Academia.eduAcademia.edu

Manoscritti d'eccezione

Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L'OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Anno CLV n. 127 (46.965) Città del Vaticano domenica 7 giugno 2015

Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Anno CLV n. 127 (46.965) POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano domenica 7 giugno 2015 . All’arrivo a Sarajevo il Papa incoraggia il dialogo e la collaborazione per rimarginare le ferite del passato Dallo scontro all’incontro E ancora una volta condanna la guerra e i trafficanti di armi Dalla «Gerusalemme dell’O ccidente», antica culla di convivenza tra culture, etnie e religioni, Papa Francesco ha lanciato un nuovo monito contro la guerra e ha invitato a perseverare nel «dialogo paziente e fiducioso» per rimarginare le ferite del passato. Appena giunto a Sarajevo — città che porta ancora i segni delle devastazioni provocate dal sanguinoso conflitto di vent’anni fa — il Pontefice ha esortato l’intera comunità della Bosnia ed Erzegovina a «guardare al futuro con speranza» mettendo da parte antichi rancori e puntando decisamente sulla «cultura dell’incontro» come unico antidoto alla «barbarie di chi vorrebbe fare di ogni differenza l’occasione e il pretesto di violenze sempre più efferate». Davanti ai membri della presidenza e alle più alte autorità politiche, diplomatiche, civili e religiose del Paese — che lo hanno incontrato nel palazzo presidenziale sabato mattina, 6 giugno, subito dopo il suo arrivo all’aeroporto — Francesco si è presentato come «pellegrino di pace e di dialogo». E nel riconoscere i progressi compiuti dopo gli accordi firmati a Dayton nel 1995, ha chiesto esplicitamente alla comunità internazionale, e in particolare all’Europa, di favorire il percorso intrapreso dalla Bosnia ed Erzegovina per rendere «sempre più solidi e irreversibili» i processi di pace già avviati. Anche perché, ha fatto notare, «le relazioni y(7HA3J1*QSSKKM( +,!z!]!"!/! Segno e preghiera Un segno e una preghiera nel «bel cammino» verso la pace: in questo modo, con una sintesi efficace Papa Francesco, incontrando brevemente i giornalisti durante il volo per Sarajevo, ha presentato il suo viaggio nella città che — per l’antica presenza e la mescolanza di etnie, culture, religioni — è stata definita la Gerusalemme d’Europa. Una città che molto ha sofferto durante la feroce guerra nella prima metà degli anni Novanta. Segno e preghiera espressi con forza nella messa, presieduta sotto un sole cocente dal Pontefice — davvero, secondo il significato letterale del termine, «costruttore di ponti» — nello stadio di Sarajevo. Luogo fortemente simbolico, dove già celebrò Giovanni Paolo II due anni dopo la fine della guerra, e che ospita gare e concerti, ma è circondato da centinaia di tombe cristiane e musulmane, di vittime dell’atroce conflitto che ha devastato il Paese. Presentandosi nell’incontro al palazzo presidenziale come «pellegrino di pace e di dialogo», il Papa ha additato all’Europa e al mondo l’esempio della Bosnia ed Erzegovina. Nazione che ha avuto il coraggio di affrontare il passaggio dalla cultura della guerra e dello scontro alla cultura dell’incontro, concetto quest’ultimo su cui Bergoglio insiste di continuo e che ispira la politica e la presenza della Santa Sede nello scenario internazionale. E coerenti con questa cultura dell’incontro sono state le parole di Papa Francesco: abbiamo bisogno «di valorizzare ciò che unisce e di guardare alle differenze come possibilità di crescita». E qui, nel cuore dei Balcani, va continuato il dialogo che ha portato alla fine della guerra e alla costruzione della pace. Con l’aiuto internazionale, in particolare dell’Unione europea, e con la collaborazione tra etnie e religioni, che è possibile e apre alla speranza, ha sottolineato il Pontefice. «Ho visto questa speranza nei bambini, islamici, ortodossi, ebrei, cattolici», e ora bisogna scommettere su di loro, ha aggiunto a braccio Bergoglio, che all’aeroporto aveva voluto salutare uno per uno un centinaio tra bimbetti e ragazzi, femmine e maschi riuniti festosamente ad accoglierlo. Bisogna opporsi alla barbarie per riconoscere «i valori fondamentali della comune umanità» — ha continuato — in modo che dopo l’inverno fiorisca la primavera, «e si vede fiorire qui la primavera». Tutta incentrata sulla pace — mir vama («la pace sia con voi», secondo le parole evangeliche) è il motto della visita papale — è stata l’omelia durante la messa, in un contesto da «clima di guerra» che si percepisce nella comunicazione globale e che ha indotto Papa Francesco (Papa Franjo) a ripetere le parole di Paolo VI davanti all’assemblea generale delle Nazioni Unite («mai più la guerra!») e il motto di Pacelli (opus iustitiae pax) ricavato dall’antica profezia di Isaia. Sentenza, quella profetica di Pio XII, che descrive «non una giustizia declamata, teorizzata, pianificata», bensì quella praticata e vissuta, ha chiosato il suo successore. Che ha anche spiegato la beatitudine evangelica rivolta agli «operatori di pace»: cioè non quelli che la declamano, magari ipocritamente, ma «coloro che la fanno», artigianalmente. E le cose cambiano perché cambiamo noi. Grazie a un dono che resta di Dio. g.m.v. cordiali e fraterne» tra croati, serbi e bosgnacchi assumono oggi «un’importanza che va ben al di là dei confini» nazionali: esse testimoniano infatti «al mondo intero — ha sottolineato — che la collaborazione tra varie etnie e religioni in vista del bene comune è possibile, che un pluralismo di culture e tradizioni può sussistere e dare vita a soluzioni originali ed efficaci dei problemi, che anche le ferite più profonde possono essere sanate da un percorso che purifichi la memoria e dia speranza per l’avvenire». Un orizzonte di fiducia che il Papa ha riproposto durante la messa celebrata nello stadio Koševo alla presenza di decine di migliaia di persone. Dopo aver denunciato gli orrori della guerra e lanciato un severo monito contro i trafficanti di armi, il Pontefice ha ricordato che «fare la pace è un lavoro artigianale». Esso «richiede passione, pazienza, esperienza, tenacia», e va alimentato «con atteggiamenti e gesti di servizio, di fraternità, di dialogo, di misericordia». Un lavoro «da portare avanti tutti i giorni, passo dopo passo, senza mai stancarsi», ha rimarcato puntualizzando che «la pace è opera della giustizia: non «una giustizia declamata, teorizzata, pianificata», ma «praticata e vissuta» nel quotidiano. PAGINE 7 E 8 In aumento le persone che sbarcano sulle coste elleniche Nuovo fronte dell’immigrazione Tsipras definisce assurda la proposta di accordo avanzata dalla Commissione europea La risposta di Atene ATENE, 6. «Assurda». Così Alexis Tsipras, premier di una Grecia ancora in profonda crisi, ha definito ieri la proposta di accordo della Commissione Ue. Il caso greco è dunque destinato, ancora una volta, a complicarsi, scuotendo i mercati in fibrillazione. In effetti, ieri tutte le principali piazze del vecchio continente hanno fatto segnare pesanti cali: per prima quella di Atene che ha chiuso a quasi meno cinque per cento. In un discorso al Parlamento, il primo ministro ellenico ha sfidato apertamente i creditori internazionali, invitandoli a ritirare le loro «proposte assurde e irrealistiche» e promettendo ai greci un rapido ripristino della contrattazione collettiva, uno dei tanti punti del programma di Syriza (il partito di Tsipras) che mercoledì scorso i rappresentanti dell’Unione avevano chiesto di rivedere. I creditori chiedono soprattutto tagli alla spesa previdenziale per circa 1,8 miliardi di euro entro il 20162017, il controllo europeo su temi come il salario minimo e la contrattazione collettiva, e infine una diversa impostazione della tassazione. La Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale hanno messo in guardia i negoziatori dal fare troppe concessioni ad Atene. Dopo aver guadagnato tempo ottenendo di poter pagare in un’unica rata a fine mese gli 1,6 miliardi di euro dovuti a giugno all’Fmi, Tsipras prova quindi a giocarsi il tutto per tutto, definendo come unica base negoziale possibile la «soluzione definitiva» suggerita da Atene, ovvero una completa ristrutturazione del debito. «La nostra proposta ai creditori è l’unica base realistica per raggiungere un accordo», ha appunto dichiarato Tsipras. «Abbiamo bisogno della fine dell’austerità in combinazione con un alleggerimento del debito, ci serve un accordo che metta fine ai discorsi sull’uscita della Grecia dall’euro». GINEVRA, 6. Nuovo fronte per l’immigrazione nel Mediterraneo. Sta aumentando sempre di più il numero dei migranti in arrivo dalla Turchia e che si dirige verso le isole greche dell’Egeo. Il loro numero è «aumentato di sei volte» rispetto al consueto, mettendo a dura prova le capacità di accoglienza greche. L’allarme giunge dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, che «sta rafforzando la sua presenza sul campo — si legge in una nota — nelle isole greche nell’Egeo orientale dove, nelle ultime settimane, una media di 600 persone, per lo più rifugiati, sta arrivando ogni giorno via mare dalla Turchia, portando allo stremo la limitata o inesistente capacità di accoglienza locale». Nei primi cinque mesi di quest’anno — riporta l’organizzazione dell’Onu — più di 42.000 migranti sono arrivati via mare in Grecia. Un numero appunto sei volte più alto rispetto agli arrivi registrati nello stesso periodo dello scorso anno (6.500) e quasi uguale al numero totale di arrivi per tutto il 2014 (43.500). Oltre il novanta per cento di questi migranti proviene da Siria (oltre il sessanta per cento), Afghanistan, Iraq, Somalia ed Eritrea. Sul terreno, la situazione è drammatica: famiglie con bambini sono costrette a dormire all’aperto. Molti rifugiati arrivati su spiagge più remote di alcune isole, tra cui anziani e bambini piccoli, hanno dovuto camminare per chilometri, portandosi dietro i loro pochi ave- ri, a causa della mancanza di trasporti. A fronte di questa drammatica situazione, l’Alto rappresentante Ue per la Politica estera e di sicurezza comune, Federica Mogherini, ha detto che la priorità per l’Unione europea è quella di salvare vite umane. «Per fare ciò bisogna combattere reti di trafficanti, reti di criminali che guadagnano soldi su persone disperate che cercano di raggiungere l’Europa» ha sottolineato in un’intervista a France24. NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto in udienza nel pomeriggio di venerdì 5 giugno: — Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi; le Loro Eccellenze Reverendissime i Monsignori: — Jorge Eduardo Lozano, Vescovo di Gualeguaychú (Argentina); — Vicente Bokalic Iglic, Vescovo di Santiago del Estero (Argentina). Provvista di Chiesa I canonici di Torino fra XI e XV secolo Piantati a terra come una piramide Temporale sulla capitale greca (Reuters) PAOLO VIAN A PAGINA 5 Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Tuxtepec (Messico) il Reverendo José Alberto González Juárez, del clero della Diocesi di Tuxtla Gutiérrez, finora Parroco e Vicario Episcopale per il Clero e la Vita Consacrata. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 domenica 7 giugno 2015 Si apre la conferenza internazionale della Fao Intervento della Santa Sede La via della pace Lavoro dignitoso per tutti ROMA, 6. «La fame è causa concorrente o scatenante di violenze e anche di guerre, e contrastarla è una preziosa opera di pace: non ci sarà pace nel mondo finché non verrà pienamente assicurato il diritto al cibo e all’acqua, finché la battaglia contro la povertà non diventerà una strategia capace di rimuoverne le cause strutturali». Così il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ha inaugurato oggi la conferenza internazionale della Fao (l'organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) dedicata alla lotta contro la fame nel mondo. «In questo cambio d’epoca siamo chiamati a decisioni davvero storiche. La Terra, se non correggeremo l’inerzia di questi anni, può perdere funzioni vitali» ha sottolineato il capo dello Stato. «Il nostro destino non è scontato. Tocca a noi determinarlo. Saremo giudicati per la pace che costruiremo o che negheremo». Per questo occorre battersi per ridurre le disparità, le differenze. «Le disuguaglianze, anche quelle interne, non sono un prezzo necessario per la competizione e la crescita». Ai lavori della conferenza prendono parte oltre 130 ministri, 14 tra capi di Stato e di Governo, e numerosi rappresentanti delle organizzazioni internazionali. Numerosa la rappresentativa del Sud America. Alla sede di viale Aventino sono e saranno presenti (fino al 13 giugno) non solo il presidente cileno, Michelle Bachelet, e l’ex capo di Stato brasiliano, Luiz Inácio Lula da Silva, ma anche la presidente argentina, Cristina Fernández, quello venezuelano, Nicolás Maduro, e quello messicano, Enrique Peña Nieto. Domenica è prevista la premiazione di quindici Paesi (Angola, Bolivia, Cina, Costa Rica, Repubblica Dominicana, Gabon, Laos, Mali, Myanmar, Mozambico, Nepal, Oman, Isole Solomon, Suriname e Uzbekistan) per aver raggiunto l’obiettivo di dimezzare il numero di affamati. In totale, sottolinea la Fao, 72 Paesi su 129 monitorati hanno raggiunto l’obiettivo. Secondo un recente rapporto redatto dalla Fao e dal Pam (Programma alimentare mondiale), il numero delle persone che soffrono la fame Cameron accelera sul referendum LONDRA, 6. Il referendum sull’appartenenza della Gran Bretagna all’Ue potrebbe già svolgersi il 5 maggio 2016. Secondo la stampa britannica, il premier Cameron starebbe infatti premendo sull’acceleratore in tal senso, anche per spiazzare partner europei e avversari ultraconservatori, per arrivare a un accordo entro Natale. Secondo «L’Independent», nella legge che verrà messa al voto in Parlamento la prossima settimana, il Governo chiede di potere indire il referendum con qualsiasi altra consultazione elettorale, come sconsigliato invece dalla commissione elettorale. Il 5 maggio dell’anno prossimo sono già in calendario elezioni amministrative in Gran Bretagna, oltre alle politiche locali in Scozia e nel Galles. A convincere Cameron a fare in fretta sono state anche le prime reazioni, tutto sommato più positive del previsto, di due partner importanti dell’Ue, Angela Merkel e François Hollande, probabilmente convinti — secondo gli analisti — che rivedendo le relazioni con la Gran Bretagna si agevolerà la nascita di una vera Europa a due velocità, con un nocciolo duro pronto ad andare avanti nell’integrazione europea. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va nel mondo è sceso negli ultimi anni, portandosi a 795 milioni, ovvero 216 milioni in meno rispetto al biennio 1990-92 e con 72 Paesi in via di sviluppo su 129 che sono riusciti a centrare l’obiettivo di dimezzare entro il 2015 la fame nel mondo. Nonostante la crisi economica e l’incremento demografico globale — osserva il rapporto — la percentuale dei denutriti è calata dal 18,6 per cento del 199092 al 10,9 per cento nel 2014-2016. Risultato di rilievo, questo, che si deve soprattutto ai progressi nella lotta alla fame registrati da colossi come Cina e India, mentre l’Africa stenta e nell’area subsahariana il problema si presenta in tutta la sua gravità con una persona su quattro che soffre la fame. «Sono stati fatti progressi ma non si può festeggiare» ha dichiarato il direttore delle politiche e programmi del Pam, Stanlake Samkange. Infatti, «se la povertà estrema è stata ridotta della metà, non altrettanto si può dire della fame». Resta il fatto che ancora circa 800 milioni di persone soffrono la fame e metà delle persone denutrite vive in Paesi a reddito medio. Un aspetto fondamentale nella lotta alla fame — afferma il rapporto — è l’accesso ai mercati da parte dei piccoli agricoltori. «Spesso mancano infrastrutture, l’accesso al credito e la condivisione delle informazioni. Questi limiti negano a moltissimi agricoltori l’ingresso sui mercati, non solo internazionali e nazionali, dove operano le grandi società, ma ancor di più a quelli locali, più vicini alla comunità» spiegano gli autori del rapporto. Per incrementare l’accesso al mercato, l’unica strada possibile è l’aumento degli investimenti nella ricerca. Su questo fronte, però, c’è ancora tanta strada da fare. «Il rendimento degli investimenti effettuati nel settore è elevatissimo. Tuttavia i Paesi in cui si investe sono pochissimi, ed è necessario aumentare i fondi destinati alla ricerca». GINEVRA, 6. La situazione economica attuale, la protezione del lavoro e la promozione di forme di occupazione sempre più tutelate sono i punti nodali dell’intervento (pubblicato integralmente sul sito www.osservatoreromano.va) tenuto giovedì 4 giugno dall’arcivescovo Silvano M. Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio delle Nazioni Unite e istituzioni specializzate a Ginevra, in occasione della 104ª sessione della Conferenza internazionale del lavoro. «Diseguaglianze economiche persistono e stanno aumentando in ogni continente: una situazione che fa crescere la disoccupazione e le ingiustizie sociali che sono tra le principali cause di instabilità in molte società, anche in quelle dove la pace è minacciata o è già stata indebolita» ha sottolineato Tomasi. «La turbolenza del nostro tempo — economica, sociale e politica — rende la conquista della giustizia sociale un programma attuale». E questo programma — ha in- Rassicurazioni al presidente Poroshenko L’inchiesta sulla corruzione a Roma Forte sostegno di Obama alla sovranità ucraina Altre perquisizioni e interrogatori Militari ucraini in azione vicino a Donetsk (Ap) WASHINGTON, 6. Il presidente statunitense, Barack Obama, ha «riaffermato il forte sostegno degli Stati Uniti alla sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina» in una telefonata al presidente ucraino, Petro Poroshenko. Lo ha riferito ieri Josh Eearnest, portavoce della Casa Bianca, precisando che i due leader «hanno espresso profonda preoccupazione per il recente attacco da parte delle forze separatiste» lungo la linea di demarcazione vicino a D onetsk. Poco prima del vertice del G7, che si terrà in Germania domani e lunedì e durante il quale si discuterà anche del conflitto in Ucraina, Obama ha esortato a continuare a lavorare con i partner internazionali per sostenere il processo di riforme in atto in Ucraina. Il presidente ha poi ribadito che gli Stati Uniti sono impegnati per una «soluzione diplomatica» al conflitto nell’est dell’Ucraina, invitando i separatisti a rispettare rigorosamente l’accordo di Minsk firmato a febbraio. Poroshenko, hanno fatto sapere da Kiev, ha anche parlato telefonicamente con il cancelliere tedesco, Angela Merkel, alla quale ha chiesto ulteriori aiuti finanziari per il suo Paese, colpito dalla crisi. Il cessate il fuoco in Ucraina orientale «va pienamente rispettato», e deve costituire «una priorità la tutela dei civili»: questo l’appello nel frattempo lanciato dall’O nu GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio nella seduta di emergenza del Consiglio di sicurezza, convocata su richiesta della Lituania dopo lo scoppio di nuovi scontri tra Kiev e i ribelli separatisti intorno alla città di Maryinka, nel bacino del Donbass. Un impiego per i senzatetto di San Paolo Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] Gaetano Vallini Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va e cooperative. Nessuno però, al momento, risulta indagato. Come noto, ha suscitato particolare indignazione la possibilità che il malaffare si nasconda anche dietro la facciata di associazioni che si occupano dell’assistenza dei più bisognosi. Un’ombra che si è allungata purtroppo su diversi settori del volontariato e dell’intervento sociale. «Ora la magistratura indaghi anche sulle case famiglia e accoglienza per minori», chiede Aurelia Passaseo, presidente del Coordinamento internazionale delle associazioni a tutela dei diritti dei minori, dopo gli arresti di giovedì. «Troppi sono i soldi che i Comuni d’Italia spendono per pagare le rette a chi gestisce queste strutture — denuncia Passaseo — dove vengono collocati i minori che sono tolti alle loro famiglie e affidati ai Comuni e alle Asl dal tribunale dei minorenni e dove vengono accolti i minori che arrivano non accompagnati nel nostro Paese». In un clima di tensione Elezioni in Messico BRASILIA, 6. I senzatetto di San Paolo, la città più grande e ricca del Brasile, saranno assunti dal Comune per condurre sondaggi sulle condizioni di chi, come loro, vive per strada. I prescelti avranno un contratto di un anno e guadagneranno circa 230 euro al mese. Il lavoro inizierà nelle prossime settimane. Secondo le ultime statistiche, attualmente gli spazi pubblici della megalopoli ospitano quasi sedicimila clochard, un numero aumentato del dieci per cento negli ultimi quattro anni. Scopo dell’iniziativa è quella di effettuare uno studio qualitativo per capire quali siano le necessità di questa parte della popolazione. caporedattore segretario di redazione ROMA, 6. Sono proseguiti anche oggi gli interrogatori di garanzia per gli indagati nell’ambito dell’inchiesta sulla corruzione a Roma che ha condotto giovedì scorso all’arresto di 44 persone, fra le quali diversi consiglieri, dirigenti ed ex dirigenti dell’amministrazione capitolina. Il sottosegretario all’Agricoltura, Giuseppe Castiglione, è indagato a Catania nel filone sul Centro accoglienza richiedenti asilo di Mineo, in cui compare anche Luca Odevaine, uomo chiave dell’indagine romana. «Non chiederò mai le dimissioni per un avviso di garanzia» ha detto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Tra gli arrestati ascoltati nel carcere di Rebibbia da Flavia Costantini, giudice per le indagini preliminari, compare anche il consigliere regionale Luca Gramazio. Sempre oggi, i carabinieri del Reparto operativo speciale hanno anche eseguito diciannove perquisizioni, che hanno interessato cinque persone e quattordici tra enti CITTÀ DEL MESSICO, 6. Candidati uccisi dai narcos, appelli al boicottaggio o alla scheda bianca e scontri di piazza. In un clima di tensione il Messico si prepara domenica alle elezioni, primo test a livello nazionale per il Governo del presidente Enrique Peña Nieto. Oltre 83 milioni di messicani sono chiamati a votare per scegliere 500 deputati federali, i governatori di nove Stati e i sindaci di poco più di mille comuni. I sondaggi prevedono che il Partito rivoluzionario istituzionale (di centro) al Governo si confermerà come prima forza politica del Paese, ma anche una forte percentuale di astensionismo. La situazione è particolarmente preoccupante negli Stati del sud — Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale come Guerrero, Michoacán e Oaxaca — dove imperversano le bande criminali che controllano il traffico di sostanze stupefacenti e che hanno ucciso sette candidati durante la campagna elettorale. Ma la violenza non è l’unico motivo di tensione: appelli all’astensione sono stati lanciati dai sindacati dell’istruzione, nonché — nello Stato di Guerrero — dal Movimento popolare (Mpg), che esige la verità sul caso dei quarantatré studenti rapiti e poi scomparsi nel settembre scorso a Iguala. A Tlapa, militanti dell’Mpg hanno preso d’assalto la sede della commissione elettorale, dove hanno bruciato più di centomila schede elettorali. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 dicato l’arcivescovo — passa anzitutto per il mercato del lavoro. «La sfida di portare la disoccupazione e la sottoccupazione al di sotto dei livelli precedenti la crisi del 2008 appare oggi un compito più che mai difficile». Questa sfida riguarda soprattutto le nuove generazioni: secondo i dati dell’Ilo (organizzazione mondiale del lavoro) nel 2014 circa 74 milioni di giovani con età compresa tra i 15 e i 24 anni stavano cercando un’occupazione. «Il tasso della disoccupazione giovanile è nella media tre volte più alto di quella degli adulti» ha spiegato Tomasi, sottolineando inoltre come questa piaga coinvolga soprattutto le giovani donne. A tal proposito, la Santa Sede propone quale soluzione «un rafforzamento della solidarietà e della cooperazione tra tutti i membri della comunità internazionale e la moltiplicazione degli sforzi per migliorare l’economia e le condizioni sociali nei Paesi di origine dei migranti». Legato alla disoccupazione è poi il tema della protezione dei diritti dei lavoratori. «Le misure di protezione del lavoro come il salario minimo, la quantità delle ore e le norme per la protezione della maternità dovrebbero essere rafforzate — ha spiegato il presule — anche se possono implicare costi aggiuntivi per le imprese nel breve periodo». Ciò nonostante, nel lungo termine «tali misure possono incoraggiare le imprese a investire in miglioramenti tecnologici e organizzativi al fine di compensare l’aumento dei costi» e «rilanciare la crescita della produttività». Considerazioni, queste, che vanno però inserite in un’ottica generale ben precisa. Come ha affermato l’arcivescovo «il progresso economico non dovrebbe essere misurato soltanto dal pil (prodotto interno lordo)», ma «da una serie di indicatori collegati ai sistemi di protezione sociale, compreso l’accesso a servizi di qualità, l’educazione, un lavoro decoroso e adeguato, cibo sicuro e nutriente, una casa accettabile, sicurezza personale, un reddito base di sicurezza, così come un ambiente sicuro, pulito, salutare e sostenibile». Prima sentenza di Strasburgo sull’interruzione di cure mediche STRASBURGO, 6. La Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata ieri per l’interruzione del trattamento terapeutico che tiene in vita Vincent Lambert, il cittadino francese di trentanove anni dal 2008 in coma dopo un incidente in moto, la cui madre aveva presentato ricorso per sospendere la decisione del Consiglio di Stato francese. Nella sua prima sentenza in materia — destinata secondo alcuni analisti a fare giurisprudenza nei quarantasette Stati membri del Consiglio d’Europa — la Corte di Strasburgo conferma il pronunciamento del Consiglio di Stato di Parigi, che un anno fa autorizzò i medici a porre fine all’alimentazione all’idratazione di Lambert. «È uno scandalo, condannano mio figlio, sono triste, ma siamo ancora qui e ci batteremo, giorno e notte per rimanere al suo fianco» ha commentato la madre dell’uomo, che da anni combatte contro quella che ritiene una «eutanasia mascherata». Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO domenica 7 giugno 2015 pagina 3 Intesa per negoziati di pace a Ginevra ma la guerra continua Popolazione yemenita senza cibo né acqua Prove di dialogo tra Kabul e i talebani KABUL, 6. Si svolgerà oggi a Dubai un incontro per preparare l’agenda di un secondo round di colloqui fra esponenti del Governo afghano e delegati dei talebani. L’obiettivo è avviare un processo di pace e riconciliazione nazionale. Lo scrive oggi l’agenzia di stampa Pajhwok. Una fonte anonima che parteciperà all’incontro ha indicato che esso è stato reso possibile dall’organizzazione internazionale Pugwash, la stessa che un mese fa ha riunito le parti per un confronto di opinioni a Doha, in Qatar. Se tutto andrà secondo le previsioni, Pugwash organizzerà il secondo round di confronto inter-afghano in Qatar alla fine del mese del Ramadan. Una delegazione di rappresentanti del Governo di Kabul, composta anche da donne, ed esponenti della società civile afghana è stata intanto impegnata in Norvegia in colloqui con emissari dei talebani. Lo riferisce il giornale afghano «Khaama Press». Il ministero degli Esteri norvegese ha confermato che si sono tenuti colloqui informali tra «afghani di diversi contesti politici». I talebani hanno confermato di aver partecipato ai colloqui a Oslo. Secondo l’emittente afghana Rtvnews, agli incontri hanno partecipato due esponenti dell’Alto consiglio di pace (organismo creato nel 2010 dall’ex presidente Hamid Karzai per facilitare i colloqui con i talebani), Hawa Alam Nuristani e Seddiqa Balkhi, e le parlamentari Fawzia Koofi e Shukria Barakzai. Per i talebani avrebbero invece partecipato due rappresentanti dell’ufficio politico di Doha. Al centro dei colloqui, stando a quanto riportato dai media locali, ci sono stati la questione dei diritti delle donne e il loro ruolo nel processo di pace. Nel frattempo, però, nel Paese non si ferma la violenza. Due civili sono morti oggi a Kabul in un attentato contro un veicolo militare mentre un attacco con un drone durante una cerimonia funebre talebana, nella provincia di Khost, ha ucciso almeno 30 persone. Inoltre, militanti talebani — dopo violentissimi scontri — hanno conquistato un distretto della provincia di Badakhshan, nel nordest dell’Afghanistan. Lo riferisce il canale televisivo locale Tolo. SANA’A, 6. Venti milioni di yemeniti, quasi l’80 per cento