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Gli Houthi: storia ed evoluzione del movimento armato yemenita

2024, Approfondimento per il Focus Senato Mediterraneo Allargato n°7, Osservatorio di Politica Internazionale, ISPI

Dal novembre 2023 la vicenda degli houthi dello Yemen si è intrecciata alla guerra fra Israele e Hamas a Gaza, soprattutto in seguito agli attacchi alla navigazione commerciale nella regione del Mar Rosso da parte del movimento politico e armato yemenita sostenuto dall'Iran. Per comprendere la storia, l'identità, la leadership e gli obiettivi degli houthi (Ansar Allah) occorre però soffermarsi sugli equilibri, nonché squilibri, politici e militari che hanno segnato lo Yemen contemporaneo e che hanno consentito a un movimento di guerriglia locale di trasformarsi in un attore dal peso regionale.

Gli Houthi: storia ed evoluzione del movimento armato yemenita Di Eleonora Ardemagni Approfondimento per il Focus Senato Mediterraneo Allargato n°7, Osservatorio di Politica Internazionale, ISPI, luglio 2024 https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/gli-houthi-storia-ed-evoluzione-delmovimento-armato-yemenita-179907 Dal novembre 2023 la vicenda degli houthi dello Yemen si è intrecciata alla guerra fra Israele e Hamas a Gaza, soprattutto in seguito agli attacchi alla navigazione commerciale nella regione del Mar Rosso da parte del movimento politico e armato yemenita sostenuto dall’Iran. Per comprendere la storia, l’identità, la leadership e gli obiettivi degli houthi (Ansar Allah) occorre però soffermarsi sugli equilibri, nonché squilibri, politici e militari che hanno segnato lo Yemen contemporaneo e che hanno consentito a un movimento di guerriglia locale di trasformarsi in un attore dal peso regionale. Chi sono gli houthi. Identità, influenze, obiettivi Gli houthi1 (che dal 2011 si definiscono Ansar Allah, “partigiani di Dio”) sono etnicamente arabi e appartengono alla confessione islamica sciita zaidita, come il 30-40% dell’intera popolazione yemenita (oltre 30 milioni). Tuttavia, non tutti gli zaiditi dello Yemen sostengono gli houthi. Lo zaidismo differisce dottrinalmente dal filone degli sciiti duodecimani o jafariti, il ramo sciita dominante in Iran, e non è invece così distante nelle pratiche quotidiane dalla scuola della giurisprudenza sunnita (madhab) prevalente in Yemen, ovvero lo sciafeismo2. Dall’897 al 1962, il nord dello Yemen fu un imamato, ovvero uno stato in cui l’imam esercitava – come tipico degli zaiditi – il potere religioso e temporale insieme. Per questo motivo dopo la rivoluzione repubblicana del 1962 che pose fine all’esperienza dell’imamato, i religiosi zaiditi sono stati ampiamente emarginati nella Repubblica araba dello Yemen (1962-1990), così come nello Yemen unito nato nel 1990 dall’unificazione tra nord e sud: i governanti repubblicani hanno sempre temuto che i religiosi zaiditi volessero restaurare l’imamato. “Houthi” (o meglio “huthi” in arabo) è il cognome del fondatore del movimento, Husayn alHouthi, che iniziò a predicare negli anni Ottanta nella regione montuosa di Saada, il governatorato dell’alto nord al confine con l’Arabia Saudita, tuttora feudo del gruppo. 1 Per approfondire si veda, N. Niarchos, “The Risks in Attacking the Houthis in Yemen”, The New Yorker, 31 gennaio 2024; Eleonora Ardemagni, The Huthis: Adaptable Players in Yemen’s Multiple Geographies, CRiSSMA-Centro di ricerche sul sistema sud e il Mediterraneo allargato (CRiSSMA), Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Educatt, N° 25, 2019 2 Quella dello sciafeismo è una giurisprudenza islamica che mescola la tradizione con l’uso della ragione e si distingue perciò dalle rigidità dogmatiche dell’hanbalismo, di cui il wahhabismo saudita è un’espressione. Inoltre Huth è il nome di una città nel governatorato di Amran (nord di Sana'a) dalla quale alcune famiglie vicine ad al-Houthi provenivano. Durante la presidenza di Ali Abdullah Saleh il governo yemenita iniziò a indicare con il cognome/luogo “houthi” coloro che seguivano i discorsi di al-Houthi. La famiglia al-Houthi non è di estrazione tribale, ma appartiene all’élite religiosa degli zaiditi (sayyid; sāda) e rivendica una discendenza diretta dal lignaggio del profeta Maometto (sono hashemiti). Questo pone la famiglia al-Houthi al