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Problemi matematici delle teorie quantistiche

Relazione per il Convegno GNAFA -CNR, Rimini 1977 In: Atti Convegno GNAFA, Rimini (1977) Quaderno CNR, 9-103

Problemi matematici delle teorie quantistiche L. Accardi Laboratorio di Cibernetica del CNR - Arcofelice (Napoli) Relazione per il Convegno GNAFA - CNR, Rimini 1977 In: Atti Convegno GNAFA, Rimini (1977) Quaderno CNR, 9-103 Indice 1 Introduzione 1 2 Descrizione classica e guantistica di un sistema: schema generale 2 3 Quantizzazione di Schrodinger 4 4 L’algoritmo di quantizzazione 7 5 Quantizzazione di Heisenberg 8 6 Il teorema di Stone–von Neumann 9 7 Regole di commutazione di Heisenberg e covarianza euclidea 10 8 Sistemi hamiltoniani lineari 12 9 Esponenziale di uno spazio di Hilbert 18 10 L’isomorfismo di Wiener-Segal 21 11 Il funtore quantizzazione lineare 23 12 Probabilità quantistica (non–commutativa) 25 13 I processi stocastici sono algebre locali 27 14 Attese e quasi-attese condizionate 32 15 Equivalenza tra markovianità e località 35 16 Processi di Markof non-commutativi 37 17 Struttura dei processi di Markov non-commutativi parametrizzati da R+ 39 18 Attese di transizione e evoluzioni quantistiche: il teorema di Lindblad 40 1 19 La teoria quantistica non relativistica e il processo di misura sono processi di Markof non-commutativi 42 20 Processi i Markof non-commutativi con parametro discreto: esempi 46 Questa è una versione ridotta della relazione da me preparata in occasione del Convegno GNAFA (Rimini, Ottobre 1977). La maggior parte del materiale escluso riguarda la quantizzazione su varietà, proprietà di struttura degli stati di Markof quantistici discreti, l’approccio di Feynman, la formula di FeynmanKac non commutativa. La versione integrale della relazione sarà pubblicata separatamente. 1 Introduzione Il tentativo di superare i limiti e le contraddizioni della fisica classica emersi nel corso del diciannovesimo secolo è sfociato, agli inizi del ventesimo, in due rivoluzioni scientifiche che hanno mutato alla radice la nostra concezione della natura: la teoria della relatività e la teoria quantistica. La prima ha impostato su basi completamente nuove i rapporti tra spazio e tempo, materia ed energia; la seconda ha conciliato la disputa antica tra i punti di vista del discreto e del continuo nella descrizione della natura. Il tentativo di sintetizzare queste due linee di pensiero ha condotto alla scoperta dell’antimateria, che ha sconvolto il concetto stesso diindividualità di un sistema, con conseguenze, filosofiche e pratiche, certamente paragonabili a quelle derivanti dalla teoria della relatività. Nonostante questi grandi successi una sintesi completa e soddisfacente delle due teorie, cioè la costruzione di una teoria quantistica compatibile con le esigenze di covarianza, località é causalità poste àalla teoria della relatività (speciale o generale) ancora elude gli sforzi dei numerosi ricercatori dedicatisi, negli ultimi cinquant’anni, a questo programma. Fin dalle sue origini la teoria quantistica ha interagito con i settori più avanzati dell’analisi matematica e la fecondità di questa interazione è stata tale da giustificare pienamente l’affermazione di I.M. Gelfand al congress internazionale di Amsterdam: ”... the study of mathematical problems connected with quantum mechanics was a turning point in the development of.functional analysis itself and at the present time, to a great extent, it determines the main paths for its development ... Scopo di questo lavoro è discutere alcuni aspetti di questa interazione alla luce del programma menzionato sopra e dal punto di vista matematico che in essa cerca ispirazione filosofica per indirizzare la sua attività, problemi concreti per misurare e potenziare le sue tecniche, stimoli per crearne di nuove. La parzialità di questo punto di vista potrà essere superata soltanto con una interazione con il mondo fisico più profonda di quanto le strutture scientifiche attuali sembrino consentire. La suddivisione del lavoro in due parti, concernenti rispettivamente la teoria 2 non-relativistica e quella relativistica non rispecchia due categorie concettualmente distinte, ma solo la necessità di organizzare il materiale disponibile. Al contrario, la tesi che cercheremo di fare emergere, e che costituirà il filo conduttore di questa esposizione, è che il tentativo di comprendere i fondamenti concettuali e di potenziare l’apparato analitico della teoria quantistica nonrelativistica conduce naturalmente a porsi il problema della costruzione di una teoria quantistica relativistica. La presente esposizione vuole essere unl introduzione agli aspetti qualitativi del problema della quantizzazione e del concetto di processo stocastico, in particolare markoviano, in teoria quantistica e non ha pretese di completezza. 2 Descrizione classica e guantistica di un sistema: schema generale In meccanica classica non-relativistica la descrizione di un sistema fisico si effettua mediante l’assegnazione di uno spazio S - degli stati del sistema. Le grandezze osservabili associate al sistema sono rappresentate da un certo insieme di funzioni reali su S. L’evoluzione temporale del sistema è descritta da una famiglia a due parametri di operatori T (t, s) : S → S ; s≤t T (s, s) = id ; T (t, s) · T (s, r) = T (t, r) ; r≤s≤t (una tale famiglia sarà detta una evoluzione su S). Il valore di una qualsiasi osservabile f a un tempo t qualsiasi è determinato dalla conoscenza dello stato x del sistema a un istante di tempo s ≤ t mediante la formula: f (T (t, s)x) = valore di f all’istante t se lo stato del sistema all’istante s ≤ t è x In generale lo spazio S è dotato di una struttura (misurabile, topologica, di varietà, . . .) e si richiede che le funzioni f ∈ A e gli operatori T (s, t) siano compatibili con questa struttura. In meccanica quantistica lo schema generale è lo stesso, nel senso che ancora gli oggetti fondamentali della teoria sono un insieme di osservabili, un insieme di stati e un’evoluzione sullo spazio degli stati. Ciò che cambia radicalmente è il modello matematico di questi oggetti. In effetti, in teoria quantistica: i1) le osservabili di un sistema fisico sono rappresentate da operatori auto– aggiunti su uno spazio di Hilbert complesso separabile H. i2) Gli stati del sistema sono rappresentati da vettori di norma 1 di H (i due vettori ψ1 , ψ2 finiscono lo stesso stato se e solo se αψ1 = ψ2 ; α ∈∈; / |α| = 1). Più precisamente questi sono gli stati puri del sistema. Nella prima parte della presente esposizione considereremo solo stati di questo tipo. i3) Tutte le affermazioni della teoria sono riducibili a espressioni del tipo (cf. [55], cap. 5) Expψ̄ (Ā) = Valore medio (o valori di attesa) della osservabile Ā nello stato ψ̄ = hψ, Aψi 3 dove h·, ·i denota il prodotto scalare in H; ψ̄ (risp. Ā) è uno stato (risp. una osservabile) del sistema e ψ (risp. A) è il vettore di H (risp. l’operatore autoaggiunto su H) corrispondente. Nel seguito identificheremo stati e osservabili con i loro corrispondenti matematici. Le prescrizioni della teoria descrivono l’evoluzione temporale di uno stato mediante un operatore (lineare) unitario u(t, s) : H → H ; s≤t u(s, s) = id; u(t, s) · u(s, r) = u(t, r) r≤s≤t ; e quindi i valori d’attesa di una osservabile in uno stato in tempi diversi: hu(t, s)ψ, Au(t, s)ψi = valore di attesa, all’istante t, della osservabile A nell’ipotesi che, all’istante s, il sistema fosse nello stato ψ Esempio 1. H = L2C (R3 ); x ∈ R3 rappresenta la posizione di una particella; A = operatore di moltiplicazione per χE dove E ⊆ R3 è un boreliano e χE la sua funzione caratteristica; ψ ∈ L2 (R3 )|, |ψ|| = 1; (ut )t∈R è un gruppo unitario a un parametro; ψt = ut ψ; h·, ·i è il prodotto scalare in L2R (R3 ) Z < ut ψ, Aut ψi = kχE ψ.t k2 = |ψ(x)|2 dx = E Probabilità che all’istante t la particella si trovi nella regione E ⊆ R3 se all’istante 0 essa si trovava nello stato quantistico ψ Esempio 2. Nelle notazioni dell’Esempio 1. B = Pϕ = |ϕihϕ|; Pϕ (ψ) = ∠ϕ, ψiϕ ; ψ, ϕ ∈ L2 (R3 ) iut ψ, But ψh= |iψ, u∗t ϕh|2 = P (ϕ, t|ψ; 0) = Probabilità condizionata (o di transizione) che la particella all’istante t si trovi nello stato quantistico ϕ posto che all’istante 0 essa si trovasse nello stato quantisticoψ Osservazione. E’ un fatto noto che la definizione di probabilità condizionata presuppone quello di probabilità congiunta. Perciò l’interpretaione della espressione | < ψ, u∗t ϕi|2 come probabilità condizionata è giustificata matematicamente solo s e si dispone di un formalismo quantistico coerente per le probabilità congiunte relative a istanti di tempo diversi (cf. i N. 11, 12, 18). Un’altra importante caratteristica comune alle descrizioni classica e quantistica è il fatto che le proprietà di simmetria spaziale del sistema vengono definite dall’azione di particolari gruppi sullo spazio degli stati e le proprietà di simmetria temporale - dalle corrispondenti simmetrie nella evoluzione. Per esempio: l’indipendenza della legge di evoluzione dall’istante iniziale si esprime: u(s + r, t + r) = u(s, t) 4 (1) quindi u(s, t) = u(t − s) e l’evoluzione è un semi–gruppo; la reversibilità temporale dell’evoluzione: u(s, r) = u(r, s)−1 (2) quindi, se valgono (1) e (2) - come sarà supposto d’ora in avanti, salvo esplicito avviso contrario - l’evoluzione è determinata da un gruppo a un parametro di automorfismi dello spazio degli stati: il gruppo dinamico del sistema. Le proprietà elencate sopra, sia nel caso classico che in quello quantistico, definiscono due schemi generali di descrizione dei sistemi fisici. Per passare dallo schema generale alla descrizione effettiva del singolo sistema fisico occorre fornire delle prescrizioni che permettano di costruire esplicitamente lo spazio degli stati del sistema e il suo operatore di evoluzione a partire dalle caratteristiche fisiche del sistema stesso. Mentre il formalismo generale della meccanica guantistica (definito dalle proprietà i1), i2), i3) elencate sopra e il principio dinamico) può essere descritto indipendentemente dal corrispondente formalsmo classico, le prescrizioni che ad un determinato sistema fisico associano la sua descrizione quantistica non possono essere assegnate indipendentemente dalle corrispondenti prescrizioni classiche. Vale a dire: la descrizione quantistica di un determinato sistema fisico si effettua in due tappe: 1.) si considera una descrizione classica del sistema fisico assegnato; 2.) si passa dalla descrizione classica alla descrizione quantistica. Le prescrizioni che permettono di passare da 1) a 2) si chiamano regole di quantizzazione. Storicamente il formalismo della Meccanica Quantistica si è sviluppato in stretta analogia con quello della descrizione Hamiltoniana di un sistema di n particelle (una descrizione dettagliata dello sviluppo storico della teoria quantistica è contenuta in [30]). 3 Quantizzazione di Schrodinger La descrizione hamiltoniana di un sistema isolato con n gradi di libertà e senza vincoli si effettua, nello spazio delle fasi Rn xRn , mediante l’assegnazione di una funzione H : Rn xRn → R detta hamiltoniana, che rappresenta l’energia totale del sistema. Il moto del sistema si svolge su una superficie di energia costante H(qt , pt ) = E ; (qt , pt ) ∈ Rn xRn ; t∈R ed è definito dalla legge di evoluzione: d ft = (ft , H); dt ft = f (qt , pt ); 5 Ht = H (3) dove f : Rn × Rn → R è una qualsiasi osservabile e { · , · } denota le parentesi di Poisson:  n  X ∂f ∂g ∂f ∂g − {f, g} = ∂qJ ∂pJ ∂pJ ∂qJ j=1 La quantizzazione di Schrodinger di un tale sistema si effettua secondo le seguenti prescrizioni: (i) lo spazio degli stati quantistici è L2C (Rn , dx) ≡ L2 (Rn ) dx = misura di Lebésgue. (ii) ad ogni osservabile classica f : Rn xRn → R è associata la osservabile quantistica f¯ ottenuta dalla espressione f (q, p) = f (q1 , · · · , qn ; p1 , · · · , pn ) mediante le sostituzioni formali: qj → Q j ; (Qj f )(q1 , · · · , qn ) = qj · f (q1 , · · · , qn ); f ∈ L2 (Rn ) p j → Pj ; Pj = ~ ∂ i ∂qj (iii) La legge del moto quantistica è definita da: d i At = − [At , H̄] dt ~ ; H̄t = H̄ (4) dove H̄ = H̄(Q, P ) è l’operatore corrispondente all’hamiltoniana classica H secondo la prescrizione (ii); At è una qualsiasi osservabile quantistica (operatore auto-aggiunto); [a, b] = −ab − ba qui e nel seguito denoterà il commutatore tra a e b; e ~ = h/2π dove h è la costante di Plank (cf.