della popolazione, hanno urgente bisogno di cibo, acqua e medicine. Lo denunciano le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie impegnate ad assistere uno dei Paesi più poveri al mondo, dove, dal 26 marzo, sono in atto i raid della coalizione militare a guida saudita per fermare l’avanzata dei ribelli sciiti huthi. Un disastro umanitario che, secondo le organizzazioni internazionali, è peggiorato dopo il blocco navale imposto dalla coalizione. Nonostante le richieste occidentali e dell’Onu, Riad non ha proceduto alla distribuzione dei 274 milioni di dollari promessi per aiuti umanitari. Rapporto internazionale sui conflitti Meno guerre ma aumentano le vittime tando praticamente impossibile sopravvivere». Per cercare di trovare una soluzione al conflitto il Governo yemenita in esilio a Riad e i ribelli sciiti huthi, principali protagonisti della guerra in Yemen, hanno accettato di partecipare ai negoziati di pace a Ginevra sotto l’egida dell’Onu. Lo hanno reso noto fonti di entrambe le parti. I negoziati sono stati annunciati per il 14 giugno. Ma, intanto, la guerra non si ferma: quattro soldati sauditi e molti ribelli yemeniti sono stati uccisi negli intensi scontri lungo il confine tra i due Paesi. Lo riferisce la coalizione a guida saudita, precisando che ieri forze fedeli all’ex presidente dello Yemen, Ali Abdullah Saleh, sostenute da combattenti huthi, hanno attaccato diverse postazioni delle forze di Riad. Oggi, ha riferito l’agenzia di notizie di Stato, la difesa aerea saudita ha abbattuto un missile Scud lanciato dallo Yemen dai ribelli sciiti e diretto verso Khamees Al Mushait. Gli effetti dei raid nella capitale Sana’a (Ansa) Utilizzati come scudi umani in Camerun Bambini rapiti da Boko Haram LONDRA, 6. Meno guerre, ma più vittime. Nel 2014 i conflitti nel mondo sono diminuiti, anche se i livelli di violenza sono aumentati. Questo il controverso quadro che emerge dal rapporto The Armed Conflict Survey redatto dall’istituto britannico per gli studi strategici (Iiss). Negli ultimi due anni il numero dei morti causati dalle guerre è aumentato del sessanta per cento: 180.000 nel 2014 contro i 110.000 del 2012. Le situazioni di conflitto sono invece diminuite passando dalle 63 del 2008 alle 42 dell’anno scorso. Il quadro, dunque, è molto complesso. Da una parte, Paesi come la Colombia e le Filippine si stan- Ancora sangue sulle legislative in Turchia ANKARA, 6. Come molti osservatori temevano la tensione è salita alle stelle in Turchia alla vigilia delle elezioni legislative di domani, domenica. Un attentato ha insanguinato l’ultimo comizio a Diyarbakir, capitale del Kurdistan turco, di Selahattin Demirtaş, leader del partito filo-curdo Hdp il cui risultato potrebbe essere decisivo per il futuro assetto politico del Paese. Due esplosioni hanno fatto ieri almeno quattro morti e 350 feriti gettando nel panico la folla che aspettava Demirtaş. Dinamica e motivi della strage ancora non sono chiari, anche se il ministro dell’energia ha escluso l’esplosione accidentale. L’attentato suona come una provocazione che potrebbe innescare sanguinosi disordini poche ore prima del voto. E secondo gli analisti una situazione di caos nel Kurdistan potrebbe riportare verso il partito islamico Akp del presidente Re- Secondo stime delle Nazioni Unite, il numero degli yemeniti bisognosi di aiuti urgenti è cresciuto di quattro milioni negli ultimi tre mesi. «Ci sono sempre meno beni di prima necessità. Le persone fanno la fila tutto il giorno», ha detto Nuha Abdul Jabber, responsabile del programma umanitario di Oxfam a Sana’a. «Il blocco navale — ha spiegato — significa che è impossibile portare qualsiasi cosa nel Paese. Ci sono molte navi, con beni di prima necessità come farina, alle quali non è permesso approdare. La situazione sta peggiorando, gli ospedali stanno chiudendo, non c’è carburante. Le persone stanno morendo per malattie comuni. Sta diven- cep Tayyip Erdoğan parte dell’elettorato nazionalista. D emirtaş ha lanciato un immediato appello alla calma, appello ripreso anche dal premier turco, Ahmet Davutoğlu. «Ai fratelli di Diyarbakir», il premier ha chiesto di «non cadere nelle provocazioni». «Qualsiasi cosa ci sia dietro alle esplosioni, un incidente, un attentato, una provocazione, indagheremo» ha assicurato. Dalla rivolta di Gezi Park e dalla tangentopoli del Bosforo di due anni fa la tensione nel Paese è cresciuta sensibilmente. Erdoğan in vista delle elezioni legislative ha chiesto agli elettori una maggioranza di 330 deputati su 550 per cambiare la Costituzione e introdurre un sistema presidenziale, che gli dia poteri più ampi. Ma se l’Hdp riuscirà a superare la soglia del 10 per cento, il piano del presidente potrebbe saltare. no avviando sulla strada della riconciliazione e della pace. Dall’altra, la violenza dimostrata dai combattenti in diversi scenari è cresciuta di intensità. In Siria, dove al conflitto tra ribelli e forze del presidente Assad si è unito quello contro l’avanzata dello Stato islamico (Is), sono morte nell’ultimo anno oltre 70.000 persone. Gli jihadisti di Al Baghdadi hanno dimostrato di essere in grado di commettere terribili atrocità, utilizzando anche la violenza in chiave mediatica. Non a caso, dopo la Siria, il Paese dove sono morte più persone nel 2014 è stato l’Iraq, anch’esso segnato dall’avanzata dell’Is. Morto in Iraq l’ex vice premier Tareq Aziz BAGHDAD, 6. Tareq Aziz è morto ieri in Iraq, all’età di 79 anni dopo dodici trascorsi in carcere. Ex ministro degli Esteri e vice premier iracheno, Tareq Aziz è deceduto nell’ospedale Al Hussein di Nassiriya dove era stato ricoverato per una crisi cardiaca, dopo che le sue condizioni di salute si erano andate progressivamente deteriorando negli ultimi anni. Tareq Aziz era stato condannato a morte perché riconosciuto colpevole di avere avuto un ruolo nell’eliminazione dei leader dei partiti di opposizione a Saddam Hussein. Dopo la caduta del regime iracheno, Tareq Aziz si era consegnato alle truppe statunitensi nell’aprile del 2003, poche settimane dopo il loro arrivo a Baghdad. YAOUNDÉ, 6. Dalla fine del 2014, quasi 1.500 bambini sono stati rapiti e, in molti casi, utilizzati come scudi umani dai miliziani del gruppo fondamentalista di Boko Haram in Camerun. La denuncia arriva da Najat Rochdi, coordinatrice dell’Onu nel Paese africano. «Il metodo che utilizzano è disumano», ha precisato la funzionaria delle Nazioni Unite, spiegando che, in base alle informazioni in suo possesso, «bambini tra gli otto e i dodici anni sono stati inviati dai fondamentalisti a combattere in prima linea» contro l’esercito camerunense. Altri — ha aggiunto Rochdi — vengono invece destinati a lavori pesanti e alla ricerca di cibo e acqua per i combattenti. Le azioni di Boko Haram in Camerun sono cominciate a luglio dello scorso anno, in particolare nella regione dell’estremo nord. Il Governo di Yaoundé ha inviato truppe contro i miliziani, mobilitando il suo battaglione d’intervento rapido. È nel frattempo salito a 45 il numero delle vittime dell’attentato dinamitardo di ieri al mercato di Yola, È del Niger la prima ratifica del protocollo sul lavoro forzato NIAMEY, 6. Il Niger è stato ieri il primo Paese a ratificare il protocollo alla Convenzione sul lavoro forzato. Lo ha reso noto da Ginevra una nota dell’Ilo (l’Organizzazione internazionale del lavoro). Il protocollo è uno strumento giuridicamente vincolante nell’ambito della lotta mondiale alla schiavitù moderna e attualizza la Convenzione del 1930 con nuove disposizioni sulla prevenzione, la protezione e l’accesso a misure di risarcimento per le vittime. «È un momento storico e questa prima ratifica dà speranza a milioni di donne, bambini e uomini ancora intrappolati nella schiavitù moderna. Spero che molti altri Paesi seguiranno presto l’esempio del Niger», ha commentato dalla città svizzera il direttore generale dell’O rganizzazione, Guy Ryder. L’Ilo stima che oltre ventuno milioni di persone siano vittime del lavoro forzato nel mondo, generando circa 150 miliardi di dollari all’anno di profitti illeciti. L’Ilo lancerà nei prossimi giorni una campagna globale per incoraggiare almeno cinquanta Paesi a ratificare il protocollo entro il 2018. capitale dello Stato federato di Adamawa, che insieme a quelli di Borno e di Yobe costituisce la roccaforte dei terroristi di Boko Haram nella Nigeria nord-orientale. I feriti sono oltre cinquanta. molti dei quali ricoverati in gravi condizioni. Da Ginevra l’Alto commissario dell’Onu per i Diritti umani Zeid Ràad al Hussein, ha intanto denunciato le violazioni commesse in Nigeria sia da parte dell’organizzazione fondamentalista sia da parte delle forze armate e delle milizie. Le Nazioni Unite hanno ricordato i nume- rosi omicidi, le esecuzioni sommarie, le amputazioni, lapidazioni e stupri commessi da Boko Haram contro i civili nel nord-est della Nigeria e hanno poi esortato il nuovo presidente, Muhammadu Buhari, a promuovere indagini indipendenti sulle «accuse profondamente inquietanti di migliaia di persone morte o uccise mentre erano detenute in istituzioni dello Stato». Per l’Onu è fondamentale che il Governo della Nigeria adotti misure urgenti per portare davanti alla giustizia i responsabili di violazioni dei diritti umani. Monito dell’Onu al Governo del Burundi BUJUMBURA, 6. Il consiglio di sicurezza dell’Onu «prenderà in considerazione tutti gli strumenti a sua disposizione per salvaguardare la pace in Burundi». Lo ha reso noto ieri sera un comunicato del segretario generale Ban Ki-moon. Rispettare gli impegni internazionali sulla salvaguardia dei diritti umani, evitare l’uso della forza nella gestione delle manifestazioni di protesta e riprendere il dialogo mediato dall’inviato speciale Onu, Said Dijnnit. Queste le richieste delle Nazioni Unite alle autorità di Bujumbura, che da oltre un mese si confrontano con proteste di piazza e violenti scontri contro la ricandidatura del presidente, Pierre Nkurunziza, a un terzo mandato. Violenze che hanno provocato decine di morti. La decisione del capo dello Stato è stata giudicata dall’opposizione un’aperta violazione sia del dettato costituzionale, sia degli accordi di pace che nel 2000 misero la parola fine a oltre quindici anni di sanguinoso conflitto tra gli hutu e i tutsi. Tuttavia, ritengono gli analisti politici, l’ultima delle condizioni, è difficile che possa verificarsi, almeno a breve: diciassette partiti e movimenti d’opposizione hanno infatti ricusato Dijnnit, considerandolo di parte e a favore del Governo, e hanno chiesto la nomina di un nuovo mediatore dell’O nu. Le elezioni presidenziali dovrebbero svolgersi il 26 di questo mese, mentre restano rinviate a data da destinarsi quelle parlamentari e locali, che avrebbero dovuto tenersi oggi. Domenica scorsa, i Paesi della Comunità dell’Africa orientale avevano raccomandato un rinvio del voto di almeno un mese e mezzo. Il Governo di Bujumbura sostiene di non avere potuto fissare la data avendo ricevuto due proposte differenti dalla commissione elettorale centrale. I ribelli tuareg del Mali pronti al dialogo di pace BAMAKO, 6. Il Coordinamento dei movimenti tuareg dell’Azawad (Cma) firmerà gli accordi di pace con il Governo del Mali il 20 giugno prossimo. Lo ha annunciato ieri da Algeri, sede di negoziati promossi dalle Nazioni Unite, il capo-negoziatore dell’alleanza dei gruppi ribelli, Bilal Ag Acherif. La cerimonia per la firma delle intese, già sottoscritte dall’Esecutivo di Bamako il mese scorso, dovrebbe tenersi nella capitale del Paese africano. Durante i colloqui ad Algeri è stata anche annunciata un’intesa per porre fine ai combattimenti nella località di Menaka, in corso ormai da settimane. Gli accordi tra il Cma e il Governo maliano mirano a porre fine a un sanguinoso conflitto divampato nel 2012, alimentato dalle aspirazioni autonomistiche diffuse nelle regioni del nord a forte presenza tuareg. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 domenica 7 giugno 2015 Fernando Vicente «Un Quijote moderno» Ma c’è davvero bisogno di “attualizzare” i classici? E se fosse vero il contrario e cioè che sono i classici in realtà ad attualizzare noi? Otto secoli di missione domenicana a Mosul Manoscritti d’eccezione di LUISA NIEDDU N el piano nobile del settecentesco Hôtel de Soubise a Parigi, sede degli Archives Nationales, è in corso dal 20 maggio (si concluderà il 24 agosto) un’esposizione dal titolo «Mésopotamie, carrefour des cultures: grandes heures e manuscrits ikaniens», allestita in occasione dell’VIII centenario della fondazione dell’Ordine dei domenicani o frati predicatori a Tolosa nel 1215. La rarità dei trenta manoscritti riuniti, in originale e facsimile, tra codici armeni, siriaci, caldei, e arabi, raccolti dai missionari domenicani e provenienti dalle più grandi collezioni pubbliche (Bibliothèque Nationale de France, Bibliothèque domenicane du Saulchoir, Archives Nationales, École biblique et archéologique française de Jérusalem e la Biblioteca apostolica vaticana) consente di accrescere la conoscenza riguardo all’importanza dell’evangelizzazione domenicana all’interno del dialogo culturale tra oriente e occidente. La mostra ripercorre otto secoli di missione domenicana, a partire dall’insediamento dell’ordine a Mo- L’esposizione a Parigi sul, avviato con l’ambasceria in Mongolia del frate domenicano Andrea da Longjumeau, sotto il pontificato di Innocenzo IV (1245), ma offre anche l’occasione di presentare parte dell’inestimabile fondo, costituito da 809 manoscritti, confezionati tra il Tigri e l’Eufrate all’alba del cristianesimo, in un arco compreso tra il XIII e il XX secolo. Si tratta di un patrimonio librario d’eccezione, allargato a tutte le discipline del sapere tra agiografia, filosofia, teologia, spiritualità cristiana e islamica, astrologia, musica e raccolte di poesie arabe, di cui si componeva l’archivio dell’antico convento domenicano di Mosul, trasformato oggi in prigione, e trasferito l’estate scorsa, per ragioni di sicurezza, nella vicina Arbil, dove attualmente è accessibile. La selezione di codici esposta è il risultato di un paziente lavoro di anni di restauro e catalogazione, svolto in collaborazione con la Biblioteca apostolica vaticana, l’università Saint John’s Collegeville e il Centre Numérique des Manuscrits Orientaux. Il percorso espositivo si presenta articolato in quattro tappe, accompagnate da pannelli illustrativi