vertice della gerarchia sociale in Yemen, a differenza della maggior parte degli yemeniti che sono invece di lignaggio tribale. Il processo decisionale del movimento houthi avveniva, e avviene tuttora, all’interno della cerchia ristretta del gruppo nato a Saada che, oltre alla famiglia al-Houthi, include pochi religiosi, notabili e comandanti militari locali. Ad esempio, il fondatore Husayn (ucciso nel 2004 dall’esercito yemenita) è stato il primo leader del gruppo e alla sua morte è seguito il fratellastro Abdelmalek, l’attuale leader; il padre Badreddin è stato il principale ideologo del movimento; Mohammed Ali (cugino di Abdelmalek) è stato il capo del Comitato rivoluzionario supremo formato a Sana'a dopo il colpo di Stato del 2015 e ora guida il Consiglio politico supremo che governa di fatto i territori del nord-ovest. Il leader Abdelmalek vive oggi nascosto nella roccaforte di Saada e non risulta sia mai stato all’estero da quando ha assunto la guida del movimento armato. Negli anni Ottanta il fondatore Husayn studiò l’islam, insieme al padre Badreddin, nell’Iran post-rivoluzionario della Guida suprema Ruhollah Khomeini ed entrò in contatto con i seminari religiosi (hawza; hawzat) delle città sante sciite di Qom (Iran) e Najaf (Iraq). Nei primi anni Novanta, Husayn al-Houthi si recò in Sudan per approfondire gli studi sull’islam, negli stessi anni e nello stesso ambiente culturale in cui visse Osama bin Laden, il fondatore di al-Qaeda, prima quest’ultimo tornasse nell’Afghanistan governato dai talebani. Gli anni della permanenza di Badreddin in Sudan furono caratterizzati anche da un periodo di influenza iraniana durante il regime di Omar al-Bashir e Hassan al-Turabi, all’epoca entrambi legati alla Fratellanza musulmana. Pertanto, il pensiero del fondatore degli houthi è tanto aperto alle contaminazioni culturali, quindi sincretico, quanto chiuso, dunque dogmatico, nell’elaborazione religiosa. Un’apparente contraddizione che non ha però impedito al movimento di mostrarsi pragmatico nelle fasi decisive della storia yemenita recente, privilegiando la logica della convenienza politica. Di certo, la connotazione rivoluzionaria del movimento è forte: gli houthi hanno unito il khuruj della tradizione zaidita, ovvero la ribellione contro un sovrano considerato ingiusto che distingue gli zaiditi dal quietismo degli altri sciiti, al discorso antiimperialista e di “resistenza” importato dall’Iran khomeinista post-1979. Gli obiettivi fondanti del movimento possono essere sintetizzati principalmente in: rilanciare lo zaidismo in Yemen riportandolo alle origini; contrastare il sostegno del governo yemenita e dell’Arabia Saudita alle scuole coraniche (madrasat) a indirizzo salafita e alle milizie tribali nell’alto nord finanziate in chiave anti-zaidita; porre fine all’emarginazione del nord dalla rappresentanza politica e dalla distribuzione dei proventi del petrolio. Gli insegnamenti orali di Husayn al-Houthi, poi raccolti nel Malazim (“fascicoli”), sono ancora oggi il riferimento valoriale dei seguaci. Infatti, il fondatore del movimento veniva chiamato il “Corano parlante” poiché rifiutava la tradizione (sunna), nonché l’uso della ragione e l’interpretazione del testo (ijtihad), ovvero ogni altra fonte di giurisprudenza islamica che non fosse il libro sacro. Una parte significativa del mondo religioso zaidita prese le distanze dalla predicazione di al-Houthi nel 2004, pochi mesi prima della sua morte, con una dichiarazione pubblicata dal quotidiano del partito politico sciita Hizb al-Haqq, con il quale Husayn al-Houthi venne eletto in Parlamento tra il 1993 e il 1997. Da quelle colonne molti religiosi zaiditi accusarono al-Houthi di errori e innovazioni, dunque di discostarsi dalla tradizione zaidita che egli dichiarava invece di voler ripristinare. Sul tema del ritorno all’imamato, invece, gli houthi sono finora rimasti elusivi. Nel 2019 essi hanno poi reso pubblico un documento che delinea la fisionomia del futuro stato. Il testo si chiama “National Vision” e descrive lo Yemen come una repubblica dominata da Ansar Allah. L’istituto dell’imamato non viene menzionato, né tanto meno viene indicata l’istituzionalizzazione formale di una guida religiosa, differenziandosi così dalla dottrina del giurisperito (velayat-e faqih) dell’Iran