCANO, L’Umbria cit., p. 433; DE ANGELIS D’OSSAT, La cinta urbica cit., p. 71. F. CODEN TAV. I Fig. 1 - Bevagna, San Silvestro, facciata Fig. 2 - Bevagna, San Michele, facciata TAV. II Fig. 4 - Foligno, San Giovanni Proiamma, facciata F. CODEN Fig. 3 - Foligno, cattedrale, facciata laterale F. CODEN TAV. III Fig. 5 - Assisi, San Ruino, facciata Fig. 6 - Assisi, San Ruino, particolare della decorazione del fronte TAV. IV F. CODEN Fig. 7 - Assisi, San Pietro, facciata Fig. 8 - Assisi, San Pietro, particolare della navata principale F. CODEN TAV. V Fig. 9 - Perugia, San Bevignate, esterno Fig. 10 - Perugia, Santa Maria di Valdiponte a Montelabate, iancata nord TAV. VI F. CODEN Fig. 11 - Perugia, Sant’Ercolano, esterno Fig. 12 - Gubbio, Santi Giacomo e Mariano, interno F. CODEN TAV. VII Fig. 13 - Gubbio, San Giovanni, interno Fig. 14 - Gubbio, Santa Maria Nuova, facciata TAV. VIII F. CODEN Fig. 15 - Todi, cattedrale, catino absidale Fig. 16 - Todi, cattedrale, catino absidale, particolare della cornice F. CODEN TAV. IX Fig. 17 - Spoleto, cattedrale, fronte Fig. 18 - Spoleto, cattedrale, particolare del timpano TAV. X F. CODEN Fig. 19 - Spoleto, San Paolo inter vineas, facciata Fig. 20 - Spoleto, San Paolo inter vineas, particolare della cornice marcapiano del fronte F. CODEN TAV. XI Fig. 21 - Orvieto, Santi Severo e Martirio, avancorpo della chiesa abbaziale Fig. 22 - Orvieto, Santi Severo e Martirio, ambiente monastico TAV. XII F. CODEN Fig. 23 - Orvieto, cattedrale, interno Fig. 24 - Orvieto, cattedrale, interno, particolare della navata principale e del transetto F. CODEN TAV. XIII Fig. 25 - Assisi, San Damiano, interno verso il catino absidale Fig. 26 - Assisi, San Damiano, esterno, facciata TAV. XIV F. CODEN Fig. 27 - Assisi, San Francesco, pianta Fig. 28 - Assisi, San Francesco, facciata F. CODEN TAV. XV Fig. 29 - Assisi, Santa Chiara, pianta Fig. 30 - Assisi, Santa Chiara, facciata TAV. XVI F. CODEN Fig. 31 - Orvieto, San Francesco, pianta Fig. 32 - Perugia, Santa Maria di Monteluce, facciata F. CODEN TAV. XVII Fig. 33 - Gubbio, San Francesco, facciata Fig. 34 - Gubbio, San Francesco, interno TAV. XVIII F. CODEN Fig. 35 - Terni, San Francesco, pianta Fig. 36 - Gualdo Tadino, San Francesco, interno, parte orientale F. CODEN TAV. XIX Fig. 37 - San Gemini, San Francesco, pianta Fig. 38 - San Gemini, San Francesco, vista verso il catino TAV. XX F. CODEN Fig. 39 - Todi, San Fortunato, pianta Fig. 40 - Todi, San Fortunato, vista verso il capocroce F. CODEN TAV. XXI Fig. 41 - Perugia, San Domenico vecchio, facciata Fig. 42 - Perugia, San Domenico vecchio, portale maggiore TAV. XXII F. CODEN Fig. 43 - Orvieto, San Domenico, pianta Fig. 44 - Orvieto, San Domenico, cappella laterale F. CODEN TAV. XXIII Fig. 45 - Foligno, San Domenico, pianta Fig. 46 - Foligno, San Domenico, facciata TAV. XXIV F. CODEN Fig. 47 - Foligno, San Domenico, interno verso la controfacciata Fig. 48 - Spoleto, San Domenico, pianta F. CODEN TAV. XXV Fig. 49 - Spoleto, San Domenico, interno verso il capocroce Fig. 50 - Gubbio, Sant’Agostino, interno verso il capo croce TAV. XXVI F. CODEN Fig. 51 - Orvieto, complesso di Sant’Agostino Fig. 52 - Montefalco, Sant’Agostino, facciata F. CODEN TAV. XXVII Fig. 53 - Montefalco, Sant’Agostino interno verso il catino absidale Fig. 54 - Todi, Piazza Maggiore TAV. XXVIII F. CODEN Fig. 55 - Bevagna, Palazzo dei Consoli Fig. 56 - Orvieto, Palazzo del Capitano F. CODEN TAV. XXIX Fig. 57 - Assisi, Palazzo del Capitano Fig. 58 - Perugia, Palazzo dei Priori, esterno TAV. XXX F. CODEN Fig. 59 - Perugia, Palazzo dei Priori, Sala dei Notari Fig. 60 - Orvieto, complesso dei palazzi papali F. CODEN TAV. XXXI Fig. 61 - Orvieto, palazzo di Martino IV Fig. 62 - Orvieto, Palazzo Soliano TAV. XXXII F. CODEN Fig. 63 - Perugia, Fontana Maggiore Fig. 64 - Spoleto, Ponte delle Torri