LODOVICO DOLCE NELLA STORIA DELLE
IDEE FEMMINISTE
LODOVICO DOLCE IN THE HISTORY OF FEMINIST IDEAS
Ada Boubara
Aristotle University of Thessaloniki, Thessaloniki, Greece
[email protected]
Recibido: octubre de 2021
Aceptado: noviembre de 2021
Parole chiave: Lodovico Dolce, comportamento, donne, maritate.
Key words: Lodovico Dolce, behavior, women, married.
Riassunto: Lodovico Dolce (1508/1510-1568), umanista e studioso del Cinquecento, fu tra gli intellettuali che parteciparono alla Querelle des Femmes durante
il periodo rinascimentale. Proprio in questo ambito si colloca il suo trattato Dialogo di M. Lodovico Dolce della institution delle donne secondo li tre stati che
cadono nella vita humana. L’obiettivo dell’articolo consiste nell’esaminare ed
evidenziare le idee di Dolce sulla “institution della maritata” esposte nel secondo
libro del Dialogo, presentare il profilo femminile proposto e le virtù di cui deve
essere dotata una donna coniugata nella società del XVI secolo.
Abstract: Lodovico Dolce (1508/ 1510-1568), a humanist and scholar of the
16th century, was among the intellectuals involved in the Querelle des Femmes,
during the Renaissance period. His treatise Dialogo di M. Lodovico Dolce
della institution delle donne secondo li tre stati, che cadono nella vita humana
represents precisely this context. The purpose of this article is, on one hand, to
examine and highlight Dolce’s argumentation on the “institution della maritata”
set out in the second book of the Dialogo; on the other hand, its aim is to
present the suggested female profile and the virtues that a married woman
should have in the XVIth century society.
1. Introduzione
La tematica della Querelle des Femmes e le testimonianze scritte relative a questo
argomento sono molte e come emerge dallo studio di Virginia Cox, Women’s Writing
in Italy, 1400–1650 (Cox, 2008) e di Mercedes Arriaga su “Le scrittrici marchigiane:
(Questa ricerca è risultato del Progetto «Men for Women. Voces Masculinas en la Querella de las
Mujeres» (PID2019-104004GB-I00), Ministerio de Economía y Competitividad).
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un giallo letterario” (Arriaga Flórez, 2008)
possiamo notare che nell’ambito italiano,
già nel tredicesimo e nel quattordicesimo
secolo, sono presenti testi in cui appaiono
versi scritti da donna, come ad esempio
quelli di Giustina Levi Perotti, Elisabetta
Trebbiani, Monna Nina e altre che con le
loro opere poetiche offrono un contributo
all’avvio della Querelle (Arriaga Flórez et
al, 2012). Inoltre, come sostiene Daniele
Cerrato nel suo articolo Sorelle di Querelle. Poetesse dell’al-Andalus, trobairitz e
poetesse italiane del Duecento e Trecento
(Cerrato, 2015):
il dibattito/polemica legato ai meriti e alla
dignità delle donne, trova ampio spazio
durante i secoli XV e XVI, in una serie di
trattati composti da Mario Equicola, Galeazzo Capra, Torquato Tasso, ai quali si affiancano i testi di autrici quali Isotta Nogarola,
Arcangela Tarabotti, Moderata Fonte, Cassandra Fedele, Lucrezia Marinella. Si tratta
di un confronto letterario che si sviluppa
soprattutto attraverso la prosa, ma vi prenderanno parte anche poetesse tra cui Laura
Terracina, Laura Battiferri, Veronica Gambara e Veronica Franco (Cerrato, 2015: 232).
I testi medievali del XIII secolo di Umberto
da Romans, Gilberto da Tournai e Stefano di Borbone presentano la posizione
della donna entro un certo stato sociale e
vengono definiti i “loro ruoli fondamentali:
sposate, vedove, vergini e fanciulle, monache e religiose. Ne esce un quadro ora
conturbante, ora grottesco ed esilarante:
alle donne, di qualunque condizione sociale siano, è sempre proposto di non fare
qualcosa” (Casagrande, 1978: retro di
copertina). Inoltre, come si vede anche
dall’articolo «Sposa, figlia, sorella e vecchia matre». Invecchiare donna in età
moderna, tra demografia e cultura di P.
Renée Baernstein (Baernstein, 2006) nello spazio europeo:
una donna [...] misurava i passaggi della
propria vita in base alle differenti relazioni
intrattenute con gli uomini nel corso del tempo: era una vergine sotto il tetto del padre,
diventava poi una moglie quando era “menata” dal marito. Poi, di solito, veniva la maternità e, se la donna sopravviveva ai rigori
delle gravidanze e dei parti, diventava una
vedova dopo la morte del coniuge. Di fronte
alla legge e alla sua famiglia, erano queste
le condizioni che definivano una donna; le
tappe più importanti, mentre cresceva, erano quelle in cui usciva o entrava nella casa
di un uomo (Baernstein, 2006: 213).