post-1979, di cui la Guida suprema è il cardine. Tuttavia, il ruolo di Abdel Malek al-Houthi come leader supremo nella futura repubblica viene già dato per scontato. Negli anni, il movimento houthi ha dato prova di pragmatismo e abilità politica, a dispetto dell’impianto dogmatico del fondatore. Come nella tradizione della politica yemenita, anche le alleanze interne degli houthi si sono rivelate flessibili, dunque mutevoli, guidate da convenienze politiche piuttosto che da appartenenze ideologico-settarie. Gli houthi hanno criticato e combattuto il presidente Saleh, schierandosi successivamente con lui contro le istituzioni della transizione istituzionale e poi di nuovo contro di lui, uccidendolo nel 2017. Allo stesso modo, la guerra con l’Arabia Saudita, iniziata nel 2015 e ancora in corso, non ha scoraggiato gli houthi dall’accettare, a partire dal 2023, colloqui diretti con Riyadh con tre obiettivi: essere riconosciuti come interlocutori, marginalizzare il governo riconosciuto yemenita e ottenere concessioni economiche per i territori controllati. Le quattro fasi di evoluzione del movimento armato: resistenza, insurrezione, rivoluzione e interferenza La traiettoria politica del movimento houthi può essere suddivisa in quattro fasi: resistenza, insurrezione, rivoluzione e interferenza. Anche le ambizioni politico-militari e i metodi di warfare del gruppo si trasformano a seconda delle fasi. La prima fase è quella della resistenza. Dopo le esperienze politiche di Husayn al-Houthi con partiti politici (Hizb al-Haqq) e formazioni (la Gioventù credente) dello sciismo zaidita, il movimento houthi prese forma all’inizio degli anni Duemila, quando il noto slogan (sarkha, l’urlo) “Dio è grande; morte all’America; morte a Israele; maledizione sugli ebrei; vittoria all’Islam” venne gridato per la prima volta dai sostenitori di al-Houthi contro il presidente yemenita Ali Abdullah Saleh in una moschea di Saada. È con quell’urlo-slogan che gli houthi intendono criticare il governo di Sana'a e, al tempo stesso, “resistere” alle sue politiche nonché alla sua presenza nel governatorato di Saada, dandosi così una connotazione militante. Agli inizi degli anni Duemila, gli houthi contestarono la presidenza Saleh, oltreché per le tradizionali rivendicazioni del gruppo, per le scelte di politica estera, a cominciare dall’alleanza di sicurezza con gli Stati Uniti. Dopo l’attacco di al-Qaeda alla USS Cole nel 2000 (cacciatorpediniere USA che subì un attacco suicida – in cui 17 marines rimasero uccisi – mentre sostava nel porto di Aden) e i tragici fatti dell’11 settembre 2001, il presidente americano George W. Bush aveva infatti offerto aiuti militari e finanziari a Saleh, con l’obiettivo di combattere al-Qaeda nella Penisola arabica (Aqap) e consolidare il suo governo in Yemen, nel contesto della guerra al terrorismo (war on terror). Un aiuto che Saleh non si lasciò sfuggire e che poi scaltramente utilizzò per combattere i suoi primi avversari politici, che non erano rappresentati dagli jihadisti ma dagli houthi. La seconda fase è quella dell’insurrezione. Le sei battaglie (2004-2010) combattute tra gli houthi e l’esercito yemenita (le “guerre di Saada”), consentirono al gruppo di passare gradualmente dalla resistenza contro la presenza del governo nel governatorato di Saada all’insurrezione armata. Le motivazioni alla base della guerra furono molteplici: la difesa dell’identità confessionale zaidita e dello status sociale degli hashemiti, le dispute territoriali e le rivendicazioni tribali nei confronti del governo centrale, l’ostilità crescente del movimento houthi contro la pervasività e le politiche dell’esecutivo volte a controllare i territori del nord. Lo scontro iniziò nel 2004 con la guerriglia nella roccaforte houthi. Pochi mesi dopo Husayn venne catturato e ucciso dall’esercito: i poster con le immagini del corpo del leader morto, appesi ai muri di Sana'a in segno di vittoria da parte dei filo-governativi, non fecero che rafforzare il culto del capo, alimentando tra gli houthi la narrazione del “martirio” cara agli sciiti3. Poi i combattimenti si estesero ad Amran, alla provincia settentrionale di Sana'a e lungo il confine yemenita-saudita. Nella fase di insurrezione, i metodi di warfare degli houthi furono quelli tipici delle guerre di