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L'ULTIMO GIALLO VATICANO

2024, Nuovo Giornale Nazionale

retroscena della gaffe di Papa Francesco sui seminaristi gay

L’ULTIMO GIALLO VATICANO Vito Sibilio Il 20 maggio ultimo scorso è la data dell’ultimo giallo vaticano. In quel giorno la Conferenza Episcopale Italiana si è riunita in Vaticano a porte chiuse con Papa Francesco. Tra i vari argomenti trattati, le nuove norme della CEI sui candidati al sacerdozio. Il 16 novembre 2023 la stessa Conferenza Episcopale ha approvato la nuova Ratio nationalis formationis sacerdotalis per i seminari in Italia, per ottemperare al decreto di Papa Bergoglio dell’8 dicembre 2016, ossia la Ratio fundamentalis formationis sacerdotalis, promulgato dall’allora Congregazione – oggi Dicastero – del Clero. Tuttavia tra i due documenti vi è una differenza non da poco. Infatti il decreto pontificio, al capitolo ottavo lettera c, proibisce, come da tradizione, l’accettazione di candidati al sacerdozio che pratichino l’omosessualità, che abbiano tendenze omosessuali molto radicate e che sostengano la cosiddetta cultura gay. Invece la Ratio della CEI contiene una novità, ossia la possibilità di ammettere al sacerdozio persone con una tendenza omosessuale non radicata. Lo scampolo di chiarezza pretesca di una simile espressione non è sfuggito né al Dicastero per il Clero né al Pontefice, che, da gesuita, è senz’altro rotto ad ogni sottigliezza, ma a quanto sembra né l’uno né l’altro l’hanno apprezzato. Sapendo che il radicamento di una tendenza erotica non si misura con i volt o con i joule, il Papa ha capito che la CEI, sotto la pressione della pervasiva e potente lobby gay interna ed esterna alla Chiesa, vuole aprire un varco per fare entrare in seminario tutti, con conseguenti stravolgimenti disciplinari e forse persino dottrinali. Ragion per cui la Ratio CEI non è stata mai approvata, ma nemmeno respinta, perché nell’Episcopato italiano, nel suo clero e nel pueblo fidel il movimento omosessualista ha fatto molti proseliti, si spera solo teorici – non fosse altro per la dottrina che la Chiesa ufficialmente insegna. La riunione plenaria del 20 maggio è stata l’occasione per cercare di sbloccare l’empasse. Sembra, stando alla ricostruzione del blog MiL – MessainLatino – che sia stato il vescovo di Rimini, Nicolò Anselmi, assieme a un confratello sardo, a chiedere al Papa di approvare il documento. Anselmi ha preso notorie posizioni favorevoli al movimento gay e non stupirebbe questo suo intervento. Forse credeva che il Papa sarebbe stato compiacente, che lo stop venisse dalla Curia ma, in realtà, Francesco non ha nessuna intenzione di allentare le briglie. La risposta, stizzita, del Papa, di pancia, la conosciamo tutti ed è stata esplosiva, non tanto per il turpiloquio – senz’altro poco pontificale e del quale non è importante sapere se consapevole o meno in base al grado di conoscenza della lingua italiana Francesco ha – ma perché ha rivelato che di omosessuali nel clero ce ne sono troppi e che anche se non hanno un forte orientamento, non è il caso di ammetterli. Se la stampa mondiale fosse seria, e se quella occidentale, come l’italica, non fosse asservita alle norme per una informazione rispettosa del mondo LGBT – imposte in Italia dal Governo Monti e dal ministro piangente Fornero senza passare per il Parlamento nel 2012 e mai rimesse in discussione – il dibattito non sarebbe sulle parole del Papa ma sul loro contenuto. La Chiesa Cattolica, con il suo clero oligarchico e maschile, stando al suo capo supremo, che non è certo un militante antigay, ha già troppi omosessuali che, evidentemente, sono entrati a dispetto delle norme restrittive, che nessuno ha applicato. Inoltre la loro presenza non è stata affatto foriera di miglioramento della qualità morale del clero stesso, per cui essa non va assolutamente incrementata. Qual è dunque la reale situazione morale del clero italiano, a dieci anni dalla fine della riforma morale di Benedetto XVI? Non è dato saperlo. Come non è dato sapere chi abbia tradito il Papa, facendo arrivare alla stampa, dopo