Nel periodo dell’Umanesimo e nel successivo Rinascimento, le riflessioni intorno alla questione femminile (Fahy,1956;
Sanson & Lucioli, 2016) e alla posizione
della donna, diventano sempre più frequenti.
In particolare, come si nota dall’articolo
di Paola Cosentino Tragiche eroine. Virtù
femminili fra poesia drammatica e trattati
sul comportamento (Cosentino, 2006):
All’inizio del XVI secolo, la condizione femminile diventa infatti oggetto di una intensa
riflessione che tocca i più diversi ambiti e
penetra in tutti i generi letterari. Tanto nella
novella quanto nella lirica cortigiana, tanto
nei trattati quanto nei poemi cavallereschi la
donna è al centro di una rinnovata curiosità.
Come testimonia il progressivo affermarsi di
una vera e propria «querelle des femmes»,
non soltanto i compiti, ma anche la stessa
natura femminile vengono ora interamente
rimessi in discussione (Cosentino, 2006: 69).
Entro allora tale dibattito intorno alla superiorità o inferiorità delle donne, affiorano
dei “trattati di institutio della donna, generalmente orientati a fornire norme e regole
che definiscono una vera e propria grammatica del comportamento’’ (Cosentino,
2006: 69).
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In questo quadro si inserisce Lodovico
Dolce1 (Cicogna, 1862; Dionisotti, 1970;
Romei, 1991; Terpening, 1997) il quale partecipò al dibattito sulla condizione
della donna nella società del sedicesimo
secolo. Il suo contributo alla Querelle des
Femmes fu il Dialogo di M. Lodovico Dolce della institution delle donne secondo li
tre stati, che cadono nella vita humana2,
una dissertazione di carattere pedagogico di importante valore culturale. Un
trattato che “al suo interno avviene infatti il processo di sostituzione e scambio
dell’archetipo aristocratico con l’archetipo
borghese” (Sberlati, 1997:162).
Grieco & Brevaglieri, 2001; Cox, 1992),
“vergine in attesa di matrimonio, [...] sposa e madre; casta vedova devota alla memoria del marito” (Sberlati, 1997: 124).
Così il tema del matrimonio “è stato trattato durante il secolo da molti eruditi e fu
argomento di testi vari, laici e religiosi,
in versi e in prosa” (Sanson, 2015: 50) e
l’obiettivo di questo testo consiste nel presentare una disamina delle idee di Lodovico Dolce sulla “institution della maritata”
esposte nel secondo libro del Dialogo; raffigurare il ritratto femminile proposto e le
virtù della donna coniugata nella società
del sedicesimo secolo in quanto:
Il Dialogo di Lodovico Dolce, della institution delle donne secondo li tre stati, che
cadono nella vita humana “modellato sul
trattatello del Vives’’3 (Cosentino, 2006:
82) De institutione foeminae Christianae
(Del Nero, 2006), si svolge tra gli interlocutori Flaminio e Dorotea. È composto da
tre libri, ognuno dei quali presenta i ragionamenti e le regole di comportamento per
le tre fasi della vita delle donne (Matthews
1. Lodovico Dolce (Venezia 1508/1510-Venezia
1568) fu umanista e studioso veneziano del XVI
secolo, scrittore prolifico che ha collaborato a
lungo con il tipografo Gabriele Giolito de’Ferrari. Ebbe rapporti con molti celebri intellettuali e
artisti della sua epoca, tra cui Pietro Aretino, Tiziano, Pietro Bembo e altri. Scrisse trattati, commedie, tragedie, testi in versi e in prosa. Inoltre,
fu abile traduttore di testi classici e curatore di
opere di grandi scrittori.
2. Prima edizione a Venezia per i tipi di Gabriele
Giolito de’ Ferrari nel 1545.
3. Juan Luis Vives (Valencia 1492-Bruges 1540)
fu spagnolo umanista e studioso. La sua opera
De institutione foeminae Christianae, stampata
per prima volta nel 1524 ma dopo ripubblicata e
rivista nel 1538, è un trattato importante del periodo rinascimentale da cui emergono le regole
che deve seguire una donna nella società del suo
tempo e ovviamente secondo i dettami della fede
cristiana.
anche se i dilatati orizzonti mentali del Rinascimento avevano consentito l’emergere
e il diffondersi di una nuova idea di femminilità, [...] scopriamo in realtà che la condizione storica della donna, [...] era socialmente
ancora irreggimentata nel tradizionale ordine tripartito degli ‘stati’ verginale, maritale e
vedovile. Il suo ruolo non aveva altre dimensioni all’infuori di queste tre: vergine in attesa di matrimonio, di frequente con un uomo
impostole da legami di interesse dinastico
o finanziario; sposa e madre; casta vedova
devota alla memoria del marito (Sberlati,
1997:124).
