Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004
Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00
L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
Anno CLV n. 127 (46.965)
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
domenica 7 giugno 2015
.
All’arrivo a Sarajevo il Papa incoraggia il dialogo e la collaborazione per rimarginare le ferite del passato
Dallo scontro all’incontro
E ancora una volta condanna la guerra e i trafficanti di armi
Dalla «Gerusalemme dell’O ccidente», antica culla di convivenza tra
culture, etnie e religioni, Papa Francesco ha lanciato un nuovo monito
contro la guerra e ha invitato a perseverare nel «dialogo paziente e fiducioso» per rimarginare le ferite
del passato. Appena giunto a Sarajevo — città che porta ancora i segni
delle devastazioni provocate dal sanguinoso conflitto di vent’anni fa — il
Pontefice ha esortato l’intera comunità della Bosnia ed Erzegovina a
«guardare al futuro con speranza»
mettendo da parte antichi rancori e
puntando decisamente sulla «cultura
dell’incontro» come unico antidoto
alla «barbarie di chi vorrebbe fare di
ogni differenza l’occasione e il pretesto di violenze sempre più efferate».
Davanti ai membri della presidenza e alle più alte autorità politiche,
diplomatiche, civili e religiose del
Paese — che lo hanno incontrato nel
palazzo presidenziale sabato mattina, 6 giugno, subito dopo il suo arrivo all’aeroporto — Francesco si è
presentato come «pellegrino di pace
e di dialogo». E nel riconoscere i
progressi compiuti dopo gli accordi
firmati a Dayton nel 1995, ha chiesto
esplicitamente alla comunità internazionale, e in particolare all’Europa,
di favorire il percorso intrapreso dalla Bosnia ed Erzegovina per rendere
«sempre più solidi e irreversibili» i
processi di pace già avviati. Anche
perché, ha fatto notare, «le relazioni
y(7HA3J1*QSSKKM( +,!z!]!"!/!
Segno
e preghiera
Un segno e una preghiera nel
«bel cammino» verso la pace: in
questo modo, con una sintesi efficace Papa Francesco, incontrando
brevemente i giornalisti durante il
volo per Sarajevo, ha presentato il
suo viaggio nella città che — per
l’antica presenza e la mescolanza
di etnie, culture, religioni — è
stata definita la Gerusalemme
d’Europa. Una città che molto ha
sofferto durante la feroce guerra
nella prima metà degli anni Novanta.
Segno e preghiera espressi con
forza nella messa, presieduta sotto un sole cocente dal Pontefice
— davvero, secondo il significato
letterale del termine, «costruttore
di ponti» — nello stadio di Sarajevo. Luogo fortemente simbolico, dove già celebrò Giovanni
Paolo II due anni dopo la fine
della guerra, e che ospita gare e
concerti, ma è circondato da centinaia di tombe cristiane e musulmane, di vittime dell’atroce conflitto che ha devastato il Paese.
Presentandosi nell’incontro al
palazzo presidenziale come «pellegrino di pace e di dialogo», il
Papa ha additato all’Europa e al
mondo l’esempio della Bosnia ed
Erzegovina. Nazione che ha avuto il coraggio di affrontare il passaggio dalla cultura della guerra e
dello scontro alla cultura dell’incontro, concetto quest’ultimo su
cui Bergoglio insiste di continuo
e che ispira la politica e la presenza della Santa Sede nello scenario
internazionale.
E coerenti con questa cultura
dell’incontro sono state le parole
di Papa Francesco: abbiamo bisogno «di valorizzare ciò che unisce
e di guardare alle differenze come
possibilità di crescita». E qui, nel
cuore dei Balcani, va continuato
il dialogo che ha portato alla fine
della guerra e alla costruzione
della pace. Con l’aiuto internazionale, in particolare dell’Unione
europea, e con la collaborazione
tra etnie e religioni, che è possibile e apre alla speranza, ha sottolineato il Pontefice.
«Ho visto questa speranza nei
bambini,
islamici,
ortodossi,
ebrei, cattolici», e ora bisogna
scommettere su di loro, ha aggiunto a braccio Bergoglio, che
all’aeroporto aveva voluto salutare
uno per uno un centinaio tra
bimbetti e ragazzi, femmine e
maschi riuniti festosamente ad accoglierlo. Bisogna opporsi alla
barbarie per riconoscere «i valori
fondamentali della comune umanità» — ha continuato — in modo
che dopo l’inverno fiorisca la primavera, «e si vede fiorire qui la
primavera».
Tutta incentrata sulla pace —
mir vama («la pace sia con voi»,
secondo le parole evangeliche) è
il motto della visita papale — è
stata l’omelia durante la messa, in
un contesto da «clima di guerra»
che si percepisce nella comunicazione globale e che ha indotto
Papa Francesco (Papa Franjo) a
ripetere le parole di Paolo VI davanti all’assemblea generale delle
Nazioni Unite («mai più la guerra!») e il motto di Pacelli (opus
iustitiae pax) ricavato dall’antica
profezia di Isaia.
Sentenza, quella profetica di
Pio XII, che descrive «non una
giustizia declamata, teorizzata, pianificata», bensì quella praticata e
vissuta, ha chiosato il suo successore. Che ha anche spiegato la
beatitudine evangelica rivolta agli
«operatori di pace»: cioè non quelli che la declamano, magari ipocritamente, ma «coloro che la fanno», artigianalmente. E le cose
cambiano perché cambiamo noi.
Grazie a un dono che resta di Dio.
g.m.v.
cordiali e fraterne» tra croati, serbi e
bosgnacchi assumono oggi «un’importanza che va ben al di là dei confini» nazionali: esse testimoniano infatti «al mondo intero — ha sottolineato — che la collaborazione tra varie etnie e religioni in vista del bene
comune è possibile, che un pluralismo di culture e tradizioni può sussistere e dare vita a soluzioni originali ed efficaci dei problemi, che anche le ferite più profonde possono
essere sanate da un percorso che purifichi la memoria e dia speranza per
l’avvenire».
Un orizzonte di fiducia che il Papa ha riproposto durante la messa
celebrata nello stadio Koševo alla
presenza di decine di migliaia di
persone. Dopo aver denunciato gli
orrori della guerra e lanciato un severo monito contro i trafficanti di armi, il Pontefice ha ricordato che «fare la pace è un lavoro artigianale».
Esso «richiede passione, pazienza,
esperienza, tenacia», e va alimentato
«con atteggiamenti e gesti di servizio, di fraternità, di dialogo, di misericordia». Un lavoro «da portare
avanti tutti i giorni, passo dopo passo, senza mai stancarsi», ha rimarcato puntualizzando che «la pace è
opera della giustizia: non «una giustizia declamata, teorizzata, pianificata», ma «praticata e vissuta» nel
quotidiano.
PAGINE 7
E
8
In aumento le persone che sbarcano sulle coste elleniche
Nuovo fronte
dell’immigrazione
Tsipras definisce assurda la proposta di accordo avanzata dalla Commissione europea
La risposta di Atene
ATENE, 6. «Assurda». Così Alexis
Tsipras, premier di una Grecia ancora in profonda crisi, ha definito ieri
la proposta di accordo della Commissione Ue. Il caso greco è dunque
destinato, ancora una volta, a complicarsi, scuotendo i mercati in fibrillazione. In effetti, ieri tutte le principali piazze del vecchio continente
hanno fatto segnare pesanti cali: per
prima quella di Atene che ha chiuso
a quasi meno cinque per cento.
In un discorso al Parlamento, il
primo ministro ellenico ha sfidato
apertamente i creditori internazionali, invitandoli a ritirare le loro «proposte assurde e irrealistiche» e promettendo ai greci un rapido ripristino della contrattazione collettiva,
uno dei tanti punti del programma
di Syriza (il partito di Tsipras) che
mercoledì scorso i rappresentanti
dell’Unione avevano chiesto di rivedere.
I creditori chiedono soprattutto
tagli alla spesa previdenziale per circa 1,8 miliardi di euro entro il 20162017, il controllo europeo su temi come il salario minimo e la contrattazione collettiva, e infine una diversa
impostazione della tassazione. La
Banca centrale europea e il Fondo
monetario
internazionale
hanno
messo in guardia i negoziatori dal
fare troppe concessioni ad Atene.
Dopo aver guadagnato tempo ottenendo di poter pagare in un’unica
rata a fine mese gli 1,6 miliardi di
euro dovuti a giugno all’Fmi, Tsipras prova quindi a giocarsi il tutto
per tutto, definendo come unica base negoziale possibile la «soluzione
definitiva» suggerita da Atene, ovvero una completa ristrutturazione del
debito. «La nostra proposta ai creditori è l’unica base realistica per raggiungere un accordo», ha appunto
dichiarato Tsipras. «Abbiamo bisogno della fine dell’austerità in combinazione con un alleggerimento del
debito, ci serve un accordo che metta fine ai discorsi sull’uscita della
Grecia dall’euro».
GINEVRA, 6. Nuovo fronte per
l’immigrazione nel Mediterraneo.
Sta aumentando sempre di più il
numero dei migranti in arrivo dalla
Turchia e che si dirige verso le isole greche dell’Egeo. Il loro numero
è «aumentato di sei volte» rispetto
al consueto, mettendo a dura prova
le capacità di accoglienza greche.
L’allarme giunge dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per
i rifugiati, che «sta rafforzando la
sua presenza sul campo — si legge
in una nota — nelle isole greche
nell’Egeo orientale dove, nelle ultime settimane, una media di 600
persone, per lo più rifugiati, sta arrivando ogni giorno via mare dalla
Turchia, portando allo stremo la limitata o inesistente capacità di accoglienza locale».
Nei primi cinque mesi di quest’anno — riporta l’organizzazione
dell’Onu — più di 42.000 migranti
sono arrivati via mare in Grecia.
Un numero appunto sei volte più
alto rispetto agli arrivi registrati
nello stesso periodo dello scorso
anno (6.500) e quasi uguale al numero totale di arrivi per tutto il
2014 (43.500). Oltre il novanta per
cento di questi migranti proviene
da Siria (oltre il sessanta per cento), Afghanistan, Iraq, Somalia ed
Eritrea.
Sul terreno, la situazione è
drammatica: famiglie con bambini
sono costrette a dormire all’aperto.
Molti rifugiati arrivati su spiagge
più remote di alcune isole, tra cui
anziani e bambini piccoli, hanno
dovuto camminare per chilometri,
portandosi dietro i loro pochi ave-
ri, a causa della mancanza di trasporti.
A fronte di questa drammatica
situazione, l’Alto rappresentante
Ue per la Politica estera e di sicurezza comune, Federica Mogherini,
ha detto che la priorità per l’Unione europea è quella di salvare vite
umane. «Per fare ciò bisogna combattere reti di trafficanti, reti di criminali che guadagnano soldi su
persone disperate che cercano di
raggiungere l’Europa» ha sottolineato in un’intervista a France24.
NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto in
udienza nel pomeriggio di
venerdì 5 giugno:
— Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale
Angelo Amato, Prefetto della
Congregazione delle Cause
dei Santi;
le Loro Eccellenze Reverendissime i Monsignori:
— Jorge Eduardo Lozano,
Vescovo di Gualeguaychú
(Argentina);
— Vicente Bokalic Iglic,
Vescovo di Santiago del
Estero (Argentina).
Provvista di Chiesa
I canonici di Torino
fra XI e XV secolo
Piantati a terra
come una piramide
Temporale sulla capitale greca (Reuters)
PAOLO VIAN
A PAGINA
5
Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Tuxtepec
(Messico) il Reverendo José
Alberto González Juárez, del
clero della Diocesi di Tuxtla
Gutiérrez, finora Parroco e
Vicario Episcopale per il Clero e la Vita Consacrata.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 2
domenica 7 giugno 2015
Si apre la conferenza internazionale della Fao
Intervento della Santa Sede
La via
della pace
Lavoro dignitoso
per tutti
ROMA, 6. «La fame è causa concorrente o scatenante di violenze e anche di guerre, e contrastarla è una
preziosa opera di pace: non ci sarà
pace nel mondo finché non verrà
pienamente assicurato il diritto al cibo e all’acqua, finché la battaglia
contro la povertà non diventerà una
strategia capace di rimuoverne le
cause strutturali». Così il presidente
della Repubblica italiana, Sergio
Mattarella, ha inaugurato oggi la
conferenza internazionale della Fao
(l'organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura)
dedicata alla lotta contro la fame nel
mondo. «In questo cambio d’epoca
siamo chiamati a decisioni davvero
storiche. La Terra, se non correggeremo l’inerzia di questi anni, può
perdere funzioni vitali» ha sottolineato il capo dello Stato. «Il nostro
destino non è scontato. Tocca a noi
determinarlo. Saremo giudicati per
la pace che costruiremo o che negheremo». Per questo occorre battersi
per ridurre le disparità, le differenze.
«Le disuguaglianze, anche quelle interne, non sono un prezzo necessario
per la competizione e la crescita».
Ai lavori della conferenza prendono parte oltre 130 ministri, 14 tra capi di Stato e di Governo, e numerosi
rappresentanti delle organizzazioni
internazionali. Numerosa la rappresentativa del Sud America. Alla sede
di viale Aventino sono e saranno
presenti (fino al 13 giugno) non solo
il presidente cileno, Michelle Bachelet, e l’ex capo di Stato brasiliano,
Luiz Inácio Lula da Silva, ma anche
la presidente argentina, Cristina Fernández, quello venezuelano, Nicolás
Maduro, e quello messicano, Enrique Peña Nieto. Domenica è prevista la premiazione di quindici Paesi
(Angola, Bolivia, Cina, Costa Rica,
Repubblica Dominicana, Gabon,
Laos, Mali, Myanmar, Mozambico,
Nepal, Oman, Isole Solomon, Suriname e Uzbekistan) per aver raggiunto l’obiettivo di dimezzare il numero di affamati. In totale, sottolinea la Fao, 72 Paesi su 129 monitorati hanno raggiunto l’obiettivo.
Secondo un recente rapporto redatto dalla Fao e dal Pam (Programma alimentare mondiale), il numero
delle persone che soffrono la fame
Cameron
accelera
sul referendum
LONDRA, 6. Il referendum sull’appartenenza della Gran Bretagna
all’Ue potrebbe già svolgersi il 5
maggio 2016. Secondo la stampa britannica, il premier Cameron starebbe
infatti premendo sull’acceleratore in
tal senso, anche per spiazzare partner europei e avversari ultraconservatori, per arrivare a un accordo entro Natale.
Secondo «L’Independent», nella
legge che verrà messa al voto in Parlamento la prossima settimana, il
Governo chiede di potere indire il
referendum con qualsiasi altra consultazione elettorale, come sconsigliato invece dalla commissione elettorale. Il 5 maggio dell’anno prossimo sono già in calendario elezioni
amministrative in Gran Bretagna, oltre alle politiche locali in Scozia e
nel Galles. A convincere Cameron a
fare in fretta sono state anche le prime reazioni, tutto sommato più positive del previsto, di due partner
importanti dell’Ue, Angela Merkel e
François Hollande, probabilmente
convinti — secondo gli analisti — che
rivedendo le relazioni con la Gran
Bretagna si agevolerà la nascita di
una vera Europa a due velocità, con
un nocciolo duro pronto ad andare
avanti nell’integrazione europea.
