I templi di Hattuša
Corso di laurea in Scienze dei Beni Culturali
Università di Pisa
“I PRINCIPALI TEMPLI DI HATTUŠA DALL’ANTICO
REGNO AL PERIODO IMPERIALE”
(autore Federica Episcopo)
relatore
(Giuseppe Del Monte)
sessione di laurea
(Aprile 2008)
Il candidato
1
I templi di Hattuša
Sommario
Abbreviazioni e Sigle _____________________________________3
CAPITOLO 1 ____________________________________________5
Più di un secolo di indagini ________________________________5
I.Hattuša: l’odierna Boğazkőy ________________________________________________________ 5
II. Gli scavi archeologici della città ___________________________________________________ 9
CAPITOLO 2 __________________________________________ 14
Storia e religione _______________________________________ 14
I. Storia___________________________________________________________________________ 14
II. Religione _______________________________________________________________________ 19
III. Culto, mitologia e usanze funebri ________________________________________________ 27
CAPITOLO 3 __________________________________________ 34
Templi e Santuari ______________________________________ 34
I. I Templi ________________________________________________________________________ 34
II. Il santuario rupestre di Yazilikaya _______________________________________________ 36
III. Il Tempio I (o Grande Tempio) e la Città bassa ____________________________________ 46
IV. Il quartiere di culto nella Città alta ______________________________________________ 56
V. Città alta e Templi II, III, IV, V __________________________________________________ 59
VI. Cittadella Meridionale e Tempio XXXI ___________________________________________ 63
VII. La camera dei geroglifici (vano 2) _______________________________________________ 65
Indice delle Immagini __________________________________ 74
BIBLIOGRAFIA _______________________________________ 76
2
I templi di Hattuša
Abbreviazioni e Sigle
AboT : Ankara Arkeoloji Műzesinde bulunan
Boğazkőy Tableteri, Istanbul 1948
AfO : Archiv fűr Orientforshung, Berlin
AGI : Archivio Glottologico Italiano, Firenze
AJA : American Journal of Archaeology, Baltimore
AOF : Altorientalische Forschungen, Berlin
Ar.Or. : Archiv Orientalnì, Praha
Bd. : Bordo della tavoletta
BO : Bibliotheca Orientalis, Leiden
Bo : numeri d’inventario di tavolette degli scavi
1906-1912
Bo anno/… : numeri d’inventario di tavolette degli
scavi 1968 ss.
CHD : H.G. Gűterbock & H.A. Hoffner, The Hittite
Dictionary of the Oriental Insititute of the
University of Chicago, Chicago 1980 ss.
ChS : V. Haas, M. Salvini, I. Wegner, G. Wilhem
(edd.), Corpus der hurritischen Sprachdenmäler,
Roma 1984
CTH : E. Laroche, Catalogue des Textes Hittites,
Paris 1971
EVO : Egitto e Vicino Oriente, Pisa
HT : Hittite texts in the Cuneiform Character in
the British Museum, London 1920
3
I templi di Hattuša
KBo : Keilschrifttexte aus Boğazkőy, Leipzig/Berlin
KUB : Keilschriften aus Boğazkőy, Berlin
MIO : Mitteilungen des Instituts fűr
Orientforschung, Berlin
OA: Oriens antiquus, Roma
RHA : Revue Hittite et Asianique, Paris
StBoT : Studien zu den Boğazkőy Texten,
Wiesbaden
4
I templi di Hattuša
CAPITOLO 1
Più di un secolo di indagini
I.Hattuša: l’odierna Boğazkőy
Nel
profondo
cuore
dell’Anatolia,
approssimativamente a 150 Km ad est di Ankara e
vicino
al
confine
settentrionale
dell’antica
Cappadocia, è stato individuato il centro di un
potente impero: Hattuša, la città capitale degli
Ittiti (fig. 1).
5
I templi di Hattuša
Figura 1 Pianta della città; nella pagina precedente: veduta aerea dell’antica città di
Hattuša presso Boğazkőy
6
I templi di Hattuša
Dal 1650/1600 al 1200 a.C. circa, i grandi re di
Hattuša governarono un impero che raggiunse,
attraverso
le
vaste
occasionalmente
anche
conquistarono
terre
il
Babilonia,
dell’Anatolia,
nord
della
mentre
Siria;
Troia
fu
apparentemente una delle loro città assoggettate.
Oltre all'Egitto e all’Assiria/Babilonia gli Ittiti
furono la terza superpotenza del Medio Oriente
antico.
I resti scavati di Hattuša hanno restituito finora
l’area di un museo archeologico all’aperto, facente
parte di un parco nazionale storico. Hattuša è
inoltre
uno
dei
nove
luoghi,
in
Turchia,
attualmente incluso nella Lista dei siti del
Patrimonio mondiale dell’UNESCO.
Secondo la Convenzione, per patrimonio culturale
si intende un monumento, un gruppo di edifici o
un sito di valore storico, estetico, archeologico,
scientifico,
etnologico
o
antropologico.
Il patrimonio naturale, invece, indica rilevanti
caratteristiche fisiche, biologiche e geologiche,
nonché l'habitat di specie animali e vegetali in
pericolo e aree di particolare valore scientifico ed
estetico.
7
I templi di Hattuša
“Il Patrimonio rappresenta l’eredità del passato di
cui noi oggi beneficiamo e che trasmettiamo alle
generazioni future”1.
I nostri patrimoni, culturali e naturali, sono fonte
insostituibile di vita e di ispirazione. Luoghi così
unici e diversi quali le selvagge distese del Parco
Nazionale di Serengeti in Africa Orientale, le
Piramidi d’Egitto, la Grande barriera australiana
e
le
cattedrali
barocche
dell’America
latina
costituiscono il nostro Patrimonio Mondiale.
Ciò che rende eccezionale il concetto di Patrimonio
Mondiale è la sua applicazione universale.
“I siti del Patrimonio Mondiale appartengono a
tutte le popolazioni del mondo, al di là dei territori
nei quali esse sono collocati”.
1
Definizione data dall’Unesco
8
I templi di Hattuša
II. Gli scavi archeologici della città
Le rovine di questo sito furono visitate per la
prima volta nel 1834 dal francese Charles Texier
che successivamente pubblicò le sue osservazioni
accompagnate da disegni tra i quali i rilievi del
santuario rupestre di Yazilikaya posto nei pressi
della capitale. Gli studiosi del tempo non seppero
spiegare a quale popolo appartenessero quelle
rovine e furono considerate molteplici teorie tra cui
l’attribuzione ai Frigi oppure ai Lidi.
Heinrich Barth suppose che si trattasse dell’antica
città di Pteria menzionata da Erodoto nel primo
libro delle “Historiae” ( I , 76 ).
Nel 1882 Carl Human ricevette l’incarico di
eseguire dei calchi di alcuni rilievi di Yazilikaya
per conto dei Musei Reali di Berlino.
Circa dieci anni più tardi, nel 1893-94, Ernst
Chantre
compì scavi di indagine archeologica a
Yazilikaya, Boğazkőy presso quello che oggi è
conosciuto come “Tempio I” e l’acropoli Büyükkale
e portò alla luce numerosi frammenti di tavolette
in lingua cuneiforme le quali dettero conferma
della corrispondenza reale tra Egitto, del periodo
9
I templi di Hattuša
di Tell-el-Amarna, e Arzawa. Successivamente, nel
1902, lo studioso Jőrgen Knudtzon sostenne che
queste tavolette fossero scritte usando una lingua
indoeuropea, ma la sua ipotesi non trovò consensi
all’epoca. Nel 1905 venne effettuata una seconda
spedizione archeologica a Boğazkőy da parte del
tedesco Hugo Winckler con la collaborazione del
turco
Theodor
Makridi
(facenti
parte
rispettivamente dell’Università di Berlino e del
Museo di Istanbul ). Gli scavi continuarono fino al
1912 e fu indagata la città bassa dove si trova il
Tempio I; grazie a queste indagini fu possibile
capire, attraverso molteplici testi in cuneiforme,
che la zona di ricognizione era la terra di Hatti.
Tre anni più tardi fu iniziata la copiatura dei testi
rinvenuti negli scavi di Winckler e nel 1916 fu
pubblicata la serie KBo (“Testi cuneiformi da
Boğazkőy”) ad oggi ancora attiva con 43 volumi.
Fino al 1989 queste tavolette furono conservate in
Germania, anno in cui furono riconsegnate alla
Turchia
dove
attualmente
si
trovano.
Nel
frattempo tra 1915 e il 1917 il linguista Bedrich
Hrozný interpretava la lingua ittita nel suo libro
“Die Sprache der Hethiter”, confermando la teoria
di una lingua indoeuropea ed in seguito nel 1921
10
I templi di Hattuša
fu pubblicata la serie KUB (“Documenti cuneiformi
da Boğazkőy”) la quale vanta 60 volumi fino al
1990. Con la prima guerra mondiale s’interruppe
la ricerca in Turchia. Riprese poi nel 1931 con
Kurt Bittel che fino al 1972 scavò a Boğazkőy.
Un’ulteriore interruzione delle indagini si verificò
con la seconda guerra mondiale. In seguito
vennero
attuati
alcuni
scavi
condotti
dalla
Repubblica Federale Tedesca.
Dal 1972 al 1994 altri scavi presso Boğazkőy
vennero diretti da Peter Neve, mentre dal 1994 le
ricognizioni sono passate a Jürgen Seeher.
