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Lo straniero nello spazio pubblico svizzero

2011

Lo straniero nello spazio pubblico svizzero. I dibattiti sulle procedure di naturalizzazione nelle diverse collettività linguistiche (1983-2008). Tesi di Spartaco Calvo Direttore di tesi Dr. Ursula Ganz-Blättler Presentata alla Facoltà di scienze della comunicazione Università della Svizzera italiana per il titolo di Dottore in Scienze della comunicazione Mese anno Febbraio 2011 Ringraziamenti. Innanzitutto non posso che ringraziare la mia direttrice di tesi, Dr. Ursula Ganz-Blättler, per l’interessamento e la fiducia accordatimi, senza i quali, semplicemente, questo testo non esisterebbe. Esprimo la mia più sincera gratitudine al Prof. Giuseppe Richeri per i molti consigli e insegnamenti che ho da lui ricevuto in questi anni. Voglio inoltre ringraziare i collaboratori, passati e presenti, dell’Istituto Media e Giornalismo, la cui competenza e correttezza professionale mi è sempre stata di esempio. Non posso dimenticare il Prof. Robin Nelson (Department of Contemporary Arts, Manchester Metropolitan University) ed il Prof. Andreas Hepp (FB Kulturwissenschaften, Universität Bremen) che, durante il periodo che ho trascorso come Visiting Student, mi hanno permesso di osservare e di apprendere le loro metodologie di lavoro. Un ringraziamento particolare va a Jonida Myftiu che mi è stata di grande aiuto nell’elaborazione dei dati empirici su cui si fonda questa ricerca. Ringrazio tutto il personale amministrativo e logistico dell’Università della Svizzera Italiana, la cui estrema efficienza mi ha molto agevolato il lavoro. Un grazie speciale va ai bibliotecari della BUL per la loro disponibilità e comprensione. Ultimo, ma non meno importante, voglio ringraziare mia madre, Silvana Calvo, i cui consigli, più che materni, sono stati sovente quelli di un consulente storico. Sicuramente non ho ringraziato qualcuno che lo merita moltissimo. Spero vi si riconosca. Indice. Introduzione........................................................................................................................3 Stato della ricerca. ............................................................................................................10 Capitolo I: Il problema sociale nello spazio pubblico. .....................................................42 1.1 Rappresentazioni sociali. .....................................................................................43 1.1.1 Identità collettive e codici civilizzazionali. ..................................................44 1.1.2 Modelli culturali e movimenti storici. ..........................................................52 1.1.3 Ideologie e progetti egemonici. ....................................................................57 1.2 Spazio pubblico mediatizzato..............................................................................66 1.2.1 Spazio pubblico e condizione umana. ..........................................................67 1.2.2 Spazio pubblico e modernità. .......................................................................70 1.2.3 Spazio pubblico mediatizzato contemporaneo. ............................................75 1.3 Attori del processo di pubblicizzazione dei problemi sociali..............................82 1.3.1 Problemi sociali e problemi pubblici. ..........................................................84 1.3.2 Imprenditori morali. .....................................................................................88 1.3.3 Chierici mediatori. .......................................................................................90 1.4 Conclusioni. ........................................................................................................92 Capitolo II: Le strutture dello spazio pubblico in Svizzera. .............................................95 2.1 Situazione linguistica ed evoluzione storica delle diverse collettività. ...............96 2.1.1 Caratteristiche socio-demografiche..............................................................97 2.1.2 Dall‟antichità all‟Alto Medioevo ...............................................................102 2.1.3 Dalla Lega di Stati germanofona allo Stato federale plurilingue. ..............110 2.2 Gruppi linguistici ed identità collettive .............................................................115 2.2.1 Il concetto di “architettura dello spazio pubblico” .....................................117 2.2.2 Collettività idiomatiche e rapporti alle lingue ...........................................120 2.2.3 Sistema dei media. .....................................................................................130 2.2.4 Rapporti alle lingue e spazio pubblico. ......................................................147 1 2.3 Identità collettive e modelli culturali. ................................................................151 2.3.1 La concezione svizzera della democrazia diretta .......................................152 2.3.2 Gli attori del sistema politico svizzero. ......................................................158 2.3.3 Il caso del referendum sull‟adesione allo Spazio economico europeo. .....167 2.4 Conclusioni. ......................................................................................................174 Capitolo III: Analisi dei discorsi pubblici in occasione delle campagne per le votazioni sulle procedure di naturalizzazione ................................................................................178 3.1 Problematiche inerenti le procedure di naturalizzazione. ..................................180 3.1.1 Origini dei dibattiti pubblici sul tema degli stranieri. ................................180 3.1.2 Aspetti legislativi. ......................................................................................185 3.1.3 Votazioni popolari (1983-2008).................................................................188 3.2 Domanda, ipotesi e metodologie di analisi. .......................................................196 3.2.1 Domanda e ipotesi iniziali..........................................................................197 3.2.2 Approccio metodologico generale. ............................................................200 3.2.3 Corpo d‟analisi. ..........................................................................................201 3.2.4 La frame analysis degli articoli di giornale................................................203 3.2.5 Analisi del “contratto di lettura” nelle trasmissioni televisive ....................211 3.3 Risultati della frame analysis. ...........................................................................214 3.3.1 Ripartizione e tipologie degli articoli. ........................................................215 3.3.2 Ripartizione dei frame e delle posizioni degli attori ..................................219 3.3.3 Sintesi e commento dei risultati .................................................................232 3.4 Risultati dell‟analisi del “contratto di lettura” ...................................................234 3.4.1 Dibattito televisivo proposto dal canale francofono TSR ..........................235 3.4.2 Dibattito televisivo proposto dal canale italofono TSI ..............................239 3.4.3 Dibattito televisivo proposto dal canale germanofono SF .........................243 3.4.4 Le differenti strategie di mediazione..........................................................247 3.5 Conclusioni .......................................................................................................249 Conclusioni generali .......................................................................................................257 Bibliografia.....................................................................................................................263 2 Introduzione. Ancor‟oggi i giovani stranieri nati e cresciuti in Svizzera possono vedersi rifiutata la cittadinanza a causa di una legislazione che attribuisce un grande potere ai Comuni nel processo decisionale inerente le procedure di naturalizzazione ordinaria (Steiner/Wicker, 2004). Nella maggior parte dei casi, le autorità cantonali e comunali hanno istituito un ordinamento che consente, di fatto, alle persone nate e scolarizzate nel Paese, di naturalizzarsi unicamente adempiendo a delle pratiche amministrative; in alcuni Comuni della Svizzera centrale e orientale, tuttavia, l‟attribuzione della cittadinanza è considerata una decisione eminentemente politica da prendere in votazione popolare. Questa situazione genera profonde discriminazioni perché il ricorso alle urne rende oggettivamente più complesso per i richiedenti ottenere la naturalizzazione. L‟anonimato garantito dal voto a scrutinio segreto deresponsabilizza, infatti, i cittadini rispetto alle conseguenze delle loro decisioni sui candidati (Helbling, 2008) (cfr. 3.1.2). Il Consiglio federale, per garantire un‟uguaglianza di trattamento ad una componente sempre più importante delle strutture sociali ed economiche del Paese ed in accordo con le principali forze politiche, ha tentato a più riprese di rendere operativo un decreto che equiparasse i giovani stranieri alle categorie sociali che beneficiano delle procedure agevolate di naturalizzazione. Nelle tre occasioni in cui è stato proposto, il progetto legislativo è sempre stato respinto con un referendum (1983, 1994, 2004). Probabilmente incoraggiata dai risultati delle consultazioni precedenti, l‟Unione Democratica di Centro, sostenuta da alcuni movimenti xenofobi, ha promosso un‟iniziativa popolare di segno opposto (2008), anch‟essa respinta, volta a rafforzare il potere dei Comuni e ad eliminare il diritto di ricorso in merito alle decisioni sull‟attribuzione della cittadinanza (cfr. 3.1.3). Al fine di comprendere le ragioni per le quali la legislazione sulle procedure di naturalizzazione può essere oggetto di votazioni popolari, occorre ricordare che il 3 sistema politico svizzero si fonda sul principio della democrazia diretta (Kriesi, 2005). La Costituzione federale, infatti, attribuisce molta importanza agli strumenti del referendum e dell‟iniziativa che – a livello comunale, cantonale e federale – conferiscono molto potere ai cittadini in termini di proposta e di ratifica degli atti legislativi (cfr. 2.3.1). I risultati delle quattro consultazioni popolari che avevano per oggetto le procedure di naturalizzazione ci hanno suggerito alcune riflessioni riguardo alla loro ripartizione regionale ed, in particolare, alle differenze che si sono registrate tra le aree linguistiche del Paese. Ovviamente un numero così limitato di votazioni non consente alcun controllo delle variabili che possono essere all‟origine di queste differenze. Tuttavia, come vedremo nel paragrafo consacrato allo stato della ricerca, i principali studi sull‟evoluzione storica dei comportamenti elettorali in Svizzera segnalano delle significative divergenze tra le collettività idiomatiche autoctone. Questi contributi evidenziano, attribuendovi maggiore o minore importanza, il medesimo fenomeno; sarebbe, però, scorretto ricondurli tutti ad un'unica corrente di pensiero. Nef (1980), ad esempio, constata come i confini tra le aree linguistiche coincidano quelli di altri elementi strutturali della società elvetica; Kriesi (Kriesi/Wernli/Sciarini/Gianni, 1996), integrando i risultati di un‟inchiesta ai dati elettorali, individua alcune differenze identitarie tra le collettività; Linder (Linder/Zürcher/Arlettaz, 2008), infine, osserva come l‟accrescimento delle divergenze sia concomitante alla progressiva mediatizzazione dei discorsi pubblici. Non ci si trova di fronte, quindi, ad un paradigma nell‟accezione proposta da Kuhn (1962); i diversi studi non traggono forza l‟uno dall‟altro assumendo, agli occhi della comunità scientifica, un valore di scienza normale. In altri termini, queste ricerche non tentano di imporre la lingua come il fattore esplicativo determinante dei fenomeni sociali, come la variabile indipendente che rende conto della complessità e delle sfaccettature presenti nella società svizzera; le loro conclusioni, tuttavia, coincidono nell‟indicare l‟appartenenza linguistica come un elemento di differenziazione nelle scelte politiche. 4 Le osservazioni sulla ripartizione dei risultati delle quattro votazioni che concernono la nostra ricerca, rafforzate dalle conclusioni a cui giungono gli studi sull‟evoluzione dei comportamenti politici in Svizzera, ci hanno spinto ad interrogarci sulle possibili cause delle variazioni riscontrate tra le regioni linguistiche. L‟interpretazione di queste differenze non può avvenire, se non in minima parte, attraverso le categorie sociologiche utilizzate per rendere conto dei fenomeni caratteristici della modernità. Né i modelli culturali (Touraine, 1965, 1973), che forniscono gli orientamenti teorici per la regolazione delle relazioni sociali, né le ideologie (Althusser, 1965, 1970; Gramsci, 1948; Laclau/Mouffe, 1985), che giustificano e fanno apparire naturali questi rapporti, possono, infatti, manifestarsi in forme radicalmente diverse in uno Stato moderno le cui strutture socio-economiche sono relativamente omogenee sull‟insieme del territorio (cfr. 1.2). Occorre, di conseguenza, riflettere su una dimensione le cui radici affondano in epoche molto anteriori: quella inerente alle identità collettive (Eisenstadt/Giesen, 1995) costituite da codici che definiscono i confini di una comunità agli occhi dei suoi membri (Eisenstadt, 1998, 2000) (cfr. 1.1). La teoria di Pizzorno (1991) sui comportamenti politici rafforza notevolmente l‟ipotesi che le variazioni nei risultati delle votazioni su temi come quelli concernenti le procedure di naturalizzazione possano discendere da logiche identitarie. Quando, infatti, il rapporto costi/benefici di una decisione politica non è particolarmente chiara o quando le sue conseguenze sono molto differite nel tempo, il cittadino-votante tende a cercare nelle identità collettive le condizioni strutturali entro cui effettuare le proprie scelte (cfr. 2.3.3). Se le differenze nei comportamenti di voto sono da imputarsi ad una diversa costruzione dei codici identitari, e queste variazioni si registrano tra le regioni linguistiche, occorre chiedersi quale rapporto esiste tra le identità collettive e le lingue. Eisenstadt e Giesen (1995) individuano nel rapporto tra la religione e l‟organizzazione sociale l‟origine del 5 processo di codifica identitaria. Secondo Widmer (2004b) - le cui riflessioni traggono notevoli spunti da quelle di Habermas (1962) sulla costituzione della sfera pubblica l‟avvento del ceto borghese, il cui potere trae legittimità dalla razionalità delle istituzioni statali, ha progressivamente fatto divenire lo spazio pubblico il luogo principale ove vengono elaborati questi codici. In uno Stato plurilingue come la Svizzera, le istituzioni federaliste di cui la Confederazione si è dotata a partire dalla metà dell‟Ottocento, unite alla progressiva mediatizzazione del dibattito politico hanno portato ad una suddivisione idiomatica dello spazio pubblico, in cui ciascun segmento si caratterizza per una propria ben definita struttura (cfr. 2.2.3). Sempre Widmer (2004a) ci fornisce un‟interpretazione dell‟influenza che l‟appartenenza linguistica esercita sulle caratteristiche dello spazio pubblico e, di conseguenza, sul processo di costituzione delle identità collettive; in particolare, egli evidenzia come sia decisivo il rapporto che i diversi gruppi intrattengono con il proprio idioma Presso la collettività germanofona esiste, infatti, una diglossia: anche nello spazio pubblico, accanto al tedesco standard viene utilizzato lo Schweizerdeutsch, un idioma specifico istituito unicamente attraverso l‟oralità. Essa vive, di conseguenza, un rapporto metonimico con la propria lingua, considera quest‟ultima un tratto distintivo della propria identità. I gruppi francofoni ed italofoni, al contrario, nelle discussioni pubbliche si servono, pur con sfumature diverse, unicamente della lingua standard. Esse intrattengono una relazione metaforica con il loro idioma, non lo pensano un elemento identitario fondamentale ed accettano che esso sia parlato anche da altre collettività (cfr. 2.2.1). Le elaborazioni teoriche sin qui esposte ci permettono di porci la domanda fondamentale di questa ricerca: 6 Il dibattito pubblico sulla legislazione concernente le procedure di naturalizzazione è influenzato dalle diverse identità collettive che, in Svizzera, sono definite principalmente dall‟appartenenza ad un gruppo linguistica? A partire da questa è possibile elaborare due ipotesi predittive fondamentali: 1) I quadri semantici entro cui si svolgono i dibattiti a proposito di determinati problemi sociali variano notevolmente tra le collettività linguistiche. Esse hanno, infatti, una diversa concezione della propria identità. La relazione metonimica che caratterizza il rapporto tra il gruppo germanofono ed il proprio idioma, istituito unicamente attraverso l‟oralità, indica una percezione dell‟esistenza di frontiere naturali tra essa ed il mondo esterno. Le collettività francofone ed italofone, che non concepiscono la lingua come un elemento identitario e concedono, attraverso l‟utilizzo di un idioma codificato attraverso la scrittura, la possibilità a chi si trova all‟esterno di apprenderla, pensano alle linee di demarcazione tra loro ed il resto del mondo come selettivamente permeabili. 2) Le modalità di mediazione del dibattito pubblico presentano anch‟esse delle differenze tra le collettività linguistiche. Presso il gruppo germanofono, l‟utilizzo di una lingua istituita unicamente attraverso l‟oralità riduce l‟importanza di giornalisti ed intellettuali - che, traendo la loro legittimità dall‟essere ritenuti i detentori delle risorse espressive date dalla perfetta padronanza della lingua scritta, esercitano tradizionalmente il ruolo di mediatori – a vantaggio di quella degli esponenti dei partiti e dei movimenti, a cui viene attribuito il possesso delle riserve di esperienza sociale. Presso le collettività francofone ed italofone, invece, il ruolo esercitato nello spazio pubblico da questi agenti di mediazione è molto forte. I discorsi mediatici tenutisi in occasione delle quattro consultazioni popolari sulle procedure di naturalizzazione permettono un‟analisi approfondita delle implicazioni identitarie sui comportamenti politici e della loro interrelazione con le strutture dello spazio pubblico. 7 Come abbiamo ricordato in precedenza, infatti, le istituzioni elvetiche tendono a contenere il ruolo dei partiti e dei loro rappresentanti in parlamento e a favorire, invece, quello di movimenti sorti allo scopo di legiferare a proposito di un determinato problema sociale. Questa caratteristica ha conseguenze significative sui contenuti delle discussioni pubbliche. Nei sistemi fondati sulla democrazia rappresentativa, infatti, la partecipazione dei cittadini trova la sua massima espressione nell‟elezione dei parlamentari; in Svizzera, invece, le votazioni a proposito di problematiche specifiche possono suscitare un interesse collettivo ancora maggiore. La differenza sostanziale risiede nel fatto che in occasione di elezioni politiche il dibattito è incentrato sulla contrapposizione tra partiti che propongono visioni complessive della società tra loro contrastanti; mentre durante le campagne che si svolgono su un referendum o su un‟iniziativa popolare, le discussioni vertono su problemi sociali su cui si affrontano movimenti, anche eterogenei, interessati alla loro risoluzione (Kriesi, 1998) (cfr. 2.3.2). L‟oggetto specifico delle votazioni, inoltre, obbligava gli autori dei discorsi pubblici e gli elettori ad interrogarsi sulle frontiere della loro collettività. In particolare nel caso dei tre referendum (1983, 1994, 2004), il quesito fondamentale riguardava, infatti, i requisiti che un giovane straniero deve possedere per poter essere ammesso direttamente nella collettività svizzera, una scelta che, agli occhi dell‟elettore, presentava degli effetti incerti e differiti nel tempo che gli impedivano una valutazione puramente razionale delle conseguenze del suo voto (cfr. 3.1.3). La ricerca empirica si è fondata su un corpo d‟analisi costituito dagli articoli apparsi su sei giornali, due per ogni regione linguistica, durante le quattro campagne di voto e da tre dibattiti televisivi, anche in questo caso uno per area idiomatica, che hanno preceduto la consultazione del 2004. La selezione dei quotidiani è stata effettuata secondo numerosi criteri, il più importante dei quali prevedeva la scelta di testate il più possibile “istituzionali” – ovvero con una lunga tradizione, un vasto seguito di lettori ed una connotazione politica non troppo marcata – al fine di poter descrivere le caratteristiche di un eventuale gruppo di comunicazione dominante. Per le stesse ragioni sono state prese 8 in considerazione le trasmissioni realizzate dai canali linguistici dell‟emittente di servizio pubblico SSR (cfr. 3.2.3). Gli articoli di giornale sono stati sottoposti ad una frame analysis (Entman, 1993; Ferree e altri, 2002) che permette simultaneamente di individuare coloro che prendono parte al dibattito – che abbiamo suddiviso in due categorie: quella dei chierici mediatori, che comprende giornalisti ed intellettuali, e quella degli imprenditori morali, che include essenzialmente gli esponenti del mondo politico e dei movimenti sociali (cfr. 1.3) – isolare i concetti espressi all‟interno delle argomentazioni (gli idea element) e inserirli in aree di significato più ampie (i frame) (cfr. 3.2.4). I dibattiti televisivi sono stati osservati con un approccio qualitativo fondato sul contratto di lettura della realtà implicito che gli autori dei programmi stabiliscono con il pubblico (Véron, 1985) (cfr. 3.2.5). I risultati dell‟analisi ci inducono ad alcune riflessioni conclusive sulla crescente influenza delle identità collettive sui discorsi pubblici e, di conseguenza, sui processi di decisione democratica. Concretamente, il testo si struttura su tre capitoli. Il primo propone un modello teorico generale del processo di problematizzazione sociale. Il secondo considera le specificità delle strutture dello spazio pubblico svizzero. Il terzo presenta l‟analisi dei discorsi mediatici in occasione delle votazioni sulle procedure di naturalizzazione. Innanzitutto vi è, però, un paragrafo dedicato ai principali contributi scientifici a cui questa ricerca è debitrice. 9 Stato della ricerca. In precedenza abbiamo evidenziato che questa ricerca propone uno studio sulle modalità attraverso le quali la figura dello straniero viene problematizzata nei diversi segmenti linguistici dello spazio pubblico svizzero. In particolare essa si occupa dei discorsi mediatizzati durante le campagne per le votazioni sulle procedure di naturalizzazione. I campi di investigazione sociale da essa toccati sono, di conseguenza, molteplici. In questo paragrafo esporremo un‟analisi dei principali contributi scientifici sulla base dei quali è stato costituito l‟impianto teorico che la sorregge. Le opere i cui contenuti hanno maggiormente influenzato questa ricerca possono essere ricondotte a quattro aree tematiche principali: la prima è costituita dagli studi incentrati sulle differenze nelle preferenze politiche che, su determinati temi, si manifestano nelle aree idiomatiche elvetiche; la seconda comprende le ricerche sulle caratteristiche delle diverse collettività linguistiche e sui rispettivi segmenti dello spazio pubblico; la terza include gli studi sulle rappresentazioni, soprattutto mediatiche, della figura dello straniero in Svizzera e la quarta ingloba le ricerche che hanno per oggetto le problematiche legate alla naturalizzazione. Ovviamente la suddivisione in quattro filoni può apparire arbitraria dal momento che una singola opera può toccare più aree tematiche, essa è però coerente con il processo di elaborazione delle ipotesi fondamentali di questa ricerca. Preferenze politiche e regioni linguistiche. L‟esistenza di differenze nelle preferenze politiche espresse dai cittadini delle diverse regioni linguistiche è stata constatata per la prima volta da Nef (1980), documentata da Knüsel (1994), Kriesi (1996) e, più recentemente, Linder (2008) ed interpretata da Meier-Dallach (1991) e, soprattutto, da Widmer (2004a). Le opere dei primi quattro autori citati hanno messo in evidenza l‟esistenza di talune regolarità nelle divergenze politiche tra la regioni idiomatiche ed hanno proposto delle categorie per classificarle. Il lavoro di Meier-Dallach (1991) ha permesso di evidenziare 10 delle distinte scale di identificazione ed un differente rapporto verso la mediazione culturale nelle diverse aree idiomatiche. Il saggio di Widmer (2004a) inserisce un‟ulteriore dimensione di complessità, non limitandosi a considerare le diverse regioni linguistiche come le variabili indipendenti di una serie di correlazioni statistiche. Il sociologo romando si interroga sulle ragioni per le quali esse sono costituite in maniera tale da produrre gli effetti che sono loro attribuiti. Lo studio di Rolf Nef (1980) analizza le variazioni interregionali che si sono registrate nelle votazioni federali svoltesi tra il 1950 ed il 1977. I risultati a cui giunge, portano il ricercatore a concludere che le differenze nelle scelte elettorali da parte dei cittadini delle diverse aree hanno un carattere strutturale e durevole. Le preferenze politiche dei cittadini dipendono, secondo l‟approccio teorico utilizzato, da riflessioni sulle funzioni dello Stato in materia di produttività, di legittimazione e di integrazione. Queste propensioni, a loro volta, scaturiscono da contesti culturali e sociostrutturali fortemente diversificati all‟interno del Paese. Associando le singole votazioni alle funzioni dello Stato ed osservando la ripartizione dei risultati, Nef individua quattro regioni molto omogenee dal punto di vista della cultura politica. Da un lato vi sono i Cantoni latini, maggiormente orientati verso l‟estero e fortemente attenti alla preservazione della funzione di integrazione svolta dalle istituzioni federaliste ; dall‟altro vi è l‟area germanofona, più orientata alle dinamiche interne del Paese, e a sua volta suddivisa in una regione rurale e cattolica, tendenzialmente conservatrice, una rurale e protestante, orientata ad una ripartizione centralizzata delle risorse statali, ed una urbana e protestante, federalista e più attenta alle problematiche di redistribuzione tra i ceti sociali. La ricerca condotta da René Knüsel (1994) prende in considerazione le votazioni svoltesi tra il 1918 ed 1993. Essa presenta per noi il duplice interesse di evidenziare, da un lato, il progressivo affermarsi del fattore linguistico come elemento costitutivo della Svizzera moderna e, dall‟altro, le differenze nelle scelte di voto che si registrano tra la regione germanofona e quelle latine. 11 La riflessione storica, fondata sullo sviluppo del dibattito politico sulla legislazione linguistica, sull‟evoluzione delle caratteristiche dei diversi idiomi e sui dati dei censimenti federali, porta a concludere che le lingue sono divenute, nel corso del XIX e del XX secolo, l‟elemento caratterizzante delle diverse collettività elvetiche, superando per importanza la religione che era la principale causa di divisione nella Svizzera premoderna. L‟analisi della ripartizione dei risultati delle votazioni mostra che nelle diverse aree linguistiche, che pure non sono dei blocchi omogenei e compatti, si registrano importanti differenze riguardo a specifiche tematiche politiche e sociali. Tradizionalmente le consultazioni che chiamano in causa le libertà individuali, la difesa nazionale e l‟intervento dello Stato nel sociale, costituiscono un terreno di divisione tra germanofoni e latini. Knüsel constata, inoltre, che - a partire dagli anni settanta, in concomitanza con la scissione del Canton Giura da quello di Berna – le differenze tra le regioni linguistiche si sono accresciute, portando le aree latine a porsi sovente come minoranza. Questa tendenza ha raggiunto il suo culmine con il referendum sull‟adesione allo Spazio Economico Europeo che è stata respinto nonostante il forte consenso registrato in Svizzera romanda. Il referendum sull‟adesione allo SEE costituisce uno dei punti centrali anche nelle riflessioni presenti nella ricerca condotta da Hanspeter Kriesi (Kriesi/Wernli/Sciarini/Gianni, 1996). Lo studio – oltre ad esaminare, anch‟esso, i risultati di numerose votazioni federali - presenta un‟analisi comparata tra la regione francofona e quella germanofona sulla correlazione esistente, agli occhi dei cittadini, tra le relazioni con la Comunità Europea, la riforma delle istituzioni elvetiche e l‟esistenza o meno di fossati linguistici tra le diverse aree. I risultati mostrano come esistano due diverse forme di tradizionalismo: quella che si manifesta in Svizzera romanda spinge i cittadini ad aprirsi verso l‟Europa e ad una riforma delle istituzioni statali, ma, nel contempo, a temere l‟accrescersi di un fossato linguistico capace di minare la coesione nazionale; nell‟area germanofona, al contrario, il tradizionalismo si presenta attraverso il rifiuto di un avvicinamento alla Comunità Europea e di una riorganizzazione 12 istituzionale, queste opposizioni non sono però associate al timore di lacerazioni interne dovute alle divisioni linguistiche. Lo studio diretto da Wolf Linder (Linder/Zürcher/Bollinger, 2008) prende in considerazione le votazioni svoltesi a partire dal 1874 al fine di descrivere le divisioni politiche riscontrabili in Svizzera e le variazioni di intensità che esse hanno subito nel corso delle diverse epoche. Al di là della tradizionale contrapposizione tra destra e sinistra, i ricercatori individuano quattro contrasti fondamentali: quello confessionale tra protestanti e cattolici, che ha però perso di importanza nel corso del XX secolo; quello tra capitale e lavoro, particolarmente importante fino ai primi decenni del „900, declinante fino alle fine degli anni settanta e riapparso nell‟ultimo trentennio; quello tra aree urbane e rurali, venutosi a creare progressivamente a seguito delle trasformazioni economiche e demografiche; ed infine, quello legato alla polarizzazione tra Cantoni germanofoni e latini. La contrapposizione tra le regioni linguistiche è giudicata relativamente debole a paragone delle polemiche che essa innesca quando si manifesta, come nel caso del referendum sull‟adesione allo SEE. L‟evoluzione storica mostra, però, nell‟ultimo ventennio, un progressivo accentuarsi di questo contrasto, l‟ipotesi, per noi molto interessante, avanzata in questo studio è che la differenziazione sia legata allo sviluppo di uno spazio pubblico mediatizzato sempre più segmentato su base idiomatica. Le quattro ricerche che abbiamo sin qui sinteticamente presentato mostrano, con sfumature diverse dovute ai differenti approcci teorici e metodologici, che l‟appartenenza ad un gruppo linguistico può condizionare in maniera significativa le preferenze politiche di un individuo. Anche nello studio diretto da Linder (2008), dove questo fenomeno appare meno evidente, esso è riconosciuto e si attribuisce la sua progressione al fatto che i mezzi di comunicazione creano un opinione pubblica sempre più differenziata su base linguistica. Quest‟ultimo aspetto viene ripreso nei contributi di Meier-Dallach (1991) e Widmer (2004a) che tentano di fornire un‟interpretazione di questa situazione sociale. 13 La ricerca condotta da Hans-Peter Meier-Dallach (Meier-Dallach/Gloor/Hohermuth/Nef, 1991) descrive una sorta di geografia culturale della Svizzera che, indirettamente, può aiutare a rendere conto delle differenze nelle preferenze politiche che si registrano tra le regioni linguistiche. Una prima distinzione importante si nota a proposito del territorio di identificazione delle diverse collettività. Le popolazioni latine attribuiscono molta importanza alla propria aera idiomatica o a entità spaziali sovrannazionali, come l‟Europa, mentre gli svizzero-tedeschi si identificano maggiormente con il territorio nazionale. Anche per quanto riguarda il modo di intendere la cultura si registrano variazioni rilevanti, nell‟area germanofona essa è concepita piuttosto come un codice che permette di preservare costumi e tradizioni e la sua gestione è affidata perlopiù a personale indigeno, nelle regioni latine emerge un‟idea di cultura più legata al progresso sociale e tecnologico; i nuovi mezzi di comunicazione e le più recenti modalità di mediazione sono, infatti, considerati i suoi vettori principali. Una rilevazione interessante presente in questa ricerca è che le differenze identitarie e culturali tra le regioni linguistiche appaiono più evidenti presso le giovani generazioni, più mobili e istruite, che non hanno vissuto l‟esperienza unificatrice dell‟ultimo conflitto mondiale. L‟importanza che lo studio condotto da Meier-Dallach riveste per la problematica alla base della nostra ricerca è data dal fatto che esso permette di integrare le dimensioni culturali e quelle legate al sistema dei media alle dinamiche che determinano le preferenze politiche regionali. Come evidenziato in precedenza, l‟opera di Jean Widmer (2004a) riveste un grande rilievo nell‟impostazione teorica della presente ricerca, in questo paragrafo ci limiteremo a descriverne gli elementi principali. Egli fornisce un‟interpretazione delle differenze regionali nelle preferenze politiche fondata sulla relazione esistente tra il senso identitario di una collettività, il tipo di rapporto che essa intrattiene con la proprio idioma e le caratteristiche del suo spazio pubblico di riferimento. 