guerriglia nonché delle piccole guerre nei territori a prevalenza tribale: uso di armi leggere e di piccolo calibro, cecchini e imboscate, bombe anche molotov, lancia granate e mine terrestri. L’esercito non fu in grado di sconfiggere l’insurrezione houthi, optando quindi per una guerra ibrida dispiegando, accanto alle unità d’élite della Guardia repubblicana anche le milizie tribali salafite che scelsero di combattere per il governo. Nel 2009 gli houthi iniziarono incursioni transfrontaliere in territorio saudita e il regno reagì intervenendo contro i miliziani del nord dello Yemen. Le guerre di Saada si conclusero nel 2010 con un cessate il fuoco: né l’esercito yemenita né i sauditi riuscirono dunque a sconfiggere il movimento armato, che divenne nei fatti forza di autogoverno nel 3 Il riferimento storico è al martirio dell’imam Hussein nel 680 a Karbala (Iraq) da parte delle truppe califfali, episodio che sancisce la divisione fra sciiti e sunniti nel mondo islamico, rievocato ogni anno con la festività sciita dell’ashoura. governatorato di Saada. Le radici dell’attuale conflitto in Yemen devono dunque essere ricercate nelle guerre di Saada. La terza fase è quella della rivoluzione, con il movimento che, tra il 2011 e il 2015, acquisì gradualmente un profilo regionale. Nel 2011 gli houthi si unirono alla rivolta popolare di Sana'a contro il governo autoritario di Saleh, nel contesto delle “Primavere arabe”. Quando a fine 2011 Saleh dovette dimettersi, a causa delle richieste della piazza, delle crepe nell’élite al potere e soprattutto delle pressioni saudite per lasciare spazio a un governo di power-sharing per la transizione istituzionale (tra il partito di Saleh e Islah, il raggruppamento dei Fratelli Musulmani e di parte dei salafiti), gli houthi si rivelano abili nel giocare contemporaneamente a tre diversi “tavoli”. A livello istituzionale, nel 2013-2014 una delegazione houthi partecipò alla Conferenza di dialogo nazionale per riscrivere la Costituzione; a livello politico-tribale, gli houthi strinsero un’alleanza informale con il blocco di potere dell’ex presidente Saleh, ottenendo così il sostegno o la neutralità della maggior parte delle tribù delle regioni settentrionali e della periferia di Sana'a; a livello militare, gli houthi avanzarono da Saada ad Amran per poi allestire accampamenti nella capitale Sana'a, incontrando un’opposizione sporadica o addirittura assente da parte delle tribù locali e dell’esercito, i cui soldati sostenevano ancora in gran parte Saleh. Dopo il breve esperimento di un governo di unità nazionale, gli houthi portarono a compimento il colpo di stato, con l’occupazione del palazzo presidenziale di Sana'a nel gennaio 2015. Il gruppo arrestò il presidente ad interim Abd Rabbu Mansour Hadi ponendolo ai domiciliari (da cui Hadi riuscì poi a fuggire riparando ad Aden), formò un comitato rivoluzionario e promulgò una dichiarazione costituzionale. Nel marzo 2015 l’Arabia Saudita organizzò una coalizione militare araba di nove paesi (tra cui Qatar, Bahrein, Egitto, Marocco, Giordania, Sudan) per ripristinare le istituzioni riconosciute nello Yemen, con gli Emirati Arabi Uniti a guidare le operazioni di terra. Il colpo di stato degli houthi fu possibile grazie al sostegno del blocco di potere dell’ex presidente Saleh, rappresentato dal partito-ombrello del General People’s Congress. Questa alleanza di convenienza, creatasi per opporsi alla transizione istituzionale, permise agli houthi di accedere all’arsenale militare dell’esercito regolare: carri armati, artiglieria, missili di fabbricazione sovietica. Da quel momento in poi, gli houthi svilupparono nuove e migliori capacità militari, integrando gli strumenti della guerra convenzionale alle originarie tattiche di guerriglia. In seguito, il sostegno militare dell’Iran – che divenne sistematico dal 2015 – si rivelò decisivo per la fornitura di armi e per l’addestramento, consentendo agli houthi di adottare anche abilità di warfare asimmetrico, con l’utilizzo di missili e droni contro attori statuali. Questa combinazione di fattori ha permesso la trasformazione degli houthi da attore locale ad attore regionale, con un numero di combattenti oggi stimato attorno alle 100.000 unità. Il potenziamento delle capacità missilistiche e l’utilizzo offensivo dei