Le campagne attuali ad Hattusha sono condotte
ogni anno durante i mesi estivi, solitamente da
luglio a settembre.
Anche se questo è uno degli scavi più durevoli nel
Medio Oriente - 67 stagioni finora - deve essere
fatto ancora tanto. Determinate parti della città
rimangono ad oggi non indagate ed inoltre i
cimiteri della città attendono ancora di essere
scoperti: finora né le sepolture reali né i cimiteri
per le persone comuni sono stati individuati. Nel
1998 un progetto condotto su Büyükkaya, una
parte dello scavo della città situato su una collina
nel nordest della capitale, è stato concluso. Uno dei
11
I templi di Hattuša
ritrovamenti principali in questo sito era uno
stabilimento dell’Età del Ferro (XII – VIII sec.
a.C.). Oltre a questo sono stati trovati, per la
prima volta, i sili del grano in grandi pozzi, datati
al periodo imperiale Ittita (XIV – XIII sec. a.C.). Il
programma attuale dello scavo è ispirato a questo
risultato e mette a fuoco due punti importanti: da
una parte sono in esame le funzioni della base
economica della città. A seguito degli scavi di
Büyükkaya un altro grande complesso del deposito
del grano è stato scavato nella città più bassa. Le
migliaia di tonnellate di grano erano state
conservate nelle stanze sotterranee fino alla
profondità di sette metri sotto la superficie attuale.
Quando il complesso andò a fuoco nel XVI sec.
a.C., la maggior parte del grano si bruciò
diventando cenere. In alcune stanze, tuttavia,
diverse
centinaia
di
tonnellate
di
grano
carbonizzato, principalmente orzo, sono ancora
conservate.
Un'altra
sfaccettatura
della
base
economica è l’immagazzinamento dell’acqua. Nel
2000-2001
sono
stati
studiati
gli
Stagni
Meridionali, cinque grandi bacini artificiali nella
città superiore. Ciò chiarisce il rifornimento idrico
della città e, in più, lo studio botanico del polline e
12
I templi di Hattuša
delle piante provenienti dagli stagni renderà gli
indizi per la ricostruzione del clima e delle
funzioni dell'economia, per esempio la scelta e
l’importazione delle piante della coltura ed il grado
della deforestazione in quei tempi. Il secondo
punto principale degli scavi attuali è l'indagine
archeologica nella parte occidentale della città
superiore. In questa superficie di circa 12 ettari
nessuno scavo era stato condotto finora. Le
domande primarie sono: c’era uno stabilimento in
questa zona, qual era il relativo formato e scopo, e
quando e per quanto tempo esso è esistito? Finora
si è pensato che lo scopo di culto (cioè il ruolo di
Hattusha come centro cultuale del regno) fosse
l'unico motivo per l'ingrandimento della città nel
XIV –XIII sec. a.C., quando una nuova parte della
fortezza fu costruita intorno alla città superiore.
Lo
scavo
attuale
punta
a
risolvere
questo
problema. Sulla base della previsione geofisica, gli
scavi sono cominciati nel 2001 nella valle ad ovest
della roccia di Sarikale. Gli strati ittiti diffusi nel
periodo dell'impero indicano un uso domestico
piuttosto che una funzione ufficiale di questa zona.
13
I templi di Hattuša
CAPITOLO 2
Storia e religione
I. Storia
Le prime notizie che possediamo sulla presenza di
genti ittite in Anatolia risalgono alle tavolette
paleoassire di Kűltepe (antica città di Kanish). Gli
Ittiti sono un’antica popolazione dell’Asia Minore,
di origine Indo-Europea, stanziatisi nella regione
dell’Hatti, nel II millennio a.C. circa, nella parte
centrale della penisola Anatolica delimitata a
Nord, Ovest e Sud dal fiume Halys (attuale Kizil
Irmak). Questa popolazione diede vita ad un
fiorente impero, con capitale nella città di Hattuša
(attuale Bogazkőy), il quale iniziò un primo
processo di espansione intorno al 1680 a.C., sotto
la guida dei re Labarna, Hattušili I e Muršili I,
spingendosi
con
il
tempo
fino
alle
soglie
dell’impero Babilonese all’incirca nel 1600 a.C.(fig.
2).
14
I templi di Hattuša
Figura 2 Prima espansione del Regno Ittita nel periodo dell’Antico Regno.
In seguito ci fu un periodo di disordini interni e di
decadenza, con la perdita di molti dei territori
conquistati. Un secondo periodo espansionistico,
detto Imperiale (XV-XIII sec. a.C.), si ebbe con il
sovrano Šuppiluliuma II (1380-1340 a.C.) il quale
si occupò di stabilizzare la situazione interna ed
intraprese poi con successo un’opera di riconquista
dei territori perduti annettendo al suo impero la
Siria e Mitanni, Kizzuwatna (Anatolia Sud
orientale),
Aleppo
e
Karkemish.
Questa
espansione fu poi continuata con i re Muršili II (
campagna in Siria) , Muwatalli II, protagonista
della famosa battaglia di Qadesh contro il faraone
Ramses II, e Hattušili III. Sotto quest’ ultimo in
15
I templi di Hattuša
particolare
l’impero,
ormai
esteso
fino
alla
Palestina, godette di un periodo di grande
prosperità(fig. 3).
Figura 3 Seconda espansione del Regno ittita nel periodo Imperiale sotto
Šuppiluliuma.
Il regno cominciò in seguito a disgregarsi sotto la
pressione dei “popoli del mare”, che tra il XII e XI
sec. segnarono la fine del dominio Ittita(fig. 4).
16
I templi di Hattuša
Figura 4 Incursioni dei “Popoli del Mare”.
Numerose sono le testimonianze a noi pervenute di
questa civiltà, soprattutto dell’Età Imperiale, fra
cui fortificazioni, templi, bassorilievi, ceramiche ed
importanti
documenti
scritti
in
carattere
cuneiforme, che ci hanno permesso, anche grazie al
ritrovamento di tavolette bilingui o trilingue, di
ricostruire la lingua Ittita, appartenente al gruppo
anatolico delle lingue indo-europee. Tra gli scritti
rinvenuti, che comprendono traduzioni di opere
babilonesi, rituali religiosi e codici legislativi,
molto importanti sono gli annali e le cronache, che
testimoniano un senso della storia non comune tra
17
I templi di Hattuša
le antiche popolazioni mediorientali. Dal punto di
vista dell'organizzazione il regno ittita aveva un
carattere di tipo feudale, con il re che deteneva il
potere sia politico che religioso. I diversi popoli
assoggettati
godevano
però
di
una
relativa
autonomia, soprattutto religiosa, tanto che molti
caratteri erano assorbiti dal culto ittita, che
presenta forti influenze dell'area mesopotamica.
Ciò era dovuto al fatto che molti territori
conquistati erano organizzati in comunità che
facevano capo ad un tempio, per cui nella loro
opera di conquista gli Ittiti non fecero altro che
mettersi alla guida dei templi e quindi delle
relative comunità. Ne deriva un politeismo assai
vario, legato alle singole realtà territoriali. Quando
Hattuša diviene la capitale dello stato ittita sorge
la necessità di elaborare una teologia di stato che
legittimi la regalità. Così vengono redatti i testi di
benedizione per la coppia reale, nei quali il re
appare come il governatore del paese per conto
della divinità, l’unico mediatore tra i sudditi e gli
dèi, nonché il sommo sacerdote. Il re ittita porta il
titolo “(mio) Sole”.
18
I templi di Hattuša
II. Religione
Le fonti scritte dell’Antico Regno riguardanti temi
magico-religiosi giunte fino a noi sono scarse ed
incomplete, ma fortunatamente ci hanno rivelato
importanti nomi appartenenti a divinità che
svelano una radice lessicale indo-europea (es:
Šiwat “giorno”, “luce solare”) ma ciò non vuol dire
necessariamente che l’origine stessa degli dèi fosse
indo-europea. Infatti il termine Ittita che indica il
dio è šiu-/šiuna-/šiuni- il quale riporta la stessa
provenienza da cui derivano anche i termini theòs
(greco) e deus (latino), anche se spesso è usato il
termine sumerico DINGIR. Tracce di questa
derivazione, non solo semantica, sembrano più
evidenti
verosimilmente
nelle
credenze
delle
popolazioni Luvie dove il nome del dio solare Tiwat
deriva da quello del dio della luce solare indoeuropeo *Dyeu-. La caratteristica fondamentale
della
religione
l’integrazione
di
ittita,
culti
come
stranieri
già
nel
detto,
è
proprio,
attraverso la conquista delle popolazioni limitrofe
e l’acquisizione della benevolenza della divinità
straniera grazie all’assimilazione ad un proprio dio
19
I templi di Hattuša
con caratteri comuni ad entrambi. Il popolo
conquistato
così
diventava
automaticamente
sottomesso alla potenza Ittita. Con questo sistema
il pantheon si ingrandiva sempre di più tanto che
gli stessi Ittiti , quando parlavano delle loro
divinità, utilizzavano l’espressione “I mille dèi di
Hatti”. Ciascuna divinità era adorata per dare una
risposta a tutto ciò che essi non riuscivano a
spiegarsi. In questo modo nasce il dio della
tempesta e del fulmine , più importante di tutti,
quello della notte, del giorno, del sole e della luna.