2. I ragionamenti di Lodovico
Dolce sulla “institution della
maritata”
Per seguire il filo del discorso dello scrittore veneziano dedicato all’istituzione della
donna maritata, è indispensabile ritornare
al primo libro del trattato in cui si presenta
il percorso formativo della vergine (Boubara, 2020) e le virtù di cui deve essere
dotata allo scopo di essere pronta e giustamente istruita per arrivare alla soglia
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delle nozze. Quindi per quanto riguarda
l’educazione della fanciulla:
Giardino ripieno di tutte le contentezze e
felicità humane’’ (Dolce, 1545: 39).
notiamo che il percorso formativo inizia già
dal valore dell’allattamento materno. Passa
in seguito ai giochi adatti, insiste sui buoni
costumi e la virtù e presenta l’importanza
della religione e della gestione domestica.
Nello stesso tempo, la ragazza deve essere colta e aver letto dei testi che esaltino la
bellezza dell’anima. È necessario, inoltre,
che la giovinetta sia timida, che segua un
contegno di verginità e castità e che eviti
il male dell’ozio. Similmente, ornamenti di
bellezza, vestiti di lusso, giochi d’azzardo,
come le carte o i dadi, sono interamente
vietati. La selezione e la valutazione dello
sposo, infine, è obbligo del padre e solo lui
ha l’incarico e la responsabilità della scelta
giusta (Boubara, 2020: 58).
Lo scrittore partendo da questa premessa generale per lo sposalizio, continua il
suo ragionamento introduttivo e sottolinea
“che avanti, che la [...] figliuola entri in
casa del novello marito, è mestiero, che si
riduca molto bene nella memoria l’ufficio
e il fine del matrimonio, per poter poi sodisfar pienamente con l’opera a quello,
che ella havrà prima considerato con
l’intelletto’’ (ibídem) ed espone il principio
che “l’Huomo e la Donna altro non essere che una carne istessa. Onde congiunti
insieme, di due corpi divengono uno solo;
e ne formano quel mirabile Hermaphrodito, che non si può dividere” (ibídem). Di
conseguenza “è adunque l’ufficio del matrimonio congiungere il Marito e la moglie
con sì stretta unione, che non siano più
che uno; e il fine è generare” (Dolce,
1545: 40).
Le considerazioni esposte delineano il ritratto immaginario della giovinetta vergine,
condizione necessaria per il percorso della
futura sposa, preparata per inserirsi nella
seconda fase della sua vita, quella di donna
maritata. Di conseguenza, la sposa, per poter concepire il suo ruolo entro questo nuovo contesto, ha bisogno della formazione
appropriata e il secondo libro del Dialogo4
si occupa di questo tema.
Osservando gli argomenti trattati constatiamo che Dolce in qualità di educatore attraverso la voce dell’interlocutore Flaminio,
inizia il suo discorso elogiando la bellezza
del giardino, lo spazio scelto per il dialogo con Dorotea, e subito coglie l’occasione
per paragonare l’incanto di questo posto
florido con la grazia del matrimonio, poiché “il matrimonio, quando è formato da
quegli ordini, et conservato da quelle conditioni che si convengono a cosa di tanta
importanza, esso è appunto simile a un
4. Tutte le citazioni sono riportate dal testo originale dell’edizione del 1545 per i tipi di Gabriele
Giolito de’ Ferrari.
Lodovico Dolce per consolidare il suo ragionamento presenta l’opinione di Francesco Barbaro secondo il quale “il matrimonio essere perpetuo congiungimento di
huomo e di donna, ordinato per cagione
di crear legitimamente figliuoli, e di fuggire adulterio” (ibídem). Per enfatizzare la
sua tesi, il trattatista fornisce degli esempi
dall’antichità, e in particolare fa riferimento ai Romani e ai Lacedemoni; evidenzia
il modo in cui venivano affrontati coloro
che non avevano prole e sottolinea che in
quelle società creare figli ed eredi era un
atto di importanza vitale. Successivamente, il ragionamento si sposta sulla tematica
centrale dell’educazione della maritata e
sulle regole da rispettare rigorosamente
ed inevitabilmente.