[55] ,[58]). La soluzione generale dell’equazione (4) è: At = eitH̄/~ · A0 · e−itH̄/~ (5) dove A0 è il dato iniziale. La dualità hψ0 , At ψ0 i = hψt , A0 ψt i ; ψ0 , ψt ∈ L2 (Rn ) (6) stabilisce una equivalenza tra l’evoluzione (5) delle osservabili e l’evoluzione ψt = e−itH̄/~ ψ0 ; ψ0 ∈ L2 (Rn ) (7) sullo spazio degli stati. Quest’ultima, in forma differenziale, si scrive d 1 ψt = H̄ψt dt i~ (8) Considerando la ψt (x) come una funzione delle variabili (x, t), nella (8) la derivata rispetto al tempo diviene formalmente una derivata parziale. Si ha allora: H̄ψt = i~ 6 ∂ ψt ∂t (9) che rappresenta la versione quantizzata della relazione. H(q, p) = E mediante le sostituzioni formali (ii) e E → i~ ∂ ∂t (10) La (9) - che è formalmente equivalente alla (4) - è la forma consueta della equazione di Schrodinger; nella pratica è in questa forma che viene assegnata la legge del moto di un sistema quantistico. Riassumendo, lo schema della quantizzazione di Schrodinger è: i1.) S = Rn × Rn (spazio delle fasi) → H = L2 (Rn ) i2.) qj , pj coordinate canoniche fissate qj → Q j = molt. per la j–esima coord. p j → Pj = ~ ∂ i ∂qj f (qj , pj ) osservabile class. → f (Qj , Pj ) oss. quant. J i3.) H(qj , pj ) = E → H(Qj , Pj )ψ = i~ ∂ ψ ∂t Esempio. n = 1; oscillatore armonico. H= 1 2 1 2 2 p + ω q 2 2 ; (ω ∈ R) hamiltoniana classica 1 (~)2 d2 + ω 2 q 2 ; hamiltoniana quantistica 2 dq 2 2    ω 2 d2 i ∂ − 2+ q 2 ψ(q, t) = ψ(q, t) eq. del moto dq ~ ~ ∂t H̄ = − 4 L’algoritmo di quantizzazione Le prescrizioni di quantizzazione formulate al No. precedente contengono delle ambiguità. In effetti gli operatori Qj e Pj sono operatori simmetrici illimitati su L2 (Rn ) che non commutano tra loro. Pertanto la corrispondenza formale f = f (qj , pj ) → f¯ = f (Qj , Pj ) è mal definita per due motivi: innanzi tutto le espressioni classiche del tipo X X n k nk 1 n2 n 2 qjn1 pm ne = n; me = m j qj pj · ... · qj pj : 7 coincidono con q n pm , mentre ciò non è vero per le espressioni quantistiche corrispondenti secondo la regola (ii) Qnj 1 Pjm1 · ... · Qnj k Pjmk In secondo luogo le sostituzioni formali qj → Qj ; pj → Pj nell’espressione di una funzione f (q, p) - per es. un polinomio nelle qj e pj - danno luogo ad un operatore f che non è neanche formalmente auto–aggiunto e quindi non corrisponde - neanche formalmente - ad una osservabile quantistica. Una classe importante di osservabili classiche in cui queste ambiguità formali non si presentano è data dalle funzioni del tipo f (p, q) = g1 (p) + g2 (q) Per esempio una importante famiglia di hamiltoniane classiche è del tipo: n H(q1 , · · · , qn ; p1 , · · · , pn )? 1 X 2 p + V (q1 , · · · , qn ) 2m j=1 j dove V : Rn → R è una funzione. In questi casi le hamiltoniane quantistiche corrispondenti sono ben definite come operatori formalmente simmetrici su L2 (Rn ) H̄ −  (~)2 ∆ + V̄ (Q1 , · · · , Qn ) 2m ∂2 ∂2 ∆ = 2 + · · · + 2 ; V̄ (Q1 , · · · , Qn ) = ∂q1 ∂qn operatore di moltiplicazione per V  Tuttavia per associare a tali operatori una osservabi1e quantistica cioè un operatore auto-aggiunto) occorrerà considerare estensioni auto-aggiunte dei suddetti operatori e la possibile non unicità di tali estensioni auto–aggiunte all’ origine di una altra ambiguità dell’algoritmo di quantizzazione come definito dalle regole elencate al No.1. L’analisi di questo tipo di ambiguità ha dato origine ad una linea di ricerca sul problema della essenziale auto–aggiuntezza della somma di due operatori autoaggiunti. Tale problematica non sarà discussa qui. Una esposizione estremamente lucida e la corrispondente bibliografia si può trovare nelle lezioni di W. Faris [2.2]). 5 Quantizzazione di Heisenberg Il punto di partenza per la quantizzazione di Heisenberg è lo stesso che per quella di Schrödinger: la descrizione hamiltoniana di un sistema di n particelle. Le prescrizioni sono apparentemente diverse, e cioè: quantizzare un sistema con hamiltoniana classica H(q, p) = H(q1 , · · · , qn ; p1 , · · · , pn ) significa stabilire una corrispondenza qj → Q j pj → Pj 8 (11) tra le variabili dinamiche del sistema (qj , pj ) e 2n operatori auto–aggiunti Qj , Pj su uno spazio di Hilbert complesso separabile H, tale che: (j) siano soddisfatte le regole di commutazione [Qj , pe ] = 1~δej [Qj , Qk ] = [Pj , Pk ] = 0 (12) (jj) L’operatore H̄ ottenuto mediante la sostituzione formale H(qj , pj ) → H(Qj , Pj ) = H̄ sia essenzialmente auto-aggiunto. Le relazioni (12) vengono chiamate relazioni di commutazione canoniche (o di Heisenberg). Un insieme di operatori auto-aggiunti Qj , Pj su uno spazio di Hilbert–H che soddisfa le (12) viene detto una rappresentazione delle regole di commutazione canoniche. Gli operatori Qj , Pj saranno operatori illimitati (cf. N 5), quindi una formulazione precisa delle regole di commutazione di Heisenberg richiede che si specifichi un sottoinsieme dello spazio Hilbert H dove si suppone che queste valgano (nel N. 5 torneremo su questo punto). L’osservazione che, sullo spazio di Hilbert L2 (Rn ), gli operatori Qj = moltiplicazione per la j-esima coordinata; Pj = (~/i)∂/∂qj definiscono una rappresentazione delle regole di Heisenberg, è dovuta a Schrödinger [42] e (in una lettera a Jordan pubblicata recentemente [53]) a Pauli. Questa rappresentazione viene chiamata ”rappresentazione di Schrodinger delle regole di commutazione canoniche. Il fatto che ogni rappresentazione delle regole di commutazione di Heisenberg (nella forma di Weyl - cf. N.5) sia, a meno di isomorfismi unitari, una somma diretta di rappresentazioni di Schrodinger, è un teorema fondamentale di analisi funzionale dovuto a M.H. Stone [49] e a J. von Neumann [56]. Riassumendo/lo schema di quantizzazione di Heisenberg-Dirac è: i1.) S = Rn × R sp. delle fasi classico → sp. di Hilbert (a priori qualsiasi) i2.) qj , pj coordinate fissate in S → Qj , Pj operatori auto–aggiunti che soddisfano (12) su un appropriato dominio f (qj , pj ) oss. class. →′′ f (Qj , Pj )′′ oss. quant. i3.) d i d ft = {ft , H} legge del moto class. → At = − [At , H] dt dt ~ 9 legge del moto quant. 6 Il teorema di Stone–von Neumann Se Qj , Pj sono una rappresentazione delle regole di commutazione di He1senberg su uno spazio di Hilbert complesso H, essi definiscono 2n semigruppi a un parametro di operatori unitari (j) Vt = eitPj (j) ; Ut = eitQj j = 1, · · · , n ; (13) Le regole di commutazione di Heisenberg sono formalmente equivalenti a: (j) (j) Vt Us(k) = eiht···δjk · Us(k) · Vt (k) Us(j) · Ut (k) = Ut · Us(j) ; j, k = 1, · · · , n ; (k) Vs(j) · Vt (k) = Vt Vs(j) (14) (15) come si vede, per esempio, considerando l’identità formale (cf. per es. [19]): 1 eA · E B = eA+B+ 2 [A,B] (16) valida (formalmente - cioè a prescindere da questioni concernenti i domini di definizione degli operatori coinvolti) per ogni coppia di operatori auto-aggiunti A, B il cui commutatore [A, B] commuta sia con A che con B. In particolare da (15) segue che le applicazioni (2) (1) (n) t = (t1 , · · · , tn ) 7−→ Vt = Vt1 · Vt2 · · · · · Vtn (n) s = (s1 , · · · , sn ) 7−→ Us = Us(1) · · · · · U tn 1 definiscono due gruppi unitari a n parametri (rappresentazioni unitarie fortemente continue di Rn ) su H i quali, a causa di (14) soddisfano: Vt · Us = eihs·t Us · Vt ; s·t= n X s j tj (17) j=1 Inversamente, due rappresentazioni unitarie fortemente continue (Us ), (Vt ) di Rn su uno spazio di Hilbert H definiscono, attraverso il teorema di Stone, 2n operatori Qj , Pj - generatori infinitesimi dei gruppi a un parametro (j) Vtj = V(0,···,0,tj ,0,···,0) Us(j) = U(0,···,0,sj ,0,···,0) j che, a causa di (17) soddisfano formalmente le regole di commutazione di Heisenberg. Per esempio, nel caso della rappresentazione di Schrodinger le rappresentazioni U e V di Rn su L2 (Rn ) sono definite da: (Us f )(x) = eis·x f (x) (Vt f )(x) = f (x + t) 10 (18) k = 1; x = (x1 , · · · , xn ); t = (t1 , · · · , tn ); s = (s1 , · · · , sn ); s·x= n X s j xj j=1 La forma (17) delle regole di commutazione di Heisenberg è dovuta a H. Weyl [58]. La sua importanza sta nel fatto che essa coinvolge soltanto operatori limitati e quindi evita le questioni di dominio che intervengono nella formulazione delle regole di commutazione di Heisenberg. Una coppia U ′ , V ′ di rappresentazioni unitarie di Rn sullo spazio di Hilbert complesso H sarà detta equivalente alla coppia U , V su H se esiste un operatore unitario S:H→H tale che: SVt S ∗ = Vt′ ; SUt S ∗ = Ut′ ; t ∈ Rn (19) La rappresentazione U , V su H delle regole di commutazione nella forma di Weyl sarà detta irriducibile se {u, v}′ = {a ∈ B(H) : aVs = Vs a ; aUs = Us a; ∀s ∈ Rn } = C · 1 cioè se soltanto i multipli dell’identità commutano con tutti gli operatori Us , Vs (s ∈ Rn ). Theorem 1 Teorema (Stone-von Neumann). Ogni rappresentazione delle regole di commutaz1one canoniche nella forma di Weyl è equivalente a una somma diretta (discreta) di rappresentazioni di Schrodinger. Osservazione 1.)La considerazione delle regole di commutazione nella forma di Weyl è essenziale ai fini del teorema. In effetti è facile costruire controesempi che mostrano che esistono rappresentazioni inequivalenti delle regole di commutazione nella forma (12) di Heinseberg. 7 Regole di commutazione di Heisenberg e covarianza euclidea Sia U , V una rappresentazione delle regole di commutazione su uno spazio di Hilbert H. Per il teorema di Stone esistono n operatori auto–aggiunti Q1 , · · · , Qn tali che: Pn ut = eit·Q = ei J=1 tJ QJ (20) e, per il teorema spettrale e it·Q = Z eit·τ Rn 11 P (dτ ) (21) dove P (dτ ) = P1 (dτ1 ) ⊗ · · · Pn (dτn ) è la misura spettrale associata all’operatore Q1 ⊗ Q2 ⊗ · · · ⊗ Qn su L2 (Rn ) ∼ = L2 (Rn ) ⊗ · · · ⊗ L2 (R). Le regole dicommutazione di Weyl si scrivono allora: Z ′ ∗ is·Q Vt e Vt = eisτ Vt∗ P (dτ )Vt = e−it·s eis·Q = Rn = e−it·s Z eit·τ P (dτ ) = Rn Z Rn ·eis(τ −t) p(dτ ) = quindi, per l’unicità della decomposizione spettrale: Vt∗ P (E)Vt = P (E + t) ; Z ′ eis·τ P (dτ ′ + t) Rn E ⊆ Rn (22) Quindi l’assegnazione di una rappresentazione U, V delle regole di commutazione di Weyl su Rn equivale all’assegnazione di: - una misura spettrale su calH : E ⊆ Rn 7−→ P (E) (cioè un omomorfismo della σ–algebra dei boreliani in Rn su una σ–algebra booleana di proiettori ortogonali su calH). - una rappresentazione unitaria V di Rn su H, tale che (22) sia soddisfatta. Una tale coppia è ciò che Mackey definisce un ”sistema di imprimitività per la rappresentazione V di Rn ”. Se denotiamo A l’algebra di von Neumann generata dai proiettori P (E), E ⊆ Rn , esiste una naturale identificazione di A con n ∞ n L∞ γ (R , dx) = L (R ) = = funzioni misurabili limitate dall’operatore posizione Q1 ⊗ · · · ⊗ Qn La relazione (22) esprime il fatto che le traslazioni spaziali inducono un automorfismo sull’algebra delle funzioni della posizione e che Vt∗ f Vt = ft ; ft (x) = f (x − t); f ∈ L∞ (Rn ) (23) Da questo punto di vista le regole di commutazione di Heisenberg appaiono come conseguenza della covarianza della teoria per traslazione. Ma il gruppo naturale di simmetria di Rn non è quello delle traslazioni, bensı̀ quello euclideo ǫn (prodotto semidiretto di 0(n) - gruppo ortogonale reale n– dim. con Rn ). Il corrispondente sistema di imprimitività {V, P } è definito dalla relazione Vα∗ P (E)Vα = P (E · α); E ⊆ Rn ; α ∈ ǫn (24) Le classi di equivalenza di rappresentazioni irriducibili di un tale sistema di imprimitività sono in corrispondenza biunivoca con le rappresentazioni irriducibili del gruppo di isotropia di un punto di Rn per l’azione di ǫn , che è isomorfa a 0(n). Da un punto di vista matematico l’apparizione dello spin in meccanica quantistica è conseguenza del fatto che, come gruppo naturale di covarianza della teoria, si assuma l’intero gruppo euclideo ǫn (cf. Mackey [37]). 