Non esisteva una gerarchia tra gli dei stranieri e
locali e, ad oggi, ci sono stati tramandati con
diversi nomi. I più importanti sono: Taru, nome
hattico del dio della tempesta, conosciuto anche
come Teshub presso gli Hurriti e come Tarhunta
in lingua Luvia, mentre per i sumeri il nome era
DU
oppure DIM; Wurunshemu, nome hattico della
dea del sole, della fertilità, sua sposa e regina della
terra ittita (DUTU in sumerico); Telipinu, loro
figlio e dio del raccolto (protagonista del mito Ittita
del “dio scomparso”).
A questa sorta di trinità ittita si univano: Ishtar
(venerata anche come Sausga dagli hurriti), dea
20
I templi di Hattuša
assiro-babilonese, sorella di Taru e dea della
guerra e dell’amore, Sharrumma, fratello di
Telipinu.
Le divinità, che compongono questa particolare
trinità,
pratiche
cercano
del
di
rispondere
popolo.
Gli
ittiti
alle
esigenze
vivevano
di
agricoltura, per cui era importante non avere
tempeste, avere una buona messe e la benevolenza
della terra.
La divinità principale, come detto in precedenza,
era Tarhunta, dio della tempesta, del fulmine, del
tuono e della pioggia che appare già nei testi di
Kűltepe, il quale era rappresentato in forma
antropomorfa e, a volte, zoomorfa con le sembianze
di un toro, suo animale sacro e simbolo della forza,
della virilità e della vitalità (fig. 5). Il toro, proprio
perché considerato “signore”, “capo”, “re”, evoca la
potenza spirituale e l’importanza dei poteri dei
numi principali cui si riferisce. Per questo motivo
il
confronto
con
il
toro
(
nelle
scene
di
“tauromachia” a Cnosso, o nelle “corride” in
Spagna) è la manifestazione del più grande
eroismo. Gli eroi famosi – Giasone, Eracle o Teseo
– combattono contro tori favolosi. La prova a cui
21
I templi di Hattuša
vengono sottoposti non è solo fiscica, ma riveste un
significato psicologico. Vincendo, essi testimoniano
il loro dominio sugli istinti, il controllo dei loro
sensi e delle loro pulsioni. La sua importanza è
inoltre attestata dal fatto che il toro è una delle
quattro parti che compongono la Sfinge greca: Toro
(forza fisica), Leone (forza emotiva), Aquila (forza
intellettuale), Angelo (forza spirituale).
Figura 5 Statua del dio della tempesta e statuette cerimoniali di due tori,
animali sacri al dio, Museo di Civiltà Anatoliche, Ankara, Turchia.
Esso era un dio celeste ed era la personificazione
delle manifestazioni atmosferiche. Nei templi
spesso era venerato solo sotto forma animale,
infatti una statua di un toro era posta su un
altare, come appare chiaro dalla decorazione di un
22
I templi di Hattuša
vaso proveniente da Inandiktepe, datato Antico
Regno (fig. 6).
Figura 6 Vaso di Inandik: decorazione sul vaso con scene di musica e ballo
durante un matrimonio. Nel terzo registro si nota l’altare con sopra la statua
del Toro. Datazione Antico Regno (1600 a.C. circa), Museo di Civiltà
Anatoliche, Ankara, Turchia.
23
I templi di Hattuša
Questa statua era oggetto, verosimilmente, di
invocazioni, venerazioni e rituali magici. Il dio
della tempesta poteva essere anche sostituito dal
dio della montagna, manifestazione tipica delle
zone
come
l’Asia
Minore
e
la
Siria,
ma
fondamentalmente le caratteristiche divine non
differivano dal dio ittita. Nel testo di Anitta si
parla dello stesso dio Hattico della tempesta:
Dalla “Iscrizione di Anitta”
CTH 1; KBo 3 22; KUB 26 71; KUB 36
98+98a+98b; StBoT 18, Wiesbaden 1974; OA 23
(1984), pp. 53-73; StBoT 45, Wiesbaden 2001, pp.
51-72.
“Parole di Anitta figlio di Pithana, re di Kusara. (Il
re di Nesa) era caro
a Tarhuna del cielo, ma sebbene fosse caro a
Tarhuna il re di Nesa [fu]
sot[tomesso] al re di Kusara”.2
Esso era sempre accompagnato dalla dea-madre
sua paredra la quale comprendeva vari aspetti:
2
“Iscrizione di Anitta”, Del monte, 2004
24
I templi di Hattuša
essa era dea della Primavera e della fertilità, nelle
zone più settentrionali del paese, ma a volte
poteva essere anche la divinità principale del
pantheon locale; era rappresentata con il disco
solare ed il suo santuario principale si trovava ad
Arinna per questo chiamata “Dea Sole di Arinna”3.
Nel periodo Tardo Imperiale essa viene assimilata
alla dea siro-hurrita Hebat (letteralmente “quella
[dea] di Aleppo”)4. Caratteri analoghi a questa
divinità sono riscontrate anche in altre dee
anatoliche,
oggetto
di
culti
locali
come
Hannahanna e Kamrušepa.
Nella terra di Hatti la divisione tra divinità uranie
(del cielo) e ctonie (della terra) era molto marcata
ed erano organizzate in maniera gerarchica come
in una famiglia, con rapporti di parentela tra
ognuno di loro. Nonostante questa forte divisione,
la dea Sole è vista sia come divinità celeste sia
come divinità ctonia, questo perché il sole quando
tramonta, nella mitologia Ittita, abbandona il cielo
per entrare nel percorso delle viscere della terra.
Al pantheon Hattico appartengono Telipinu, Taru,
3
4
De Martino, 2003
Archi,1994
25
I templi di Hattuša
Halmašuit (dea del trono), Tetešhapi (signora delle
fiere) e Lelwani (divinità del mondo dei morti).
Nel pantheon Hurrico sono presenti Šaušga (dea
dell’amore e della guerra assimilata ad Ištar dea
della città Assira Niniveh), Išhara (divinità
dell’arte divinatoria), Allani (dea dell’oltretomba) e
Kumarbi
(protagonista
del
mito
hurrita
in
traduzione ittita).
Infine al pantheon Luvio fanno parte Arma (dio
Luna), Iyari (dio della guerra), Kamrušepa (dea
sole), le divinità Lamma (dei tutelari) e Kurunta
(rappresentato con il cervo).
In questo panorama il “servizio” agli dei, che
fondava la presenza ittita in Anatolia, comportava
il massimo adeguamento alla volontà divina; il che
si otteneva mediante un gran numero di tecniche
divinatorie,
tra
cui
si
ricorda,
per
la
sua
importanza, l'auspicio, ossia la consultazione del
volo e del comportamento degli uccelli. Il peccato
per eccellenza, anzi il "reato" data la sua
punibilità, era la trasgressione alle norme o agli
ordini divini. Per la ricerca e l'espiazione di
eventuali trasgressioni essendo di fondamentale
26
I templi di Hattuša
importanza, acquistò particolare rilievo l'istituto
della confessione. L'idea stessa del peccato fu
personificata in un dio, Wastulassis, che assieme
ad altre divinità astratte quali Hantassas (equità)
e Istamanassas (esaudimento), a differenza degli
altri dei che ordinavano il territorio, regolavano i
rapporti
tra
uomini
e
dei,
e
quindi
il
comportamento umano.
III. Culto, mitologia e usanze funebri
Considerando la natura divina, esistono dei miti
che parlano della nascita degli dei, o della loro
morte (per esempio il mito della scomparsa del dio
Sole), ma ci sono anche
dèi eterni i quali, nel
cosiddetto mito di Ullikummi, sono chiamati “dèi
antichi”. Le divinità erano, nei loro bisogni e
desideri, del tutto simili agli uomini. Risiedevano
in un palazzo celeste che era la sede di continui
banchetti. A parte questa sede, ogni divinità
abitava nel proprio tempio. Il tempio era detto
siunas parnas, cioè “casa del dio”. In esso venivano
fornite agli dèi le offerte giornaliere di cibo e
bevande e vi si svolgevano le cerimonie e i rituali.
27
I templi di Hattuša
Il
culto
prevedeva,
come
appena
detto,
la
giornaliera offerta di bevande e cibi, le feste, i
rituali magici e gli scongiuri. Quanto alle feste
esistevano quelle mensili e quelle annuali tra cui
le più importanti erano la festa della primavera e
la festa dell’autunno5: nell’epoca imperiale le
festività stagionali vennero raggruppate in due
grandi feste nazionali AN.TAH.SHUM.SAR (=
finocchio,
croco),
celebrata
in
primavera
e
Nuntarriyashas (“festa della fretta”), celebrata in
autunno. La durata di ciascuna di queste due
grandi cerimonie era di circa 38 giorni. I
festeggiamenti venivano onorati personalmente
dalla coppia reale accompagnata dal principe
ereditario e spesso anche dagli altri figli. La
celebrazione dei riti da parte del sovrano garantiva
il favore degli dèi e il benessere per il paese. Era
quindi l’impegno prioritario del regnante, più
importante perfino delle campagne militari. Le
feste comportavano i pellegrinaggi sui carri della
coppia reale nei più grandi santuari della capitale
e del paese. I riti compiuti durante le feste
implicavano libagioni, offerte di cibo, sacrifici
cruenti,
5
banchetti
rituali
V. Haas “Geschicte der Hetetischen religion”
28
e
cerimonie
di
I templi di Hattuša
purificazione ed erano accompagnati da musica,
canti corali e danze a carattere propiziatorio. Il
momento più solenne dei giorni festivi era la
processione con la statua della divinità, la quale
durava da alba a tramonto, dal tempio verso un
luogo ameno.