che permettono di ammirare l’immenso valore storico e antiquario dei materiali eterogenei in mostra. Alle pionieristiche spedizioni archeologiche condotte nel Settecento e nell’Ottocento è dedicata proprio la prima sezione dell’esposizione, con le eccezionali attestazioni archeologiche costituite da un gruppo di tavolette cuneiformi (secondo millennio prima dell’era cristiana) considerate la prima versione conosciuta del diluvio universale, oppure da una serie di amuleti sumeri, ottimamente conservati, in lapislazzulo, calcite rosa e steatite, del IV secolo prima dell’era cristiana. A partire dal 1750, con l’arrivo dei missionari domenicani italiani a Mosul comincia a profilarsi l’inestimabile raccolta libraria dei padri predicatori, composta di manoscritti miniati del XIII secolo e di testi a stampa, importati inizialmente da Roma. Tra gli esemplari di singolare pregio e bellezza, provenienti dal convento di Notre-Dame de l’Heure di Mosul, nelle vetrine di questa seconda fase, risalta il corpus di sette codici in facsimile redatti in siriaco e arabo. Tra questi il mirabile manoscritto su carta, riccamente miniato con illustrazioni figurate a mezza pagina, intitolato Cycle des lectures des Évangiles des dimanches et fêtes célébrés, trascritto in siriacoorientale nel XVIII secolo, oppure i Commentari del filosofo Averroè (1126-1198) sul Poema della Medicina di Avicenna (1037), ricopiato nel 1784 dal diacono Giovanni, o infine il trattato di teologia detto “Libro della Perla” circa la verità della fede, compilato dal teologo siriano Abdisho bar Berikha nel secolo XIII, e ripreso su carta alla fine del XVIII secolo La penultima parte della mostra ripercorre l’origine della fondazione dell’Ordine dei predicatori dalla provincia di Tolosa, sotto il pontificato di Onorio III (1216-1227) fino all’arrivo dei padri domenicani francesi in Mesopotamia nell’O ttocento. Vengono rievocate così le opere delle figure cardine della storia della missione, come san Tommaso Apostolo, del quale viene esposta una placchetta di Limoges, di grandissima finezza, realizzata a smalto su rame dorato del XIII secolo (Musée du Petit Palais di Parigi), o l’eccezionale attestazione di una copia del Corano su carta, (fine XII - inizio XIII secolo), compilata in arabo con annotazioni a bordo pagina in italiano, di cui si riconoscono due mani, una delle quali ritenuta del frate fiorentino Riccoldo da Montecroce (1243-1320), a testimonianza dello spirito ecumenico che animava il movimento domenicano sin dal basso medioevo. Particolare rilievo assume in questa fase la nascita della prima tipografia in Iraq, Marioni, impiantata dai francesi nel 1860, di cui vengono esposti alcuni esemplari di breviari siriaci stampati tra il 18861896. Considerato modello di civilizzazione urbana dell’antichità e culla della cultura scritta, l’Iraq divenne quindi veicolo di trasmissione tra la cultura arabo-islamica e la Chiesa d’occidente, nel cui processo i padri predicatori assunsero un ruolo fondamentale. Sotto il pontificato di Benedetto XIV (1750), la Chiesa di Roma intensificò la circolazione di manoscritti dalla Mesopotamia a Roma. Questa tappa della mostra pone in risalto l’opera filologica condotta dal libanese Giuseppe Assemani, (1739-1769), primo prefetto della Biblioteca vaticana e figura imprescindibile nella preservazione delle antiche lingue orientali, attraverso la traduzione di codici liturgici in siriaco. Il fascino generato dallo scambio osmotico tra oriente e occidente si esprime tenacemente attraverso alcuni straordinari esemplari di manoscritti in pergamena, inclusi nell’ultima sezione. Da menzionare una pregevole copia miniata su pergamena del Nuovo Testamento, lussuosamente decorata con fregi marginali in oro e porpora, compilata nel 1223 in un convento nelle montagne di Edessa. L’opera è conservata presso la Bibliothèque Nationale de France. Tra i codici offerti dalla Biblioteca apostolica vaticana, presenti in quest’ultima sezione, ricordiamo infine l’antichissimo Discorso Metrico composto in occasione delle feste liturgiche dal teologo, poeta siro Narsai di Nisibi (507), trascritto nel 1918 a Mosul dal diacono Matteo figlio di Paolo, e il Missale Chaldaeorum seu Nestorianorum malabarìcorum. In castigliano contemporaneo il capolavoro di Cervantes Riscrivere don Quijote di SILVIA GUIDI «Le note intralciano la lettura. Ho cercato di riportare il Don Quijote alla lingua parlata, di tutti i giorni. Quella che l’autore voleva rendere nel XVII secolo» spiega Andrés Trapiello a Javier Rodríguez Marcos, raccontando com’è nata l’idea di tradurre Cervantes in castigliano contemporaneo; via i termini arcaici, i giochi di parole barocchi, le metafore incom- Via i termini arcaici i giochi di parole barocchi e tutte quelle metafore complicate che un lettore degli anni Duemila non riesce più a capire prensibili ai lettori del XXI secolo, per invogliare anche chi è allergico ai classici a fare la conoscenza del cavaliere dalla triste figura e del suo fido scudiero Sancho. «Così facendo non si rischia di perdere molto del gusto dell’opera?» chiede con perfido candore Rodríguez Marcos, che sta intervistando Trapiello per «Babelia», il supplemento culturale del quotidiano «El País» del 30 maggio. Il problema è che quattrocento anni sono passati e Cervantes non lo capiamo più, taglia corto il suo interlocutore; «quello che non si capisce deve essere tradotto». Ma davvero c’è bisogno di “attualizzare” i classici? E se fosse vero il contrario, e cioè che sono i classici, in realtà, ad attualizzare noi? «Il problema non è se i classici sono attuali, il problema è se lo siamo noi rispetto a loro» amava dire provocatoriamente lo scrittore (e appassionato, bulimico lettore) Giuseppe Pontiggia. Nei tanti saggi e articoli che ha dedicato a questo tema, Pontiggia parla spesso dei testi che fanno parte del codice di riferimento di una cultura come di «contemporanei del futuro», usando un ossimoro che descrive bene la loro caratteristica più affascinante. La grande letteratura ha il potere di annullare il tempo nel momento in cui pone il racconto non solo nel passato ma soprattutto nel futuro, consegnandolo anche alle generazioni che verranno. Leggere ha il potere di rendere attuale ciò che non lo è, di ridare vita a parole che arrivano a noi da un altro tempo. È come esplorare un mondo dimenticato dallo scorrere della storia; per il lettore è un’immersione in un universo complesso, alieno, lontano dalla vita di tutti i giorni, un antidoto alla scontatezza con cui guardiamo le cose intorno a noi, un salutare tuffo nella diversità spaziotemporale. Attenuare gli spigoli, smorzare le differenze, abbassare l’asticella del salto o regolare la temperatura dell’acqua di questa immersione in un tempo e in un mondo dalle coordinate non facili e non immediate da capire secondo il proprio capriccio personale (o inconscio allineamento alla moda del momento) rende il viaggio forse più breve, ma sicuramente più noioso. E priva del gusto di esplorare una selva — a volte oscura e intricata ma proprio per questo affascinante — di note a margine, glosse e commenti che aprono paesaggi imprevedibili e invitano a continuare il viaggio su altri mezzi di trasporto fatti di parole, altrimenti detti libri. Immaginiamoci un Moby Dick ambientato ai giorni nostri, nell’immenso acquario del parco giochi di Orlando, sotto il sole della Florida. Potrebbe essere un’idea interessante per la sceneggiatura di un film in 3D, un po’ meno per un libro. Emoji Dick, la traduzione in emoticons del capolavoro di Melville non è più neanche una metafora, esiste ed è già in commercio. Del desiderio di riscrivere i classici si è preso gioco con surreale eleganza Borges nel racconto Pierre Menard, autor del Quijote scritto nel 1944. Lo scrittore argentino immagina un fantomatico intellettuale francese che, a un certo punto, inizia a riscrivere parte del libro. Borges si premura di precisare che Menard non vuole copiare l’opera di Cervantes ma produrre «delle pagine che coincidano parola per parola e linea per linea con l’opera originale». Una duplicazione diversa solo nella data di nascita, tanto precisa e accurata quanto inutile. Nella terra di mezzo dello spanglish di ARTURO LÓPEZ «In un placete de la Mancha of which nombre no quiero remembrarme, vivía not so long ago, uno de esos gentleman who always tienen una lanza in the rack, una buckler antigua, a skinny caballo y un grayhound para el chase. A cazuela with más beef than mutón, carne choppeada para la dinner, un omelet pa' los Sábados, lentil pa' los Viernes, y algún pigeon como delicacy especial pa' los Domingos». Le frasi che avete appena letto non sono tratte da un file danneggiato da un virus, ma fanno parte di un testo letterario vero e proprio: l’incipit della traduzione del Don Quijote in spanglish, non una lingua e nemmeno un dialetto, ma una «terra di mezzo tra lo spagnolo e l’inglese» come la definisce l’autore del testo, lo scrittore messicano Ilan Stavans, che insegna cultura latinoamericana e latina all’Amherst College, in Massachussets, dal 1993. Nella cultura pop della nostra epoca sono frequenti i pastiche linguistici — basti pensare al composito titolo del film Der Leone have sept cabeças, girato nel 1970 dal regista brasiliano Glauber Rocha, alle canzoni di Ricky Martin e Paulina Rubio o ai programmi delle rete via cavo Mun2 — ma quando si tratta di un classico come il capolavoro di Cervantes le alzate di scudi e le accuse di lesa maestà sono quanto di più prevedibile possa accadere. Nessuno ha mai contestato le decine di traduzioni esistenti (incluso il latino e l’esperanto) dell’epopea del caballero de la triste figura, ma il nuovo esperimento ha fatto storcere il naso a molti. Anche perché il Quijote è considerato uno dei testi fondatori del castigliano. Infatti, dopo la pubblicazione del primo capitolo — conferma Stavans in una intervista pubblicata su «La Razón» del 5 maggio scorso — le polemiche non sono mancate. «Da una parte — continua l’autore — ci sono i puristi, che vedono il progetto come un’eresia; dall’altro, gli assimilatori (io preferirei chiamarli realisti), che hanno accolto con favore l’impresa», proponendo addirittura di mettere in scena a teatro il nuovo testo con un’adeguata colonna sonora e una regia ad hoc. Mentre dal coro dei detrattori sarebbe arrivata «perfino qualche minaccia di morte». Si spera solo metaforica. Saggista, lessicografo, narratore e traduttore, Stavans è noto per le sue libere incursioni nella cultura statunitense, ebraica e ispanica, e la sua passione per tutto quello che ha a che vedere con il Quijote. Nel 2002 ha pubblicato un dizionario di spanglish, il The Making of a New American Language «per dare dignità a questo figlio del “meticciato linguistico”». In fondo, continua Stavans, anche lo spagnolo è una lingua strutturalmente meticcia perché «nasce dal latino volgare e si nutre progressivamente dell’arabo e del berbero, del francese e dell’inglese, e assimila nel tempo anche le cento lingue indigene del Nuovo Mondo». L’omaggio — o lo sberleffo, a seconda dei punti di vista — di Stavans a Cervantes arriva in occasione dei primi quattrocento anni della seconda parte del Quijote pubblicata nel 1615. Un’opera «asse di rotazione della civiltà ispanica: un’opera senza fine, una mappa della nostra psiche» che, nelle intenzioni dello scrittore messicano potrebbe aiutare lo spanglish a diventare una lingua vera e propria. «È difficile restare puristi — conclude Stavans — davanti a una realtà verbale composita che man mano guadagna sempre più terreno». L’OSSERVATORE ROMANO domenica 7 giugno 2015 pagina 5 Negli stalli del coro siedono figure incisive nella storia della Chiesa La cui importanza è forse proporzionale alla loro non apparenza Cupola della cappella della Sindone (Duomo di Torino) I canonici del capitolo della cattedrale di Torino fra XI e XV Lutero e le indulgenze nel tardo medioevo secolo Piantati a terra come una piramide di PAOLO VIAN R icordando sulle colonne del nostro giornale, il 24 dicembre 1961, l’arcivescovo di Firenze Elia Dalla Costa morto pochi giorni prima, don Giuseppe De Luca, col suo stile inconfondibile, scrisse dei vescovi nella storia religiosa italiana ed europea: «Son duemila anni che in Europa il vescovo costituisce uno dei gangli vitali, non soltanto della vita eterna ma della civiltà; non soltanto della civiltà nel senso storico e solenne, ma anche nella povera — eppure così grande — vita quotidiana. Non la civiltà più luminosa, bensì la vita quotidiana, anche la più oscura, quando è buona, si tramuta in vita eterna. Una cattedrale è il cuore della città, dalle città più popolose e potenti alle cittadine più modeste e più smarrite in cima a un colle o nel segreto d’una valle; e la cattedrale è la chiesa del vescovo; c’è il suo trono, la sua catte- Un monaco ispeziona una pergamena (manoscritto XIII secolo) dra, il suo clero. Tutte le altre parrocchie lontane e vicine non sono che porzioni del suo gregge. Una storia, una bella storia di quel che è stata l’istituzione dell’episcopato nella civiltà europea, non c’è; sarebbe peraltro una storia grandissima, più bella d’una storia di esploratori o di conquistatori e, almeno per me, più bella d’una storia di poeti e di pensatori. Quando l’episcopato era infermo, era inferma la Chiesa tutta; e il Papa stesso, ce lo dice il catechismo, è il primo dei vescovi, ma è un vescovo. Il Papa è il loro capo, ma anche lui è un vescovo: il vescovo di Roma. È anzi il Papa, perché è il vescovo di Roma». A comprendere e rappresentare nella sua grandezza l’opera dei vescovi era stato, con pochi altri, Giacomo Manzù: «Piantati a terra come una piramide, e terminanti in una cima alta di fiamma, saldi e chiusi, irremovibili e vivi, quei vescovi sono il punto di resistenza ultima e più calda di una città spirituale; e ogni città, noi lo sappiamo, non è soltanto materiale e carnale, ma anche e soprattutto spirituale». De Luca avrebbe probabilmente apprezzato il volume di Paolo Rosso Negli stalli del coro. I canonici del capitolo cattedrale di Torino (secoli XI-XV), (Bologna, Il Mulino, 2014, pagine 699, euro 50, con cd-rom sui canonici del capitolo cattedrale di Torino dalla seconda metà del secolo XII all’inizio del XVI): perché è un’altra città spirituale che si rivela ora in una sua articolazione fondamentale. La Fondazione Michele Pellegrino prosegue così il