L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
[email protected]
www.osservatoreromano.va
nel mondo è sceso negli ultimi anni,
portandosi a 795 milioni, ovvero 216
milioni in meno rispetto al biennio
1990-92 e con 72 Paesi in via di sviluppo su 129 che sono riusciti a centrare l’obiettivo di dimezzare entro il
2015 la fame nel mondo. Nonostante
la crisi economica e l’incremento demografico globale — osserva il rapporto — la percentuale dei denutriti
è calata dal 18,6 per cento del 199092 al 10,9 per cento nel 2014-2016.
Risultato di rilievo, questo, che si
deve soprattutto ai progressi nella
lotta alla fame registrati da colossi
come Cina e India, mentre l’Africa
stenta e nell’area subsahariana il problema si presenta in tutta la sua gravità con una persona su quattro che
soffre la fame. «Sono stati fatti progressi ma non si può festeggiare» ha
dichiarato il direttore delle politiche
e programmi del Pam, Stanlake
Samkange. Infatti, «se la povertà
estrema è stata ridotta della metà,
non altrettanto si può dire della fame». Resta il fatto che ancora circa
800 milioni di persone soffrono la
fame e metà delle persone denutrite
vive in Paesi a reddito medio.
Un aspetto fondamentale nella
lotta alla fame — afferma il rapporto
— è l’accesso ai mercati da parte dei
piccoli agricoltori. «Spesso mancano
infrastrutture, l’accesso al credito e
la condivisione delle informazioni.
Questi limiti negano a moltissimi
agricoltori l’ingresso sui mercati, non
solo internazionali e nazionali, dove
operano le grandi società, ma ancor
di più a quelli locali, più vicini alla
comunità» spiegano gli autori del
rapporto. Per incrementare l’accesso
al mercato, l’unica strada possibile è
l’aumento degli investimenti nella ricerca. Su questo fronte, però, c’è ancora tanta strada da fare. «Il rendimento degli investimenti effettuati
nel settore è elevatissimo. Tuttavia i
Paesi in cui si investe sono pochissimi, ed è necessario aumentare i fondi destinati alla ricerca».
GINEVRA, 6. La situazione economica attuale, la protezione del lavoro e la promozione di forme di
occupazione sempre più tutelate
sono i punti nodali dell’intervento
(pubblicato integralmente sul sito
www.osservatoreromano.va) tenuto
giovedì 4 giugno dall’arcivescovo
Silvano M. Tomasi, osservatore
permanente della Santa Sede presso l’ufficio delle Nazioni Unite e
istituzioni specializzate a Ginevra,
in occasione della 104ª sessione
della Conferenza internazionale del
lavoro. «Diseguaglianze economiche persistono e stanno aumentando in ogni continente: una situazione che fa crescere la disoccupazione e le ingiustizie sociali che sono tra le principali cause di instabilità in molte società, anche in quelle dove la pace è minacciata o è già
stata indebolita» ha sottolineato
Tomasi. «La turbolenza del nostro
tempo — economica, sociale e politica — rende la conquista della giustizia sociale un programma attuale». E questo programma — ha in-
Rassicurazioni al presidente Poroshenko
L’inchiesta sulla corruzione a Roma
Forte sostegno di Obama
alla sovranità ucraina
Altre perquisizioni
e interrogatori
Militari ucraini in azione vicino a Donetsk (Ap)
WASHINGTON, 6. Il presidente statunitense, Barack Obama, ha «riaffermato il forte sostegno degli Stati
Uniti alla sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina» in una telefonata al presidente ucraino, Petro
Poroshenko. Lo ha riferito ieri Josh
Eearnest, portavoce della Casa
Bianca, precisando che i due leader
«hanno espresso profonda preoccupazione per il recente attacco da
parte delle forze separatiste» lungo
la linea di demarcazione vicino a
D onetsk.
Poco prima del vertice del G7,
che si terrà in Germania domani e
lunedì e durante il quale si discuterà anche del conflitto in Ucraina,
Obama ha esortato a continuare a
lavorare con i partner internazionali per sostenere il processo di riforme in atto in Ucraina.
Il presidente ha poi ribadito che
gli Stati Uniti sono impegnati per
una «soluzione diplomatica» al
conflitto nell’est dell’Ucraina, invitando i separatisti a rispettare rigorosamente l’accordo di Minsk firmato a febbraio.
Poroshenko, hanno fatto sapere
da Kiev, ha anche parlato telefonicamente con il cancelliere tedesco,
Angela Merkel, alla quale ha chiesto ulteriori aiuti finanziari per il
suo Paese, colpito dalla crisi.
Il cessate il fuoco in Ucraina
orientale «va pienamente rispettato», e deve costituire «una priorità
la tutela dei civili»: questo l’appello nel frattempo lanciato dall’O nu
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
nella seduta di emergenza del Consiglio di sicurezza, convocata su richiesta della Lituania dopo lo
scoppio di nuovi scontri tra Kiev e
i ribelli separatisti intorno alla città
di Maryinka, nel bacino del Donbass.
Un impiego
per i senzatetto
di San Paolo
Servizio vaticano:
[email protected]
Servizio internazionale:
[email protected]
Servizio culturale:
[email protected]
Servizio religioso:
[email protected]
Gaetano Vallini
Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998
[email protected] www.photo.va
e cooperative. Nessuno però, al
momento, risulta indagato.
Come noto, ha suscitato particolare indignazione la possibilità
che il malaffare si nasconda anche
dietro la facciata di associazioni
che si occupano dell’assistenza dei
più bisognosi. Un’ombra che si è
allungata purtroppo su diversi settori del volontariato e dell’intervento sociale. «Ora la magistratura indaghi anche sulle case famiglia e accoglienza per minori»,
chiede Aurelia Passaseo, presidente del Coordinamento internazionale delle associazioni a tutela dei
diritti dei minori, dopo gli arresti
di giovedì. «Troppi sono i soldi
che i Comuni d’Italia spendono
per pagare le rette a chi gestisce
queste strutture — denuncia Passaseo — dove vengono collocati i minori che sono tolti alle loro famiglie e affidati ai Comuni e alle Asl
dal tribunale dei minorenni e dove
vengono accolti i minori che arrivano non accompagnati nel nostro
Paese».
In un clima di tensione
Elezioni in Messico
BRASILIA, 6. I senzatetto di San
Paolo, la città più grande e ricca
del Brasile, saranno assunti dal
Comune per condurre sondaggi
sulle condizioni di chi, come loro, vive per strada. I prescelti
avranno un contratto di un anno e guadagneranno circa 230
euro al mese. Il lavoro inizierà
nelle prossime settimane. Secondo le ultime statistiche, attualmente gli spazi pubblici della
megalopoli ospitano quasi sedicimila clochard, un numero aumentato del dieci per cento negli ultimi quattro anni. Scopo
dell’iniziativa è quella di effettuare uno studio qualitativo per
capire quali siano le necessità di
questa parte della popolazione.
caporedattore
segretario di redazione
ROMA, 6. Sono proseguiti anche
oggi gli interrogatori di garanzia
per
gli
indagati
nell’ambito
dell’inchiesta sulla corruzione a
Roma che ha condotto giovedì
scorso all’arresto di 44 persone, fra
le quali diversi consiglieri, dirigenti ed ex dirigenti dell’amministrazione capitolina. Il sottosegretario
all’Agricoltura, Giuseppe Castiglione, è indagato a Catania nel filone sul Centro accoglienza richiedenti asilo di Mineo, in cui compare anche Luca Odevaine, uomo
chiave
dell’indagine
romana.
«Non chiederò mai le dimissioni
per un avviso di garanzia» ha detto il presidente del Consiglio,
Matteo Renzi. Tra gli arrestati
ascoltati nel carcere di Rebibbia
da Flavia Costantini, giudice per
le indagini preliminari, compare
anche il consigliere regionale Luca
Gramazio.
Sempre oggi, i carabinieri del
Reparto operativo speciale hanno
anche eseguito diciannove perquisizioni, che hanno interessato cinque persone e quattordici tra enti
CITTÀ DEL MESSICO, 6. Candidati
uccisi dai narcos, appelli al boicottaggio o alla scheda bianca e scontri di piazza. In un clima di tensione il Messico si prepara domenica alle elezioni, primo test a livello nazionale per il Governo del
presidente Enrique Peña Nieto.
Oltre 83 milioni di messicani sono
chiamati a votare per scegliere 500
deputati federali, i governatori di
nove Stati e i sindaci di poco più
di mille comuni.
I sondaggi prevedono che il
Partito rivoluzionario istituzionale
(di centro) al Governo si confermerà come prima forza politica
del Paese, ma anche una forte percentuale di astensionismo.
La situazione è particolarmente
preoccupante negli Stati del sud —
Segreteria di redazione
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
fax 06 698 83675
[email protected]
Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
come Guerrero, Michoacán e
Oaxaca — dove imperversano le
bande criminali che controllano il
traffico di sostanze stupefacenti e
che hanno ucciso sette candidati
durante la campagna elettorale.
Ma la violenza non è l’unico
motivo
di
tensione:
appelli
all’astensione sono stati lanciati
dai sindacati dell’istruzione, nonché — nello Stato di Guerrero —
dal Movimento popolare (Mpg),
che esige la verità sul caso dei
quarantatré studenti rapiti e poi
scomparsi nel settembre scorso a
Iguala.
A Tlapa, militanti dell’Mpg
hanno preso d’assalto la sede della
commissione elettorale, dove hanno bruciato più di centomila schede elettorali.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
[email protected] [email protected]
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
dicato l’arcivescovo — passa anzitutto per il mercato del lavoro.
«La sfida di portare la disoccupazione e la sottoccupazione al di
sotto dei livelli precedenti la crisi
del 2008 appare oggi un compito
più che mai difficile». Questa sfida
riguarda soprattutto le nuove generazioni: secondo i dati dell’Ilo (organizzazione mondiale del lavoro)
nel 2014 circa 74 milioni di giovani
con età compresa tra i 15 e i 24 anni stavano cercando un’occupazione. «Il tasso della disoccupazione
giovanile è nella media tre volte
più alto di quella degli adulti» ha
spiegato Tomasi, sottolineando
inoltre come questa piaga coinvolga soprattutto le giovani donne.
A tal proposito, la Santa Sede
propone quale soluzione «un rafforzamento della solidarietà e della
cooperazione tra tutti i membri
della comunità internazionale e la
moltiplicazione degli sforzi per migliorare l’economia e le condizioni
sociali nei Paesi di origine dei migranti».
Legato alla disoccupazione è poi
il tema della protezione dei diritti
dei lavoratori. «Le misure di protezione del lavoro come il salario minimo, la quantità delle ore e le norme per la protezione della maternità dovrebbero essere rafforzate —
ha spiegato il presule — anche se
possono implicare costi aggiuntivi
per le imprese nel breve periodo».
Ciò nonostante, nel lungo termine
«tali misure possono incoraggiare
le imprese a investire in miglioramenti tecnologici e organizzativi al
fine di compensare l’aumento dei
costi» e «rilanciare la crescita della
produttività».
Considerazioni, queste, che vanno però inserite in un’ottica generale ben precisa. Come ha affermato l’arcivescovo «il progresso economico non dovrebbe essere misurato soltanto dal pil (prodotto interno lordo)», ma «da una serie di
indicatori collegati ai sistemi di
protezione sociale, compreso l’accesso a servizi di qualità, l’educazione, un lavoro decoroso e adeguato, cibo sicuro e nutriente, una
casa accettabile, sicurezza personale, un reddito base di sicurezza, così come un ambiente sicuro, pulito,
salutare e sostenibile».
Prima sentenza
di Strasburgo
sull’interruzione
di cure mediche
STRASBURGO, 6. La Corte europea
dei diritti dell’uomo si è pronunciata ieri per l’interruzione del trattamento terapeutico che tiene in vita Vincent Lambert, il cittadino
francese di trentanove anni dal
2008 in coma dopo un incidente in
moto, la cui madre aveva presentato ricorso per sospendere la decisione del Consiglio di Stato francese.
Nella sua prima sentenza in materia — destinata secondo alcuni
analisti a fare giurisprudenza nei
quarantasette Stati membri del
Consiglio d’Europa — la Corte di
Strasburgo conferma il pronunciamento del Consiglio di Stato di
Parigi, che un anno fa autorizzò i
medici a porre fine all’alimentazione all’idratazione di Lambert. «È
uno scandalo, condannano mio figlio, sono triste, ma siamo ancora
qui e ci batteremo, giorno e notte
per rimanere al suo fianco» ha
commentato la madre dell’uomo,
che da anni combatte contro quella
che ritiene una «eutanasia mascherata».
Concessionaria di pubblicità
Aziende promotrici della diffusione
Il Sole 24 Ore S.p.A.
System Comunicazione Pubblicitaria
Ivan Ranza, direttore generale
Sede legale
Via Monte Rosa 91, 20149 Milano
telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214
[email protected]
Intesa San Paolo
Ospedale Pediatrico Bambino Gesù
Banca Carige
Società Cattolica di Assicurazione
Credito Valtellinese
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 7 giugno 2015
pagina 3
Intesa per negoziati di pace a Ginevra ma la guerra continua
Popolazione yemenita
senza cibo né acqua
Prove
di dialogo
tra Kabul
e i talebani
KABUL, 6. Si svolgerà oggi a Dubai un incontro per preparare
l’agenda di un secondo round di
colloqui fra esponenti del Governo afghano e delegati dei talebani.
L’obiettivo è avviare un processo
di pace e riconciliazione nazionale. Lo scrive oggi l’agenzia di
stampa Pajhwok. Una fonte anonima che parteciperà all’incontro
ha indicato che esso è stato reso
possibile dall’organizzazione internazionale Pugwash, la stessa che
un mese fa ha riunito le parti per
un confronto di opinioni a Doha,
in Qatar. Se tutto andrà secondo
le previsioni, Pugwash organizzerà
il secondo round di confronto inter-afghano in Qatar alla fine del
mese del Ramadan.
Una delegazione di rappresentanti del Governo di Kabul, composta anche da donne, ed esponenti della società civile afghana è
stata intanto impegnata in Norvegia in colloqui con emissari dei talebani. Lo riferisce il giornale afghano «Khaama Press». Il ministero degli Esteri norvegese ha
confermato che si sono tenuti colloqui informali tra «afghani di diversi contesti politici». I talebani
hanno confermato di aver partecipato ai colloqui a Oslo.
Secondo l’emittente afghana
Rtvnews, agli incontri hanno partecipato due esponenti dell’Alto
consiglio di pace (organismo creato nel 2010 dall’ex presidente Hamid Karzai per facilitare i colloqui
con i talebani), Hawa Alam Nuristani e Seddiqa Balkhi, e le parlamentari Fawzia Koofi e Shukria
Barakzai. Per i talebani avrebbero
invece partecipato due rappresentanti dell’ufficio politico di Doha.
Al centro dei colloqui, stando a
quanto riportato dai media locali,
ci sono stati la questione dei diritti delle donne e il loro ruolo nel
processo di pace.
Nel frattempo, però, nel Paese
non si ferma la violenza. Due civili sono morti oggi a Kabul in un
attentato contro un veicolo militare mentre un attacco con un drone durante una cerimonia funebre
talebana, nella provincia di Khost,
ha ucciso almeno 30 persone.
Inoltre, militanti talebani — dopo
violentissimi scontri — hanno conquistato un distretto della provincia di Badakhshan, nel nordest
dell’Afghanistan. Lo riferisce il canale televisivo locale Tolo.
SANA’A, 6. Venti milioni di yemeniti,
quasi l’80 per cento della popolazione, hanno urgente bisogno di cibo,
acqua e medicine. Lo denunciano le
Nazioni Unite e le organizzazioni
umanitarie impegnate ad assistere
uno dei Paesi più poveri al mondo,
dove, dal 26 marzo, sono in atto i
raid della coalizione militare a guida
saudita per fermare l’avanzata dei ribelli sciiti huthi.