14 Attraverso l‟analisi comparata dei discorsi mediatici a proposito delle problematiche legate all‟ecologia ed alla tossicomania, egli mostra come i medesimi contenuti siano discussi in maniera diversa nelle tre aree idiomatiche. Una delle architravi fondamentali dello spazio pubblico è, infatti, costituita dal rapporto che una collettività intrattiene con la propria lingua, esso influenza in modo significativo i quadri semantici entro cui si svolge il dibattito e le modalità della sua mediazione. Più specificamente, egli individua nella relazione metonimica che il gruppo germanofono intrattiene con lo Schweizerdeutsch, parlato solo nella regione ed istituito unicamente attraverso l‟oralità, un elemento identitario fondamentale che porta lo spazio pubblico svizzero-tedesco ad avere strutture diverse da quello delle collettività latine. Le ricerche che abbiamo sin qui sinteticamente presentato hanno avuto, per diverse ragioni, una grande importanza nell‟elaborazione della problematica di ricerca. L‟ipotesi che vi fossero delle differenze tra le aree linguistiche nelle discussioni pubbliche per le campagne di voto sulle naturalizzazioni scaturiva dalla constatazione che i risultati delle urne di quelle votazioni, e di altre che riguardavano la popolazione straniera, variavano molto a livello regionale. Gli studi sulle suddivisioni nelle scelte elettorali in Svizzera ci hanno permesso di comprendere l‟effettiva importanza delle frontiere linguistiche. Il contributo Hans-Peter Meier-Dallach (1991) ha posto in evidenza le differenze identitarie e culturali tra le aree idiomatiche. Infine, l‟opera di Jean Widmer (2004a) ci ha fornito un modello teorico per interpretare la relazione esistente tra le preferenze politiche, l‟appartenenza linguistica, la costituzione delle identità collettive e le strutture dello spazio pubblico. La Svizzera plurilingue e le caratteristiche delle diverse collettività linguistiche. La letteratura scientifica che si occupa delle caratteristiche e dei modi di convivenza delle collettività linguistiche in Svizzera è ovviamente molto vasta, in questo paragrafo presentiamo gli studi che maggiormente permettono di comprendere come l‟uso e l‟istituzionalizzazione di una lingua contribuisce a definire l‟identità di una collettività, 15 anche in questo caso abbiamo suddiviso i diversi contributi in aree tematiche funzionali allo sviluppo teorico di questa ricerca. Il primo filone di studi che, inevitabilmente, occorre prendere in considerazione è quello che si è occupato dell‟evoluzione storica che ha portato la Svizzera ad essere uno Stato plurilingue. In molti Paesi coesistono, o hanno coesistito, diversi idiomi; ciò che rende specifica la situazione elvetica è il percorso politico ed istituzionale che ha permesso il mantenimento e lo sviluppo di un‟eterogeneità idiomatica su base regionale. I contributi di Altermatt (2003) permettono di comprendere la genesi storica delle istituzioni del plurilinguismo svizzero, quello di Weibel (1999) il loro funzionamento all‟interno di uno Stato federalista ed, infine, quelli di Widmer (2003, 2004b) approfondiscono i dibattiti pubblici che ne sono stati alla loro origine. Lo studio di Urs Altermatt (2003: 39-49) mostra come l‟attenzione del mondo politico verso la questione delle lingue sia stata molto posteriore al 1848, quanto la Svizzera venne costituita come Stato moderno. Le istituzioni federaliste elvetiche furono fondate per ragioni sostanzialmente diverse dalla salvaguardia della composizione idiomatica del Paese. Durante il XIX secolo il dibattito politico era, infatti, dominato dal confronto tra liberali e conservatori, una contrapposizione che vedeva due gruppi la cui coesione interna era di tipo essenzialmente ideologico e travalicava i confini tra le regioni linguistiche. La prima fase storica nella quale le élite politiche si resero conto di quanto fosse importante una presa di coscienza collettiva del fatto che la Svizzera fosse uno Stato multietnico fu durante la crisi europea conseguente all‟affermazione del nazi-fascismo in Italia ed in Germania. Durante il periodo 1933-1945 le ideologie totalitarie e nazionaliste che animavano i regimi delle due potenze confinanti costituivano una seria minaccia alla legittimità stessa dell‟esistenza del Paese, per questa ragione il mondo politico svizzero mise in atto una serie di iniziative tese a valorizzare il plurilinguismo come tratto caratteristico e imprescindibile della Confederazione. 16 A partire dalla seconda metà del XX secolo, a seguito anche dell‟allentamento dell‟impatto ideologico dei partiti tradizionali, la questione linguistica ha acquisito un‟importanza sempre maggiore nell‟agenda politica nazionale. Nel corso degli anni ‟90 le tensioni, in particolare tra romandi e svizzero-tedeschi, si sono accentuate al punto da far temere una futura contrapposizione tra blocchi etnici, o quantomeno tra comunità culturali, simile a quella che caratterizza la vita politica in Belgio. Il contributo di Ernest Weibel (1999) ripercorre, come Altermatt (2003), l‟evoluzione storica del Paese a partire dal XIX secolo, ma la sua analisi è incentrata maggiormente sul cambiamento delle istituzioni. Innanzitutto Weibel individua nel processo di costituzione della Svizzera come Stato moderno un percorso simile a quello che ha caratterizzato la nascita della Germania e degli Stati Uniti, il passaggio che porta una lega di Stati praticamente indipendenti ad unirsi in uno Stato federale. Anche questo ricercatore riconosce che il federalismo non è conseguenza di fattori etnici o linguistici, ma del particolare substrato legislativo che regola le competenze comunali e cantonali e che è il risultato di una complessa articolazione di elementi storici, politici, socioculturali ed economici. La coesistenza di diverse collettività idiomatiche è data da due principi: quelli di territorialità e di libertà di lingua. Il primo garantisce il diritto di ogni Cantone a essere sovrano in materia di identità linguistica e a decidere se promuovere o meno l‟omogeneità idiomatica all‟interno del proprio territorio; il secondo permette ad ogni cittadino di rivolgersi alle autorità federali nella propria lingua madre, purché questa sia un idioma ufficiale della Confederazione. Anche se maggiormente focalizzata sui discorsi che hanno accompagnato l‟evoluzione delle istituzioni in Svizzera, l‟analisi di Jean Widmer (2004b: 157-181) non si discosta molto, per quanto riguarda il XIX e la prima metà del XX secolo, da quella proposta dai due autori considerati in precedenza. Secondo il sociologo romando, infatti, la Costituzione federale del 1848, redatta al termine di una guerra civile politico-confessionale, risentiva fortemente dell‟influenza 17 della dottrina liberale classica che proponeva innanzitutto una razionalizzazione delle istituzioni statali. In questo clima il problema delle lingue era essenzialmente di natura burocratica, occorreva decidere quali fossero quelle ufficiali e come strutturare un sistema di traduzione capace di rendere efficace l‟amministrazione federale. Fu solo tramite la ratifica popolare della prima revisione costituzionale, nel 1938, che venne sancito il principio dell‟uguaglianza e della diversità delle lingue. Questa riforma, avvenuta nel momento forse di massimo consenso dei regimi nazifascisti al potere nei Paesi confinanti, diede il via ad una retorica politica imperniata sull‟esistenza di una “Nazione quadrilingue”, istanza legittimatrice dello Stato (trilingue). Il secondo dopoguerra ha visto il progressivo affermarsi un nuovo tipo di discorso connesso al plurilinguismo svizzero, quello fondato sul concetto di “minoranza” (Widmer, 2003: 1-30). Il federalismo, originariamente concepito come un‟organizzazione volta ad ottimizzare il funzionamento dell‟apparato statale, diviene uno strumento capace di garantire l‟accettazione delle differenze culturali tra le collettività linguistiche e, di conseguenza, assicurare l‟esistenza dello Stato stesso. I contributi che abbiamo raggruppato in questo primo filone di ricerca propongono delle riflessioni sull‟evoluzione delle istituzioni statali svizzere e sulla loro relazione con l‟esistenza e lo sviluppo delle diverse collettività linguistiche presenti nel Paese. Pur con importanti ed inevitabili differenze di approccio al tema, le ricerche dei tre autori convergono sul fatto che non è stato il plurilinguismo a determinare la creazione di un sistema federalista, è però quest‟ultimo a permettere alle lingue di avere un ruolo di mediazione identificante capace di costituire le diverse popolazioni in altrettante collettività politiche capaci di coesistere in un medesimo Stato. La seconda area tematica è costituita dalla situazione relativa all‟uso delle lingue nei diversi contesti della vita sociale ed economica svizzera. Ci occuperemo dapprima di due contributi che offrono una panoramica complessiva della situazione linguistica del paese: la ricerca condotta da Lüdi e Werlen (2005) ne 18 evidenzia in modo quantitativo gli aspetti strutturali, mentre lo studio di Franceschini (1996) analizza fenomeni più specifici. La ricerca condotta da Georges Lüdi e Iwar Werlen (2005) si fonda sui dati emersi dal censimento della popolazione avvenuto nel 2000. Essa fornisce innanzitutto una serie di informazioni relative alla ripartizione geografica ed all‟evoluzione storica del peso demografico delle collettività linguistiche svizzere. Inoltre propone uno studio sui contesti sociali in cui sono in uso i dialetti nelle regioni latine e lo Schweizerdeutsch nell‟area germanofona. I risultati mostrano l‟esistenza di regioni linguistiche territorialmente molto compatte ma diversamente popolate, la Svizzera tedesca conta una popolazione molto più numerosa rispetto alle altre, mentre quella romancia ha solo poche migliaia di locutori. L‟analisi dell‟uso delle lingue nei contesti familiari, scolastici e lavorativi evidenzia profonde differenze tra le diverse aree: in quella francofona l‟uso del francese standard è esteso a tutti gli ambiti della vita sociale e l‟utilizzo di forme dialettali è limitato a poche aree periferiche; nella regione italofona il dialetto è ancora fortemente presente nella sfera familiare, ma è quasi assente nel settore scolastico e lavorativo; nell‟area germanofona lo Schweizerdeutsch è largamente utilizzato in tutti gli ambiti della vita sociale, un dato questo già di per sé indicativo di quanto sia improprio considerare questo idioma alla stregua dei dialetti in uso nelle regioni latine. Lo studio di Rita Franceschini (1996: 9-29) si focalizza sulle pratiche linguistiche degli alloglotti, sia stranieri che svizzeri residenti in un'area idiomatica diversa da quella d‟origine. Una constatazione in particolare – ripresa, come vedremo, anche da Iwar Werlen (2007) – riveste un particolare interesse per la nostra ricerca: le differenze nell‟adattamento degli alloglotti alle culture linguistiche delle diverse regioni. Nelle aree latine essi praticano molto più frequentemente il francese o l‟italiano rispetto a quanto utilizzano il tedesco o lo Schweizerdeutsch nella zona germanofona. Franceschini attribuisce questo fenomeno alla forte valenza identitaria dello Schweizerdeutsch che 19 provoca, da un lato, un sentimento di indifferenza verso gli altri idiomi e, dall‟altro, uno di tolleranza verso le lingue maggioritarie. I contributi di Werlen e Lüdi (2005) e di Franceschini (1996), oltre a fornire una visione d‟insieme della situazione linguistica in Svizzera, propongono entrambi un‟analisi comparata tra le tre aree idiomatiche al fenomeno dei contesti di uso sociale di una lingua standard piuttosto che dei dialetti, nelle regioni latine, o dello svizzero-tedesco in quella germanofona. Lo studio di Werlen e Lüdi evidenzia come in Svizzera tedesca l‟uso dello Schweizerdeutsch sia diffuso in ambiti che nelle altre aree sono preclusi alle parlate locali. La ricerca di Franceschini mostra come l‟integrazione linguistica degli alloglotti risulti più problematica nella regione germanofona caratterizzata da questa diglossia. I due studi che abbiamo proposto presentano il grande interesse di affrontare complessivamente il fenomeno linguistico in Svizzera. Le modalità di uso e di istituzionalizzazione delle lingue obbediscono però a dinamiche molto articolate, i contributi che prendiamo ora in considerazione trattano le specificità degli idiomi di ciascuna regione ed in particolare sono focalizzati sul rapporto esistente tra la lingua standard, codificata attraverso la scrittura, ed i dialetti e lo Schweizerdeutsch, tramandati attraverso l‟oralità. Ovviamente, l‟area in cui il rapporto tra lingua scritta e idiomi orali si presenta più complesso è quella germanofona, tra gli studi che affrontano questo fenomeno ci sembrano particolarmente significativi quelli di Haas (1985), Rash (1998) e Ris (1990). Di grande interesse per la nostra ricerca è anche il contributo di Werlen (2007) che affronta i problemi che devono superare gli alloglotti confrontati con lo Schweizerdeutsch. 20 Lo studio di Walter Haas (1985: 65-106) propone un‟analisi della diglossia esistente nell‟area germanofona affrontando il fenomeno da un punto di vista storico, linguistico e sociale. Un primo aspetto che viene evidenziato è che lo Schweizerdeutsch non è affatto un idioma uniforme, esiste un tale numero di parlate locali che gli svizzeri-tedeschi stessi, generalmente, ignorano quante esse siano. Queste differenze hanno avuto origine con la moltitudine di frontiere politiche che storicamente frammentavano la regione e che oggi, sovente, ancora delimitano i confini cantonali. Dopo essersi occupato dei diversi gradi di variazione che intercorrono tra le diverse parlate e la lingua standard e delle divergenze tra il tedesco utilizzato in Svizzera e quello usato negli altri Paesi germanofoni, Haas si concentra sull‟evoluzione storica della diglossia modale svizzero-tedesca. Innanzitutto egli constata che la coesistenza dei due idiomi ha iniziato a porre problemi sociali a partire dal XX secolo. Fino al termine dell‟Ottocento era chiaro che il tedesco-standard era utilizzato per la scrittura ed in occasione di discorsi pubblici, che erano, all‟epoca, riservati ai ceti sociali più elevati. I due fenomeni che alla fine del secolo hanno posto le basi della futura conflittualità sono stati, da un lato, lo sviluppo del sistema scolastico, che ha aperto grandi dibattiti pedagogici sugli spazi da riservare ai diversi idiomi, dall‟altro, lo sviluppo, attraverso un vocabolario, di uno Schweizerdeutsch “puro” dotato di maggiore legittimità rispetto al tedesco standard. Rispetto al secolo precedente, il Novecento si è rivelato molto più instabile da un punto di vista linguistico. Walter Haas lo descrive infatti caratterizzato da una serie di “ondate dialettali” durante le quali lo Schweizerdeutsch ha acquisito importanza a discapito della lingua standard, questi fenomeni possono avere avuto un‟origine politica, normalmente in opposizione alle iniziative militari espansioniste della vicina Germania, o culturale, prima con lo sviluppo di opere letterarie e successivamente attraverso la produzione di film o programmi radiotelevisivi. L‟opera di Felicity Rash (1998), come quella di Haas (1985), affronta il fenomeno della diglossia in Svizzera tedesca in maniera complessiva. L‟approccio utilizzato è però 21 sostanzialmente diverso, l‟analisi storica della situazione linguistica è meno approfondita dal momento che l‟attenzione è più focalizzata, anche attraverso lo studio di dati quantitativi, sui contesti d‟uso dei due idiomi. Rash descrive la diglossia svizzero-tedesca come “funzionale”, l‟uso del tedesco standard e dello Schweizerdeutsch non è fondato semplicemente sulla dicotomia che vuole il primo adoperato per l‟espressione scritta ed il secondo per quella orale. Una lingua viene utilizzata a discapito dell‟altra quando svolge in modo più efficace una funzione sociale. Il tedesco standard è utilizzato prevalentemente per le relazioni di tipo societario: l‟istruzione secondaria, le comunicazioni militari, l‟informazione radiotelevisiva o gli interventi parlamentari, ma anche, ad esempio, nella didattica del linguaggio per sordomuti. Lo Schweizerdeutsch prevale nei rapporti comunitari, nelle conversazioni quotidiane, ma è pure utilizzato in molti programmi radiotelevisivi non informativi e nella letteratura per ragazzi. Il contributo di Roland Ris (1990: 40-49), a differenza di quelli dei due autori che abbiamo visto in precedenza, non ha una vocazione unicamente descrittiva del fenomeno, esso propone, invece, una riflessione sul ruolo dello Schweizerdeutsch nella comprensione reciproca tra le diverse collettività linguistiche elvetiche. Ris parte dalla constatazione che la diglossia della collettività germanofona non è, come in molti altri casi nel Mondo, una manifestazione delle differenze tra classi sociali, la sua intensità varia, infatti, a seconda del contesto storico e dei rapporti che intercorrono tra svizzeri e tedeschi. Durante il periodo nel quale scrive, egli osserva un progressivo rafforzamento dello Schweizerdeutsch che limita l‟uso della lingua standard a pochi ambiti, solitamente legati all‟istruzione superiore, dove la diglossia trova applicazione unicamente presso le persone colte di una certa età e in coloro che hanno contatti frequenti con la Germania. L‟avanzata dello Schweizerdeutsch non è però correlata necessariamente con un aumento delle incomprensioni tra le collettività linguistiche svizzere. Ris ritiene, infatti, che gli abitanti delle regioni latine abbiano una conoscenza dello Schweizerdeutsch superiore a quanto comunemente si creda e che questo idioma rischi di costituire un capro espiatorio 22 capace di nascondere l‟importanza delle disparità economiche nella formazione delle fratture interregionali. Iwar Werlen (2007), partendo dai dati del censimento della popolazione elvetica effettuato nel 2000, riflette su una dimensione per noi molto importante: l‟integrazione linguistica degli immigrati, misurabile attraverso il passaggio dalla lingua d‟origine a quella locale. L‟interpretazione dei risultati lo porta a concludere che l‟impatto integrativo è minore nell‟area germanofona rispetto alle regioni latine. Werlen individua nella diglossia modale svizzero-tedesca una delle cause principali di questa discrepanza, le collettività germanofone, secondo l‟autore, definiscono la loro identità sociale prevalentemente attraverso i dialetti e molti dei loro membri considerano il tedesco standard alla stregua di una lingua straniera. Questa situazione ha delle importanti conseguenze per i migranti, che, da un lato, non hanno possibilità di accedere a degli strumenti formali per apprendere le varie forme di Schweizerdeutsch che non sono codificate attraverso la scrittura e, dall‟altro, hanno poche opportunità di esercitare il tedesco standard che è raramente utilizzato dalla collettività autoctona. I contributi di questi quattro autori permettono di meglio comprendere le dimensioni della diglossia modale presente nell‟area germanofona ed evidenziano come essa sia un fenomeno complesso e non semplicemente riducibile ad una esplicita distinzione tra l‟uso della lingua standard nell‟espressione scritta e dello svizzero-tedesco in quella orale. Innanzitutto, sebbene in questa ricerca lo Schweizerdeutsch sia considerato come un idioma a sé stante, Haas (1985) pone in evidenzia come esista una pluralità di dialetti germanofoni, una conseguenza, riteniamo, della mancanza di codificazione scritta di questa lingua che ha reso possibile il mantenimento di varianti regionali che altrimenti sarebbero scomparse. Haas (1985) e Ris (1990) mostrano, inoltre, che dal momento che la diglossia svizzerotedesca non è, come sovente accade, legata alla stratificazione sociale, essa può subire delle trasformazioni dettate da fattori politici o culturali capaci di alterare, nel corso del 23 tempo, i rapporti di forza tra gli idiomi. Rash (1998) evidenzia, invece, come i contesti d‟uso delle due lingue siano molto variegati e come la scelta di un idioma costituisca, in maniera implicita, una risposta ad una sorta di imperativo funzionale del sistema sociale. Werlen (2007) si concentra su aspetto più specifico di questo fenomeno, gli ostacoli che la diglossia pone all‟integrazione linguistica degli allofoni. In particolare, pur senza approfondire il tema, questo autore avanza un‟ipotesi molto interessante nell‟ottica della nostra ricerca: quella secondo cui lo Schweizerdeutsch costituisce un elemento fondamentale nella costruzione delle identità collettive nell‟area germanofona. Le regioni linguistiche di area latina, in particolare quella francofona, non presentano un rapporto tra lingua standard e parlate locali di una complessità paragonabile a quello che caratterizza la collettività germanofona. Una valida descrizione di questo fenomeno è fornita da Knecht (1995) per quanto riguarda la Romandia e da Lurati (1985) e Bianconi (1986) per la situazione nella Svizzera italiana. Pierre Knecht (1985: 125-170) presenta uno studio molto accurato delle parlate che, nel corso del medioevo, erano in uso nell‟attuale Svizzera francese. Come però evidenziano anche i dati del censimento dell‟anno 2000 analizzati da Lüdi e Werlen (2005), ben poco egli può dire sull‟attuale coesistenza tra i dialetti locali ed il francese standard, dal momento che i primi sono praticamente scomparsi dall‟uso quotidiano. La sopravvivenza, in posizione molto minoritaria, di parlate locali in alcune aree periferiche nei Cantoni cattolici costituisce una delle chiavi di lettura per spiegare l‟affermazione pressoché assoluta della lingua standard. La prevalenza protestante in molte importanti regioni urbane della Svizzera francese è dovuta, infatti, all‟immigrazione di un grande numero di ugonotti scacciati negli anni della Riforma. L‟arrivo di queste genti, oltre a provocare l‟abbandono delle parlate locali per ragioni di comunicazione quotidiana, ha anche introdotto un nuovo rapporto alla religione che prevedeva una relazione diretta tra i fedeli ed i testi sacri, scritti ovviamente in francese. Un‟ulteriore spinta all‟abbandono dei dialetti è attribuibile al grande prestigio di cui Parigi, e di conseguenza la lingua che vi si parlava, ha goduto tra la fine del XVIII e la 24 prima metà del XX secolo. Il potere della capitale francese, simbolo di cultura raffinata e di progresso sociale, ha reso, secondo Knecht, la collettività francofona svizzera molto più allineata linguisticamente ai suoi vicini stranieri rispetto a quella germanofona ed a quella italofona. Ottavio Lurati (1985: 171-201) e Sandro Bianconi (1986: 39-48) presentano due dimensioni, solo apparentemente antitetiche, dell‟evoluzione delle relazioni tra dialetti e lingua standard presso una collettività, quella italofona, che, pur se in maniera molto meno marcata rispetto a quanto avviene nell‟area germanofona, conosce ancora l‟uso di parlate locali, in particolar modo nella sfera familiare. Lurati descrive come, a differenza di quanto avviene per lo Schweizerdeutsch, tradizionalmente le parlate dialettali abbiano presso la collettività italofona una valenza identitaria molto scarsa, al punto che la scuola dell‟obbligo annoverava, in passato, tra i suoi compiti quello di scoraggiarne l‟uso presso gli allievi. Bianconi intuisce però un mutamento dovuto essenzialmente al ruolo dei massmedia. La programmazione dialettale dell‟ente pubblico radiotelevisivo ha infatti portato alla nascita di una parlata sovra-regionale che ha soppiantato quelle locali e che costituisce la sintesi di quelle originariamente usate nei principali centri urbani. Widmer (2004a) sviluppa questa tesi ed ipotizza che questo dialetto sovra-regionale abbia progressivamente acquisito, presso la popolazione autoctona, una funzione di identificazione collettiva. Gli autori che abbiamo esaminato in questo paragrafo sono accomunati dal fatto di studiare le caratteristiche delle diverse collettività linguistiche esaminando il ruolo degli idiomi nei diversi ambiti della vita sociale. Le ricerche che presentiamo ora osservano ed approfondiscono un aspetto, già parzialmente esplorato da Bianconi (1986), legato alle variazioni regionali nelle forme di mediazione simbolica della realtà. Tra la vasta letteratura scientifica che si occupa della comunicazione di massa in Svizzera, gli studi di Wyss e Keel (2009), Hungerbühler (2002), Corboud-Fumagalli 25 (1996) e Beck e Schwotzer (2006) hanno la caratteristica comune di esplorare i segmenti linguistici dello spazio pubblico mediatizzato e di evidenziare come questi siano, al tempo stesso, rivelatori ed artefici delle differenze culturali ed identitarie esistenti tra le collettività idiomatiche elevetiche. La ricerca condotta da Vinzenz Wyss e Guido Keel (2009: 245-262), a differenza degli studi che vedremo successivamente, non si concentra esclusivamente sulle variazioni contenutistiche e formali dei discorsi mediatici. I due autori, attraverso uno studio longitudinale svoltosi nel decennio 1998-2008, esaminano le caratteristiche della cultura giornalistica svizzera attraverso un approccio più globale. L‟analisi quantitativa di dati provenienti sia da interviste a redattori che da testi redazionali ha permesso di evidenziare, da un lato, l‟esistenza di un retroterra comune all‟intera collettività giornalistica elvetica e, dall‟altro, di alcune differenze tra le aree linguistiche. Un aspetto particolarmente interessante di questa ricerca è costituito, a nostro avviso, dal superamento di un concetto di cultura intrinsecamente legato a quello di prodotto culturale. I due autori, infatti, si spingono oltre l‟analisi dei contenuti, lo studio comparativo da loro proposto affronta dimensioni che riguardano le caratteristiche strutturali dei segmenti regionali dello spazio pubblico mediatizzato svizzero: dall‟organizzazione del sistema dei media, fino ai metodi di formazione dei giornalisti ed alla struttura socio-demografica delle diverse categorie professionali che operano nell‟ambito della comunicazione di massa. Il contributo di Ruth Hungerbühler (2002: 162-183) presenta i risultati di un‟analisi comparativa dei contenuti dei notiziari proposti sui canali linguistici dell‟emittente radiofonica nazionale di servizio pubblico. In particolare, la ricercatrice focalizza il suo interesse sull‟informazione politica ed individua importanti variazioni nell‟offerta rivolta alle tre collettività idiomatiche. Il canale germanofono, infatti, fornisce molte più notizie a carattere nazionale ed economico, quello italofono appare più attento agli eventi internazionali, mentre quello in lingua francese si concentra maggiormente sull‟informazione regionale e culturale. 26 Più ancora che alla natura di queste differenze, Hungerbühler presta attenzione alla loro evoluzione storica. La ricerca abbraccia, infatti, un arco temporale estremamente lungo, il periodo 1960-1999, durante il quale le divergenze nei contenuti proposti dai notiziari regionali sono costantemente aumentate. Questo mutamento ha dei significati profondi, il cambiamento di strategia comunicativa dell‟ente pubblico è, infatti, correlato alla trasformazione della società svizzera. Fino agli anni sessanta la radio era concepita come un importante strumento capace di favorire l‟integrazione e la coesione nazionale e, come tale, produceva contenuti il più possibile omogenei. Successivamente questa situazione si è progressivamente modificata, la necessità di soddisfare i bisogni di un pubblico sempre più avvezzo all‟offerta mediatica, ha portato i canali linguistici a diversificare l‟informazione in modo da offrire agli ascoltatori una chiave d‟accesso regionale a notizie concernenti una realtà sempre più globalizzata. La progressiva differenziazione nei contenuti informativi mostra, d‟altra parte, come le regioni linguistiche costituiscano sempre più delle aree culturali omogenee dotate di un proprio sistema mediatico. La ricerca di Adrienne Corboud-Fumagalli (1996) si occupa delle differenze nell‟informazione televisiva proposta dai canali linguistici dell‟emittente di servizio pubblico SSR. L‟approccio, in questo caso, non prevede un‟analisi storica dei contenuti mediatici, ma consiste in un‟osservazione settimanale dei notiziari regionali finalizzata ad esplorare molteplici dimensioni della comunicazione mediatica. Lo studio rileva due fenomeni particolarmente interessanti nell‟ottica della nostra ricerca. Innanzitutto le informazioni riguardanti le regioni linguistiche diverse da quella di riferimento sono relativamente poche rispetto alla massa complessiva di notizie fornite; a questa carenza, inoltre, va aggiunto lo scarso interesse del pubblico nei confronti della programmazione offerta dai canali indirizzati alle altre collettività idiomatiche. Oltre alla regionalizzazione dei contenuti, Corboud-Fumagalli constata delle differenze nelle modalità di mediazione proposte dai diversi canali, in quelli di lingua latina il presentatore introduce e commenta le notizie molto più sovente di quanto 27 non avvenga in quello germanofono, dove è accordato molto più spazio alla pluralità di voci degli attori implicati nella situazione sociale che viene mediatizzata. Lo studio Daniel Beck e Bertil Schwotzer (2006) consiste in un‟analisi longitudinale che pone a confronto i contenuti delle edizioni principali dei telegiornali delle tre collettivitâ linguistiche comparando, inoltre, la loro evoluzione dal 1996 al 2002. I risultati mostrano che a fronte di una progressiva omogeneizzazione delle tematiche proposte – nel, 1996, ad esempio, la TSR proponeva molta più informazione culturale rispetto agli altri due canali, mentre nel 2002 questa differenza è scomparsa – si registra un maggiore ripiegamento sulle notizie inerenti la regione linguistica di riferimento a discapito di quelle riguardanti le altre aree ed il Paese nel suo insieme. In particolare il canale francofono e germanofono incrementano notevolmente lo spazio dedicato alla propria cultura regionale e diminuisce quello consacrato alle altre aree. Un altro aspetto interessante, che non ha subito variazioni significative nell‟arco di tempo considerato, è il rapporto inversamente proporzionale tra il peso demografico di una collettività idiomatiche e l‟importanza che il proprio canale accorda alle informazioni sugli altri gruppi linguistici. La TSI, infatti, è decisamente l‟emittente più orientata a fornire notizie dal resto della Svizzera, mentre la SF DRS è quella che lo è di meno. Fatta eccezione per il contributo di Wyss e Keel (2009) - che evidenzia come le differenze regionali nell‟ambito della comunicazione di massa possono non essere solo legate ai contenuti trasmessi dai media, ma anche alle condizioni strutturali che ne hanno permesso la realizzazione – le altre ricerche che abbiamo considerato presentano risultati che indicano una tendenza ad una progressiva segmentazione dello spazio pubblico mediatizzato svizzero. Lo studio di Hungerbühler (2002), riferito al medium elettronico più antico e fondato su dati che coprono un notevole arco di tempo (1960-1999), mostra una differenziazione sempre più accentuata dei contenuti informativi. La ricerca di Beck e Schwotzer (2006), incentrata sui notiziari televisivi e focalizzata sugli anni successivi (1996-2002), evidenzia approssimativamente la stessa tendenza rilevando una 28 progressiva regionalizzazione dell‟informazione. Il contributo di Corboud-Fumagalli (1996) constata il medesimo ripiegamento regionale ed indica delle importanti differenze nelle modalità di mediazione proposte dai canali latini rispetto a quello germanofono. Nei prossimi capitoli, anche attraverso gli studi di Kurt Imhof (1996b), sulla graduale perdita di importanza della stampa partitica a vantaggio di quella generalista, e di Gaetano Romano (1999), sulla progressiva “oralizzazione” e commercializzazione della comunicazione di massa, cercheremo di rendere conto di questo fenomeno. Gli studi che abbiamo presentato in questo paragrafo descrivono, sotto diverse angolature, le caratteristiche della Svizzera come Paese, ma soprattutto come Stato, plurilingue. Alcuni autori hanno evidenziato l‟influenza delle istituzioni federaliste sullo sviluppo delle collettività linguistiche, altri si sono incentrati sui diversi modi che queste ultime hanno di rapportarsi ai propri idiomi e di come vi siano fattori politici e culturali capaci di alterarli, altri ancora hanno individuato nei massmedia il moderno luogo simbolico di identificazione collettiva di questi gruppi. Il quadro complessivo che ne emerge è estremamente interessante ed altrettanto complesso, difficile da comparare con altre realtà apparentemente simili. Il Belgio, ad esempio, è un Paese dalle dimensioni geografiche e demografiche analoghe a quelle della Svizzera, è anch‟esso plurilingue; eppure (Coenen-Hutter, 1997: 142-148) la sua organizzazione centralizzata ed il fatto che, almeno in alcune aree, le variazioni linguistiche sono associate a differenze di ceto sociale, rendono le problematiche di questo Stato profondamente diverse da quelle elvetiche. Il bilinguismo franco-inglese che caratterizza il Canada è ancora più difficilmente comparabile a quello svizzero; il contesto storico, geografico e politico presenta infatti discrepanze ancora maggiori, in particolar modo legate al molto più recente stanziamento della comunità anglofona e di quella francofona sul territorio nordamericano ed al diverso assetto istituzionale di quest‟ultima in Quebec rispetto a quello in aree come l‟Ontario o l‟Acadia (Heller/Normand, 2003). 