droni (compresi barchini esplosivi di superficie, droni sottomarini e mine marittime) ha rappresentato un punto di svolta per la guerra degli houthi, con il lancio del primo missile balistico a medio raggio avvenuto contro l’Arabia Saudita nel 2019. Nel periodo 2016-2022 gli houthi colpirono ripetutamente il territorio saudita e in misura minore quello emiratino, attaccando anche obiettivi costieri e marittimi nel Mar Rosso. Secondo i dati raccolti da Acled (Armed Conflict Location and Event Data Project), sono stati quasi 1000 i missili e i razzi lanciati dagli houthi contro l’Arabia Saudita nel periodo in esame, e oltre 350 gli attacchi con droni4. Nonostante una chiara asimmetria militare rispetto alla coalizione araba, gli houthi furono in grado di consolidare il loro “stato” nel nord-ovest, combinando repressione e predazione. In questo contesto, la tregua nazionale mediata dalle Nazioni Unite nel 2022, ancora applicata seppur tecnicamente mai più rinnovata, ha ampiamente ridotto la violenza in Yemen, arrestando anche gli attacchi degli houthi contro i vicini del Golfo. In particolare, l’apertura di colloqui diretti tra l’Arabia Saudita e gli houthi nel 2022 ha contribuito a diminuire le tensioni al confine yemenita-saudita, sebbene non sia ancora stato firmato un cessate il fuoco bilaterale. L’ultima fase è infine quella dell’interferenza. Dalla fine del 2023 gli attacchi degli houthi contro la navigazione commerciale nel Mar Rosso meridionale, nello stretto di Bab elMandeb e nel Golfo di Aden, condotti con il sostegno d’intelligence dell’Iran, hanno segnato una nuova fase per il movimento armato yemenita: quella dell’interferenza negli equilibri globali. Il disturbo delle rotte marittime in “solidarietà con Gaza” per l’intervento militare di Israele, seguito all’attacco di Hamas del 7 ottobre, ha portato molte compagnie di trasporto a cambiare rotta evitando il Mar Rosso. Secondo Acled gli houthi hanno condotto oltre 90 attacchi con missili e droni nel periodo novembre 2023-maggio 2024 (oltre una cinquantina di attacchi invece per la US Maritime Administration), compreso il sequestro della nave cargo “Galaxy Leader” e dei 25 membri dell’equipaggio attualmente ancora in ostaggio. Il comandante della missione europea Aspides, Vasileios Gryparis, ha affermato che “dall’inizio dell’operazione Aspides il 19 febbraio 2024 a oggi [25 aprile 2024], il livello della minaccia rimane lo stesso”5. Secondo alcune indiscrezioni, gli houthi avrebbero stretto un accordo informale con Russia e Cina per non colpire le loro navi in transito dal Mar Rosso in cambio di un non meglio precisato sostegno diplomatico6, tuttavia una petroliera di proprietà cinese il 24 marzo è stata colpita provocando un incendio a bordo (MV Huang Pu). Inoltre, due navi cargo di proprietà greca che trasportavano grano destinato all’Iran sono state egualmente attaccate dagli houthi (MV Star Iris, 12 febbraio; Laax, 28 maggio). 4 The Armed Conflict Location & Event Data Project (ACLED), Beyond Riyadh: Houthi Cross-Border Aerial Warfare 2015-2022, 17 gennaio 2023 https://acleddata.com/2023/01/17/beyond-riyadhhouthi-cross-border-aerial-warfare-20152022/#:~:text=Between%202015%20and%202%20April,2015%20to%2089%25%20in%202022. 5 The Armed Conflict Location & Event Data Project (Acled), Red Sea Attacks Dashboard; G. Obeid, “Exclusive-Houthi threats still persistent in Red Sea, Gulf of Aden: EU’s Aspides Commander”, Al Arabiya, 25 aprile 2024 6 S. Dagher e M. Hatem, “Yemen’s Houthis Tell China, Russia Their Ships Won’t Be Targeted”, Bloomberg, 21 marzo 2024 Gli attacchi nel Mar Rosso permettono agli houthi di mobilitare gli yemeniti intorno alla popolare causa palestinese e accrescere il reclutamento nelle aree controllate, distrarre dai fallimenti del loro governo non riconosciuto e repressivo nel nord-ovest del paese – che non riesce a pagare gli stipendi pubblici né a fornire servizi alla popolazione – e rafforzare la posizione regionale del movimento nonché la sua visibilità internazionale, facendo leva sul tradizionale discorso antimperialista contro Israele e gli Stati Uniti. Inoltre, l’offensiva marittima rafforza il potere di trattativa degli houthi nel negoziato bilaterale con l’Arabia Saudita. Il quasi-governo repressivo degli houthi. Istituzioni, economia e società