12 8 Sistemi hamiltoniani lineari Si è visto nei N. (3), (4), (5), che lo schema di quantizzazione di SChrodingerHeisenberg presenta vari tipi di ambiguità e, anche nei casi in cui tali ambiguità non sussistono, esso si limita a fornire prescrizioni per il passaggio dal formalismo classico a quello quantistico, senza chiarire le relazioni che intercorrono tra gli oggetti fondamentali delle due teorie (per es. stati, evoluzione temporale, . . .). L’approccio di Mackey, a prezzo di assegnare un ruolo particolare ad una osservabile - l’osservabile di posizione o configurazione - è più soddisfacente, non solo dal punto di vista matematico, ma anche dal punto di vista fisico. Questo infatti stabilisce una precisa corrispondenza tra alcune simmetrie del sistema classico (le simmetrie spaziali) e simmetrie del sistema quantistico associato dalle quali molte importanti caratteristiche del formalismo quantistico (e.g. le regole di commutazione, lo spin, ...) vengono dedotte. Ma va sottolineato che tutto ciò si limita al livello cinematico: in altri termini l’approccio di Mackey va considerato come quantizzazione della teoria classica nel suo complesso, piuttosto che del singolo sistema dinamico. Anche l’ulteriore approfondimento di Mackey [37] che mira a classificare a priori tutte le hamiltoniane quantistiche compatibili col principio di covarianza galileana elude il problema della quantizzazione del singolo, preassegnato sistema dinamico in base a pure considerazioni di simmetria. In particolare l’approccio globale di Mackey non chiarisce la connessione tra l’evoluzione temporale di un sistema classico e quella del suo corrispondente quantistico. Un’importante eccezione a questa affermazione è costituita dai sistemi hamiltoniani lineari. Questi descrivono le piccole oscillazioni di un sistema intorno a una posizione di equilibrio stabile (per esempio uno o più oscillatori armonici, piccole vibrazioni di una corda o di una membrana, campo elettromagnetico in assenza di cariche). Lo spazio delle fasi S di un tale sistema è caratterizzato dalle seguenti proprietà: - S è uno spazio vettoriale reale. - Su S è definita una forma simplettica non degenere ω. - Le trasformazioni canoniche (morfismi naturali) sono le trasformazioni lineari S → S che conservano ω. Introdurre ”uno spazio delle coordinate in tale contesto equivale a scegliere una decomposizione lagrangiana S = M ⊕ M∗ cioé tale che su M la forma ω sia identicamente nulla; M sia sottospazio di S massimale rispetto a questa proprietà; M∗ ∼ = S/M è identificato al duale di M mediante ω. Un sistema di coordinate sarà poi dato dalla scelta di basi in m e m∗ . Se hm∗ , mi è la dualità indotta da ω, semplici considerazioni di simmetria 13 mostrano che    ′ q q ∈ m ⊕ m∗ , p p′    ′  q q = hp, q ′ i − hp′ , qi ω , p′ p ∀ Quanto detto finora (e ciò vale anche per il resto di questo N.) riguarda il caso di uno spazio S a dimensione finita. Nel caso a dimensione infinita molti aspetti formali della discussione rimangono inalterati. Per i sistemi lineari possibile definire una procedura di quantizzazione che: - ha buone proprieta funtoriali, - rende esplicito il legame tra dinamica quantistica e dinamica classica - nel caso di sistemi con un numero finito di gradi di libertà è equivalente alla quantizzazione di Schrodinger-Heisenberg. Quest’ultima proprieta è particolarmente importante poiché suggerisce una definizione naturale e (soprattutto) univoca del concetto di quantizzazione di un sistema hamiltoniano lineare a infiniti gradi di liberta. Questa procedura è schematizzata nel diagramma seguente: Spazi di Hilbert comSistemi hamiltoniani plessi gruppi unitari ad lineari {m, T̄ , V̄ } un parametro ut = x Simmetrie. x(Vt ). Simmetrie (uni✲ Evoluzione. (VT ) tarie) ✛ x∗ (Quantizzazione di Schroedinger-Heisenberg) Spazi di Hilbert complessi separabili a dimensione infinita. Gruppi unitari a 1 parametro. Simmetrie unitarie. Γ ❄ iso ✛ ✲ ❄ Spazi di Hilbert complessi a dimensione infinita Ut = Γ(ut ) Simmetrie unitarie In questo No. studieremo le corrispondenze x, x∗ e le loro proprietà funtoriali. Nel seguente descriveremo il funtore Γ, e nel No.9 stabiliremo l’isomorfismo alla base del diaqramma nel caso in cui m sia spazio di Hilbert. Nel diagramma sopra, e nel seguito di questo No., è fissato un sistema di coordinate S definito da un sottospazio lagrangiano m; la forma simplettica è de14 (7.0) finita, come sopra, dalla dualità hm∗ , mi; quindi il sistema dinamico è definito da m, l’hamiltoniana, le simmetrie naturali, l’evoluzione (eq. del moto). Per definizione la hamiltoniana di un sistema lineare è del tipo: H(q, p) = 1 1 T̄ (p) + V̄ (q) 2 2 ; q ∈ m; p ∈ M∗ (25) dove T̄ (risp V̄ ) è una forma quadratica positiva definita su m∗ (risp. m). Denotiamo T̄ (p, p′ ), V̄ (q, q ′ ) le forme bilineari simmetriche associate rispettivamente a T̄ e a V̄ . La forma bilineare simmetrica non degenera T̄ definisce una immersione (in questo caso una identificazione): m∗ → m T : (26) mediante T̄ (p, p′ ) = hp, T p′ i; p, p′ ∈ m∗ (27) hp, T p′ i = hp′ , T pi (28) Ovviamente per oqni p, p′ ∈ m∗ hp, T p′ i ≥ 0; ∗ ed = 0 ⇔ p = 0 (29) In particolare, T è iniettivo e T M è denso (in questo caso coincide) con m. Denotiamo h·, ·iT il prodotto scalare definito su m da −1 q, q ′ ) hq, q ′ iT = T̄ (Tq−1 , Tq−1 ′ ) = hT , q, q ′ ∈ m (30) ed mT lo spazio di Hilbert {m, h·, ·iT }. La forma quadratica q ∈ mT → V̄ (q) è positiva quindi esiste un unico operatore F , positivo auto-aggiunto (per il prodotto scalare h·, ·iT ) di mT i sè tale che V̄ (q, q ′ ) = hq, F q ′ iT ; q, q ′ ∈ mT (31) Sia mV lo spazio di Hilbert definito sull’insieme mT dal prodotto scalare hq, q ′ iV = hq, F qiT = V̄ (q, q ′ ) (32) Sia H = mV ⊕ mT . H è spazio di Hilbert reale con il prodotto scalare h·, ·i:    ′ 1 1 1 1 q q (33) i = hp, p′ iT + hq, q ′ iV = hp, p′ iT + hq, F q ′ iT h , p′ p 2 2 2 2 L’applicazione     q q ∈ m ⊕ m∗ → ∈ mV ⊕ mT = H p Tp identifica H con lo spazio delle fasi del sistema e   1 1 1 1 q k k2H = hT p, T piT + hq, qiV = hp, T pi + V̄ (q) = Tp 2 1 2 2 15 (34) 1 1 hp̄, p̄iT + hq, F qiT = H(q, p) (35) 2 2 Nella suddetta identificazione le equazioni del moto in m ⊕ m∗ assumono in H, come si verifica immediatamente, la forma:     d q p̄ = ; p̄ = T p; q ∈ m, p ∈ m∗ (36) −F q dt p = Perciò, se denotiamo A : H → H l’operatore     q p̄ A = p −F q (37) La (36) implica che il gruppo a un parametro: Vt = etA (38) è quello indotto su H dalla evoluzione temporale definita sullo spazio delle fasi dall’hamiltoniana H, mediante la identificazione (34). Nel caso a dimensione finita, scrivendo V̄ (q, q ′ ) = hq, V q ′ i le (30) e (32) implicano: F = T V , quindi l’equazione di Newton (37) è l’equazione del moto associata alla hamiltoniana H(q, p) nel modo usuale. La conservazione dell’energia e la (35) implicano allora che (Vt ) è gruppo a un parametro di trasformazioni ortogonali in H. Infine, poichè l’operatore A definito da (37) è invertibile, il gruppo (Vt ) non agisce banalmente (cioè riducendosi all’identità) su nessun sottospazio di H diverso da {0}. Inversamente, se H è un Hilbert reale con prodotto scalare h·, ·i e (Vt ) è gruppo a un parametro di trasformazioni di H che non agisce banalmente su nessun sottospazio di H diverso da {0}, allora (Vt ) è della forma (38) dove A è iniettivo e soddisfa: A∗ = −A (39) cioé l’operatore A è simplettico per il prodotto scalare h·, ·i. Sia mT un sottospazio lagrangiano massimale per la forma simplettica (ψ, ϕ) ∈ H × H 7−→ hψ, Aϕi (cioé un sottospazio di H su cui la forma simplettica è identicamente nulla massimale per questa proprietà). Tali sottospazi esistono per il lemma di Zorn. La massimalità di mT implica che: Amt ⊕ mt = H (40) Denotiamo mV il completamento di: mT con il prodotto scalare hϕ, ϕ′ iV = hϕ, A∗ Aϕ′ i ϕ, ϕ′ ∈ mT (41) e h·, ·i la restrizione del prodotto scalare di H su mT . Allora l’applicazione   ψ α : Aψ + ϕ ∈ AmT ⊕ mT → ∈ mV ⊕ mT (42) ϕ 16 è ben definita poiché A è iniettvo e definisce un isomorfismo tra gli spazi di Hilbert H e mV ⊕ mT . Dall’uguaglianza   ϕ α[A(Aψ + ϕ)] = α(A2 ψ + Aϕ) = α(−A∗ Aψ + Aϕ) = −|A|2 ψ segue che α · A · α−1  ψ ϕ   = ϕ −|A|2 ψ  (43) Pertanto denotando F l’operatore auto-aggiunto positivo (per il prodotto scalare h·, ·iT ) : F = |A|2 = A∗ A : mT → mT (44) si trova che l’equazione di evoluzione associata al gruppo (Vt ) ha la forma:     d ψ ϕ = −F ψ dt ϕ ψ̈ = −F ψ ; (Equazione di Newton) (45) Quindi lo spazio di Hilbert reale H e il gruppo ortogonale (Vt ) sono quelli associati al sistema dinamico lineare definito su mV dall’harniltoniana H(q, p) = hp, piT + hq, qiV q ∈ mV ; p ∈ m T ; Siano H, (Vt ) lo spazio di Hilbert reale con prodotto scalare h·, ·i e il gruppo ortogonale a un paranetro associati al sistema hamiltoniano lineare {m, T̄ , V̄ }. Su H c’è una struttura di spazio di Hilbert complessa, definita in modo naturale da (Vt ). Infatti, se Vt = exp(tA), e A = J|A| è la decomposizione polare di A, nel caso in esame si verifica facilmente che:    1/2     −1/2  q F q q F p |A| = ; J = p F 1/2 p p −F 1/2 q Allora: J 2 = (A · |A|−1 )2 = A2 · |A|−2 = −(A∗ A) · |A|−2 = −1 1 = J ∗J ⇒ J ∗ = −J J A = −kAk ⇒ −AJ ∗ = AJ = JA vale a dire: J 2 = −1 ; J ∗ = −J ; AJ = JA (46) pertanto, se definiamo: iϕ = Jϕ ; (ϕ, ψ) = hϕ, ψi − ihJϕ, psii ϕ∈H (47) (i–unità immaginaria) (48) da (46) segue facilmente che la moltiplicazione per i (unità immaginaria) definita da (47) e il prodotto scalare (·, ·) definito da (48) inducono su H una struttura 17 di spazio di Hilbert complesso nel quale (Vt ) agisce come gruppo a un parametro di trasformazioni unitarie. Su {H, (·, ·)}, (Vt ) avrà la forma Vt = eitH (49) con H → H auto–aggiunto per il prodotto scalare (.,.). Osservare che iH = J|A| quindi H = |A| è positivo. Inversamente, se H è spazio di Hilbert complesso con prodotto scalare (·, ·) e Vt = exp(itH) gruppo unitario a un parametro in H con H positivo, allora H può essere considerato spazio di Hilbert reale con prodotto scalare h·, ·i := ℜ(·, ·) la moltiplicazione per i definisce in H, considerato come spazio reale, una anti–involuzione unitaria (J 2 = −1; J ∗ J = 1); il gruppo (Vt ) è ortogonale in {H, h·, ·i}. Poiché exp(itH) = exp(tJH) = exp(tA), A = JH è il generatore infinitesimo reale di (Vt ). Inoltre: hϕ, ψi = ihJϕ, ψi = Re(ϕ, ψ) − iRe(iϕ, ψ) = Re(ϕ, ψ) + iIm(ϕ, ψ) = (ϕ, ψ) Pertanto lo spazio di Hilbert complesso {H(·, ·)} e il gruppo unitario a un parametro (Vt ) su di esso, sono gli oggetti associati al lo spazio di Hilbert reale {H, Re(., .)} e al gruppo ortogonale a un parametro (Vt ) su di esso, mediante la costruzione descritta sopra. Esempio 1. (1–grado di libertà): m = R; m∗ ∼ = R. Per le (33),(35) si ha: H(q, p) = 1 2 1 2 2 p + ω q 2 2 ; p, q ∈ R dove ω 2 (= F ) è un numero reale positivo. Dalle equazioni del moto:       d q p p = = −F q −ω 2 q dt p segue che, nelle notazioni introdotte sopra:    ′  1 1 q q 2 ∼ i = pp′ + ω 2 qq ′ H=R ; h , , p′ H p 2 2     q p A = p −ω 2 q ; Vt = etA     q ωq |A| = p ωp ; Esplicitando la (49) si ha: e itH     q q tJ|A| =e = p p 18    −1  p ω p J = q ω −1 q (50) = X tn J n |A|n   q = p (poichè JA = AJ) n!   