29 La popolazione straniera e la sua problematizzazione pubblica in Svizzera. La presenza della popolazione straniera in Svizzera è un fenomeno studiato sotto diverse angolature dalle scienze sociali, ma, come vedremo, il diverso impatto culturale e politico che essa esercita sulle collettività idiomatiche è un tema esplorato solo marginalmente. In questo paragrafo presenteremo le ricerche che, nel loro complesso, ci sembrano coprire le principali dimensioni del fenomeno. Dapprima esamineremo uno studio che rende conto dell‟evoluzione dei rapporti demografici (Rausa/Reist, 2008) ed una ricerca che si occupa delle attitudini della popolazione autoctona nei confronti di quella straniera (Cattacin, 2007). In seguito ci soffermeremo più specificamente sulla problematizzazione dell‟alterità nello spazio pubblico, attraverso due analisi delle strategie comunicative dei movimenti xenofobi (Altermatt/Kriesi, 1995; Skenderovic/D‟Amato, 2008) e alcuni studi più generali sulla rappresentazione dello straniero nel sistema dei media svizzero tedesco (Imhof, 1996a; Romano, 1996) e francese (Windisch, 2004). La ricerca di Fabienne Rausa e Sara Reist (2008) esplora numerosi aspetti quantitativi relativi alla popolazione straniera residente in Svizzera. I risultati evidenziano il forte aumento percentuale di persone non autoctone avvenuto negli ultimi decenni e le differenze di età media e di ripartizione tra i generi tra svizzeri e stranieri. Rausa e Reist si soffermano, inoltre, sulla diversa origine nazionale di coloro che hanno partecipato alle successive ondate migratorie e sulle differenze sociali ed economiche che si registrano tra la popolazione autoctona e quelle originarie delle altre regioni del Mondo. Questo studio, pur non affrontando il tema dei discorsi mediatici sugli stranieri fornisce un quadro socio-demografico molto dettagliato che permette di meglio comprendere l‟origine di determinati contenuti dei dibattiti pubblici che hanno avuto luogo nel corso degli anni. Lo studio condotto da Sandro Cattacin (Cattacin/Gerber/Sardi/Wegener, 2007) si occupa delle attitudini xenofobe presenti nella popolazione Svizzera. In particolare, attraverso delle interviste effettuate su un campione proveniente dai diversi contesti regionali del 30 Paese, Cattacin osserva la percezione che gli autoctoni hanno degli stranieri. I risultati mostrano delle inclinazioni contrastanti, da un lato, infatti, si riscontrano delle forti preoccupazioni legate al timore che gli immigrati provochino un aumento della criminalità e minaccino l‟identità nazionale, dall‟altro, viene riconosciuta la loro utilità economica e la necessità di predisporre delle infrastrutture in grado di accoglierli. Questa apparente contraddizione viene spiegata come un‟attitudine di ripiegamento sulle proprie frontiere unita ad un desiderio di integrazione di coloro che già si trovano all‟interno del territorio. I due contributi che abbiamo presentato permettono, a nostro avviso, di integrare le riflessioni sui discorsi mediatici sugli stranieri dal momento che essi esplorano delle dimensioni complementari del fenomeno: l‟impatto socio-demografico dell‟immigrazione in Svizzera (Rausa/Reist, 2008) e il carattere e il grado dei sentimenti xenofobi presenti nella popolazione elvetica (Cattacin, 2007). In particolare la ricerca condotta da Sandro Cattacin presenta importanti spunti di interesse per quanto riguarda la relazione tra percezione dello straniero ed identità collettiva, l‟impostazione teorica e metodologica proposta dal sociologo ginevrino non prevede però la, per noi cruciale, analisi comparata tra le diverse collettività linguistiche. Le ricerche che vedremo ora (Altermatt/Kriesi, 1996; D‟Amato/Skenderovic, 2008) analizzano le strategie politiche e comunicative di Partiti e movimenti per i quali la problematizzazione pubblica dello straniero costituisce una delle ragioni di esistere. Questi due studi ci permettono di comprendere le caratteristiche che assume in Svizzera una particolare tipologia ideale di attori politici, gli imprenditori morali (Becker, 1963), che, come vedremo nel prossimo capitolo, è costituita da coloro che vedono nella presenza della popolazione straniera una situazione sociale da normalizzare e, per questo, la tematizzano nello spazio pubblico. Lo studio condotto da Urs Altermatt e Hanspeter Kriesi (1996) si occupa del fenomeno dell‟estrema destra, di quegli attori politici che svolgono la loro attività ai confini ultimi 31 delle istituzioni democratiche elvetiche e che si fondano su ideologie che hanno nella xenofobia una delle architravi fondamentali. Dopo aver analizzato i tratti che accomunano i diversi movimenti estremisti sviluppatisi in Occidente a partire dagli anni ottanta, i due ricercatori si concentrano sulle specificità di questo fenomeno in Svizzera. Attraverso la costruzione di diverse tipologie di organizzazioni, Altermatt e Kriesi descrivono un universo molto frammentato e numericamente limitato che sta però conoscendo una profonda trasformazione. Dal fascismo e dall‟antisemitismo tradizionali, che caratterizzavano il pensiero dei nostalgici dei regimi totalitari del XX secolo, si sono sviluppate nuove forme di estremismo che estendono l‟odio razziale a tutta la popolazione straniera e che coinvolgono aderenti sempre più giovani che concepiscono la violenza come una forma di lotta politica. Oltre allo studio delle organizzazioni, la ricerca propone un‟analisi del percorso personale, della “carriera”, di una decina di estremisti, quest‟ultima parte è particolarmente interessante perché permette di comprendere il contesto sociale entro cui può maturare la xenofobia. La ricerca di Gianni D‟Amato e Damir Skenderovic (2008), a differenza di quella di Altermatt e Kriesi (1996), non si occupa dei movimenti xenofobi estremisti, ma della tematizzazione pubblica dell‟immigrazione da parte dei partiti populisti di Destra. Attraverso l‟analisi dei programmi elettorali, dei verbali delle sedute parlamentari e dei giornali di partito, i due ricercatori ritracciano le strategie con cui questi partiti hanno influenzato la politica migratoria attuata dalla Svizzera a partire dagli anni sessanta, in particolare viene rilevato come, analogamente a quanto avviene nel resto d‟Europa, la loro azione si sia fatta più pressante ed efficace nel corso dell‟ultimo ventennio. D‟Amato e Skenderovic pongono la loro attenzione sulla trasformazione dell‟Unione Democratica di Centro (UDC) che, a partire dal 1991, ha praticamente monopolizzato la problematica dell‟immigrazione soppiantando, di fatto, i piccoli partiti estremisti. Grazie e delle campagne molto dispendiose e provocatorie, l‟UDC è riuscita, da allora, a mantenere il tema della presenza straniera costantemente nel cuore dell‟agenda politica. Per quanto riguarda i contenuti proposti, è stato notato come il partito guidato da Cristoph Blocher abbia modificato la percezione collettiva dell‟immigrazione. Nei 32 decenni precedenti, infatti, i movimenti xenofobi tematizzavano gli stranieri unicamente come una fonte di criminalità e di impoverimento economico, l‟UDC, invece, ha posto l‟accento anche sulle differenze culturali tra autoctoni ed immigrati. L‟arrivo e l‟integrazione di numerose persone di religione mussulmana, ad esempio, è stato presentato come incompatibile con la cultura ed i costumi svizzeri. Questi nuovi discorsi, uniti a quelli più tradizionali sugli “abusi” dei richiedenti d‟asilo, si sono rivelati molto efficaci in occasione di svariate consultazioni popolari ed hanno permesso all‟UDC di assumere sempre più potere all‟interno del parlamento e del governo del Paese. I due contributi che abbiamo appena sintetizzato permettono di comprendere le caratteristiche degli attori politici che propongono al pubblico la presenza di persone straniere come un problema sociale che richiede soluzioni di tipo restrittivo. I movimenti xenofobi antidemocratici sono, in Svizzera, un fenomeno marginale, anche se non trascurabile (Altermatt/Kriesi, 1996); mentre l‟azione dei partiti populisti di Destra, ed in particolare dell‟UDC, si rivela sempre più forte ed efficace (D‟Amato/Skenderovi, 2008). Gli studi di Imhof (1996a) e Romano (1996) e Windisch (2002) affrontano il tema della problematizzazione pubblica dello straniero da un'altra prospettiva, non occupandosi tanto degli attori politici, gli imprenditori morali, quanto dell‟impostazione dei giornali, di quanto proposto, cioè, da coloro che dispongono delle risorse espressive per porre all‟attenzione collettiva determinati problemi sociali: i chierici mediatori (Gellner, 1983). I primi due contributi utilizzano come corpo empirico i quotidiani della Svizzera tedesca, il terzo quelli della Romandia. Kurt Imhof (1996a: 299-314) si occupa della semantica dello straniero, ovvero della distinzione tra i concetti di “noi” e di “altri”, proposta sui mezzi di comunicazione di massa durante le fasi di crisi sociale. Il corpo empirico della ricerca è costituito dalle edizioni di cinque giornali, unicamente germanofoni, pubblicate nel periodo 1910-1980. Innanzitutto, l‟autore identifica nei periodi di crisi, in generale legati e cambiamenti 33 profondi delle strutture economiche, una sostanziale convergenza nelle tematiche a cui i quotidiani considerati danno risalto. Una delle problematiche che viene posta in primo piano durante queste fasi di rottura è la contrapposizione tra i membri della collettività svizzera e chi non ne fa parte, in una sorta di processo di “etnicizzazione dell‟elemento politico” che porta alla costituzione di forme comunitarie all‟interno della società. Le crisi che si sono succedute a partire dagli anni dieci portano alla nascita di altrettanti “regimi di comunicazione” durante i quali le rappresentazioni identitarie proposte nei discorsi pubblici soggiacciono a visioni ideologiche che propugnano ineguaglianze basate, di volta in volta, su fattori religiosi, biologico-razziali, culturali o politici. In determinate fasi storiche, come all‟indomani del secondo conflitto mondiale o durante la Guerra Fredda, infatti, coloro che professavano ideologie ritenute in conflitto con i valori del Paese erano considerati al di fuori della comunità elvetica attraverso un processo in cui l‟elemento conflittuale trasformava alcuni membri della società in stranieri. Gaetano Romano (1996: 25-35), basandosi anch‟egli su un corpo di giornali svizzeritedeschi, mostra che, storicamente, non è possibile stabilire una correlazione temporale tra l‟intensità del dibattito pubblico sul tema degli stranieri ed i flussi reali di immigrazione. Nel corso del XX secolo la mediatizzazione del problema dell‟”inforestierimento” (Überfremdung), della minaccia alle tradizioni elvetiche portate dall‟afflusso di persone provenienti dall‟estero, si sviluppa per cause legate a dinamiche interne alla società svizzera. Secondo Romano non sono le crisi di tipo economico ad incrementare la discussione su questo tema, essa è stimolata piuttosto dall‟acuirsi delle lacerazioni tra i diversi gruppi sociali presenti nel Paese. I discorsi sui rischi legati all‟immigrazione erano, infatti, particolarmente intensi già a partire dalla fine dell‟Ottocento, quando esisteva un forte contrasto tra liberali e conservatori. Questo fenomeno si è poi ripetuto tra la fine degli anni sessanta e l‟inizio dei settanta, un periodo in cui ai movimenti studenteschi libertari si contrapponevano le iniziative “anti-stranieri” promosse da James Schwarzenbach, e tra il 1986 ed il 1994, quando la Svizzera doveva prendere le prime importanti decisioni sul suo ruolo rispetto 34 all‟Unione Europea. Lo straniero diviene, secondo Romano, un problema pubblico quando la coesione nazionale è minacciata da cause interne. Ueli Windisch (2002) propone un‟analisi degli editoriali, delle tribune e delle lettere dei lettori apparsi sui giornali svizzero-francesi in occasione delle votazioni che hanno avuto per oggetto la legislazione sugli stranieri svoltesi tra il 1970 ed il 2000. L‟autore ha un‟impostazione profondamente differente rispetto ai due che abbiamo citato in precedenza; egli non mira, infatti, a descrivere le fasi storiche in cui la problematizzazione dei flussi migratori ha avuto luogo, il suo interesse principale verte sulle trasformazioni che il dibattito pubblico ha generato sulla percezione stessa del problema. Secondo l‟approccio comunicazionale adottato da Windisch, le argomentazioni proposte dai partigiani dei due schieramenti hanno come effetto, oltre a quello diretto di orientare il voto degli elettori, quello di porre in contrapposizione visioni complessive dell‟ordine sociale, ad esempio il concetto di “sovrappopolazione straniera” presuppone una ben determinata concezione della società svizzera, così come l‟accusa di ”xenofobia” indica chiaramente un tipo di rappresentazione dello schieramento che propugna una politica restrittiva in materia di immigrazione. Secondo il sociologo ginevrino i dibattiti che hanno luogo in occasione delle consultazioni popolari permettono di costruire e di far evolvere progressivamente la problematizzazione dello straniero attraverso una dinamica relativamente autonoma rispetto ad altri mutamenti sociali. Gli studi che abbiamo preso in considerazione in questo paragrafo permettono di comprendere aspetti importanti legati alla tematizzazione pubblica dello straniero. Ai fini della nostra ricerca si rivelano particolarmente importanti da un lato i contributi di Altermatt/Kriesi (1996) e, soprattutto, D‟Amato/Skenderovic (2008), dall‟altro quelli di Imhof (1996a), Romano (1996) e Windisch (2002). I primi si occupano infatti delle strategie degli attori politici interessati a problematizzare l‟immigrazione, coloro che definiremo imprenditori morali; i secondi trattano dell‟impatto che essi hanno attraverso 35 l‟azione dei massmedia, entrando in contatto, quindi, con gli attori che descriveremo nel prossimo capitolo come chierici mediatori. Né Imhof, né Romano, né Windisch, però, analizzano in modo approfondito le eventuali differenze nella struttura dei dibattiti su questo tema tra i diversi segmenti linguistici dello spazio pubblico svizzero, ciascun‟autore prende in considerazione i media di una sola regione linguistica e ne trae conclusioni valide per l‟intero Paese. Le problematiche legate alle procedure di naturalizzazione in Svizzera. Le specificità legate alle pratiche di naturalizzazione in Svizzera sono state osservate sotto diverse angolature, dall‟analisi delle implicazioni giuridiche sino a considerazioni sociologiche sul loro essere riflesso del senso identitario prevalente nella collettività nazionale. In questo paragrafo ci occupiamo dapprima di una ricerca che ne esplora l‟evoluzione da un punto di vista socio-demografico (Wanner/Piguet, 2002) e di uno studio che analizza storicamente le tappe della legislazione svizzera in materia di cittadinanza (Studer/Arlettaz/Argast, 2008). In seguito presenteremo tre studi etnografici strettamente complementari tra loro (Centlivres, 1990; Ossipow, 1996; Steiner/Wicker, 2000) incentrati sulle differenze regionali nella definizione dei criteri per ottenere la naturalizzazione ed uno (Helbling, 2008) che fornisce un‟interpretazione in chiave politologica di queste variazioni. Infine renderemo conto di un contributo che analizza comparativamente il grado di integrazione scolastica e professionale dei giovani naturalizzati in rapporto a quello dei loro coetanei svizzeri e stranieri (Fibbi/Lerch/Wanner, 2007). Philippe Wanner e Etienne Piguet (2002) propongono un‟analisi quantitativa dell‟evoluzione storica del fenomeno della naturalizzazione dei cittadini stranieri in Svizzera. Oltre a fornire un quadro generale del suo impatto sulle strutture demografiche del Paese, lo studio fornisce importanti elementi chiarificatori su alcuni aspetti che risultano particolarmente controversi nei dibattiti pubblici su questo tema. In particolare, viene posto in evidenza come, a fronte di un aumento considerevole in termini assoluti delle persone naturalizzate nel periodo 1950-2000, il tasso lordo di naturalizzazione, 36 ovvero il numero di individui che acquisiscono la cittadinanza ogni cento stranieri residenti, sia rimasto pressoché invariato. Attraverso il raffronto tra le piramidi dell‟età della popolazione autoctona, degli stranieri e degli svizzeri naturalizzati, viene mostrato come questi ultimi siano mediamente più giovani, un aspetto spiegato dai due ricercatori con il desiderio da parte dei candidati di una maggiore integrazione lavorativa. Per quanto riguarda l‟origine di coloro che ottengono la cittadinanza, Wanner e Piguet constatano come vi siano forti differenze tra i cittadini europei, in particolare spagnoli e tedeschi, la cui madrepatria non riconosce il doppio passaporto e che aspirano in misura sempre minore alla nazionalità svizzera, e coloro che sono originari di Paesi lontani a cui faranno difficilmente ritorno e che sono perciò più propensi a considerare la Confederazione come la loro patria d‟adozione. Lo studio condotto da Brigitte Studer (Studer/Arlettaz/Argast, 2008) è anch‟esso di carattere storico, ma è incentrato sui fattori politici, culturali ed economici che hanno determinato l‟evoluzione del diritto di cittadinanza dal 1848 ad oggi. L‟analisi si fonda su un‟estesa documentazione che comprende i dibattiti parlamentari, le principali prese di posizione politiche, le istruzioni date ai funzionari ed i regolamenti in vigore nei settori dell‟amministrazione pubblica preposti a trattare questa problematica e si focalizza su due dimensioni: la prima riguarda le trasformazioni a livello federale nella concezione di appartenenza allo Stato, la seconda - attraverso lo studio di quanto avvenuto a Basilea, Berna e Ginevra – concerne l‟evoluzione del diritto di cittadinanza sul piano cantonale e comunale. Le conclusioni a cui giunge Studer permettono di individuare una serie di fasi storiche nel corso delle quali si registrano radicali modifiche nella collocazione dei valori discorsivi e delle pratiche concrete di naturalizzazione. Ad una progressiva centralizzazione dei poteri a livello federale che, nel corso dell‟Ottocento, ha portato ad una politica di assimilazione della popolazione immigrata, ha fatto seguito, nel periodo comprensivo dei due conflitti mondiali, una fase in cui vi era una forte diffidenza nei confronti degli stranieri. Nel dopoguerra, ed in particolare a partire dagli anni sessanta, si è registrato un inasprimento delle disposizioni in molti Comuni e Cantoni che si prefiggevano di 37 combattere l‟”inforestierimento” del Paese. A partire dagli anni ottanta sino ad oggi si assiste, a livello federale, a numerosi tentativi di agevolare le naturalizzazioni, questi sforzi incontrano però una forte opposizione politica che porta ad una drammatizzazione del dibattito su questo tema. Le ricerche condotte da Studer (2008) e da Wanner e Piguet (2002) permettono di inquadrare da prospettive diverse l‟evoluzione storica dei fenomeni legati alle pratiche di naturalizzazione. I tre studi che esaminiamo ora (Centlivres, 1990; Ossipow, 1996; Steiner/Wicker, 2000) considerano questo fenomeno da un punto di vista etnografico incentrandosi sulla situazione nella Svizzera contemporanea. Pierre Centlivres (1990) ha focalizzato la sua analisi sul Comune di domicilio di colui che richiede la cittadinanza, il luogo nel quale si svolge concretamente la procedura di naturalizzazione, dove viene giudicato il livello di inserimento sociale ed il sentimento di appartenenza nazionale del candidato. La concessione del passaporto svizzero a seguito di una tale prassi, che in tempi non lontani da quelli in cui scrive l‟autore ancora si fondava su visite a domicilio, non è concepito come una tappa di un percorso di integrazione, ma come la ricompensa per un‟assimilazione ormai completata. Centlivres nota in proposito come in alcuni Cantoni della Svizzera centrale ed orientale siano i cittadini dei Comuni interessati ad esprimersi in consultazione popolare sull‟opportunità di naturalizzare o meno i richiedenti. Laurence Ossipow (1996), seguendo il medesimo approccio, constata che le procedure lasciano un largo margine di manovra ai Comuni. Entro certi limiti giuridici, infatti, alcuni di essi agiscono principalmente in base allo ius sanguini mentre altri si riferiscono in prevalenza allo ius soli. Pascale Steiner e Hans-Rudolf Wicker (2000) contestualizzano queste differenze all‟interno delle strutture federaliste svizzere. Secondo i due autori la ripartizione tra i Cantoni che adottano il diritto di suolo e quelli che fanno prevalere il diritto di sangue semplifica in maniera eccessiva la complessità delle divisioni interne al Paese. I risultati della ricerca mostrano che vi è una vasta area geografica, la Romandia ma anche le 38 regioni urbane della Svizzera tedesca, in cui le autorità comunali e cantonali si adoperano per agevolare le naturalizzazioni, in particolare dei giovani di seconda e terza generazione, distanziandosi dai modelli di assimilazione e rendendole principalmente degli atti amministrativi. Accanto a questa regione caratterizzata per una sempre maggiore liberalità nell‟attribuzione della cittadinanza ve n‟è un‟altra, costituita in prevalenza da comuni rurali germanofoni, dove viene applicato rigidamente lo ius sanguinis ed in cui il principio di assimilazione è ancora ritenuto imprescindibile. Le ricerche di Centlivres (1990), Ossipow (1996), Steiner e Wicker (2000) evidenziano come vi siano importanti differenze regionali – anche, ma non esclusivamente, tra le aree linguistiche – nel modo in cui le autorità che presiedono le istituzioni comunali e cantonali concepiscono le pratiche di naturalizzazione. Il recente studio di Helbling (2008) fornisce un‟interpretazione, in chiave politologica, di queste variazioni. L‟analisi di Marc Helbling (2008) prende spunto dalle specificità della legislazione in materia di naturalizzazione in Svizzera; in nessun‟altro Stato, infatti, vi è una tale differenziazione a livello regionale e comunale nelle pratiche di attribuzione della cittadinanza. Basandosi sui dati provenienti da 200 Comuni e sull‟osservazione approfondita delle procedure applicate da 14 di essi, il ricercatore rende conto delle ragioni per le quali alcune municipalità applicano una politica più restrittiva rispetto ad altre. Secondo Helbling, le cause di queste differenze non sono da ricercare nelle caratteristiche socioeconomiche, nel tasso di disoccupazione o di immigrazione, dei diversi Comuni, quanto nel loro assetto istituzionale e nella composizione della rappresentanza politica che li guida. I risultati mostrano, infatti, che più è estesa l‟arena dei partecipanti al processo decisionale – ed in alcuni Comuni, in particolare della Svizzera centrale ed orientale, le naturalizzazioni sono decise in consultazione popolare – maggiore si rivela la rigidità nel concedere la cittadinanza. Più gli attori implicati sono garantiti dall‟anonimato, meno si sentono responsabilizzati rispetto alle ripercussioni che il loro voto negativo potrebbe avere sul candidato. 39 Un altro elemento importante che determina l‟orientamento delle politiche in materia di naturalizzazione è dato dal radicamento che i partiti hanno nelle diverse municipalità; la concezione del diritto di cittadinanza degli amministratori comunali influenza, infatti, fortemente le prese di decisione riguardo alle candidature. In particolare, gli esponenti di partiti favorevoli ad una politica restrittiva riescono sovente a dominare i dibattiti pubblici su questo tema dal momento che possono ricorrere ad argomenti, come la sicurezza sociale o la criminalità, che si rivelano di facile presa sulla popolazione. La ricerca condotta da Rosita Fibbi (Fibbi/Lerch/Wanner, 2007) adotta una prospettiva differente rispetto agli studi che abbiamo considerato in precedenza: si tratta, infatti, di uno studio sulle performance scolastiche dei giovani naturalizzati e sulle loro successive prospettive professionali. L‟analisi comparata con i loro coetanei svizzeri di nascita e stranieri, mostra come i naturalizzati terminino con più frequenza una formazione superiore rispetto agli appartenenti agli altri due gruppi sociali; in particolare coloro che hanno ottenuto la cittadinanza ma sono nati nella Confederazione, indipendentemente dalla loro origine etnica, ottengono risultati nettamente migliori rispetto agli autoctoni ed agli immigrati. Il successo negli studi non si traduce però automaticamente in un‟altrettanto brillante integrazione nel mondo del lavoro: il tasso di disoccupazione dei giovani naturalizzati, pur se inferiore a quello degli stranieri, risulta più elevato rispetto a quello degli svizzeri di nascita. Questa apparente contraddizione può essere spiegata con i legami più informali che caratterizzano determinati rami professionali e che favoriscono, di conseguenza, l‟integrazione degli autoctoni. Un aspetto importante è dato, inoltre, dalla migliore riuscita scolastica e dalle più interessanti aspettative lavorative dei naturalizzati rispetto ai loro coetanei stranieri, una situazione che potrebbe essere dovuta a degli impliciti meccanismi di selezione insiti nelle procedure di concessione della cittadinanza che favorirebbero gli individui più funzionali al sistema economico. Le ricerche che abbiamo preso in esame esplorano, a nostro avviso, le principali problematiche legate al fenomeno delle naturalizzazioni in Svizzera. Lo studio di 40 Wanner e Piguet (2002) permette di contestualizzare scientificamente una serie di dati statistici che, sovente, sono presentati strumentalmente nei dibattiti pubblici. Studer (2008) ripercorre l‟evoluzione storica di queste discussioni in parallelo con le trasformazioni legislative. Centlivres (1990), Ossipow (1996), Steiner e Wicker (2000) evidenziano le differenze comunali e cantonali nelle procedure di attribuzione della cittadinanza. I contributi di Helbling (2008) e Fibbi (2007), infine, si occupano di due temi - rispettivamente le conseguenze dell‟applicazione della democrazia diretta in materia di naturalizzazione e lo statuto dei giovani richiedenti – che erano alla base delle votazioni di cui ci occuperemo nei prossimi capitoli. Come anticipato, la nostra domanda di ricerca tocca molteplici ambiti della vita sociale e politica svizzera, di conseguenza gli studi a cui è occorso rapportarci affrontano problematiche a volte molto diverse tra loro. Dapprima ci siamo occupati di un gruppo di ricerche che, con sfumature diverse, mostrano l‟esistenza di divergenze nelle scelte politiche tra le regioni linguistiche e ipotizzano che queste variazioni celino differenze culturali ed identitarie. In seguito abbiamo trattato i contributi che evidenziano l‟importanza del fattore idiomatico nella costruzione delle identità collettive, in particolare ci siamo soffermati su quelli focalizzati sui segmenti dello spazio pubblico mediatizzato svizzero, intesi come luoghi simbolici in cui avviene una parte essenziale di questo processo di identificazione. Successivamente ci siamo occupati dei principali studi sulle problematiche legate agli stranieri, ponendo particolare attenzione a quelli che analizzavano la loro rappresentazione attraverso i mezzi di comunicazione di massa. Infine abbiamo preso in considerazione le ricerche che hanno per oggetto le procedure di naturalizzazione e che permettono di comprendere come questo tema presenti forti implicazioni identitarie, in termini di differenze tra “noi e gli “altri” e di attribuzione del potere decisionale in materia. Nel prossimo capitolo abbandoneremo momentaneamente le specificità della realtà svizzera per affrontare da un punto di vista teorico il processo di problematizzazione pubblica di un fatto sociale e le tipologie di attori che vi sono coinvolti. 41 Capitolo I: Il problema sociale nello spazio pubblico. Rispetto al tema trattato in questa ricerca, i discorsi mediatici sugli stranieri nei tre segmenti dello spazio pubblico svizzero in occasione delle votazioni sulle procedure di naturalizzazione, il capitolo propone un modello teorico che descrive in maniera generale il processo di problematizzazione sociale senza, per ora, affrontare le specificità del contesto elvetico. Sono esplorati dapprima i fattori che concorrono alla rappresentazione sociale della realtà, in seguito i luoghi simbolici in cui questa viene condivisa e presentata in termini di problema di rilevanza pubblica, e, infine, le tipologie ideali a cui è possibile ricondurre gli attori che compiono questa operazione. Il modello si articola su tre dimensioni strettamente interconnesse: la rappresentazione sociale, l‟immagine della realtà scaturita da una conoscenza socialmente elaborata e condivisa, attraverso il senso comune, dai membri di una collettività; lo spazio pubblico mediatizzato, il luogo simbolico nel quale si confrontano e si elaborano opinioni su temi che sono stati resi di interesse pubblico; la problematizzazione pubblica, l‟operazione compiuta dagli attori che definiscono un problema di rilevanza collettiva e da quelli, non necessariamente gli stessi, che lo rendono pubblico. Al fine di comprendere le sotto-dimensioni che compongono tanto il concetto di rappresentazione sociale quanto quello di spazio pubblico mediatizzato occorre ricordare l‟insegnamento di Fernand Braudel (1949) e riflettere sulla coesistenza di diversi tempi storici oltre a quello rapido e superficiale caratteristico della storia fattuale. Vedremo di seguito come le due nozioni sono costruite su elementi che derivano, anche e soprattutto, da una temporalità quasi immobile, basata su mutazioni di carattere antropologico, e di una più ritmata, ma comunque lenta, che scandisce i cambiamenti sociali. 42 Partendo da questa premessa, la rappresentazione sociale è considerata attraverso l‟influenza che su di essa hanno i codici civilizzazionali (Eisenstadt, 2000, 1998), che costituiscono il collante delle identità collettive (Eisenstadt/Gisen 1995). Su un'altra scala temporale, quella che concerne i mutamenti sociali, la rappresentazione sociale è studiata attraverso le influenze di modelli culturali (Touraine, 1965, 1973) e di logiche ideologiche (Althusser, 1965, 1970) che si impongono nella società attraverso il processo di egemonia (Gramsci, 1948, Laclau/Mouffe, 1985). Analogamente il concetto di spazio pubblico è considerato dapprima riflettendo sul suo ruolo nella condizione umana (Arendt, 1958), in seguito analizzando come, con l‟avvento della modernità, si sia affermata una sfera pubblica borghese (Habermas, 1962, 1990) e come questa sia stata all‟origine dello spazio pubblico mediatizzato contemporaneo (Wolton, 1991; Wolf, 1996). Dopo aver trattato questi aspetti, viene analizzato il ruolo degli imprenditori morali (Becker, 1963) - portatori di tratti civilizzazioni, di modelli culturali e di posizioni ideologiche – che definiscono un problema della società e, attraverso coloro che fungono da chierici mediatori (Gellner, 1983), lo immettono dello spazio pubblico mediatizzato, proponendolo come un problema per la società (Céfai, 1996). 1.1 Rappresentazioni sociali. Il concetto di rappresentazione è di natura polisemica. In sociologia (ed in psicologia sociale) esso designa l‟immagine collettiva della realtà come frutto della relazione riflessiva tra la collettività ed i suoi membri. È una nozione centrale dell‟ etnometodologia (Garfinkel, 1963) che la considera una forma di conoscenza, il pensiero di senso comune, indispensabile all‟uomo per orientarsi nella società in cui vive. 43 Ai fini della nostra ricerca è, però, più utile rifarsi alla definizione proposta dallo psicologo sociale Serge Moscovici (1963, 1973), secondo cui la rappresentazione è l‟elaborazione collettiva: “… di un oggetto sociale da parte di una comunità al fine di darsi un comportamento e di comunicare”1 che avviene attraverso “un sistema di valori, idee e pratiche per una duplice funzione; primo, per stabilire un ordine che permetta agli individui di orientarsi nel proprio mondo materiale e sociale e di gestirlo; secondariamente per permettere la comunicazione tra i membri di una comunità fornendo loro un codice per lo scambio sociale ed un codice per nominare e classificare senza ambiguità i vari aspetti del loro mondo nonché la loro storia individuale e di gruppo.2 [t.d.a] L‟aspetto che consideriamo in questo paragrafo è il secondo, ed in particolare quello relativo al codice per nominare e classificare i vari aspetti del mondo. Ci soffermeremo dapprima sui codici relativi ai tratti civilizzazionali per poi occuparci di quelli generatisi tramite le ideologie e i modelli culturali propri all‟era moderna. 