Un disastro umanitario che, secondo le organizzazioni internazionali, è peggiorato dopo il blocco navale imposto dalla coalizione. Nonostante le richieste occidentali e
dell’Onu, Riad non ha proceduto
alla distribuzione dei 274 milioni di
dollari promessi per aiuti umanitari.
Rapporto internazionale sui conflitti
Meno guerre
ma aumentano le vittime
tando praticamente impossibile sopravvivere».
Per cercare di trovare una soluzione al conflitto il Governo yemenita
in esilio a Riad e i ribelli sciiti huthi, principali protagonisti della
guerra in Yemen, hanno accettato di
partecipare ai negoziati di pace a
Ginevra sotto l’egida dell’Onu. Lo
hanno reso noto fonti di entrambe
le parti. I negoziati sono stati annunciati per il 14 giugno.
Ma, intanto, la guerra non si ferma: quattro soldati sauditi e molti
ribelli yemeniti sono stati uccisi negli intensi scontri lungo il confine
tra i due Paesi. Lo riferisce la coalizione a guida saudita, precisando
che ieri forze fedeli all’ex presidente
dello Yemen, Ali Abdullah Saleh,
sostenute da combattenti huthi, hanno attaccato diverse postazioni delle
forze di Riad. Oggi, ha riferito
l’agenzia di notizie di Stato, la difesa aerea saudita ha abbattuto un
missile Scud lanciato dallo Yemen
dai ribelli sciiti e diretto verso Khamees Al Mushait.
Gli effetti dei raid nella capitale Sana’a (Ansa)
Utilizzati come scudi umani in Camerun
Bambini rapiti da Boko Haram
LONDRA, 6. Meno guerre, ma più
vittime. Nel 2014 i conflitti nel
mondo sono diminuiti, anche se i
livelli di violenza sono aumentati.
Questo il controverso quadro che
emerge dal rapporto The Armed
Conflict Survey redatto dall’istituto
britannico per gli studi strategici
(Iiss). Negli ultimi due anni il numero dei morti causati dalle guerre
è aumentato del sessanta per cento: 180.000 nel 2014 contro i
110.000 del 2012. Le situazioni di
conflitto sono invece diminuite
passando dalle 63 del 2008 alle 42
dell’anno scorso.
Il quadro, dunque, è molto complesso. Da una parte, Paesi come
la Colombia e le Filippine si stan-
Ancora sangue
sulle legislative in Turchia
ANKARA, 6. Come molti osservatori
temevano la tensione è salita alle
stelle in Turchia alla vigilia delle
elezioni legislative di domani, domenica. Un attentato ha insanguinato l’ultimo comizio a Diyarbakir,
capitale del Kurdistan turco, di Selahattin Demirtaş, leader del partito
filo-curdo Hdp il cui risultato potrebbe essere decisivo per il futuro
assetto politico del Paese.
Due esplosioni hanno fatto ieri
almeno quattro morti e 350 feriti
gettando nel panico la folla che
aspettava Demirtaş. Dinamica e motivi della strage ancora non sono
chiari, anche se il ministro dell’energia ha escluso l’esplosione accidentale. L’attentato suona come una
provocazione che potrebbe innescare sanguinosi disordini poche ore
prima del voto. E secondo gli analisti una situazione di caos nel Kurdistan potrebbe riportare verso il partito islamico Akp del presidente Re-
Secondo stime delle Nazioni Unite,
il numero degli yemeniti bisognosi
di aiuti urgenti è cresciuto di quattro milioni negli ultimi tre mesi.
«Ci sono sempre meno beni di
prima necessità. Le persone fanno la
fila tutto il giorno», ha detto Nuha
Abdul Jabber, responsabile del programma umanitario di Oxfam a Sana’a. «Il blocco navale — ha spiegato — significa che è impossibile portare qualsiasi cosa nel Paese.
Ci sono molte navi, con beni di
prima necessità come farina, alle
quali non è permesso approdare. La
situazione sta peggiorando, gli ospedali stanno chiudendo, non c’è carburante. Le persone stanno morendo per malattie comuni. Sta diven-
cep Tayyip Erdoğan parte dell’elettorato nazionalista.
D emirtaş ha lanciato un immediato appello alla calma, appello ripreso anche dal premier turco,
Ahmet Davutoğlu. «Ai fratelli di
Diyarbakir», il premier ha chiesto
di «non cadere nelle provocazioni».
«Qualsiasi cosa ci sia dietro alle
esplosioni, un incidente, un attentato, una provocazione, indagheremo» ha assicurato.
Dalla rivolta di Gezi Park e dalla
tangentopoli del Bosforo di due anni fa la tensione nel Paese è cresciuta sensibilmente.
Erdoğan in vista delle elezioni legislative ha chiesto agli elettori una
maggioranza di 330 deputati su 550
per cambiare la Costituzione e introdurre un sistema presidenziale,
che gli dia poteri più ampi. Ma se
l’Hdp riuscirà a superare la soglia
del 10 per cento, il piano del presidente potrebbe saltare.
no avviando sulla strada della riconciliazione e della pace. Dall’altra, la violenza dimostrata dai
combattenti in diversi scenari è
cresciuta di intensità. In Siria, dove al conflitto tra ribelli e forze del
presidente Assad si è unito quello
contro l’avanzata dello Stato islamico (Is), sono morte nell’ultimo
anno oltre 70.000 persone.
Gli jihadisti di Al Baghdadi
hanno dimostrato di essere in grado di commettere terribili atrocità,
utilizzando anche la violenza in
chiave mediatica. Non a caso, dopo la Siria, il Paese dove sono
morte più persone nel 2014 è stato
l’Iraq, anch’esso segnato dall’avanzata dell’Is.
Morto in Iraq
l’ex vice premier
Tareq Aziz
BAGHDAD, 6. Tareq Aziz è morto ieri in Iraq, all’età di 79 anni
dopo dodici trascorsi in carcere.
Ex ministro degli Esteri e vice
premier iracheno, Tareq Aziz è
deceduto nell’ospedale Al Hussein di Nassiriya dove era stato
ricoverato per una crisi cardiaca,
dopo che le sue condizioni di
salute si erano andate progressivamente deteriorando negli ultimi anni. Tareq Aziz era stato
condannato a morte perché riconosciuto colpevole di avere
avuto un ruolo nell’eliminazione
dei leader dei partiti di opposizione a Saddam Hussein.
Dopo la caduta del regime
iracheno, Tareq Aziz si era consegnato alle truppe statunitensi
nell’aprile del 2003, poche settimane dopo il loro arrivo a Baghdad.
YAOUNDÉ, 6. Dalla fine del 2014,
quasi 1.500 bambini sono stati rapiti
e, in molti casi, utilizzati come scudi
umani dai miliziani del gruppo fondamentalista di Boko Haram in Camerun. La denuncia arriva da Najat
Rochdi, coordinatrice dell’Onu nel
Paese africano. «Il metodo che utilizzano è disumano», ha precisato la
funzionaria delle Nazioni Unite,
spiegando che, in base alle informazioni in suo possesso, «bambini tra
gli otto e i dodici anni sono stati inviati dai fondamentalisti a combattere in prima linea» contro l’esercito
camerunense. Altri — ha aggiunto
Rochdi — vengono invece destinati a
lavori pesanti e alla ricerca di cibo e
acqua per i combattenti.
Le azioni di Boko Haram in Camerun sono cominciate a luglio dello scorso anno, in particolare nella
regione dell’estremo nord. Il Governo di Yaoundé ha inviato truppe
contro i miliziani, mobilitando il suo
battaglione d’intervento rapido.
È nel frattempo salito a 45 il numero delle vittime dell’attentato dinamitardo di ieri al mercato di Yola,
È del Niger
la prima ratifica
del protocollo
sul lavoro forzato
NIAMEY, 6. Il Niger è stato ieri il
primo Paese a ratificare il protocollo
alla Convenzione sul lavoro forzato.
Lo ha reso noto da Ginevra una nota dell’Ilo (l’Organizzazione internazionale del lavoro). Il protocollo è
uno strumento giuridicamente vincolante nell’ambito della lotta mondiale alla schiavitù moderna e attualizza
la Convenzione del 1930 con nuove
disposizioni sulla prevenzione, la
protezione e l’accesso a misure di risarcimento per le vittime.
«È un momento storico e questa
prima ratifica dà speranza a milioni
di donne, bambini e uomini ancora
intrappolati nella schiavitù moderna.
Spero che molti altri Paesi seguiranno presto l’esempio del Niger», ha
commentato dalla città svizzera il direttore generale dell’O rganizzazione,
Guy Ryder. L’Ilo stima che oltre
ventuno milioni di persone siano vittime del lavoro forzato nel mondo,
generando circa 150 miliardi di dollari all’anno di profitti illeciti. L’Ilo
lancerà nei prossimi giorni una campagna globale per incoraggiare almeno cinquanta Paesi a ratificare il
protocollo entro il 2018.
capitale dello Stato federato di Adamawa, che insieme a quelli di Borno
e di Yobe costituisce la roccaforte
dei terroristi di Boko Haram nella
Nigeria nord-orientale. I feriti sono
oltre cinquanta. molti dei quali ricoverati in gravi condizioni.
Da Ginevra l’Alto commissario
dell’Onu per i Diritti umani Zeid
Ràad al Hussein, ha intanto denunciato le violazioni commesse in Nigeria sia da parte dell’organizzazione
fondamentalista sia da parte delle
forze armate e delle milizie. Le Nazioni Unite hanno ricordato i nume-
rosi omicidi, le esecuzioni sommarie,
le amputazioni, lapidazioni e stupri
commessi da Boko Haram contro i
civili nel nord-est della Nigeria e
hanno poi esortato il nuovo presidente, Muhammadu Buhari, a promuovere indagini indipendenti sulle
«accuse profondamente inquietanti
di migliaia di persone morte o uccise
mentre erano detenute in istituzioni
dello Stato». Per l’Onu è fondamentale che il Governo della Nigeria
adotti misure urgenti per portare davanti alla giustizia i responsabili di
violazioni dei diritti umani.
Monito dell’Onu
al Governo del Burundi
BUJUMBURA, 6. Il consiglio di sicurezza dell’Onu «prenderà in considerazione tutti gli strumenti a sua
disposizione per salvaguardare la
pace in Burundi». Lo ha reso noto
ieri sera un comunicato del segretario generale Ban Ki-moon.
Rispettare gli impegni internazionali sulla salvaguardia dei diritti
umani, evitare l’uso della forza nella gestione delle manifestazioni di
protesta e riprendere il dialogo mediato dall’inviato speciale Onu,
Said Dijnnit. Queste le richieste
delle Nazioni Unite alle autorità di
Bujumbura, che da oltre un mese
si confrontano con proteste di piazza e violenti scontri contro la ricandidatura del presidente, Pierre
Nkurunziza, a un terzo mandato.
Violenze che hanno provocato decine di morti.
La decisione del capo dello Stato è stata giudicata dall’opposizione un’aperta violazione sia del dettato costituzionale, sia degli accordi di pace che nel 2000 misero la
parola fine a oltre quindici anni di
sanguinoso conflitto tra gli hutu e i
tutsi.
Tuttavia, ritengono gli analisti
politici, l’ultima delle condizioni, è
difficile che possa verificarsi, almeno a breve: diciassette partiti e movimenti d’opposizione hanno infatti ricusato Dijnnit, considerandolo
di parte e a favore del Governo, e
hanno chiesto la nomina di un
nuovo mediatore dell’O nu.
Le elezioni presidenziali dovrebbero svolgersi il 26 di questo mese,
mentre restano rinviate a data da
destinarsi quelle parlamentari e locali, che avrebbero dovuto tenersi
oggi.
Domenica scorsa, i Paesi della
Comunità dell’Africa orientale avevano raccomandato un rinvio del
voto di almeno un mese e mezzo.
Il Governo di Bujumbura sostiene
di non avere potuto fissare la data
avendo ricevuto due proposte differenti dalla commissione elettorale
centrale.
I ribelli tuareg del Mali
pronti al dialogo di pace
BAMAKO, 6. Il Coordinamento dei
movimenti
tuareg
dell’Azawad
(Cma) firmerà gli accordi di pace
con il Governo del Mali il 20 giugno prossimo. Lo ha annunciato
ieri da Algeri, sede di negoziati
promossi dalle Nazioni Unite, il
capo-negoziatore dell’alleanza dei
gruppi ribelli, Bilal Ag Acherif. La
cerimonia per la firma delle intese,
già sottoscritte dall’Esecutivo di
Bamako il mese scorso, dovrebbe
tenersi nella capitale del Paese africano. Durante i colloqui ad Algeri
è stata anche annunciata un’intesa
per porre fine ai combattimenti
nella località di Menaka, in corso
ormai da settimane. Gli accordi tra
il Cma e il Governo maliano mirano a porre fine a un sanguinoso
conflitto divampato nel 2012, alimentato dalle aspirazioni autonomistiche diffuse nelle regioni del
nord a forte presenza tuareg.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
domenica 7 giugno 2015
Fernando Vicente
«Un Quijote moderno»
Ma c’è davvero bisogno
di “attualizzare” i classici?
E se fosse vero il contrario
e cioè che sono i classici
in realtà
ad attualizzare noi?
Otto secoli di missione domenicana a Mosul
Manoscritti
d’eccezione
di LUISA NIEDDU
N
el piano nobile del
settecentesco Hôtel de
Soubise a Parigi, sede
degli Archives Nationales, è in corso dal
20 maggio (si concluderà il 24 agosto) un’esposizione dal titolo «Mésopotamie, carrefour des cultures:
grandes heures e manuscrits ikaniens»,
allestita
in
occasione
dell’VIII centenario della fondazione
dell’Ordine dei domenicani o frati
predicatori a Tolosa nel 1215. La rarità dei trenta manoscritti riuniti, in
originale e facsimile, tra codici armeni, siriaci, caldei, e arabi, raccolti
dai missionari domenicani e provenienti dalle più grandi collezioni
pubbliche (Bibliothèque Nationale
de France, Bibliothèque domenicane du Saulchoir, Archives Nationales, École biblique et archéologique
française de Jérusalem e la Biblioteca apostolica vaticana) consente di
accrescere la conoscenza riguardo
all’importanza dell’evangelizzazione
domenicana all’interno del dialogo
culturale tra oriente e occidente.
La mostra ripercorre otto secoli
di missione domenicana, a partire
dall’insediamento dell’ordine a Mo-
L’esposizione a Parigi
sul, avviato con l’ambasceria in
Mongolia del frate domenicano Andrea da Longjumeau, sotto il pontificato di Innocenzo IV (1245), ma
offre anche l’occasione di presentare parte dell’inestimabile fondo, costituito da 809 manoscritti, confezionati tra il Tigri e l’Eufrate all’alba del cristianesimo, in un arco
compreso tra il XIII e il XX secolo.
Si tratta di un patrimonio librario d’eccezione, allargato a tutte le
discipline del sapere tra agiografia,
filosofia, teologia, spiritualità cristiana e islamica, astrologia, musica
e raccolte di poesie arabe, di cui si
componeva l’archivio dell’antico
convento domenicano di Mosul,
trasformato oggi in prigione, e trasferito l’estate scorsa, per ragioni di
sicurezza, nella vicina Arbil, dove
attualmente è accessibile.