X 2n+1   X t2n t q q n 2n n 2n+1 + (poichè (−1) |A| (−1) J|A| = p p (2n)! (2n + 1)! n n     X t2n X t2n+1 q q +J = (−1)n ω 2n (−1)n ω 2n+1 = p p (2n)! (2n + 1)! n n     p q = (cosωt) + J(sinωt) = q p   q = eiωt (per la (47)) p n h2 = −1) Esempio 2. (Numero arbitrario di gradi di libertà; l’operatore F definito da (32), (37) ha spettro discreto in {m, h·, ·i T i}). Nelle ipotesi, e nelle notazioni introdotte sopra, si può scegliere una base ortonormata (eJ ) in {m, h·, ·i T } tale che: 1X 2 2 1X 2 pJ + w J qJ H(q, p) = 2 2 J dove gli wJ2 J sono gli autovalori di F . H = ⊕J calH J ; HJ ∼ = R2    ′ 1 ′ 1 2 ′ q q h , ′ iHJ = pp + ωJ qq p p 2 2 etA = ⊕etAJ     q p AJ : ∈ HJ → p −ωJ2 q AJ = JJ |AJ | J = ⊕JJ ; come nell’esempio 1 |A| = ⊕|AJ | L’evoluzione nello spazio di Hilbert complessificato è data da:     qJ qJ → ⊕J eitωJ eitH : ⊕J pJ pJ 9 Esponenziale di uno spazio di Hilbert Il materiale esposto in questo No. è tratto dal lavoro di H. Araki e J. Woods [9]. La notazione Γ(H) è quella è quella di I.E. Segal, cf. per es. [44]. Sia H uno spazio di Hilbert (reale o complesso). Useremo indifferentemente le notazioni Γ(H), eH , exp(H) per indicare lo spazio di Hilbert (a infinite dimensioni): n ⊕∞ (51) n=0 (⊗sym H) 19 dove ◦ (⊗sym H) = C è il sottospazio di (⊗H (⊗sym H) ; n )n = H ⊗ · · · ⊗ calH (n–volte) immagine del proiettore S : ϕ1 ⊕ · · · ⊕ ϕn → 1 X ϕπ(1) ⊗ · · · ⊗ ϕπ(n) n! π (52) la somma essendo estesa a tutte le permutazioni di {1, · · · , n}. Se H = L2 (R)(⊗H)n ∼ = n L2 (Rn ) e (⊗sym H) è lo spazio delle funzioni simmetriche di n variabili reali a quadrato sommabile. L’insieme dei vettori (⊗ϕ )n = ϕ ⊗ · · · ⊗ ϕ (n–volte) n è totale in (⊗sym H) come si deduce dall’uguaglianza X π ϕπ(1) ⊗ · · · ⊗ ϕπ(n) = ′ X  X n (πǫJ ) ⊗[ ǫ J ϕJ ] P′ dove la somma è su tutti gli ǫi = ±1. La notazione exp(H) è giustificata dal seguente Lemma (8.1) (i) i vettori ∞ X 1 ϕ √ (⊗ϕ)n exp(ϕ) = e = n! n=0 ; ϕ∈H sono un insieme totale linearmente indipendente in (exp H). (ii) heϕ , eψ i = eϕ,ψ ; ϕ, ψ ∈ H (53) (54) (55) dove h·, ·i (risp. (·, ·)) denota il prodotto scalare in exp (H) (risp H). (iii) Se (Hα ) è una famiglia di spazi di Hilbert e ⊗sym Hα )◦ = C · 1α si ha exp (⊕α Hα ) ⊗1αα exp(calH alpha ) (56) dove il membro a destra di (56) è la componente incompleta del prodotto tensoriale infinito ⊗sym exp(Hα ) relativa alla famiglia (1α ) e l’identificazione è stabilita da: X P ⊗α eψα 7−→ e α ψalpha ; ψα ∈ ⊕ α H α (57) α Osservazione. Il concetto di prodotto tensoriale incompleto di spazi di Hilbert è stato introdotto da J. von Neumann in [54]. Euristicamente il simbolo (ϕ ) α ⊗α∈T Kα ; ϕα ∈ K α ; kϕα k = 1 denota il completamento dello spazio vettoriale, generato dai prodotti infiniti formali ⊗α∈T ψα ; ψα ∈ Kα ; ψα = ϕα 20 per quasi tutti gli α (con le relazioni naturali dovute alla multiliearità del prodotto tensoriale), per il prodotto scalare: Y hψα , ψ ′ αi h⊗α ψα | ⊗α ψ ′ αi = α∈T Sia A : calH → H una contrazione lineare. Dal Lemma (8.1) segue che l’applicazione eϕ ∈ Γ(H) → eAvarphi ∈ Γ(H) (58) ha un’unica estensione lineare Γ(A) Γ(H) → Γ(H) : (59) e che: (8.9) Γ(A) è una contrazione lineare ∗ Γ(a ) = Γ(A) Γ(A · B) = Γ(A) · Γ(B); ∗ kAk , kBk ≤ 1 (60) (61) (62) Perciò l’operazione Γ è un funtore della categoria degli spazi di Hilbert 6= {0} con le contrazioni lineari per morfismi alla categoria degli spazi di Hilbert a dimensione infinita con gli stessi morfismi. E’ facile dimostrare che, se A non è una contrazione lineare, Γ(A) non può essere un operatore limitato. A causa di (61) il funtore trasforma operatori unitari in unitari. Itroltre Γ(A) lascia invariante i sotto-spazi (⊗sym H)n di Γ(H), ∀n ∈ N e la sua azione su tali sottospazi è definita da: Γ(A) · 1 = 1 (63) Γ(A)(ϕ ⊗ · · · ⊗ ϕ)n = (Aϕ) ⊗ · · · ⊗ (Aϕ)n (64) Esempio: L’operatore numero di particelle. Nelle notazioni precedenti sia Ut (t ∈ R) il gruppo unitario a un parametro su H: eit ϕ ∈ H Ut : ϕ ∈ H → Allora Γ(Ut ) è gruppo unitario a 1–parametro in Γ(H) quindi, per il teorema di Stone: Γ(eit ) = eit N dove N è un operatore auto–aggiunto su Γ(H). D’altra parte per la (64): Γ(eit )(ϕ ⊗ · · · ⊗ ϕ)n = eitn (ϕ ⊗ · · · ⊗ ϕ)n quindi per ogni n ∈ N N (⊗sym )n = nId. = moltiplicazione per n Se H è interpretato come spazio degli stati (quantistici) di una particella (per es. ,un fotone), Γ(H) sarà lo’ spazio degli stati (quantistici) di un sistema 21 con un numero variabile (eventualmente infinito) di particelle dello stesso tipo (fotoni): i vettori normalizzati dello spazio (⊗sym Hn ) corrispondono a quegli stati del sistema in cui sono presenti esattamente n particelle; le transizioni tra stati di questi spazi relativi a differenti valori di n hanno probabilità non nulla in un contesto relativistico a causa della equivalenza tra massa e energia ed avvengono mediante processi di creazione e distruzione di particelle. Il fatto che, per ogni n, lo spazio (⊗sym H)n sia l’autospazio dell’operatore N corrispondente all’autovalore n giustifica la denominazione di operatore numero di particelle” per N . Se H è un qualsiasi spazio di Hilbert e (eα ) una sua base ortonormata, si ha H∼ = ⊕α (C · eα ) quindi, per la (56): C·eα eH ∼ = ⊗1α α e (65) quindi il calcolo di exp(H) è ridotto a quello di exp(mathbbC). D’altra parte (⊗C)n ∼ = (⊗sym mathbbC)n ∼ = mathbbC allora, per la (51) exp(C) = ⊕∞ n=0 C · ln (66) dove abbiamo introdotto i simboli ln per etichettare i diversi addendi della somma diretta. Riassumendo: lo spazio exp H è isomorfo a un prodotto tensoriale infinito relativo a una famiglia di vettori unitari, di un insieme di spazi di Hilbert complessi separabili. Lo spazio exp H, introdotto dal fisico sovietico V. Fock [24] per la descrizione di sistemi quantistici di infinite particelle, viene chiamato spazio di Fock di H. La prima definizione rigorosa di questo spazio, e analisi degli importanti operatori che su di esso operano è dovuta a J. M. Cook [12]. 10 L’isomorfismo di Wiener-Segal Il primo passo per stabilire l’equivalenza, alla base del diagramma (??), tra i due procedimenti di quantizzazione consiste nello stabilire l’isomorfismo tra i due spazi di Hilbert complessi L2 (m) e Γ(x(m)). In questo N., e nel seguente, m sarà uno spazio di Hilbert (reale); la dualità hm, m∗ i– quella indotta dal prodotto scalare; e m è identificato a m∗ . Nel caso in cui dim m = +∞, L2 (m) si definisce nel modo seguente: si considera un processo stocastico n:m→ variabili casuali in uno spazio di probabilità con le seguenti proprietà: n xn → x in è applicazione lineare m ⇒ n(xn ) → n(x) 22 (67) in misura (68) Per ogni x1 , · · · , xn ∈ H e per ogni unitario U : m → m le distribuzioni congiunte di n(x1 ), · · · , n(xn ) e quelle di n(U x1 ), · · · , n(U xn ) coincidono. Se x, y, ∈ m e x⊥y allora n(x) e sono variabili casuali indipendenti (69) Gli unici processi con queste proprietà sono i processi gaussiani indicizzati da m con media zero e covarlanza data dal prodotto scalare in m moltiplicato per una costante positiva (che noi assumeremo = 1). Esempio: m = L2 ([0, 1]) 2 n : f ∈ L ([0, 1]) → n(y) Z 1 f (t)dxt 0 dove l’integrale al membro destro è l’integrale stocastico di Wiener-Ito. Per definizione L2 (m) = L2C (Ω, ϑ, µ) dove (Ω, ϑ, µ) è una qualsiasi realizzazione del processo (due qualsiasi di queste realizzazioni essendo isomorfe come spazi mensurali). Se (eJ ) è una qualsiasi base ortonormata di m, la famiglia di variabili casuali gaussiane indipendenti determina completamente il processo, quindi si può scegliere Y (Ω, ϑ, µ) = (R, γ(x)dx) dimm dove 2 e−x /2 γ(x) = √ 2π quindi: L2 (m) = L2 ( Y R, Y γ(x)dx) ∼ = ⊗(1) L2 (R, γ(x)dx) ∼ = ⊗(γ) L2 (R) (70) dove (1) (risp. (γ) denota la famiglia di (dim m)–funzioni su R identicamente uguali ad 1 (risp. γ); la notazione ⊗(ϕα ) Hα è quella introdotta nel Lemma (8.1) e tutti i prodotti sono estesi a una famiglia di (dim m)–fattori tutti uguali tra loro. Dalla (??), tenuto conto delle (65), (66), segue facilmente l’isomorfismo: L2 (m) ∼ = Γ(x(m)) = exp(x(m)) In particolare, se dim m = dh+∞, allora il prodotto tensoriale rispetto alla famiglia (γ) è il consueto prodotto tensoriale di spazi di Hilbert e: L2 (m) ∼ = ⊗L2 R ∼ = L2 (Rd ) che è lo spazio prescritto dalle regole di quantizzazione di Schrodinger. 23 (71) 11 Il funtore quantizzazione lineare L’isomorfismo L2 (m) ∼ = Γ(x(m)), stabilito nel N. precedente riguarda solo gli spazi di Hilbert e dipende dalla scelta di una base ortonormata in m. Tenendo conto del fatto che un sistema dinamico lineare in un sistema prefissato di coordinate è determinato dalla coppia {m, H} in alcuni casi (cfr. sotto), si può associare ad H una base di m in modo da fissare l’isomorfismo. Ricordando, cf. (33), che H(q, p) = 1 1 hp, piT + hq, F qiT 2 2 (72) dove F è un operatore positivo auto–aggiunto nello spazio mT = {m, h·, ·iT } se F ha spettro discreto, si può scegliere una base (eJ ) in mT - tale che: H(q, p) = 1X 2 1X 2 pJ + ωJ qJ 2 2 (73) P P dove q = qJ e J ; p = pJ eJ . La (73) è l’hamiltoniana di un sistema di oscillatori armonici classici indipendenti con frequenze ωj . La quantizzazione del j–esimo oscillatore si effettua, secondo le prescrizioni di Schrodinger, mediante la sostituzione 1 ∂2 1 1 2 (pJ + ωJ2 qJ2 ) → (− 2 + ωJ2 qJ2 ) = HJ 2 2 ∂qJ 2 (74) Se dim mi + ∞, l’applicazione della quantizzazione di Schrodinger conduce all’operatore: X ∂2 X ( 2 + ωJ2 qJ2 ) HJ = H= (75) ∂qJ J J e quindi al gruppo dinamico: eitH = eitH1 ⊗ · · · ⊗ eitHJ ⊗ · · · (76) Se dim m = +∞, si parte dalla identificazione L2 (m) ∼ = ⊗(γJ ) L2 (R) r 2 ωJ ; γJ (x) e−ωJ x /2 / P π (77) ωJ i0 (78) Poichè (Hj − ωj )γj = 0, l’espressione eitHr = eit(H1 −ω1 ) ⊗ · · · ⊗ eit(HJ −ωJ ) ⊗ · · · (79) definisce un gruppo unitario a un parametro sullo spazio ⊗(γJ ) L2 (R). Il generatore Hr di questo gruppo a 1–parametro sarà denotato con l’espressione formale X (HJ − ωJ ) (80) Hr = J 24 Come si vede H immediata di H data dalla (75) per Pr differisce dalla estenzione P ωJ diverge, perciò la (80) è solo la ”costante” J ωJ ; in generale la serie un’espressione simbolica per il generatore del gruppo (79). Va sottolineato che, se dim m = +∞, per ogni t ∈ R, la (76) non definisce un operatore sullo spazio ⊗(γJ ) L2 (R) ∼ = L2 (m) poichè essa tramuta la famiglia itωJ γJ ) ad essa inequivalente nel senso di von di riferimento (γj ) in un’ altra (e Neumann. D’altra parte, nel caso in cui dim mh+∞, il passaggio da (76) a (79) corrisponde semplicemente ad addizionare una costante (finita) all’hamiltoniana, il che non altera il sistema dinamico. Posto h(J) n = hn γ J (J) ; h0 = γJ (81) (J) dove hn è l’n–esimo polinomio di Hermite, la famiglia {⊗J hnJ : nJ = 0 quasi ∀J}, è una base ortonormata di ⊗(γJ) L2 (R), che diagonalizza Hr . Più precisamente: it eitH2 (⊗h(J) nJ ) = e P nJ ω J (⊗h(J) nJ ) (82) D’altra parte, se (Vt ) denota il gruppo a 1–parametro definito dall’hamiltoniana (73), detti x(m) e x(Vt ) rispettivamente lo spazio di Hilbert complesso e il gruppo unitario a 1–parametro in esso associati al sistema dinamico {m, H} secondo le prescrizioni del N. 8, si ha (cf. l’Esempio 2 alla fine del N.8): x(m) ∼ = ⊕J CeJ ; (eJ ) base o.n. di M x(Vt ) ∼ = ⊕J eitωJ Per la (65): (1 ) Γ(x(m)) ∼ = ⊗J J Γ(C · eJ ) ed è immediato verificare che: Γ(x(Vt )) ∼ = ⊗J Γ/eitωJ ) = eitdΓ(H) dove l’ultima uguaglianza è la definizione dell’operatore auto-aggiunto dΓ(H) su Γ(x(m)). Se denotiamo: Kn(J) = eJ ⊗ · · · ⊗ eJ (n–volte) (J) K0 = 1J (J) {⊗KnJ : nJ = 0 quasi ∀J} è una base ortonormata di Γ(x(m)) la famiglia che diagonalizza dΓ(H). Più precisamente: eitdΓ(H) (⊗Kn(J) ) = eit J P nJ ω J Ma allora l’applicazione: ⊗J Kn(J) → ⊗h(h) nJ J 25 (⊗Kn(J) ) J si estende ad un isomorfismo unitario S : Γ(x(m)) → L2 (m) con la proprietà S ∗ · eitH2 · S = eitdΓ(H) vale a dire: la dinamica ottenuta applicando le prescrizioni di quantizzazione di Schroinger (opportunamente modificata se dim m = +∞) è unitariamente equivalente alla dinamica ottenuta effettuando le seguenti operazioni: (i) si parte dalla dinamica classica (Vt ) sullo spazio delle fasi m ⊗ m∗ (ii) si applica l’operazione (quasi funtore) di complessificazione ottenendo lo spazio di Hilbert complesso x(m) e il gruppo unitario a un parametro x(Vt ). iii) si prende l’esponenziale del risultato ottenuto (funtore Γ): Γ(x(m)), Γ(x(Vt )). Il risultato appena enunciato realizza completamente, per ciò che riguarda la coppia spazio-dinamica e nel caso lineare, il programma enunciato all’inizio del N. (8), cioè: costruire una corrispondenza con buone proprietà funtoriali: sistemi hamiltoniani classici → sistemi quantistici. Per motivi di spazio non approfondiremo ulteriormente l’analisi di questa corrispondenza. 