1.1.1 Identità collettive e codici civilizzazionali. La civilizzazione è, secondo Shmuel N.Eisenstadt (2000, 1998), l‟effetto di codici che stabiliscono delle distinzioni che permettono, attraverso la reinterpretazione delle visioni ontologiche fondamentali, l‟elaborazione e la comprensione delle strutture e delle regole dei principali contesti istituzionali di una società. In una pubblicazione con Bernhard Giesen (1995), determinati codici civilizzazionali sono messi in relazione con il 1 …of a social object by the community for the purpose of behaving and communicating (Moscovici, 1963, p.231) 2 …system of values, ideas and practices with a twofold function; first, to establish an order which will enable individuals to orientate themselves in their material and social world and to master it; and secondly to enable communication to take place among the members of a community by providing them with a code for social exchange and a code for naming and classifying unambiguously the various aspects of their world and their individual and group history” (Moscovici, 1973 p.xiii) 44 concetto di identità collettiva, inteso a designare tutto ciò che permette ad una popolazione di definire sé stessa in quanto collettività auto-organizzata e di distinguere i suoi membri dal resto dell‟umanità. A partire da queste considerazioni, i due autori propongono, guidati dal concetto weberiano di tipo ideale (Weber, 1922), delle tipologie di codici simbolici inerenti ad altrettante forme di identità collettive. L‟approccio civilizzazionale all‟identità collettiva. Lo studio della costituzione delle identità collettive è stato raramente un punto centrale nelle analisi proposte dai principali paradigmi sociologici contemporanei. Essi hanno prevalentemente focalizzato la loro attenzione su fenomeni caratteristici dell‟età comunemente definita moderna. L‟identità collettiva è sovente stata ritenuta come un semplice effetto collaterale delle strutture sociali di base, o un richiamo ad uno stile di vita tradizionale destinato a dissolversi con il progresso. Eisenstadt e Giesen (1995) contestano questa visione che definisce la modernità - il periodo storico, relativamente recente, che ha visto l‟affermarsi degli Stati nazione, della razionalizzazione e dell‟economia industriale – come la principale chiave di volta delle società contemporanee. I due autori attribuiscono grande importanza ad un fenomeno molto anteriore: lo sviluppo di civiltà assiali - Grecia antica, giudaismo e cristianesimo, tra le altre - che hanno costituito e recepito un chiasmo tra l‟universo trascendente e quello mondano. Al fine di rendere conto dell‟influenza che l‟emergere di queste forme civilizzazionali ha avuto sulle società contemporanee, essi tornano alle riflessioni durkheimiane e weberiane sulla religione, rilevando come entrambe costituiscono un orientamento paradigmatico per una teoria dell‟identità collettiva e che: “… sebbene relazionino la cultura simbolica alla struttura sociale, né Durkheim, ne Weber spiegano la religione come il risultato pianificato e intenzionale di un‟azione 45 razionale.”3 Le identità collettive, così come la religione, si “… riferiscono a costrutti simbolici … [e possono] compiere la [loro] funzione solo se il processo di costruzione sociale resta latente.”4 [t.d.a] L‟identità collettiva risulta dunque il quadro entro il quale i costi e i benefici delle azioni razionali sono misurati. Essa non configura direttamente i comportamenti degli individui, ne delinea piuttosto la cornice, è l‟insieme delle regole istituzionali fondamentali entro cui le considerazioni razionali, utilitariste o assiologiche, possono manifestarsi. I fondamenti teorici di questo approccio sono forniti attraverso un‟analisi comparativa delle diverse istituzioni sociali. Uno studio che si pone come obbiettivo quello di spostare l‟attenzione dalle differenze strutturali presenti nelle singole società al loro contesto interpretativo e regolativo. Questo perché, secondo Eisenstadt (2000): “… contrariamente alle presupposizioni delle analisi evoluzioniste e strutturalfunzionaliste classiche, le diverse dimensioni delle differenziazioni strutturali non sempre si accompagnano nel medesimo modo. Ciascuno di questi componenti della vita sociale sviluppa alcune tendenze autonome che possono accompagnarsi in diversi modi nelle diverse società.”5 [t.d.a] Il fulcro di questa analisi risiede nel concetto di civilizzazione, una combinazione delle visioni ontologiche e cosmologiche prevalenti in una società, con le definizioni, costruzioni e regolazioni delle maggiori arene della vita sociale. L‟interrelazione tra la formulazione, la promulgazione, l‟articolazione e la continua reinterpretazione della “… although relating symbolic culture to social structure, neither Durkheim nor Weber explained religion as the planned and intentional outcome of rational action” (Eisenstadt/Gisen, 1995, p.73) 4 “… refer to symbolic constructs … can also fulfill its function only if the social process constructing it are kept latent.” (Eisenstadt/Gisen, 1995, p.73) 5 “… contrary to the presupposition of classical evolutionary and structural-functional analyses, different dimensions of structural differentiation do not always go together in the same ways. Each of these components of social life develops some autonomous tendencies , and they may come together in different ways in different societies” (Eisenstadt, 2000, p.2) 3 46 visione mondana e trans-mondana della realtà con la definizione, la strutturazione e la regolazione dei principali settori istituzionali. L‟approccio civilizzazionale implica, e questo assume una particolare rilevanza nella presente ricerca, un superamento delle relazioni di potere unicamente in termini di classi sociali o, quantomeno, in funzione dei rapporti di forza economici. È più appropriato, in questo caso, riflettere sui processi di controllo esercitati da gruppi di élite operanti nelle diverse arene istituzionali; in quelle politiche ed economiche, ma anche in quelle che garantiscono la solidarietà sociale e la costruzione di un immaginario collettivo. Elite che assicurano l‟impatto della visione ontologica nei diversi segmenti della società. Tipologie ideali di identità collettive. Come sottolineato in precedenza, i tratti civilizzazionali specifici alle identità collettive, caratterizzano, da un lato, lo stretto rapporto che intercorre tra visione ontologica ed organizzazione sociale e, dall‟altro, la percezione di un‟ appartenenza esclusiva ad una collettività all‟interno della quale i membri condividono: “… speciali processi di induzione, che spaziano da vari riti di iniziazione a vari rituali collettivi, attraverso i quali l‟attributo di similarità tra i membri, contrapposto all‟alterità, alla diversità, alla distinzione degli altri, viene simbolicamente costruito e definito.”6 [t.d.a] Al fine di stabilire la solidarietà e la fiducia tra i propri membri, la collettività regola, attraverso l‟attivazione di specifici codici di distinzione connessi con la visione ontologica, l‟eventuale acquisizione di nuovi componenti e assicura che, una volta ammessi, questi siano percepiti e si percepiscano come uguali agli altri sotto determinati “… special processes of induction, ranging from various rites of initiation to various collective rituals, in which the attribute of similarity among its members, as against the strangeness, the differences, the distinctions of the other, is symbolically constructed and defined.” (Eisenstadt/Giesen, 1995, p.74) 6 47 aspetti. La collettività stabilisce una sorta di frontiera che divide ciò che è dentro da ciò che è fuori, ciò che è familiare da ciò che è estraneo, ciò che è civile da ciò che è barbaro. Le caratteristiche distintive dei codici propri alla formulazione di un‟identità collettiva si gerarchizzano e si combinano diversamente a seconda delle civiltà. Eisenstadt e Giesen (1995: 74-77), a partire dai codici maggiori di civilizzazione, riconoscono dei codici di distinzione connessi a diverse forme di identità collettiva e costituiti sulla base della seguente tricotomia: la dimensione spaziale, ancorata sul concetto di qui, che distingue ciò che è dentro da ciò che è fuori; la dimensione temporale, centrata sull‟ adesso, che divide il presente dal passato e dal futuro; la dimensione riflessiva, focalizzata sull‟io, che distingue ciò che è centro da ciò che è periferia, ciò che è sacro da ciò che è profano. Così costruiti, i codici di distinzione, di differenziazione tra noi e loro, danno luogo a delle tipologie ideali che caratterizzano le identità collettive vigenti nelle civiltà: il codice primordiale, focalizzato su componenti come il genere e la generazione, il territorio, la razza o la lingua; il codice della civiltà, costruito sulla familiarità con determinate regole di comportamento, tradizioni e routine sociali , che possono essere esplicite o implicite, ed il cui rispetto demarca l‟appartenenza o meno alla collettività; il codice del sacro, stabilisce il confine tra gli “altri” e “noi” in relazione con il sacro ed il sublime. Senza distinzione se questo viene definito Dio o Ragione, Progresso o Razionalità. La tipologia ideale di identità collettiva fondata sul codice primordiale si caratterizza per un‟appartenenza percepita dai membri come fondata su un insieme di demarcazioni ritenute naturali e non socialmente costruite. I confini che separano coloro che fanno parte della collettività da chi ne è escluso sono estremamente difficili da valicare, proprio in ragione del loro carattere percepito come “naturale”. Essi sono superati unicamente attraverso complessi riti di passaggio e di purificazione che hanno lo scopo di 48 riaffermare l‟omogeneità della comunità. La naturalizzazione dei codici tra interno ed esterno garantisce, da un lato, la latenza della loro costruzione sociale e, dall‟altro, condiziona la percezione dell‟esterno; gli “altri” infatti: “… non possono essere convertiti e adottati … non possono essere educati … ogni sforzo di istruirli sarebbe vano, perché essi semplicemente mancano delle essenziali precondizioni per la comprensione … Gli estranei sono spesso considerati demoniaci, dotati di una identità forte ed ostile che minaccia l‟esistenza delle comunità primordiali.”7 [t.d.a] In virtù della convinzione dell‟esistenza di caratteristiche naturali che accomunano i propri membri, le società contraddistinte dal codice primordiale hanno una spiccata tendenza ad un‟egualitaria distribuzione dei diritti ed a garantire un adeguato accesso pubblico a beni e servizi, ciò che permane una delle linee guida dei moderni Statinazione. L‟identità collettiva idealmente fondata sul codice civico è, contrariamente alla precedente, caratterizzata dalla percezione di una differenza tra “noi” e “loro” non segnata da un referente esterno come la natura, quanto dalla capacità di assimilazione delle routine, delle tradizioni, delle istituzioni e dei principi costitutivi propri alla società di riferimento. Il membro della collettività è colui che, attraverso un processo di socializzazione, è familiare a questo insieme di regole, anche a quelle implicite che egli nemmeno sa di conoscere e rispettare. Pur senza avere la rigidezza delle demarcazioni proprie al codice primordiale, le barriere possono venire superate dall‟outsider solo con pazienza e cautela. Il carattere implicito di molte delle regole e routine a cui attenersi rende, infatti, insufficiente un‟istruzione unicamente formale. Il codice civico, in modo apparentemente paradossale, costruisce “… cannot be converted and adopted … cannot be educated … every effort to instruct them will fail, because they simply lack the essential preconditions of understanding … Strangers are frequently considered as demoniac, as endowed whit a strong and hostile identity which threatens the existence of primordial communities” (Eisenstadt/Giesen, 1995, pp 78-79) 7 49 molti tratti della frontiera dell‟identità collettiva non menzionandoli e lasciandoli latenti. L‟outgroup non è, infatti, considerato naturalmente diverso: “… è semplicemente differente e straordinario senza attribuirgli particolari – positive o negative – qualità carismatiche. Dal momento che l‟estraneo non è familiarizzato e differente, le sue azioni sono difficili da comprendere ed il suo comportamento difficile da spiegare; la logica stessa dell‟interazione richiede una certa cautela e distanza.” 8 [t.d.a] La gradualità nel processo di superamento delle barriere del codice civico porta ad una marcata distinzione gerarchica tra i membri familiarizzati a tutte le regole ed i nuovi venuti. Questa gerarchia è una delle concause, assieme ad una più marcata separazione della sfera politica da quella economica, della maggiore ineguaglianza nell‟attribuzione dei diritti e nell‟accesso ai beni ed ai servizi. La tipologia di identità collettiva fondata sul codice sacro – o codice culturale, se si considera l‟accezione più stretta, legata alle dinamiche dell‟universalismo, del termine – si caratterizza per una distinzione tra “noi” e “loro” sulla base di una particolare relazione tra il soggetto collettivo ed il sacro. La barriera tra interno ed esterno può essere superata attraverso la comunicazione, l‟educazione e la conversione. L‟orientamento universalistico di questo senso di identità si traduce in un desiderio di inclusione, in un‟attitudine missionaria verso gli altri. A fronte di questa sorta di “invito”, anche pressante, rivolto all‟outsider perché questo superi le barriere, una eventuale resistenza da parte dell‟altro viene fortemente stigmatizzata, infatti: “… is simply different and extraordinary without attributing particular – positive or negative – charismatic qualities to him. Because the stranger is unfamiliar and different, his actions are difficult to understand and his behavior is difficult to account for; the logic of the interaction itself requires a certain cautiousness and distance.”(Eisenstadt/Giesen, 1995, p.81) 8 50 “… coloro che resistono alla missione non sono solo diversi ed inferiori, sbagliano ed errano; devono essere convertiti anche contro la loro volontà, perché essi non sono consapevoli della loro vera identità. Gli outsider sono considerati vuoti oggetti naturali che necessitano di una formazione e di un‟identità culturale.”9 [t.d.a] L‟apertura dei confini nei confronti di chi accetta di convertirsi è, abbiamo visto, ben maggiore rispetto alle altre tipologie. Permangono tuttavia determinati meccanismi sociali, riti e cerimonie di iniziazione, che, compensando lo zelo missionario, rendono graduale e stratificato l‟accesso alla collettività. La resistenza delle barriere tra il centro, costituito dai “virtuosi”, e la periferia, gli “iniziati”, si ripercuote in senso gerarchico nell‟allocazione dei diritti nell‟accesso ai beni e ai servizi. Le tre tipologie presentate sono ideal-tipiche, delle costruzioni ipotetiche ottenute mediante la connessione di una quantità di particolari in un quadro unitario, esse costituiscono uno strumento per intendere l‟agire reale proprio in base alla distanza del suo corso dal corso tipico ideale (Weber, 1922). In altri termini esse, in virtù della loro “purezza”, non corrispondono appieno alle forme di identità collettiva realmente esistenti, forniscono però gli strumenti per comprendere queste ultime, molto più variegate e complesse, proprio sulla base delle loro affinità e divergenze con i tipi ideali. Attraverso la presentazione della teoria civilizzazionale e delle relative tipologie ideali di identità collettiva è possibile rendere conto dell‟esistenza di dimensioni che compongono le rappresentazioni sociali che sono molto anteriori alla modernità, ma che non per questo sono meno fondamentali. Ad esse si accompagnano componenti altrettanto importanti che sono proprie all‟età moderna e che possono essere esplicitate attraverso lo studio sulla formazione dei “… those who resist the mission are not only different and inferior, but mistaken and erring; they have to be converted even against their own will, because they are not aware of their true identity. Here, outsiders are considered as empty natural objects requiring cultural formation and identity.” (Eisenstadt/Giesen, 1995, p.83) 9 51 modelli culturali. In contrapposizione al modello civilizzazionale che, abbiamo visto, presenta una visione meno dinamica della società, la concettualizzazione dei modelli culturali permette di comprendere, attraverso l‟analisi delle caratteristiche dei movimenti storici e delle ideologie che ne sono alla base, le dinamiche evolutive dei rapporti sociali fondamentali. Queste due componenti consentono di avviare una riflessione sulle arene in cui le rappresentazioni sociali sono problematizzate pubblicamente e discusse. 1.1.2 Modelli culturali e movimenti storici. In questo paragrafo, essenzialmente grazie al lavoro teorico di Alain Touraine (1965, 1973), definiremo le caratteristiche dei modelli culturali e contestualizzeremo la loro posizione all‟interno del sistema d‟azione storico e della teoria generale della produzione della società. Successivamente vedremo come, attraverso le azioni di specifici gruppi sociali, questi si confrontano, si modificano e si evolvono. Il sistema d‟azione storico nella teoria generale della produzione della società. La società è per Touraine (1973) un sistema di sistemi d‟azione complessi, strutturati e multidimensionali. Le diverse dimensioni non sono costruite sulla base delle categorie classiche – economiche, politiche o ideologiche – dei fatti sociali, esse sono, al contrario, correlate alle diverse modalità di azione sociale. Questo approccio permette di escludere un garante non sociale come fondamento costitutivo della società e, di conseguenza e diversamente in questo dall‟ottica marxista, i fenomeni economici non determinano quelli sociali, al contrario essi si inseriscono nel sistema summenzionato. La “produzione della società” , l‟autopoiesi del sistema sociale, avviene attraverso l‟interconnessione di tre livelli d‟azione: il sistema d‟azione storico, che definisce la capacità da parte della società di proporre l‟orientamento sociale e culturale della sua pratica e che consiste nell‟azione di trasformazione della società su sé stessa; il sistema d‟azione istituzionale e politico, che produce le decisioni che adattano le regole di una 52 società sulla base dei cambiamenti in essa in atto e che possono essere di tipo strutturale o ambientale; il sistema d‟azione organizzativo, che assicura, in vista di determinati obbiettivi e grazie ad un apparato normativo, gli scambi consensuali che mantengono l‟equilibrio di una società, tanto al suo interno quanto con l‟esterno. Il sistema d‟azione storico costituisce una dimensione fondamentale della società, attraverso di esso si costituisce l‟azione sociale come produzione di opere e attribuzione di senso: “… non si può evidentemente spiegare il passaggio dalla natura alla cultura senza ammettere come dato primo della storia umana l‟esistenza di un principio culturale. Noi lo chiamiamo lavoro10 … Il lavoro si definisce innanzitutto come una relazione dell‟uomo alle sue opere e come un principio di orientamento delle condotte, del semplice fatto che il lavoratore valorizza la creazione di opere e rivendica allo stesso tempo che queste siano considerate come prodotti della sua attività e non come delle cose.”11 [t.d.a] Il sistema d‟azione storico permette alla produzione sociale di non essere solo un atto di trasformazione della natura, ma anche, e soprattutto, creazione simbolica. Il suo funzionamento dipende, a sua volta, dall‟interazione di tre componenti: la conoscenza, l‟accumulazione ed il modello culturale. Il modello culturale all‟interno del sistema d‟azione storico. Abbiamo visto che il sistema d‟azione storico consente ad una società di agire su se stessa, di organizzare il proprio rapporto rispetto all‟ambiente circostante fornendo le definizioni culturali della natura. Questo è reso possibile dall‟interazione dei tre elementi 10 “… on ne peut évidemment expliquer le passage de la nature à la culture qu‟en admettant comme donné première de l‟histoire humaine l‟existence d‟un principe culturel. Nous le nommons travail “ Touraine, 1965, p.132). 11 “Le travail se définit d‟abord comme une relation de l‟homme à ses œuvres set comme un principe d‟orientation des conduites, du simple fait que le travailleur valorise la création d‟œuvres et revendique en même temps que celles-ci soient considérées comme des produits de son activité et non comme des choses“ (Touraine, 1965, p.38) 53 che lo compongono: la conoscenza che è la capacità simbolica di organizzare il rapporto all‟ambiente circostante attraverso la costituzione di “stati di natura”, di definizioni culturali della natura; l‟accumulazione che è la parte di prodotto sottratto al consumo ed accumulato al fine di essere investito nella trasformazione; il modello culturale che è la capacità della società , attraverso la conoscenza e l‟accumulazione, di riflettere su di sé che permette l‟appropriazione della propria creatività12 in modo da poter agire tanto sulla definizione del campo dei rapporti sociali quanto sugli altri due elementi del sistema d‟azione storico. Il modello culturale è l‟elemento che configura la cornice delle azioni, non definisce tanto degli interessi o delle opposizioni, quanto il loro senso all‟interno del sistema sociale. Differentemente da ciò che per Eisenstadt è un codice civilizzazionale, esso non costituisce la proprietà intrinseca della cornice, piuttosto le fornisce un orientamento attraverso una mobilitazione delle risorse sociali. La stretta interazione che il modello culturale intrattiene con gli altri due elementi del sistema d‟azione storico è così sintetizzata da Touraine: “ … la società umana non può essere ridotta ad un organismo immutabile … Essa possiede una capacità simbolica che le permette di costruire un sistema di conoscenza e degli strumenti tecnici attraverso i quali essa interviene sul proprio funzionamento [La conoscenza, n.d.a] … Questa capacità di agire su sé stessa, questa non coincidenza della società con le sue regole di funzionamento deve essere molto più che non la creazione dell‟ ordine delle parole a fianco dell‟ ordine delle cose. Occorre che il doppio della società abbia dei mezzi d‟azione, d‟intervento sul funzionamento materiale della società, dunque dei mezzi d‟investimento [L‟accumulazione, n.d.a]. Infine questa distanza della società rispetto a sé stessa è anche appropriazione da parte della 12 “… saisie de sa propre créativité … “ (Touraine, 1973, p.29) 54 coscienza sociale. Appropriazione … creatrice di un‟immagine della creatività che io chiamo un modello culturale”.13 [t.d.a] Prima di analizzare i meccanismi di mediazione attraverso i quali questo doppio interviene sul funzionamento della società, occorre occuparsi dei movimenti storici che impongono l‟atto di riflessione della società su sé stessa. Movimenti storici. Il modello culturale, a differenza dei codici civilizzazionali, è una configurazione dinamica legata al mutare dei rapporti di potere tra i vari gruppi sociali, esso orienta le pratiche sociali attraverso le risorse reperite con il processo di accumulazione. Da un lato esso, ed il sistema d‟azione storico nel suo insieme, guida gli attori dirigenti nell‟organizzazione del sistema istituzionale e politico e di quello organizzativo; dall‟altro, questa organizzazione sociale provoca l‟emergere di nuovi modelli culturali concepiti dai gruppi non-dirigenti. Questi ultimi, al fine di modificare il sistema d‟azione storico, devono proporre: “… un‟azione collettiva durevole, che non può essere ridotta a delle reazioni ad una crisi o a delle tensioni sociali particolari, ed anche una produzione ideologica o utopica che propone, anche in modo frammentario, una visione della società.”14 [t.d.a] Un‟azione che attacca incessantemente la riproduzione dell‟ordine stabilito facendo riapparire i rapporti sociali laddove si erano istallati i valori, i principi e le tecnologie. 13 “… la société humaine ne peut pas être réduite à un organisme se reproduisant immuable …Elle possède une capacité symbolique et des instruments techniques par lesquels elle intervient dans son propre fonctionnement… Cette capacité d‟agir sur soi, cette non-coïncidence de la société avec ses règles de fonctionnement, doit être beaucoup plus que la création de l‟ordre des mots à coté de l‟ordre des choses. Il faut que le double de la société ait des moyens d‟action, d‟intervention dans le fonctionnement matériel de la société, donc des moyens d‟investissement. Enfin cette distance de la société à elle-même est aussi saisie par la conscience sociale. Saisie… créatrice d‟une image de la créativité que je nomme un modèle culturel.“ (Touraine, 1973, pp. 25-26). 14 “… une action collective durable, qui ne peut pas être réduite à des réactions à une crise ou à des tensions sociales particulières, et aussi par une production idéologique ou utopique qui propose, même de manière fragmentaire, une vision de la société.“ (Touraine, 1973, p.407) 55 I movimenti storici possono assumere due forme distinte a seconda del grado di apertura o di chiusura della società che li ospita, essi possono prendere la forma di movimenti sociali: “ … [che] si sistemano all‟ interno di un campo di storicità e mettono faccia a faccia soprattutto una classe dirigente ed una classe contestatrice.”15 [t.d.a] Oppure di azioni critiche: “… [che] attaccano una dominazione, una cristallizzazione della dominazione di classe in ordine sociale ed in egemonia politica”16 [t.d.a] Sebbene nella realtà sociale i movimenti storici non si presentino mai in forma pura, si può constatare che i movimenti sociali sono presenti nelle società aperte e si caratterizzano come una spinta alla modernizzazione dell‟organizzazione sociale e ad un cambiamento basato sulle riforme e le innovazioni. Le azioni critiche si manifestano piuttosto in sistemi sociali chiusi nei quali il sistema d‟azione storico ha essenzialmente la funzione di garantire privilegi, in questo caso i mutamenti avvengono, se avvengono, in forma di rottura. L‟ ulteriore ed ultimo componente delle rappresentazioni sociali che analizzeremo è l‟ideologia, che per Touraine è: “ … ogni definizione di una relazione sociale dal punto di vista di uno degli attori … l‟appropriazione da parte di un attore di classe del rapporto di classi, ma senza 15 “… se placent à l‟intérieur d‟un champ d‟historicité et mettent face à face surtout une classe dirigeante et une classe contestataire“ (Touraine, 1973, p.452) 16 “… attaquent une domination, une cristallisation de la domination de classe en ordre social et en hégémonie politique. “ (Touraine, 1973, p.452) 56 riferimento all‟implicazione di questo rapporto che è il sistema d‟azione storico.”17 [t.d.a] Si tratta di un modo di rappresentare i rapporti sociali che concorre, attraverso il rafforzamento della coesione di gruppo, all‟efficacia di un‟azione collettiva. In altri termini, l‟ideologia fornisce una visione della società che permette: agli attori che rappresentano le élite di legittimare il sistema d‟azione storico corrente, rafforzando lo status quo; a coloro che, invece, animano i movimenti storici consente di trovare maggiore accordo nella loro azione di modifica del sistema storico e nella proposizione di nuovi modelli culturali. Attraverso l‟ideologia, infatti: “… l‟attore di classe, identificando gli orientamenti della società ai propri valori ed ai propri interessi, combatte l‟avversario, che diviene il nemico dei valori, il principio del male.”18 [t.d.a] 1.1.3 Ideologie e progetti egemonici. In questo paragrafo affronteremo il concetto di ideologia nell‟accezione che Louis Althusser (1965, 1970) attribuisce al termine, ovvero il rapporto che gli uomini vivono inconsciamente con il proprio mondo. In seguito vedremo attraverso quali processi questa visione inconscia è generata nell‟uomo, lo faremo esplorando il lavoro di Antonio Gramsci (1948) sul concetto di egemonia. Ernesto Laclau e Chantal Mouffe (1985) ci permetteranno infine, con una revisione del pensiero gramsciano, un superamento della visione marxista classica attraverso la focalizzazione sulle pratiche egemoniche ed i movimenti antagonisti (Sorice, 2005: 134-141). 17 “… toute définition d‟une relation sociale du point de vue d‟un des acteurs … saisie par un acteur de classe du rapport de classes, mais sans référence à l‟enjeu de ce rapport qu‟est le système d‟action historique“ (Touraine, 1973, p.531) 18 “… l‟acteur de classe, identifiant les orientations de la société à ses valeurs et à ses intérêts, combat l‟adversaire, qui dévient l‟ennemi des valeurs, le principe du mal“ (Touraine, 1973, p.173) 57 L‟ideologia come visione immaginata del mondo. La teoria della società di Althusser, pur non discostandosi radicalmente da quella marxista – che vede nell‟ideologia una costruzione intellettuale volta a giustificare un ordine sociale esistente, facendo apparire gli interessi della classe dominante come coincidenti con quelli di tutti – presenta rispetto ad essa alcune significative differenze. La dominazione ideologica avviene, secondo il filosofo francese, attraverso un orientamento della realtà apparente costituita dalla struttura sociale che costringe il soggetto a “scegliere” di sottomettersi alla struttura sociale stessa, lasciandogli la convinzione di agire secondo il suo libero arbitrio. La riproduzione della società basata sulla dominazione ideologica è resa possibile da agenzie di socializzazione – come la scuola, le chiese, i partiti e le organizzazioni economiche – che costituiscono un Apparato Ideologico di Stato (AIS) capace di strutturare l‟individuo all‟interno della società. L‟aspetto particolarmente interessante della proposta di Althusser ai fini di un‟analisi delle rappresentazioni sociali è costituito dalla non percettibilità di questa dominazione ideologica che avviene attraverso il processo di socializzazione, essa riguarda, infatti: “… il rapporto vissuto dagli uomini col loro mondo. Questo rapporto non si rivela cosciente se non a condizione di essere inconscio … Nell‟ideologia, infatti, gli uomini esprimono non i loro rapporti con le loro condizioni di esistenza, la qual cosa suppone al tempo stesso, un rapporto reale e un rapporto vissuto, immaginario. L‟ideologia è allora l‟espressione del rapporto degli uomini col loro mondo, ossia l‟unità (surdeterminata) del loro rapporto reale e del loro rapporto immaginario con le loro reali condizioni di esistenza.”19 Sostanzialmente Althusser rifiuta tanto l‟idea che la dominazione ideologica sia il frutto di un‟operazione cinica e razionale delle classi dirigenti, quanto quella che essa derivi dall‟alienazione materiale delle condizioni d‟esistenza umane. Questo perché l‟ideologia 19 Althusser, 1965, trad.it 1967, p.209 58 non è una rappresentazione, in forma immaginaria, delle condizioni d‟esistenza reali, essa è il rapporto immaginario che gli uomini intrattengono con i rapporti reali a cui soggiacciono. L‟interrogazione fondamentale non riguarda, dunque, la “causa” delle deformazioni nella percezione delle relazioni reali. La domanda che egli si pone è: “… perché la rappresentazione data agli individui del loro rapporto (individuale) ai rapporti sociali che governano le loro condizioni di esistenza e la loro vita collettiva ed individuale, è necessariamente immaginaria?20 [t.d.a] La risposta risiede nel superamento del determinismo causale unidirezionale tra infrastruttura e sovrastruttura in favore di una loro maggiore reciproca interdipendenza. Restando all‟interno del paradigma marxista, Althusser, riconosce come la contraddizione determinante all‟interno della società sia quella tra forze di produzione e rapporti di produzione, nondimeno essa coesiste con altre contraddizioni, sia a livello infrastrutturale che sovrastrutturale. La contraddizione economica non è solo determinante ma anche determinata dalle diverse istituzioni presenti nella realtà sociale. Le istituzioni in questione sono, per il filosofo francese, essenzialmente lo Stato, la religione e le organizzazioni politiche. Esse generano la surdeterminazione – un concetto mutuato alla psicanalisi che indica una manifestazione dell‟inconscio riconducibile a contenuti latenti diversi tra loro - del rapporto immaginario che l‟individuo intrattiene con le proprie condizioni d‟esistenza reali. Abbiamo visto come le ideologie, secondo Althusser, si impongono agli attori sociali senza che questi se ne rendano conto e lo fanno attraverso le strutture sociali, in particolare attraverso l‟Apparato Ideologico di Stato. 20 “… pourquoi la représentation donne aux individus de leur rapport (individuel) aux rapports sociaux qui gouvernent leurs conditions d‟existence et leur vie collective et individuelle, est nécessairement imaginaire.“ (Althusser, 1970, p.3) 59 Nei prossimi paragrafi, pur salvaguardando le implicazioni fondamentali della definizione di ideologia come rapporto inconscio ed immaginario dell‟uomo alla realtà, non seguiremo il filosofo francese sul fatto che sia lo Stato ad imporla attraverso le sue agenzie di socializzazione. Vedremo, attraverso il concetto gramsciano di egemonia culturale, come sia l‟attività dei soggetti a elaborare e propagare un‟ideologia dominante. Definendo in seguito le pratiche egemoniche e i movimenti antagonisti, mostreremo come in una società possano coesistere diverse forme ideologiche. Il processo di egemonia culturale. Per Gramsci l‟egemonia è, in questo senso non diversamente da Althusser, l‟insieme di idee dominanti che permeano una società in modo tale da far apparire naturale l‟apparato di potere vigente. Anche in questo caso la dominazione ideologica non viene percepita come imposta, ma come conseguenza di un consenso legittimo. Questo consenso non è però generato da agenzie di socializzazione facenti capo ad un Apparato Ideologico di Stato, esso è prodotto dall‟attività di uno specifico gruppo di attori sociali, gli intellettuali, che hanno la funzione di : “ … commessi del gruppo dominante per l‟esercizio delle funzioni subalterne dell‟egemonia sociale e del governo politico, cioè: 1. Del consenso spontaneo dato dalle grandi masse della popolazione all‟indirizzo impresso alla vita sociale dal gruppo fondamentale dominante, consenso che nasce storicamente dal prestigio (e quindi dalla fiducia) derivante al gruppo dominante dalla sua posizione e dalla sua funzione nel mondo della produzione. 