Le pratiche magiche erano estremamente diffuse.
La magia nera era espressamente vietata ed era
considerata un reato capitale. Invece le operazioni
magiche che servivano per purificare o sanare si
basavano sui principi della magia che ha lo scopo
di liberare la persona o l’oggetto dal legame magico
che consiste nell’impurità rituale. I maghi sono
chiamati LU.AZU (= esorcista) e MUNUS.SHU.GI
(= “vecchia”, nel senso “ricca d’esperienza”). I
rituali magici erano in genere molto lunghi e
complicati. Le manipolazioni, accompagnate dagli
incantesimi, comprendevano per esempio intrecci o
scioglimenti di corde, mandare a fuoco vari oggetti,
versare o spruzzare acqua o altri liquidi. I riti
catartici consistevano anche nel trasferimento del
male dalla vittima umana a un sostituto animale
(capro
espiatorio),
che
in
seguito
veniva
allontanato dal territorio della città o del paese, o
a una figurina d’argilla (o cera) che in seguito
29
I templi di Hattuša
veniva distrutta o portata sul territorio nemico
com’è descritto nel testo di Uhhamuwa:
Dal “Rituale magico di Uhhamuwa contro una
pestilenza”
CTH 410; HT 1 II 17-47; KUB 9 31 II 43-III 13;
KUB 41 17 II 18’ sgg; KUB 41 18 II 1’; MIO 9
(1963) p. 170; EVO 18 (1995) pp. 173-178.
“II 17-19 Così (parla) Uhhamuwa, uomo di Arzawa:
se si sta morendo (per una pestilenza) nel paese, e
se l’ha cagionata una divinità nemica, così opero:
20-33
Si porta un ariete, si intreccia lana azzurra,
lana rossa, lana gialla, lana nera e lana bianca e se
ne fa una corona di lana. Si incorona l’ariete, si
spinge l’ariete sulla strada per il (paese) nemico e
così gli si dice: << Dio del nemico che ha cagionato
30
I templi di Hattuša
questa pestilenza: ecco, a te, o dio, mandiamo
questo ariete incoronato, per pacificazione…”6
A
volte
accadeva
(specialmente
nei
rituali
riguardanti la famiglia reale o l’intero paese) che il
male in questione fosse trasferito a un prigioniero
di guerra la cui sorte non era chiara (poteva essere
mandato
sul territorio
nemico
affinché esso
venisse colpito dal male, o ucciso).
Un tipo particolare di rituale era il funerale regio.
Dal “Rituale del secondo giorno”
CTH 450 I A; KUB 30 15; KUB 39 11; RHA 29
(1971), pp. 65-67 (trad.). Cf. V. Haas, Geschichte
der Hethitischen Religion, Leiden 1994, pp. 216248
“Ro
1-2
All’ alba del secondo giorno le donne vanno
alla pira per raccogliere le ossa e spengono il fuoco
6
Del Monte, Antologia della letteratura ittita, 2004 pp. 163-164
31
I templi di Hattuša
con dieci vasi di birra, 10 [vasi di vino] (e) 10 vasi
di birra-walhi-…
…7-9 Quando finiscono di raccogliere le ossa le
coprono col panno e col panno fine e le mettono a
sedere su una sedia; se (il defunto) è una donna le
mettono su uno sgabello.”7
La morte del re veniva chiamata “il grande
peccato” (nel senso d’impurità rituale) perché
essendo il sovrano mediatore tra gli uomini e gli
dèi, se veniva a mancare, si sconvolgeva l’ordine
delle cose. Quindi il “peccato” che riguardava tutto
il paese e il re stesso doveva essere espiato con una
cerimonia specifica. I funerali regi duravano 15
giorni e durante il loro svolgimento era attuata la
cremazione (sia del corpo del sovrano sia del
corredo funebre). La tomba reale era chiamata
“casa di pietra”. L’Aldilà era concepito come un
mondo dove ciascuno manteneva il proprio status
sociale ed economico, indipendentemente dal suo
comportamento sulla terra e questo indica che
secondo il culto di Hatti non c’era distinzione
7
Del Monte, Antologia della letteratura ittita, 2004 pp. 157-160
32
I templi di Hattuša
alcuna tra un mondo ultraterreno benigno ed uno
maligno, come invece era presente in tutte le altre
religioni. Nel caso di mancanza di cibo od offerte,
la
condizione
del
defunto
era
soggetta
a
peggioramento e i vivi, in questo modo, avrebbero
attirato sulle loro teste la sua ira.
33
I templi di Hattuša
CAPITOLO 3
Templi e Santuari
I. I Templi
I templi sono le abitazioni degli dei. La loro
presenza nel tempio garantisce la protezione e la
benevolenza verso il popolo, tramite i donatori di
pane e di bevande i quali offrono loro sacrifici.
L’accesso al tempio, che di norma era consentito
solo al clero e alla coppia reale, poteva essere
concesso solo in condizione di religiosa purezza8.
Agli elementi che determinano il piano di un
tempio come di un palazzo, appartengono la porta,
il cortile e il porticato a pilastri (stoà): la corte
centrale,
in
parte
cinta
da
colonnati,
è
raggiungibile attraverso la porta, oltre la quale
sono accessibili
anche gli spazi circostanti e i
corridoi. Per l’orientamento degli spazi cultuali
nelle quali sono collocate le statue degli dei, ossia
le celle ospitanti le statuette sacre sugli altari, non
ricopre alcun ruolo la posizione rispetto al cielo,
mentre l’illuminazione è fondamenale.
8
KUB 5.7 Vs 27 ff.,36; KUB 16.34 Vs I 5 ff.; AIT 454 Vs.II9 ff., cfr.anche A.Uenal 1978, 17.
34
In ogni
I templi di Hattuša
caso l’adyton ( dal greco “ ὸ ἄ
” letteralmente
“luogo in cui non è possibile entrare” ) è ordinato
in modo tale che, con
uno dei suoi stretti lati,
intercetti il fronte esterno dell’edificio del tempio,
cosicché nel luogo liturgicamente più importante
la luce del giorno, attraverso
due profonde
finestre, possa penetrare nel “Sancta Sanctorum”9.
Le pareti sono innalzate su svariati strati di bozze
di pietra squadrate
con graticci e mattoni di
argilla. I muri di mattoni con i pilastri parietali
che si innalzano con essi fino alla superficie piana
del tetto, sono intonacati con colori splendenti, per
cui verosimilmente, nella colorazione, pilastri e
superfici si stagliano gli uni rispetto alle altre.10
Tra i templi di Hattuša, dei quali si è per adesso
venuti a conoscenza, nessuno risale oltre il XIV
secolo. Tuttavia l’antico tempio ittita di Inandik 11
dimostra che le costruzioni sacre si sono sviluppate
dalle antiche forme abitative anatoliche12.
9
K.Bittel 1976, 127.
K.Bittel 1976, 127
11
T. Ozguc 1988
12
K.Bittel 1976, 122.
10
35
I templi di Hattuša
II. Il santuario rupestre di Yazilikaya
Il santuario Ittita di Yazilikaya (= roccia con
scrittura), riposa rannicchiato fra gli affioramenti
della roccia ai piedi di un’ alta cresta ad est di
Hattusha. Contrariamente ai templi all'interno
della città, le due stanze di questo santuario
(alloggiamenti A e B) sono cinte, all’interno, dalla
roccia naturale ed arrivano all'altezza di 12 m
rimanendo aperte verso il cielo. Anche se il luogo è
frequentato almeno dal XV secolo a.C. , è solo nel
XIII secolo che la lunga processione degli dei e
delle dee prende il suo posto sulla facciata,
cesellata sulle facce della roccia dagli scultori ittiti.
Rappresenta apparentemente "la Camera della
celebrazione del nuovo anno", una camera del dio
del tempo in cui i festeggiamenti sono stati tenuti
per onorare tutto il pantheon all’arrivo del nuovo
anno e della primavera.
Il santuario reale della roccia è stato separato dal
mondo
esterno
attraverso
un
complesso
architettonico piuttosto impressionante. Anche se
36
I templi di Hattuša
soltanto la zona del basamento della parete
rimane sul posto, l'illustrazione di ricostruzione dà
un'idea di come le strutture dovevano apparire con
la realizzazione tipica della parete dell’ edificio in
legname e mattoni crudi che è stata impiegata qui
pure. Attraverso questo complesso di edifici
l’individuo sarebbe potuto entrare dal grande
alloggiamento A. Qui i rilievi possono essere visti
da qualsiasi lato, cesellati nei pannelli che corrono
orizzontalmente lungo le pareti naturali di calcare
(fig. 7).
Figura 7 Ricostruzione virtuale delle strutture di Yazilikaya.
Dalla parte di sinistra abbiamo divinità maschili
(con due eccezioni); a destra, femminili. Tutte si
affacciano sull'estremità opposta della camera,
37
I templi di Hattuša
verso cui sembrano progredire lentamente; e qui,
effettivamente, è rappresentata la scena climatica:
come capi della sacra processione, due divinità
supreme, il dio del tempo e la dea del sole si
salutano l’un l’altro (fig. 8).