12 Probabilità quantistica (non–commutativa) La teoria quantistica, come Giano, ha due facce: una rivolta verso la meccanica, un’altra verso la teoria delle probabilità. L’analisi matematica degli aspetti probabilistici della teoria quantistica, iniziata con i lavori pioneristici di J. von Neumann [57] e I.E. Segal (cf. [47]) si è sviluppata solo recentemente ed è ben lontana dall’essere conclusa. Sin dai primi sviluppi della teoria quantistica ci si rese conto [57] del fatto che il formalismo quantistico - come descritto, nei suoi aspetti generali, al N. (2) di questo lavoro - e il formalismo consueto della teoria delle probabilità rappresentano due modelli matematici diversi di uno stesso sistema di assiomi: in entrambi i casi si tratta di definire una funzione di aspettazione su una opportuna algebra, che rappresenta l’algebra delle osservabili del sistema. Le proprietà che definiscono la funzione di aspettazione (e quindi la probabilità) sono le stesse, sia nel caso classico che in quello quantistico. Quello che cambia è l’algebra delle osservabili: in un caso è un’algebra di funzioni complesse, nell’altro una algebra di operatori - non commutativa. A quali proprietà fisiche del sistema o a quali ipotesi implicite nella nostra descrizione di esso corrisponde l’apparizione, nel modello matematico, di un’algebra delle osservabili non commutativa? Molte proposte sono state avanzate per spiegare o eludere questa domanda. E’ opinione dell’autore che il formalismo non commutativo in teoria delle probabilità sia deducibile, a partire dalla teoria classica, mediante ipotesi del tutto naturali dal punto di vista della probabilità classica. Per motivi di spazio non possiamo esporre nei dettagli questa tesi (per questo rimandiamo ai lavori [l], 26 [2], [3]); ci limitiamo a enunciare il risultato: se (i) Si considerano probabilità a posteriori e non a priori (cioè, sullo spazio degli eventi non è scelta a priori una misura di probabilità). (ii) Sullo spazio degli stati agisce un gruppo (cambiamenti di riferimento) e le probabilità congiunte vanno considerate in sistemi di riferimento diversi rispetto a tale gruppo, allora la descrizione probabilistica classica di un tale sistema si effettua mediante un’algebra non commutativa definita come prodotto incrociato dell’algebra delle osservabili classiche per il gruppo dei cambiamenti di sistemi di riferimento sullo spazio di Hilbert complesso delle radici quadrate delle misure sullo spazio degli stati. Si può inoltre dimostrare che questo metodo di quantizzazione (cinematico) dedotto da considerazioni puramente probabilistiche è equivalente alla quantizzazione (cinematica) secondo Mackey descritta al N. (7) e che l’uso di radici quadrate di misure è conseguenza di semplici e naturali ipotesi probabilistiche. Se i lavori di von Neumann e di Mackey hanno aperto la strada ad una analisi matematica del concetto di probabilità quantistica, lo stesso non si può dire per il concetto di processo stocastico quantistico. Tale concetto appare (implicitamente) nei fondamentali lavori di Feynman (cf. [23]) sulla formulazione della teoria quantistica mediante integrale funzionale ed esplicitamente pochi anni dopo nel lavoro di E.W. Montroll [35b] sull’integrale di Feynmann. Il termine catena di Markof quantistica viene introdotto nel lavoro di I.M. Gelfand e A.M. Yaglcm [25b]. Tra i tentativi più recenti di dare una definizione matematicamente coerente del concetto di processo stocastico quantistico, vanno menzionati quelli di E.B. Davies e J.T. Lewis [13], [?], [16], motivati dalla necessità di elaborare un linguaggio matematico adatto alla descrizione di alcuni risultati di teoria della misura e di ottica quantistica. Infine I.E. Segal (cf. [47]) ha introdotto il concetto di processo stocastico lineare non commutativo nel contesto della teoria dei campi fermionici. L’analisi che segue mostra che esiste un modo naturale di estendere il concetto di processo stocastico ad un contesto quantistico. La struttura risultante - le algebre locali - era già stata introdotta in teoria quantistica (relativistica) in modo del tutto indipendente dalla teoria dei processi stocastici. L’introduzione del concetto di processo stocastico quantistico (o non-commutativo) ha richiesto, e richiede ancora, l’introduzione di nuovi concetti nella teoria delle C ∗ e w∗ –algebre (quasi–attesa condizionata [5], densità condizionata [5], cociclo di transizione, catena di Markof non–commutativa [4], [6]) e di nuove tecniche (la costruzione esplicita di una nuova famiglia di stati fattoriali sulle C ∗ –algebre uniformemente iperfinite, la formula di Feynman–Kac non-commutativa). Dal punto di vista delle applicazioni, alla teoria quantistica queste tecniche permettono di chiarire la questione, a lungo dibattuta e apparentemente risolta in modo negativo da un teorema di J. von Neumann, sul significato delle probabilità congiunte e della probabilità di transizione in meccanica quantistica. In alcuni casi (teoria quantistica usuale, teoria della misura quantistica) le formule per le attese congiunte possono essere dedotte esplicitamente e soddisfano 27 una versione stocastica del principio di corrispondenza di Bohr (cf. [7]). Nel caso di parametro discreto (unidimensionale) la struttura delle catene di Markof quantistiche permette di affrontare da un differente punto di vista lo studio di alcuni modelli ben noti nella letteratura fisico–matematica (modelli di Ising e Heisenberg quantistici uni–dimensionali, modello di Kondo) e di ottenere, anche in questi casi, formule esplicite per le soluzioni. Infine la teoria di Markof quantistica ha permesso di isolare una nuova, importante classe di semigruppi a un parametro (cf. [4]) cioè i semigruppi completamente positivi. Questa classe di semigruppi, che successivamente è stata ampiamente studiata nella letteratura fisico–matematica (cf. per es.[27], [33], [34]), e lo è tuttora (cf. per es. [?], [21] ), è interessante per due motivi: i) come hanno dimostrato Gorini–Kossakowski e Sudarshan [27] e, in un caso più generale, Lindblad [33], i generatori infinitesimi di tali semi–gruppi hanno una forma estremamente semplice (cf. (148)); (ii) come si è riconosciuto a posteriori, praticamente tutte le equazioni utilizzate dai fisici per descrivere la dinamica di sistemi quantistici irreversibili sono associate a un semigruppo completamente positivo. Da un punto di vista matematico la completa positività è conseguenza della proprietà di Markof quantistica e della struttura delle algebre locali (cf. [4], [5], [6], [7]). Ci sono anche delle considerazioni fisiche che giustificano l’apparizione di queste proprietà (cf. [27], [33]) tuttavia queste non riescono a dedurre, se non in casi molto particolari, la fondamentale proprietà di semigruppo. 13 I processi stocastici sono algebre locali Ciò che individualizza la teoria della probabilità classica rispetto alla teoria della misura è il concetto di dipendenza statistica - che è l’oggetto fondamentale di analisi della prima teoria ed è praticamente assente dalla seconda. Lo strumento matematico elaborato per la descrizione del concetto di dipendenza statistica è l’attesa condizionata (e i concetti associati di probabilità condizionata, probabilità di transizione). Il contesto naturale per l’analisi della dipendenza statistica è quello dei processi stocastici. Nel caso quantistico (non–commutativo) la situazione è, come vedremo, analoga. Un processo stocastico classico è (cf. Doob [18] pg. 46) una famiglia (xt )t∈T di (classi di) funzioni misurabili definite su uno spazio di probabilità (Ω, ϑ, µ) detto spazio delle traiettorie, o delle configurazioni (sample space) del processo - e a valori su uno spazio misurabile (S, B) detto spazio degli stati del processo. L’insieme T è detto ’lnsieme degli indici del processo. I processi stocastici vengono classificati secondo le loro distribuzioni congiunte a dimensione finita cioé, detta F la famiglia delle parti finite di T , le misure µF (F ∈ F) su πF (S, B) = 28 prodotto di card(F )–copie di (S, B) definite da: ! \ −1 xt (Bt ) ; πt∈F Bt 7−→ µ t∈F Bt ⊆ S Due processi stocastici sono detti stocasticamente equivalenti se le loro distribuzioni congiunte a dimensione finita ”coincidono (cf. Doob [18], pg 47). Il concetto di equivalenza stocastica può essere definito in modo più preciso e più intrinseco (cioé coinvolgente soltanto ciò che è essenziale ai fini della equivalenza) nel modo seguente. Siano per ogni F ∈ F _ x−1 (83) ϑF = t (B) t∈F la sotto–σ–algebra di ϑ generata dalle variabili casuali xt (t ∈ F ) - cioé la più piccola ϑ–algebra per cui le xt (t ∈ F ) siano misurabili; µF = µ ↑ ϑF (84) AF = L∞ C (Ω, ϑF , µF ) (85) la restrizione di µ su ϑF ; considerata come sotto-algebra (di von Neumann) dell’algebra L∞ (Ω, ϑ, µ): [ AF (86) A = chiusura in norma di F ∈F e µ lo stato su A (funzionale lineare, positivo sulle funzioni positive, normalizzato) definito da: Z f dµ ; f ∈ A (87) µ(f ) = Ω Si vede facilmente (cf. [6] per un’analisi dettagliata) che due processi stocastici su (ΩF , ϑF , µF ), j = 1, 2 indicizzati da Tj , sono stocasticamente equivalenti se e solo se, dette {AJ , (AJF )F ∈FJ , µJ } ; J = 1, 2 (88) le terne ad essi associate secondo le (85), (86), (87) (dove FJ denota la famiglia delle parti finite Tj (j = 1, 2) esiste un isornorfisrno di reticoli relativamente complementati α : F1 → F2 (89) ed un isomorfismo di C ∗ –algebre u: A 1 → A2 (90) tale che: u(A1F ) = A2αF 29 ; F ∈ F1 (91) µ2 · u = µ1 (92) u è localmente normale (cioé la restrizione di isomorfismo di algebre di von Neumann (cf. [41]) u su (??) A1F è di A1F su A2αF ). ∀F ∈ F1 un Dicendo che due terne del tipo (88) sono equivalenti se le (89)-(??) sono verificate, possiamo riassumere quanto detto finora nel seguente Theorem 2 Ad ogni processo stocastico classico (nel senso di Doob [18], pq. 46) è naturalmente associata una terna {A, (AF )F ∈F , µ} dove i1) F è la famiglia delle parti finite di un insieme T . i2) A è una C ∗ –algebra (commutativa). i3) ∀F ∈ F; AF è algebra di von Neumann contenuta in A. i4) F ⊆ G ; F, G ∈ F → AFS⊆ AG i5) A = chiusura in norma di F ∈F AF i6) µ è stato su A, localmente normale (cioé tale che ∀F ∈ F la restrizione µF := µ|AF sia uno stato normale - cf. [41]. Due processi stocastici sono equivalenti se e solo se le terne ad essi associate sono equivalenti. I processi stocastici considerati fino ad ora saranno detti discreti riferendosi questo non all’insieme degli indici T - che può essere qualsiasi, ma al fatto che tali processi sono classificati dalle loro distribuzioni congiunte a dimensione finita. Se si allarga questa classe di processi stocastici adottando la definizione proposta da I.E. Segal [45], si può dimostrare che per tale classe la proposizione precedente continua a sussistere e che di essa vale il viceversa. Cioé che ogni terna {A, (AF )F ∈F , µ} che soddisfa la proprietà (i1)-(i6) elencate sopra definisce un processo stocastico (nel senso di Segal) tale che la terna ad esso associata è equivalente a quella iniziale. Nel caso dei processi stocastici definiti da Segal la famiglia F non è più necessariamente la famiglia delle parti finite di un insieme T, ma un qualsiasi insieme parzialmente ordinato filtrante crescente. Esempio. La terna {A, (AF )F ∈F , µ} associata ad un processo stocastico lineare su uno spazio di Hilbert H (cf. No.9) è indicizzata dalla famiglia F di sottospazi a dimensione finita di H. In effetti se (µF )F ∈F è una distribuzione debole nel senso Segal [46],[47]: cioè una famiglia di misure su H (tali che, se ∀F ∈ F, PF : H → F denota il proiettore ortogonale su F risulta): µ F · PF = µ F µ G · PF = µ F ; G⊆G ; ; ∀F ∈ F F, G ∈ F (proiettività) Allora