La sposa, infatti, non deve considerare
il suo passaggio al matrimonio come un
momento di festa, di divertimento, bensì
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essa deve affrontare il vincolo matrimoniale come se entrasse in un “albergo casto
e santo: nel quale facendo ella col marito
quella perfetta unione, che dicemo, vivi
felice tutto il suo tempo” (ibídem). Viene chiarito subito che questa unione ha
come capo il marito e la moglie è costretta
ad amarlo e onorarlo, cioè la donna deve
sapere che “tutto il governo della moglie
dependa dal Marito” e che “al Marito
appartiene il comandare, e a lei l’ubbidire
è richiesto” (Dolce, 1545: 40). Tuttavia,
viene chiarito che la donna non deve
affrontare il concetto dell’obbedienza
come sinonimo della servitù perché,
“quando servendo al Marito, è servire a se
medesima, e se pure ella meritasse nome
di servitù; è ripiena di tanta soavità e dolcezza, che avanza ogni libertà” (ibídem).
le virtù che la coniuge deve possedere da
quel momento in poi. In questo contesto, è fondamentale che “fra tutte le virtù
pertinenti alla maritata, ne n’habbia due,
che dell’altre tengano la maggioranza: [...]
queste sono castità in lei, et amore verso il
marito” (ibídem).
La virtù della castità è fondamentale per
l’educazione della donna e questo è un
ragionamento evidenziato e commentato
da Lodovico Dolce al primo libro del Dialogo dedicato all’istituzione della vergine.
Anche per la donna maritata la castità è
una delle sue doti più preziose, un pregio
necessario e importante che:
dee portar seco dalla casa del padre: [...] la
moglie, che offende questa, offende primieramente Dio, con l’autorità di cui è fatto il
matrimonio; ed a cui giurò la purità del letto
matrimoniale. Da poi fa ingiuria al marito,
[..] fa ingiuria alla charità del prossimo; perché non se ne trova a lei alcuno maggiore
di colui, che le è padre, fratello, compagno, marito e Signore. Diparte la unione, [..]
Spezza il legame santissimo del congiungimento humano, rompe la fede, [...] Leva la
compagnia civile: offende le leggi e la patria:
flagella il padre, la madre, le sorelle, i fratelli,
i parenti, e gli amici. È di cattivo esempio ai
suoi: infama la famiglia: e poi, ch’è divenuta madre, è madre così iniqua e scelerata,
che i figliuoli udir ragionar di lei non possono senza vergogna; né ricordare il nome
del padre senza dubbio d’esser suoi figliuoli
(Dolce, 1545: 41).
Di nodale importanza della riflessione di
Dolce è che dal momento in cui l’unione
dei coniugi è un legame sacro, la donna,
proprio a causa della religiosità dell’atto
dello sposalizio, deve passare il giorno delle nozze:
non in Danze e Conviti, come è costume si
consumi, ma tutto si spenda in rivolger preghi a Dio, che sì come egli solo è Auttore
del matrimonio; così a quello (la sua merce)
porga il favore della sua gratia: senza la quale niuna operatione fra mortali hebbe mai
buono succedimento (Dolce, 1545: 41).
Viene enfatizzato il valore e il peso delle
nozze dal punto di vista religioso, come
momento di suprema grazia concessa
da Dio, bisogna affrontarlo con il massimo rispetto e la necessaria spiritualità, ed inoltre, divertimenti e svaghi non
sono compatibili con il vero significato del
giorno delle nozze. Nel successivo ragionamento Dolce situa la giovane donna
maritata nell’ambiente della dimora dello
sposo ed inizia la presentazione di tutte
Dopo questo lungo elenco dei mali provenienti dall’assenza della castità, lo scrittore afferma che per le donne maritate la
verginità appartiene alla fede e al marito,
così se la maritata non rispetta i dettami
della buona condotta in virtù della castità
e la offre ad altri “commette il peccato del
latrocinio” (Dolce, 1545: 42). Nella riflessione che segue, il discorso si concentra
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sulla tematica della corporatura. La donna
non ha diritti sulla gestione del suo corpo
il quale “è tutto in poter del marito” (Dolce, 1545: 43).
In seguito, viene affrontato il tema
dell’adulterio, il quale corrompe il matrimonio, provocando anche danni ai figli ma
anche al valore dello sposalizio dato che
“Due altri beni ne corrompe l’Adulterio,
per cagion de quali il matrimonio è formato: l’uno è la prole; l’altro la facultà: perciò
che la prole, come io dico, fa incerta: ed
è cagione, che si consumano le facultà”
(ibídem). Viene presentato un lungo elenco di casi di donne che per mantenere la
loro castità hanno preferito la morte.