La selezione di codici esposta è il
risultato di un paziente lavoro di
anni di restauro e catalogazione,
svolto in collaborazione con la Biblioteca apostolica vaticana, l’università Saint John’s Collegeville e il
Centre Numérique des Manuscrits
Orientaux. Il percorso espositivo si
presenta articolato in quattro tappe,
accompagnate da pannelli illustrativi che permettono di ammirare
l’immenso valore storico e antiquario dei materiali eterogenei in mostra. Alle pionieristiche spedizioni
archeologiche condotte nel Settecento e nell’Ottocento è dedicata
proprio la prima sezione dell’esposizione, con le eccezionali attestazioni archeologiche costituite da un
gruppo di tavolette cuneiformi (secondo millennio prima dell’era cristiana) considerate la prima versione conosciuta del diluvio universale, oppure da una serie di amuleti
sumeri, ottimamente conservati, in
lapislazzulo, calcite rosa e steatite,
del IV secolo prima dell’era cristiana.
A partire dal 1750, con l’arrivo
dei missionari domenicani italiani a
Mosul comincia a profilarsi l’inestimabile raccolta libraria dei padri
predicatori, composta di manoscritti
miniati del XIII secolo e di testi a
stampa, importati inizialmente da
Roma. Tra gli esemplari di singolare pregio e bellezza, provenienti dal
convento di Notre-Dame de l’Heure di Mosul, nelle vetrine di questa
seconda fase, risalta il corpus di sette codici in facsimile redatti in siriaco e arabo. Tra questi il mirabile
manoscritto su carta, riccamente
miniato con illustrazioni figurate a
mezza pagina, intitolato Cycle des
lectures des Évangiles des dimanches
et fêtes célébrés, trascritto in siriacoorientale nel XVIII secolo, oppure i
Commentari del filosofo Averroè
(1126-1198) sul Poema della Medicina
di Avicenna (1037), ricopiato nel
1784 dal diacono Giovanni, o infine
il trattato di teologia detto “Libro
della Perla” circa la verità della fede, compilato dal teologo siriano
Abdisho bar Berikha nel secolo
XIII, e ripreso su carta alla fine del
XVIII secolo
La penultima parte della mostra
ripercorre l’origine della fondazione
dell’Ordine dei predicatori dalla
provincia di Tolosa, sotto il pontificato di Onorio III (1216-1227) fino
all’arrivo dei padri domenicani
francesi in Mesopotamia nell’O ttocento. Vengono rievocate così le
opere delle figure cardine della storia della missione, come san Tommaso Apostolo, del quale viene
esposta una placchetta di Limoges,
di grandissima finezza, realizzata a
smalto su rame dorato del XIII secolo (Musée du Petit Palais di Parigi),
o l’eccezionale attestazione di una
copia del Corano su carta, (fine XII
- inizio XIII secolo), compilata in
arabo con annotazioni a bordo pagina in italiano, di cui si riconoscono due mani, una delle quali ritenuta del frate fiorentino Riccoldo
da Montecroce (1243-1320), a testimonianza dello spirito ecumenico
che animava il movimento domenicano sin dal basso medioevo.
Particolare rilievo assume in questa fase la nascita della prima tipografia in Iraq, Marioni, impiantata
dai francesi nel 1860, di cui vengono esposti alcuni esemplari di breviari siriaci stampati tra il 18861896. Considerato modello di civilizzazione urbana dell’antichità e
culla della cultura scritta, l’Iraq divenne quindi veicolo di trasmissione tra la cultura arabo-islamica e la
Chiesa d’occidente, nel cui processo
i padri predicatori assunsero un
ruolo fondamentale.
Sotto il pontificato di Benedetto
XIV (1750), la Chiesa di Roma intensificò la circolazione di manoscritti dalla Mesopotamia a Roma.
Questa tappa della mostra pone in
risalto l’opera filologica condotta
dal libanese Giuseppe Assemani,
(1739-1769), primo prefetto della Biblioteca vaticana e figura imprescindibile nella preservazione delle antiche lingue orientali, attraverso la
traduzione di codici liturgici in siriaco.
Il fascino generato dallo scambio
osmotico tra oriente e occidente si
esprime tenacemente attraverso alcuni straordinari esemplari di manoscritti in pergamena, inclusi
nell’ultima sezione.
Da menzionare una pregevole copia miniata su pergamena del Nuovo Testamento, lussuosamente decorata con fregi marginali in oro e
porpora, compilata nel 1223 in un
convento nelle montagne di Edessa.
L’opera è conservata presso la Bibliothèque Nationale de France.
Tra i codici offerti dalla Biblioteca
apostolica vaticana, presenti in quest’ultima sezione, ricordiamo infine
l’antichissimo Discorso Metrico composto in occasione delle feste liturgiche dal teologo, poeta siro Narsai
di Nisibi (507), trascritto nel 1918 a
Mosul dal diacono Matteo figlio di
Paolo, e il Missale Chaldaeorum seu
Nestorianorum malabarìcorum.
In castigliano contemporaneo il capolavoro di Cervantes
Riscrivere don Quijote
di SILVIA GUIDI
«Le note intralciano la lettura.
Ho cercato di riportare il Don
Quijote alla lingua parlata, di tutti
i giorni. Quella che l’autore voleva rendere nel XVII secolo» spiega
Andrés Trapiello a Javier Rodríguez Marcos, raccontando com’è
nata l’idea di tradurre Cervantes
in castigliano contemporaneo; via
i termini arcaici, i giochi di parole barocchi, le metafore incom-
Via i termini arcaici
i giochi di parole barocchi
e tutte quelle metafore complicate
che un lettore degli anni Duemila
non riesce più a capire
prensibili ai lettori del XXI secolo,
per invogliare anche chi è allergico ai classici a fare la conoscenza
del cavaliere dalla triste figura e
del suo fido scudiero Sancho.
«Così facendo non si rischia di
perdere molto del gusto dell’opera?» chiede con perfido candore
Rodríguez Marcos, che sta intervistando Trapiello per «Babelia»,
il supplemento culturale del quotidiano «El País» del 30 maggio.
Il problema è che quattrocento
anni sono passati e Cervantes
non lo capiamo più, taglia corto
il suo interlocutore; «quello che
non si capisce deve essere tradotto». Ma davvero c’è bisogno
di “attualizzare” i classici? E se
fosse vero il contrario, e cioè che
sono i classici, in realtà, ad attualizzare noi?
«Il problema non è se i classici
sono attuali, il problema è se lo
siamo noi rispetto a loro» amava
dire provocatoriamente lo scrittore (e appassionato, bulimico lettore) Giuseppe Pontiggia. Nei
tanti saggi e articoli che ha dedicato a questo tema, Pontiggia
parla spesso dei testi che fanno
parte del codice di riferimento di
una cultura come di «contemporanei del futuro», usando un ossimoro che descrive bene la loro
caratteristica più affascinante. La
grande letteratura ha il potere di
annullare il tempo nel momento
in cui pone il racconto non solo
nel passato ma soprattutto nel futuro, consegnandolo anche alle
generazioni che verranno.
Leggere ha il potere di rendere
attuale ciò che non lo è, di ridare
vita a parole che arrivano a noi
da un altro tempo. È come esplorare un mondo dimenticato dallo
scorrere della storia; per il lettore
è un’immersione in un universo
complesso, alieno, lontano dalla
vita di tutti i giorni, un antidoto
alla scontatezza con cui guardiamo le cose intorno a noi, un salutare tuffo nella diversità spaziotemporale. Attenuare gli spigoli,
smorzare le differenze, abbassare
l’asticella del salto o regolare la
temperatura dell’acqua di questa
immersione in un tempo e in un
mondo dalle coordinate non facili
e non immediate da capire secondo il proprio capriccio personale
(o inconscio allineamento alla
moda del momento) rende il
viaggio forse più breve, ma sicuramente più noioso. E priva del
gusto di esplorare una selva — a
volte oscura e intricata ma proprio per questo affascinante — di
note a margine, glosse e commenti che aprono paesaggi imprevedibili e invitano a continuare il viaggio su altri mezzi di trasporto fatti di parole, altrimenti
detti libri.
Immaginiamoci un Moby Dick
ambientato ai giorni nostri,
nell’immenso acquario del parco
giochi di Orlando, sotto il sole
della Florida. Potrebbe essere
un’idea interessante per la sceneggiatura di un film in 3D, un
po’ meno per un libro. Emoji
Dick, la traduzione in emoticons
del capolavoro di Melville non è
più neanche una metafora, esiste
ed è già in commercio.
Del desiderio di riscrivere i
classici si è preso gioco con surreale eleganza Borges nel racconto Pierre Menard, autor del Quijote
scritto nel 1944. Lo scrittore argentino immagina un fantomatico
intellettuale francese che, a un
certo punto, inizia a riscrivere
parte del libro. Borges si premura
di precisare che Menard non
vuole
copiare
l’opera
di
Cervantes ma produrre «delle pagine che coincidano parola per
parola e linea per linea con l’opera originale». Una duplicazione
diversa solo nella data di nascita,
tanto precisa e accurata quanto
inutile.
Nella terra di mezzo
dello spanglish
di ARTURO LÓPEZ
«In un placete de la Mancha of which
nombre no quiero remembrarme, vivía
not so long ago, uno de esos gentleman
who always tienen una lanza in the rack,
una buckler antigua, a skinny caballo y
un grayhound para el chase. A cazuela
with más beef than mutón, carne choppeada para la dinner, un omelet pa' los
Sábados, lentil pa' los Viernes, y algún
pigeon como delicacy especial pa' los Domingos».
Le frasi che avete appena letto non sono tratte da un file danneggiato da un virus, ma fanno parte di un testo letterario
vero e proprio: l’incipit della traduzione
del Don Quijote in spanglish, non una lingua e nemmeno un dialetto, ma una «terra di mezzo tra lo spagnolo e l’inglese»
come la definisce l’autore del testo, lo
scrittore messicano Ilan Stavans, che
insegna cultura latinoamericana e latina
all’Amherst College, in Massachussets,
dal 1993. Nella cultura pop della nostra
epoca sono frequenti i pastiche linguistici
— basti pensare al composito titolo del
film Der Leone have sept cabeças, girato
nel 1970 dal regista brasiliano Glauber
Rocha, alle canzoni di Ricky Martin e
Paulina Rubio o ai programmi delle rete
via cavo Mun2 — ma quando si tratta di
un classico come il capolavoro di Cervantes le alzate di scudi e le accuse di lesa maestà sono quanto di più prevedibile
possa accadere. Nessuno ha mai contestato le decine di traduzioni esistenti (incluso il latino e l’esperanto) dell’epopea del
caballero de la triste figura, ma il nuovo
esperimento ha fatto storcere il naso a
molti. Anche perché il Quijote è considerato uno dei testi fondatori del castigliano.
Infatti, dopo la pubblicazione del primo capitolo — conferma Stavans in una
intervista pubblicata su «La Razón» del 5
maggio scorso — le polemiche non sono
mancate.
«Da una parte — continua l’autore — ci
sono i puristi, che vedono il progetto come un’eresia; dall’altro, gli assimilatori (io
preferirei chiamarli realisti), che hanno
accolto con favore l’impresa», proponendo addirittura di mettere in scena a teatro
il nuovo testo con un’adeguata colonna
sonora e una regia ad hoc. Mentre dal
coro dei detrattori sarebbe arrivata «perfino qualche minaccia di morte». Si spera
solo metaforica.
Saggista, lessicografo, narratore e traduttore, Stavans è noto per le sue libere
incursioni nella cultura statunitense,
ebraica e ispanica, e la sua passione per
tutto quello che ha a che vedere con il
Quijote. Nel 2002 ha pubblicato un dizionario di spanglish, il The Making of a New
American Language «per dare dignità a
questo figlio del “meticciato linguistico”».
In fondo, continua Stavans, anche lo spagnolo è una lingua strutturalmente meticcia perché «nasce dal latino volgare e si
nutre progressivamente dell’arabo e del
berbero, del francese e dell’inglese, e assimila nel tempo anche le cento lingue indigene del Nuovo Mondo».
L’omaggio — o lo sberleffo, a seconda
dei punti di vista — di Stavans a Cervantes arriva in occasione dei primi quattrocento anni della seconda parte del Quijote
pubblicata nel 1615. Un’opera «asse di rotazione della civiltà ispanica: un’opera
senza fine, una mappa della nostra psiche» che, nelle intenzioni dello scrittore
messicano potrebbe aiutare lo spanglish a
diventare una lingua vera e propria. «È
difficile restare puristi — conclude Stavans — davanti a una realtà verbale composita che man mano guadagna sempre
più terreno».
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 7 giugno 2015
pagina 5
Negli stalli del coro siedono
figure incisive nella storia della Chiesa
La cui importanza è forse proporzionale
alla loro non apparenza
Cupola della cappella della Sindone
(Duomo di Torino)
I canonici del capitolo della cattedrale di Torino fra
XI
e
XV
Lutero
e le indulgenze
nel tardo
medioevo
secolo
Piantati a terra
come una piramide
di PAOLO VIAN
R
icordando sulle colonne del
nostro giornale, il 24 dicembre
1961, l’arcivescovo di Firenze
Elia Dalla Costa morto pochi
giorni prima, don Giuseppe
De Luca, col suo stile inconfondibile, scrisse dei vescovi nella storia religiosa italiana
ed europea: «Son duemila anni che in Europa il vescovo costituisce uno dei gangli
vitali, non soltanto della vita eterna ma della civiltà; non soltanto della civiltà nel senso storico e solenne, ma anche nella povera
— eppure così grande — vita quotidiana.
Non la civiltà più luminosa, bensì la vita
quotidiana, anche la più oscura, quando è
buona, si tramuta in vita eterna. Una cattedrale è il cuore della città, dalle città più
popolose e potenti alle cittadine più modeste e più smarrite in cima a un colle o nel
segreto d’una valle; e la cattedrale è la chiesa del vescovo; c’è il suo trono, la sua catte-
Un monaco ispeziona una pergamena
(manoscritto XIII secolo)
dra, il suo clero. Tutte le altre parrocchie
lontane e vicine non sono che porzioni del
suo gregge. Una storia, una bella storia di
quel che è stata l’istituzione dell’episcopato
nella civiltà europea, non c’è; sarebbe peraltro una storia grandissima, più bella
d’una storia di esploratori o di conquistatori e, almeno per me, più bella d’una storia
di poeti e di pensatori. Quando l’episcopato era infermo, era inferma la Chiesa tutta;
e il Papa stesso, ce lo dice il catechismo, è
il primo dei vescovi, ma è un vescovo. Il
Papa è il loro capo, ma anche lui è un vescovo: il vescovo di Roma. È anzi il Papa,
perché è il vescovo di Roma». A comprendere e rappresentare nella sua grandezza
l’opera dei vescovi era stato, con pochi altri, Giacomo Manzù: «Piantati a terra come una piramide, e terminanti in una cima
alta di fiamma, saldi e chiusi, irremovibili e
vivi, quei vescovi sono il punto di resistenza ultima e più calda di una città spirituale;
e ogni città, noi lo sappiamo, non è soltanto materiale e carnale, ma anche e soprattutto spirituale».
De Luca avrebbe probabilmente apprezzato il volume di Paolo Rosso Negli stalli
del coro. I canonici del capitolo cattedrale di
Torino (secoli XI-XV), (Bologna, Il Mulino,
2014, pagine 699, euro 50, con cd-rom sui
canonici del capitolo cattedrale di Torino
dalla seconda metà del secolo XII all’inizio
del XVI): perché è un’altra città spirituale
che si rivela ora in una sua articolazione
fondamentale.