per la proiettività, per ogni F, G ∈ F , F ⊆ G, c’è un’immersione naturale JF,G : AF = L∞ (H, µF ) ֒→ L∞ (H, µG ) = AG 30 la C ∗ –algebra è il limite induttivo (C ∗ –algebrico cf. [41], Definition (??)) del sistema {(AF ), (JF,G )} e lo stato µ è il limite proiettivo degli stati definiti dalle µF . Se si considera la categoria dei processi stocastici con i morfismi dati fall’equivalenza stocastica e quella delle terne {A, (AF )F ∈F , µ} definite dalle proprietà i1)-i6) con i morfismi definiti dalle (89)-(??) le considerazioni precedenti non sono altro che la prova dell’isomorfismo tra queste due categorie. Tenuto conto del fatto che la commutatività dell’algebra A (cioé delle AF ) non gioca alcun ruolo né nelle proprietà i1) -i6) della Proposizione (12.1) che definiscono le terne {A, (AF )F ∈F , µ} né nelle relazioni (89)-(??), che definiscono l’equivalenza di tali terne, è giustificata la seguente Definition 1 Un processo stocastico (non necessariamente commutativo!) è una terna {A, (AF )F ∈F , µ} dove: (j1) F è un insieme parzialmente ordinato filtrante crescente. (j2) A è una C ∗ –algebra. (j3) ∀F ∈ F, AF è sotto-algebra di von Neumann di A (j4) F ⊆ G ; F, G ∈ F ⇒ A F ⊆ AG S (j5) A = chiusura in norma di F ∈F AF (j6) µ è stato localmente normale. Una famiglia {A, (AF )F ∈F } di algebre che soddisfano le condizioni (j1)-(j6) sarà detta una famiglia di algebre locali. Dal punto di vista dei processi stocastici classici la denominazione è giustificata dal fatto che, se {A, (AF )} sono le algebre associate a un processo stocastico (xt )t∈T nel modo descritto sopra, gli elementi di calAF sono le funzioni (di Baire) limitate (cf. [18], pg. 603) ω ∈ Ω 7−→ f (xt1 (ω), · · · , xtn (ω)) dipendenti solo dalle variabili casuali xt localizzate nell’insieme F = {t1 , · · · , tn }. Gli elementi delle algebre AF sono chiamati osservabili locali. Essi sono particolari funzioni delle traiettorie del processo. Funzionali più generali si possono ottenere considerando le algebre AI a chiusura in norma di S {AF : F ⊆ I; F ∈ F} dove I è un qualsiasi sotto–insieme di T . Gli elementi delle algebre (quasi-locali) AI sono quindi quei funzionali (limitati) delle traiettorie che si ottengono come limite in norma di funzionali dipendenti solo da un numero finito di variabili. La classe di tutti i funzionali limitati delle traiettorie comunemente considerati in teoria delle probabilità si ottiene considerando la chiusura debole delle algebre AI nella rappresentazione di Gelfand-NaimarkSegal associata ad A e µ (cf. [41], per la definizione della rappresentazione GNS; e [8] Parte II e III per la definizione delle algebre quasi–locali di un processb stocastico a partire dalle algebre locali). Se {A, (AF )F ∈F , µ} è la terna associata al processo stocastico (xt )t∈T secondo la descrizione precedente le relazioni statistiche tra le variabili casuali xt si traducono in relazioni algebriche sulle algebre locali AF e lo stato µ. Per esempio l’indipendenza statistica dele xt equivale a AF ∪G ∼ = µF ⊗ µG ; F ∩ G = ∅; F, G ∈ F = AF ⊗ AG ; µF ∪G ∼ 31 (il prodotto AF ⊗ AG è il prodotto tensoriale tra W ∗ –algebre cf. [41], Definition (??)). I processi stocastici discreti (nel senso specificato sopra) hanno una rappresentazione naturale: la rappresentazione prodotto (cf. [18], pg. 621). Cioé in ogni processo di questo tipo lo spazio (Ω, ϑ, µ) può Q essere identificato mediante una equivalenza stocastica al prodotto infinito T (S; B) con una certa misura ν e la variabile casuale xt : Ω → S alla t–esima proiezione canonica. Si può dimostrare (cf. [6] Theorem (??)) che tali processi sono caratterizzati, a meno di equivalenza stocastica, dalla terna {A, (At )t∈T , µ} dove At ∼ = L∞ (S, B) A∼ = ⊗t∈T At Z ft1 (xt1 (ω)) · . . . · ftn (xtn (ω))µ(dω) µ(ft1 ⊗ · · · ⊗ ftn ) = (93) (94) Ω e il prodotto tensoriale nella (94) va inteso come prodotto tensoriale infinito di C ∗ –algebre (cf. [41], Definition (??)). L’analogo non-commutativo di questa classe di processi sarà quindi rappresentato dalle terne {A, (At )t∈T , µ} (95) tali che A per ogni t ∈ T ; è una C ∗ –algebra (96) At è sotto C ∗ –algebra di A A∼ = ⊗t∈T At At ∼ =B (97) (98) (99) dove B è una C ∗ –algebra. Vale la pena sottolineare che la classe dei processi stocastici discreti coincide con la classe di tutti i processi stocastici considerati nella monografia di Doob e che, in tale classe, la relazione (98) e, a meno di isomorfismi stocastici, universale, cioè non corrisponde a nessuna condizione sul processo stesso. Concludendo: i processi stocastici (commutativi e non) sono terne {A, (AF )F ∈F µ} dove {A, (AF )} sono algebre locali e µ è stato localmente normale su A. Nei processi stocastici discreti (= classificati secondo le loro probabilità congiunte a dimensione finita) si può inoltre supporre che: AF ∼ = ⊗t∈F At 32 Il concetto di algebre locali è stato introdotto da R. Haag e D. Kastler in modo del tutto indipendente dalla teoria dei processi stocastici, nel tentativo di elaborare un linguaggio matematico appropriato per la teoria dei campi quantistici relativistici e per l’analisi di alcuni concetti fondamentali in questo teoria come quello di covarianza, di casualità, di località, . . . Successivamente nel contesto delle algebre locali è stata inclusa la meccanica statistica quantistica. Sia la teoria delle algebre locali che quella dei processi stocastici hanno raggiunto un notevole grado di sviluppo. La identificazione, discussa sopra, tra queste due linee di pensiero è un utile strumento euristico per l’introduzione di una teoria di concetti, tecniche e problemi propri dell’altra e fornisce una naturale generalizzazione quantistica del concetto di processo stocastico. 14 Attese e quasi-attese condizionate Sia (Ω, ϑ, ν) - spazio misurato qualsiasi (non necessariamente spazio di probabilità: e sia ϑ0 una sotto-σ-alqebra di ϑ. L’applicazione identica definisce una immersione J0 : l∞ (Ω, ϑ0 , ν0 ) ֒→ L∞ (Ω, ϑ, ν) (ν0 = ν ↑ ϑ0 ) L’applicazione duale E0 = J0′ : L′ (Ω, ϑ, ν) → L′ (Ω, ϑ0 , ν0 ) (definita sul pre-duale di L∞ , considerato come W ∗ –alqebra) è una proiezione che viene chiamata attesa condizionata (su L′ (Ω, ϑ, ν)) rispetto a ϑ0 . Esplicitamente, E0 è definita da: Z Z E0 (f )a0 dν0 ; a0 ∈ L∞ (Ω, ϑ0 , ν0 ) ; f ∈ L1 (Ω, ϑ, ν) (100) ·a0 dν = Ω Ω Si vede subito che E0 (f · a0 ) = E0 (f ) · a0 ; ∀a0 ∈ L∞ (Ω, ϑ0 , ν0 ) f ≥ 0 ⇒ E0 (f ) ≥ 0 ; ; f ∈ L1 (Ω, ϑ, ν) f ∈ L′ (Ω, ϑ, ν) (101) (102) Se ν è misura di probabilità - come sarà supposto d’ora in avanti - L∞ (Ω, ϑ, ν) può essere identificata a un sottospazio di L′ (Ω, ϑ, ν). In tal caso la (2) implica: E0 (1) = 1 (103) (identificando le funzioni alle loro ν–classi di equivalenza) e quindi per la positività |E0 (a)| ≤ kak ; a ∈ L∞ (Ω, ϑ, ν) (104) 33 Per interpolazione segue quindi che E0 è una contrazione da LP (Ω, ϑ, ν) a LP (Ω, ϑ0 , ν0 ) per ogni P ∈ [0, +∞]. Considerata come operatore da A = L∞ (Ω, ϑ, ν) ad A0 = L∞ (Ω, ϑ0 , ν0 ), E0 ha le seguenti proprietà: E0 (a a0 ) = E0 (a) · a0 ; a ∈ A ; a 0 ∈ A0 (105) a ≥ 0 ⇒ E0 (a) ≥ 0; a ∈ A (106) kE0 k =: 1 (107) ∗ ∗ E0 (a) · E0 (a) ≤ E0 (a a) (108) an ↓ 0 ⇒ E0 (an ) ↓ 0 (109) S.T. Moy [39] ha dimostrato che un qualsiasi operatore lineare E := A → A0 , che soddisfa le condizioni (105)-(109) ha la forma E(a) = E0 (K0 a) dove la funzione K0 = ; a∈A dE ∈ L1 (Ω, ϑ, ν) dE0 (110) (111) (che può essere considerata la derivata di Radon–Nikodym dell’attesa condizionata E rispetto all’attesa condizionata E0 ) sarà chiamata la densità condizionata di E rispetto ad E0 ”. Si ha (poichè ν(Ω) = 1): E0 (K0 ) = 1 (112) In particolare, come si verifica subito, E è l’attesa condizionata naturalmente associata alla misura ν ′ (·) = ν(K0 ·) e perciò il teorema di Moy può essere interpretato come una caratterizzazione delle attese condizionate in quanto operatori lineari da A su A0 . Motivato da guesto risultato, Umegaki [52] ha assunto le proprietà (105)-(108) come definizione di attesa condizionata dalla (arbitraria) C ∗ –algebra A a valori nella C ∗ –algebra A0 . L’analisi del concetto di attesa condizionata secondo Umegaki è stata sviluppata in numerosi lavori ed è culminata in un profondo teorema di J. Tomijama che afferma: Theorem 3 Ogni proiettore di norma 1 da una C ∗ –algebra A ad un sotto C ∗ – algebra A0 soddisfa le (105)-(108). Le attese condizionate secondo Umegaki - cioè, per il Teorema di Tomijama, i proiettori di norma 1 da una C ∗ –algebra ad una sotto–C ∗ –algebra - hanno giocato un ruolo fondamentale nella teoria delle C ∗ – e W ∗ –algebre. Tuttavia, dal punto di vista della teoria delle probabilità, la definizione proposta da Umegaki si rivela inadeguata, come si può mostrare con semplici controesempi (cf. [4]). Il motivo teorico di questa inadeguatezza è spiegato da un teorema di M. Takesaki [50] la cui rilevanza ai fini della presente discussione 34 è dovuta al fatto che esso mostra che, a differenza del caso classico, le attese condizionate secondo Umegaki non stabiliscono una corrispondenza biunivoca tra gli stati su una W ∗ –algebra A0 , contenuta in una W ∗ –algebra A, e le loro estensioni ad A (per una discussione dei punti accennati sopra, cf. [4]). Il concetto di quasi-attesa condizionata è stato introdotto (cf, [4],[5]) allo scopo di dare una generalizzazione non-commutativa delle attese condizionate classiche, più soddisfacente, da un punto di vista probabilistico, di quella fornita dai proiettori di norma 1. Definition 2 Siano C ⊆ B ⊆ A, C ∗ –algebre. Una quasi-attesa condizionata rispetto alla terna C ⊆ B ⊆ A è un’applicazione lineare E : A → B con le seguenti proprietà: i1) E è completamente positiva i2) E(ac) = E(a) · c; a ∈ A; c ∈ C i3) E(1) = 1 Quando la condizione (i3) non è soddisfatta si parla di quasi-attesa condizionata non-normalizzata. Ricordiamo (cf. [10],[32] per es.) che un’applicazione lineare E : A → B (A, B C ∗ –algebre) si dice completamente positiva se per ogni n ∈ N l’applicazione E ⊗ 1n : A ⊗ I n → B ⊗ I n ; (In = algebra delle matrici complesse n × n) è positiva. Il concetto di applicazione completamente positiva, introdotto da W.S. Stinespring [48], è stato ampiamente studiato nella teoria delle C ∗ e W ∗ – algebre. Se, nella Definizione (13.1), C = B, si trova il concetto di attesa condizionata nel senso di Umegaki [52]; se C = C · 1, E è semplicemente una applicazione completamente positiva. Si può dimostrare che se A e B sono algebre di von Neumann finite e µ è uno stato normale su A, allora esiste sempre una quasi-attesa con dizionata E : A → B tale che µ = µB · E ; µB = µ ↑ B (113) La forma esplicita della quasi-attesa condizionata E è tale che essa si riduce alla consueta attesa condizionata quando le algebre sono commutative. Inoltre quanto detto sopra vale anche per alcune importanti classi di algebre di von Neumann semi-finite. Il concetto di quasi-attesa condizionata è naturale nel contesto delle algebre di von Neumann finite e semifinite ed è sufficiente per l’analisi di molte situazioni che si presentano in problemi concreti di meccanica statistica quantistica, di teoria dei campi, ecc... (cf. per l’analisi di alcuni esempi concreti che confermano questa affermazione). Tuttavia, l’estensione del concetto di attesa condizionata ad una arbitraria algebra di von Neumann richiede un approccio differente. In effetti nel caso classico il concetto di attesa condizionata è connesso strettamente col teorema di Radon-Nikodoym ed è noto che l’estensione naturale di tale teorema nel contesto delle algebre di von Neumann è fornita dal teorema di Radon-Nikodoym-cociclo di Connes [11]. 35 L’estensione del concetto di attesa condizionata dovrà basarsi su un concetto di cociclo di Radon-Nikodym analogo a quello di Connes, con la differenza che, mentre il cociclo di Connes collega i gruppi modulari di due stati (o pesi semifiniti) normali sulla stessa algebra, il cociclo-attesa condizionata collega i gruppi modulari delle restrizioni dello stesso stato (o peso semi-finito) normale, su un’algebra di von Neumann e su una sua sotto–algebra. Nel caso di stati di Markof su algebre iperfinite un tale cociclo può essere descritto esplicitamente ed esso dotermina le corrispondenti quasi–attese condizionate per prolungamento analitico. 