Figura 8 Rilievo della processione degli dei ; scena climatica nell’alloggiamento
A, santuario di Yazilikaya, Turchia.
Quasi tutte le divinità lungo la parte sinistra
dell'alloggiamento sono vestite con corti gonnellini
ed alti cappelli aguzzi. Tutte portano scarpe che si
arricciano in su alla punta e molti sono muniti di
38
I templi di Hattuša
una falce a forma di spada o una mazza, che
portano sulla loro spalla. Le divinità femminili nel
lato destro dell'alloggiamento sono vestite con
lunghe gonne pieghettate e tutte hanno scarpe
arricciate,
orecchini
ed
alti
copricapo.
Si
visualizzano a malapena tutti i diversi attributi.
La più grande figura di rilievo nel santuario si leva
in piedi sulla parete di fronte alla scena climatica,
all'estremità della processione degli dei. Non è
rappresentato un dio, ma il grande re Tuthaliya
IV, direttamente opposto – anche se ad una
rispettosa distanza - alla riunione degli dei, come
se stesse portando i suoi rispetti alle più alte
divinità. Per questo motivo pure presupponiamo
che era questo grande re, il quale era responsabile
delle disposizioni finali del santuario di Yazilikaya
intorno alla metà del XIII secolo a.C. (fig. 9).
39
I templi di Hattuša
Figura 9 Rilievo del re Tuthaliya IV, alloggiamento A, santuario di Yazilikaya,
Turchia.
La scultura di rilievo nel piccolo alloggiamento B è
conservata molto meglio perché la camera è stata
riempita parzialmente di terra e rimasta non
scavata fino alla metà del diciannovesimo secolo.
Sulla
parete
immediatamente
alla
destra
dell'entrata è stata intagliata una fila di divinità
del sottosuolo. Portano le camicie, le cinghie, i corti
gonnellini e le scarpe arricciate in su alla punta.
Ciascuno porta una spada falcata appoggiata
sopra la spalla ed i cappelli aguzzi cornuti che li
identificano come divinità (fig. 10).
40
I templi di Hattuša
Figura 10 Rilievo di processione divina nell’alloggiamento B, santuario di
Yazilikaya, Turchia.
Sulla parete di fronte il dio Sharrumma, patrono
di Tuthaliya IV, è descritto come accompagnatore
del grande re (forse dopo la sua morte) (fig. 11).
Figura 11 Rilievo del dio Sharrumma che accompagna il re Tuthaliya IV
tenendolo abbracciato, alloggiamento B, santuario di Yazilikaya, Turchia.
41
I templi di Hattuša
Vicino esso, un iconografia più insolita descrive
una spada dritta con il pomello sull’ impugnatura
adattato in una testa maschile che porta il
cappello cornuto ed aguzzo degli dei. Esso è il dio
Nergal del mondo sotterraneo (fig. 12).
Il terzo rilievo in questo alloggiamento mostra un
cartiglio con il nome ed il titolo del grande re
Tuthaliya IV. Probabilmente questo alloggiamento
potrebbe essere stato un memoriale al grande re
Tuthaliya IV eretto da suo figlio Shuppiluliuma II,
il quale installò una statua di suo padre qui.
Figura 12 Rilievo del dio Nergal nell’alloggiamento B, santuario di Yazilikaya,
Turchia. A destra: i due rilievi nella loro posizione all’interno
dell’alloggiamento B. Il dio Sharrumma accompagna il re verso il dio Nergal.
42
I templi di Hattuša
Solitamente le divinità che proteggono il regnante
sono un tema molto diffuso in tutto il vicino
Oriente. Le scene meglio conosciute provengono
dall’Egitto
e
raffigurano
sempre
il
Faraone
accompagnato da una o più divinità, tra cui Anubi
e Horus, dei preposti alla protezione del sovrano e
accompagnatori nel mondo ultraterreno al cospetto
del dio dell’oltretomba Osiride (divinità ctonia, cioè
legata al sotterraneo). L’immagine egiziana più
nota è senza dubbio la “psicostasia” (o “pesatura
del cuore”) dove il defunto è condotto per mano da
Anubi verso la bilancia per la pesatura del cuore e
successivamente è portato da Horus al cospetto del
dio Osiride affiancato da due divinità femminili
(Nefti e Iside). (fig. 13)
Figura 13 Scena della pesatura del cuore (“psicostasia”). Il defunto, a sinistra,
è condotto per mano da Anubi verso la bilancia; al centro egli è condotto da
Horus che indica Osiride seduto sotto la cappelletta e affiancato da Nefti e
Iside.
43
I templi di Hattuša
Secondo il tema del re accompagnato nel mondo
ultraterreno si possono osservare delle similitudini
tra il culto dei morti egizio e quello ittita. Infatti
nel rilievo dell’alloggiamento B, il re Tuthaliya IV
è abbracciato dal dio Sharrumma il quale lo
conduce verso Nergal, dio dell’oltretomba. Questo
potrebbe dimostrare che il rilievo sia stato eseguito
per celebrare il sovrano dopo la sua morte, da suo
figlio Shuppiluliuma II.
Un’ulteriore analogia con questo tema si ritrova
anche nella mitologia Azteca dove il regno dei
morti era Mictlan e i defunti per compiere il
viaggio dalla Terra a Mictlan erano aiutati dal
guardiano
dell’oltretomba
Xolotl. Altre guide
dell’al di là erano Caronte, nella mitologia greca e
Charun in quella etrusca. Queste figure sono dette
psicopompos. Questo termine deriva dal greco
“
óς” - da psyche (anima) e pompós (colui
che conduce) - .
La figura dello psicopompo è una figura centrale di
molte mitologie e religioni antiche, e trova anche
corrispondenze
nelle
religioni
monoteistiche
(talvolta per integrazione di miti antecedenti; si
pensi per esempio al Caronte dantesco). Data
l'importanza della riformulazione della morte come
44
I templi di Hattuša
passaggio (trasformazione) nelle religioni e nelle
mitologie, non stupisce che lo psicopompo sia in
genere una figura di rilievo (nelle religioni
politeistiche si tratta quasi sempre di una divinità
importante del relativo pantheon).
45
I templi di Hattuša
III. Il Tempio I (o Grande Tempio) e la Città bassa
I rituali religiosi che imponevano al re degli
obblighi verso il suo popolo, necessitavano di uno
spazio dedicato e così questo spazio fu creato
attraverso la costruzione di un enorme complesso
templare che noi oggi conosciamo come Tempio I
(fig.14).
46
I templi di Hattuša
Figura 14 Pianta della città bassa di Hattuša: si nota molto bene l’area
quadrata del complesso templare (Tempio I) circondato da numerosi vani
preposti all’immagazzinamento. Pagina precedente: foto del Tempio I e della
città bassa.
47
I templi di Hattuša
Posto in posizione prominente nella città bassa di
Hattuša,
il
complesso
comprendeva
un’area
quadrata di 275 m di lato cinta da mura costruite
sia per il tempio sia per la protezione della città.
Le strutture templari all’interno del complesso si
trovavano nel centro dell’area, mentre il territorio
ad ovest e nord-ovest era occupato dalle abitazioni
del personale templare. Alcuni alloggi erano
terrazzati seguendo il pendio della collina lungo le
strade
principali,
abitative
e
altre
erano
presumibilmente
singole
unità
appartenenti
a
funzionari di alto rango. L’ingresso a quest’area
era dato da una porta monumentale situata nel
centro della cinta muraria di nord-ovest, mentre
sul
lato
opposto
doveva
trovarsi
un’entrata
cerimoniale per il re presso l’area della Scuola per
Scribi,
una
costruzione
di
due
vani
immediatamente accanto al muro del temenos (dal
greco “ έ
ς”, plurale temene, che deriva dal
verbo “ έ
”, letteralmente "tagliare": recinzione
o cinta muraria che accoglieva al suo interno non
solo l’edificio templare, ma anche le varie strutture
che circondavano il tempio ed erano funzionali
all’attività del complesso).
48
I templi di Hattuša
Tra questa porta ed il palazzo stesso il territorio
era completamente aperto ed offriva una visione
ininterrotta del tempio.
La struttura era supportata da una terrazza
artificiale lunga 137 m e larga 100 m la quale
attraversava, con il suo lato ovest, le unità
abitative. Probabilmente questo incrocio tra la
terrazza
e
le
abitazioni
indica
l’espansione
templare del XIII sec a.C.
L’accesso principale a quest’area si trovava vicino
all’angolo sud-est, opposto alla Scuola per Scribi,
ma per entrarvi erano presenti anche altri tre
ingressi: a nord-est, nord-ovest e sud-ovest.
L’entrata propria del tempio era un’elaborata
porta disegnata secondo le caratteristiche ittite
(un cancello-stanza centrale con le casette dei
portatori a destra e a sinistra; all'interno e
all'esterno, questo vestibolo con le piccole stanze,
aveva grandi finestre che si aprivano sopra alla
zona pavimentata esterna o alla corte interna).