Successivamente il trattatista espone la riflessione relativa all’amore della moglie nei
confronti del marito che è una delle due
virtù fondamentali della maritata messa in
evidenza nell’incipit del suo discorso. Per
questa considerazione è importante notare che lo scrittore sostenga che le donne
coniugate, debbano amare il marito come
amano sé stesse e come amano i propri
familiari cioè “lui essere a lei in luogo di
padre, di madre, di fratello, e di sorella”
(Dolce, 1545: 44). Il discorso, inoltre,
raffigura il rapporto matrimoniale come
un legame che supera l’amicizia perché
“vince di gran lunga tutte le altre amicitie”
(ibídem) e in più la coppia ha un’anima e
un corpo. Da questo accoppiamento “un
solo huomo si forma: atteso, che l’animo
della moglie dee vivere in quello del marito; et ella a lui, come a parte migliore di
se medesima, in tutte le cose ubbedire, et
render honore” (ibídem).
rito, riman sola, ignuda, et soggetta a tutte
le offese” (Dolce, 1545: 44). Solo vicino
al consorte, solo se è accompagnata dal
marito, suo signore, “dove ella si trova, ivi
è la sua patria, la sua casa, i suoi parenti,
i suoi domestici, et tutte le sue ricchezze”
(ibídem).
L’interlocutore Flaminio, nel corso della sua argomentazione, fornisce degli
esempi di donne maritate valorose che
non hanno tradito i principi della fede,
dell’amore e della castità e hanno onorato la sacra unione delle nozze come Issicratea moglie di Mitridate Re di Ponto,
Flacilla Nonio Prisco, Sulpitia, la moglie
di Ferdinando Gonzaga Conte di Castella, Alceste, Laodamia, Paolina moglie di
Seneca, Giulia figliuola di Giulio Cesare,
Cornelia l’ultima moglie di Pompeo e tante
altre. L’elenco dei nomi enumerati è lungo e copre un arco di tempo dall’antichità
fino ai giorni del trattatista, il quale esalta e
descrive il comportamento di tutte queste
donne maritate e in più presenta un caso
di particolare interesse come dimostrazione di assoluta devozione al marito. Si
tratta di una giovane moglie “chiamata
Gamma: bella di corpo, ma molto più di
animo” (Dolce, 1545: 46) la quale per
non violare le leggi matrimoniali, per non
essere infedele al marito e per vendicare
la morte del consorte, finge di essere felice futura sposa dell’uomo che ha ucciso
suo marito. Proprio nel momento della celebrazione delle nozze si uccidono tutti e
due bevendo del vino avvelenato. Gamma
lascia il suo ultimo sospiro esclamando:
Lo scrittore, per rafforzare il suo pensiero e
chiarire in maniera indiscutibile la posizione della donna nel matrimonio, dichiara
che essa, essendo più debole dell’uomo,
ha bisogno di protezione, “lontana dal ma-
hora me n’andrò contenta a trovare il mio
Sinato. Da poi rivoltasi a Sinorige, seguitò.
Et tu crudele e scelerato huomo puoi ordinare ai tuoi servi, che invece delle pompe
delle nozze, che malamente hai desiderate,
apparecchino sepoltura al tuo corpo (Dolce,
1545: 46).
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Il trattatista nel corso della presentazione
di questa sua riflessione sottolinea che
la donna maritata ha sempre bisogno di
mettere la vita del consorte al di sopra
di tutte le sue comodità e unisce questo
aspetto al sentimento dell’amore. Per evidenziare il valore basilare dell’amore nel
legame matrimoniale lo scrittore dichiara
che la moglie deve “amar sinceramente
e con tutto l’animo il suo consorte” Dolce,
1545: 47) e sottolinea che l’amore per il
marito è il primo e basilare obbligo della
sposa. Chiarisce le caratteristiche di questo amore e spiega che:
conviene, che con questo amore sia congiunta una somma riverentia, e una obedienza più, che perfetta: con ciò sia cosa,
che non solamente le leggi humane, ma
le Divine comandano, che la moglie sia
soggetta al marito: e non solamente le leggi,
ma la natura istessa questa feminile soggettione dimostra (Dolce, 1545: 47).
Di grande importanza è questo punto del
Dialogo poiché l’interlocutore Flaminioil trattatista Lodovico Dolce sostengono
l’opinione riguardante la natura del sesso
femminile. Nel matrimonio la donna deve
rispettare il marito come capo e deve essere governata da lui dato che “alla Donna
è così di mestiero il governo dell’huomo;
come è a ciascun cielo, lo effetto di chi lo
muove” (ibídem).