15 Equivalenza tra markovianità e località In quato N. {A, (Aαα∈F , µ} sarà un processo stocastico classico - cioè A è commutativa - indicizzato dalla famiglia degli aperti relativamente compatti di uno spazio metrizzabile localmente compatto T . Se A ⊆ T denoteremo Ac il complementare di A rispetto a T e Ā la chiusura di A. Se ᾱ è un qualsiasi sottoinsieme compatto di T definiamo \ Aᾱ := {Aβ : β ⊇ ᾱ ; β ∈ F} (114) A(ᾱ)c := chiusura in norma di [ {Aβ : β ⊆ (ᾱ)c , ᾱ; β ∈ F} Infine, se C = C̄ ⊆ T è un qualsiasi chiuso \ c AC := {A(β) ¯ c : β ∈ F compatto ; β̄ ⊆ C } (115) (116) Supporremo inoltre - il che non incide sulla generalità del procedimento - che A sia una C ∗ –algebra di funzioni limitate che agisce per moltiplicazione sullo spazio di Hilbert Hµ = L2 (Ω, ϑ, µ) (dove Ω è uno spazio misurabile) e che le Aα siano del tipo L∞ (Ω, ϑα , µα ) dove ϑα è una sotto-σ–algebra di ϑ e µα = µ ↑ ϑα . Se Aµ denota la chiusura debole di A, allora Aµ ∼ = L∞ (Ω, ϑ, µ) ed ha senso parlare delle attese condizionate Eᾱ : Aµ → Aᾱ ; α∈F (dove Eᾱ denota l’attesa condizionata rispetto a µ. (Cf. No. 13). Per definizione di attesa condizionata Eᾱ (A(ᾱ)c ) ⊆ Aᾱ (117) Tuttavia può accadere che esista un β ∈ F , β ⊆ ᾱ tale che: Eᾱ (A(ᾱ)c ⊆ Aᾱ\β 36 (118) La (118) esprime una proprietà di correlazione statistica locale. In effetti, se pensiamo ad {A, (Aα )α∈F , µ} come alla terna associata ad un processo stocastico (xt )t∈T nel modo descritto al No. (13), e se denotiamo xα = (xt )t∈α ; α∈F la (117) esprime il fatto che, per ogni f(ᾱ)c ∈ A(ᾱ)c , E(ᾱ)c (f(ᾱ)c ) è funzione delle due variabili xᾱ\β e xβ ; mentre. la (118) si esprime il fatto che E(ᾱ)c (f(ᾱ)c ) è funzione solo della variabile xᾱ\β . D’altra parte E(ᾱ)c (f(ᾱ)c )(xᾱ\β , xβ ) è il valore d’attesa dell’osservabile f(ᾱ)c - condizionato dalle variabili casuali xᾱ\β e xβ . Quindi il fatto che questo non dipenda dalle variabili xβ sta a indicare che le osservabili localizzate all’esterno di ᾱ (i.e. le f(ᾱ)c ) non subiscono l’influenza statistica delle variabili casuali xt all’interno del volume β ma solo quella delle variabili nella striscia ᾱ \ β. Nel caso in cui β = α, la (118) diventa: Eᾱ (A(ᾱ)c ) ⊆ A∂α (119) (∂α = frontiera di α). Questa, poichè l’attesa condizionata è un proiettore, equivale a: (120) Eα (f(ᾱ)c ) = E∂α (f(ᾱ)c ) ; ∀f(ᾱ)c ∈ A(ᾱ)c La (120) è la formulazione (duale) della proprietà di Markof multidimensionale dovuta a E. Nelson [40]. Esempio. T = R+ = [0, +∞[ con la topologia indotta da R; α = [0, t[ è il passato; ∂α = {t} il presente; (ᾱ)c =]t, +∞[ il ”futuro”; e la (120) è la consueta formulazione della proprietà di Markof unidimensionale. La (118) è una generalizzazione della proprietà di (d)–Markof introdotta da R. L. Dobruscin [17]. Finora abbiamo considerato il condizionamento dell’interno (ᾱ-”passato”) sull’esterno ((ᾱ)c -futuro), che è il punto di vista comunemente adottato in teoria delle probabilità. Considerare il condizionamento dell’esterno ((ᾱ)c ) sull’interno α è il punto di vista della meccanica statistica e della teoria dei campi. La corrispondente proprietà di località si esprime E(ᾱ)c (Aᾱ ) ⊆ Aβ̄\α (121) dove β ∈ F è tale che β̄ ⊇ α. La (121) implica in particolare che l’operatore E(ᾱ)c trasforma algebre locali in algebre locali. In particolare E(ᾱ)c (A) ⊆ A(ᾱ)c ⊆ A (122) Quest’ultima proprietà non è banale (e in generale è falsa) poichè dalla definizione di attesa condizionata si può solo dedurre che E(ᾱ)c (A) ⊆ Aµ(ᾱ)c ⊆ Aµ 37 dove Aµ(ᾱ)c è la chiusura debole di A(ᾱ)c nella rappresentazione GNS definita da µ. Le attese condizionate che soddisfano la (122) sono dette quasi–locali. Si può dimostrare [8] che, nelle notazioni precedenti, un’attesa condizionata è quasi-locale se e solo se è limite (in un senso appropriato) di attese locali, cioè markoviane. 16 Processi di Markof non-commutativi Nelle notazioni del No. (15) lasciamo cadere l’ipotesi che A sia commutativa e sia Eᾱ : A → Aᾱ una quasi-attesa condizionata (cf. N. (14)) rispetto alla terna Aβ ⊆ Aᾱ ⊆ A ; (β ⊆ α) Denotando A′β il commutante di Aβ in A: A′β = {a ∈ A : ab = ba ; ∀b ∈ Aβ } se a′ ∈ A′β si ha per ogni b ∈ Aβ Eᾱ (a′ ) · b = Eᾱ (a′ b) = Eᾱ (ba′ ) = b · Eᾱ (a′ ) vale a dire Eᾱ (A′β ∩ A) ⊆ A′β ∩ Aᾱ (123) Se, come capita in molti esempi interessanti per le applicazioni: A′β = Aβ c (124) Aβ c ∩ Aᾱ = Aᾱ\β (125) allora questa proprietà è un analogo non commutativo della proprietà di Markof. Infatti, se β = (α)d , la (125) equivale a Eᾱ (Aβ c ) ⊆ Aᾱ\(α)d che coincide formalmente con la (118), cioè con la proprietà di (d)–Markof. Eᾱ (A(ᾱ)c ) ⊆ Aᾱ\α (126) In particolare, per α = β la (126) diventa Eᾱ (A(ᾱ)c ) ⊆ A∂α (127) che è la proprietà di Markof per le quasi–attese condizionate. Nel seguito, fino a esplicito avviso contrario, considereremo il caso in cui: T = R+ = [0, +∞[ (con la topologia indotta da R) 38 A∼ = ⊗t∈R+ At At ∼ = B(= C ∗ algebra) ; ∀t ∈ R+ vale a dire: considereremo processi stocastici non–commutativi discreti (nel senso del n. 12). Sia per ogni I ⊆ R+ [ AI = chiusura in norma di {AF : F ⊆ I ; F finito} A{t1 ,···,tn } ∼ = At1 ⊗ · · · ⊗ Atn Le C ∗ –algebre AI soddisfano (124) e (125) se B ha centro banale (come supporremo sempre nel seguito). Sia ora per ogni 0 ≤ s < t < +∞: Et,s : A[0,t] → A[0,s] una quasi-attesa condizionata rispetto alla terna: A[0,s[ ⊆ A[0,s] ⊆ A[0,t] La (123) diventa in questo caso Et,s (A′[0,s[ ∩ A[0,t] ) ⊆ A′[0,s[ ∩ A[0,s] cioè Et,s (A[s,t] ) ⊆ As (128) Sia ora ϕ uno stato su A, compatibile con la famiglia ((Et,s ))sht nel senso che: ϕ[0,t] = ϕ[0,s] · Et,s ∀t, s ∈ R+ ; ;s < t (129) dove ϕ[0,t] = ϕ|A[0,t] ; t ≥ 0. Se l’algebra A è commutativa, le Et,s sono attese condizionate, le (128) e (129) equivalgono al fatto che ϕ è indotto da una misura di Markof (classica). Ciò giustifica la seguente: Definition 3 Nelle notazioni precedenti, uno stato ϕ su A si dice di Markof rispetto alla localizzazione (A[0,t] )t≥0 se esiste una famiglia (Et,s ) di quasi-attese condizionate rispetto alle terne: A[0,s[ ⊆ A[0,s] ⊆ A[0,t] tale che ϕ[0,t] = ϕ[0,s] · Et,s ; ∀s, t ∈ R+ ; sht Corrispondentemente il processo stocastico discreto {A, (At )t∈R+ , mu} sarà detto markoviano, ϕ è stato di Markof. 39 17 Struttura dei processi di Markov non-commutativi parametrizzati da R+ Nelle notazioni del No. (15.), sia {A, (At )t≥0 , ϕ} un processo di Markof: A∼ = ⊗t≥0 At ; Per ogni 0 < t1 < · · · < tn , sia ϕ0,t1 ,···,tn = restriction of ϕ on At ∼ = B; n _ J=0 ∀t ≥ 0 AtJ := A0 ⊗ At1 ⊗ · · · ⊗ Atn allora ϕ0,t1 ,···,tn è naturalmente identificato ad uno stato su A0 ⊗ At1 ⊗ · · · ⊗ Atn e quindi è completamente determinato dai valori ϕ0,t1 ,···,tn (a0 ⊗ at1 ⊗ · · · ⊗ atn ) (130) dove atj ∈ Atj . Lo stato ϕ è completamente determinato dalla famiglia proiettiva (ϕ0,t1 ,···,tn ). Le espressioni (4) sono le attese congiunte delle osservabili (a0 ⊗ at1 ⊗ · · · ⊗ atn ). Nel caso di processi di Markof classici (i.e. quando B è C ∗ –algebra commutativa) è ben noto che tali espressioni sono completamente determinate da una coppia {ϕ0 , (P (t, s))sht } dove: ϕ0 P (t, s) ;B → B è stato su B è operatore lineare positivo tale che: P (t, s)[1] = 1 P (t, s) · P (s, r) = P (t, r); (131) rhsht (132) Una famiglia (P (t, s))sht di operatori lineari su B che soddisfa le (131), (132) sarà detta una evoluzione su B. La coppia {ϕ0 , (P (t, s))sht } determina le attese congiunte (4) mediante la formula: ϕ0,t−1,···,tn (a0 ⊗ at1 ⊗ · · · ⊗ atn ) = = ϕ0 a0 · P (t1 , 0)[at1 · P (t2 t1 )[at2 · · · atn−1 · P (tn , tn−1 )[aL ] · · ·]]  (133) Il seguente teorema (cf. per es. [7]) mostra che la struttura degli stati di Marko non commutativi è simile: Theorem 4 Sia ϕ stato di Markof su A ∼ = ⊗t≥0 B, nel senso della Definizione (3). Allora per ogni 0 ≤ s < t esiste una applicazione completamente positiva: Et,s : B⊗B →B (134) tale che ϕ0,t−1,···,tn (a0 ⊗ at1 ⊗ · · · ⊗ atn ) = = ϕ0 Et1,0 (a0 ⊗ Et2 ,t1 (at1 ⊗ · · · ⊗ Etn ,tn−1 (atn−1 ⊗ atn ))) 40  (135) La apparente differenza tra la (135) e la (133) è dovuta al fatto che, mentre gli operatori P (t, s) trasformano B in sè, gli operatori Et,s trasformano B ⊗ B in B. Tuttavia se nella (133) si denota T l’operatore di moltiplicazione T : a⊗b∈B⊗B →a·b∈B (136) e si definisce Et,s : B ⊗ B → B Et,s (a ⊗ b) = T (a ⊗ P (t, s)[b]) (137) applicazione lineare completamente positiva Et,s (1 ⊗ 1) = 1 (138) (139) Es,r (a ⊗ Et,s (1 ⊗ b)) = Et,r (a ⊗ b); Es,r (a ⊗ Et,s (b ⊗ 1)) = Es,r (a ⊗ b); rhsht (140) rhsht (141) La (140) è la generalizzazione non-commutativa della ben nota equazione di Chapman-Kolmogorof. Da essa consegue che, se definiamo Z(t, s)(a) = Et,s (1 ⊗ a) ; a∈B (142) allora Z(s, r) · Z(t, s) = Z(t, r); rhsht (143) cioè la famiglia (Z(t, s)) è una evoluzione (nel caso classico equazione di ChapmanKolmogorof è chiamata la (143) poichè, in questo caso, essa implica la (142) cf. (135), (136) -). La (137) implica che Z(t, s) è completamente positivo per ogni sht e la (138) che Z(t, s) (1) = 1 (144) Una famiglia (Et,s ) di operatori lineari che soddisfano le (138)-(141) sarà detta una famiglia di attese di transizione su B. Se (Et,s )sht è una famiglia di attese di transizione su B allora la coppia {ϕ0 , Et,s }, dove ϕ0 è una qualunque stato su B, determina un unico stato di Markof mediante le uguaglianze (135). Inversamente ad ogni stato di Markof, nel senso della Definizione (3), è associata ad una coppia {ϕ0 , Et,s }, dove ϕ0 è uno stato su B ed Et,s (sht) soddisfa (138), (139) ed una versione indebolita delle (140), (141), i.e. si richiede soltanto (cf. [6],[7]) che dati ϕ0 ed (Et,s ) la sostituzione del membro destro della (140) o della (141) con il membro sinistro in una qualsiasi espressione del tipo (135) non alteri il valore dell’espressione stessa. 18 Attese di transizione e evoluzioni quantistiche: il teorema di Lindblad Ad ogni famiglia (Et,s ) di attese di transizione, nel senso del No. precedente, è naturalmente associata una evoluzione Z(t, s)[a] = Et,s (1 ⊗ a) 41 ; a∈B (145) La versione non commutativa della equazione di Chapman-Kolmoqorof (140) implica che Z(r, s) · Z(t, s) = Z(t, r) ; rhsht (146) inoltre qli operatori Z(t, s) sono completamente positivi (cf. (138)). Se la famiqlia (Et,s ) è stazionaria, cioè: Et,s = Et−s (147) si ha Z(t, s) = Z(t − s); Z(t) · Z(s) = Z(t + s) quindi l’evoluzione è un semigruppo completamente positivo. Si può dimostrare che, inversamente, ogni evoluzione completamente positiva è associata ad (almeno) un processo di Markof non-commutativo nel modo descritto sopra. Ovviamente se Et,s è fortemente continua su B ⊗ B allora Z(t, s) è fortemente continuo su calB; se τ 7−→ Eτ (caso stazionario) è puntualmente fortemente continua, lo stesso vale per τ 7−→ Z(τ ). Un semiqruppo (Z(t))ti0 completamente positivo e con le proprietà descritte sopra è chiamato da Lindblad una evoluzione dinamica quantistica. Nei processi di Markof non–commutativi discreti (nel senso del N.) la completa positività delle attese di transizione (e quindi della evoluzione) viene dedotta dalla proprietà di Markof non–commutativa e dalla positività delle quasi–attese condizionate (cf. [4], [5], [6], [7]). Di conseguenza: le evoluzioni completamente positive sono quelle naturalmente associate ai processi di Markof non-commutativi. Successivamente, le evoluzioni completamente positive sono state oggetto di approfondita analisi, sia per quanto riguarda il loro significato fisico (cf. per es. [27], [33]), sia per quanto riguarda la struttura dei loro generatori infinitesimi ([27], [33], [?], [21]). In quest’ultima direzione, il risultato principale è stato ottenuto indipendentemente da Gorini-Kossakowski-Sudarshan (nel caso di algebre di matrici) [27] e da G. Lindblad [33] (nel caso generale). Theorem 5 Sia (Z(t))ti0 una evoluzione dinamica quantisticasu un fattore iperfinito B. Supponiamo che t 7−→ Z(t) sia puntualmente continuo in norma, e sia L il generatore infinitesimo (limitato) di (Z(t)). Allora esistono un operatore auto-aggiunto limitato H ∈ B ed un’applicazione normale completamente positiva ψ di B in sè tale che: 1 L(a) = i[H, a] + ψ(a) − {ψ(1), a} 2 (148) Più in generale, Lindblad dimostra che se, nelle notazioni del Teorema, B è una qualsiasi algebra di von Neumann allora L è una dissipazione” su B. Questo risultato è stato esteso da D. Evans [21] (cf. anche Davies) al caso di semigruppi fortemente continui di applicazioni completamente positive. 