discorso avviato su temi poco noti e desueti: dalla predicazione seicentesca alle ritrovate lezioni di storia ecclesiastica di Ernesto Buonaiuti, da figure dimenticate e in ombra (l’oratoriano Sebastiano Valfrè, il predicatore bresciano Ippolito Chizzola, il benedettino cassinese Angelo Grillo) a grandi temi molto o poco perlustrati (Chiesa cattolica e modernità; il francescanesimo dalle origini alla metà del Cinquecento; Chiese cristiane, pluralismo religioso e democrazia liberale in Europa; Bibbia e letteratura nel Settecento italiano; Stato e Chiesa in Italia), sino alla presentazione di testi come l’Avventuale fiorentino 1304 di Giordano da Pisa e la straordinaria Vita scritta da lui medesimo del predicatore francescano e polemista antiprotestante cinquecentesco Francesco Panigarola. Chi siede allora, nella penombra, negli stalli del coro, oltre il transetto, in quella zona del presbiterio dominata dall’abside? Sono figure lontane, evanescenti, meno evidenti e visibili dei vescovi sulle loro cattedre o dei predicatori ritti sul pulpito ma non meno importanti per comprendere la storia della Chiesa di cui sono stati attori privilegiati. Nella prosopografia ecclesiastica i canonici di grandi chiese hanno sinora goduto non soltanto con i temi dell’istruzione del di una modesta attenzione e le eccezioni clero (particolarmente rilanciata dai concili più corpose non sono molte, come, per Lateranensi III e IV, nel 1179 e nel 1215), delesempio, la monografia di Andreas Rehberg sui canonici di San Giovanni in la cura pastorale, della predicazione ma anLaterano e di Santa Maria Maggiore nel che dell’insegnamento, nella scuola catteTrecento (1999). Eppure (notava qualche drale e nello studium generale che nasce a anno fa Jacques Verger) nel clero medievale Torino nel 1404 e vede in esso coinvolti nu(e non solo in quello) i canonici, regolari e merosi canonici come docenti e discenti. secolari, rappresentano un’élite, in ragione Prima di allora i canonici o quanti erano di una formazione culturale che li distingue destinati a divenirlo andavano a studiare e li rende eccellenti strumenti nelle mani presso la Curia romana oppure intraprendedei vescovi, di cui sono i primi collaborato- vano una peregrinatio academica che li conri. Era un canonico, della cattedrale di duceva in giro per l’Europa nei grandi cenAmiens, in Piccardia, quel Richard de tri universitari, da Bologna ad Avignone, a Fournival che nella prima metà del XIII se- Montpellier. Prima ancora, all’alba del nuocolo costituì una straordinaria collezione libraria, il primo esempio di biblioteca pubblica Lontani, evanescenti in Europa. Era canonico, di Colonia, quell’Alessandro di meno evidenti dei vescovi sulle loro cattedre Roes che, familiare di Giacoo dei predicatori ritti sul pulpito mo Colonna, alla fine del Duecento enunciò una persoMa non meno importanti nale visione politico-culturale per comprendere la storia dei rapporti tra le diverse forze della cristianità. Era canonico, di Chartres, quel Landolfo Colonna che, autore di un Breviarium historia- vo millennio, quando ancora le università rum, fu amico di Petrarca e raccolse una co- non si erano affermate, i vescovi di una spicua biblioteca. E gli esempi si potrebbe- diocesi per certi versi «moderna» come ro moltiplicare a mostrare la straordinaria quella torinese avevano cercato di dare al importanza del mondo canonicale per la vi- loro capitolo il conforto della linfa di una ta della Chiesa e delle diocesi. storia antica e gloriosa, come quella della Principali compiti dei capitoli delle catte- diocesi vercellese, dalle radici tardo-antiche. drali erano l’assistenza e la consulenza al Statuti capitolari, inventari librari e di vescovo, eletto dai canonici e che spesso beni, testamenti: dopo un’introduzione stoproveniva dai loro ranghi e da essi era sup- riografica e una presentazione delle fonti, plito durante la sede vacante. Per tale in- Rosso non omette alcun documento per dissolubile intreccio la storia di un capitolo delineare nella prima parte del volume (Socattedrale come quello torinese diviene così, cietà e cultura) la composizione sociale del per certi versi, la storia della diocesi torine- capitolo cattedrale e le modalità della sua se bassomedievale tout court e si intreccia formazione culturale, nella seconda parte (I libri dei canonici) la circolazione libraria nelle istituzioni ecclesiastiche diocesane, la biblioteca del capitolo cattedrale, i fondi librari personali dei canonici, attori e fruitori della circolazione libraria. Diritto canonico e civile, liturgia, teologia, con spiccati interessi di natura morale e pastorale, costituiscono naturalmente l’ossatura della cultura e delle biblioteche dei canonici. Ma non solo: una biblioteca come quella dei Romagnano (una famiglia fondamentale nella Torino quattrocentesca, che alimenta con i suoi membri episcopato, amministrazione ducale, capitolo cattedrale) riserva ampio spazio agli studia humanitatis (da Cicerone a Valerio Massimo, da Plutarco a Svetonio, sino a Cristoforo Landino e Marco Antonio Sabellico) e rivela, nella sua diacronica ed eclettica varietà, «una assimilazione ormai matura delle correnti culturali dell’umanesimo e una apertura alla cultura classica latina e alla letteratura umanistica, quest’ultima anche rappresentata dai commenti agli auctores». Sicuramente pochi conosceranno o ricorderanno i nomi di Cuniberto (1046-1081), Guido Canalis (1319-1348), Ludovico di Romagnano (1438-1468): eppure sono tutti vescovi torinesi, tutti provenienti dalle file dei canonici della cattedrale, tutti artefici della storia della diocesi. Negli stalli del coro siedono dunque figure decisive per la storia della Chiesa, la cui importanza è forse proporzionale alla loro non-apparenza. E il volume di Rosso ha il merito di ricordarcelo, invitando a ricerche simili per altre realtà geografiche. Ne verrebbe fuori una storia nuova e diversa, «una storia grandissima — De Luca aveva ragione — più bella d’una storia di esploratori o di conquistatori e (...) più bella d’una storia di poeti e di pensatori». Albert Schweitzer e l’etica dell’O ttocento Un uomo solido di CRISTIANA D OBNER «Schweitzer, un uomo solido e alto, dalla corporatura di contadino, un anno più giovane di Ernst, pienamente padrone della sua forza fisica, non sembrava uno studioso e neppure un musicista o un teologo, qualifiche tutte che gli spettavano a pieno diritto. Sembrava appunto Schweitzer, e, come nemmeno la sua vita e la sua opera erano consuete, così Teologo, musicologo e medico fu tra i primi a cogliere il disagio e il mutamento dovuti alla crisi della civiltà moderna anche il suo aspetto». Così descrive Toni Cassirer il famoso teologo, musicologo e medico che aveva infilato nella cassetta delle lettere della pensione in cui Toni si trovava a Londra con il marito Ernst «un semplice biglietto bianco; vi erano scritte soltanto poche parole: “Vorrei solo stringerle la mano. Albert Schweitzer”». Così due grandi figure del secolo scorso poterono incontrarsi personalmente. Il breve saggio di Cassirer, Albert Schweitzer as Critic of Nineteenth Century Ethics, uno degli ultimi da lui composto, viene tradotto per la prima volta in italiano e prefato da Ernesto Colombo presentandolo con il titolo Albert Schweitzer e l’etica del XIX secolo (Brescia, Morcelliana, 2015 pagine 77, euro 10). La “crisi della civiltà” è stata pensata e valutata da tanti personaggi in diversi tempi cronologici, Albert Schweitzer però fu tra i primi a coglierne il disagio e il conseguente mutamento. Le radici affondavano nel terreno dell’Illuminismo ma si sarebbero propagate fino alla prima guerra mondiale che, allora ne sarebbe conseguita come esito. Cogliere i tratti emergenti e qualificativi della personalità versatile di Schweitzer è compito arduo, ma Cassirer ha raggiunto l’obiettivo sia dal punto di vista biografico, sia da quello strettamente intellettuale. Il profilo allora si staglia come quello di uno spirito vigile che scruta l’orizzonte e ritiene suo specifico compito indirizzare il pensiero alla filosofia e alla scoperta del suo ruolo, non astratto ma contingente, cioè inserito in quel hic et nunc che caratterizza uno specifico arco di tempo. Quale il focus da cui prendere le mosse? L’etica e la ragione, i loro concetti e le loro articolazioni. Focus che, a ben vedere, è anche la leva che scalzerà Schweitzer dalla sua professione di filosofo, teologo e musicista e lo condurrà a diventare non solo medico ma medico dei più poveri, dei più abbandonati. «L’opera filosofica di Schweitzer non è mai stata ostacolata da queste attività pratiche. Al contrario, ne è stata rafforzata ed è stata resa più profonda», afferma Cassirer. Nel linguaggio odierno lo diremmo una personalità che abbandonò il suo centro di vita e di esperienza per volgersi alla periferia. Leva che si denomina “ragione pratica” nella sua accezione che ne coglie la portata etica, sociale e antropologica. Schweitzer non possedeva e non esibiva un linguaggio da iniziati o un linguaggio filosofico tecnico: «La sua opera non è gravata da una terminologia complicata e oscura e non contiene alcun modo di ragionare sottile e sofisticato. Il pensiero di Albert Schweitzer è schietto e ingegnoso. Evita ogni scolasticismo». La sintomatologia dei mali intimi della società moderna indica che «viviamo nel segno del declino della civiltà (...) ci agitiamo in una potente cataratta, in una corrente, tra pericolosi vortici. Soltanto con sforzi enormi ricondurremo il vascello del nostro destino, dal pericoloso abbraccio al corso principale in cui ci agitiamo, se c’è in generale ancora speranza». Cassirer sottolinea come in queste profetiche parole, scritte prima dello scoppio della guerra, Schweitzer esprimesse tutta la sua indole di medico più che di filosofo per la chiarezza e ineludibilità della diagnosi, in cui emergeva la pericolosità del “pensiero collettivo”. Si apre l’8 giugno presso l’Istituto germanico di Roma il convegno internazionale sul tema «Campagne legate alle indulgenze nel tardo medioevo. Martin Lutero e il dibattito del 1517». Ai lavori, che dureranno tre giorni, è previsto, tra gli altri, l’intervento del cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Il convegno, spiegano gli organizzatori, costituisce il contributo dell’Istituto storico germanico e della Facoltà valdese protestante alla decade delle celebrazioni in ricordo di Martin Lutero e vuole essere uno strumento per riflettere sul bilancio dei recenti studi nel campo delle indulgenze. Nell’ultima giornata è prevista una tavola rotonda interconfessionale sul tema «Lutero 1517 e le conseguenze». Lucas Cranach, «Ritratto di Martin Lutero» (1529) Una città trasformata in palcoscenico Un laboratorio di social media storytelling e tanto spazio ai drammaturghi giovani e giovanissimi: sono alcuni degli aspetti più interessanti della quarta edizione del festival «I Teatri del Sacro» in programma a Lucca dall’8 al 14 giugno, presentato da Fabrizio Fiaschini, Francesco Giraldo, Vittorio Sozzi e Giorgio Testa il 5 giugno scorso presso la Radio Vaticana. Venti spettacoli in prima nazionale assoluta, tutti dedicati ai temi dello spirito. «Crediamo nel teatro, forma d’arte che non è passata di moda, anzi è più necessaria che mai» ha scritto nel messaggio di saluto inviato all’incontro don Ivan Maffeis, neo eletto direttore dell'Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali della Cei e presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 domenica 7 giugno 2015 Shimon Peres, Mahmūd Abbās, Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo, piantano l’«Ulivo della pace» nei giardini vaticani (8 giugno 2014) Dalla Germania appello dei cristiani ai leader del G7 Poveri chiave della giustizia ROMA, 6. Un minuto di sosta, silenzio e, per chi crede, di preghiera. Un minuto, solo un minuto, da “strappare” alle giornate piene di impegni e distrazioni per dedicarlo alla pace. È quanto chiedono alcune organizzazioni cattoliche e di altre religioni fissando l’appuntamento per lunedì 8 giugno, alle ore 13. L’appello, dal titolo: «Un minuto per la pace» giunge a un anno dall’incontro in Vaticano fra Papa Francesco, il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo e i presidenti di Israele, Shimon Peres, e dello Stato di Palestina, Mahmūd Abbās. Tanto è trascorso da quell’«Invocazione per la pace» diffusa dai giardini vaticani (era l’8 giugno) e che attirò l’attenzione di tutto il mondo. E oggi, anche più di allora, la pace è ferita in tante regioni del pianeta. Lunedì alle ore 13, si potrà dunque dedicare tutti insieme un pensiero alla riconciliazione «perché — spiega Emilio Inzaurraga, coordinatore mondiale del Forum internazionale di Azione cattolica (Fiac) e presidente di Azione cattolica argentina — di pace abbiamo sempre bisogno, così come di fratellanza, di solidarietà e di preghiera. Concretamente, proponiamo a ogni Azione cattolica di invitare tutti gli aderenti, gli amici delle altre associazioni e movimenti, delle diverse confessioni cristiane, i fedeli delle altre religioni, tutte le persone di buona volontà a fermarsi lunedì 8 giugno, lì dove sono, a chinare il capo e pregare: sul lavoro, a scuola, all’università, nel quartiere, in famiglia, con gli ami- Iniziativa del Forum internazionale di Azione cattolica Un minuto per la pace ci». L’appello, grazie ai social media, ha già fatto in breve tempo il giro del mondo: dalle Filippine al Burundi, dal Senegal a diversi Paesi europei. Il messaggio ha raggiunto anche il Myanmar, la Cina, l’India e il Pakistan. E poi Venezuela, Colombia e Messico. Il Fiac ha invitato i fedeli a formulare intenzioni di preghiera per la pace già durante le celebrazioni di domenica 7 giugno. La preghiera, «quando comincia la settimana in molti Paesi del mondo — ha aggiunto Inzaurraga — ci ricorda che siamo chiamati ogni giorno a essere operatori di pace, a livello personale, in famiglia, nella comunità cristiana». L’appello a partecipare all’iniziativa è stato diffuso anche dall’Unione mondiale delle organizzazioni femminili cattoliche (Umofc) e da molte organizzazioni argentine, dal Diálogo Ciudadano, dalle comunità di vita cristiana, dall’Associazione dei giovani cristiani al Centro islamico della Repubblica Argentina (Cira), all’Asociación Mutual Israelita Argentina (Amia), alla Red Solidaria. Grande il contributo offerto dalle parrocchie. Nell’organizzazione, come