Per chiarire il ragionamento dell’amore
e dell’ubbidienza della maritata nei confronti del suo capo-marito, lo scrittore
parte dalla premessa che la donna può
essere amata dallo sposo se gli è del tutto
devota, se tutto quello che fa, tutto quello
che pensa mira ad accontentare lui, se
“tutte le sue opre corrispondino al voler
di lui” (ibídem). La giovane sposa necessita essere preparata ad affrontare la vita
coniugale con tutti gli aspetti positivi e
negativi, il che significa i momenti belli o
brutti, la ricchezza o la povertà, la salute o la malattia, la bellezza esteriore della
giovinezza o la senilità poiché “il vivere
humano è come il giuoco d’i Dadi” (Dolce, 1545: 48). Di conseguenza la donna
maritata deve essere preparata per tutte le
eventuali possibilità e deve sempre essere
partecipe del bene e del male del consorte. Nello stesso contesto dei consigli per
la vita coniugale viene evidenziato anche
il ragionamento secondo il quale la donna necessita prestare “insieme opera non
solo di Moglie, ma di Medica, e di cuoca, e (senza alcuna vergogna havere) di
servente” (ibídem). L’elenco dei consigli
alla giovane maritata continua, è necessario affrontare il carattere del marito, se
“sarà superbo, bisogna che contra questa
superbia opponga lo scudo della humiltà:
se sdegnoso, quello della patietia” (Dolce,
1545: 49). In più, il trattatista afferma che
la sposa non deve mai prendere in considerazione la felicità di altre maritate che
magari sembrano più felici proprio perché
“chi può saper quello, che giace ascoso
sotto i tetti di tante case?” (ibídem).
Dunque, la donna coniugata per ottenere la felicità e la tranquillità in casa deve
sapere quando è il momento giusto per
parlare, per rilevare i suoi errori commessi
e nello stesso tempo deve sapere quando
bisogna tacere:
et se peraventura (quel, ch’è più difficili a
supportare) egli trasportato da ira, o da
qualche infirmità d’animo, s’inducesse a
batterla; tenga alhora d’esser dalle mani
di Dio per castigo de suoi peccati battuta:
Anchora che di rado avverrà, che la buona
moglie e prudente sia battuta dal marito
(Dolce, 1545: 50).
Ciò nonostante, tutto quello che avviene nell’ambito domestico, le sofferenze,
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i disagi, le difficoltà “si debbono tener
rinchiusi e sepelliti dentro le case” (Dolce, 1545: 50) per proteggere la fama e il
nome del marito. In aggiunta, la maritata,
“si dimostri verso di lui, quale si sogliono dimostrar le buone madri verso sì fatti
figliuoli” (ibídem). In merito a tale argomento, e secondo i suggerimenti proposti,
il trattatista riassume il suo ragionamento
affermando che:
ora, quale egli si sia, è marito, capo, e Signore della femina: dato a lei da Dio, dalla chiesa, e dai parenti. di tanto numero d’huomini
questa è la sorte et la parte sua: bisogna
che si contenti, e supporti con buono animo
quello, che mutare non si può: bisogna, che
lo ami, che l’honori, e che l’osservi: se non
per lui (che per lui, in quanto è marito, si
dee amare, honorare, e osservare) per coloro, che glie l’hanno dato, e per la fede da
lei obligata nel maritare (Dolce, 1545: 50).
In seguito, il discorso mette in risalto il
fatto che la maritata è obbligata ad avere
come assoluta priorità i bisogni del marito,
e deve mirare sempre alla soddisfazione
delle sue esigenze poiché in tal modo la
casa sarà regnata dalla concordia, dalla
pace e dalla carità. In caso contrario la
loro dimora “che dovrebbe esser casa di
pace e d’amore, è fatta albergo d’odio e di
discordia” (Dolce, 1545: 51).
È necessario evidenziare che lo scrittore insiste sul valore fondamentale della
concordia come elemento indispensabile
per la felicità e la tranquillità degli sposi
nel matrimonio, al contrario la discordia
genera soltanto ostacoli e sventure. Per
consolidare la sua riflessione il trattatista
cita Pitagora e i principali insegnamenti ai
suoi allievi, uno dei quali era “dalla casa
la discordia” (ibídem); quindi la pace nel
matrimonio si mantiene se la donna agisce costantemente nel quadro della conformità, del consenso, della comprensio-
ne. In tale contesto Dolce, sotto la voce
di Flaminio, afferma “che volendo nel
matrimonio la pace, vi sia la concordia: la
quale in buona parte è posta in mano alla
moglie” (Dolce, 1545: 52); ciò significa
che la maritata deve seguire il volere del
marito e il suo umore, “non gli si voglia anteporre in alcuna cosa’ [...] le ricchezze, le
povertà; le allegrezze, gli affanni; i beni e i
mali tenga communi egualmente” (Dolce,
1545: 53). Per il concetto della comunanza si rifà all’esempio dei Romani “che tra
il marito e la moglie alcuna cosa si potesse dir propria né distinta” (ibídem) e al
pensiero di Platone secondo cui “in una
bene ordinata Republica si debba levar
via queste voci Tuo e Mio” (ibídem). Così,
indipendentemente dal discorso relativo
al concetto della comunanza, la supremazia del marito è indiscutibile, è padrone e
Signore e la donna anche se porta da casa
sua dote e ricchezza considerevole, una
volta maritata tutto passa al marito, mentre la donna con “la honestà, la castità, la
bontà, la virtù, la obedientia, la diligentia
nel governo della famiglia, e sì fatti thesori:
dei quali s’ella è abondevole, è riccamente dotata d’ogni bene.” (ibídem).