La Fondazione Michele Pellegrino prosegue così il discorso avviato su temi poco
noti e desueti: dalla predicazione seicentesca alle ritrovate lezioni di storia ecclesiastica di Ernesto Buonaiuti, da figure dimenticate e in ombra (l’oratoriano Sebastiano
Valfrè, il predicatore bresciano Ippolito
Chizzola, il benedettino cassinese Angelo
Grillo) a grandi temi molto o poco perlustrati (Chiesa cattolica e modernità; il francescanesimo dalle origini alla metà del Cinquecento; Chiese cristiane, pluralismo religioso e democrazia liberale in Europa; Bibbia e letteratura nel Settecento italiano;
Stato e Chiesa in Italia), sino alla presentazione di testi come l’Avventuale fiorentino
1304 di Giordano da Pisa e la straordinaria
Vita scritta da lui medesimo del predicatore
francescano e polemista antiprotestante cinquecentesco Francesco Panigarola.
Chi siede allora, nella penombra, negli
stalli del coro, oltre il transetto, in quella
zona del presbiterio dominata dall’abside?
Sono figure lontane, evanescenti, meno evidenti e visibili dei vescovi sulle loro cattedre o dei predicatori ritti sul pulpito ma
non meno importanti per comprendere la
storia della Chiesa di cui sono stati attori
privilegiati.
Nella prosopografia ecclesiastica i canonici di grandi chiese hanno sinora goduto
non soltanto con i temi dell’istruzione del
di una modesta attenzione e le eccezioni
clero (particolarmente rilanciata dai concili
più corpose non sono molte, come, per
Lateranensi III e IV, nel 1179 e nel 1215), delesempio, la monografia di Andreas
Rehberg sui canonici di San Giovanni in la cura pastorale, della predicazione ma anLaterano e di Santa Maria Maggiore nel che dell’insegnamento, nella scuola catteTrecento (1999). Eppure (notava qualche drale e nello studium generale che nasce a
anno fa Jacques Verger) nel clero medievale Torino nel 1404 e vede in esso coinvolti nu(e non solo in quello) i canonici, regolari e merosi canonici come docenti e discenti.
secolari, rappresentano un’élite, in ragione Prima di allora i canonici o quanti erano
di una formazione culturale che li distingue destinati a divenirlo andavano a studiare
e li rende eccellenti strumenti nelle mani presso la Curia romana oppure intraprendedei vescovi, di cui sono i primi collaborato- vano una peregrinatio academica che li conri. Era un canonico, della cattedrale di duceva in giro per l’Europa nei grandi cenAmiens, in Piccardia, quel Richard de tri universitari, da Bologna ad Avignone, a
Fournival che nella prima metà del XIII se- Montpellier. Prima ancora, all’alba del nuocolo costituì una straordinaria
collezione libraria, il primo
esempio di biblioteca pubblica
Lontani, evanescenti
in Europa. Era canonico, di
Colonia, quell’Alessandro di
meno evidenti dei vescovi sulle loro cattedre
Roes che, familiare di Giacoo dei predicatori ritti sul pulpito
mo Colonna, alla fine del
Duecento enunciò una persoMa non meno importanti
nale visione politico-culturale
per comprendere la storia
dei rapporti tra le diverse forze
della cristianità. Era canonico,
di Chartres, quel Landolfo Colonna che, autore di un Breviarium historia- vo millennio, quando ancora le università
rum, fu amico di Petrarca e raccolse una co- non si erano affermate, i vescovi di una
spicua biblioteca. E gli esempi si potrebbe- diocesi per certi versi «moderna» come
ro moltiplicare a mostrare la straordinaria quella torinese avevano cercato di dare al
importanza del mondo canonicale per la vi- loro capitolo il conforto della linfa di una
ta della Chiesa e delle diocesi.
storia antica e gloriosa, come quella della
Principali compiti dei capitoli delle catte- diocesi vercellese, dalle radici tardo-antiche.
drali erano l’assistenza e la consulenza al
Statuti capitolari, inventari librari e di
vescovo, eletto dai canonici e che spesso beni, testamenti: dopo un’introduzione stoproveniva dai loro ranghi e da essi era sup- riografica e una presentazione delle fonti,
plito durante la sede vacante. Per tale in- Rosso non omette alcun documento per
dissolubile intreccio la storia di un capitolo delineare nella prima parte del volume (Socattedrale come quello torinese diviene così, cietà e cultura) la composizione sociale del
per certi versi, la storia della diocesi torine- capitolo cattedrale e le modalità della sua
se bassomedievale tout court e si intreccia formazione culturale, nella seconda parte (I
libri dei canonici) la circolazione libraria
nelle istituzioni ecclesiastiche diocesane, la
biblioteca del capitolo cattedrale, i fondi librari personali dei canonici, attori e fruitori
della circolazione libraria. Diritto canonico
e civile, liturgia, teologia, con spiccati interessi di natura morale e pastorale, costituiscono naturalmente l’ossatura della cultura
e delle biblioteche dei canonici. Ma non
solo: una biblioteca come quella dei Romagnano (una famiglia fondamentale nella
Torino quattrocentesca, che alimenta con i
suoi membri episcopato, amministrazione
ducale, capitolo cattedrale) riserva ampio
spazio agli studia humanitatis (da Cicerone
a Valerio Massimo, da Plutarco a Svetonio,
sino a Cristoforo Landino e Marco Antonio
Sabellico) e rivela, nella sua diacronica ed
eclettica varietà, «una assimilazione ormai
matura delle correnti culturali dell’umanesimo e una apertura alla cultura classica latina e alla letteratura umanistica, quest’ultima anche rappresentata dai commenti agli
auctores».
Sicuramente pochi conosceranno o ricorderanno i nomi di Cuniberto (1046-1081),
Guido Canalis (1319-1348), Ludovico di Romagnano (1438-1468): eppure sono tutti vescovi torinesi, tutti provenienti dalle file dei
canonici della cattedrale, tutti artefici della
storia della diocesi. Negli stalli del coro siedono dunque figure decisive per la storia
della Chiesa, la cui importanza è forse proporzionale alla loro non-apparenza. E il volume di Rosso ha il merito di ricordarcelo,
invitando a ricerche simili per altre realtà
geografiche. Ne verrebbe fuori una storia
nuova e diversa, «una storia grandissima —
De Luca aveva ragione — più bella d’una
storia di esploratori o di conquistatori e
(...) più bella d’una storia di poeti e di
pensatori».
Albert Schweitzer e l’etica dell’O ttocento
Un uomo solido
di CRISTIANA D OBNER
«Schweitzer, un uomo solido e alto, dalla corporatura di contadino, un anno
più giovane di Ernst, pienamente padrone della sua forza fisica, non sembrava
uno studioso e neppure un musicista o
un teologo, qualifiche tutte che gli spettavano a pieno diritto. Sembrava appunto Schweitzer, e, come nemmeno la sua
vita e la sua opera erano consuete, così
Teologo, musicologo e medico
fu tra i primi a cogliere
il disagio e il mutamento
dovuti alla crisi della civiltà moderna
anche il suo aspetto». Così descrive Toni
Cassirer il famoso teologo, musicologo e
medico che aveva infilato nella cassetta
delle lettere della pensione in cui Toni si
trovava a Londra con il marito Ernst
«un semplice biglietto bianco; vi erano
scritte soltanto poche parole: “Vorrei solo stringerle la mano. Albert Schweitzer”».
Così due grandi figure del secolo
scorso poterono incontrarsi personalmente.
Il breve saggio di Cassirer, Albert
Schweitzer as Critic of Nineteenth Century
Ethics, uno degli ultimi da lui composto,
viene tradotto per la prima volta in italiano e prefato da Ernesto Colombo presentandolo con il titolo Albert Schweitzer
e l’etica del XIX secolo (Brescia, Morcelliana, 2015 pagine 77, euro 10).
La “crisi della civiltà” è stata pensata e
valutata da tanti personaggi in diversi
tempi cronologici, Albert Schweitzer
però fu tra i primi a coglierne il disagio
e il conseguente mutamento. Le radici
affondavano nel terreno dell’Illuminismo
ma si sarebbero propagate fino alla
prima guerra mondiale che, allora ne sarebbe conseguita come esito. Cogliere i
tratti emergenti e qualificativi della personalità versatile di Schweitzer è compito arduo, ma Cassirer ha raggiunto
l’obiettivo sia dal punto di vista biografico, sia da quello strettamente intellettuale.
Il profilo allora si staglia come quello
di uno spirito vigile che scruta l’orizzonte e ritiene suo specifico compito indirizzare il pensiero alla filosofia e alla scoperta del suo ruolo, non astratto ma
contingente, cioè inserito in quel hic et
nunc che caratterizza uno specifico arco
di tempo.
Quale il focus da cui prendere le mosse? L’etica e la ragione, i loro concetti e
le loro articolazioni. Focus che, a ben
vedere, è anche la leva che scalzerà
Schweitzer dalla sua professione di filosofo, teologo e musicista e lo condurrà a
diventare non solo medico ma medico
dei più poveri, dei più abbandonati.
«L’opera filosofica di Schweitzer non è
mai stata ostacolata da queste attività
pratiche. Al contrario, ne è stata rafforzata ed è stata resa più profonda», afferma Cassirer. Nel linguaggio odierno lo
diremmo una personalità che abbandonò
il suo centro di vita e di esperienza per
volgersi alla periferia. Leva che si denomina “ragione pratica” nella sua accezione che ne coglie la portata etica, sociale
e antropologica.
Schweitzer non possedeva e non esibiva un linguaggio da iniziati o un linguaggio filosofico tecnico: «La sua opera non è gravata da una terminologia
complicata e oscura e non contiene alcun modo di ragionare sottile e sofisticato. Il pensiero di Albert Schweitzer è
schietto e ingegnoso. Evita ogni scolasticismo».
La sintomatologia dei mali intimi della società moderna indica che «viviamo
nel segno del declino della civiltà (...) ci
agitiamo in una potente cataratta, in una
corrente, tra pericolosi vortici. Soltanto
con sforzi enormi ricondurremo il
vascello del nostro destino, dal pericoloso abbraccio al corso principale in cui ci
agitiamo, se c’è in generale ancora
speranza». Cassirer sottolinea come in
queste profetiche parole, scritte prima
dello scoppio della guerra, Schweitzer
esprimesse tutta la sua indole di medico
più che di filosofo per la chiarezza e
ineludibilità della diagnosi, in cui emergeva la pericolosità del “pensiero collettivo”.
Si apre l’8 giugno presso l’Istituto
germanico di Roma il convegno
internazionale sul tema
«Campagne legate alle indulgenze
nel tardo medioevo. Martin Lutero
e il dibattito del 1517». Ai lavori,
che dureranno tre giorni, è
previsto, tra gli altri, l’intervento
del cardinale Kurt Koch,
presidente del Pontificio Consiglio
per la promozione dell’unità dei
cristiani. Il convegno, spiegano gli
organizzatori, costituisce il
contributo dell’Istituto storico
germanico e della Facoltà valdese
protestante alla decade delle
celebrazioni in ricordo di Martin
Lutero e vuole essere uno
strumento per riflettere sul
bilancio dei recenti studi nel
campo delle indulgenze.
Nell’ultima giornata è prevista una
tavola rotonda interconfessionale
sul tema «Lutero 1517 e le
conseguenze».
Lucas Cranach, «Ritratto di Martin Lutero» (1529)
Una città
trasformata
in palcoscenico
Un laboratorio di social media
storytelling e tanto spazio ai
drammaturghi giovani e
giovanissimi: sono alcuni degli
aspetti più interessanti della quarta
edizione del festival «I Teatri del
Sacro» in programma a Lucca
dall’8 al 14 giugno, presentato da
Fabrizio Fiaschini, Francesco
Giraldo, Vittorio Sozzi e Giorgio
Testa il 5 giugno scorso presso la
Radio Vaticana. Venti spettacoli in
prima nazionale assoluta, tutti
dedicati ai temi dello spirito.
«Crediamo nel teatro, forma d’arte
che non è passata di moda, anzi è
più necessaria che mai» ha scritto
nel messaggio di saluto inviato
all’incontro don Ivan Maffeis, neo
eletto direttore dell'Ufficio
Nazionale per le comunicazioni
sociali della Cei e presidente della
Fondazione Ente dello Spettacolo.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
domenica 7 giugno 2015
Shimon Peres, Mahmūd Abbās,
Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo,
piantano l’«Ulivo della pace»
nei giardini vaticani (8 giugno 2014)
Dalla Germania appello dei cristiani ai leader del
G7
Poveri
chiave della giustizia
ROMA, 6. Un minuto di sosta, silenzio e, per chi crede, di preghiera.
Un minuto, solo un minuto, da
“strappare” alle giornate piene di
impegni e distrazioni per dedicarlo
alla pace. È quanto chiedono alcune
organizzazioni cattoliche e di altre
religioni fissando l’appuntamento
per lunedì 8 giugno, alle ore 13.
L’appello, dal titolo: «Un minuto
per la pace» giunge a un anno
dall’incontro in Vaticano fra Papa
Francesco, il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo e i presidenti di
Israele, Shimon Peres, e dello Stato
di Palestina, Mahmūd Abbās. Tanto
è trascorso da quell’«Invocazione
per la pace» diffusa dai giardini vaticani (era l’8 giugno) e che attirò
l’attenzione di tutto il mondo. E oggi, anche più di allora, la pace è ferita in tante regioni del pianeta.
Lunedì alle ore 13, si potrà dunque dedicare tutti insieme un pensiero alla riconciliazione «perché —
spiega Emilio Inzaurraga, coordinatore mondiale del Forum internazionale di Azione cattolica (Fiac) e presidente di Azione cattolica argentina
— di pace abbiamo sempre bisogno,
così come di fratellanza, di solidarietà e di preghiera. Concretamente,
proponiamo a ogni Azione cattolica
di invitare tutti gli aderenti, gli amici delle altre associazioni e movimenti, delle diverse confessioni cristiane, i fedeli delle altre religioni,
tutte le persone di buona volontà a
fermarsi lunedì 8 giugno, lì dove sono, a chinare il capo e pregare: sul
lavoro, a scuola, all’università, nel
quartiere, in famiglia, con gli ami-
Iniziativa del Forum internazionale di Azione cattolica
Un minuto per la pace
ci». L’appello, grazie ai social media, ha già fatto in breve tempo il
giro del mondo: dalle Filippine al
Burundi, dal Senegal a diversi Paesi
europei. Il messaggio ha raggiunto
anche il Myanmar, la Cina, l’India e
il Pakistan. E poi Venezuela, Colombia e Messico.
Il Fiac ha invitato i fedeli a formulare intenzioni di preghiera per la
pace già durante le celebrazioni di
domenica 7 giugno. La preghiera,
«quando comincia la settimana in
molti Paesi del mondo — ha aggiunto Inzaurraga — ci ricorda che siamo
chiamati ogni giorno a essere operatori di pace, a livello personale, in
famiglia, nella comunità cristiana».
L’appello a partecipare all’iniziativa
è stato diffuso anche dall’Unione
mondiale delle organizzazioni femminili cattoliche (Umofc) e da molte
organizzazioni argentine, dal Diálogo Ciudadano, dalle comunità di vita cristiana, dall’Associazione dei
giovani cristiani al Centro islamico
della Repubblica Argentina (Cira),
all’Asociación Mutual Israelita Argentina (Amia), alla Red Solidaria.