Nel periodo 2015-2017 la coabitazione tra gli houthi e gli alleati del General People’s Congress aveva permesso al movimento-milizia di entrare nelle istituzioni territoriali nominando figure (i supervisori) che affiancassero governatori e autorità locali, controllando l’operato di quest’ultimi. Dopo l’uccisione di Saleh a fine 2017, gli houthi hanno assorbito ciò che rimaneva del suo blocco di potere sul territorio (tribale, economico e militare), occupando tutte le caselle amministrative e i gangli dell’economia yemenita del nord-ovest del paese (ne è un esempio il settore delle telecomunicazioni), tranne i giacimenti di petrolio ancora controllati dal governo. Gli houthi hanno preso il controllo della Banca centrale di Sana'a e della moneta. Tuttavia, la duplicazione di istituzioni e valute rispetto al governo riconosciuto rilocato ad Aden si è trasformata in una “guerra economica” dentro il conflitto armato, generando un ulteriore peggioramento dell’inflazione. Inoltre, gli houthi traggono profitto dai molti network di contrabbando che attraversano lo Yemen, in parte legati all’Iran. Si tratta soprattutto di carburante e armi e secondo le investigazioni del Panel degli esperti delle Nazioni Unite, forse anche di produzione e traffico di droga (il qat yemenita)7. Dopo nove anni di guerra, gli houthi non sono più solo warlords, signori della guerra, né tanto meno ribelli, ma sono diventati “statelords”, signori di un quasi-stato non riconosciuto. Oggi infatti il gruppo impone, riscuote e finanzia la guerra tramite tasse (dalla tradizionale zakat, l’elemosina islamica, alla recente introduzione del khums sciita, la tassa sul quinto dei profitti), tasse portuali e dazi doganali, confiscando inoltre terreni e proprietà. Nelle aree controllate dagli houthi la predazione economica si coniuga con la repressione della libertà di pensiero (molti giornalisti locali sono stati uccisi o incarcerati), di manifestazione, dei diritti delle donne e delle minoranze etniche e religiose (ebrei e baha’i). Gli houthi hanno riformato il sistema educativo insegnando il pensiero del fondatore Husayn al-Houthi nelle moschee e nelle scuole, organizzano campi estivi giovanili di indottrinamento e i dipendenti pubblici, le reclute e gli imam devono sottoporsi, per poter lavorare, a un “corso culturale”. Il movimento continua ad arruolare bambini dai dieci anni in su come soldati, nonostante il piano d’azione sottoscritto con le Nazioni Unite nel 2022. 7 United Nations Security Council, Panel of Experts on Yemen 2023, p. 45. Secondo l’Unicef ne sarebbero stati reclutati almeno 3900 dal 20158, in misura minore anche da milizie avversarie. Gli houthi hanno inoltre imposto crescenti restrizioni alle libertà delle donne, ad esempio introducendo la figura del guardiano maschio (mahram) per gli spostamenti interni. Il rapporto con l’Iran, l’asse della resistenza e la “politica estera” degli houthi Senza il sostegno di quella parte di esercito yemenita ancora fedele a Saleh, gli houthi non avrebbero potuto trasformarsi da insorgenti in rivoluzionari; ma senza l’alleanza con l’Iran, essi non sarebbero riusciti a diventare un attore politico-militare sofisticato e capace di attaccare oltre i confini nazionali yemeniti. Dal 2009 l’Iran avrebbe iniziato a fornire una limitata quantità di armi agli houthi, nel contesto delle guerre di Saada9. Dopo l’inizio dell’intervento saudita nel 2015, il sostegno militare dell’Iran agli houthi è invece diventato massiccio e costante. Teheran ha sostenuto il gruppo yemenita con la fornitura di armi in violazione dell’embargo Onu e attraverso l’addestramento dei combattenti, a cui partecipano anche miliziani dell’Hezbollah libanese. L’alleanza fra houthi e Iran è stata costituita in chiave anti-saudita e torna utile a entrambi: il movimento armato yemenita sfrutta la vicinanza a Teheran per rafforzarsi internamente e accreditarsi a livello regionale; l’Iran acquisisce una finestra geopolitica sul Mar Rosso e può mettere pressione al rivale regionale saudita mediante gli houthi, ottenendo così un grande ritorno strategico in cambio di un limitato impegno militare e finanziario in favore degli (ex) insorti. Infatti, il movimento yemenita è economicamente autonomo dall’Iran da cui riceve aiuti finanziari assai meno cospicui di altri