Quindi l’interlocutore, esaltando il valore
della concordia come sfondo innegabile
per un matrimonio riuscito e mettendo in
evidenza le virtù preziose, riferite sopra,
come doti inestimabili della donna maritata, conclude questa sua argomentazione con l’esaltazione della devozione,
del rispetto e della fedeltà della sposa, il
che significa che “la sua obedientia deve
essere appoggiata sopra l’amore; dove
quella delle fanti procede solamente
dall’obligo et dalla timidità’’ (Dolce, 1545:
54).
Il ragionamento successivo riguarda il con
cui la maritata “si debba trattenere col
marito nelle dimore famigliari” (ibídem).
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Il trattatista presenta a tal proposito i suoi
suggerimenti e le regole che la sposa
deve rispettare e seguire nell’ambito del
focolare domestico. Quindi “tra il marito
e la moglie non doveva haver luogo ira né
amaritudine alcuna. [...] che con l’amore
si conviene accompagnare una grata piacevolezza e soavità di attioni’’ (ibídem). I
coniugi non devono avere nessun segreto
o desiderio nascosto, la moglie non deve
essere curiosa, non deve mai parlare male
al marito o offenderlo e ovviamenete mantenere la sua castità. Inoltre, deve scegliere vestiti che sono apprezzati e approvati
dal marito e lo stesso vale per tutti i lavori
di casa; insomma deve stare attenta a evitare le discordie.
Dopo la presentazione dei dettami del comportamento della maritata
nell’ambiente della casa, il trattatista passa a ragionare sulla gelosia e sui
grandi problemi che causa nel matrimonio. Per questa “acerbissima passione dell’animo” (Dolce, 1545: 55) che
potrebbe dimorare nella mente e nella
psiche di ambedue i coniugi, lo scrittore presenta le regole della condotta della sposa allo scopo di evitare la gelosia
del marito e i problemi consecutivi che
genera questo tormento disastroso. Oltre
allora alla virtù della castità, la maritata
ha l’obbligo di stare attenta a non creare
mai sospetto al marito per le sue azioni; il
che significa che non deve:
ammettere in casa persona alcuna, se non
di consentimento del marito: non parlar
d’alcun’ huomo, se non parcamente: non
mostrar molto desiderio di gire a feste, a visite, o dove che sia, se non di ordine del marito: non usare ornamenti, che avanzino il
costume di lei: non pregar con molta istanza
per altrui, et sì fatte cose: le quali tutte possono rendere odore di contaminato animo
(Dolce, 1545: 55).
Inoltre, è da notare che da questo ragionamento emerge un elemento essenziale: se
il doloroso sentimento della gelosia entra
nell’anima della maritata, in primis deve
pensare che il marito è il suo padrone, il
suo Signore e inoltre le leggi della castità riguardano le donne. Di conseguenza queste
due considerazioni sono i motivi per cui la
maritata non ha diritto alla gelosia, e “dee
la buona moglie tolerarlo con patientia”
(Dolce, 1545: 56). La successiva riflessione riguarda la gestione domestica e come
la maritata deve affrontare questo suo ruolo
rilevante. Le regole sono bene precise:
dee adunque la moglie esser diligentissima in conservare tutto quello, che entra in
casa, et fuggendo la prodigalità, non discenda però all’Avaritia; ma tenga una certa
temperatezza, che non si accosti al poco,
né al soverchio. Allegrisi di veder nel marito
spese di honore, et opere di charità. Provegga, ch’alla famiglia niuna cosa manchi: [...]
Non sia verso i famigliari aspra, né dura, ma
benigna e piacevole. [...] che fosse severa
senza asprezza, e diligente senza violentia:
(Dolce, 1545: 57).
Lo scrittore-interlocutore, per consolidare il
suo discorso riporta il parere dell’Apostolo
Paolo il quale “aggiunge alla prudentia ed
alla castità della Donna la cura delle cose
della famiglia” (Dolce, 1545: 58). L’ultimo
ragionamento riporta il pensiero aristotelico per sottolineare e riassumere in forma di epilogo i dettami da seguire per il
governo del domicilio. Mette in evidenza
il peso fondamentale del ruolo della maritata al trattamento “di tutte le cose che
sono dentro la casa” (ibídem); il marito ha
il compito di “aquistare” e la moglie quello di “conservare”. In più la donna coniugata deve avere un atteggiamento di rispetto sia nei confronti del marito che nei
confronti delle leggi matrimoniali imposte
da Dio, allevare figli disciplinati e onesti,
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seguire una vita di indiscutibile castità ed
eccellenti virtù, tutti elementi essenziali
per il profilo ideale della donna maritata,
ma soprattutto la coniuge deve sempre
prendere in considerazione che “sì come
non può esser fiamma senza luce; così è
necessario, che la virtù sia accompagnata
dall’honore”(Dolce, 1545: 62).