Grande il contributo offerto dalle
parrocchie. Nell’organizzazione, come accennato, è stato fondamentale
l’apporto dei social network. Già lo
scorso anno, due giorni prima dello
La tutela del creato al centro della riflessione del segretario generale del Wcc
Contro lo sfruttamento globalizzato
STO CCARDA, 6. «L’umanità non può
ignorare la propria responsabilità
per il creato»: è quanto ha dichiarato il segretario generale del World
Council of Churches (Wcc), reverendo Olav Fykse Tveit, intervenuto
al trentacinquesimo Kirchentag degli evangelici tedeschi dal titolo:
«Giustizia e pace in un solo mondo» svoltosi nei giorni scorsi a Stoccarda. L’evento, promosso dal Bread
for the World, l’agenzia protestante
tedesca per lo sviluppo, si tiene
ogni due anni.
Nel ricordare ai partecipanti che
l’intera umanità dipende da ciò che
fornisce la natura — cibo, aria pulita, luce, acqua — il reverendo Fykse
Tveit nel suo sermone ha sottolineato che è giunto il momento di scegliere: «O siamo in grado di prenderci cura del nostro giardino o
Iniziative per la Repubblica Democratica del Congo
Equità
per la riconciliazione
GINEVRA, 6. Un invito a consolidare e a rinnovare le iniziative per
la pace e la giustizia nella Repubblica Democratica del Congo è
stato diffuso dal World Council of
Churches (Wcc). L’appello, rivolto alle Chiese, alle comunità cristiane e alle organizzazioni ecumeniche è stato lanciato al termine dell’incontro che si è svolto nei
giorni scorsi a Ginevra su iniziativa della Commission of the Churches on International Affairs. In
particolare, come riferisce il sito in
rete del Wcc, viene incoraggiata la
costituzione di un’apposita struttura che possa coordinare gli interventi.
Al centro dei lavori, che si sono
svolti con lo sguardo a un contesto di rinnovata instabilità del
Paese africano e dell’intera regione
— episodi di violenza spesso legati
alle elezioni presidenziali del 2016
e all’arrivo di ondate di profughi
dal Burundi — sono stati soprattutto la preoccupazione per il
mancato rispetto dei diritti umani,
l’emergenza sanitaria, la corruzione, la necessità di tutelare l’ambiente attraverso una corretta gestione delle risorse naturali. Infatti, con riferimento a quest’ultimo
aspetto, è noto che proprio il controllo delle zone più ricche di minerali — oro, stagno, coltan — rappresenta spesso uno degli elementi
che alimentano l’instabilità provocata da varie milizie attive nell’est
del Paese, in province, come Nord
e Sud Kivu e Katanga, che sfuggono in gran parte al controllo
dell’autorità dello Stato. «Data la
natura e dimensioni delle sfide
che sta affrontando la Repubblica
Democratica del Congo, un’efficace risposta ecumenica esige una
comune voce profetica e l’azione
congiunta di tutte le Chiese del
Paese», si legge nel comunicato finale dei lavori di Ginevra. In questo senso, la costituzione di uno
speciale organismo di collegamento dovrebbe poter agevolare
«un’interazione inclusiva e regolare tra le Chiese nella Repubblica
Democratica del Congo e i loro
partner ecumenici a livello nazionale e internazionale». Peter Prove, direttore della Commission of
the Churches on International Affairs, in una dichiarazione diffusa
dal sito del Wcc, ha sottolineato
la particolare importanza di «promuovere una comune azione» dei
cristiani di fronte alle delicate sfide del Paese.
Un invito al «dialogo nazionale
nel rispetto della Costituzione»
arriva, nel frattempo anche dai vescovi cattolici, dopo l’incontro
avuto con il presidente Joseph
Kabila. «Abbiamo ringraziato il
Presidente per averci associato alle
consultazioni. Per noi il dialogo è
la via maestra e pacifica per uscire
da una crisi», hanno dichiarato i
presuli.
possiamo distruggere il giardino
della vita». In numerose occasioni il
segretario generale del Wcc ha ribadito quanto sia necessario pensare al
giusto equilibrio dell’ambiente e a
considerare «di quanta fiducia, solidarietà, giustizia e di quanto alto livello di vita l’intera umanità ha veramente bisogno». Secondo Fykse
Tveit «coltivare, seminare e piantare,
sono espressione della fede nella capacità di Dio di creare la vita attraverso il lavoro delle nostre mani. La
potenza della grazia e del perdono
del Signore — ha continuato — possono rinnovare la nostra generazione, la nostra gente, i nostri leader
politici. Essa può trasformarci ispirandoci nelle decisioni necessarie
per cambiare, per invertire le trasformazioni climatiche, al fine di assicurare il diritto al cibo per tutti, il
diritto di godere di acqua, aria e
suolo puliti».
Sulla salvaguardia del creato si è
soffermata anche Cornelia FüllkrugWeitzel, presidente di Bread for the
World. «In questo nostro incontro
— ha detto — desideriamo ancora
una volta ribadire la ricchezza e la
diversità che il nostro creatore ha
dato all’ambiente». Füllkrug-Weitzel ha sottolineato che non si può
sottovalutare come «nei Paesi del
sud del mondo, la diversità delle
piante selvatiche tradizionali e delle
coltivazioni sia sempre più ridotta
per far posto a una produzione alimentare globale».
Al trentacinquesimo Kirchentag
hanno preso parte, tra gli altri, il reverendo Chris Ferguson, segretario
generale della Comunione mondiale
delle Chiese riformate, l’arcivescovo
Ephraim Fajutagana della Philippine Independent Church e il reverendo Yusuf Wushishi, segretario
generale del Christian Council of
Nigeria.
storico incontro in Vaticano, il Fiac
aveva aperto una pagina facebook,
che in poche ore aveva raccolto diecimila “mi piace”. Alle più consuete
traduzioni del messaggio in italiano,
inglese, francese, spagnolo, tedesco,
quest’anno, tra l’altro, si accostano
tanti altri idiomi; come ucraino, russo, albanese e polacco in Europa, kirundi e wolof in Africa, arabo,
ebraico, urdu, tagalos e birmano in
Asia. In Italia il messaggio è veicolato dalle duecento Azioni cattoliche
diocesane, con il compito di estendere l’invito alle parrocchie per la
preghiera dei fedeli durante le celebrazioni di domenica 7 giugno.
BERLINO, 6. I poveri prima di tutto. È il messaggio contenuto nel
“promemoria” che i cristiani tedeschi presentano ai rappresentanti
delle grandi potenze economiche
mondiali che da domani, domenica
7, e fino a lunedì 8, si riuniscono in
Baviera per i lavori del G7.
In una dichiarazione congiunta,
cattolici ed evangelici di Germania
chiedono infatti ai leader politici —
non saranno presenti i rappresentanti russi a seguito della crisi
ucraina — di prendere in considerazione «in primo luogo l’impatto sui
poveri» delle loro deliberazioni e
decisioni. Questo è, per il presidente della Conferenza episcopale
tedesca, il cardinale arcivescovo di
München und Freising, Reinhard
Marx, e per il presidente del Consiglio della Chiesa evangelica in
Germania, il vescovo Heinrich
Bedford-Strohm, il solo modo con
il quale il G7 potrà «contribuire alla
promozione
della
giustizia
globale».
In questa prospettiva, la dichiarazione congiunta invita anche tutti i
credenti a riunirsi in preghiera per
il successo del vertice.
I rappresentanti dei sette Paesi
più industrializzati si incontreranno, tra imponenti misure di sicurezza — si annunciano già manifestazioni di protesta da parte dei movimenti no-global — presso il castello
Elmau, vicino a Garmisch-Partenkirchen, nelle Alpi bavaresi. Lotta
al terrorismo e crisi economica internazionale i principali temi in
agenda. Per Marx e Bedford-
Strohm l’attenzione agli ultimi della
terra è l’unica prospettiva percorribile per l’ottenimento di una giustizia davvero globale. «Il 90 per cento della ricchezza mondiale è ancora nella mani del dieci per cento
delle nazioni più ricche — si ricorda
nella dichiarazione — e la distribuzione ineguale delle possibilità di
vita è peggiorata in molti Paesi». I
cattolici e gli evangelici della Germania si aspettano quindi «un sì
chiaro a rendere più equo il commercio mondiale».
Tra le preoccupazioni dei cristiani tedeschi anche il rispetto per
l’ambiente. Nella dichiarazione è richiesto, infatti, anche un impegno
concreto del G7 per l’adozione di
obiettivi di sviluppo sostenibile da
presentare all’assemblea generale
delle Nazioni Unite nel mese di
settembre a New York, e alla Conferenza internazionale sui cambiamenti climatici che si terrà a dicembre a Parigi (Cop21). In tutti questi
ambiti i leader delle grandi potenze
dovrebbero «favorire il bene comune globale ed essere pronti a impostare gli interessi nazionali verso
l’apertura dei mercati per i prodotti
dei Paesi poveri».
Inoltre, viene ribadito con decisione che la prospettiva per i partecipanti ai lavori del prossimo G7
dovrà essere necessariamente quella
di giungere a una «dichiarazione
vincolante per aumentare, entro il
2020, il loro finanziamento della
cooperazione allo sviluppo fino allo
0,7 per cento del reddito nazionale
lordo».
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 7 giugno 2015
pagina 7
All’arrivo a Sarajevo il Papa rinnova l’invito al dialogo e alla collaborazione
Scommessa
di speranza
Nella mattina di sabato 6 giugno è iniziata la visita di
Papa Francesco in Bosnia ed Erzegovina. L’aereo
dell’Alitalia con a bordo il Pontefice è atterrato a Sarajevo
intorno alle 9, ad accogliere il Papa c’erano, tra gli altri, il
membro croato della presidenza della Bosnia ed Erzegovina,
Dragan Čović, e il cardinale Vinko Puljić, arcivescovo di
Sarajevo e presidente della Conferenza episcopale. Francesco,
Signori Membri della Presidenza
della Bosnia ed Erzegovina,
Signor Presidente di turno,
Membri del Corpo Diplomatico,
Cari fratelli e sorelle!
Ringrazio vivamente i membri della
Presidenza della Bosnia ed Erzegovina per la gentile accoglienza, e in
particolare per le cordiali espressioni
di saluto rivoltemi a nome di tutti
dal Signor Presidente di turno Mladen Ivanić. È per me motivo di
gioia trovarmi in questa città che ha
tanto sofferto per i sanguinosi conflitti del secolo scorso e che è tornata ad essere luogo di dialogo e pacifica convivenza. È passata da una
cultura dello scontro, della guerra, a
una cultura dell’incontro.
Sarajevo e la Bosnia ed Erzegovina rivestono uno speciale significato
per l’Europa e per il mondo intero.
Da secoli in questi territori sono presenti comunità che professano religioni diverse e appartengono a diverse etnie e culture, ciascuna delle
quali è ricca delle sue peculiari caratteristiche e gelosa delle sue specifiche tradizioni, senza che questo abbia impedito per lungo tempo l’instaurarsi di relazioni reciproche amichevoli e cordiali.
Anche la stessa struttura architettonica di Sarajevo ne porta visibili e
consistenti tracce, poiché nel suo
tessuto urbanistico sorgono, a breve
distanza l’una dall’altra, sinagoghe,
chiese e moschee, tanto che la città
ricevette l’appellativo di “Gerusalem-
dopo aver sfilato davanti al picchetto d’onore, ha salutato
un folto gruppo di bambini, giovani e adulti vestiti con i
costumi tradizionali locali, soffermandosi con alcuni di loro
per scambiare qualche battuta. Dall’aeroporto il Pontefice ha
quindi raggiunto in auto il palazzo presidenziale dove si è
svolta la cerimonia di benvenuto. Di seguito, il discorso
pronunciato dal Papa in italiano.
me d’Europa”. Essa infatti rappresenta un crocevia di culture, nazioni
e religioni; e tale ruolo richiede di
costruire sempre nuovi ponti e di curare e restaurare quelli esistenti, perché sia assicurata un’agevole, sicura
e civile comunicazione.
Abbiamo bisogno di comunicare,
di scoprire le ricchezze di ognuno,
di valorizzare ciò che ci unisce e di
guardare alle differenze come possibilità di crescita nel rispetto di tutti.
È necessario un dialogo paziente e
fiducioso, in modo che le persone, le
famiglie e le comunità possano trasmettere i valori della propria cultura e accogliere il bene proveniente
dalle esperienze altrui.
In tal modo, anche le gravi ferite
del recente passato possono essere
rimarginate e si può guardare al futuro con speranza, affrontando con
animo libero da paure e rancori i
quotidiani problemi che ogni comunità civile è chiamata ad affrontare.
Sono venuto come pellegrino di
pace e di dialogo, 18 anni dopo la
storica visita di san Giovanni Paolo
II, avvenuta a meno di due anni dalla firma degli Accordi di Pace di
D ayton. Sono lieto di vedere i progressi compiuti, per i quali occorre
ringraziare il Signore e tante persone
di buona volontà. È però importante
non accontentarsi di quanto finora
realizzato, ma cercare di compiere
passi ulteriori per rinsaldare la fiducia e creare occasioni per accrescere
la mutua conoscenza e stima. Per fa-
Telegrammi a capi di Stato
vorire questo percorso sono fondamentali la vicinanza — la vicinanza!
— e la collaborazione della Comunità internazionale, in particolare
dell’Unione Europea, e di tutti i
Paesi e le Organizzazioni presenti e
operanti sul territorio della Bosnia
ed Erzegovina.
La Bosnia ed Erzegovina è infatti
parte integrante dell’Europa; i suoi
successi e i suoi drammi si inseriscono a pieno titolo nella storia dei successi e dei drammi europei, e sono
nel medesimo tempo un serio monito a compiere ogni sforzo perché i
processi di pace avviati diventino
sempre più solidi e irreversibili.
In questa terra, la pace e la concordia tra Croati, Serbi e Bosgnacchi, le iniziative volte ad accrescerle
ulteriormente, le relazioni cordiali e
fraterne tra musulmani, ebrei, e cristiani e altre minoranze religiose, rivestono un’importanza che va ben al
di là dei suoi confini. Esse testimoniano al mondo intero che la collaborazione tra varie etnie e religioni
in vista del bene comune è possibile,
che un pluralismo di culture e tradizioni può sussistere e dare vita a soluzioni originali ed efficaci dei problemi, che anche le ferite più profonde possono essere sanate da un
percorso che purifichi la memoria e
dia speranza per l’avvenire. Io ho visto oggi questa speranza in quei
bambini che ho salutato all’aeroporto — islamici, ortodossi, ebrei, cattolici e altre minoranze — tutti insieme, gioiosi! Questa è la speranza!
Facciamo la scommessa su questo.
Abbiamo tutti bisogno, per opporci con successo alla barbarie di
chi vorrebbe fare di ogni differenza
l’occasione e il pretesto di violenze
sempre più efferate, di riconoscere i
Il presidente di turno riafferma l’impegno per una società a misura d’uomo
La lezione del passato
Costruire una società a misura
d’uomo che rispetti ogni religione. È con questo impegno
che il presidente di turno Mladen Ivanić, ha dato a Francesco
il «benvenuto» in Bosnia ed
Erzegovina, durante l’incontro
nel palazzo presidenziale. La
Bosnia ed Erzegovina, ha spiegato, è «l’unico territorio europeo in cui la cultura della multiconfessionalità e multietnicità
ha lasciato un segno profondo.