accennato, è stato fondamentale l’apporto dei social network. Già lo scorso anno, due giorni prima dello La tutela del creato al centro della riflessione del segretario generale del Wcc Contro lo sfruttamento globalizzato STO CCARDA, 6. «L’umanità non può ignorare la propria responsabilità per il creato»: è quanto ha dichiarato il segretario generale del World Council of Churches (Wcc), reverendo Olav Fykse Tveit, intervenuto al trentacinquesimo Kirchentag degli evangelici tedeschi dal titolo: «Giustizia e pace in un solo mondo» svoltosi nei giorni scorsi a Stoccarda. L’evento, promosso dal Bread for the World, l’agenzia protestante tedesca per lo sviluppo, si tiene ogni due anni. Nel ricordare ai partecipanti che l’intera umanità dipende da ciò che fornisce la natura — cibo, aria pulita, luce, acqua — il reverendo Fykse Tveit nel suo sermone ha sottolineato che è giunto il momento di scegliere: «O siamo in grado di prenderci cura del nostro giardino o Iniziative per la Repubblica Democratica del Congo Equità per la riconciliazione GINEVRA, 6. Un invito a consolidare e a rinnovare le iniziative per la pace e la giustizia nella Repubblica Democratica del Congo è stato diffuso dal World Council of Churches (Wcc). L’appello, rivolto alle Chiese, alle comunità cristiane e alle organizzazioni ecumeniche è stato lanciato al termine dell’incontro che si è svolto nei giorni scorsi a Ginevra su iniziativa della Commission of the Churches on International Affairs. In particolare, come riferisce il sito in rete del Wcc, viene incoraggiata la costituzione di un’apposita struttura che possa coordinare gli interventi. Al centro dei lavori, che si sono svolti con lo sguardo a un contesto di rinnovata instabilità del Paese africano e dell’intera regione — episodi di violenza spesso legati alle elezioni presidenziali del 2016 e all’arrivo di ondate di profughi dal Burundi — sono stati soprattutto la preoccupazione per il mancato rispetto dei diritti umani, l’emergenza sanitaria, la corruzione, la necessità di tutelare l’ambiente attraverso una corretta gestione delle risorse naturali. Infatti, con riferimento a quest’ultimo aspetto, è noto che proprio il controllo delle zone più ricche di minerali — oro, stagno, coltan — rappresenta spesso uno degli elementi che alimentano l’instabilità provocata da varie milizie attive nell’est del Paese, in province, come Nord e Sud Kivu e Katanga, che sfuggono in gran parte al controllo dell’autorità dello Stato. «Data la natura e dimensioni delle sfide che sta affrontando la Repubblica Democratica del Congo, un’efficace risposta ecumenica esige una comune voce profetica e l’azione congiunta di tutte le Chiese del Paese», si legge nel comunicato finale dei lavori di Ginevra. In questo senso, la costituzione di uno speciale organismo di collegamento dovrebbe poter agevolare «un’interazione inclusiva e regolare tra le Chiese nella Repubblica Democratica del Congo e i loro partner ecumenici a livello nazionale e internazionale». Peter Prove, direttore della Commission of the Churches on International Affairs, in una dichiarazione diffusa dal sito del Wcc, ha sottolineato la particolare importanza di «promuovere una comune azione» dei cristiani di fronte alle delicate sfide del Paese. Un invito al «dialogo nazionale nel rispetto della Costituzione» arriva, nel frattempo anche dai vescovi cattolici, dopo l’incontro avuto con il presidente Joseph Kabila. «Abbiamo ringraziato il Presidente per averci associato alle consultazioni. Per noi il dialogo è la via maestra e pacifica per uscire da una crisi», hanno dichiarato i presuli. possiamo distruggere il giardino della vita». In numerose occasioni il segretario generale del Wcc ha ribadito quanto sia necessario pensare al giusto equilibrio dell’ambiente e a considerare «di quanta fiducia, solidarietà, giustizia e di quanto alto livello di vita l’intera umanità ha veramente bisogno». Secondo Fykse Tveit «coltivare, seminare e piantare, sono espressione della fede nella capacità di Dio di creare la vita attraverso il lavoro delle nostre mani. La potenza della grazia e del perdono del Signore — ha continuato — possono rinnovare la nostra generazione, la nostra gente, i nostri leader politici. Essa può trasformarci ispirandoci nelle decisioni necessarie per cambiare, per invertire le trasformazioni climatiche, al fine di assicurare il diritto al cibo per tutti, il diritto di godere di acqua, aria e suolo puliti». Sulla salvaguardia del creato si è soffermata anche Cornelia FüllkrugWeitzel, presidente di Bread for the World. «In questo nostro incontro — ha detto — desideriamo ancora una volta ribadire la ricchezza e la diversità che il nostro creatore ha dato all’ambiente». Füllkrug-Weitzel ha sottolineato che non si può sottovalutare come «nei Paesi del sud del mondo, la diversità delle piante selvatiche tradizionali e delle coltivazioni sia sempre più ridotta per far posto a una produzione alimentare globale». Al trentacinquesimo Kirchentag hanno preso parte, tra gli altri, il reverendo Chris Ferguson, segretario generale della Comunione mondiale delle Chiese riformate, l’arcivescovo Ephraim Fajutagana della Philippine Independent Church e il reverendo Yusuf Wushishi, segretario generale del Christian Council of Nigeria. storico incontro in Vaticano, il Fiac aveva aperto una pagina facebook, che in poche ore aveva raccolto diecimila “mi piace”. Alle più consuete traduzioni del messaggio in italiano, inglese, francese, spagnolo, tedesco, quest’anno, tra l’altro, si accostano tanti altri idiomi; come ucraino, russo, albanese e polacco in Europa, kirundi e wolof in Africa, arabo, ebraico, urdu, tagalos e birmano in Asia. In Italia il messaggio è veicolato dalle duecento Azioni cattoliche diocesane, con il compito di estendere l’invito alle parrocchie per la preghiera dei fedeli durante le celebrazioni di domenica 7 giugno. BERLINO, 6. I poveri prima di tutto. È il messaggio contenuto nel “promemoria” che i cristiani tedeschi presentano ai rappresentanti delle grandi potenze economiche mondiali che da domani, domenica 7, e fino a lunedì 8, si riuniscono in Baviera per i lavori del G7. In una dichiarazione congiunta, cattolici ed evangelici di Germania chiedono infatti ai leader politici — non saranno presenti i rappresentanti russi a seguito della crisi ucraina — di prendere in considerazione «in primo luogo l’impatto sui poveri» delle loro deliberazioni e decisioni. Questo è, per il presidente della Conferenza episcopale tedesca, il cardinale arcivescovo di München und Freising, Reinhard Marx, e per il presidente del Consiglio della Chiesa evangelica in Germania, il vescovo Heinrich Bedford-Strohm, il solo modo con il quale il G7 potrà «contribuire alla promozione della giustizia globale». In questa prospettiva, la dichiarazione congiunta invita anche tutti i credenti a riunirsi in preghiera per il successo del vertice. I rappresentanti dei sette Paesi più industrializzati si incontreranno, tra imponenti misure di sicurezza — si annunciano già manifestazioni di protesta da parte dei movimenti no-global — presso il castello Elmau, vicino a Garmisch-Partenkirchen, nelle Alpi bavaresi. Lotta al terrorismo e crisi economica internazionale i principali temi in agenda. Per Marx e Bedford- Strohm l’attenzione agli ultimi della terra è l’unica prospettiva percorribile per l’ottenimento di una giustizia davvero globale. «Il 90 per cento della ricchezza mondiale è ancora nella mani del dieci per cento delle nazioni più ricche — si ricorda nella dichiarazione — e la distribuzione ineguale delle possibilità di vita è peggiorata in molti Paesi». I cattolici e gli evangelici della Germania si aspettano quindi «un sì chiaro a rendere più equo il commercio mondiale». Tra le preoccupazioni dei cristiani tedeschi anche il rispetto per l’ambiente. Nella dichiarazione è richiesto, infatti, anche un impegno concreto del G7 per l’adozione di obiettivi di sviluppo sostenibile da presentare all’assemblea generale delle Nazioni Unite nel mese di settembre a New York, e alla Conferenza internazionale sui cambiamenti climatici che si terrà a dicembre a Parigi (Cop21). In tutti questi ambiti i leader delle grandi potenze dovrebbero «favorire il bene comune globale ed essere pronti a impostare gli interessi nazionali verso l’apertura dei mercati per i prodotti dei Paesi poveri». Inoltre, viene ribadito con decisione che la prospettiva per i partecipanti ai lavori del prossimo G7 dovrà essere necessariamente quella di giungere a una «dichiarazione vincolante per aumentare, entro il 2020, il loro finanziamento della cooperazione allo sviluppo fino allo 0,7 per cento del reddito nazionale lordo». L’OSSERVATORE ROMANO domenica 7 giugno 2015 pagina 7 All’arrivo a Sarajevo il Papa rinnova l’invito al dialogo e alla collaborazione Scommessa di speranza Nella mattina di sabato 6 giugno è iniziata la visita di Papa Francesco in Bosnia ed Erzegovina. L’aereo dell’Alitalia con a bordo il Pontefice è atterrato a Sarajevo intorno alle 9, ad accogliere il Papa c’erano, tra gli altri, il membro croato della presidenza della Bosnia ed Erzegovina, Dragan Čović, e il cardinale Vinko Puljić, arcivescovo di Sarajevo e presidente della Conferenza episcopale. Francesco, Signori Membri della Presidenza della Bosnia ed Erzegovina, Signor Presidente di turno, Membri del Corpo Diplomatico, Cari fratelli e sorelle! Ringrazio vivamente i membri della Presidenza della Bosnia ed Erzegovina per la gentile accoglienza, e in particolare per le cordiali espressioni di saluto rivoltemi a nome di tutti dal Signor Presidente di turno Mladen Ivanić. È per me motivo di gioia trovarmi in questa città che ha tanto sofferto per i sanguinosi conflitti del secolo scorso e che è tornata ad essere luogo di dialogo e pacifica convivenza. È passata da una cultura dello scontro, della guerra, a una cultura dell’incontro. Sarajevo e la Bosnia ed Erzegovina rivestono uno speciale significato per l’Europa e per il mondo intero. Da secoli in questi territori sono presenti comunità che professano religioni diverse e appartengono a diverse etnie e culture, ciascuna delle quali è ricca delle sue peculiari caratteristiche e gelosa delle sue specifiche tradizioni, senza che questo abbia impedito per lungo tempo l’instaurarsi di relazioni reciproche amichevoli e cordiali. Anche la stessa struttura architettonica di Sarajevo ne porta visibili e consistenti tracce, poiché nel suo tessuto urbanistico sorgono, a breve distanza l’una dall’altra, sinagoghe, chiese e moschee, tanto che la città ricevette l’appellativo di “Gerusalem- dopo aver sfilato davanti al picchetto d’onore, ha salutato un folto gruppo di bambini, giovani e adulti vestiti con i costumi tradizionali locali, soffermandosi con alcuni di loro per scambiare qualche battuta. Dall’aeroporto il Pontefice ha quindi raggiunto in auto il palazzo presidenziale dove si è svolta la cerimonia di benvenuto. Di seguito, il discorso pronunciato dal Papa in italiano. me d’Europa”. Essa infatti rappresenta un crocevia di culture, nazioni e religioni; e tale ruolo richiede di costruire sempre nuovi ponti e di curare e restaurare quelli esistenti, perché sia assicurata un’agevole, sicura e civile comunicazione. Abbiamo bisogno di comunicare, di scoprire le ricchezze di ognuno, di valorizzare ciò che ci unisce e di guardare alle differenze come possibilità di crescita nel rispetto di tutti. È necessario un dialogo paziente e fiducioso, in modo che le persone, le famiglie e le comunità possano trasmettere i valori della propria cultura e accogliere il bene proveniente dalle esperienze altrui. In tal modo, anche le gravi ferite del recente passato possono essere rimarginate e si può guardare al futuro con speranza, affrontando con animo libero da paure e rancori i quotidiani problemi che ogni comunità civile è chiamata ad affrontare. Sono venuto come pellegrino di pace e di dialogo, 18 anni dopo la storica visita di san Giovanni Paolo II, avvenuta a meno di due anni dalla firma degli Accordi di Pace di D ayton. Sono lieto di vedere i progressi compiuti, per i quali occorre ringraziare il Signore e tante persone di buona volontà. È però importante non accontentarsi di quanto finora realizzato, ma cercare di compiere passi ulteriori per rinsaldare la fiducia e creare occasioni per accrescere la mutua conoscenza e stima. Per fa- Telegrammi a capi di Stato vorire questo percorso sono fondamentali la vicinanza — la vicinanza! — e la collaborazione della Comunità internazionale, in particolare dell’Unione Europea, e di tutti i Paesi e le Organizzazioni presenti e operanti sul territorio della Bosnia ed Erzegovina. La Bosnia ed Erzegovina è infatti parte integrante dell’Europa; i suoi successi e i suoi drammi si inseriscono a pieno titolo nella storia dei successi e dei drammi europei, e sono nel medesimo tempo un serio monito a compiere ogni sforzo perché i processi di pace avviati diventino sempre più solidi e irreversibili. In questa terra, la pace e la concordia tra Croati, Serbi e Bosgnacchi, le iniziative volte ad accrescerle ulteriormente, le relazioni cordiali e fraterne tra musulmani, ebrei, e cristiani e altre minoranze religiose, rivestono un’importanza che va ben al di là dei suoi confini. Esse testimoniano al mondo intero che la collaborazione tra varie etnie e religioni in vista del bene comune è possibile, che un pluralismo di culture e tradizioni può sussistere e dare vita a soluzioni originali ed efficaci dei problemi, che anche le ferite più profonde possono essere sanate da un percorso che purifichi la memoria e dia speranza per l’avvenire. Io ho visto oggi questa speranza in quei bambini che ho salutato all’aeroporto — islamici, ortodossi, ebrei, cattolici e altre minoranze — tutti insieme, gioiosi! Questa è la speranza! Facciamo la scommessa su questo. Abbiamo tutti bisogno, per opporci con successo alla barbarie di chi vorrebbe fare di ogni differenza l’occasione e il pretesto di violenze sempre più efferate, di riconoscere i Il presidente di turno riafferma l’impegno per una società a misura d’uomo La lezione del passato Costruire una società a misura d’uomo che rispetti ogni religione. È con questo impegno che il presidente di turno Mladen Ivanić, ha dato a Francesco il «benvenuto» in Bosnia ed Erzegovina, durante l’incontro nel palazzo presidenziale. La Bosnia ed Erzegovina, ha spiegato, è «l’unico territorio europeo in cui la cultura della multiconfessionalità e multietnicità ha lasciato un segno profondo. E qui le persone vivono insieme da secoli con le loro diverse tradizioni: cattolica, ortodossa, islamica, ebraica e altre minoritarie». La costruzione di una nuova società nel Paese, ha affermato il presidente, «non è fa- Papa Francesco è partito alla volta di Sarajevo dall’aeroporto di Fiumicino alle 7.51 di sabato mattina, 6 giugno. Il congedo dalla residenza di Santa Marta in Vaticano — dove è stato salutato, tra gli altri, dall’arcivescovo Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia — è avvenuto in forma privata. Successivamente il Pontefice ha raggiunto lo scalo romano in automobile. Hanno accompagnato Papa Francesco i cardinali Parolin, segretario di Stato, Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, e Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani; l’arcivescovo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, con gli officiali Gianluca Pezzoli e Mario Popovic. Con loro anche gli aiutanti di Camera, Mariotti e Zanetti, il medico Polisca, il responsabile dell’organizzazione del viaggio Gasbarri, il direttore della Radio Vaticana e della Sala stampa della Santa Sede, il gesuita Lombardi, il direttore del Centro Televisivo Vaticano, monsignor Viganò, e il direttore del nostro giornale. Nella capitale della Bosnia ed Erzegovina si sono uniti al seguito il cardinale Vincko Puljić, arcivescovo di Vrhbosna, Sarajevo; il nunzio apostolico Luigi Pezzuto, con monsignor Joseph Puthenpurayil, segretario della nunziatura; e i monsignori Guido Marini, maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie, e Ján Dubina, dell’ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice. Subito dopo il decollo, Francesco ha inviato i seguenti telegrammi ai capi di Stato dei Paesi sorvolati. A Sua Eccellenza On. Sergio Mattarella Presidente della Repubblica Italiana Palazzo del Quirinale 00187 Roma PP. Her Excellency Kolinda Grabar-Kitarović President of the Republic of Croatia Zagreb I send cordial greetings to Your Excellency and to your fellow citizens as I fly over your Country at the beginning of my apostolic journey to Bosnia and Hercegovina. I pray that almighty God may guide the entire Nation in the ways of peace, justice and the common good. Upon you and all the Croatian people, I invoke the Lord’s abundant blessings FRANCISCUS cile e rappresenta una grande sfida per i capi politici, religiosi, come anche per ogni cittadino. La sfida che dobbiamo raccogliere da ogni vittima del passato deve dare un senso al nostro impegno per la pace, la tolleranza, la liberta e la dignità». «Siamo convinti — ha spiegato — che il tempo dell’incomprensione, dell’intolleranza e della divisione sia per sempre dietro di noi»; e «speriamo di aver imparato la lezione del recente passato» per far sì «che davanti a noi ci sia un tempo nuovo di comprensione, di riconciliazione e di collaborazione». In questa direzione sono stati compiuti passi, ha riconosciuto, ma «purtroppo non si deve trascurare il fatto che ancora oggi non si è realizzata la piena uguaglianza di tutti i cittadini e per questo tutti insieme dobbiamo lavorare con grande dedizione». «Siamo impegnati nella costruzione di buoni rapporti con gli altri Paesi della regione» ha assicurato Ivanić. «Insieme con loro — ha aggiunto — siamo pronti a lavorare» per attenuare i nazionalismi, costruendo «una maggiore fiducia reciproca». In particolare, «l’idea della comunione, della solidarietà e della tolleranza sono a fondamento dell’Unione euro- Congregazione delle cause dei santi Nel momento in cui mi accingo a compiere il mio viaggio apostolico in Bosnia ed Erzegovina, per favorire l’incontro e il dialogo tra culture e religioni diverse, per rafforzare il cammino dell’unità dei cristiani e per confermare la comunità cattolica nella fede, mi è caro rivolgere a Lei, Signor Presidente, e alla Nazione italiana il mio cordiale saluto, che accompagno con fervidi auspici di progresso spirituale, civile e sociale. FRANCISCUS concretezza d’impegno, una società più pacifica e giusta, avviando a soluzione, con l’aiuto di ogni componente, i molteplici problemi della vita quotidiana del popolo. Perché ciò avvenga è indispensabile l’effettiva uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e nella sua attuazione, qualunque sia la loro appartenenza etnica, religiosa e geografica: così tutti indistintamente si sentiranno pienamente partecipi della vita pubblica e, godendo dei medesimi diritti, potranno attivamente dare il loro specifico contributo al bene comune. valori fondamentali della comune umanità, valori in nome dei quali si può e si deve collaborare, costruire e dialogare, perdonare e crescere, permettendo all’insieme delle diverse voci di formare un nobile e armonico canto, piuttosto che urla fanatiche di odio. I responsabili politici sono chiamati al nobile compito di essere i primi servitori delle loro comunità con un’azione che salvaguardi in primo luogo i diritti fondamentali della persona umana, tra i quali spicca quello alla libertà religiosa. In tal modo sarà possibile costruire, con PP. In un messaggio di risposta, il presidente italiano Mattarella assicura a Francesco il «più sincero ringraziamento» per il telegramma ricevuto e sottolinea che «l’Italia e l’Europa guardano con particolare attenzione alla sua missione», nella certezza che la presenza del Papa in Bosnia ed Erzegovina «recherà un importante messaggio di pace e riconciliazione per tutta la regione balcanica, impegnata in un complesso cammino per superare le dolorose ferite di un passato ancora vivo nella memoria di molti». Illustri Signori e Signore, la Chiesa Cattolica partecipa, attraverso la preghiera e l’azione dei suoi fedeli e delle sue istituzioni, all’opera di ricostruzione materiale e morale della Bosnia ed Erzegovina, condividendone le gioie e le preoccupazioni, desiderosa di testimoniare con impegno la sua speciale vicinanza verso i poveri e i bisognosi, mossa nel fare questo dall’insegnamento e dall’esempio del suo divino Maestro, Gesù. La Santa Sede si felicita per il cammino fatto in questi anni ed assicura la sua sollecitudine nel promuovere la collaborazione, il dialogo e la solidarietà, sapendo che la pace e il reciproco ascolto in una convivenza civile e ordinata sono le condizioni indispensabili per un autentico e duraturo sviluppo. Essa auspica vivamente che la Bosnia ed Erzegovina, con l’apporto di tutti, dopo che le nuvole nere della tempesta si sono finalmente allontanate, possa procedere sulla via intrapresa, in modo che, dopo il gelido inverno, fiorisca la primavera. E si vede fiorire qui la primavera. Con questi sentimenti imploro dall’Altissimo pace e prosperità per Sarajevo e tutta la Bosnia ed Erzegovina. Grazie. Promulgazione di decreti Venerdì 5 giugno, Papa Francesco ha ricevuto in udienza privata sua Eminenza reverendissima il signor cardinale Angelo Amato, S.D.B., prefetto della Congregazione delle cause dei santi. Nel corso dell’udienza il Santo Padre ha autorizzato la Congregazione a promulgare i decreti riguardanti: — il miracolo, attribuito all’intercessione del venerabile servo di Dio Francesco di Paola Victor, sacerdote diocesano; nato a Campanha (Brasile) il 12 aprile 1827 e morto a Três Pontas (Brasile) il 23 settembre 1905; — il miracolo, attribuito all’intercessione della venerabile serva di Dio Clara (al secolo: Ludovica Szczęsna), cofondatrice della congregazione delle Ancelle del Sacratissimo Cuore di Gesù; nata a Cieszki (Polonia) il 18 luglio 1863 e morta a Cracovia (Polonia) il 7 febbraio 1916; — il martirio dei servi di Dio Federico da Berga (al secolo: Martí Tarrés Paigpelat) e 25 compagni, sacerdoti e fratelli laici dell’Ordine dei frati minori cappuccini; uccisi, in odio alla Fede, nel 1936 durante la guerra civile spagnola; — il martirio dei servi di Dio Giuseppe Thao Tiên, sacerdote diocesano, e 10 compagni, sacer- doti professi della Società delle missioni estere di Parigi e della congregazione dei Missionari oblati della beata Maria Vergine Immacolata, nonché 4 compagni, laici; uccisi, in odio alla Fede, tra il 1954 e il 1970 nel Laos; — le virtù eroiche del servo di Dio Antonio Celona, sacerdote diocesano, fondatore della congregazione delle Suore ancelle riparatrici del Sacro Cuore di Gesù; nato a Ganzirri (Italia) il 13 aprile 1873 e ivi morto il 15 ottobre 1952; — le virtù eroiche del servo di Dio Ottorino Zanon, sacerdote fondatore della congregazione della Pia società di San Gaetano; nato ad Anconetta (Italia) il 9 agosto 1915 e morto a Brescia (Italia) il 14 settembre 1972; — le virtù eroiche del servo di Dio Marcello Labor, sacerdote diocesano; nato a Trieste (Italia) l’8 luglio 1890 e ivi morto il 29 settembre 1954; — le virtù eroiche della serva di Dio Maria Antonia del Sacro Cuore di Gesù (al secolo: Rachele Lalia), fondatrice della congregazione delle Suore domenicane missionarie di San Sisto; nata a Misilmeri (Italia) il 20 maggio 1839 e morta a Ceglie Messapica (Italia) il 9 aprile 1914. pea, una casa dove ogni cittadino può vivere serenamente». Da parte sua, il presidente ha auspicato «che la porta dell’Unione europea sia aperta per tutti i Paesi del sud-est europeo che, con le riforme essenziali nel processo d’integrazione, desiderino diventarne membri con pari diritti e doveri». E al Papa ha chiesto un «appoggio in questo percorso». «Oggi — ha fatto notare — siamo al centro di un evento mediatico globale, ma questa volta, diversamente dagli anni precedenti, con un messaggio molto positivo». Ivanić si è detto certo che il Papa lascerà una parola di «spinta», un incoraggiamento capace di svegliare «per puntare verso il futuro, in modo da mettere da parte il male del passato per aprirsi alla speranza e convincersi che si può vivere meglio». Il presidente ha quindi ricordato che «la Bosnia ed Erzegovina ha adottato una legge sulla libertà delle Chiese e delle comunità religiose», e ha «stipulato accordi con la Santa Sede e il Patriarcato serbo ortodosso». In conclusione, a Francesco ha assicurato l’impegno ad ascoltare le sue indicazioni «per trovare soluzioni alle questioni interreligiose e di convivenza civile». Nomina episcopale La nomina di oggi riguarda la Chiesa in Messico. José Alberto González Juárez vescovo di Tuxtepec (Messico) È nato il 19 dicembre 1967, a El Parral, nel municipio di Villa Corzo (Chiapas), ed è stato ordinato sacerdote l’8 dicembre 1995, incardinandosi nell’arcidiocesi di Tuxtla Gutiérrez. Ha compiuto gli studi ecclesiastici presso i seminari di San Juan de Los Lagos e Tuxtla Gutiérrez. Ha ottenuto la licenza in filosofia presso la Pontificia università di México. Ha svolto i seguenti incarichi: vicario parrocchiale, parroco della parrocchia della Divina Providenza a Tuxtla Gutiérrez, superiore del corso propedeutico e docente di filosofia di Tuxtla e rettore del seminario. Attualmente è parroco della chiesa dell’Immacolata Concezione e vicario episcopale per il clero e per la vita consacrata. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 domenica 7 giugno 2015 Durante la messa il nuovo monito del Pontefice contro la guerra e i trafficanti di armi Il lavoro dei seminatori di pace Un nuovo monito contro la guerra e contro i trafficanti di armi «che speculano sulle guerre» è risuonato sabato mattina, 6 giugno, nello stadio Koševo di Sarajevo, dove decine di migliaia di persone si sono riunite per partecipare alla messa celebrata da Papa Francesco. Di seguito l’omelia pronunciata dal Pontefice in italiano. Cari fratelli e sorelle, nelle Letture bibliche che abbiamo ascoltato è risuonata più volte la parola “pace”. Parola profetica per eccellenza! Pace è il sogno di Dio, è il progetto di Dio per l’umanità, per la storia, con tutto il creato. Ed è un progetto che incontra sempre opposizione da parte dell’uomo e da parte del maligno. Anche nel nostro tempo l’aspirazione alla pace e l’impegno per costruirla si scontrano col fatto che nel mondo sono in atto numerosi conflitti armati. È una sorta di terza guerra mondiale combattuta “a pezzi”; e, nel contesto della comunicazione globale, si percepisce un clima di guerra. C’è chi questo clima vuole crearlo e fomentarlo deliberatamente, in particolare coloro che cercano lo scontro tra diverse culture e civiltà, e anche coloro che speculano sulle guerre per vendere armi. Ma la guerra significa bambini, donne e anziani nei campi profughi; significa dislocamenti forzati; significa case, strade, fabbriche distrutte; significa soprattutto tante vite spezzate. Voi lo sapete bene, per averlo sperimentato proprio qui: quanta sofferenza, quanta distruzione, quanto dolore! Oggi, cari fratelli e sorelle, si leva ancora una volta da questa città il grido del popolo di Dio e di tutti gli uomini e le donne di buona volontà: mai più la guerra! All’interno di questo clima di guerra, come un raggio di sole che attraversa le nubi, risuona la parola di Gesù nel Vangelo: «Beati gli operatori di pace» (Mt 5, 9). È un appello sempre attuale, che vale per ogni generazione. Non dice «Beati i predicatori di pace»: tutti sono capaci di proclamarla, anche in maniera ipocrita o addirittura menzognera. No. Dice: «Beati gli operatori di pace», cioè coloro che la fanno. Fare la pace è un lavoro artigianale: richiede passione, pazienza, esperienza, tenacia. Beati sono coloro che seminano pace con le loro azioni quotidiane, con atteggiamenti e gesti di servizio, di fraternità, di dialogo, di misericordia... Questi sì, «saranno chiamati figli di Dio», perché Dio semina pace, sempre, dovunque; nella pienezza dei tempi ha seminato nel mondo il suo Figlio perché avessimo la pace! Fare la pace è un lavoro da portare avanti tutti i giorni, passo dopo passo, senza mai stancarsi. E come si fa, come si costruisce la pace? Ce lo ha ricordato, in maniera essenziale, il profeta Isaia: «Praticare la giustizia darà pace» (32, 17). “Opus iustitiae pax”, secondo la versione della “Vulgata” diventata un celebre motto, adottato anche profeticamente dal Papa Pio XII. La pace è opera della giustizia. Anche qui: non una giustizia declamata, teorizzata, pianificata... ma la giustizia praticata, vissuta. E il Nuovo Testamento ci insegna che il pieno compimento della giustizia è amare il prossimo come sé stessi (cfr. Mt 22, 39; Rm 13, 9). Quando, con la grazia di Dio, noi seguiamo questo