Nell’angolo opposto all’entrata, nel cortile, si
trovava un piccolo edificio adibito al rituale delle
sacre abluzioni e dietro ad esso si estendeva un
colonnato il quale fronteggiava l’ingresso che
portava alle zone più interne del tempio. Per
49
I templi di Hattuša
questo colonnato era stato preferito il granito come
materiale di costruzione, piuttosto che la pietra
calcarea come per il resto dell’intero complesso. Le
sale di culto più interne e altri vani del tempio non
ricevevano luce dalla corte interna, ma da finestre
aperte nel muro esterno.
Nelle parti più recondite (doppia cella) erano posti
gli altari delle due divinità templari (in questo
caso il dio della tempesta Taru - o Teshub - e la
dea del Sole di Arinna – o Hebat - ) sui quali erano
collocate le immagini degli dei stanti, su basse
piattaforme in pietra. Gli altari interni non erano
accessibili, o visibili, dal cortile; la visione era
esclusiva di pochi e l’immagine divina era portata
all’esterno per sottoporla alla vista dei fedeli
riuniti fuori. Nella doppia cella si trovavano, come
già detto, le statue e gli strumenti sacri13
di
entrambe le più alte divinità del Panhteon di
stato: a sinistra forse Teshub e a destra Hebat sua
consorte.
Conformemente si raccoglievano nelle
stanzette
della parte sinistra le divinità della
cerchia di Taru (o Teshub) e in quelle di destra le
divinità della cerchia della dea Sole di Arinna (o
13
125/r elaborato da H.G. Gueterbock 1992, 238-239(vedi S. 667) cita come strumenti sacri del Dio del tempo lance,
tasche, aghi, frecce, faretre, vesti, sedie, tavoli e vivande.
50
I templi di Hattuša
Hebat). Con le definizioni “Casa di Teshub”14
sarebbero intese la cella e forse addirittura l’intera
parte di Teshub e con “Casa di Hebat”15 la cella e
la parte di Hebat.
Il principio di progettazione del tempio ittita
rispecchia molti altri esempi di costruzioni addette
alla sacralità in tutto il mondo antico. Infatti è
comune
la presenza
di
luoghi
appositi
per
abluzioni rituali (come per esempio i laghi sacri
presso i templi di tutto l’Egitto oppure i bacini
lustrali presenti nei palazzi cretesi dell’età del
bronzo) poiché tutte le religioni, politeiste o
monoteiste, sono accomunate dalla regola sacra
della purificazione attraverso l’acqua (per esempio
si pensi al battesimo Cristiano o al bagno di massa
nel Gange in India secondo la religione Induista).
Un altro aspetto comune ai molti luoghi di culto è
la visione nascosta delle parti più interne al
tempio (adyton). In effetti, quasi tutti i templi del
mondo antico avevano la cella dedicata alla
divinità riposta nel cuore della struttura, in modo
che non fosse visibile dall’esterno e potesse essere
esclusiva di pochi sacerdoti o, addirittura, solo del
14
15
Per esempio KBo 2.29 Rs III 18’’; KUB 9.34 R. VI 51’; KUB 10.11 Vs. II 15’; KUB 25.12 Rs VI 6
Per 3esempio KBo 17.103Vs I 26’; IBoT 3.148 Vs II 16
51
I templi di Hattuša
più alto sacerdote (che in alcuni casi coincideva
con il re come nel regno ittita).
Come in Egitto, poi, era consuetudine portare la
divinità alla vista dei fedeli per mezzo di una
celebrazione religiosa, nella quale la statua del dio
era condotta lungo una via processionale per
ricevere adorazioni dai devoti e per farla giungere
in luoghi di significato sacro.
Nessuna delle statue di culto si è conservata, ma si
può presumere che la dimensione di queste fosse a
grandezza naturale, grazie alla misura delle basi
in pietra ritrovate all’interno degli edifici e alle
immagini degli altari minori composti da metalli e
materiali preziosi. Inoltre le figure rappresentate
negli altari minori assomigliano a quelle scolpite
nei bassorilievi di Yazilikaya.
L’uso di materie pregiate per gli oggetti cultuali è
presente anche nella Grecia classica come ad
esempio le statue crisoelefantine di Fidia, lo
scultore più famoso per la realizzazione di questo
tipo di statue nell'antichità, di cui si ricordano la
statua di Zeus ad Olimpia e quella di Atena
Parthenos nel Partenone.
52
I templi di Hattuša
Anche lo scultore Policleto realizzò statue con
questa tecnica: di lui si sa che fece una statua di
Era ad Argo.
Altri oggetti di culto erano dischi solari e lunari,
vasi in metallo prezioso e rythà a forma di toro o di
altri animali. Questi vasi rituali a forma di toro
ricordano fortemente quelli rinvenuti a Cnosso e in
tutta l’isola di Creta. Anche il culto del toro stesso
accomuna queste popolazioni, infatti il palazzo di
Cnosso riporta affreschi che raffigurano giochi
acrobatici
su
tori
(“tauromachia”)
come
dimostrazione dell’importanza di quest’animale
nella civiltà minoica. Probabilmente non è da
escludere una fortissima influenza ittita nel
mondo minoico dell’età del bronzo anche per
quanto riguarda il culto della signora delle fiere
Cibele (o Kubaba per gli ittiti), dea della fecondità
e Grande Madre, onorata soprattutto in Frigia e in
Lidia.
Ella è la dea creatrice che diede origine all’intero
universo senza bisogno di intervento maschile,
vergine inviolata e, tuttavia, madre degli dei. La
grande dea anatolica si manifestava nella dura
sostanza della roccia e si riteneva fosse caduta dal
cielo sotto forma di una Pietra nera (fig. 15).
53
I templi di Hattuša
Figura 15 Statuetta della dea Madre in pietra. La testa della statuetta è stata
ricostruita. A destra: statuetta minoica della dea dei serpenti, avorio e oro,
Museum of Fine Arts, Boston.
Il tempio, come già detto, non era solo il luogo di
culto, ma era soprattutto la casa personale del dio,
e come tale aveva sala da pranzo, camera da letto
e stanze adibite ad ospitare gli addetti e i
sacerdoti.
Molti
di
essi
però
abitavano,
presumibilmente, nella zona residenziale della
città e in una curiosa ed irregolare struttura
situata immediatamente a sud-ovest dell’edificio
templare principale. L’entrata a questo complesso
immetteva in una corte trapezoidale lunga circa
30,5 m e larga circa 15 m. Intorno a questa corte si
aprivano sedici unità abitative indipendenti di
varie misure.
54
I templi di Hattuša
L’intero complesso era stato paragonato alla zona
di lavoro Egiziana di Tell-el-Amarna e Deir-elMedinah.
Oltre ad essere circondato da abitazioni, il Grande
Tempio era attorniato da moltissimi vani per
l’immagazzinamento delle derrate alimentari e dei
materiali, caratteristica comune a quasi tutte le
città del mondo antico con struttura economicopolitica che fa riferimento al tempio come centro
ridistributivo.
Nei magazzini stretti e lungi della navata nordoccidentale erano conservati centinaia di vasi.
Questi, una volta immagazzinati, (che contenevano
grano, orzo, fagioli secchi e simili, olio e vino)
provvedevano al sostentamento del personale
templare e di tutta la popolazione. Il contenuto dei
magazzini lungo la navata dal lato opposto era
differente: centinaia di tavolette e di frammenti in
cuneiforme furono rinvenuti in questo settore,
caduti dalle mensole di legno su cui erano state
organizzate come in un archivio (fig.16).
55
I templi di Hattuša
Figura 16 Vasi per derrate alimentari nei magazzini del Tempio I lato nordoccidentale e tavoletta cuneiforme dagli archivi del Tempio I lato sud-orientale,
Hatuša.
IV. Il quartiere di culto nella Città alta
Nel XIV-XIII secolo a.C., successivamente alla
costruzione della cinta muraria protettiva nella
parte meridionale della città alta, questa zona si
sviluppava in un centro affermato di culto. Finora
sono stati identificati 30 templi differenti nella
città superiore di Hattuša (fig.17). Possiamo
supporre che ulteriori templi risiedano nel punto
centrale di culto, qui; non senza motivo "i mille dei
della
terra
di
Hatti"
sono
accennati
frequentemente nei testi ittiti. La frase esprime
56
I templi di Hattuša
abbastanza giustamente la tradizione ittita, infatti
gli dei delle altre città erano compresi in questo
centro di culto. Se nessun tempio fosse stato
eretto, sarebbero esistiti almeno una pietra sacra,
un albero o un boschetto sacro, o una fontana
consacrata all’ onore del dio. Tali condizioni
premesse, sono accennate frequentemente nei testi
ittiti.
Le
dimensioni
dei
templi
cambiano
notevolmente. I più grandi variano da 1.200 m² a
1.500 m², mentre quelli più piccoli da 400 m² a 600
m². Determinati templi (n. IV, VI e XXVI) inoltre
sono circondati da un recinto (temenos). La
struttura e il gran numero di stanze indicano che i
templi inoltre avevano scopi economici, ed erano
responsabili
della
preparazione
e
dell'immagazzinamento delle materie prime e delle
derrate alimentari (come nel Tempio I). Alcuni
templi
avevano
persino
una
funzione
ambasciatoriale per il dio che rappresentava la
popolazione.