E qui le persone vivono insieme
da secoli con le loro diverse tradizioni: cattolica, ortodossa,
islamica, ebraica e altre minoritarie». La costruzione di una
nuova società nel Paese, ha affermato il presidente, «non è fa-
Papa Francesco è partito alla volta di Sarajevo dall’aeroporto di Fiumicino
alle 7.51 di sabato mattina, 6 giugno. Il congedo dalla residenza di Santa
Marta in Vaticano — dove è stato salutato, tra gli altri, dall’arcivescovo Georg
Gänswein, prefetto della Casa Pontificia — è avvenuto in forma privata.
Successivamente il Pontefice ha raggiunto lo scalo romano in automobile.
Hanno accompagnato Papa Francesco i cardinali Parolin, segretario di Stato,
Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, e Koch,
presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani;
l’arcivescovo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, con gli officiali
Gianluca Pezzoli e Mario Popovic. Con loro anche gli aiutanti di Camera,
Mariotti e Zanetti, il medico Polisca, il responsabile dell’organizzazione del
viaggio Gasbarri, il direttore della Radio Vaticana e della Sala stampa della
Santa Sede, il gesuita Lombardi, il direttore del Centro Televisivo Vaticano,
monsignor Viganò, e il direttore del nostro giornale. Nella capitale della
Bosnia ed Erzegovina si sono uniti al seguito il cardinale Vincko Puljić,
arcivescovo di Vrhbosna, Sarajevo; il nunzio apostolico Luigi Pezzuto, con
monsignor Joseph Puthenpurayil, segretario della nunziatura; e i monsignori
Guido Marini, maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie, e Ján Dubina,
dell’ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice. Subito dopo il
decollo, Francesco ha inviato i seguenti telegrammi ai capi di Stato dei Paesi
sorvolati.
A Sua Eccellenza
On. Sergio Mattarella
Presidente della Repubblica Italiana
Palazzo del Quirinale
00187 Roma
PP.
Her Excellency Kolinda Grabar-Kitarović
President of the Republic of Croatia
Zagreb
I send cordial greetings to Your Excellency and to your fellow citizens as
I fly over your Country at the beginning of my apostolic journey to Bosnia and Hercegovina. I pray that almighty God may guide the entire
Nation in the ways of peace, justice and the common good. Upon you
and all the Croatian people, I invoke the Lord’s abundant blessings
FRANCISCUS
cile e rappresenta una grande
sfida per i capi politici, religiosi, come anche per ogni cittadino. La sfida che dobbiamo raccogliere da ogni vittima del passato deve dare un senso al nostro impegno per la pace, la tolleranza, la liberta e la dignità».
«Siamo convinti — ha spiegato — che il tempo dell’incomprensione, dell’intolleranza e
della divisione sia per sempre
dietro di noi»; e «speriamo di
aver imparato la lezione del recente passato» per far sì «che
davanti a noi ci sia un tempo
nuovo di comprensione, di riconciliazione e di collaborazione». In questa direzione sono
stati compiuti passi, ha riconosciuto, ma «purtroppo
non si deve trascurare il
fatto che ancora oggi
non si è realizzata la piena uguaglianza di tutti i
cittadini e per questo tutti insieme dobbiamo lavorare con grande dedizione».
«Siamo impegnati nella costruzione di buoni
rapporti con gli altri Paesi della regione» ha assicurato Ivanić. «Insieme
con loro — ha aggiunto —
siamo pronti a lavorare»
per attenuare i nazionalismi, costruendo «una
maggiore fiducia reciproca».
In
particolare,
«l’idea della comunione,
della solidarietà e della
tolleranza sono a fondamento dell’Unione euro-
Congregazione delle cause dei santi
Nel momento in cui mi accingo a compiere il mio viaggio apostolico in
Bosnia ed Erzegovina, per favorire l’incontro e il dialogo tra culture e religioni diverse, per rafforzare il cammino dell’unità dei cristiani e per confermare la comunità cattolica nella fede, mi è caro rivolgere a Lei, Signor
Presidente, e alla Nazione italiana il mio cordiale saluto, che accompagno
con fervidi auspici di progresso spirituale, civile e sociale.
FRANCISCUS
concretezza d’impegno, una società
più pacifica e giusta, avviando a soluzione, con l’aiuto di ogni componente, i molteplici problemi della vita quotidiana del popolo.
Perché ciò avvenga è indispensabile l’effettiva uguaglianza di tutti i
cittadini di fronte alla legge e nella
sua attuazione, qualunque sia la loro
appartenenza etnica, religiosa e geografica: così tutti indistintamente si
sentiranno pienamente partecipi della vita pubblica e, godendo dei medesimi diritti, potranno attivamente
dare il loro specifico contributo al
bene comune.
valori fondamentali della comune
umanità, valori in nome dei quali si
può e si deve collaborare, costruire e
dialogare, perdonare e crescere, permettendo all’insieme delle diverse
voci di formare un nobile e armonico canto, piuttosto che urla fanatiche di odio.
I responsabili politici sono chiamati al nobile compito di essere i
primi servitori delle loro comunità
con un’azione che salvaguardi in primo luogo i diritti fondamentali della
persona umana, tra i quali spicca
quello alla libertà religiosa. In tal
modo sarà possibile costruire, con
PP.
In un messaggio di risposta, il presidente italiano Mattarella assicura a
Francesco il «più sincero ringraziamento» per il telegramma ricevuto e
sottolinea che «l’Italia e l’Europa guardano con particolare attenzione alla sua
missione», nella certezza che la presenza del Papa in Bosnia ed Erzegovina
«recherà un importante messaggio di pace e riconciliazione per tutta la regione
balcanica, impegnata in un complesso cammino per superare le dolorose ferite
di un passato ancora vivo nella memoria di molti».
Illustri Signori e Signore,
la Chiesa Cattolica partecipa, attraverso la preghiera e l’azione dei
suoi fedeli e delle sue istituzioni,
all’opera di ricostruzione materiale e
morale della Bosnia ed Erzegovina,
condividendone le gioie e le preoccupazioni, desiderosa di testimoniare
con impegno la sua speciale vicinanza verso i poveri e i bisognosi, mossa nel fare questo dall’insegnamento
e dall’esempio del suo divino Maestro, Gesù.
La Santa Sede si felicita per il
cammino fatto in questi anni ed assicura la sua sollecitudine nel promuovere la collaborazione, il dialogo
e la solidarietà, sapendo che la pace
e il reciproco ascolto in una convivenza civile e ordinata sono le condizioni indispensabili per un autentico e duraturo sviluppo. Essa auspica
vivamente che la Bosnia ed Erzegovina, con l’apporto di tutti, dopo
che le nuvole nere della tempesta si
sono finalmente allontanate, possa
procedere sulla via intrapresa, in
modo che, dopo il gelido inverno,
fiorisca la primavera. E si vede fiorire qui la primavera.
Con questi sentimenti imploro
dall’Altissimo pace e prosperità per
Sarajevo e tutta la Bosnia ed Erzegovina. Grazie.
Promulgazione di decreti
Venerdì 5 giugno, Papa Francesco ha ricevuto in
udienza privata sua Eminenza reverendissima il signor cardinale Angelo Amato, S.D.B., prefetto della Congregazione delle cause dei santi. Nel corso
dell’udienza il Santo Padre ha autorizzato la Congregazione a promulgare i decreti riguardanti:
— il miracolo, attribuito all’intercessione del venerabile servo di Dio Francesco di Paola Victor,
sacerdote diocesano; nato a Campanha (Brasile) il
12 aprile 1827 e morto a Três Pontas (Brasile) il 23
settembre 1905;
— il miracolo, attribuito all’intercessione della
venerabile serva di Dio Clara (al secolo: Ludovica
Szczęsna), cofondatrice della congregazione delle
Ancelle del Sacratissimo Cuore di Gesù; nata a
Cieszki (Polonia) il 18 luglio 1863 e morta a Cracovia (Polonia) il 7 febbraio 1916;
— il martirio dei servi di Dio Federico da Berga
(al secolo: Martí Tarrés Paigpelat) e 25 compagni,
sacerdoti e fratelli laici dell’Ordine dei frati minori
cappuccini; uccisi, in odio alla Fede, nel 1936 durante la guerra civile spagnola;
— il martirio dei servi di Dio Giuseppe Thao
Tiên, sacerdote diocesano, e 10 compagni, sacer-
doti professi della Società delle missioni estere di
Parigi e della congregazione dei Missionari oblati
della beata Maria Vergine Immacolata, nonché 4
compagni, laici; uccisi, in odio alla Fede, tra il
1954 e il 1970 nel Laos;
— le virtù eroiche del servo di Dio Antonio Celona, sacerdote diocesano, fondatore della congregazione delle Suore ancelle riparatrici del Sacro
Cuore di Gesù; nato a Ganzirri (Italia) il 13 aprile
1873 e ivi morto il 15 ottobre 1952;
— le virtù eroiche del servo di Dio Ottorino Zanon, sacerdote fondatore della congregazione della
Pia società di San Gaetano; nato ad Anconetta
(Italia) il 9 agosto 1915 e morto a Brescia (Italia) il
14 settembre 1972;
— le virtù eroiche del servo di Dio Marcello Labor, sacerdote diocesano; nato a Trieste (Italia) l’8
luglio 1890 e ivi morto il 29 settembre 1954;
— le virtù eroiche della serva di Dio Maria Antonia del Sacro Cuore di Gesù (al secolo: Rachele
Lalia), fondatrice della congregazione delle Suore
domenicane missionarie di San Sisto; nata a Misilmeri (Italia) il 20 maggio 1839 e morta a Ceglie
Messapica (Italia) il 9 aprile 1914.
pea, una casa dove ogni cittadino può vivere serenamente».
Da parte sua, il presidente ha
auspicato
«che
la
porta
dell’Unione europea sia aperta
per tutti i Paesi del sud-est europeo che, con le riforme essenziali nel processo d’integrazione, desiderino diventarne membri con pari diritti e doveri». E
al Papa ha chiesto un «appoggio in questo percorso».
«Oggi — ha fatto notare —
siamo al centro di un evento
mediatico globale, ma questa
volta, diversamente dagli anni
precedenti, con un messaggio
molto positivo». Ivanić si è detto certo che il Papa lascerà una
parola di «spinta», un incoraggiamento capace di svegliare
«per puntare verso il futuro, in
modo da mettere da parte il
male del passato per aprirsi alla
speranza e convincersi che si
può vivere meglio».
Il presidente ha quindi ricordato che «la Bosnia ed Erzegovina ha adottato una legge sulla
libertà delle Chiese e delle comunità religiose», e ha «stipulato accordi con la Santa Sede e
il Patriarcato serbo ortodosso».
In conclusione, a Francesco ha
assicurato l’impegno ad ascoltare le sue indicazioni «per trovare soluzioni alle questioni interreligiose e di convivenza civile».
Nomina
episcopale
La nomina di oggi riguarda la
Chiesa in Messico.
José Alberto
González Juárez
vescovo di Tuxtepec
(Messico)
È nato il 19 dicembre 1967, a El
Parral, nel municipio di Villa Corzo (Chiapas), ed è stato ordinato
sacerdote l’8 dicembre 1995, incardinandosi nell’arcidiocesi di Tuxtla
Gutiérrez. Ha compiuto gli studi
ecclesiastici presso i seminari di
San Juan de Los Lagos e Tuxtla
Gutiérrez. Ha ottenuto la licenza
in filosofia presso la Pontificia università di México. Ha svolto i seguenti incarichi: vicario parrocchiale, parroco della parrocchia
della Divina Providenza a Tuxtla
Gutiérrez, superiore del corso propedeutico e docente di filosofia di
Tuxtla e rettore del seminario. Attualmente è parroco della chiesa
dell’Immacolata Concezione e vicario episcopale per il clero e per
la vita consacrata.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
domenica 7 giugno 2015
Durante la messa il nuovo monito del Pontefice contro la guerra e i trafficanti di armi
Il lavoro dei seminatori di pace
Un nuovo monito contro la guerra e contro i
trafficanti di armi «che speculano sulle
guerre» è risuonato sabato mattina, 6 giugno,
nello stadio Koševo di Sarajevo, dove decine
di migliaia di persone si sono riunite per
partecipare alla messa celebrata da Papa
Francesco. Di seguito l’omelia pronunciata dal
Pontefice in italiano.
Cari fratelli e sorelle,
nelle Letture bibliche che abbiamo ascoltato è risuonata più volte la parola “pace”.
Parola profetica per eccellenza! Pace è il
sogno di Dio, è il progetto di Dio per
l’umanità, per la storia, con tutto il creato.
Ed è un progetto che incontra sempre opposizione da parte dell’uomo e da parte
del maligno. Anche nel nostro tempo
l’aspirazione alla pace e l’impegno per costruirla si scontrano col fatto che nel mondo sono in atto numerosi conflitti armati.
È una sorta di terza guerra mondiale combattuta “a pezzi”; e, nel contesto della comunicazione globale, si percepisce un clima
di guerra.
C’è chi questo clima vuole crearlo e fomentarlo deliberatamente, in particolare
coloro che cercano lo scontro tra diverse
culture e civiltà, e anche coloro che speculano sulle guerre per vendere armi. Ma la
guerra significa bambini, donne e anziani
nei campi profughi; significa dislocamenti
forzati; significa case, strade, fabbriche distrutte; significa soprattutto tante vite
spezzate. Voi lo sapete bene, per averlo
sperimentato proprio qui: quanta sofferenza, quanta distruzione, quanto dolore! Oggi, cari fratelli e sorelle, si leva ancora una
volta da questa città il grido del popolo di
Dio e di tutti gli uomini e le donne di
buona volontà: mai più la guerra! All’interno di questo clima di guerra, come un raggio di sole che attraversa le nubi, risuona
la parola di Gesù nel Vangelo: «Beati gli
operatori di pace» (Mt 5, 9). È un appello
sempre attuale, che vale per ogni generazione. Non dice «Beati i predicatori di pace»: tutti sono capaci di proclamarla, anche in maniera ipocrita o addirittura menzognera. No. Dice: «Beati gli operatori di
pace», cioè coloro che la fanno. Fare la pace è un lavoro artigianale: richiede passione, pazienza, esperienza, tenacia. Beati sono coloro che seminano pace con le loro
azioni quotidiane, con atteggiamenti e gesti di servizio, di fraternità, di dialogo, di
misericordia... Questi sì, «saranno chiamati
figli di Dio», perché Dio semina pace,
sempre, dovunque; nella pienezza dei tempi ha seminato nel mondo il suo Figlio
perché avessimo la pace! Fare la pace è un
lavoro da portare avanti tutti i giorni, passo dopo passo, senza mai stancarsi. E come
si fa, come si costruisce la pace? Ce lo ha
ricordato, in maniera essenziale, il profeta
Isaia: «Praticare la giustizia darà pace»
(32, 17). “Opus iustitiae pax”, secondo la
versione della “Vulgata” diventata un celebre motto, adottato anche profeticamente
dal Papa Pio XII. La pace è opera della
giustizia. Anche qui: non una giustizia declamata, teorizzata, pianificata... ma la giustizia praticata, vissuta. E il Nuovo Testamento ci insegna che il pieno compimento
della giustizia è amare il prossimo come sé
stessi (cfr. Mt 22, 39; Rm 13, 9).