comandamento, come cambiano le cose! Perché cambiamo noi! Quella persona, quel popolo, che vedevo come nemico, in realtà ha il mio stesso volto, il mio stesso cuore, la mia stessa anima. Abbiamo lo stesso Padre nei cieli. Allora la vera giustizia è fare a quella persona, a quel popolo, ciò che vorrei fosse fatto a me, al mio popolo (cfr. Mt 7, 12). San Paolo, nella seconda Lettura, ci ha indicato gli atteggiamenti necessari per fare la pace: «Rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdo- dal nostro inviato GAETANO VALLINI Settecento, ottocento metri, forse un chilometro, non di più. Tanto dista lo stadio olimpico Koševo, dove Papa Francesco celebra la messa con i fedeli giunti a Sarajevo da tutto il Paese, dal grande cimitero che accoglie migliaia di vittime della guerra che vent’anni fa, dal 1991 al 1996, insanguinò la capitale e l’intera Bosnia ed Erzegovina. Le lapidi di quelle tombe di donne, uomini, anziani e bambini di diverso credo ed etnia, che si vedono dai gradoni più alti dello stadio sulla collina illuminata dal sole estivo, testimoniano le ferite non ancora rimarginate di un Paese che sta cercando la strada per un futuro di piena concordia e di stabilità. Non è una strada facile dopo tanti lutti. Per questo il Pontefice ha deciso di venire oggi, sabato 6 giugno, in questa città — il cui nome è tragicamente legato anche allo scoppio del primo conflitto mondiale, un secolo fa — per rilanciare il monito che Giovanni Paolo II pronunciò da questo stesso luogo, il 13 aprile 1997, a poco più di anno dalla fine delle ostilità: «Mai più la guerra». Francesco lo ha fatto nell’omelia, davanti a sessantacinquemila persone, tra cui numerosi feriti e mutilati, coloro che portano nella carne i segni visibili di quel conflitto, che hanno accolto questa invocazione con un lungo applauso. Del resto il Papa lo aveva detto nel videomessaggio alla vigilia del viaggio: «Mi appresto a venire tra di voi come un fratello messaggero di pace» e per «incoraggiare la convivenza pacifica nel vostro Paese». E stamane sull’aereo lo ha ripetuto: «Sarajevo è chiamata la Gerusalemme dell’occidente. Una città con culture religiose ed etniche tanto diverse. È anche una città che ha sofferto tanto nella storia, ma che adesso è in un bel cammino di pace. È per parlare di questo che faccio il viaggio, come segno di pace, come preghiera di pace». Pace è dunque la parola chiave di questa giornata, richiamata anche nel motto nandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei confronti di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi» (3, 12-13). Ecco gli atteggiamenti per essere “artigiani” di pace nel quotidiano, là dove viviamo. Non illudiamoci però che questo dipenda solo da noi! Cadremmo in un moralismo illusorio. La pace è dono di Dio, non in senso magico, ma perché Lui, con il suo Spirito, può imprimere questi atteggiamenti nei nostri cuori e nella nostra carne, e fare di noi dei veri strumenti della sua pace. E, andando in profondità, l’Apostolo dice che la pace è dono di Dio perché è frutto della sua riconciliazione con noi. Solo se si lascia riconciliare con Dio, l’uomo può diventare operatore di pace. Cari fratelli e sorelle, oggi domandiamo insieme al Signore, per intercessione della Vergine Maria, la grazia di avere un cuore semplice, la grazia della pazienza, la grazia di lottare e lavorare per la giustizia, di essere misericordiosi, di operare per la pace, di seminare la pace e non guerra e discordia. Questo è il cammino che rende felici, che rende beati. Nel saluto del cardinale Vinko Puljić Eredi dei martiri Un abbraccio per incoraggiare una Chiesa che ha conosciuto il martirio anche in tempi recenti: ecco come i cattolici della Bosnia ed Erzegovina hanno vissuto oggi l’incontro con il Papa. A dar loro voce è stato il cardinale Vinko Puljić, arcivescovo di Sarajevo, all’inizio della messa. Il porporato ha voluto anzitutto rivolgere al Pontefice un «sincero grazie per la sua presenza, per le sue preghiere, per la sua parola di pastore», e non solo a nome dei cattolici, dicendosi infatti «convinto che tutti si siano uniti a noi, ognuno a modo proprio». «La Bosnia ed Erzegovina durante il secolo scorso ha vissuto terribili guerre e regimi e oggi è ferita e spossata» ha ricordato, aggiungendo: «La Chiesa cattolica in questa regione è stata dimezzata: con tristezza costatiamo ogni giorno che siamo sempre di meno». Ma oggi, ha proseguito, «la sua parola di padre, la sua preghiera e la sua presenza ci danno la forza di vivere qui e lavorare con gli altri per costruire la pace e il dialogo». Il cardinale Puljić ha anche ricordato l’incontro dei vescovi della Bosnia ed Erzegovina con il Papa, durante la visita «ad limina» compiuta il 16 marzo scorso: «Abbiamo parlato della situazione della nostra Chiesa, della recente guerra e del dopoguerra, delle migrazioni dei giovani, delle difficoltà che molte persone incontrano». E, in particolare, il porporato ha ringraziato Francesco per l’incoraggiamento e la raccomandazione a «non risparmiare forze nel sostenere i deboli; ad aiutare nel modo più appropriato coloro che desiderano rimanere nel proprio Paese natale; a provvedere alla fame spirituale di coloro che credono nei valori eterni del Vangelo». Da sempre, ha aggiunto, la Chiesa cattolica «cerca sinceramente di fare tutto questo, ma avevamo bisogno del sostegno e dell’incoraggiamento» del Pontefice. «Nel corso della storia — ha detto ancora il cardinale — abbiamo vissuto diverse ondate di persecuzione, martirio e ingiustizia. Grazie alla fede coraggiosa dei nostri antenati siamo sopravvissuti fino a oggi». I Papi sempre «hanno avuto a cuore la nostra sofferenza e un orecchio attento alle nostre grida». Così la presenza di Francesco «c’incoraggia ma, allo stesso tempo, è un messaggio che esprime che noi vogliamo essere quello che siamo, desideriamo restare sul suolo nati- vo per costruire il futuro di questo Paese, sulla base della parità dei diritti e delle libertà». «Questa Chiesa — ha ricordato — ha generato numerosi martiri e testimoni coraggiosi della fede. A causa di numerose difficoltà non è stato possibile intraprendere il processo di beatificazione, ma in questi ultimi anni abbiamo cercato di recuperare. Così, nel 2003 a Banja Luka, san Giovanni Paolo II ha proclamato beato Ivan Merz. Quattro anni fa, qui a Sarajevo, siamo stati testimoni della beatificazione di cinque suore figlie della Divina Carità, chiamate “martiri della Drina”. Aspettiamo presto la beatificazione di Petar Barbarić, Josip Stadler e fra Lovro Milanović». Ma, ha concluso, «è lungo l’elenco di coloro che dovrei menzionare, testimoni coraggiosi della fede e, per noi, esempio vivente e stimolo a vivere con coraggio nella fede degli antenati». Per guarire le ferite dei cuori della visita: «La pace sia con voi». Il Pontefice l’ha pronunciata più volte fin dal primo incontro ufficiale al palazzo presidenziale. Insieme alle parole dialogo, speranza, incontro. Oggi i segni della guerra sono stati quasi del tutto cancellati; sono le ferite dei cuori che restano, le divisioni invisibili su base etnica (bosgnacchi, serbi e croati) e religiosa (musulmani, cristiani ed ebrei) che rendono precaria la convivenza. Ma non impossibile. La giornata del Papa a Sarajevo è cominciata poco prima delle 9, quando l’aereo proveniente da Roma è atterrato all’aeroporto internazionale. Qui il nunzio apostolico, l’arcivescovo Luigi Pezzuto, e il capo del protocollo sono saliti a bordo dell’aeromobile per salutare il Pontefice che, scesa la scaletta, è stato accolto dal membro croato della presidenza della Repubblica, Dragan Ĉović, in rappresentanza della presidenza tripartita, da alcuni ministri e altre autorità, nonché dal cardinale arcivescovo Vinko Puljić. A omaggiare l’ospite, oltre al picchetto d’onore, anche 150 bambini e ragazzi con i costumi tradizionali di tutte le etnie: il Papa li ha salutati tutti. La cerimonia ufficiale di benvenuto si è svolta invece al palazzo presidenziale, che dista dieci chilometri dall’aeroporto. Per arrivarci l’auto del Papa — accompagnata dal suono delle campane di tutte le chiese della città e dall’entusiasmo di gruppi di fedeli radunati agli incroci principali — ha percorso via Zmaja od Bosne, la lunga strada che collega lo scalo al centro storico con l’aeroporto; un’arteria oggi uguale a tante altre, molto trafficata, con grattacieli ai lati. Ma vent’anni fa era tristemente nota come “il viale dei cecchini”. Chiunque ci si avventurava diventava un bersaglio. Sul piazzale del palazzo ad accogliere Francesco, oltre a un migliaio di persone, Ĉović e gli altri due membri della Presidenza, il bosniaco Bakir Izetbegović e il serbo Mladen Ivanić, presidente di turno. Dopo l’omaggio alla bandiera, l’esecuzione degli inni nazionali e la presentazione delle delegazioni, la cerimonia è proseguita all’interno con l’incontro privato con i membri della presidenza. Quindi lo scambio dei doni — il Pontefice ha donato un mosaico con una veduta della cupola di San Pietro sotto un arco di gelsomino, realizzato dallo Studio del mosaico vaticano — dopodiché ci si è spostati nel salone d’onore dove si è svolto l’incontro con le autorità, con i discorsi ufficiali. Ringraziando il Pontefice per la visita, Ivanić ha auspicato la costruzione di una «società a misura d’uomo e a misura di tutte le religioni», in cui tutti siano uguali, nella consapevolezza che ciò «rappresenta una grande sfida per i capi politici come per quelli religiosi». Nel suo discorso Francesco ha riconosciuto che Sarajevo «è tornata a essere luogo di dialogo e di pacifica convivenza». Ma non ha dimenticato i problemi, sollecitando i politici alla salvaguardia dei diritti fondamentali della persona, primo fra tutti il diritto alla libertà religiosa, e al raggiungimento dell’«effettiva uguaglianza» di tutti i cittadini. Al termine della cerimonia, di nuovo sul piazzale, il Papa ha liberato in volo alcune colombe bianche, augurando ai presenti: «La pace sia con voi». Le hanno portate da Mostar, città divenuta tragicamente nota durante la guerra. «Se torneranno, porteranno nella nostra casa la benedizione del Papa. Se non torneranno, la diffonderanno su tutta la Bosnia ed Erzegovina, portando un messaggio di amore, di pace e di unità al nostro travagliato Paese», aveva auspicato nei giorni scorsi l’allevatore, Marin Cvitković. Quindi Francesco ha percorso a bordo della papamobile, salutando la folla ai margini delle strade, i due chilometri che separano il palazzo presidenziale dallo stadio olimpico Koševo per la messa. Un momento alla cui preparazione hanno contribuito in tanti. Per animare la liturgia è stata allestita una corale di 1650 persone cui hanno partecipato i cori della cattedrale di Sarajevo, di tre seminari, delle diocesi di Mostar-Duvno e di Banja Luka, e di quelle croate di Zagabria, di Đakovo-Osijek e di Split-Makarska; significativa la presenza del coro ecumenico maschile dalla cattedrale di Belgrado. Le suore clarisse di Brestovsco hanno confezionato le ostie, così come le suore scolastiche francescane di Cristo Re di Gornja Tramošnica. Altre religiose di questa congregazione, ma del monastero di Livno, hanno realizzato le stole per i concelebranti, mentre quelle di Mostar le pianete. La campana posta accanto al palco è stata realizzata da una fonderia di Zagabria e prossimamente verrà collocata sul campanile della nuova chiesa di Sant’Ignazio di Loyola a Sarajevo. Il crocifisso, in noce e quercia, è stato scolpito da Robert Tomić, di Posusje, l’altare, l’ambone e gli oggetti liturgici, dono della parrocchia Sikara nei pressi di Tuzla, sono stati disegnati da Ilija Skočibušić e realizzati da una falegnameria di Tomislavgrad. Un contributo è arrivato anche dalla comunità musulmana. Infatti due artigiani di Zavidovici, Salem ed Edin Hajderovac, padre e figlio, hanno realizzato la cattedra papale in legno intagliato. Al suo arrivo il Pontefice ha percorso la pista dello stadio per salutare i fedeli, che lo hanno accolto con calore ed entusiasmo, tra canti e acclamazioni. Al termine del giro, il sindaco di Sarajevo, Ivo Komšić, ha consegnato all’ospite le chiavi della città. Quindi Francesco ha indossato i paramenti e processionalmente è salito sul grande palco. Con lui hanno concelebrato i presuli del seguito, il nunzio, l’arcivescovo della città con l’ausiliare Pero Sudar, monsignor Ratko Perić, vecovo di Mostar-Duvno e amministratore apostolico di Trebinje-Mrkan, monsignor Franjo Komarica, vescovo di Banja Luka, con l’ausiliare Marko Semren, l’ordinario militare monsignor Tomo Vukšić, nonché vescovi provenienti da diversi Paesi vicini, in particolare Croazia, Serbia, Montenegro e Slovenia, e alcune centinaia di sacerdoti. Per la messa, in latino e croato, è stato usato il formulario Pro pace et iustitia servanda. Una liturgia durante la quale sono dunque risuonati i richiami alla giustizia e alla pace tratti dal profeta Isaia, dal salmo 71, dalla lettera di san Paolo ai Colossesi e dal brano evangelico delle beatitudini, cantato con una caratteristica e antica melodia locale, sul quale si è sostanzialmente incentrata l’omelia del Papa. Richiami che sono divenuti corale invocazione in una delle preghiere dei fedeli, letta da Anto Jeleč, colonnello generale delle forze armate. A conclusione del rito il cardinale Puljić, nel saluto al Pontefice, ha parlato di un Paese «ferito e spossato» da terribili guerre, di una Chiesa cattolica quasi dimezzata, che ha patito in passato «diverse ondate di persecuzione, di martirio e d’ingiustizia»: a testimoniarlo — molto più di un simbolo — la croce di legno di Deźevice, piccolo paese a una sessantina di chilometri da Sarajevo, segnata da proiettili e posta accanto all’altare. Ma anche di una Chiesa che è sopravvissuta e che oggi chiede di essere ancora incoraggiata dal successore di Pietro, per costruire insieme con gli altri il futuro del Paese con pari diritti. Al termine della celebrazione il Papa si è recato nella sede della nunziatura apostolica. Qui ha incontrato i vescovi con i quali ha successivamente pranzato. Nel pomeriggio la visita continua in cattedrale con i sacerdoti, le religiose e i religiosi, e con i seminaristi. Successivamente Francesco si recherà al Centro internazionale studentesco francescano per l’incontro ecumenico e interreligioso. Infine, prima della partenza, un momento con i giovani presso il Centro Giovanni Paolo II.