qualche giorno, la soffiata del suo turpiloquio, orwellianamente chiamato omofobo, così da scatenare una tempesta perfetta, nella evidente speranza che il Vaticano, sommerso dalle proteste, approvasse la Ratio CEI o almeno non fosse in grado di opporsi alla sua applicazione de facto. In tal senso sembra essersi espresso Francesco Savino, vice presidente della CEI, quando, nelle rettifiche sulle rettifiche inseguitesi in questi giorni, ha specificato che nessuno che non stia bene con la sua sessualità, etero o omo, deve diventare prete, sottintendendo che, se invece riesce a controllarla, può essere ordinato. Ma senza chiarire cosa fare se, dopo l’ordinazione, questo controllo venga meno. Infatti molti abbandonano i freni inibitori dopo le promesse di celibato ma, se a un etero si può consentire la secolarizzazione e le nozze, se le chiede, ad un omosessuale in crisi cosa la Chiesa potrebbe concedere per regolarizzare una posizione che, secondo la Bibbia, è contro natura? Se però questo fa capire la ragione dell’attacco al Papa, ossia sguarnire di protezione i settori più ortodossi dell’Episcopato italiano, già messi in minoranza dalla stesura della Ratio, la domanda a cui non si ha risposta è chi è stata la gola profonda che ha dato alla stampa la notizia delle esternazioni poco pontificali di Francesco. Il blog MiL, razionalmente, postula che la fuga di notizie abbia in Anselmi il suo artefice, nella speranza di condizionare le scelte del Papa. La capillare diffusione delle infelici frasi di Bergoglio da parte della stampa mondiale e la eco data alle voci di dissenso – persino un oscuro sacerdote delle mie parti, da sempre favorevole alle istanze del mondo gay, ha avuto il suo momento di gloria per una letterina aperta saccente e piena di tutto il contrario di quello che la Chiesa e lo stesso Papa Francesco insegnano in materia – fa chiaramente vedere che la cosa, concretizzatasi non subito dopo la riunione della CEI ma qualche giorno dopo, è stata preparata con cura. E fa anche vedere che l’Episcopato italiano, che è stato sempre la guardia pretoriana del Papa, ora tresca in modo piuttosto squallido contro il suo Capo, salvo accalcarsi attorno a lui per prebende, onori, titoli e berrette cardinalizie da ottenere. Così Papa Francesco, come Papa Benedetto ai tempi della lectio magistralis sul Dialogo di Manuele II Comneno, ha dovuto vivere la sua Ratisbona, chiedendo scusa questa volta all’arcipelago LGBT, al quale non sarà parso vero di sentir riesumate le parole frocio e checca per atteggiarsi a vittime dell’oscurantismo cattolico e cercare di strappare altre concessioni al Vaticano, più concrete di quelle peroniste e di facciata avute fino ad ora. Meno credibile è stata la ricostruzione della Nuova Bussola Quotidiana che, affermando che alla riunione a porte chiuse erano presenti anche giornalisti, ha insinuato che il Papa stesso abbia usato quel linguaggio per suscitare scandalo, creare il caso e aprire lui stesso la strada alla concessione dell’approvazione almeno di fatto. La cosa è talmente cerebrale e talmente inutile che mi sembra del tutto infondata. Se il Papa avesse approvato la Ratio subito, la notizia non sarebbe nemmeno arrivata ai media, data la sua tecnicità e dato che tutti l’avrebbero accettata, o con entusiasmo o con rassegnazione. Il dato che però emerge da questa insinuazione è che, dopo essere stato attaccato da sinistra, Bergoglio è ora bersagliato da destra, nella speranza di incrinare la sua credibilità davanti alla controparte. Non a caso Silerenonpossum, altro blog ferocemente antibergogliano, ha rilanciato l’improbabile notizia di un’altra gaffe segreta del Papa davanti ai sacerdoti di Roma, invitati a non pettegolare come donnette e a ricordarsi che a comandare sono quelli che portano i pantaloni. Cosa che, detta da un uomo in talare, appare piuttosto incredibile. La verità è che, dopo anni di equilibrismo, Papa Francesco non può più permettersi ambiguità con l’onnipotente lobby gay cattolica e questa, evidentemente, può solo ridimensionarne l’autorità effettiva, creando uno stato di fatto.