Quando, con la grazia di Dio, noi seguiamo questo comandamento, come cambiano le cose! Perché cambiamo noi! Quella persona, quel popolo, che vedevo come
nemico, in realtà ha il mio stesso volto, il
mio stesso cuore, la mia stessa anima. Abbiamo lo stesso Padre nei cieli. Allora la
vera giustizia è fare a quella persona, a
quel popolo, ciò che vorrei fosse fatto a
me, al mio popolo (cfr. Mt 7, 12). San Paolo, nella seconda Lettura, ci ha indicato gli
atteggiamenti necessari per fare la pace: «Rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdo-
dal nostro inviato
GAETANO VALLINI
Settecento, ottocento metri, forse un chilometro, non di più. Tanto dista lo stadio
olimpico Koševo, dove Papa Francesco celebra la messa con i fedeli giunti a Sarajevo da tutto il Paese, dal grande cimitero
che accoglie migliaia di vittime della guerra che vent’anni fa, dal 1991 al 1996, insanguinò la capitale e l’intera Bosnia ed Erzegovina. Le lapidi di quelle tombe di donne, uomini, anziani e bambini di diverso
credo ed etnia, che si vedono dai gradoni
più alti dello stadio sulla collina illuminata dal sole estivo, testimoniano le ferite
non ancora rimarginate di un Paese che
sta cercando la strada per un futuro di
piena concordia e di stabilità. Non è una
strada facile dopo tanti lutti. Per questo il
Pontefice ha deciso di venire oggi, sabato
6 giugno, in questa città — il cui nome è
tragicamente legato anche allo scoppio del
primo conflitto mondiale, un secolo fa —
per rilanciare il monito che Giovanni Paolo
II pronunciò da questo
stesso luogo, il 13 aprile 1997, a poco più di
anno dalla fine delle
ostilità: «Mai più la
guerra». Francesco lo
ha fatto nell’omelia,
davanti a sessantacinquemila persone, tra
cui numerosi feriti e
mutilati, coloro che
portano nella carne i
segni visibili di quel
conflitto, che hanno
accolto questa invocazione con un lungo
applauso.
Del resto il Papa lo aveva detto nel videomessaggio alla vigilia del viaggio: «Mi
appresto a venire tra di voi come un fratello messaggero di pace» e per «incoraggiare la convivenza pacifica nel vostro
Paese». E stamane sull’aereo lo ha ripetuto: «Sarajevo è chiamata la Gerusalemme
dell’occidente. Una città con culture religiose ed etniche tanto diverse. È anche
una città che ha sofferto tanto nella storia,
ma che adesso è in un bel cammino di pace. È per parlare di questo che faccio il
viaggio, come segno di pace, come preghiera di pace».
Pace è dunque la parola chiave di questa giornata, richiamata anche nel motto
nandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse
di che lamentarsi nei confronti di un altro.
Come il Signore vi ha perdonato, così fate
anche voi» (3, 12-13).
Ecco gli atteggiamenti per essere “artigiani” di pace nel quotidiano, là dove viviamo. Non illudiamoci però che questo
dipenda solo da noi! Cadremmo in un moralismo illusorio. La pace è dono di Dio,
non in senso magico, ma perché Lui, con
il suo Spirito, può imprimere questi atteggiamenti nei nostri cuori e nella nostra carne, e fare di noi dei veri strumenti della
sua pace. E, andando in profondità, l’Apostolo dice che la pace è dono di Dio perché è frutto della sua riconciliazione con
noi. Solo se si lascia riconciliare con Dio,
l’uomo può diventare operatore di pace.
Cari fratelli e sorelle, oggi domandiamo insieme al Signore, per intercessione della
Vergine Maria, la grazia di avere un cuore
semplice, la grazia della pazienza, la grazia
di lottare e lavorare per la giustizia, di essere misericordiosi, di operare per la pace,
di seminare la pace e non guerra e discordia. Questo è il cammino che rende felici,
che rende beati.
Nel saluto del cardinale Vinko Puljić
Eredi dei martiri
Un abbraccio per incoraggiare una Chiesa che ha conosciuto il martirio anche in
tempi recenti: ecco come i cattolici della
Bosnia ed Erzegovina hanno vissuto oggi
l’incontro con il Papa. A dar loro voce è
stato il cardinale Vinko Puljić, arcivescovo di Sarajevo, all’inizio della messa. Il
porporato ha voluto anzitutto rivolgere al
Pontefice un «sincero grazie per la sua
presenza, per le sue preghiere, per la sua
parola di pastore», e non solo a nome dei
cattolici, dicendosi infatti «convinto che
tutti si siano uniti a noi, ognuno a modo
proprio».
«La Bosnia ed Erzegovina durante il
secolo scorso ha vissuto terribili guerre e
regimi e oggi è ferita e spossata» ha ricordato, aggiungendo: «La Chiesa cattolica in questa regione è stata dimezzata:
con tristezza costatiamo ogni giorno che
siamo sempre di meno». Ma oggi, ha
proseguito, «la sua parola di padre, la
sua preghiera e la sua presenza ci danno
la forza di vivere qui e lavorare con gli
altri per costruire la pace e il dialogo». Il
cardinale Puljić ha anche ricordato l’incontro dei vescovi della Bosnia ed Erzegovina con il Papa, durante la visita «ad
limina» compiuta il 16 marzo scorso:
«Abbiamo parlato della situazione della
nostra Chiesa, della recente guerra e del
dopoguerra, delle migrazioni dei giovani,
delle difficoltà che molte persone incontrano». E, in particolare, il porporato ha
ringraziato Francesco per l’incoraggiamento e la raccomandazione a «non risparmiare forze nel sostenere i deboli; ad
aiutare nel modo più appropriato coloro
che desiderano rimanere nel proprio Paese natale; a provvedere alla fame spirituale di coloro che credono nei valori eterni
del Vangelo». Da sempre, ha aggiunto, la
Chiesa cattolica «cerca sinceramente di
fare tutto questo, ma avevamo bisogno
del sostegno e dell’incoraggiamento» del
Pontefice.
«Nel corso della storia — ha detto ancora il cardinale — abbiamo vissuto diverse ondate di persecuzione, martirio e ingiustizia. Grazie alla fede coraggiosa dei
nostri antenati siamo sopravvissuti fino a
oggi». I Papi sempre «hanno avuto a
cuore la nostra sofferenza e un orecchio
attento alle nostre grida». Così la presenza di Francesco «c’incoraggia ma, allo
stesso tempo, è un messaggio che esprime che noi vogliamo essere quello che
siamo, desideriamo restare sul suolo nati-
vo per costruire il futuro di questo Paese,
sulla base della parità dei diritti e delle libertà».
«Questa Chiesa — ha ricordato — ha
generato numerosi martiri e testimoni coraggiosi della fede. A causa di numerose
difficoltà non è stato possibile intraprendere il processo di beatificazione, ma in
questi ultimi anni abbiamo cercato di recuperare. Così, nel 2003 a Banja Luka,
san Giovanni Paolo II ha proclamato beato Ivan Merz. Quattro anni fa, qui a Sarajevo, siamo stati testimoni della beatificazione di cinque suore figlie della Divina Carità, chiamate “martiri della Drina”.
Aspettiamo presto la beatificazione di Petar Barbarić, Josip Stadler e fra Lovro
Milanović». Ma, ha concluso, «è lungo
l’elenco di coloro che dovrei menzionare,
testimoni coraggiosi della fede e, per noi,
esempio vivente e stimolo a vivere con
coraggio nella fede degli antenati».
Per guarire le ferite dei cuori
della visita: «La pace sia con voi». Il Pontefice l’ha pronunciata più volte fin dal
primo incontro ufficiale al palazzo presidenziale. Insieme alle parole dialogo, speranza, incontro. Oggi i segni della guerra
sono stati quasi del tutto cancellati; sono
le ferite dei cuori che restano, le divisioni
invisibili su base etnica (bosgnacchi, serbi
e croati) e religiosa (musulmani, cristiani
ed ebrei) che rendono precaria la convivenza. Ma non impossibile.
La giornata del Papa a Sarajevo è cominciata poco prima delle 9, quando l’aereo proveniente da Roma è atterrato
all’aeroporto internazionale. Qui il nunzio
apostolico, l’arcivescovo Luigi Pezzuto, e
il capo del protocollo sono saliti a bordo
dell’aeromobile per salutare il Pontefice
che, scesa la scaletta, è stato accolto dal
membro croato della presidenza della Repubblica, Dragan Ĉović, in rappresentanza della presidenza tripartita, da alcuni
ministri e altre autorità, nonché dal cardinale arcivescovo Vinko Puljić. A omaggiare l’ospite, oltre al picchetto d’onore, anche 150 bambini e ragazzi con i costumi
tradizionali di tutte le etnie: il Papa li ha
salutati tutti.
La cerimonia ufficiale di benvenuto si è
svolta invece al palazzo presidenziale, che
dista dieci chilometri dall’aeroporto. Per
arrivarci l’auto del Papa — accompagnata
dal suono delle campane di tutte le chiese
della città e dall’entusiasmo di gruppi di
fedeli radunati agli incroci principali — ha
percorso via Zmaja od Bosne, la lunga
strada che collega lo scalo al centro storico con l’aeroporto; un’arteria oggi uguale
a tante altre, molto trafficata, con grattacieli ai lati. Ma vent’anni fa era tristemente nota come “il viale dei cecchini”.
Chiunque ci si avventurava diventava un
bersaglio.
Sul piazzale del palazzo ad accogliere
Francesco, oltre a un migliaio di persone,
Ĉović e gli altri due membri della Presidenza, il bosniaco Bakir Izetbegović e il
serbo Mladen Ivanić, presidente di turno.
Dopo l’omaggio alla bandiera, l’esecuzione degli inni nazionali e la presentazione
delle delegazioni, la cerimonia è proseguita all’interno con l’incontro privato con i
membri della presidenza. Quindi lo scambio dei doni — il Pontefice ha donato un
mosaico con una veduta della cupola di
San Pietro sotto un arco di gelsomino,
realizzato dallo Studio del mosaico vaticano — dopodiché ci si è spostati nel salone
d’onore dove si è svolto l’incontro con le
autorità, con i discorsi ufficiali.
Ringraziando il Pontefice per la visita,
Ivanić ha auspicato la costruzione di una
«società a misura d’uomo e a misura di
tutte le religioni», in cui tutti siano uguali, nella consapevolezza che ciò «rappresenta una grande sfida per i capi politici
come per quelli religiosi». Nel suo discorso Francesco ha riconosciuto che Sarajevo
«è tornata a essere luogo di dialogo e di
pacifica convivenza». Ma non ha dimenticato i problemi, sollecitando i politici alla
salvaguardia dei diritti fondamentali della
persona, primo fra tutti il diritto alla libertà religiosa, e al raggiungimento dell’«effettiva uguaglianza» di tutti i cittadini.
Al termine della cerimonia, di nuovo
sul piazzale, il Papa ha liberato in volo alcune colombe bianche, augurando ai presenti: «La pace sia con voi». Le hanno
portate da Mostar, città divenuta tragicamente nota durante la guerra. «Se torneranno, porteranno nella nostra casa la benedizione del Papa. Se non torneranno, la
diffonderanno su tutta la Bosnia ed Erzegovina, portando un messaggio di amore,
di pace e di unità al
nostro travagliato Paese», aveva auspicato
nei giorni scorsi l’allevatore, Marin Cvitković.
Quindi Francesco ha
percorso a bordo della
papamobile, salutando
la folla ai margini delle
strade, i due chilometri
che separano il palazzo
presidenziale dallo stadio olimpico Koševo
per la messa. Un momento alla cui preparazione hanno contribuito in tanti. Per animare
la liturgia è stata allestita una corale di 1650
persone cui hanno partecipato i cori della cattedrale di Sarajevo, di
tre seminari, delle diocesi di Mostar-Duvno e
di Banja Luka, e di
quelle croate di Zagabria, di Đakovo-Osijek e di Split-Makarska; significativa la presenza del coro ecumenico maschile dalla cattedrale di Belgrado. Le suore clarisse di Brestovsco hanno confezionato le ostie, così come le suore scolastiche francescane di Cristo Re di
Gornja Tramošnica. Altre religiose di questa congregazione, ma del monastero di
Livno, hanno realizzato le stole per i concelebranti, mentre quelle di Mostar le pianete.
La campana posta accanto al palco è
stata realizzata da una fonderia di Zagabria e prossimamente verrà collocata sul
campanile
della
nuova
chiesa
di
Sant’Ignazio di Loyola a Sarajevo. Il crocifisso, in noce e quercia, è stato scolpito
da Robert Tomić, di Posusje, l’altare,
l’ambone e gli oggetti liturgici, dono della
parrocchia Sikara nei pressi di Tuzla, sono
stati disegnati da Ilija Skočibušić e realizzati da una falegnameria di Tomislavgrad.
Un contributo è arrivato anche dalla comunità musulmana. Infatti due artigiani
di Zavidovici, Salem ed Edin Hajderovac,
padre e figlio, hanno realizzato la cattedra
papale in legno intagliato.
Al suo arrivo il Pontefice ha percorso la
pista dello stadio per salutare i fedeli, che
lo hanno accolto con calore ed entusiasmo, tra canti e acclamazioni. Al termine
del giro, il sindaco di Sarajevo, Ivo
Komšić, ha consegnato all’ospite le chiavi
della città. Quindi Francesco ha indossato
i paramenti e processionalmente è salito
sul grande palco. Con lui hanno concelebrato i presuli del seguito, il nunzio, l’arcivescovo della città con l’ausiliare Pero
Sudar, monsignor Ratko Perić, vecovo di
Mostar-Duvno e amministratore apostolico di Trebinje-Mrkan, monsignor Franjo
Komarica, vescovo di Banja Luka, con
l’ausiliare Marko Semren, l’ordinario militare monsignor Tomo Vukšić, nonché vescovi provenienti da diversi Paesi vicini, in
particolare Croazia, Serbia, Montenegro e
Slovenia, e alcune centinaia di sacerdoti.
Per la messa, in latino e croato, è stato
usato il formulario Pro pace et iustitia servanda. Una liturgia durante la quale sono
dunque risuonati i richiami alla giustizia e
alla pace tratti dal profeta Isaia, dal salmo
71, dalla lettera di san Paolo ai Colossesi e
dal brano evangelico delle beatitudini,
cantato con una caratteristica e antica melodia locale, sul quale si è sostanzialmente
incentrata l’omelia del Papa. Richiami che
sono divenuti corale invocazione in una
delle preghiere dei fedeli, letta da Anto Jeleč, colonnello generale delle forze armate.
A conclusione del rito il cardinale
Puljić, nel saluto al Pontefice, ha parlato
di un Paese «ferito e spossato» da terribili
guerre, di una Chiesa cattolica quasi dimezzata, che ha patito in passato «diverse
ondate di persecuzione, di martirio e d’ingiustizia»: a testimoniarlo — molto più di
un simbolo — la croce di legno di Deźevice, piccolo paese a una sessantina di chilometri da Sarajevo, segnata da proiettili e
posta accanto all’altare. Ma anche di una
Chiesa che è sopravvissuta e che oggi
chiede di essere ancora incoraggiata dal
successore di Pietro, per costruire insieme
con gli altri il futuro del Paese con pari
diritti.
Al termine della celebrazione il Papa si
è recato nella sede della nunziatura apostolica. Qui ha incontrato i vescovi con i
quali ha successivamente pranzato. Nel
pomeriggio la visita continua in cattedrale
con i sacerdoti, le religiose e i religiosi, e
con i seminaristi. Successivamente Francesco si recherà al Centro internazionale studentesco francescano per l’incontro ecumenico e interreligioso. Infine, prima della
partenza, un momento con i giovani presso il Centro Giovanni Paolo II.