2. Dell‟apparato di coercizione statale che assicura legalmente la disciplina di quei gruppi che non consentono né attivamente né passivamente, ma è costituito per tutta la società in previsione dei momenti di crisi nel comando e nella direzione in cui il consenso spontaneo viene meno.”21 21 Gramsci [1948], 1991, p.9 60 Gramsci suddivide gli intellettuali – o, meglio, coloro che rivestono la funzione di formare l‟opinione pubblica all‟interno di una società – in due categorie: . Gli intellettuali tradizionali, che sono autonomi ed indipendenti dal gruppo sociale dominante e che si affermano come tali poggiandosi su categorie sociali preesistenti. Essi si pongono come i rappresentanti di una continuità storica non interrotta dai mutamenti delle forme sociali e politiche. Un esempio di tale categoria è costituito dagli ecclesiastici, per secoli monopolizzatori della cultura. . Gli intellettuali organici, collegati, appunto organicamente, al gruppo dominante che offre loro funzioni organizzative e connettive ricevendo in contropartita consapevolezza della propria funzione nei diversi campi della vita sociale e giustificazione del proprio potere. L‟attività degli intellettuali organici è fondamentale come tessuto connettivo del blocco storico, l‟insieme di forze politiche e sociali che assicura l‟armonia tra la struttura economica, i rapporti di produzione e di scambio e lo Stato. Questa coesione è possibile solo attraverso un consenso diffuso nella società, anche da parte degli strati sociali i cui interessi sono in contrasto con quelli del ceto dominante. Un gruppo sociale con aspirazioni dirigenti deve assicurarsi, attraverso i propri intellettuali organici, la dominazione ideologica capace di cementare un blocco storico, infatti: “ … la supremazia di un gruppo sociale si manifesta in due modi, come dominio e come direzione intellettuale e morale. Un gruppo sociale è dominante dei gruppi avversari che tende a liquidare o a sottomettere anche con la forza armata, ed è dirigente dei gruppi affini e alleati. Un gruppo sociale può e anzi deve essere dirigente già prima di conquistare il potere governativo (è questa una delle condizioni principali per la stessa 61 conquista del potere); dopo, quando esercita il potere ed anche se lo tiene fortemente in pugno, diventa dominante ma deve continuare ad essere anche dirigente.”22 Il ceto divenuto dominante deve, come abbiamo visto, dirigere gruppi sociali, anche molto vasti, che non traggono vantaggio dal blocco storico instauratosi, per farlo deve essere in grado: “… di imporre ad altri gruppi, attraverso pratiche quotidiane e credenze condivise, i propri punti di vista fino alla loro interiorizzazione, creando i presupposti per un complesso sistema di controllo.”23 L‟approccio gramsciano permette di comprendere come un‟ideologia, intesa come visione immaginaria del mondo, possa diffondersi nella società. Egli propone - a differenza di Althusser, a cui si deve la definizione organica del carattere inconscio della dominazione ideologica – un meccanismo di propagazione di tipo interazionista che ci pare, oltre che più convincente, più applicabile ai fini della ricerca rispetto a quello holista del filosofo francese. Entrambi gli autori, e Gramsci particolarmente, sono fortemente legati al pensiero marxista classico fondato sulla contraddizione determinante tra capitale e lavoro. Questo paradigma, che prevedeva una progressiva polarizzazione sociale connessa allo sviluppo del sistema capitalista, male si adatta a descrivere la realtà contemporanea. Lungi dall‟essere semplicemente strutturate in una dicotomia composta da un ristretto numero di detentori dei mezzi di produzione e da una massa omogenea di proletari, le società multietniche e globalizzate dei nostri giorni sono estremamente eterogenee e complesse. Pur non essendo affatto scomparsa, la contraddizione economica è stata affiancata da altri conflitti, altrettanto importanti. Problemi come l‟emarginazione sociale - o, per fare 22 23 Gramsci [1948], 1991, p.70 Gramsci [1948], 1991, p.51 62 riferimento alla presente ricerca, all‟integrazione di nuove componenti etniche – devono essere affrontati attraverso una revisione profonda dei fondamenti teorici che costituiscono la base delle riflessioni sinora proposte in questo paragrafo. Pratiche egemoniche e movimenti antagonisti. L‟emergere, a partire dagli anni ‟60, di movimenti sociali le cui specificità e rivendicazioni nulla avevano a che fare con la struttura di classe e che non erano riconducibili allo sfruttamento economico, unito alla prova di sé che il comunismo sovietico aveva dato in Ungheria, in Cecoslovacchia, in Afganistan e altrove, aveva reso, a partire dal secondo dopoguerra, insostenibile una concettualizzazione teorica della società fondata sul paradigma marxista classico. Laclau e Mouffe (1985), in questo contesto, hanno operato una rilettura in chiave dichiaratamente post-marxista del concetto gramsciano di egemonia, la cui principale conclusione è che: “… dietro il concetto di egemonia si cela qualcosa di più che non un tipo di relazione politica complementare alle categorie di base della teoria marxista.”24 [t.d.a] Essi ripartono da Gramsci, a cui riconoscono di aver superato la linearità del pensiero marxista, che concepisce la figura dell‟intellettuale come avanguardia del proletariato capace di leggere il destino della classe operaia e di indicare la via per una nuova forma di società. Attraverso il concetto di blocco storico, il pensatore italiano introduce un‟articolazione, una costruzione politica basata sull‟incontro di elementi dissimili, necessaria a rendere conto della complessità della realtà sociale. Il nucleo centrale resta però quello della contraddizione economica tra capitale e lavoro, ed è proprio questo riduzionismo in termini di classi che deve essere superato, dal momento che nella storia recente: 24 “… behind the concept of hegemony lies hidden something more than a type of political relation complementary to the basic categories of Marxist theory.” (Laclau/Mouffe, [1985], 1993, p.3) 63 “ … la forte unità ed omogeneità dei soggetti di classe si è frammentata in un insieme di posizioni precariamente integrate tra loro che, una volta abbandonata la tesi del carattere neutrale delle forze produttive, non possono essere riferite ad alcun punto necessario di futura unificazione.”25 [t.d.a] In altri termini, il carattere stabile delle identità sociali, su cui si fonda il concetto gramsciano di egemonia, è venuto meno. Essendo caduta questa condizione storica, perde fondamento il supposto carattere indissolubile del legame tra l‟egemonia ed i rapporti di classe. Una volta liberata dal determinismo economico, la teoria sociale può occuparsi dei diversi tipi di conflitto esistenti, anche di quelli che nulla hanno a che vedere con i rapporti di produzione. L‟egemonia, osservata in questa ottica, diviene una forma di dominazione puramente relazionale. I conflitti sono da concepire su una scala molto più ampia e non sono tutti risolvibili con soluzioni razionali. Essi sono connaturati all‟antagonismo, una condizione insieme negativa e creatrice insita in tutte le società. Un pluralismo fondato sull‟impossibilità di conciliare tutti i punti di vista, Chantal Mouffe (2000) lo definisce il politico, distinguendolo dalla politica, che è l‟insieme delle diverse attività volte a organizzare la coesistenza umana. Concettualizzare l‟egemonia in questo contesto, implica che: “… ogni ordine sociale non è che l‟articolazione contingente di relazioni di potere particolari e che non ha perciò fondamenti razionali ultimi.”26 [t.d.a] La società non è, allora, che il prodotto di una serie di pratiche messe in opera con lo scopo di tentare di creare un determinato ordine in un contesto contingente. Queste pratiche sono, per l‟appunto, le pratiche egemoniche.27 25 “… the very unity and homogeneity of class subjects has split into a set of precariously integrated positions which, once the thesis of the neutral character of the productive forces in abandoned, cannot be referred to any necessary point of future unification.” (Laclau/Mouffe, [1985], 1993, p.85) 26 “… chaque ordre social n‟est que l‟articulation contingente de relations de pouvoir particulières et qu‟il n‟a ainsi pas de fondements rationnelles ultimes. “ (Mouffe, 2008, online) 64 Ogni ordine creato in un contesto contingente è fondato sull‟esclusione di altri ordini possibili ed è sempre l‟espressione di una particolare configurazione dei rapporti di potere. Esso non è mai l‟unico possibile, è innanzitutto un ordine politico, generato da una configurazione egemonica fondata su relazioni di potere. L‟ordine egemonico vigente può essere rimesso in causa da pratiche contro-egemoniche e differenti progetti di società. La visione marxista che concepisce un mutamento sociale in termini unicamente economici, viene superata attraverso un‟articolazione delle rivendicazioni di classe con le proposte che giungono da movimenti come quelli femministi, antirazzisti o ecologisti. Questo al fine di proporre una pratica contro-egemonica, un progetto di società, diverso dall‟ordine sociale esistente. La concettualizzazione post-marxista della società implica un importante riposizionamento rispetto alle teorie critiche, quali quelle proposte da Althusser e Touraine. Pur mantenendo intatta l‟idea dell‟esistenza di profondi conflitti insiti nel tessuto sociale, viene rifiutato il postulato che la loro sola e unica matrice sia economica. I rapporti di produzione sono, in questa ottica, solo uno dei terreni di contrapposizione tra i sostenitori dell‟ordine sociale contingente e coloro che da questo ordine risultano svantaggiati. L‟origine etnica o l‟orientamento sessuale sono oggetto di confronto tra pratiche egemoniche quanto lo è l‟appartenenza di classe. L‟esplorazione delle logiche ideologiche ha costituito l‟ultima tappa dell‟analisi di quelli che, a nostro modo di vedere, sono gli elementi costitutivi delle rappresentazioni sociali. Riassumendo, secondo il nostro modello, queste sono composte da: una dimensione identitaria e da una componente dinamica costituita dai modelli culturali e dalle logiche 27 Non va dimenticato che le opere di Laclau e Mouffe hanno oltre ad un valore conoscitivo, un ambizione normativa, quella di contribuire a fornire una linea politica alla Sinistra post-marxista. Questo aspetto è importante ricordarlo al fine di comprendere i passaggi che seguono. 65 ideologiche che polarizzano le posizioni sia dei gruppi dirigenti, sia di coloro che animano i movimenti storici. Abbiamo considerato le rappresentazioni sociali come primo elemento costitutivo di un modello più ampio, volto a rendere conto delle dimensioni fondamentali della problematizzazione pubblica di una situazione sociale. È evidente, a partire da quanto visto finora, che tanto le componenti identitarie quanto quelle legate ai modelli culturali delle rappresentazioni sociali per poter essere tali devono poter essere espresse in uno spazio pubblico mediatizzato (cfr. 1.2), e perché questo avvenga è necessario che determinati attori le definiscano e le problematizzino (cfr 1.3). 1.2 Spazio pubblico mediatizzato. Esamineremo ora lo spazio pubblico mediatizzato contemporaneo, definito da Mauro Wolf (1996) come uno: “… spazio simbolico nel quale si confrontano ed organizzano le opinioni, gli orientamenti, gli schieramenti, su temi che sono stati resi di rilevanza pubblica.”28 All‟interno del nostro modello teorico è il luogo in cui determinati attori, gli imprenditori morali e i chierici mediatori (cfr. 1.3), problematizzandole pubblicamente, diffondono e istituzionalizzano le proprie rappresentazioni sociali. Questo avviene attraverso progetti egemonici volti a mantenere l‟ordine sociale, o contro-egemonici, sotto forma di movimenti storici, tesi a imporre nuovi modelli culturali. Prima di definire le caratteristiche dello spazio pubblico mediatizzato contemporaneo (Wolton, 1991 e Wolf, 1996)29 vedremo, analogamente a quanto fatto per le 28 Wolf, 1996, p.482 66 rappresentazioni sociali, l‟evoluzione storica di questo concetto, anche in questo caso prendendo spunto sulla teoria dei tempi storici di Braudel (1949). Attraverso le teorie di Hannah Arendt (1958), e considerando la temporalità antropologica, cercheremo di comprendere come lo spazio pubblico sia insito nella condizione umana, o, integrando ad esse il lavoro di Eisenstadt (1998, 2000), quantomeno connesso all‟emergere delle civiltà assiali. Il lavoro di Jürgen Habermas (1962), esaminato riflettendo sulla temporalità propria alla storia dei mutamenti sociali, ci permetterà di mettere in relazione le origini della sfera pubblica (un concetto sostanzialmente analogo a quello di spazio pubblico) che conosciamo oggi con l‟affermarsi della borghesia come ceto dirigente. 1.2.1 Spazio pubblico e condizione umana. Nell‟opera che forse meglio sintetizza il pensiero filosofico di Hannah Arendt su questo tema, Vita activa oder Vom tätigen Leben (1958)30, è proposta una teoria politica che accorda grande importanza al ruolo dello spazio pubblico, come luogo dell‟agire, della relazione degli uomini tra loro. Per comprendere l‟importanza di questo aspetto, quello maggiormente caratteristico della condizione umana, è necessario tornare ai fondamenti del pensiero arendtiano. 29 Nell‟ultimo decennio questo concetto è in corso di trasformazione molto rapido ( si vedano a questo proposito, tra gli altri, Bahnish, 2006; Norris, 2001 e Sroka, 2006) sotto l‟influsso delle nuove forme di comunicazione. L‟importanza avuta dai Blog e dai Network nelle elezioni presidenziali americane del 2008 ha reso probabilmente questo mutamento incontrovertibile. Nella presente ricerca non approfondiremo il tema, dal momento che il corpo empirico è costituito da medium più tradizionali (giornali e dibattiti televisivi) risalenti, in parte, agli anni immediatamente precedenti alla diffusione di questi fenomeni. 30 In italiano: Vita activa 67 Vita attiva e vita contemplativa. Nella sua esplorazione sulla condizione umana, la somma delle capacità e delle attività dell‟uomo, Hanna Arendt distingue due momenti fondamentali: la vita attiva e la vita contemplativa. Nella filosofia greca classica, la prima (bios politikos) era subordinata alla seconda (bios theoretikos) sulla base della convinzione che: “… nessuna opera prodotta dalle mani dell‟uomo possa eguagliare in bellezza e verità il kosmos fisico, che ruota nell‟eternità immutabile … Questa eternità si dischiude agli occhi mortali solo quando tutti i movimenti e le attività umane sono in perfetto riposo. Paragonate a quest‟attitudine di quiete , tutte le distinzioni e le articolazioni entro la vita activa scompaiono.”31 È interessante notare che la filosofa tedesca fa risalire la bipartizione della condizione umana alla Grecia classica. Molto più tardi Eisenstadt avrebbe visto in questa civiltà una delle prime civiltà assiali, capaci di costituire un chiasmo tra l‟organizzazione sociale e la visione ontologica fondamentale. Il rovesciamento gerarchico tra la vita attiva e la vita contemplativa – e, vedremo in seguito, anche tra le loro componenti interne - sarebbe avvenuto con il dubbio metodologico di Cartesio. La svolta cartesiana avrebbe troncato il Rinascimento dando avvio alla modernità e lasciando la vita attiva priva del suo riferimento contemplativo e dunque dipendente unicamente da sé stessa. La posizione dello spazio pubblico tra le attività umane. La concettualizzazione della vita attiva riprende la distinzione aristotelica dei modi di vivere che gli uomini potrebbero scegliere in piena libertà. Essa designa le tre principali attività umane: l‟attività lavorativa, corrispondente alla tipologia umana aristotelica dell‟animal laborans, con cui la specie umana assicura la propria sopravvivenza 31 Arendt, [1958], trad.it. 2004, p.13 68 biologica; l‟attività dell‟operare, e il tipo dell‟ homo faber, ha come frutto l‟insieme degli artefatti che danno permanenza alla sua presenza sulla terra, trascendendo i limiti della vita individuale; l‟attività dell‟agire, corrispondente al tipo zoon politikon, il luogo in cui gli uomini entrano in relazione gli uni con gli altri, conservando così la memoria dei loro atti attraverso il discorso. Quest‟ultima attività si svolge nello spazio pubblico,ed è l‟unica che: “… mette in rapporto diretto gli uomini senza la mediazione delle cose materiali, corrisponde alla condizione umana della pluralità, al fatto che gli uomini, e non l‟Uomo vivono la terra e abitano il mondo.”32 Essa è possibile, e necessaria, perché gli uomini non sono semplicemente ripetizioni riproducibili illimitatamente di uno stesso modello. La natura umana non è la stessa per tutti, l‟attività dell‟agire presuppone la pluralità, il fatto che siamo uguali, della stessa specie, ma non identici. L‟attività dell‟agire è stata, nel mondo premoderno, la più importante delle componenti della vita attiva. Secondo Hannah Arendt, la desacralizzazione della vita, e dunque la perdita di importanza della sua dimensione contemplativa, ha fatto sì che l‟epoca moderna si interessasse alla vita, ma ponendo come fine ultimo la sua conservazione, sovvertendo le gerarchie e attribuendo sempre maggiore importanza all‟attività lavorativa: “La vittoria dell‟animal laborans non sarebbe mai stata completa se il processo di secolarizzazione, la perdita inevitabile della fede derivata dal dubbio cartesiano, non avesse privato la vita individuale della sua immortalità, o almeno della certezza dell‟immortalità … L‟uomo moderno, quando perse la certezza di un mondo a venire, si ripiegò su sé stesso … la vita individuale divenne parte del processo vitale, e lavorare, 32 Arendt, [1958], trad.it. 2004, p.7 69 assicurare la continuità della propria vita e di quella della propria famiglia, fu tutto quanto bastava.”33 Hannah Arendt fornisce, attraverso il suo saggio, una teoria sulle proprietà ontologiche dello spazio pubblico, sulla posizione che esso occupa nella condizione umana. Essa vede con l‟avvento della modernità, una riduzione della facoltà umana che ne è alla base, quella dell‟agire. In questo testo non approfondiremo oltre quest‟ultimo, importante, aspetto del suo pensiero. Vedremo invece, attraverso il lavoro di Habermas, quali sono le caratteristiche che lo spazio pubblico ha assunto nell‟era moderna. 1.2.2 Spazio pubblico e modernità. Nel suo saggio Strukturwandel der Öffentlichkeit34, pubblicato nel 1962 ed attualizzato nel 1990, Habermas si interessa allo spazio pubblico come dimensione costitutiva della società borghese. In questo senso si può leggere una profonda continuità con il pensiero di Hannah Arendt; anche per Habermas, come vedremo meglio in seguito, lo spazio pubblico nella modernità, inteso come luogo delle rivendicazioni socio-economiche del ceto borghese, segna, per molti aspetti, l‟affermazione dell‟animal laborans arendtiano. La teoria proposta da questo autore ha un fondamento importante nella filosofia kantiana. Descrivendo lo spazio pubblico come il luogo nel quale gli individui, facendo uso della propria ragione, esercitano una funzione critica rispetto al potere dello Stato, 33 Arendt, [1958], trad.it. 2004, pp. 238-239 Il titolo originale tedesco, Strukturwandel der Öffentlichkeit. Untersuchungen zu einer Kategorie der bürgerlichen Gesellschaft è stato tradotto in italiano come Storia e critica dell‟opinione pubblica e in francese come L'espace public : archéologie de la publicité comme dimension constitutive de la société bourgeoise. Abbiamo avuto modo di notare che i concetti di sfera pubblica, opinione pubblica e spazio pubblico sono considerati dai traduttori come sinonimi. 34 70 egli si riallaccia alla visione di Kant sulla pubblicità come massima trascendentale del diritto. Il filosofo di Königsberg, nel suo saggio Zum ewigen Frieden (1795), indica come solo il mutuo controllo, e dunque la pubblicità, permette di evitare l‟inganno reciproco e, di conseguenza, di coniugare la politica alla morale: “Se io astraggo da tutta la materia del diritto pubblico, così come i giuristi abitualmente se lo immaginano (secondo i diversi rapporti empiricamente dati degli uomini in uno Stato o degli Stati tra di loro), allora quella che mi resta è la forma della pubblicità, di cui ogni pretesa giuridica contiene in sé la possibilità, perché senza di quella non vi sarebbe alcuna giustizia (la quale può essere pensata solo come conosciuta pubblicamente) e nemmeno quindi di alcun diritto, il quale viene concesso solo dalla giustizia.”35 Per Habermas questo concetto kantiano indica il superamento della logica del segreto che aveva segnato l‟umanità sino all‟avvento della modernità. Grazie alla pubblicità si chiude l‟epoca in cui le decisioni del sovrano erano avvolte nel mistero. Lo spazio pubblico diviene il luogo in cui la nuova classe borghese chiede conto delle decisioni prese dal potere politico, diviene uno strumento di controllo. Le origini dello spazio pubblico borghese. L‟opinione pubblica nasce con la borghesia e, parallelamente all‟affermazione di quest‟ultima, segna una trasformazione profonda nei regimi politici, infatti : “… la sfera pubblica borghese può essere concepita in un primo momento come la sfera dei privati riunita come pubblico; costoro rivendicano subito contro lo stesso potere pubblico la regolamentazione della sfera pubblica da parte dell‟autorità, per concordare con questa le regole generali del commercio nella sfera fondamentalmente privatizzata, ma pubblicamente rilevante, dello scambio di merci e del lavoro sociale. 35 Kant, [1795], trad.it. 1992, p.74 71 Peculiare e storicamente senza precedenti è il tramite di questo confronto politico: la pubblica argomentazione razionale.”36 La scomposizione di questa, invero complessa, definizione permette di comprendere fino a che punto lo spazio pubblico sia una dimensione costitutiva fondamentale dello Stato moderno (Abruzzese/Mancini, 2007: 203-223). La sfera pubblica è costituita, nella sua origine, da privati che si riuniscono come pubblico. I primi rappresentanti del ceto borghese – commercianti, artigiani, banchieri – dopo il lavoro si riuniscono in luoghi pubblici – caffè, pub, teatri – per leggere i primi giornali e discutere. I membri della nuova classe sociale fondano la propria potenza sul libero mercato. Nei loro incontri essi parlano di affari, che da privati assumono una rilevanza pubblica, rivendicando, sulla base di interessi comuni, dei cambiamenti nella regolamentazione delle pratiche commerciali o una diversa politica dei dazi doganali. Il ceto borghese, così facendo, formula delle precise richieste che, di fatto, implicano un profondo mutamento delle strutture economiche e, soprattutto, politiche della società. La discussione che ha luogo nella sfera pubblica e le rivendicazioni che ne scaturiscono, oltre a produrre dei mutamenti profondi nella gestione del potere politico, costituiscono la base di una nuova forma di convivenza e di condivisione, quella che Norberto Bobbio (1990) definisce società civile: “… il terreno dei conflitti economici, ideologici, sociali e religiosi che lo Stato ha il compito di risolvere o mediandoli o sopprimendoli; come la base da cui partono le domande cui il sistema politico è chiamato a dare una risposta; come il campo delle varie forze di mobilitazione, di associazione di organizzazione, delle forze sociali che muovono verso la conquista del potere politico.”37 36 37 Habermas, [1962], trad.it. 2005, p.33 Bobbio, 1990, p.1065 72 Lo spazio pubblico, in altri termini, permette ai diversi attori e movimenti sociali di contrapporre le rispettive pratiche egemoniche al fine di affermare i propri modelli culturali. Spazio pubblico e mezzi di comunicazione di massa. Jürgen Habermas non trascura l‟importanza avuta dai massmedia nell‟affermazione della sfera pubblica. Egli vede, anzi, uno stretto legame tra la nascita del libero mercato delle merci ed il libero mercato delle idee. La nascita dei primi giornali è ricondotta a due fenomeni distinti, uno, di natura economica, specifico al ceto borghese, l‟altro, culturale, legato alla progressiva commistione tra segmenti della borghesia e della nobiltà. La ragione economica della diffusione della stampa è spiegata con il fatto che: “… non solo il traffico delle notizie si sviluppa in connessione con i bisogni del traffico mercantile, ma le notizie stesse diventano merci. L‟informazione su base professionale risulta perciò subordinata alle stesse leggi del mercato, alla cui origine essa stessa deve la sua esistenza.”38 Accanto alla pubblicazione di notizie fattuali utili al commercio, un‟altra forma di stampa si diffonde in quegli anni, quella culturale. Le gazzette letterarie circolano nei salotti in cui il ceto borghese comincia a frequentare l‟aristocrazia. Le discussioni che esse generano, da letterarie ed artistiche divengono ben presto sociali e politiche. Le due componenti della pubblicistica, fattuale e letteraria, costituiscono l‟ossatura di quelli che saranno i moderni giornali. Il filosofo tedesco, teorizzando la nascita della sfera pubblica borghese, descrive un periodo circoscritto della storia, una fase in cui il ceto borghese era numericamente limitato e i pochi giornali in circolazione avevano, in pratica, l‟unico scopo di contribuire alla pubblica discussione. L‟opinione pubblica di cui parla era costituita da 38 Habermas, [1962], trad.it. 2005, p.20 73 gruppi di individui che, per grado di istruzione e affinità sociale, erano in grado di sviluppare delle argomentazioni razionali concernenti la totalità dei fatti pubblici. L‟affermazione dello Stato sociale, unito alla diffusione ed alla commercializzazione dei mezzi di comunicazione, ha, secondo Habermas, eliminato la natura critica insita nella sfera pubblica. L‟ampliamento delle funzioni statali ha provocato l‟occupazione di molti spazi precedentemente auto-organizzati, ciò ha generato una minore possibilità da parte degli individui di esprimersi singolarmente. È sorta un‟opinione quasi pubblica costituita da partiti, associazioni di categoria o sindacati. La crescente influenza dei massmedia ha trasformato ciò che rimane dell‟opinione pubblica da elemento critico verso il potere in elemento ricettivo. La ricerca del profitto da parte di chi diffonde informazioni ha cancellato lo spazio per l‟interlocuzione e lo scambio di opinioni. La visione che Habermas esprime sullo Stato contemporaneo e, soprattutto, sull‟odierno sistema dei media sembra essere, per certi versi, non molto dissimile da quella proposta dai suoi predecessori della Scuola di Francoforte. Nelle opere successive egli ha, pur senza stravolgerlo, modificato il suo pensiero, forse eccessivamente pessimista, sugli effetti dei mezzi di comunicazione sull‟opinione pubblica. Vedremo, attraverso l‟esame proposto da altri ricercatori (Hall, 1980, Wolton 1991, Wolf 1996), come lo spazio pubblico mediatizzato contemporaneo possa essere considerato, pur nei suoi limiti e con le sue distorsioni, un luogo simbolico in cui si esaminano le scelte del potere e le si confrontano con delle possibili alternative. 74 1.2.3 Spazio pubblico mediatizzato contemporaneo. Il concetto di spazio pubblico mediatizzato, come viene inteso nella presente ricerca, è il risultato dell‟evoluzione storica subita dalla sfera pubblica borghese: uno spazio simbolico entro il quale vengono dibattute le principali problematiche sociali. Lo sviluppo della democrazia di massa, il moltiplicarsi degli attori, dei medium e dei soggetti nella discussione pubblica, ha però prodotto una trasformazione tale da rendere necessario un radicale ripensamento delle sue caratteristiche fondamentali. Rispetto alle origini della sfera pubblica descritte da Habermas, lo spazio pubblico attuale è, infatti, qualcosa di molto più complesso che non un luogo entro il quale pochi attori, attraverso pochi media, dibattono in maniera razionale un numero limitato di problemi. Evidentemente la proliferazione dei mezzi di comunicazione ha grandi conseguenze sul modo in cui i fatti sociali sono problematizzati pubblicamente. Il sistema dei media rimane però strettamente interdipendente alle altre componenti della società, ciò che rende estremamente complesso delineare questo rapporto è che: “… i media svolgono contemporaneamente un doppio ruolo: sono sulla scena sociale, ne fanno parte integrante e, nello stesso tempo, la definiscono, riproducendo e stabilendo i criteri di visibilità e di rilevanza sociale dei fenomeni collettivi.” 39 Al fine di descrivere la contraddizione alla base dello spazio pubblico odierno è necessario considerare il precario equilibrio tra le logiche della comunicazione ed i tempi della società. Per farlo analizzeremo dapprima in maniera teorica il processo di codifica e di decodifica dei messaggi mediali (Hall, 1980), ed in seguito le conseguenze maggiori che questo comporta nel sistema sociale nel suo complesso (Wolton 1991, Wolf, 1996). 39 Wolf, 1996, p.482 75 Il processo di codifica e decodifica dei messaggi mediali. Il modello encoding/decoding proposto da Stuart Hall (1980), anche se focalizzato principalmente sul medium televisivo, è particolarmente illuminante per la comprensione dello spazio pubblico mediatizzato nel suo insieme. Secondo Hall non è possibile considerare i processi di produzione e di ricezione del messaggio come entità separate e distinte, essi sono, invece, interconnessi tra loro da un insieme di relazioni specifiche. Inoltre è necessario tenere conto che tanto l‟attività di codifica quanto quella di decodifica sono influenzate dalle condizioni materiali e sociali dei diversi attori. Il processo di comunicazione è costituito da un circuito continuo di produzionedistribuzione-produzione. La “prima” tappa è costituita dalla produzione del messaggio, il “processo lavorativo” svolto da coloro che operano nei mezzi di comunicazione di massa. In questa fase il messaggio assume il suo carattere “discorsivo” dal momento che viene inserito in una struttura di significati e di idee che risultano tanto dall‟applicazione di procedure di produzione e di conoscenze tecniche, quanto da ideologie professionali, conoscenze istituzionali e previsioni di audience. La fase di produzione del messaggio non è un sistema chiuso, infatti, anche se a dar vita al discorso sono le strutture produttive del mezzo di comunicazione: “Gli argomenti, il modo di affrontarli, il loro grado di importanza, gli eventi, il personale, le immagini del pubblico, la definizione della situazione derivano da altre fonti e da altre formazioni discorsive all‟interno di una struttura socio-culturale e politica più ampia, di cui le strutture di produzione sono una parte distinta.40 Perché possa essere fruito da un pubblico, il discorso deve poter essere riconosciuto e decodificato come significativo. Questo risultato viene raggiunto grazie all‟uso di codici 40 Hall, [1980], trad.it. 2002, p.70 76 professionali specifici al mezzo di comunicazione che forniscono al messaggio le sue strutture di significato. Come vedremo meglio in seguito, nulla garantisce che il processo di decodifica arrivi a determinare le medesime strutture di significato previste durante quello di codifica. Perché questa possibile discrepanza si riduca quanto più possibile la codifica può “indirizzare” la decodifica fornendole dei limiti e dei parametri, ma non è in grado di eliminare la naturale autonomia di quest‟ultima. I limiti e i parametri sono fissati attraverso un codice professionale che si inserisce in un codice egemonico più ampio: “Il codice professionale è relativamente indipendente dal codice dominante, perché applica modifiche e criteri propri, soprattutto di natura tecnico-pratica. Il codice professionale, comunque opera dentro l‟ egemonia del codice dominante.”41 Hall utilizza il concetto di egemonia nella sua accezione gramsciana, come il codice entro il quale i valori e i significati funzionali a un determinato ordine sociale vengono fatti apparire come naturali e scontati. Il codice professionale agisce al suo interno, nel senso che riproduce le definizioni dominanti “nascondendo” la loro qualità egemonica e mettendo in risalto le questioni apparentemente neutre e tecniche legate alle specificità del mezzo di comunicazione. Il processo di comunicazione prevede un‟ulteriore importante tappa, quella della distribuzione e della relativa decodifica dei messaggi. Come abbiamo precedentemente accennato, questo passaggio non ricalca necessariamente quello di codifica. La lettura del messaggio – a causa della possibile disparità di codici tra emittente e destinatario, teorizzata nel modello semiotico informazionale di Eco e Fabbri (1965) – può condurre ad una strutturazione del suo significato diversa da quella formulata in fase di codifica. 