42 19 La teoria quantistica non relativistica e il processo di misura sono processi di Markof non-commutativi Si è visto, al No. (16) che la tecnica classica per costruire una misura di Markof a partire da una evoluzione (e da uno stato iniziale) non può essere applicata al caso non-commutativo: in questo caso occorre considerare un oggetto più complesso, cioè una famiglia di attese di transizione. Una evoluzione classica (Z(t, s)) determina univocamente una famiglia di attese di transizione (Et,s ) mediante la formula: Et,s (a ⊗ b) = Ts (a ⊗ Z(t, s)[b]) (149) dove Ts (a ⊗ b) = a · b è l’operatore di moltiplicazione (all’istante s), e si è già visto che, sotto semplici ipotesi di continuità sulla dipendenza di Et,s dai parametri t ed s, una famiglia di attese di transizione (Et,s ) ha la forma (6) dove TS : B ⊗ B → B è un certo operatore completamente positivo e tale che TS (1 ⊗ 1) = 1. Le proprietà delle attese di transizione, espresse in termini di (Z(t, s)) e (Ts ) hanno la forma: Tr (a ⊗ Z(t, r)[b]) = Tr (a ⊗ Z(s, r)[Ts (1 ⊗ Z(t, s)[b]]) (150) Tr (a ⊗ Z(t, r)[b]) = Tr (a ⊗ Z(s, r)[Tr (b ⊗ 1)]) (151) (a, b ∈ B; r < s < t). Queste relazioni, una volta fissata la evoluzione (Z(t, s)), possono essere considerate come equazioni nelle incognite (Tr ). Il caso più interessante dal punto di vista delle applicazioni è quello in cui Et,s = Et−s cioè la famiglia (Et,s ) è stazionaria. In questo caso Ts = T0 per ogni s, Z(t, s) = Z(t−s), e le (8),(152) diventano rispettivamente: T0 (a ⊗ Z(τ + σ)[b]) = T0 (a ⊗ Z(σ)[T0 (1 ⊗ Z(τ )[b]]) (152) T0 (a ⊗ Z(σ)[b]) = T0 (a ⊗ Z(σ)[T0 (b ⊗ 1)]) (153) che sono equazioni nella sola incognita T0 . Ogni soluzione di queste equazioni, soggetta naturalmente alle condizioni di completa positività e di normalizzazione (T0 (1 ⊗ 1) = 1), definisce, mediante la (6), una famiglia di attese di transizione (Et,s ). Va osservato che l’evoluzione associata alla famiglia Et,s (cioè a 7−→ Et,s (1 ⊗ a)) non sarà, in generale, l’evoluzione iniziale (Z(t, s)), a meno che, invece della (7) non sia soddisfatta la più forte relazione: TS (1 ⊗ Z(t, s)[b]) = Z(t, s)[b] (154) In particolare, può accadere che l’evoluzione iniziale sia reversibile e quella associata ad una soluzione delle (7), (8) non lo sia. Questa possibilità è illustrata dal seguente teorema. 43 Theorem 6 Sia B un fattore; (Z(t, s)) una evoluzione reversibile; esistono esattamente due classi di soluzioni delle equazioni (7, (8) soggette alle condizioni: Z(r, 0) · Tr = T0 · (Z(r, 0) ⊗ Z(r, 0)) (155) T0 (B ⊗ B) = a0 è una C ∗ –algebra s − lims↓r Es,r (1 ⊗ Et,s (x)) = Et,r (x); x∈B⊗B (156) (157) Gli elementi di una classe sono tutti e soli gli operatori T0 definiti da: T0 (a ⊗ b) = ϕ(a) · b (quindi a0 = B) (158) dove ϕ0 è stato normale su B. Gli elementi dell’altra sono tutti e soli gli operatori del tipo T0 (a ⊗ b) = F0 (a) · F0 (b) ; a, b ∈ B dove F0 : B → a0 è un’attesa condizionata nel senso di Umegaki e a0 è C ∗ – algebra abeliana. Le due classi di operatori di accoppiamento istantaneo caratterizzate dal Teorema (6) hanno entrambe un significato in termini di teoria quantistica. Se (Et,s ) denota la famiglia di attese di transizione associata all’evoluzione (Z(t, s)) e all’operatore T0 mediante le relazioni (6) e (155), allora se T0 è una soluzione del tipo T0 (a ⊗ b) = ϕ0 (a) · b si verifica che l’evoluzione associata alla corrispondente famiglia di attese di transizione mediante la (145) coincide con (Z(t, s)), cioè con quella iniziale (che era stata supposta reversibile). Se B = B(H) (= algebra degli operatori limitati su uno spazio di Hilbert) allora un noto teorema di R. Kadison [31] implica che per ogni s < t esiste un unitario U (t, s) in B tale che Z(t, s)(a) = U (t, s)∗ aU (t, s) (159) Se Z(t, s) = Z(t − s) è un semigruppo; la (159) diventa: Z(t − s)(a) = e−i(t−s)H · a · ei(t−s)H i (160) che è l’evoluzione delle osservabili quantistiche nella rappresentazione di Heisenberg. Le attese congiunte associate all’evoluzione reversibile (Z(t)), allo stato ϕ0 su B e all’operatore di accoppiamento istantaneo (158) si calcolano facilmente: ϕ0,t1 ,···,tn (a0 ⊗ at1 ⊗ · · · ⊗ atn ) = ϕ0 (a0 ) · ϕt1 (at1 ) · · · · · ϕtn (atn ) Dove, at ∈ calAt ϕt (at )ϕ0 (Z(t)[a]) 44 (161) (162) Inversamente, si può dimostrare (cf.[6] pg. 18.3) che se ϕ ≡ {ϕ0 , (Et,s )} è uno stato di Markof non-commutativo con la proprietà che l’evoluzione ad esso associata (Z(t, s)(a) = Et,s (1 ⊗ a) è reversibile, allora necessariamente le attese congiunte relative a tale stato (definite dalla (135)) hanno la forma (161). Un sistema quantistlco è completamente determinato dalla sua legge di evoluzione (Z(t)) - o, equivalentemente, dal suo operatore hamiltoniano H - e dal suo stato iniziale ϕ0 . Pertanto le considerazioni precedenti possono essere riassunte nel seguente: Theorem 7 Ogni sistema quantistico {ϕ0 , H} definisce un unico processo di Markof non-commutativo {A, (AF )F ∈F , ϕ} con evoluzione reversibile. Inversamente ogni tale processo definisce un unico sistema quantistico. In entrambi i casi le attese congiunte hanno la forma (161). La classe di tutti i sistemi quantistici con preassegnato gruppo dinamico (Z(t)) coincide con la prima delle due classi di soluzioni delle equazioni di compatibilità associate a (Z(t)) definite dal Teorema (6). Consideriamo ora la (unica) altra classe di soluzioni delle equazioni di compatibilità (7), (8) sotto le condizioni del Teorema (6), e cioè: T0 (a ⊗ b) = F0 (a) · F0 (b) ; a, b ∈ B con F0 : B → a0 attesa condizionata nel senso di Umegaki e a0 C ∗ –algebra abeliana. Le attese di transizione hanno la forma: Et,s (a ⊗ b) = Fs (a) · Ft,s (b) (163) dove Ft,s = Z(s)−1 · F0 · Z(t) ; FS = FS,S (164) le attese congiunte: ϕ0,t1 ,···,tn (a0 · at1 · · · · · atn ) = ϕ0 (F0 (a0 )Ft1,0 (at1 ) · · · Ftn,0 (atn )) (165) e quindi l’evoluzione (degli stati): wt = Z(t)∗ F0′ (w0 ) ; t>0 (166) dove ϕ0 (a) = Tr (w0 a); F0′ è l’aggiunto di F0 (considerato operante sulle matrici densità): Tr (w0 · F0 (a)) = Tr (F0′ (w0 ) · a) Osservare che la continuità debole dell’ evoluzione (in t) equivale a: F0′ (w0 ) = w0 (167) La rilevanza di quest’altra classe di processi di Markof non–commutativi ai fini della teoria quantistica è dovuta al fatto che, se a0 è algebra di von Neumann 45 discreta allora, detta (ei ) una famiglia di proiettori ortogonali che genera a0 , si vede subito che T0 deve essere del tipo: X ϕi0 (a)ϕi0 (b)ei (168) T0 (a ⊗ b) = i dove ϕi0 è stato su B tale che ϕi0 (b)(ei ) = δiJ . Di conseguenza l’evoluzione degli stati sarà data da: X wt = ϕ0 (ei )Z(t)∗ [w0i ] (169) i dove w0i è la matrice densità di ϕi0 . w0i = ei w0 ei /ϕ0 (ei ) Se ; w0i = 0 se ei w 0 ei = 0 allora, per l’evoluzione (166), troviamo la formula: X X eitH (ei w0 ei )e−itH Z(t)∗ (ei w0 ei ) = = X i dove (170) i i ei (t) · (eitH w0 e−itH ) · ei (t) ei (t) := eitH ei e−itH La (170) è una generalizzazione dell’evoluzione postulata da J.von Neumann per il processo quantistico di misura. Riassumendo: Theorem 8 La seconda delle due classi di processi di Markof non–commutativi definiti dal Teorema (6) include il processo di misura quantistica secondo J. von Neumann. La forma esplicita delle attese congiunte in questo caso è data dalle (165), (164), (168). Osserviamo, in conclusione, che le formule per le attese congiunte (161) e (165), dedotte dalla teoria di Markof non–commutativa, soddisfano una versione stocastica del principio di corrispondenza di Bohr nel senso che, nel caso classico la (161) è esattamente la formula delle attese congiunte del processo di Markof associato naturalmente ad un sistema dinamico deterministico; mentre la (165) è esattamente (tenuto conto del fatto che in questo caso l’operatore T0 è la moltiplicazione) la formula delle probabilità congiunte del processo di Markof associato naturalmente ad un sistema soggetto ad una evoluzione deterministica ma il cui stato iniziale non è puro (cf. [7]), la formula consueta delle probabilità congiunte che si incontra in meccanica statistica e in teoria ergodica. In entrambi i casi le probabilità di transizione di tali processi sono date da P (x, s; t, A) = χA (Tt−s x); χA = funzione caratteristica di A dove S è lo spazio degli stati del sistema; Tt : S → S il gruppo dinamico, x ∈ S, A ⊆ S. Ma nel primo caso la distribuzione iniziale è una δ di Dirac (stato iniziale); nel secondo è una qualsiasi misura di probabilità su S. 46 20 Processi i Markof non-commutativi con parametro discreto: esempi Sia M l’algebra delle matrici complesse n × m(n ∈ N). Sia A = ⊗N M denotiamo A[m,n] = ⊗nm M identificata ad una sotto-algebra di A cioè l’algebra generata dagli elementi del tipo: 1 ⊗ · · · ⊗ 1m ⊗ am ⊗ am+1 ⊗ · · · ⊗ an ⊗ 1 ⊗ · · · Se {A, (A[0,n] ), ϕ} è un processo di Markof non-commutativo allora esistono delle quasi–attese condizionate En : A[0,n+1] → A[0,n] rispetto alle terne A[0,n−1] ⊆ A[0,n] ⊆ A[0,n+1] tali che ϕ[0,n+1] = ϕ[0,n] En+1 (171) Si vede subito che un tale processo è determinato da una coppia {ϕ0 , (Et,s )} En : dove M ⊗M →M ϕ0 è stato su B e è completamente positiva En (1 ⊗ 1) = 1 (172) (173) le attese congiunte definite da ϕ ≡ {ϕ0 , (En )} sono: ϕ0,t1 ,···,tn (a0 ⊗ a1 ⊗ · · · ⊗ an ) = ϕ0 (E1 (a0 ⊗ E2 (a1 ⊗ · · · ⊗ En (an ⊗ 1) · · ·)) (174) Inversamente una qualsiasi coppia {ϕ0 , (En )} che soddisfa (172) e (173) determina un unico stato su A mediante le (174). E’ facile costruire esempi di tali stati. Infatti basta considerare un qualsiasi operatore K ∈ M ⊗ M tale che τ̄2 (K ∗ K) = 1 (175) dove τ̄ : M ⊗ M → M è l’attesa condizionata canonica rispetto alla traccia, univocamente definita da τ̄ (a ⊗ b) a·τ = (176) dove a, b ∈ M e τ è la traccia normalizzata su M - e definire E(x) τ̄2 (K ∗ xK) = ; x∈M ⊗M (177) La coppia {ϕ0 , E} ; (En = E ∀n) determina uno stato A. Si può dimostrare (cf. [5]) che se l’operatore Z : a ∈ M → E(1 ⊗ a) 47 (178) ha un unico autovalore di massimo modulo (per una estensione del teorema di Perron non–commutativo dovuto a L. Gross tale autovalore sarà positivo) allora lo stato ϕ ≡ {ϕ0 , E} è definito dalla (174) è fattoriale (cioè la rappresentazione GNS di A è definita da ϕ, è un fattore). Il problema di classificare le coppie {w0 , K} che danno luogo alla stessa catena di Markof quantistica è aperto. Gli stati costruiti sopra forniscono i più semplici esempi di catene di Markof quantistiche. Per motivi di spazio non discuteremo i modelli di sistemi quantistici che possono essere descritti da tali stati. Per esempio se, nella (177) scegliamo KǫM ⊗ M unitario: K = eiS ; S = S∗ ∈ M ⊗ M ; ϕ0 = τ (w0 ) (179) allora lo stato ϕ definito dalla (174) si potrà scrivere formalmente ϕ(A) = τ[0,+∞[ (w0 e−i dove A ∈ A e P n=0 Sn · A · ei P∞ n=0 Sn ) Sn = 1 ⊗ 1 ⊗ · · · ⊗ 1n ⊗ S ⊗ 1 ⊗ · · · (180) (181) ma occorre sottolineare che, in generale, l’espressione (180) è puramente formale, non solo perchè l’operatore P∞ ei n=0 Sn non esisterà come elemento della C ∗ –algebra A, ma perchè anche se esistesse la (180) non chiarisce il fatto che il limite, in essa esplicitamente contenuto, va inteso nel senso della (174) e non in qualche topologia su A. Questa situazione si ripresenterà nel caso di processi a parametro continuo. Riferimenti bibliografici [1] L. 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