57
I templi di Hattuša
Figura 17 Pianta dell'area templare nella città alta con i resti dei 30 tempietti,
Hattuša
58
I templi di Hattuša
V. Città alta e Templi II, III, IV, V
In Hattuša sono conosciuti da diverso tempo
quattro templi minori tutti abilmente situati su
piattaforme naturali nella parte più meridionale
della città alta rivolti verso la città bassa. In
pianta
corrispondono
esattamente
al
Grande
Tempio (hanno anch’essi entrata cerimoniale,
cortile centrale con colonnato e santuario interno
con finestre che si aprono all’esterno). I templi
minori detti Tempio II, III e IV (fig.18-19) hanno
una sola stanza di culto (o Cella) mentre il Tempio
V (fig.20), che inizialmente fu creduto un palazzo,
ne ha due come il Tempio I, ma in questo caso una
delle celle è stata costruita nel lato ovest del cortile
e non sul lato opposto all’ingresso come nel Grande
Tempio. La sequenza architettonica del tempio V è
stata ripetuta: se nel cortile si gira di 90°
dall’ingresso, nella sua parte di sinistra si
vedrebbe ancora il colonnato (lo stoà, il vestibolo
ed il grande alloggiamento di culto con una base
della statua). Riconosciamo, quindi, che questo
tempio - come il Tempio I - era un altro santuario
dedicato
a
due
divinità.
59
Un’ulteriore
I templi di Hattuša
rassomiglianza
fra
questi
due
templi,
non
accennando al formato (il tempio V è molto più
piccolo del tempio I), è vista nella piccola struttura
- forse altare indipendente - nell’ angolo destro
della corte interna. Una differenza significativa fra
i due templi è la disposizione dei due gruppi delle
stanze sacre, che nel tempio V sono entrambi posti
nel lato ad ovest della costruzione. Questo tempio,
come alcuni del distretto religioso, era connesso ad
un muro di recinzione che conteneva al suo interno
l’edificio cultuale e varie altre strutture chiuse nel
temenos. Tre piccole costruzioni vicine al tempio,
formate da una sola camera, possono essere
paragonate a cappellette; potevano essere quasi
sicuramente
altari
addizionali
usati
per
determinati rituali funebri. Una stele con la
rappresentazione di un guerriero che impugna una
lancia e che indossa un corto gonnellino e cappello
aguzzo ornato di corna, è stato rinvenuto all’inteno
di una di queste piccole strutture. I geroglifici
presenti sopra la mano sinistra del personaggio
indicano che il rilievo è il ritratto del Grande re
Tuthaliya. Poiché le corna che ornano il copricapo
simboleggiano
il
potere
divino,
la
scultura
apparentemente descrive il re, già lontano da
60
I templi di Hattuša
questo mondo, che si accinge ad entrare nel mondo
ultraterreno. Verosimilmente questo indica che nel
luogo dove sorge il tempio V erano svolti rituali
per la celebrazione delle esequie regali, forse
attraverso
un
corteo
che
accompagnava
simbolicamente il re defunto seguendo un percorso
preciso che partiva dalla porta a sud nel temenos
e, passando dall’ingresso del tempio posto a nordest, terminava nel cortile rettangolare dell’edificio
sacro. Scavi recenti nella città alta hanno portato
alla luce altri due templi (Tempio VI e VII) e dieci
piccoli edifici, simili come struttura ai templi
maggiori,
che
contenevano
oggetti
votivi
in
terracotta. L’intera parte meridionale della città
alta sembra essere stata costruita durante il regno
di Tuthaliya IV.
Le divinità a cui erano dedicati questi edifici non
sono
state
ancora
identificate,
ma
presumibilmente i templi appartengono alle figure
maggiori del Pantheon Ittita. L’edificio più piccolo
probabilmente era dedicato alla coppia divina
minore.
Una delle costruzioni è ricordata, nelle fonti, per il
fatto che poiché molte divinità avevano le loro
residenze al di fuori di Hattuša avevano deciso di
61
I templi di Hattuša
farne costruire altre nella capitale per poter
ricevere la visita del sovrano, come capo del corpo
religioso,
senza
che
quest’ultimo
dovesse
intraprendere lunghi e numerosi viaggi.
Figura 18 Veduta del Tempio II nella città alta, Hattuša
Figura 19 Veduta del Tempio III nella città alta, Hattuša
62
I templi di Hattuša
Figura 20 Veduta del Tempio V nella città alta; accanto: rilievo del grande re
Tuthaliya in uno dei vani prossimi al tempio, Hattuša
VI. Cittadella Meridionale e Tempio XXXI
Uno dei pochi monumenti rimasto in piedi ad
Hattuša, che non proviene da periodi Ittiti, è la
Citadella Frigia meridionale, edificata subito dopo
il 700 a.C. Questa faceva parte di uno stabilimento
ragionevolmente grande dell’Età del Ferro, che si
era diramato in determinate zone della città più
bassa così come aveva occupato le porzioni
orientali della città superiore. Inoltre esisteva una
grande citadella dell’Età del Ferro costruita sul
luogo dove sorgeva la citadella reale ittita a
Büyükkale, vale a dire il plateau situato circa a
100 metri a nord della citadella meridionale. Le
63
I templi di Hattuša
pareti della fortificazione dell’Età del Ferro erano
state costruite su una massicciata della cava di
pietra;
qui
nella
Citadella
meridionale,
le
fondamenta erano larghe circa 4 metri. Su queste
doveva sussistere una sovrastruttura in mattoni
crudi simile a quella ittita, con una costruzione in
mattoni crudi e legno, torrette di avvistamento e
parapetti. Un singolo cancello, fiancheggiato dalle
torrette, conduceva all’interno del complesso da
nord-ovest. All'interno erano presenti le residenze,
le officine ed i depositi. Anche queste strutture
erano state costruite con le pareti di mattoni crudi
e probabilmente avevano tetti piani come quelli
delle costruzioni ittite. Nella metà più a nord della
citadella sono stati scavati i resti di una grande
struttura ittita, conosciuta come il tempio XXXI
(fig. 21). In pianta è immediatamente apparente il
grande
cortile
interno
caratteristico
della
composizione del tempio ittita. Questo tempio
poteva essere contingente, verosimilmente, alle
pratiche di culto addette agli alloggiamenti 1 e 2
(camera dei geriglifici) e agli stagni.
64
I templi di Hattuša
Figura 21 Pianta della Cittadella meridionale e Tempio XXXI, Hattuša
VII. La camera dei geroglifici (vano 2)
Vicino alla Cittadella meridionale, nella parte
orientale della città superiore, sono stati rinvenuti
due alloggiamenti a cupola monumentali, detti
Camera 1 e 2. L'alloggiamento 1 non è decorato,
mentre l'alloggiamento 2 è ricco di rilievi (fig. 22) i
quali sono sopravvissuti in condizioni eccellenti
grazie alla copertura di terra sotto cui sono rimasti
65
I templi di Hattuša
protetti
attraverso
i
millenni.
Sulla
parte
posteriore della parete si leva in piedi un sole-dio
in mantello lungo e calzari che si arricciano in su
alla punta. Identificato dal doppio sole alato
posizionato sopra la sua testa, tiene un asta curva
nella sua mano sinistra e nella destra -come
dispensatore di vita- una versione piuttosto
modificata dell'emblema egiziano “ankh”- chiave
della vita. Il rilievo a sinistra rappresenta
Shupiluliuma
II,
l'ultimo
dei
grandi
re
di
Hattusha, ed il responsabile della costruzione
della camera. È ritratto con il corto gonnellino del
guerriero, porta una spada agganciata alla cintura
e una lancia nella sua mano destra; un arco è
poggiato sopra la sua spalla. Sui suoi piedi si
notano le calzature che si arricciano in su alle
punte e sulla sua testa porta il cappello aguzzo
tipico dei numi; questo ha tre corni nella parte
anteriore. Dinnanzi a lui appaiono il suo nome e
titolo iscritti in Luvio - geroglifico. Il re appare
ritratto come divinità, come è confermato sulla
parete di fronte, anche se al tempo del rilievo egli
era ancora vivo ed in piena attività. L’iscrizione in
geroglifico luvio sulla parete destra della camera 2
presenta sei linee di scrittura cesellate nella
66
I templi di Hattuša
parete opposta al rilievo del re (i geroglifici Luvi
sono una scrittura figurata sviluppata in Anatolia;
sia linguisticamente sia iconograficamente non
hanno niente in comune con i geroglifici egiziani)
(fig. 23). Anche se l'iscrizione deve essere ancora
completamente decifrata, il senso principale di
essa è chiaro: il grande re Shupiluliuma indica che
grazie alla benedizione degli dei ha conquistato
molte terre, compresa quella di Tarhuntasa, che
ha fondato nuove città e fatto sacrifici agli dei delle
varie popolazioni. L'ultima frase accenna "una
divina strada della terra." D. Hawkins, un esperto
sui geroglifici Luvi, afferma che questa sia
l'iscrizione dedicata alla costruzione, la quale
dichiara lo scopo della struttura, qui indicato come
passaggio che conduce nella terra, nel sottosuolo.
Per
questo
l'alloggiamento
potrebbe
un'entrata simbolica al mondo ultraterreno.
67
essere
I templi di Hattuša
Figura 22 A sinistra: rilievo del dio con doppio disco solare; a destra: rilievo del
grande re Shupiluliuma II, Camera 2, Hattuša
Figura 23 Iscrizione in Luvio - geroglifico dalla Camera 2, Hattuša
68
I templi di Hattuša
Conclusioni
Analizzando il popolo ittita, nel corso di questo
studio, si è giunti spesso al confronto con le
popolazioni mediterranee quali Greci, Macedoni,
Egei ed Egizi, che mostrano di avere in comune
con gli abitanti della terra di Hatti molte
caratteristiche tra cui le architetture templari, le
usanze funebri o le personificazioni delle divinità.