41 Hall, [1980], trad.it 2002, p.81 77 Stuart Hall indica tre possibili modi di decodificare un messaggio, attraverso una lettura preferita, negoziata o oppositiva. . La lettura preferita, che avviene quando la decodifica riproduce esattamente la codifica del messaggio. Il codice egemonico funzionale all‟ordine sociale, veicolato dal codice professionale, viene percepito dal decodificatore come naturale e non suscettibile di alcuna legittimazione sociale. . La lettura negoziata, in cui il decodificatore accetta il codice egemonico, ma ne fornisce interpretazioni parzialmente autonome. Le definizioni dominanti degli eventi occupano una posizione privilegiata, ma la loro attuazione può essere negoziata in determinate circostanze. . La lettura oppositiva, che si manifesta quando il destinatario comprende la codifica elaborata dall‟emittente, ma ricolloca il messaggio in un contesto opposto. In questo caso il decodificatore si pone in contrasto con il produttore e mette in evidenza l‟ideologia imposta dal codice egemonico. Il processo di decodifica, in particolare quanto assume un carattere negoziato o oppositivo, influenza i quadri di conoscenza che saranno alla base del “processo lavorativo” che porterà alla codifica di un nuovo messaggio. La ciclicità del processo di comunicazione, in ultima analisi, fa sì che: “… il pubblico è allo stesso tempo la fonte e il ricettore del messaggio … la circolazione e la ricezione sono realmente momenti del processo produttivo … e sono reinseriti nello stesso processo produttivo, attraverso una serie di feedback indiretti e strutturati.”42 Le interazioni tra l‟attività di codifica e di decodifica e la loro permeabilità rispetto a formazioni discorsive provenienti da strutture sociali più ampie permettono di comprendere teoricamente la funzione dello spazio pubblico mediatizzato come luogo di confronto, dissimmetrico, tra le istanze proposte dai diversi attori e gruppi sociali. 42 Hall, [1980], trad.it 2002, p.70 78 Vedremo ora quali sono i principali fenomeni sociali che caratterizzano questi scambi imperfetti. Gli effetti sociali della comunicazione di massa. La disparità nell‟uso dei codici tra emittente e destinatario coincide con una serie di contraddizioni tra la rappresentazione mediatica della società e la società stessa. Questi conflitti condizionano il dibattito all‟interno dello spazio pubblico mediatizzato, allontanandolo fortemente dall‟essere un luogo preposto ad una discussione razionale come lo era la sfera pubblica borghese descritta da Habermas. Vedremo nelle prossime righe quali sono, a nostro avviso, i principali problemi che questa situazione pone. _ Sovrarappresentazione e personalizzazione degli eventi (Wolton, 1991: 104-105). La proliferazione e la concorrenza tra i mezzi di comunicazione ha portato ad una riduzione di tutte le scale temporali a quella dell‟evento, a presentare in maniera fattuale processi storici e sociali che si sono invece prodotti nell‟arco di un lungo periodo. Questo aspetto, unito all‟influenza esercitata dagli uomini politici, porta, inoltre, ad attribuire un‟importanza sproporzionata al ruolo di singoli individui in eventi o processi prodotti dall‟attività di interi gruppi o categorie. _ Standardizzazione e autoreferenzialità del linguaggio (Wolton, 1991: 102-103). L‟aumento degli spazi occupati dal sistema politico nella democrazia di massa, unito al progressivo riconoscimento dell‟importanza dei mezzi di comunicazione da parte dei suoi membri, ha creato un linguaggio standardizzato che utilizza delle categorie ed un vocabolario, appunto, politici, anche in relazione a problematiche che riguarderebbero altri sotto-sistemi della società. Questo particolare linguaggio, inoltre, risulta pienamente accessibile solo ad una minoranza della popolazione, le élite culturali, che si ritrovano, di conseguenza, ad essere le uniche a poter partecipare al dibattito pubblico. Ciò provoca, da un lato, il restringimento della discussione ai soli temi che interessano i ceti più colti, 79 allontanandoli dalla realtà percepita dagli altri gruppi della società, dall‟altro, provoca in questi ultimi la diffidenza ed il disprezzo verso il concetto stesso di dibattito pubblico. _ Attenzione (effimera) verso le sofferenze degli altri (Wolf, 1996: 488-490). Fornendo i resoconti e le immagini di tragedie umane, anche lontane, i mezzi di comunicazione inducono lo spettatore ad un‟empatia verso chi soffre e chi vede i propri diritti calpestati. Si tratta di sensazioni effimere, subito sostituite da altri eventi più recenti. Esse sono tuttavia prodotte da uno spazio pubblico che non consente più di ignorare i drammi del resto del mondo. Pur nascondendo le distanze sociali, economiche e morali tra chi soffre la tragedia e chi vi assiste da lontano, l‟informazione può fungere da stimolo perché non vengano calpestati in silenzio i diritti dei più deboli. Se, da un lato, la mediatizzazione di un susseguirsi di tragedie lontane può indurre ad un cinismo socialmente pericoloso, dall‟altro, ha indubitabilmente permesso lo sviluppo di associazioni come Amnesty International o Terre des Hommes che, senza la copertura dei mezzi di comunicazione, avrebbero avuto ben poche risorse a disposizione. _ Emissione globalizzata da e verso realtà localizzate (Wolton,1991: 110-113; Wolf, 1996: 490-491). Diversamente da quanto avveniva in passato, oggi, e verosimilmente sempre più nel futuro, i mezzi di comunicazione sono in grado, da un punto di vista tecnico, di fornire notizie in tempo reale provenienti da ogni parte del mondo. Questa, relativamente nuova, situazione pone però dei seri problemi, tanto nella codifica dei messaggi, quanto, soprattutto, nella loro decodifica. Abbiamo visto in precedenza che il processo di codifica-decodifica suppone l‟esistenza di quadri di conoscenza preesistenti, sia da parte degli emittenti che dei riceventi. Questi quadri di conoscenza sono dati, anche, da una cultura locale, un‟esperienza del sociale generata da un‟identità specifica, situata. I codificatori descrivono ciò che vedono attraverso i propri codici, anche quando si tratta di realtà sociali e culturali a loro lontanissime. 80 I decodificatori devono ancorarsi a sistemi di interpretazione che dipendono profondamente delle proprie identità culturali. Oltre a ciò, essi sono confrontati con la narrazione evenemenziale che caratterizza la comunicazione dei massmedia, ritrovandosi a dover metabolizzare in tempi estremamente rapidi fenomeni sociali complessi e culturalmente lontani. La globalizzazione dell‟informazione si trova dunque confrontata ad un insieme di punti di vista che si organizzano attorno a dei valori che sono dibattuti e strutturati all‟interno di uno spazio pubblico che è ancora nazionale 43. Ovviamente l‟impulso fornito da notizie che giungono da tutto il mondo contribuisce a modificare i quadri di riferimento nazionali, ma si tratta di un fenomeno incommensurabilmente più lento rispetto alla rapidità imposta dai tempi della comunicazione di massa. Lo spazio pubblico mediatizzato è, abbiamo visto, un luogo simbolico complesso, entro cui le diverse rappresentazioni dei fatti sociali vengono dibattute pubblicamente. Esso è costitutivo della condizione umana, rappresenta l‟attività umana dell‟ agire insieme agli altri. Le sue origini si perdono nell‟antichità, ma le prime tracce possono essere ritrovate in un‟istituzione risalente ad una delle prime civiltà assiali, la polis greca. L‟avvento della borghesia come ceto dominante, coincidente con lo sviluppo dei primi mezzi di comunicazione di massa, ha segnato la nascita dello spazio pubblico moderno, un luogo in cui un ristretto gruppo, accomunato da una precisa posizione economica e culturale, discuteva razionalmente diversi aspetti dei futuri assetti della società. Il consolidarsi della borghesia come classe dirigente e la conseguente instaurazione del sistema parlamentare ha portato alla democrazia di massa. L‟aumento dei partecipanti allo spazio pubblico, unito allo sviluppo ed alla proliferazione dei mezzi di comunicazione, ha reso questo luogo simbolico molto più variegato e complesso rispetto alle sue origini. L‟utilizzo di una pluralità di codici sia da parte dei codificatori che dei decodificatori ha diversificato le rappresentazioni pubbliche dei fatti sociali e le ha rese creatrici di quadri di riferimento culturali in perenne, ancorché lento, mutamento. 43 Vedremo come, nel caso della Svizzera, lo spazio pubblico di riferimento è, in larga parte, quello della regione linguistica. 81 Dopo aver analizzato le dimensioni costitutive delle rappresentazioni sociali ed il luogo simbolico entro cui sono discusse, rimane un ultimo elemento da prendere in considerazione: l‟identità degli attori protagonisti di questo processo. 1.3 Attori del processo di pubblicizzazione dei problemi sociali. Nei precedenti paragrafi abbiamo analizzato le rappresentazioni sociali e lo spazio pubblico mediatizzato in quanto elementi costitutivi nella costruzione di problematiche pubbliche. Si tratta ora di capire chi sono gli attori che partecipano a questo processo ed in quale modo le loro interazioni con il resto della società rendono possibile l‟esistenza di questi fenomeni sociali. Prima di occuparci della loro identità, è necessario comprendere i meccanismi di interazione che coinvolgono i singoli individui. Norbert Elias (1970), la cui teoria costituisce una sintesi tra il paradigma struttural-funzionalista e l‟individualismo metodologico, così concepisce quello che comunemente è definito come il rapporto tra l‟individuo e la società: “ … ciò che abitualmente si designa con due concetti differenti, l‟individuo e la società, non costituiscono, come l‟impiego attuale di questi due termini ci fa sovente credere, due oggetti d‟esistenza separata: sono due livelli differenti ma inseparabili dell‟universo umano.”44 [t.d.a] 44 “ … ce qu‟on a coutume de désigner par deux concepts différents, l‟individu et la société, ne constituent pas, comme l‟emploi actuel de ces deux termes nous le fait souvent croire, deux objets d‟existence séparée : ce sont des niveaux différents mais inséparables de l‟univers humain.” (Elias, [1970], trad.fr 1991a, p.156) 82 Il sociologo tedesco per spiegare questo suo pensiero usa il concetto di configurazione tra individui, questo modo di procedere teorico permette di considerare l‟esistenza concreta di questi ultimi, tanto nella loro singolarità, quanto nella loro pluralità. Attraverso la metafora di una partita a carte Elias illustra come lo svolgimento del gioco risulti dalle interpenetrazioni degli atti di un gruppo di individui interdipendenti. Il gioco dipende dall‟intelletto dei singoli giocatori, ma non solo da questo, sono infatti le loro azioni e relazioni reciproche a dare alla partita una fisionomia unica e sempre diversa, a fare di essa un fenomeno sociale concreto e non riconducibile alla semplice somma di comportamenti individuali. Le implicazioni di questo paradigma teorico nel processo di problematizzazione pubblica appaiono chiare riflettendo ad una delle conclusioni a cui giunge Howard S. Becker nel suo saggio Outsiders (1963): “… anche se, eventualmente, una pratica nuoce oggettivamente al gruppo nel quale essa viene effettuata, il danno deve essere scoperto e segnalato. Occorre che la popolazione sia stata persuasa che qualcosa debba essere fatto a riguardo. Perché una norma sia creata, occorre che qualcuno richiami l‟attenzione del pubblico sui fatti.”45 [t.d.a] Le rappresentazioni sociali e lo spazio pubblico mediatizzato concorrono al processo di problematizzazione pubblica perché determinati individui identificano un problema sociale e, mediatizzandolo, lo propongono come un problema per la società, affinché divenga un problema della società. 45 “ … même si, éventuellement, une pratique nuit objectivement au groupe dans lequel elle s‟effectue, le dommage doit être découvert et signalé. Il faut que la population ait été persuadée que quelque chose doit être fait à ce sujet. Pour qu‟une norme soit créée, il faut que quelqu‟un appelle l‟attention du public sur les faits.” (Becker, [1963] trad.fr. 1985, p.186) 83 1.3.1 Problemi sociali e problemi pubblici. Vedremo ora più precisamente i fenomeni che possono essere intesi come problemi sociali, perché, e attraverso quali meccanismi, alcuni di essi assumono rilevanza pubblica ed, infine, quali sono le caratteristiche degli attori che compiono questa operazione. I problemi sociali. La definizione di cosa sia un problema sociale é particolarmente controversa. Essa può variare in maniera sostanziale a seconda del paradigma teorico, della visione generale della società a cui fa riferimento chi se ne occupa. Storicamente si sono contrapposti su questo tema l‟approccio funzionalista e quello focalizzato sul conflitto dei valori. Secondo Robert K. Merton e Robert A. Nisbet (1971) la disorganizzazione sociale e il comportamento deviante riguardano delle inadeguatezze nel sistema sociale che fanno sì che gli obbiettivi individuali dei suoi membri risultino meno pienamente realizzati di quanto lo sarebbero in un sistema sociale alternativo. Un problema sociale, nella visione funzionalista, è una disfunzione causata da un comportamento, un credo o un organizzazione che interferisce con un bisogno funzionale della società. In una prospettiva opposta, Richard C. Fuller e Richard A. Myers (1941) giudicano che non sono le condizioni oggettive a determinare l‟esistenza di un problema sociale, esso esiste solo se i membri di una società enunciano un giudizio di valore su una situazione che pare loro insostenibile o, comunque, indesiderabile. Entrambe le definizioni sono insoddisfacenti per quelle che sono le finalità della presente ricerca. L‟approccio che considereremo, e che è per certi versi una sintesi dei precedenti, è quello proposto dalla teoria dell‟interazionismo simbolico (Becker 1966, Blumer 1971). La devianza non è concepita unicamente come la trasgressione ad una norma generalmente condivisa, essa è prodotta da determinati gruppi sociali che istituiscono delle norme passibili di essere infrante. Diversamente da quanto ritenevano gli autori 84 citati in precedenza la devianza non è né una patologia sociale, né il frutto di un semplice giudizio di valore in merito ad una situazione, essa è il risultato di un processo di etichettatura. Determinate categorie sociali stigmatizzano un comportamento, o un modo di essere, come deviante. L‟individuo così etichettato, nel suo processo di auto-identificazione, si appropria di alcune stigmate e prosegue nella sua “carriera” di deviante, finendo con il marchiare a sua volta i gruppi sociali che lo condannano. Un problema sociale, secondo questo approccio, è un fenomeno articolato causato dalle interazioni tra individui e gruppi i più disparati tra loro, i criminali, come la magistratura, la polizia, gli insegnanti o gli assistenti sociali. I meccanismi di pubblicizzazione dei problemi sociali. Seguendo questo approccio i problemi sociali non sono da considerare né fatti puri, né invenzioni dello spirito. Alcune situazioni assurgono a questo statuto, mentre altre, del tutto analoghe, non vengono in alcun modo problematizzate nello spazio pubblico. Secondo Daniel Céfai (1996): “…il problema pubblico è costruito e stabilizzato, tematizzato e interpretato, nei quadri o le trame di pertinenza che hanno corso in un orizzonte di interazioni e di interlocuzioni.”46 [t.d.a] La pubblicizzazione di un problema sociale si realizza, dunque, attraverso una dinamica di produzione e di ricezione di racconti a carattere prevalentemente interpretativo. Questo processo avviene attraverso il dispiego, tanto da parte del codificatore che del decodificatore, del senso comune che, abbiamo visto, è costituito dalle rappresentazioni che consentono agli individui di orientarsi e comprendersi all‟interno della società. 46 “ …le problème public est construit et stabilisé, thématisé et interprété, dans les cadres ou les trames de pertinence qui ont cours dans un horizon d‟interactions et d‟‟interlocutions.” ( Céfai, 1996, p.47) 85 Rifacendosi al modello di codifica/decodifica (Hall, 1980) ed alla teoria della tripla mimesi proposta da Paul Ricoeur (1983), Céfai (1996) propone una configurazione narrativa dei problemi pubblici articolata in tre fasi: la gestazione, che costituisce il primo momento, quello in cui le rappresentazioni sociali e le esperienze private dei produttori di senso, che non sono ancora vittime o denunciatori, portano all‟espressione, a livello interpersonale, un malessere ancora mal definito; la costruzione del racconto, la fase centrale, in cui il disagio viene espresso in maniera articolata ed è accompagnato dalla proposta di possibili soluzioni; la ricezione, in cui, infine, i diversi attori elaborano attraverso il proprio senso comune una pluralità di versioni del problema pubblico. Analogamente a quanto constatato in maniera più generale analizzando i meccanismi di funzionamento dello spazio pubblico mediatizzato, il processo di configurazione narrativa di un problema pubblico presenta una dinamica di tipo azione-retroazione. Gli attori che recepiscono il racconto lo rielaborano attraverso le proprie rappresentazioni, influenzando tanto i produttori del racconto quanto gli altri recettori. Questo meccanismo di rielaborazione avviene, da un lato in maniera intenzionale organizzando il problema in temi elaborati sulla base di strutture di pertinenza interpretative e pragmatiche, dall‟altro in modo inconsapevole attraverso una commutazione di codici o un cambiamento di registro. Gli attori implicati nel processo di configurazione narrativa. La problematizzazione pubblica viene attivata da degli attori collettivi, collettivi in quanto confrontati gli uni agli altri in relazione a degli oggetti, a dei discorsi e a delle pratiche. Questi attori non sono preesistenti alla configurazione narrativa del problema sociale, esistono in funzione di essa. La loro attività consiste nel rendere pubblici dei temi, nel farli esistere in uno spazio pubblico. Gli attori collettivi per essere tali devono condividere approssimativamente le medesime riserve di esperienza e risorse d‟espressione. In assenza di queste condizioni sarebbe impossibile una ricostruzione della realtà in qualche modo accettabile. La messa in scena 86 di un problema sociale presuppone, infatti, la familiarità con strumenti retorici e drammaturgici capaci di renderlo comprensibile ed accettabile cognitivamente. Queste riserve di esperienza e risorse d‟espressione non sono da intendersi come sistemi unificati di significato, quanto piuttosto come matrici di una comprensione comune, come repertorio di possibilità interpretative (Céfai, 1996). Nei prossimi paragrafi analizzeremo in modo più approfondito due tipologie ideali particolarmente significative per questa ricerca: gli imprenditori morali ed i chierici mediatori, distinte tra loro sulla base del principio weberiano (1922) di legittimità. Gli imprenditori morali sono gli attori che partecipano direttamente al sistema politico - i membri dei partiti, ma anche dei movimenti sociali o delle associazioni di categoria – coloro a cui viene riconosciuta socialmente la riserva di esperienza necessaria a partecipare al dibattito. I chierici mediatori – giornalisti ed intellettuali – traggono legittimità dal riconoscimento sociale della loro padronanza delle risorse espressive necessarie alla discussione. Si tratta, evidentemente, di una distinzione che ha una validità principalmente teorica, accade infatti che un giornalista si impegni in prima persona in una battaglia politica, così come un membro di un partito può proporre delle riflessioni distaccate su una determinata tematica. 87 1.3.2 Imprenditori morali. Howard S. Becker (1963) così definisce le caratteristiche di questa particolare tipologia di attore che partecipa alla pubblicizzazione dei problemi sociali: “ … l‟individuo che intraprende una crociata per la riforma dei costumi. Egli si preoccupa del contenuto delle leggi. Quelle esistenti non gli procurano soddisfazione perché sussiste questa o quella forma di male che lo sciocca profondamente.”47 [t.d.a] Secondo il sociologo americano gli imprenditori morali, nella loro azione, si ispirano ad un‟etica intransigente, il problema sociale da loro individuato appare assolutamente negativo e meritevole di essere eliminato con tutti i mezzi. Essi si sentono investititi di una sorta di missione sacra, un sentimento non molto dissimile da quello che animava, per l‟appunto, i partecipanti alle crociate. La particolare terminologia utilizzata da Becker è probabilmente legata al particolare contesto della sua opera Outsiders (1963), che studia la stigmatizzazione operata nei confronti di alcune categorie che conducevano, come l‟autore stesso, uno stile di vita anticonformista. Nonostante il sarcasmo che la permea, la sua analisi presenta per noi degli spunti teorici estremamente interessanti al fine di definire una tipologia ideale di attore a cui la società riconosce le riserve di esperienza sociale necessarie alla configurazione narrativa di un problema pubblico (Céfai, 1996). Nei prossimi capitoli analizzeremo, infatti, i comportamenti di coloro che intervengono nel sistema politico svizzero al fine di modificare le leggi concernenti le procedure di naturalizzazione. In particolar‟modo ci soffermeremo sugli esponenti dei partiti e dei movimenti sociali. Essi, presi singolarmente, hanno caratteristiche tipiche di coloro che 47 “ … l‟individu qui entreprend une croisade pour la reforme des mœurs. Il se préoccupe du contenu des lois. Celles qui existent ne lui donnent pas satisfaction parce qu‟il subsiste telle ou telle forme de mal qui le choque profondément. ” (Becker, [1963], trad.fr. 1985, p. 171) 88 Becker definisce come imprenditori morali, collettivamente, invece, esercitano un‟azione riconducibile a quella operata dai movimenti storici descritti da Touraine. Un primo aspetto che caratterizza, secondo Becker (1963), gli imprenditori morali è legato alla loro appartenenza ai ceti sociali più favoriti e al fatto che le loro imprese si rivolgono verso quelli più bassi (Gusfield, 1955). La loro azione, oltre ad essere guidata dal convincimento che il loro “migliore” stile di vita sia il frutto di una superiorità morale, risulta rafforzata dal potere derivante dalla loro posizione sociale (Becker, 1963 [1985: 171-176]). Questa peculiarità, ancorché non sia sempre valida in senso assoluto, la osserveremo in Christoph Blocher e James Schwarzenbach, i principali uomini-guida delle azioni collettive tese a limitare i diritti degli stranieri in Svizzera (cfr. 3.1). Un‟ulteriore caratteristica individuata da Becker a proposito di questa tipologia di attore è la sua specifica “carriera”. Gli imprenditori morali, generalmente, non si limitano ad un unico intervento teso a normalizzare una specifica situazione sociale. Le energie ed il tempo spesi, uniti alla rete di conoscenze ed allo stile di vita acquisiti, infatti, fanno sì che difficilmente la sua attività termini con l‟esaurirsi della sua “crociata”. Normalmente, se la sua azione fallisce, egli continuerà ad associarsi a gruppi sempre più minoritari e a battersi per cause di volta in volta meno popolari. Quando invece il suo intervento ha successo, l‟esperienza vincente acquisita lo può trasformare in una sorta di professionista delle arene pubbliche e a divenire, a tempo pieno, membro di una forza politica organizzata (Becker, 1963 [1985: 176-179]). Anche questo aspetto ha trovato riscontro nell‟analisi della galassia dei movimenti sociali svizzeri, i cui militanti transitano dall‟uno all‟altro o confluiscono in un partito tradizionale (cfr. 2.3.2). La tipologia ideale costituita dall‟imprenditore morale, risponde appieno alle caratteristiche dell‟attore collettivo descritte da Céfai (1996), la sua ragione di esistere è indissolubilmente connessa a quella del problema sociale. 89 Vedremo ora un altro tipo di attore, il chierico mediatore, il cui rapporto con le problematiche pubbliche è prevalentemente quello di contribuire con le risorse di espressione alla loro configurazione narrativa. 1.3.3 Chierici mediatori. La tipologia ideale del chierico mediatore è utilizzata nell‟accezione proposta da Ernest Gellner (1983) che descrive questa figura non tanto come un religioso, quanto come il depositario della scrittura. In termini più generali: il giornalista e l‟intellettuale, quest‟ ultimo da intendersi nella definizione che Gramsci (1948) attribuisce a questo ruolo. Gellner attribuisce la legittimità sociale di questo tipo di attore al riconoscimento del suo monopolio delle risorse espressive derivanti dalla padronanza della lingua scritta. Il suo ruolo, antichissimo, ha conosciuto una profonda trasformazione nel corso dei secoli avvenuta in parallelo con il mutamento dell‟organizzazione sociale e dei rapporti economici. La classe dei chierici si è affermata in concomitanza con un passaggio epocale della storia dell‟umanità: l‟invenzione della scrittura. Inizialmente utilizzato per tenere i registri contabili e rendere possibile il prelievo fiscale, il segno scritto è stato progressivamente impiegato per altre finalità, permettendo lo sviluppo dei vari campi del sapere umano: “… la scrittura, l‟istituzione di una grafia relativamente permanente e normalizzata, significa, infatti, la possibilità di procedere ad un‟accumulazione e ad una centralizzazione culturale e cognitiva.”48 [t.d.a] 48 “… l‟‟écriture, l‟institution d‟une graphie relativement permanente et normalisée, signifie, en fait, la possibilité de procéder à une accumulation et à une centralisation culturelle et cognitive” (Gellner, [1983], trad.fr 1989, p.22) 90 Durante l‟antichità, nelle società ad economia prevalentemente agraria, i chierici costituivano una classe specializzata importante, forse la prima a sviluppare una forte omogeneità al suo interno. La loro capacità d‟azione in termini di accumulazione e centralizzazione culturale era fortemente limitata da due fattori: da un lato, i detentori del potere politico erano scarsamente interessati ad utilizzare i chierici al fine di esercitare un‟egemonia culturale sul resto della popolazione dal momento che il monopolio della violenza era ritenuto sufficiente per il mantenimento del controllo sociale; dall‟altro, la grande maggioranza degli agricoltori era analfabeta e quindi non in grado di assimilare la produzione intellettuale sviluppata dai chierici. Inoltre le caratteristiche del lavoro dei campi rendevano poco utile un insegnamento impartito da specialisti, l‟educazione delle nuove generazioni era data direttamente dalle precedenti [Gellner, 1983, [1989: 21-34]). Il ruolo dei chierici è mutato radicalmente in concomitanza con le trasformazioni nella divisione del lavoro e dei processi di produzione che ha segnato l‟avvento della società industriale. Se le civiltà agricole erano organizzate in modo da riprodurre loro stesse, l‟industrializzazione ha portato con sé l‟idea di progresso. La scolarizzazione, finalizzata all‟accumulo e allo sviluppo del sapere si è generalizzata, ha reso la conoscenza diffusa della scrittura un prerequisito indispensabile al funzionamento della società. Il nuovo sistema di produzione richiedeva inoltre una comunicazione continuata ed estremamente settoriale tra gli individui. A ciò si deve aggiungere che le trasformazioni politiche ad esso connesse hanno reso i diversi strati sociali meno estranei tra loro, spingendo i detentori del potere politico a cercare un consenso culturale, non essendo più sostenibile un dominio basato sulla sola forza. Il nuovo contesto ha visto l‟emergere di diverse categorie di specialisti dell‟educazione, incaricati di formare gli individui nei diversi rami del sapere da cui dipende il funzionamento del sistema sociale. Ai sacerdoti delle civiltà tradizionali si sono quindi aggiunte altre tipologie di insegnanti (Gellner, 1983, [1989: 35-62]). 91 Nella presente ricerca ci interesseremo ad un particolare tipo di chierico, colui che, grazie a particolari risorse espressive, porta alla conoscenza del resto della popolazione quelli che sono ritenuti problemi sociali. Le due tipologie ideali di attori del processo di pubblicizzazione dei problemi sociali si riveleranno importanti nella nostra ricerca. Nel prossimo paragrafo vedremo, ripercorrendo in forma sintetica i concetti analizzati nel capitolo, le diverse dimensioni sociali che sono alla base della loro azione. 1.4 Conclusioni. Il processo di problematizzazione pubblica è un fenomeno complesso che tocca molteplici aspetti del vivere assieme degli uomini. Abbiamo individuato due tipologie ideali di attori, gli imprenditori morali e i chierici mediatori, che interagiscono con gli altri membri della società facendo emergere nello spazio pubblico quelli che le proprie rappresentazioni sociali percepiscono come problemi. Questi due tipi di attore si differenziano per la legittimazione a partecipare allo spazio pubblico; ai primi è riconosciuta l‟esperienza sociale necessaria a esercitare un‟attività politica volta a normalizzare una situazione ritenuta anomica, ai secondi è invece attribuito il possesso degli strumenti che permettono di configurare narrativamente la situazione in questione e di portarla all‟attenzione della collettività. Entrambe le tipologie di attori osservano la società, individuandone i problemi, attraverso le proprie rappresentazioni sociali che sono il frutto della relazione riflessiva che essi intrattengono con la collettività e che sono costituite da codici che permettono di nominare e classificare i vari aspetti del mondo (Moscovici,1973). I codici si formano attraverso modalità molto complesse, il presente modello ne individua due principali ordini, quelli inerenti alle identità collettive e quelli relativi ai modelli culturali. I primi costituiscono la cornice, le regole fondamentali, entro cui gli 92 individui compiono le loro azioni, i secondi forniscono l‟orientamento su come muoversi all‟interno di queste norme. I codici identitari (Eisenstadt, 2000, 1998) hanno dei tempi di mutazione estremamente lunghi e dipendono da caratteristiche fondamentali come la religione (Eisenstadt/Giesen, 1995) o, come vedremo, l‟appartenenza linguistica (cfr. 2). Accanto alle identità collettive vi sono i modelli culturali (Touraine, 1965, 1973) caratteristici dell‟era moderna. Essi costituiscono gli orientamenti per la gestione dei diversi sottosistemi sociali e sono strettamente correlati ai rapporti di potere vigenti in una società. I modelli culturali, molto più facilmente rispetto alle identità collettive, possono venire sostituiti da modelli alternativi quando delle azioni collettive, dei movimenti storici, hanno la forza per imporli. Perché un modello culturale possa mantenersi o, al contrario, perché uno differente possa affermarsi, è necessaria una produzione ideologica in grado di proporre una visione complessiva della società condivisa da un numero sufficiente di individui. L‟ideologia è il rapporto immaginario che gli individui intrattengono con i propri rapporti sociali reali (Althusser, 1965, 1970). Essa viene assimilata inconsciamente attraverso delle pratiche egemoniche (Gramsci, 1948) finalizzate a creare un consenso collettivo attorno ad un ordine sociale contingente, o tramite delle pratiche controegemoniche (Laclau/Mouffe, 1985) volte a crearne uno alternativo. Il luogo simbolico in cui prendono forma le rappresentazioni sociali è lo spazio pubblico. Esso è la zona dell‟agire umano (Arendt, 1959), in cui gli uomini si confrontano gli uni con gli altri. Lo spazio pubblico ha iniziato ad affermarsi nella sua dimensione moderna con l‟emergere di una sfera pubblica borghese (Habermas, 1962), all‟interno della quale il nuovo ceto dominante discute razionalmente gli assetti della società. Lo spazio pubblico mediatizzato contemporaneo (Wolton 1991, Wolf 1996) che gli è succeduto e si è venuto a creare con la democratizzazione della società e con il proliferare dei massmedia, ha perso il suo carattere puramente razionale ed ha un 93 funzionamento complesso, costituito da un processo di comunicazione a circuito continuo produzione-distribuzione-produzione (Hall, 1980). In questo processo i codificatori – nel nostro caso, gli imprenditori morali ed i chierici mediatori – codificano un problema pubblico sulla base delle loro rappresentazioni sociali. La decodifica del messaggio sarà diversa a seconda dei destinatari, dando luogo a nuove rielaborazioni del problema. A loro volta queste reinterpretazioni produrranno nuove rappresentazioni sociali che saranno re-immesse nel circuito comunicativo. Il processo di creazione dei problemi pubblici si caratterizza da meccanismi di azioneretroazione estremamente complessi. Gli attori che ne prendono parte, infatti, definiscono e descrivono fenomeni collettivi appartenenti alla scena sociale di cui essi stessi fanno parte. Questo capitolo ha permesso di illustrare il modello teorico che ci permetterà di descrivere, dapprima, le caratteristiche del contesto svizzero in cui viene costruito il problema pubblico e, in seguito, le specificità della problematizzazione dello straniero attraverso l‟analisi dei discorsi mediatici sulle procedure di naturalizzazione. 