gruppi filo-iraniani in Medio Oriente. Anche questo fattore evidenzia il carattere peculiare degli houthi all’interno del cosiddetto Asse della resistenza guidato dall’Iran. Infatti, gli houthi non sono creazioni della Repubblica islamica né suoi attori per procura, ma alleati che condividono con Teheran una visione del mondo e un comune orizzonte strategico conservando, però, una spiccata autonomia decisionale, dovuta a una storia e a una leadership locale, dunque a un’agenda politica specifica. Negli anni, il coordinamento militare fra gli houthi e il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (pasdaran, Irgc) è cresciuto: ad esempio, è stato creato il jihad council in Yemen, un organismo presieduto da Abdel Malek al-Houthi con un assistente dei pasdaran iraniani e un vice assistente di Hezbollah. Fra houthi e Repubblica islamica vi sono tuttavia delle differenze: Abdel Malek a-Houthi non ha incarichi ufficiali nel “quasi-stato” houthi, a differenza della Guida suprema Ali Khamenei in Iran, a capo di un inamovibile potere religioso parallelo a quello del presidente eletto. Inoltre, è stata la politicizzazione dello sciismo duodecimano in Iran dopo la rivoluzione del 1979 ad averlo avvicinato agli sciiti zaiditi dello Yemen di cui gli houthi fanno parte – non il contrario – dato che il ruolo politico della Guida suprema ricalca quello tradizionale dell’imam zaidita. Sul piano internazionale, solo l’Iran riconosce il “governo” degli houthi nel nord-ovest. In passato – 8 “UN: At least 3,774 children killed in Yemen’s civil war”, Associated Press, 12 dicembre 2022 9 “Iran arming Yemen’s Houthis since 2009: U.N.”, Al Arabiya, 1 maggio 2015 nel periodo 2020-2023 – anche la Siria l’aveva riconosciuto tornando poi sui suoi passi per riallacciare le relazioni diplomatiche con l’Arabia Saudita ed essere reintegrata nella Lega araba. Dal 2019, e soprattutto dal 2023, gli houthi hanno rimarcato sempre più l’appartenenza al network transnazionale di milizie filo-Iran, rivendicando l’attacco con missili e droni agli impianti di Saudi Aramco, in realtà partiti dal territorio iraniano e iracheno (nel 2019), e poi con la guerra fra Israele e Hamas a Gaza (dal 2023) seguita all’attacco del 7 ottobre. Un’alleanza divenuta quindi sempre più stretta e spesso esibita dagli stessi houthi. Ad esempio, il 16 marzo 2024 una delegazione del movimento yemenita e una di Hamas e del Jihad islamico palestinese si sono incontrate a Beirut per un raro meeting. Inoltre il portavoce nonché capo negoziatore degli houthi Mohammed Abdelsalam ha partecipato ai funerali del presidente iraniano Ebrahim Raisi e soprattutto, al successivo vertice di Teheran (23 maggio 2024) con i capi del cosiddetto Asse della resistenza (Hezbollah, Hamas, Jihad islamico palestinese, milizie sciite irachene pro-Iran). Tuttavia, l’offensiva houthi nel Mar Rosso si rivolge –anche con il supporto della propaganda mediatica del movimento – a un pubblico arabo e islamico più ampio della costellazione armata iraniana utilizzando, però, i temi e gli slogan della Repubblica islamica. Dunque è uno strumento che gli houthi utilizzano per perseguire obiettivi politici e d’immagine che vanno al di là del conflitto in corso a Gaza10, un’altra ragione che mostra come gli houthi siano i meno prevedibili tra gli attori filo-iraniani, nonché i meno controllabili da Teheran. Da tempo, il movimento armato yemenita sta delineando una propria “politica estera” che finora non si è rivelata in contrasto con gli interessi dell’Iran, muovendosi nell’orbita degli alleati della stessa Teheran. Ad esempio, il portavoce degli houthi ha incontrato a Mosca il vice ministro degli esteri russo Mikhail Bogdanov (25 gennaio 2024) per discutere della situazione politico-militare in Yemen e nella regione. Questo incontro ha fatto seguito a uno precedente tenutosi nel 2019. Inoltre, più volte ufficiali del governo di Mosca hanno ricevuto esponenti degli houthi dopo il colpo di stato del 2015. Il rapporto con l’Arabia Saudita e le monarchie del Golfo Nei confronti dell’Arabia Saudita gli houthi si sono rivelati attori pragmatici. Nei suoi discorsi, Husayn al-Houthi non ha mai individuato nel regno saudita un nemico diretto, condannando piuttosto la diffusione del wahhabismo in Yemen da parte di Riyadh nonché