Seguendo questa logica si può affermare che il
mondo Minoico, e di conseguenza quello Miceneo e
Greco, abbiano teoricamente assorbito moltissimo
dagli usi e costumi degli Ittiti. In questo caso la
mancanza attuale di rinvenimenti di necropoli ad
Hattuša
potrebbe
essere
colmata
osservando
attentamente le tipologie di sepolture macedoni;
infatti anche in Macedonia, come in Anatolia, era
presente
una
doppia
tipologia
di
sepoltura
(cremazione ed inumazione) ed inoltre le pire
descritte nei testi ittiti, nell’Iliade di Omero e
quelle documentate dai resti rinvenuti presso le
necropoli
macedoni
testimoniano
profonde
assonanze ed un forte scambio interculturale tra
mondo
del
Vicino
Oriente
Mediterraneo.
69
e
bacino
del
I templi di Hattuša
Ad ulteriore conferma di questa ipotesi si possono
presentare le testimonianze dell’influenza della
religione ittita nelle popolazioni che vi sono
entrate in contatto grazie a scambi sia culturali,
sia commerciali, sia bellici. In tutti i popoli dell’età
del bronzo sono presenti divinità che mostrano
peculiarità affini le une alle altre: ogni comunità
possiede un dio della tempesta o del fulmine che
generalmente è venerato come padre o re degli dei,
e ciò accomuna non solo le popolazioni dell’età del
bronzo, ma anche le civiltà Greca e Romana
(infatti Zeus, Giove, Taru, Tarhunta e Teshub sono
tutte divinità maschili principali associate al
fulmine e al comando sugli altri dei; inoltre si può
addirittura considerare il dio Thor appartenente
alla
mitologia
dei
popoli
nordici,
anch’esso
associato alla folgore il quale parrebbe trarre la
sua radice lessicale prorio dal nome hattico o da
quello luvio).
Oltre
a
questi
aspetti
appena
elencati,
sicuramente il sintomo maggiore di influenza nel
mediterraneo
venerazione
si
percepisce
dell’animale
sacro
attraverso
al
dio
la
della
tempesta e simbolo di forza e virilità: il toro. Come
già detto in precedenza questo animale è sempre
70
I templi di Hattuša
stato una metafora molto forte in tutto il mondo
antico, assimilato unicamente al grande re o dio, il
quale riusciva ad assoggettare i suoi nemici grazie
alla sua potenza divina. Il toro rappresenta il
vigore
ed
è
simbolo
fortemente
legato
alle
manifestazioni terrene e proprio per questo motivo
il confronto con esso rappresenta la massima
espressione di valore. Ma le somiglianze non si
limitano solo ai tori sacri di Cnosso. In Egitto
molte divinità sono rappresentate con questa
forma animale: Osiride s’incarna nel toro Onuphis,
per Atum dio di Eliopoli il toro sacro è Mnevis,
Mentu dio della guerra corrisponde al toro Bukhis,
Ptah dio-re di Menfi è assimilato al toro Api ed
infine al dio Min, protettore delle piste del deserto
e della procreazione, era consacrato un toro bianco,
simbolo che coniuga la potenza e la purezza. Anche
presso altre civiltà si incontra lo stesso utilizzo
dell’immagine taurina: Dioniso, dio greco del vino,
è talvolta raffigurato con testa di toro, per
simboleggiare la forza data dall’alcol che scioglie e
fa cadere i freni inibitori, al punto di centuplicare
l’energia fisica e psichica dell’uomo. In India,
benchè sia il dio del fuoco, Agni è chiamato “Toro
delle acque”, perché secondo Rig Veda, il sole nasce
71
I templi di Hattuša
nell’acqua, mentre il toro bianco Nandin è allo
stesso tempo la cavalcatura di Shiva e il guardiano
della sua porta. Secondo la leggenda cosmogonica
persiana, il primo animale del mondo fu un toro
bianco; esso fu ucciso dal demone Angra Mainyu e
il suo seme, purificato dalla luna, dette vita alla
maggior parte delle specie animali e perfino ad
alcune piante.
Come ultimo punto di contatto tra le varie civiltà
si
può
esaminare
la
credenza
nel
mondo
ultraterreno e nella conseguente divinizzazzione
del re che vi accede. Infatti sia in Egitto, sia in
Mesopotamia, sia in Anatolia il sovrano defunto,
accompagnato nell’ Aldilà da una divinità, diventa
anch’egli
un
dio
e
fornisce
protezione
e
benevolenza comportandosi, sia in vita sia nel
mondo dei morti, da intermediario tra gli uomini e
gli dei. Questo aspetto è molto marcato nel mondo
Ittita, Egiziano e Mesopotamico.
Per questa serie di ragioni che sono state elencate
è facile accedere all’idea che gli Ittiti siano stati
una grande civiltà che ha influito e ispirato le altre
limitrofe
grazie
a
scambi
di
varia
natura.
Purtroppo la fine dell’impero Ittita con le sue città
fu repentina e sparì nel grande movimento di
72
I templi di Hattuša
popoli di circa 3500 anni fa, ma gli Ittiti
continuarono a sopravvivere.
73
I templi di Hattuša
Indice delle Immagini
Figura 1 Pianta della città; nella pagina precedente: veduta aerea dell’antica città di Hattuša presso Boğazkőy
6
15
Figura 3 Seconda espansione del Regno ittita nel periodo Imperiale sotto Šuppiluliuma. ____ 16
Figura 4 Incursioni dei “Popoli del Mare”. _______________________________ 17
Figura 2 Prima espansione del Regno Ittita nel periodo dell’Antico Regno. ____________
Figura 5 Statua del dio della tempesta e statuette cerimoniali di due tori, animali sacri al dio,
Museo di Civiltà Anatoliche, Ankara, Turchia.
____________________________ 22
Figura 6 Vaso di Inandik: decorazione sul vaso con scene di musica e ballo durante un
matrimonio. Nel terzo registro si nota l’altare con sopra la statua del Toro. Datazione Antico Regno
(1600 a.C. circa), Museo di Civiltà Anatoliche, Ankara, Turchia. __________________
Figura 7 Ricostruzione virtuale delle strutture di Yazilikaya.
23
___________________ 37
Figura 8 Rilievo della processione degli dei ; scena climatica nell’alloggiamento A, santuario di
Yazilikaya, Turchia.
___________________________________________ 38
___ 40
Figura 10 Rilievo di processione divina nell’alloggiamento B, santuario di Yazilikaya, Turchia. 41
Figura 9 Rilievo del re Tuthaliya IV, alloggiamento A, santuario di Yazilikaya, Turchia.
Figura 11 Rilievo del dio Sharrumma che accompagna il re Tuthaliya IV tenendolo abbracciato,
alloggiamento B, santuario di Yazilikaya, Turchia.__________________________
41
Figura 12 Rilievo del dio Nergal nell’alloggiamento B, santuario di Yazilikaya, Turchia. A destra:
i due rilievi nella loro posizione all’interno dell’alloggiamento B. Il dio Sharrumma accompagna il
re verso il dio Nergal. ___________________________________________
42
Figura 13 Scena della pesatura del cuore (“psicostasia”). Il defunto, a sinistra, è condotto per mano
da Anubi verso la bilancia; al centro egli è condotto da Horus che indica Osiride seduto sotto la
cappelletta e affiancato da Nefti e Iside. ________________________________
43
________________________________________________________ 47
Figura 14 Pianta della città bassa di Hattuša: si nota molto bene l’area quadrata del complesso
templare (Tempio I) circondato da numerosi vani preposti all’immagazzinamento. Pagina
precedente: foto del Tempio I e della città bassa.
___________________________ 47
Figura 15 Statuetta della dea Madre in pietra. La testa della statuetta è stata ricostruita. A
destra: statuetta minoica della dea dei serpenti, avorio e oro, Museum of Fine Arts, Boston.
_ 54
Figura 16 Vasi per derrate alimentari nei magazzini del Tempio I lato nord-occidentale e tavoletta
cuneiforme dagli archivi del Tempio I lato sud-orientale, Hatuša.
_________________
Figura 17 Pianta dell'area templare nella città alta con i resti dei 30 tempietti, Hattuša ____
Figura 18 Veduta del Tempio II nella città alta, Hattuša ______________________
Figura 19 Veduta del Tempio III nella città alta, Hattuša _____________________
56
58
62
62
Figura 20 Veduta del Tempio V nella città alta; accanto: rilievo del grande re Tuthaliya in uno dei
vani prossimi al tempio, Hattuša
____________________________________ 63
Figura 21 Pianta della Cittadella meridionale e Tempio XXXI, Hattuša _____________ 65
74
I templi di Hattuša
Figura 22 A sinistra: rilievo del dio con doppio disco solare; a destra: rilievo del grande re
Shupiluliuma II, Camera 2, Hattuša __________________________________
68
Figura 23 Iscrizione in Luvio - geroglifico dalla Camera 2, Hattuša ________________ 68
Fonte delle immagini:
http://www.hattuscha.de
Fonte Immagine 13:
foto personale
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I templi di Hattuša
BIBLIOGRAFIA
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Leiden
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