3. La formazione della
maritata - Conclusioni
Sintetizzando dunque le idee di Lodovico
Dolce, voce maschile che espone i dettami della buona condotta e le regole indispensabili per l’educazione della maritata,
notiamo che:
per una donna il giorno della vita arriva presto,
come sposa e novella madre. Il primo grande
cambiamento in una vita femminile era il passaggio dalla fanciullezza a un breve periodo
di adolescenza, quando veniva detta “da maritare”, in età da marito –cioè, postpuberale–
ma non ancora sposata. Questa breve fase e il
suo culminare nelle nozze [...] rappresentava
l’apice rituale della vita di una donna, segnato
da cerimonie e attenzione pubblica; un momento atteso –e spesso anticipato– con eccitazione e timore, sia dalla fanciulla che dalla
sua famiglia (Baernstein, 2006: 217).
Nel secondo libro del Dialogo dedicato
all’educazione della donna maritata prevale “un modello di mentalità, oltre che di
femminilità, che sta alla base del moderno
concetto di famiglia, intesa anche come
cellula di un piu vasto tessuto sociale tenuto insieme da coesioni aggregative’’
(Sberlati, 1997: 162). Lodovico Dolce mira
a istruire, a preparare la donna coniugata per affrontare lo stato maritale e i suoi
consigli sono delle norme che vanno di
pari passo con lo spirito e con le esigenze
della sua epoca il che significa:
l’ascesa della donna borghese e [...] la
decadenza della donna aristocratica [...]
si installa la perfetta donna schiettamente ‘borghese’, tutta chiesa e famiglia, il cui
modello sociale dominera praticamente con
indisturbata prevalenza sino all’emergere
del movimento femminista nel nostro secolo
(Sberlati, 1997: 162).
Ovviamente tutto il percorso formativo della donna si basa in primis sul valore della
formazione della vergine la quale, dotata
delle caratteristiche appropriate come la
castità e la verginità, è in possesso dei
requisiti indiscussi per passare allo stato
della maritata in modo degno. Lodovico
Dolce tra le norme e i suggerimenti che
propone è fondamentale “quello che deve
considerare la sposa prima, che ella entri
in casa del novello marito’’ (Dolce, 1545:
4). Il trattatista introduce dal primo libro
la tematica dello sposalizio e si sofferma
su due punti: il primo è il ruolo del padre
nella scelta del marito a cui “si dava consiglio [...] che fossero diligenti consideratori nel maritar delle figliuole; non le ricchezze, ma gli huomini prudenti e di sano
intelletto cercando” (Dolce, 1545: 36). Il
secondo punto è:
il parallelismo dello sposalizio con il lavoro “di buoni e accurati Agricoltori” (Dolce,
1545: car.36), i quali hanno l’obbligo di “riguardare in qual terreno spargano il seme”
(Dolce, 1545: car.36). Quindi la giusta
scelta del consorte è fondamentale perché
la fanciulla senta “di haver trovato non un
marito, quale si desiderava per lei: ma, che
un’Angelo le sia mandato da cielo per sostegno e scorta de passi suoi” (Dolce, 1545:
car.37) (Boubara, 2020: 58).
Dunque, tutta questa preparazione conduce alla creazione di una donna modello
che quando entra nel suo nuovo ambiente
domestico sarà in grado di affrontare con
abilità e successo il ruolo di moglie, madre
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e padrona di casa. Dolce tramite il ritratto
della sposa ideale suggerisce una specie
di canone secondo il quale la donna coniugata deve affrontare e amare il marito
come Signore e capo di tutto, quindi essere obbediente, fedele, casta, saggia nel
parlare e nell’agire, deve fare di tutto per
mantenere la concordia matrimoniale, saper gestire la passione della gelosia, educare i figli con disciplina, saper governare
la casa proficuamente per tutta la famiglia
e onorare sempre con le sue virtù sé stessa, il consorte e il suo focolare domestico.
In sostanza il secondo libro del Dialogo di
M. Lodovico Dolce della institution delle
donne secondo li tre stati che cadono nella vita humana offre un piano di formazione completo, finalizzato all’acquisizione di
competenze adatte all’inserimento della
donna nella società borghese del sedicesimo secolo. Ciò emerge anche dalle parole
di Dorotea, interlocutrice del dialogo, che
dopo aver sentito la presentazione dei suggerimenti per l’educazione della donna
maritata espone il suo parere in merito e
dichiara che “Voi, Signor Flaminio, havete vinta l’aspettation mia. Et questa vostra
sposa è tale, che merita esservi invidiata
da tutti gli huomini’’ (Dolce, 1545: 62).
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