94 Capitolo II: Le strutture dello spazio pubblico in Svizzera. Dopo aver considerato da un punto di vista generale come avviene la problematizzazione pubblica di una situazione sociale ed aver descritto gli attori che vi prendono parte, osserveremo ora quali sono le caratteristiche che questo processo assume in Svizzera. In particolare, vedremo le ragioni per le quali determinati problemi sociali (Céfai, 1996) vengono discussi pubblicamente in maniera diversa nelle tre principali regioni idiomatiche elvetiche49. La prima parte del capitolo è consacrata ad un‟analisi della situazione linguistica in Svizzera. Dopo una panoramica sulla ripartizione geografica e quantitativa delle diverse lingue e i loro contesti d‟uso sul territorio nazionale, presenteremo l‟evoluzione storica che ha permesso lo sviluppo delle collettività idiomatiche. Successivamente, anche attraverso l‟analisi delle strutture e delle segmentazioni dello spazio pubblico mediatizzato elvetico, mostreremo come all‟appartenenza idiomatica – ed, in particolare, al rapporto intrattenuto con la propria lingua (Widmer, 2004a) corrisponda un senso identitario collettivo (Eisenstadt/Giesen, 1995) che si traduce in una specifica conformazione dei dibattiti pubblici dovuta, anche, all‟interpretazione del ruolo esercitato dai chierici mediatori (Gellner, 1983). In seguito considereremo le caratteristiche del sistema politico svizzero, soffermandoci su come le peculiarità della democrazia diretta (Kriesi, 2005) incidano sull‟azione degli imprenditori morali (Becker, 1963) che animano i diversi movimenti storici che si contrappongono per il mantenimento o la sovversione di determinati modelli culturali (Touraine, 1965, 1973). Infine, presenteremo il contesto in cui è avvenuta la votazione popolare sull‟adesione allo Spazio economico europeo (1992), che costituisce ancora oggi il caso più emblematico di differenziazione delle preferenze politiche tra le regioni linguistiche. Non considereremo in questa ricerca la componente linguistica reto-romancia che pure è a pieno titolo lingua nazionale (ma non ufficiale). Questo perché essa si compone di un numero veramente esiguo di locutori (lo 0.5% di coloro che si esprimono in un idioma nazionale), ciò che rende il suo spazio pubblico molto particolare e difficilmente comparabile. Inoltre praticamente la totalità di coloro che si esprimono in questo idioma sono bilingui germanofoni o italofoni. 49 95 2.1 Situazione linguistica ed evoluzione storica delle diverse collettività. La maggior parte dei Paesi è plurilingue, all‟interno di molte entità statali sussistono minoranze idiomatiche; ciò che caratterizza la Confederazione è il suo essere uno Stato plurilingue. A partire dall‟entrata in vigore della Costituzione del 1848, infatti, viene riconosciuta un‟uguaglianza giuridica tra le tre lingue amministrative – tedesco, francese ed italiano – sul piano nazionale. Nel 1939, inoltre, al romancio, un idioma parlato da poche migliaia di locutori, è stato accordato lo statuto di lingua nazionale, anche se priva di valenza amministrativa al di fuori della propria regione di riferimento (Widmer, 2003: 1-30). Per queste ragioni, il termine nazione, in Svizzera, non fa riferimento né a una lingua, né a un Paese, né a un popolo (Schlöpfer, 1985: 11-20). Di contro, sono ben definite dalla Costituzione federale le “comunità linguistiche”: esse sono costituite da popolazioni autoctone che condividono una medesima lingua e che sono raggruppate in maniera maggioritaria in una determinata regione ed a cui sono riconosciuti determinati diritti sulla base del principio di territorialità (Gohrad-Radencovik, 2007). Nelle pagine che seguono descriveremo, dapprima, le caratteristiche sociostrutturali attuali delle diverse collettività ed in seguito l‟evoluzione storica che ha generato questa situazione. In particolare ci focalizzeremo sulle circostanze che durante l‟Alto Medioevo, contemporaneamente alla diffusione regionale del cristianesimo, hanno portato alla formazione degli attuali gruppi linguistici. È molto interessante, in proposito, notare come questi eventi abbiano coinciso con l‟affermarsi a livello europeo delle civiltà assiali che hanno permesso la formazione dei codici di identificazione descritti da Eisenstadt (2000). Successivamente vedremo come la lega di Cantoni medioevale, di fatto a dominazione germanofona, si sia trasformata in uno Stato moderno plurilingue capace di garantire la sopravvivenza delle diverse collettività. In sintesi, questo paragrafo delinea le importanti differenze esistenti tra le collettività idiomatiche; ciò che consentirà, successivamente, di evidenziare l‟importanza 96 dell‟appartenenza linguistica nella definizione dei codici di identificazione collettiva che, a loro volta, condizionano le architetture dello spazio pubblico svizzero. 2.1.1 Caratteristiche socio-demografiche. I risultati della ricerca quantitativa condotta da Iwar Werlen e Georges Lüdi (2005)50 forniscono un quadro molto esaustivo della situazione linguistica svizzera, dei confini territoriali in cui vengono utilizzati i diversi idiomi, della loro diffusione e delle principali sfere d‟attività in cui vengono utilizzate. L‟analisi dei contesti d‟uso delle lingue standard e delle parlate orali permette, inoltre, di ricavare alcune prime informazioni sull‟rapporto che le diverse collettività intrattengono con il proprio idioma. Rapporti spaziali e demografici. Come mostra la cartina, le lingue nazionali non sono ripartite uniformemente sul territorio. 50 I dati alla base di questo studio provengono dal censimento federale dell‟anno 2000, e non sono quindi particolarmente recenti, essi presentano però aspetti che li rendono per noi di particolare interesse. Innanzitutto la ricchezza di informazioni presenti in questa rilevazione permette un‟analisi quantitativa di dimensioni altrimenti osservabili unicamente da un punto di vista qualitativo. Inoltre, tenendo conto che le collettività linguistiche sono soggette a mutamenti estremamente lenti, l‟anno 2000 si situa in una posizione quasi mediana all‟interno del periodo considerato dalla ricerca empirica che presenteremo nel prossimo capitolo. 97 Popolazione residente secondo la lingua d‟origine. Fonte: Ufficio federale di statistica (2005), Censimento federale della popolazione (2000). È possibile distinguere chiaramente tre regioni linguistiche maggiori ed alcune aree in cui vi è prevalenza del romancio. La Svizzera occidentale è francofona, quella nordorientale germanofona e quella sud-orientale italofona. A livello regionale si constata che la maggior parte dei Cantoni fa riferimento ad un'unica lingua, fanno eccezione Berna, Friborgo e Vallese, le cui aree occidentali sono francofone e quelle orientali germanofone, ed i Grigioni, in cui vi sono zone a prevalenza germanofona, romancia ed italofona. La diffusione delle lingue nel Paese è, essa pure, molto differenziata; il dato che emerge con maggiore chiarezza è che la Confederazione è abitata da una popolazione a netta maggioranza germanofona. Considerando unicamente i cittadini svizzeri, la componente 98 germanofona costituisce il 72.5%, i francofoni il 21%, gli italofoni il 4.3% ed i romanci lo 0.6%. Le percentuali cambiano includendo anche gli stranieri residenti, in questo caso i locutori di lingua tedesca diminuiscono significativamente (63.7%), quelli di lingua francese rimangono sostanzialmente invariati (20.4%), mentre, a causa della massiccia immigrazione di lavoratori dalla vicina Penisola, aumentano gli italofoni (6.5%). L‟uso di lingue non nazionali si attesta al 9%. Uso della lingua standard e delle parlate locali. Fino ad ora abbiamo descritto della maggioranza germanofona senza specificarne le caratteristiche. Se all‟interno delle altre due componenti linguistiche principali è possibile riscontrare una persistenza più o meno residuale di vari dialetti, in Svizzera tedesca esiste una vera e propria diglossia modale, una compresenza di due lingue contigue ma funzionalmente differenziate. È assolutamente improprio considerare questo un dialetto, dal momento che i germanofoni, pur con alcune sfumature che approfondiremo in seguito, considerano lo Schweizerdeutsch la loro lingua orale, quella per “parlare”, ed il tedesco standard quella scritta. Le importanti differenze tra le collettività riguardo a questo aspetto, appaiono evidenti già considerando l‟uso linguistico nel contesto familiare e domestico. Gli svizzeri germanofoni fanno larghissimo utilizzo dello Schweizerdeutsch (96.2%), il tedesco standard è parlato dal 6.7%, ma per solo l‟1.3% esso costituisce l‟unica lingua. Per quanto riguarda gli stranieri , complessivamente solo il 39.7% di loro parla tedesco (13.8%) e/o Schweizerdeutsch (29.1%) in famiglia. In Svizzera francese esistono delle forme dialettali (i patois), ma la loro diffusione, anche in contesto famigliare, è assolutamente marginale, solo lo 0.4% degli svizzeri e lo 0.2% degli stranieri ne fa uso. Un dato interessante riguarda gli stranieri che parlano francese, l‟87.4% di loro lo utilizza in casa, una percentuale molto maggiore rispetto a quella degli immigrati che si esprimono in tedesco nella regione germanofona. 99 Nella Svizzera italiana il fenomeno dell‟uso del dialetto presenta maggiori sfaccettature rispetto alle altre due regioni linguistiche. Le parlate italo-grigionesi51, pur non avendo un‟importanza ed uno statuto paragonabile allo Schweizerdeutsch, hanno una diffusione significativa presso la popolazione autoctona. Il 44.6 % degli svizzeri italofoni le utilizza in casa e, per il 21.2% di loro, esse costituiscono l‟unica lingua usata nel contesto familiare. Diversamente da quanto accade nella regione germanofona, l‟uso del dialetto da parte degli stranieri è molto limitato (4%). L‟uso delle diverse lingue in contesto familiare riveste, da un punto di vista sociologico, un grande significato, dal momento che la famiglia è l‟ambiente nel quale avviene la socializzazione primaria di un individuo. Altrettanto importanti sono però i luoghi della formazione scolastica e professionale, che concorrono alla seconda fase del processo di socializzazione. Vedremo ora il rapporto esistente tra i diversi idiomi parlati dagli studenti durante le scuole obbligatorie. Ci occuperemo principalmente di quanto avviene nella svizzera italiana ed in quella tedesca. Non considereremo la parte francofona dal momento che, come abbiamo visto, l‟uso dei dialetti ha un peso trascurabile all‟interno dei nuclei familiari ed è inesistente in altri contesti istituzionali. Il dialetto italo-grigionese è poco utilizzato all‟interno delle istituzioni scolastiche, ma non è completamente scomparso. L‟italiano è largamente predominante come lingua parlata a scuola, per la quasi totalità degli studenti (97.9%) è uno degli idiomi parlati e per l‟88.6% esso è l‟unico a venire utilizzato. Il dialetto è parlato dall‟11.1% degli allievi, ma solo l‟1.8% lo considera l‟unica lingua di comunicazione. La situazione nella regione germanofona si presenta completamente diversa. Si nota, infatti, una larga diffusione dello Schweizerdeutsch, il 91.7% ne fa uso in contesto scolastico ed il 39% lo considera l‟unica lingua. Il tedesco standard è molto meno parlato, il 60.3% lo utilizza e per il 7.5% esso rappresenta il solo idioma. 51 Il concetto di dialetto italo-grigionese non è filologicamente preciso (Lurati, 1985: 171-201) ma è funzionale ad un analisi quantitativa. Esso si riferisce all‟insieme degli idiomi, oralmente istituiti, parlati nelle regioni italofone della Svizzera. 100 Considerazioni generali. I dati quantitativi fin qui considerati fanno apparire un quadro estremamente variegato della situazione linguistica del Paese, sia per quanto riguarda la diffusione dei principali idiomi, sia per le differenze tra le collettività nell‟uso delle lingue standard e delle parlate locali. Per quanto riguarda il primo aspetto, si constata come le quattro lingue nazionali siano ripartite in altrettante aree geografiche relativamente ben definite. La regione centroorientale è prevalentemente germanofona, quella occidentale francofona, quella sudorientale italofona ed all‟estremità orientale esistono delle gruppi linguistici romanci. La diffusione delle lingue è molto differenziata, la maggior parte della popolazione svizzera è germanofona (72%), la componente francofona è di poco superiore al 20% , quella italofona ammonta al 4.3%, mentre i locutori romanci rappresentano unicamente lo 0.6%. Considerando la popolazione residente si nota una massiccia presenza di lingue non nazionali (9%) legata all‟elevato numero di stranieri presenti nel Paese. Per ciò che concerne il secondo aspetto, si nota come l‟importanza delle parlate locali sia praticamente nulla per la componente francofona, significativa per quella italofona ed estremamente importante per quella germanofona. In Svizzera francese la percentuale di coloro che parlano un dialetto nel contesto familiare è inferiore allo 0.5%, in quella italiana è del 44.6% ed in quella tedesca è del 96.7%, un dato, quest‟ultimo, che rende già di per se improprio il concetto di dialetto applicato allo Schweizerdeutsch. Un fenomeno analogo lo si constata analizzando l‟uso degli idiomi locali da parte degli studenti in contesto scolastico. L‟utilizzo di lingue istituite attraverso l‟oralità è in questo caso ovviamente nullo nella regione francofona, scarso in quella italofona (11.1%) e molto importante in quella germanofona (91.7%). Questi dati relativi alle differenze nei contesti d‟uso delle lingue standard e delle parlate locali tra le collettività completano le considerazioni proposte da Rita Franceschini 101 (1996: 9-29), che ha constatato una molto maggiore difficoltà nell‟adattamento degli alloglotti alla cultura linguistica della collettività germanofona rispetto a quanto avviene a quelle latine. Approfondiremo ora le circostanze storiche che hanno portato alla ripartizione geografica delle diverse collettività idiomatiche. 2.1.2 Dall‟antichità all‟Alto Medioevo. Analizzeremo ora gli eventi politici e culturali che hanno portato il territorio svizzero ad essere abitato da collettività linguistiche differenti. Per comprendere come ciò sia avvenuto occorre considerare un periodo storico nettamente anteriore all‟epoca in cui la Confederazione fu fondata. L‟arco di tempo in cui si svolsero questi fatti si estende dal III-IV d.C. - quando le popolazioni germaniche iniziarono penetrare all‟interno dello Stato Romano e, nel contempo, si diffondeva nella regione il cristianesimo - al VIII d.C., allorché dopo le tumultuose dominazioni burgunda ed alemanna, vi fu una stabilizzazione della situazione linguistica e religiosa dovuta al progressivo affermarsi del Regno Franco. Come vedremo successivamente (cfr. 2.2), questa fase storica presenta un particolare interesse per l‟analisi del processo di codifica delle identità collettive dei diversi gruppi linguistici: questi ultimi iniziarono, infatti, a formarsi contemporaneamente all‟avvento della religione cristiana, che, secondo Eisenstadt (2000), è all‟origine del chiasmo tra visione ontologica fondamentale ed organizzazione sociale ed è alla base del processo costitutivo delle civiltà assiali. Il periodo precedente alla dominazione romana rimane piuttosto oscuro, è noto tuttavia che gli abitanti dell‟odierna Svizzera erano, nell‟antichità, popolazioni di ceppo celtico (Ducrey, 1982: 19-51). La scarsità di informazioni su di esse, unita alla lunga durata ed alla grande influenza del dominio romano, non permettono di valutare quali 102 caratteristiche hanno lasciato in eredità agli attuali abitanti del Paese. Certo è che il loro modo di vivere, la Cultura di La Tène, è stato dominante in Europa per almeno cinque secoli, dal VI a.C. al I a.C. (Cunliffe, 1997). Il territorio svizzero nell‟antichità. Il dominio romano si protrasse dal 52 a.C., allorché Giulio Cesare pose fine alla relativa indipendenza degli Elvezi, sino al IV d.C. quando iniziò il progressivo abbandono imperiale del territorio. Durante questa fase storica vi fu un vero e proprio processo di acculturazione pacifica caratterizzato da un progressivo processo di romanizzazione delle popolazioni celtiche (Ducrey, 1982: 51-96). La società romana - che era molto religiosa, basti pensare alle innumerevoli costruzioni sacre presenti nella struttura urbana delle città – ha conosciuto profonde trasformazioni nel suo rapporto con il divino. A partire dal II d.C., si diffusero, infatti, nelle regioni occidentali dell‟impero, e quindi anche nel territorio svizzero, di forme di culto orientali che si sovrapposero al paganesimo tradizionale. Lo sviluppo di queste credenze - l‟adorazione di Mitra, di Osiride e di Dionisio – rispondeva ad un esigenza di una dimensione maggiormente metafisica nel rapporto con gli dei (Ducrey, 1982: 86-90). L‟Impero Romano stava quindi, per usare la terminologia di Eisenstadt (2000), completando il suo divenire una civiltà assiale. In questo contesto di rinnovato fervore religioso, il cristianesimo, introdotto probabilmente dai legionari di stanza nella regione, incontrava uno straordinario successo. Vi sono testimonianze dell‟esistenza nel territorio svizzero di comunità cristiane in un‟epoca ben anteriore al 313 d.C., quando fu emanato l‟editto di tolleranza di Costantino. Quando, a partire dal V d.C., l‟influenza civilizzatrice dell‟Impero Romano venne meno, spazzata via dalle invasioni germaniche, fu il cristianesimo a raccoglierne l‟eredità. 103 Formazione delle collettività linguistiche nell‟Alto Medioevo. Gli studi di Walter Haas (1985b: 21-57) e Guy P. Marchal (1982: 99-114) sono concordi nel descrivere come nei primi secoli dell‟Alto Medioevo si siano prodotti due fenomeni di grande importanza che ancora caratterizzano la Svizzera attuale: l‟instaurazione delle frontiere linguistiche e la diffusione capillare del cristianesimo. La dominazione romana, che aveva garantito un lungo periodo di stabilità e prosperità alla comunità gallo-romana, cominciò a vacillare verso la fine del III d.C. L‟abbandono (260 d.C.) delle frontiere orientali confinanti con le terre abitate dai Germani causò un massiccio esodo della popolazione autoctona che, per paura delle incursioni degli Alemanni, si spostò dalle regioni della Svizzera nord-orientale verso quelle più occidentali. Il tracollo dell‟Impero Romano d‟Occidente, nel V d.C., provocò l‟abbandono definitivo (401 d.C.) del presidio militare romano in territorio elvetico. Esistono testimonianze attendibili della sopravvivenza di talune colonie romane fino approssimativamente al VI d.C. (Marchal, 1982: 101), si trattava però di comunità che vivevano di un‟economia di sussistenza e che, pur mantenendo gli antichi costumi, lottavano da posizioni insostenibili contro un mondo che stava inesorabilmente cambiando. Le popolazioni germaniche - i Burgundi a ovest, gli Alemanni ad est, i Goti prima e i Longobardi poi a sudest – si accingevano ad assumere, con modalità diverse tra loro, il controllo del territorio svizzero. 104 Le popolazioni germaniche sul territorio svizzero nel VI d.C. Fonte: AAVV, Storia della Svizzera, Dadò, Locarno, 1989: p. 31 Non essendo separata dalle Alpi, la popolazione residente nell‟attuale regione italofona condivise l‟evoluzione culturale e linguistica degli abitanti della pianura padana. Venne dapprima inglobata nel regno degli Ostrogoti, in seguito riconquistata da Giustiniano ed infine assoggettata dai Longobardi. Le aree dove attualmente è parlato il romancio erano, soprattutto all‟epoca, particolarmente impervie e l‟influenza dei germani non era abbastanza pregnante da influenzare significativamente la lingua utilizzata dalla popolazione. Più interessante, da un punto di vista dell‟analisi sulle origini delle attuali frontiere linguistiche, è lo studio delle forme di dominazione esercitate dai Burgundi e dagli Alemanni. I primi germani a stabilirsi in territorio svizzero (436 d.C.), occupandone la parte occidentale, furono i Burgundi. Essi non erano probabilmente degli invasori, quanto un 105 popolo alleato di Roma a cui fu concesso di stabilirsi nella regione. Il loro regno era una creazione politica caratteristica della fase finale dell‟Impero. La Chronica Gallica parla di uno stanziamento della reliquiae Burgundionum, Guy Marchal (1982: 102-103) interpreta il termine reliquie come “ciò che rimane”, deducendo che doveva trattarsi di un piccolo contingente, verosimilmente decimato dagli innumerevoli conflitti che insanguinavano l‟Europa del periodo. Questa tesi è suffragata da studi archeologici (Martin, 1910) che permettono di stimare che la popolazione burgunda non avrebbe costituito più di un decimo del totale degli abitanti della regione. Il loro esiguo numero unito alla maggiore raffinatezza della civiltà in cui si insediarono fece sì che buona parte della classe dirigente restasse di origine autoctona. Le testimonianze gallo-romane pervenuteci portano a pensare che questo popolo germanico avesse presto assimilato la lingua e la cultura romane. Il regno Burgundo non sopravvisse per lungo tempo e venne integrato in quello dei Franchi nel 534 d.C. Tuttavia esso contribuì in maniera decisiva a preservare l‟impronta romana che caratterizzava la configurazione civilizzazionale e linguistica della Svizzera occidentale. Gli Alemanni, arrivarono più tardivamente, quando già l‟Impero Romano aveva cessato di esistere. Fino al V d.C. essi furono uno dei popoli che maggiormente minacciavano le frontiere imperiali, ma quando giunsero ad insediarsi nella Svizzera orientale erano ormai indeboliti e decimati da anni di guerre contro i romani e contro gli altri popoli germanici. Schiacciati tra i potenti regni dei Franchi e degli Ostrogoti, gli Alemanni finirono con l‟insediarsi nel territorio che attualmente comprende la Svizzera nord orientale. Si trattava di aree che si erano progressivamente spopolate nei secoli precedenti dal momento che, essendo situate immediatamente a ridosso delle frontiere dell‟Impero, erano continuamente soggette a scorrerie e saccheggi. Il popolo Alemanno, ormai ridotto ad isolate bande di fuggiaschi, si insediò in un contesto di campagne poco popolate e di insediamenti romani semi-abbandonati. I ritrovamenti archeologici sembrano suggerire che la frontiera che delimitava i loro insediamenti non fosse tanto di natura politica, quanto demografica. Dato l‟esiguo 106 numero, la loro avanzata si arrestò quando, ad ovest, incontrarono popolazioni romanizzate numericamente consistenti. Il regno autonomo alemanno cessò di esistere nel 537 d.C quando la regione da loro abitata venne assoggettata dai Franchi. A partire da allora fu istaurato il Ducato di Alemagna, la cui direzione politica pare fosse esercitata da notabili franchi piuttosto che da capi indigeni (Kaiser, 2002). Pur se di durata relativamente breve, il regno Burgundo e quello Alemanno ebbero un‟influenza decisiva nel determinare le frontiere tra le due attuali principali aree linguistiche (Marchal, 1982: 108-109). Ad una tale conclusione è possibile giungere analizzando i nomi dei luoghi geografici. Come abbiamo visto in precedenza, l‟influenza culturale burgunda fu modesta all‟interno del loro stesso regno, per questa ragione è praticamente impossibile ritrovare dei toponimi le cui origini risalgano alla loro lingua. Si possono però distinguere i toponimi di origine alemanna (che terminano sovente per – ingen) da quelli romani e preromani. L‟origine dei confini linguistici. Fonte: AAVV, Nuova storia della Svizzera e degli svizzeri, Casagrande, Bellinzona, p.101 107 Attraverso i prefissi Wal- o Walen- è inoltre possibile risalire agli insediamenti romani di frontiera, la popolazione alemanna, infatti, utilizzava una parola simile per designare un confine. In particolare si constata che i confini tra i toponimi corrispondono a quelli tra le due aree linguistiche odierne. L‟attuale cantone di Vaud costituisce l‟unica significativa eccezione, esso presenta numerosi luoghi il cui nome è di origine alemanna (-ens o – ence, originati dalla forma –ingen), ciò fa pensare che questa regione, oggi completamente francofona, fosse in origine bilingue (Haas, 1985b: 50-51). Diffusione del cristianesimo in Svizzera. Come abbiamo visto in precedenza, già in epoca romana, a partire dal II d.C., si diffusero sul territorio svizzero svariate religioni di origine orientale che si caratterizzavano per un rapporto maggiormente metafisico con il divino rispetto al paganesimo romano. Quando nel IV d.C. e nel V d.C. il cristianesimo si estese nell‟Impero fino a diventarne la religione ufficiale, esso arrivò anche in Svizzera, grazie principalmente all‟influenza di legionari convertiti (Marchal, 1982: 109-116). Alla vigilia del crollo della potenza romana, numerose città – tra cui le attuali Coira, Ginevra e Martigny – avevano già un vescovo. La dominazione burgunda non aveva portato a grosse trasformazioni religiose e le sedi episcopali presenti nella Svizzera occidentale poterono continuare pressoché indisturbate la loro missione. Diversa fu la situazione nelle terre orientali dominate dagli Alemanni. Si trattava di aree scarsamente popolate, dove le comunità romane-cristianizzate non potevano influenzare, se non sporadicamente, il paganesimo dei nuovi dominatori. La cristianizzazione della Svizzera orientale avvenne più tardivamente, a partire dal VII d.C., sotto il Ducato di Alemagna e quindi, indirettamente, ad opera dei Franchi. La conversione, soprattutto nelle campagne, avvenne grazie a due principali centri di irradiazione, l‟abbazia di San Gallo e quella di Saint-Maurice. 108 Considerazioni generali. Lo scopo di questo paragrafo è quello di evidenziare la contemporaneità storica tra l‟emergere sul territorio svizzero dei tratti propri ad una civiltà assiale, nell‟accezione che Eisenstadt (2000) attribuisce al termine, e lo sviluppo delle diverse collettività linguistiche. In altri termini, le diverse popolazioni giunte nell‟attuale Svizzera hanno iniziato, assieme agli abitanti autoctoni, a codificare i propri idiomi e a stabilire la propria organizzazione sociale in funzione della visione ontologica fondamentale data dai precetti della religione cristiana. Questo processo di civilizzazione è all‟origine dei tratti di distinzione caratteristici delle identità collettive, che, oggi, definiscono le strutture dello spazio pubblico del Paese. La nascita delle maggiori collettività linguistiche, abbiamo visto, è conseguenza delle diverse modalità di insediamento di due popoli germanici, i Burgundi e gli Alemanni, rispettivamente ad ovest e a nord-est del territorio svizzero. Le attuali minoranze italofona e romancia hanno origini diverse, ma, almeno la prima, è anch‟essa nata dalla commistione tra la civiltà romana e quella germana. La fase storica, tra il IV d.C. ed VII d.C., in cui sono state gettate le basi per le attuali collettività linguistiche svizzere è compresa in quella più ampia, tra il II d.C. ed il VII d.C., in cui si è assistito ad una profonda trasformazione del sentimento religioso collettivo caratterizzato dalla diffusione del cristianesimo che, a parte la parentesi pagana del regno alemanno, ha conosciuto uno sviluppo inarrestabile. La nuova religione, molto più di quelle che l‟hanno preceduta, implicava una visione ontologica fondamentale capace di esercitare una forte influenza sull‟organizzazione sociale. Questo periodo storico è di grande importanza per la definizione delle identità collettive, ma, come abbiamo ricordato in precedenza, la presenza di gruppi linguistici differenti è caratteristica di molti Paesi, ciò che differenzia la Svizzera dalla maggior parte dei suoi vicini europei è la sua struttura federalista, instaurata a metà dell‟Ottocento, che ha consentito alle diverse collettività idiomatiche di sviluppare le rispettive caratteristiche. 109 2.1.3 Dalla Lega di Stati germanofona allo Stato federale plurilingue. In questo paragrafo ci occuperemo della fase storica che ha portato alla costituzione di uno Stato multilingue. In altri termini, del periodo in cui l‟aggregazione passiva relativamente stabile di collettività idiomatiche, divenne oggetto di una politica attiva e la Confederazione, affacciandosi alla modernità, sottomise ad una legge la propria eterogeneità linguistica, facendo di essa un proprio elemento costitutivo. Come vedremo, infatti, la Svizzera si dotò delle proprie strutture istituzionali in seguito alla Guerra del Sonderbund (1847) che segnò il passaggio da una Lega di Stati praticamente indipendenti ad uno Stato dotato di un potere centrale (Weibel, 1999). Le istituzioni federaliste, stabilite con la Costituzione del 1848, esercitavano la funzione di attenuare le lacerazioni politico-religiose che avevano contrapposto i Cantoni conservatori cattolici a quelli liberali prevalentemente protestanti. In questo contesto, la regolamentazione delle diversità linguistiche, pur se piuttosto secondaria, era ispirata dai principi liberali e radicali che animavano il ceto politico uscito vincitore dal conflitto ed avevano lo scopo di razionalizzare l‟amministrazione statale e di garantire l‟uguaglianza di fronte alla legge di tutti i cittadini (Altermatt, 2003: 39-49). L‟importanza, politica ed identitaria, delle collettività idiomatiche elvetiche si è accresciuta progressivamente nel XX secolo, ma lo spirito alla base dell‟assetto legislativo in vigore dal 1848, che ne garantiva la coesistenza e lo sviluppo, è rimasto immutato. Le modifiche successive sono state per la maggior parte formali o, nel caso della riforma del 1939 che ha riconosciuto al romancio lo statuto di lingua nazionale, dettate da ragioni legate alla situazione internazionale (Widmer, 2004b). Situazione linguistica dal Medioevo alla Guerra del Sonderbund. Le vicende politiche che hanno coinvolto il territorio svizzero iniziarono a distinguersi da quelle del Sacro Romano Impero alla fine del XIII d.C. L‟alleanza originaria tra Uri, Svitto ed Untervaldo (1291), successivamente allargatasi a 13 Cantoni, era una federazione di Stati priva di un contratto di associazione uniforme e fondata su una moltitudine di trattati particolari. Sino al 1798 non vi erano, con la parziale eccezione di 110 Friburgo, Cantoni che non fossero germanofoni. Esistevano territori soggetti o alleati la cui popolazione era francofona o italofona, ma queste aree non godevano degli stessi diritti attribuiti agli Stati confederati. Benché anche alcune regioni germanofone avessero lo statuto di baliaggio, è probabile che solo le collettività di lingua tedesca potessero divenire pienamente parte integrante della Confederazione (Haas, 1985b: 5758). La sola istituzione che legava i diversi Cantoni era la Dieta, che si riuniva a Zurigo, ed era monolingue, sia per quanto riguarda i dibattimenti tra i delegati, sia per la corrispondenza con gli alleati. I soli problemi linguistici erano legati alle comunicazioni tra i singoli Cantoni germanofoni ed i territori a loro soggetti, gli ostacoli, però, erano facilmente sormontabili dato che l‟amministrazione statale era molto decentralizzata, e dunque delegata prevalentemente alle autorità locali, inoltre la maggior parte dei balivi era in grado di comprendere il francese. I baliaggi italofoni costituivano un‟eccezione dal momento che le parlate locali erano perlopiù sconosciute ai confederati. In questo caso, valendo sempre il principio secondo cui il sovrano deve esprimersi nella lingua della popolazione, i funzionari si servivano di un segretario che aveva funzione di interprete e che, sovente, esercitava un potere informale difficilmente controllabile (Haas, 1985b: 59-62). Le istituzioni che reggevano l‟antica Confederazione vennero sconvolte nel 1798 dall‟invasione napoleonica. La Repubblica Elvetica, creata sul modello rivoluzionario francese, fu uno Stato centrale i cui abitanti venivano considerati cittadini giuridicamente eguali, in ragione di ciò scomparvero le differenze statutarie tra i Cantoni ed i loro baliaggi. Questo sistema politico impose un‟uguaglianza tra i diversi idiomi parlati nel Paese (de Capitani, 1982: 154-161). Oltre che da motivazioni ideologiche, il riequilibrio degli statuti delle lingue nazionali era reso necessario dal nuovo assetto statale, rigidamente centralizzato: le decisioni dell‟esecutivo, composto da cinque membri, dovevano essere tradotte in tutti gli idiomi ed i dibattiti parlamentari, che avvenivano tra deputati sovente sprovvisti delle competenze linguistiche necessarie a comprendersi vicendevolmente, erano resi possibili dalla presenza di interpreti (Haas, 1985b: 62-64). 