stigmatizzando l’alleanza speciale fra Arabia Saudita e Stati Uniti. Nel 2009 quando Riyadh intervenne nelle guerre di Saada dopo lo sconfinamento degli houthi, sauditi e miliziani sciiti zaiditi si ritrovarono a combattere su fronti opposti. Tuttavia, nel 2013-2014 gli houthi parteciparono con una delegazione politica alla Conferenza di dialogo nazionale tra yemeniti che è parte di quel processo di transizione istituzionale patrocinato dall’Arabia Saudita. Nel 2015, dopo l’inizio dell’intervento militare della coalizione a guida saudita, il movimento armato yemenita sfrutta l’intervento militare di Riyadh in Yemen per connotarsi in chiave 10 Per gli obiettivi, si rimanda al paragrafo “interferenza” di questo Focus. nazionalista ergendosi – nel discorso politico – a difensore della nazione contro “l’aggressore esterno”. Nei discorsi dell’attuale leader Abdelmalek al-Houthi, l’Arabia Saudita viene additata come nemico più esplicitamente che in passato; tuttavia, i riferimenti negativi verso i sauditi vengono spesso accompagnati da quelli contro gli americani, come nel caso dell’intervento militare saudita in Yemen del 2015 definito come “aggressione sauditaamericana”. Tale retorica non ha però impedito agli houthi di accettare dal 2023 colloqui bilaterali con l’Arabia Saudita, prima indiretti poiché mediati dall’Oman, poi diretti, con la visita di una delegazione houthi a Riyadh nel settembre 2023. In questo contesto, Riyadh ha scelto di non partecipare alle missioni navali multinazionali organizzate da Stati Uniti e paesi dell’Unione europea a protezione della navigazione nel quadrante del Mar Rosso (“Prosperity Guardian”, “Eunavfor-Aspides), nel tentativo di prevenire la ripresa degli attacchi houthi contro il proprio territorio, nonché di finalizzare il cessate il fuoco bilaterale. Diversamente, il Bahrein, la monarchia-arcipelago che ospita la V Flotta della Marina USA, ha aderito a “Prosperity Guardian”. Dal 2015 Manama partecipa altresì alla coalizione a guida saudita in Yemen con un piccolo contingente. Gli Emirati Arabi Uniti, anch’essi parte della Coalizione tra il 2015 e il 2019, hanno fin qui mostrato l’approccio più risoluto e meno dialogante nei confronti degli houthi. Già nel 2018 le truppe emiratine erano pronte a capeggiare un’operazione di terra di milizie yemenite anti-insorti per liberare Hodeida e la costa del Mar Rosso: una campagna poi sfumata a causa della firma degli Accordi di Stoccolma mediati dall’Onu fra il governo riconosciuto e gli houthi (cessate il fuoco a Hodeida e porti limitrofi, ritiro delle forze belligeranti nell’area e dispiegamento di “forze locali”), a oggi mai completamente applicati. A inizio 2022 gli houthi hanno colpito il territorio degli Emirati Arabi Uniti quattro volte con missili e droni. Negli anni l’Oman ha gradualmente sostituito il Qatar nel ruolo di facilitatore tra houthi e sauditi, così come tra houthi e Nazioni Unite. Nel 2010 fu infatti Doha a mediare il cessate il fuoco tra gli houthi e il governo yemenita che pose fine alle guerre di Saada (2004-2010). Già nel 2007 l’emiro del Qatar visitò lo Yemen promettendo aiuti finanziari per la ricostruzione del nord se gli scontri fossero cessati. Attualmente, è invece il sultanato dell’Oman a svolgere un ruolo di diplomazia informale tra gli houthi e l’Arabia Saudita, facilitando il proseguimento dei colloqui bilaterali. Muscat ospita esponenti degli houthi, a cominciare dal portavoce politico e capo negoziatore Mohammed Abdelsalam. Nel 2023 emissari omaniti si sono persino recati a Sana'a per incontrare i vertici del movimento-milizia, con una mossa visibile che non è usuale per la discreta diplomazia dell’Oman. In parte, la forza negoziale del sultanato nei confronti degli houthi è dovuta alle relazioni cordiali tra Oman e Iran, ovvero l’alleato regionale nonché fornitore di armi degli houthi. Inoltre, il poroso confine terrestre fra Oman e Yemen così come le rotte del Mar Arabico che lambiscono le coste omanite sono un punto d’ingresso per le armi iraniane illegali destinate agli houthi (l’altra rotta passa per il Corno d’Africa e risale dal Mar Rosso verso lo Yemen). Sul piano diplomatico, Muscat è un collaudato facilitatore che gode della fiducia di tutti gli attori statuali coinvolti: Arabia Saudita, Iran, Stati Uniti e yemeniti.