111 La storia della Repubblica Elvetica fu, come quella di tutti gli Stati napoleonici, molto breve, ma il sistema politico da essa instaurato per la prima volta mise su un piano di parità i diversi gruppi linguistici obbligando i loro rappresentanti a discutere per trovare soluzioni condivise. In queste circostanze le classi dirigenti emerse dagli sconvolgimenti rivoluzionari dettero prova di un forte senso unitario che sopravvisse ben oltre il crollo delle istituzioni statali. La Restaurazione ristabilì la vecchia federazione decentralizzata di Cantoni e impose l‟abbandono del principio di uguaglianza tra i cittadini, ma non poté reintrodurre i baliaggi, né, tantomeno, ebbe la forza di soffocare le idee liberali che avrebbero condotto, nel 1848, alla nascita della Svizzera moderna. Regolamentazione linguistica nella Svizzera moderna. L‟ordine politico instaurato dalla Restaurazione si rivelò ben presto molto instabile. La contrapposizione tra aree rurali prevalentemente cattoliche, favorevoli al mantenimento di un assetto statale decentralizzato e poco inclini ad aperture di tipo democratico, e regioni urbanizzate a maggioranza protestante, che appoggiavano la creazione di uno Stato centrale forte ispirato da principi liberali, diede vita a scissioni cantonali ed a insurrezioni popolari (Andrey, 1982: 173-274). Queste tensioni portarono, nel 1844, alla costituzione di una coalizione politica e militare di sette Cantoni cattolici (Sonderbund) finalizzata a contrastare l‟azione anti-cattolica e centralizzatrice del Partito Radicale Democratico, molto forte nelle città riformate. Il rifiuto da parte dell‟alleanza di sciogliersi come venne loro imposto, il 13 ottobre del 1847, dalla Dieta federale portò ad un breve e poco cruento conflitto (circa 100 morti) che si concluse con la vittoria dell‟esercito federale (du Bois, 2002). L‟esito dello scontro determinò l‟affermazione dei principi sostenuti dal Partito Radicale Democratico, che accanto al liberalismo in campo economico, prospettava un rafforzamento del ruolo dello Stato. L‟azione statale doveva promuovere la mobilità sociale attraverso la laicizzazione delle istituzioni, l‟ampliamento dei diritti popolari e 112 l‟instaurazione di un sistema scolastico pubblico capace di garantire parità di accesso all‟istruzione per tutti i ceti sociali (Tanner, 1997). Sulla base di queste idee venne redatta la Costituzione del 1848, al cui interno la questione linguistica era trattata con lo stesso spirito liberale che animava l‟intero documento. L‟articolo 109 attribuiva lo statuto di lingue nazionali al tedesco, al francese e all‟italiano, i diversi idiomi erano dunque considerati su un piano egualitario, coerente con l‟uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Tenendo però conto delle tensioni regionali che solo pochi mesi prima avevano provocato il conflitto armato, i costituzionalisti assegnarono al potere centrale solamente gli aspetti della vita pubblica giudicati strategicamente vitali e la coesistenza dei diversi idiomi non era considerata tra questi. Le politiche linguistiche furono, di fatto, delegate ai diversi Cantoni, l‟amministrazione federale si limitava ad assicurare un funzionamento razionale dell‟apparato statale attraverso un sistema di traduzione degli idiomi ufficiali (Widmer, 2003: 11-15). La riforma costituzionale del 1874 lasciò immutato l‟articolo concernente le lingue (divenuto l‟articolo 116). Il primo importante atto politico riguardo alla situazione idiomatica avvenne, non a caso, nel 1939, quando in Europa le tensioni nazionaliste avevano raggiunto il loro culmine. Già a partire dalla fine della Grande Guerra era sorto un movimento che promuoveva il ruolo del romancio, la campagna si concluse con un voto delle camere federali, nel 1937, e con una consultazione referendaria, nel 1938, che accordarono a questo idioma lo statuto di lingua nazionale non ufficiale. Data l‟esiguità di locutori di lingua romancia, lo scopo di questa riforma era eminentemente politico, si voleva affermare con essa l‟identità elvetica attraverso un suo tratto caratteristico: il plurilinguismo (Widmer, 2004b). L‟attuale Costituzione, votata nel 1996 ed entrata in vigore nel 1999, precisa meglio la questione delle lingue senza però mutare l‟impianto legislativo risalente al 1848. L‟articolo 18 enuncia, per la prima volta, il diritto alla libertà di lingua. L‟articolo 70 (che sostituisce l‟articolo 116) presenta invece delle novità: (al.1) il romancio diviene un idioma parzialmente ufficiale, la Confederazione ne accorda l‟ufficialità nelle sue 113 relazioni con i locutori; (al.2) i Cantoni determinano le loro lingue ufficiali, rispettano le ripartizioni territoriali e prendono in considerazione le minoranze linguistiche autoctone; (al.4) la Confederazione sostiene i Cantoni plurilingui nell‟esecuzione dei loro compiti particolari; (al.5) la Confederazione sostiene le misure prese dai Cantoni Grigioni e Ticino per la salvaguardia del romancio e dell‟italiano (Forster, 2007). In queste pagine abbiamo reso conto della situazione linguistica svizzera e dell‟evoluzione storica ed istituzionale che ne è all‟origine. La Confederazione si compone di tre collettività idiomatiche maggiori e ne riconosce una quarta, il romancio, molto minoritaria. Il processo che ha portato alla costituzione di questi gruppi linguistici è molto antico, risalente all‟instaurazione dei regni romano-germanici all‟alba del Medioevo e contemporaneo alla diffusione del cristianesimo nella regione. Diversamente da quanto avvenuto nella maggior parte dei Paesi europei, le differenze linguistiche non sono state soffocate dall‟affermazione del modello di Stato-nazione. La nascita, all‟interno del Sacro Romano Impero, di una Lega di Stati indipendenti e la sua conseguente trasformazione in una Repubblica democratica di tipo napoleonico prima, e di uno Stato moderno di impronta liberale poi, ha permesso lo sviluppo di un impianto istituzionale che ha consentito la coesistenza ed il mantenimento della pluralità idiomatica. Nel prossimo paragrafo porremo in evidenza come la diversa appartenenza linguistica abbia portato le tre principali collettività a sviluppare delle identità dotate di tratti distintivi che, ancora oggi, si ripercuotono sul modo di problematizzare pubblicamente i problemi sociali. 114 2.2 Gruppi linguistici ed identità collettive. Nel precedente capitolo abbiamo visto come la problematizzazione pubblica avvenga attraverso un processo che vede determinate tipologie di attori sociali, gli imprenditori morali (Becker, 1963) ed i chierici mediatori (Gellner, 1983), portare all‟attenzione della collettività delle situazioni sociali che, secondo le loro rappresentazioni della realtà, necessitano di essere normalizzate. I contenuti delle problematiche derivano dai modelli culturali (Touraine, 1965, 1975) mentre le modalità con cui vengono discussi nello spazio pubblico dipendono da codici identitari di distinzione (Eisenstadt, 1998, 2000). Lo scopo del paragrafo è di mostrare che in Svizzera coesistono diverse collettività dotate ciascuna di una propria identità, e che il tratto distintivo di queste collettività è dato dall‟appartenenza linguistica, e più precisamente dal rapporto che esse intrattengono con il proprio idioma. L‟esistenza, all‟interno della Confederazione, di diverse collettività identitarie è suffragata da numerosi studi che evidenziano le differenze nelle scelte politiche tra gruppi sociali, al loro interno omogenei, in occasione delle votazioni popolari. Wolf Linder (Linder/Zürcher/Bollinger, 2008) individua quattro divisioni fondamentali: tra detentori di capitali e forza lavoro, tra abitanti delle aree urbane e di quelle rurali, tra protestanti e cattolici e tra collettività linguistiche. Come vedremo in seguito (cfr. 2.3), il sistema politico svizzero è caratterizzato dalla presenza di solide istituzioni volte a garantire la democrazia diretta. Le votazioni popolari, a differenza delle elezioni politiche, mettono i cittadini in condizione di decidere la regolamentazione di situazioni sociali concrete, di scegliere, in altri termini, in quale modo gestire le relazioni tra i diversi gruppi sociali. In un tale contesto le differenze nelle scelte elettorali tra i detentori dei mezzi di produzione e la forza lavoro, così come quelle tra gli abitanti delle città a quelli delle campagne, sono spiegabili con l‟adesione di ciascun gruppo al modello culturale che propone la regolazione dei rapporti sociali che maggiormente lo avvantaggia. Le fratture legate alla fede religiosa ed 115 all‟appartenenza linguistica sono invece ascrivibili a ragioni identitarie, alle diverse modalità, cioè, con cui il tema in votazione viene problematizzato nello spazio pubblico. Le motivazioni che ci spingono a ritenere, nella Svizzera contemporanea, l‟appartenenza linguistica come un elemento di identificazione collettiva più forte rispetto alla fede religiosa sono molteplici. Innanzitutto il già citato studio di Wolf Linder (2008) così come quello di René Knüsel (1994) mostrano, in una prospettiva storica, che le differenze confessionali si sono rivelate sempre meno determinanti nelle scelte di voto, al contrario quelle idiomatiche hanno acquisito sempre maggiore importanza. Jean Widmer (2004b) spiega questo fenomeno con il fatto che la fede era, in passato, il mezzo di cui il potere politico si serviva per controllare la popolazione. Le guerre di religione che ne sono seguite, unite all‟emergere di un nuovo ceto dominante borghese, che aveva nel possesso dei mezzi di produzione il suo strumento di controllo, hanno ricondotto la fede ad una dimensione sostanzialmente privata. Inoltre, la borghesia aveva la necessità, per organizzare le istituzioni dello Stato moderno, di sviluppare una sfera pubblica in cui poter discutere razionalmente (Habermas, 1962). Questo luogo simbolico di scambio di opinioni si è trasformato progressivamente nello spazio pubblico contemporaneo, accessibile a strati più larghi della popolazione e supportato da mezzi di comunicazione di massa sempre più potenti e complessi. In Svizzera il sistema dei media è fortemente segmentato a livello idiomatico (Kriesi/Wernli/Sciarini/Gianni, 1996) e dominato da un linguaggio che ha perso la sua funzione originaria di favorire la discussione razionale e che sempre più tocca i sentimenti identitari del pubblico che mira a raggiungere (Romano, 1996). Nelle prossime pagine esamineremo, innanzitutto, un modello teorico elaborato da Jean Widmer (2004a) che illustra come il rapporto che una collettività intrattiene con la propria lingua costituisca un elemento decisivo nella formazione dei codici identitari di distinzione e nella conseguente configurazione dello spazio pubblico. In seguito vedremo le come i diversi gruppi linguistici elvetici si relazionano ai loro idiomi. Successivamente analizzeremo le caratteristiche del sistema dei media svizzero e la loro 116 influenza sui dibattiti pubblici. Infine descriveremo la relazione che le collettività idiomatiche confederate intrattengono con le loro lingue, le loro identità collettive ed i loro segmenti dello spazio pubblico. 2.2.1 Il concetto di “architettura dello spazio pubblico”. Jean Widmer (2004a: 11-31) si serve del concetto di architettura per rendere conto del modo in cui il rapporto alla propria lingua è parte integrante dell‟esperienza politica, e dunque dello spazio pubblico, di una collettività: “… la metafora dell‟architettura permette di significare che il rapporto alle lingue determina le maniere in cui la collettività è visibile, le maniere in cui i membri di una collettività sono visibili a loro stessi. Il rapporto alle lingue ha dunque a che vedere con le costanti strutturali dello spazio pubblico inteso come spazio di visibilità e di azione all‟interno di un collettivo.”52 [t.d.a] Il rapporto alla lingua, per restare nella metafora, è un elemento che partecipa alla configurazione di uno spazio interno senza determinare l‟uso che ne verrà fatto o l‟arredamento che vi troverà posto. Esso però, assieme alle altre costanti strutturali dell‟architettura (come i massmedia), può imporre delle scelte attraverso la ripartizione dello spazio, ad esempio definendo dove e che forma avrà l‟ingresso. Tipologie ideali di architettura dello spazio pubblico. Le due tipologie ideali di architettura dello spazio pubblico (Widmer, 2004a: 23-31) si riferiscono a due società che, ceteris paribus, si identificano l‟una (che d‟ora in avanti chiameremo A) ad una lingua standardizzata, l‟altra (che chiameremo B) con un idioma 52 “… la métaphore de l‟architecture permet de signifier que le rapport aux langues détermine les manières dont la collectivité est visible, les manières dont les membres d‟une collectivité sont visibles à eux-mêmes. Le rapport aux langues a donc à voir avec les constantes structurales de l‟espace public en tant qu‟espace de visibilité et d‟action dans un collectif. ” (Widmer, 2004a, p.14) 117 istituito unicamente attraverso l‟oralità. Nel caso della collettività A, l‟accesso ai codici linguistici, e quindi ai requisiti minimi per poter partecipare allo spazio pubblico, avviene attraverso un‟istruzione di tipo scolastico, nella società B, o non avviene, oppure ha luogo soltanto mediante una completa incorporazione dei nuovi venuti. Nella società A si assiste così ad una separazione netta tra la lingua, elemento portante dell‟architettura, e l‟attività sociale di elaborazione dei contenuti dello spazio pubblico. La collettività B, dal momento che si esprime in un idioma orale che solo i membri a pieno titolo del gruppo possono conoscere, non prevede una distinzione inequivocabile tra la collettività ed il suo spazio pubblico. Se nel primo caso è la lingua ad essere considerata una norma trascendente, nel secondo sarà la collettività ad esserlo rispetto a sé stessa, includendo le proprie dimensioni ancestrali nel suo modo di autorappresentarsi. A partire da questa diversa architettura dello spazio pubblico è possibile distinguere, sempre a livello ideale, un differente modo di istituzionalizzare il potere politico. La società A presenta una più spiccata tendenza alla delegazione ed ad una forma di democrazia di tipo rappresentativo. Essa permette, infatti, l‟esistenza di una classe di chierici a cui delega le operazioni di standardizzazione della lingua. Il ruolo di questi ultimi può essere considerato come anticipatore di quello di altri chierici, non ultimi quelli preposti alla gestione della cosa pubblica. La collettività B, che non riconosce alcuna figura mediatrice tra sé stessa e la propria lingua, ha invece tendenza ad un rapporto più diretto con il potere politico. Chi rappresenta i membri di una società di questo tipo deve innanzitutto dimostrare di fare autenticamente parte del gruppo, di essere uguale agli altri. Riassumendo, la collettività che si identifica ad una lingua standardizzata (A) intrattiene con essa un rapporto metaforico ponendola al di fuori di sé stessa. I suoi membri possono immaginare l‟esistenza di altri popoli che si riconoscono nella medesima lingua. 118 La società che si riconosce in un idioma istituzionalizzato unicamente attraverso l‟oralità (B) si caratterizza, invece, per avere con esso un rapporto metonimico, considerandolo una parte del tutto costituito da sé stessa. In questo caso è la collettività a costituire la metafora di sé stessa attraverso uno sdoppiamento tra la sua esistenza reale e quella immaginaria, fondata sull‟eredità di un passato mitico di cui i membri sono depositari. Non sfugge che i modelli di architettura dello spazio pubblico proposti da Jean Widmer (2004a) presentino delle affinità concettuali molto marcate con le tipologie ideali di identità collettive elaborate da Eisenstadt e Giesen (1995). Il lavoro del sociologo romando costituisce, infatti, un ampliamento teorico della teoria civilizzazionale che abbiamo esaminato nel capitolo precedente (cfr. 1.1). Eisenstadt (1998, 2000) individua l‟inizio dello sviluppo dei codici identitari con la nascita di forme di organizzazione sociale relazionate alle credenze religiose. Secondo Widmer (2004b), l‟affermarsi della borghesia come nuovo ceto dominante porta ad un progressivo spostamento del luogo simbolico di codifica delle identità collettive dalla religione allo spazio pubblico. I regimi anteriori alla modernità erano, infatti, retti da una classe sociale, l‟aristocrazia, che traeva dalla religione la propria legittimità. Il ceto borghese, al contrario, necessita di una sfera pubblica ove discutere e pianificare l‟assetto razionale di uno Stato capace di garantire un corretto funzionamento dell‟economia che gli consenta di mantenere e rafforzare il proprio ruolo dirigente. La democratizzazione della vita politica ed il progresso tecnologico che caratterizzano le società industriali avanzate hanno portato ad un‟estensione e ad una mediatizzazione dello spazio pubblico facendo di quest‟ultimo il maggiore agente di costruzione identitaria. In tale contesto, in cui la comunicazione di massa assume un‟importanza sempre maggiore, la lingua, strumento di comunicazione primordiale, diviene il principale fattore di diversificazione delle identità collettive. Le tipologie di architettura dello spazio pubblico proposte da Jean Widmer (2004a) sono “ideali” nel senso weberiano del termine, sono cioè dei tipi puri, ovvero categorie elaborate deduttivamente e costituite da un insieme coerente di elementi che raramente, così combinati, si trovano nella realtà. Il loro valore scientifico consiste nella possibilità 119 di confrontare la loro distanza da quanto si osserva empiricamente. Nelle prossime pagine, invece, analizzeremo le relazioni reali che le tre principali collettività svizzere intrattengono con i rispettivi idiomi. 2.2.2 Collettività idiomatiche e rapporti alle lingue. Il rapporto che i diversi gruppi intrattengono con i rispettivi idiomi è origine di codici di identificazione che partecipano alla definizione delle strutture dello spazio pubblico. In Svizzera, abbiamo visto, coesistono tre lingue pienamente riconosciute come nazionali ed ufficiali. Le principali collettività non si distinguono tra loro unicamente per l‟uso di idiomi differenti, ma anche per il modo con cui si relazionano ad essi, per la maniera, cioè, con cui socializzano i membri al loro utilizzo. In particolare, la collettività germanofona si caratterizza (cfr. 2.1.1) rispetto a quelle latine per un uso particolarmente esteso, accanto alla lingua standard, dello Schweizerdeutsch, un insieme di parlate locali istituzionalizzate principalmente attraverso l‟oralità. La complementarietà delle due lingue fa sì che nella regione esista una vera e propria diglossia, che è: “… la relazione tra due varietà dello stesso linguaggio in uso in una comunità linguistica, in cui ciascuna varietà possiede il proprio medium di uso o la propria funzione.”53 [t.d.a] Questo fenomeno non è riducibile alla semplice coesistenza di idiomi diversi presso una medesima collettività che si registra in molti Paesi, in particolare in quelli post-coloniali. 53 “… the relationship between two varieties of the same language in use in one language community, each variety having its own medium of use or function” (Rash, 1998, p.17) 120 Ad esempio è improprio parlare di diglossia in riferimento alla compresenza dello spagnolo e del guaranì in Paraguay, in questo caso si tratta di lingue dalla radice completamente differente, utilizzate da ceti sociali diversi (Widmer, 2004a: 31-32). Situazioni linguistiche più simili a quella svizzero-tedesca sono quelle che si registrano in alcuni Paesi mediorientali dove accanto all‟arabo classico coesistono forme vernacolari. Charles Ferguson (1959) individua tratti comuni anche ad Haiti, tra francese e creolo, in Norvegia, tra bokmal e nynorsk, ed in Grecia, tra katharevousa e dhimotiki, sebbene questi idiomi siano molto più standardizzati rispetto allo Schweizerdeutsch. In Svizzera francese non esiste, in pratica, altro idioma rispetto la francese standard, mentre in quella italiana esistono parlate locali, simili ai dialetti parlati in Lombardia, che non hanno però un importanza sociale paragonabile a quelle svizzero-tedesche. Vedremo ora più nel dettaglio l‟evoluzione storica dei contesti d‟uso delle lingue presso le tre principali collettività elvetiche. Svizzera tedesca. Prima di affrontare le specificità inerenti la situazione linguistica nella regione germanofona svizzera occorre fare due precisazioni. Innanzitutto, contrariamente a quanto comunemente si ritiene, lo Schweizerdeutsch non è un idioma uniforme, l‟assenza di una sua sistematica standardizzazione attraverso la scrittura favorisce, infatti, lo sviluppo di numerose varianti regionali (Haas, 1985a: 7080). Secondariamente, la diglossia in uso presso la collettività svizzero-tedesca ha iniziato ad assumere un carattere specifico durante il XX secolo, prima di allora il rapporto tra lingua standard e dialetti era molto simile a quello esistente in Germania: la prima era utilizzata per la scrittura e quando occorreva esprimersi in un linguaggio “aulico”, ad esempio in occasione di discorsi pubblici, prediche, dibattiti parlamentari e comunicazioni militari; mentre i secondi erano usati durante le conversazioni informali (Ris, 1983: 167-168). In conseguenza di questa situazione, la maggior parte della 121 popolazione prendeva parte passivamente alla diglossia dal momento che non possedeva gli strumenti per utilizzare l‟idioma standardizzato attraverso la scrittura. La diglossia germanofona iniziò ad assumere connotazioni sociali quando, verso la fine del XIX secolo, da un lato, il miglioramento del livello di scolarizzazione rese accessibile la lingua standardizzata ad un numero crescente di persone; dall‟altro, un gruppo di intellettuali diede vita ad un progetto di istituzionalizzazione formale dello Schweizerdeutsch (l‟Idiotikon) al fine di individuare una forma “pura” di questo idioma che potesse essere utilizzabile anche in forma scritta (Haas, 1985a: 90). Dopo di allora vi fu un susseguirsi di periodi durante i quali a volte l‟una, a volte l‟altra, delle due varietà linguistiche accresceva la propria importanza. Durante il periodo tra l‟inizio del Novecento e lo scoppio della Grande Guerra, il tedesco sembrava destinato a prendere definitivamente il sopravvento, soprattutto nei principali centri urbani dove vi era una forte presenza di cittadini tedeschi che occupavano posizioni sociali importanti. La situazione mutò radicalmente all‟indomani della sconfitta militare degli Imperi centrali che ridusse sensibilmente l‟influenza internazionale della Germania. In quegli anni, inoltre, un movimento culturale nato a Berna all‟inizio del secolo promuoveva la produzione di testi letterari in Schweizerdeutsch, un idioma che veniva percepito come un simbolo di emancipazione politica e culturale della regione nei confronti del mondo tedesco (Ris, 1983: 167-169). Negli anni ‟30, sotto la minaccia del violento pangermanesimo propugnato dal regime nazista assurto al potere in Germania, venne elaborata dal ceto politico svizzero la dottrina della Difesa Spirituale, che si proponeva di costruire una “svizzerità” in qualche modo comparabile ai nazionalismi imperanti in Europa. Essa si fondava sui miti costitutivi classici del Paese e trovava la sua più celebre espressione nella Landi, l‟esposizione nazionale del 1939. Da un punto di vista linguistico, questa dottrina incoraggiava, ovviamente, lo Schweizerdeutsch come elemento caratterizzante e distintivo della cultura elvetica (Haas, 1985a: 92). 122 Dopo la Seconda guerra mondiale numerosi movimenti culturali, spesso con motivazioni contrapposte, hanno attuato delle campagne in favore di una maggiore diffusione dello Schweizerdeutsch. I primi gruppi ecologisti sorti negli anni ‟60, ad esempio, vedevano in questo idioma il simbolo per un ritorno ad una società meno consumista e lo strumento per superare le frontiere linguistiche imposte dal ceto borghese (Ris, 1983: 168). Sempre in quel periodo il dialetto venne percepito dalle avanguardie artistiche come un mezzo che permetteva di esplorare nuove forme espressive, esempi emblematici furono Mani Matter e Polo Hofer, nella musica pop, Hansjörg Schneider e Urs Widmer, nel teatro, Kurt Gloor e Thomas Hostettler nel cinema (Haas, 1985a: 9697). Di natura completamente diversa da quelle che abbiamo visto in precedenza fu la spinta data allo Schweizerdeutsch dalle forze politiche che, negli anni sessanta e settanta teorizzavano l‟”inforestierimento” (Ueberfremdung) del Paese a causa dell‟immigrazione, in particolare italiana, e avevano come riferimento James Schwarzenbach, un uomo politico la cui visione ideologica della società prevedeva un ritorno alla Svizzera tradizionale ed agricola (Widmer, 2004a: 34-35). I movimenti politici e culturali che abbiamo presentato hanno indubbiamente contribuito a caratterizzare la diglossia svizzero-tedesca, occorre però considerare che coloro che li hanno promossi erano prevalentemente individui appartenenti al ceto sociale più elevato. Paradossalmente è dalla borghesia urbana e istruita che prendono spesso avvio le azioni tese a valorizzare lo Schweizerdeutsch, al contrario i membri delle categorie meno favorite manifestato un maggiore rispetto per il tedesco standard e tendono a considerare il proprio dialetto come un linguaggio tipico delle persone incolte (Ris, 1983: 172-175). Esistono, tuttavia, dei fenomeni strutturali che a partire dal dopoguerra, hanno portato allo sviluppo dello Schweizerdeutsch toccando trasversalmente tutti i ceti sociali. Innanzitutto, questo idioma è assurto a simbolo della cosiddetta “pace del lavoro” - una fase storica che ha toccato il suo apice durante i cosiddetti “trenta gloriosi” (1950-1980), contraddistinta da un basso livello di conflittualità sociale – esercitando una funzione di 123 riconciliazione tra le diverse classi. L‟uso comune del dialetto ha prodotto, infatti, una sorta di avvicinamento culturale tra impiegati e datori di lavoro che potevano comunicare senza ricorrere ai formalismi legati all‟utilizzo del tedesco classico (Widmer, 2004a: 34-35). Secondariamente, l‟evoluzione dei costumi sociali - comune a tutto il mondo occidentale, e, come vedremo (cfr. 2.2.3), alimentata dalla diffusione dei media elettronici – ha portato ad una progressiva riduzione dell‟importanza del linguaggio scritto e, più in generale, di quello formale. In questo contesto, lo Schweizerdeutsch, originariamente consacrato alle conversazioni informali, ha guadagnato sempre più spazio presso la collettività germanofona (Haas, 1985a: 92-93). In queste pagine abbiamo visto che, pur se sostanzialmente corretta, la definizione di diglossia modale, secondo cui il tedesco standard è utilizzato per l‟espressione scritta mentre le parlate locali per quella orale, è riduttrice della complessità del rapporto che la collettività germanofona intrattiene con i propri idiomi. Roland Ris (1983) e Felicity Rash (1998) evidenziano l‟aspetto funzionale assunto dalla diglossia, ovvero l‟uso dell‟uno o dell‟altro idioma a seconda dell‟ambito sociale. Educazione e formazione. Il settore dell‟educazione presenta una situazione linguistica molto complessa, anche in considerazione del fatto che, data la struttura federalista dello Stato, esso è in larga parte posto sotto la responsabilità dei Cantoni. Fino al termine degli anni ‟50 il tedesco standard era molto valorizzato, tanto che anche al di fuori delle ore di lezione ufficiali gli alunni erano tenuti ad esprimersi in quella lingua; per contro l‟uso dello Schweizerdeutsch era limitato alle sole prime due classi elementari (Ris, 1983: 169). Successivamente le parlate dialettali hanno occupato sempre più spazio; sebbene l‟idioma raccomandato resti il tedesco, si constata, che l‟insegnamento di soggetti specifici, come la musica, l‟educazione fisica o il disegno, avviene sovente in Schweizerdeutsch (Rash, 1998: 54-57). Per quanto riguarda l‟insegnamento postobbligatorio la situazione è ancora più fluida, se nelle scuole professionali esiste ancora 124 una prevalenza dell‟idioma standard; nelle università, al di fuori delle lezioni excathedra, le discussioni, se non sono coinvolti studenti stranieri, avvengono prevalentemente in dialetto. Ciò che appare evidente è che in tutti gli ordini di scuola, una grande maggioranza degli allievi considera lo Schweizerdeutsch come la lingua di comunicazione con i propri pari (Lüdi/Werlen, 2007: 69-80). Attualmente vi sono segnali che sembrano portare in una direzione diversa, verso un maggiore utilizzo del tedesco standard in ambito educativo. In questo senso va interpretato il manuale realizzato nel 2003 dalla Scuola Superiore di pedagogia di Zurigo (PHZ) che incoraggia gli insegnanti ad utilizzare in modo coerente e costante il tedesco standard a partire dalle prime classi delle elementari. Esercito. L‟utilizzo delle lingue in seno all‟esercito è fortemente influenzato da due fattori, da un lato, la compresenza di militi provenienti da tutte le aree idiomatiche del Paese, e, dall‟altro, la forte influenza esercitata dalla scuola prussiana sulle alte gerarchie militari. In generale, presso lo stato maggiore prevale il tedesco, mentre i soldati parlano tra loro in dialetto (Ris, 1983: 169-170). Un fenomeno piuttosto curioso si nota ai livelli gerarchici inferiori, caporali e sergenti si rivolgono alle reclute prevalentemente in tedesco, mentre accade che gli ufficiali superiori a volte utilizzino lo Schweizerdeutsch (Rash, 1998: 69-70). Chiese e funzioni religiose. Le due chiese tradizionali svizzere, quella di rito cattolico-romano e quella riformata, non regolano formalmente l‟uso degli idiomi; in alcuni ambiti, tuttavia, tradizionalmente viene utilizzato lo Schweizerdeutsch ed in altri il tedesco. Storicamente sembra che nel XIX secolo fosse frequente la predicazione in dialetto, ma che questa pratica sia andata progressivamente scomparendo a causa delle reticenze dei fedeli, tendenzialmente contrari al fatto che dal pulpito ci si esprimesse nella “lingua di tutti i giorni” (Ris, 1983: 170). Da un punto di vista dottrinario, alle teorie secondo le quali era 125 necessario che gli ecclesiastici si esprimessero in tedesco per sfuggire al provincialismo e alla supposta inadeguatezza dello Schweizerdeutsch a rendere conto della complessità teologica, se ne sono contrapposte altre che vedevano nell‟uso del dialetto un riavvicinarsi al modo in cui Cristo predicava ai semplici. In generale, sia nell‟ambito della chiesa cattolica che in quella riformata, le cerimonie solenni si svolgono prevalentemente in tedesco mentre durante le attività più informali si parla in Schweizerdeutsch (Rash, 1998: 65-68). Discorsi a carattere ufficiale. Gli interventi parlamentari, fino approssimativamente alla metà del XX secolo, si svolgevano rigorosamente in tedesco, si trattasse di un‟assemblea legislativa federale, cantonale o comunale. In generale, i rappresentanti dei partiti quando tenevano un discorso pubblico, utilizzavano la lingua standardizzata. Successivamente gli uomini politici hanno fatto sempre maggior ricorso allo Schweizerdeutsch, in pratica limitando l‟uso del tedesco ad occasioni in cui vi fosse una parte cospicua di allofoni tra l‟auditorio (Ris, 1983: 171-172). Attualmente nei consigli comunali e cantonali è considerato assolutamente accettabile l‟utilizzo del dialetto. Comunemente si ritiene molto raro che un gruppo composto da meno di dieci svizzerotedeschi parlino tra loro in tedesco, salvo in occasioni assolutamente formali come ad esempio di fronte ad un tribunale o ad una commissione d‟esame. I mass media. Le specificità della comunicazione di massa in Svizzera saranno riprese successivamente (cfr. 2.2.3), ora ci limiteremo ad alcune annotazioni strettamente legate alla diglossia della collettività germanofona. Innanzitutto, la stampa scritta utilizza quasi esclusivamente il tedesco standard, lo Schweizerdeutsch è limitato ad alcune citazioni, ai proverbi e, di tanto in tanto, alle vignette satiriche. L‟unico periodo interamente in dialetto, lo Schwyzerlüt, fondato nel 1939, ha chiuso i battenti nel 1966 (Ris, 1983: 170171). 126 Diverso è il rapporto tra i due idiomi nei media elettronici, nei canali radiofonici di servizio pubblico più della metà dei contenuti sono in Schweizerdeutsch, solo i notiziari sono quasi esclusivamente in tedesco (Trebbe e altri, 2009). I canali germanofoni della SSR ripartiscono la programmazione in maniera sostanzialmente analoga, utilizzando la lingua standard per le trasmissioni di informazione scientifica, culturale ed internazionale; mentre il dialetto è usato nei programmi di intrattenimento, in quelli per ragazzi e nelle notizie regionali (Rash, 1998: 57-62). Per quanto riguarda i dibattiti pubblici, in conseguenza del progressivo abbandono del tedesco standard da parte dei politici vi è stato un forte aumento dell‟utilizzo dello Schweizerdeutsch, si pensi in particolare alla popolare trasmissione Arena (Hungerbühler e altri, 2008). È interessante come i canali televisivi e radiofonici privati, e quindi non vincolati dal mandato di servizio pubblico, abbiano una programmazione prevalentemente dialettale, questa tendenza ha avuto un incremento con l‟adozione di seguiti, ed economici, format di Reality show. I messaggi pubblicitari utilizzano lo Schweizerdeutsch molto più sovente rispetto al resto dei contenuti veicolati dai mezzi di comunicazione. Alla fine del Millennio, Rash (1998: 63-65) constatava che il 15% della pubblicità presente sui quotidiani era in dialetto, così come ben il 74% di quella radiofonica ed il 58% di quella televisiva. In queste pagine abbiamo reso conto dei principali aspetti del rapporto ai propri idiomi intrattenuto dalla collettività germanofona, vedremo ora, più brevemente, qual è la situazione nelle altre regioni linguistiche. Svizzera italiana. Riferendoci alla Svizzera italiana intendiamo qui il Canton Ticino, senza considerare le numericamente poco consistenti aree italofone dei Grigioni, le cui specificità meriterebbero un discorso a parte (Lurati, 1985: 171-201). In Ticino esistono dialetti locali di ceppo lombardo, la loro importanza e il loro ruolo sono però radicalmente differenti rispetto a quello ricoperto dallo Schweizerdeutsch in Svizzera tedesca. 127 Fino al termine della Seconda guerra mondiale esisteva nella regione una diglossia sociale simile a quella che caratterizzava la collettività germanofona. I ceti sociali inferiori si esprimevano dei dialetti locali, mentre quelli superiori, ed in particolare la borghesia luganese, utilizzavano l‟italiano. In tale contesto, le diverse parlate affiancavano la lingua standard ma non la sostituivano in alcuna sua funzione essenziale, dato che essa rimaneva il solo idioma riconosciuto nella vita pubblica, nella cultura e nell‟istruzione (Bianconi, 1986: 39-41). Il radicale cambiamento delle strutture socioeconomiche che ha preso avvio negli anni ‟50, la sparizione del ceto contadino, l‟urbanizzazione, la diffusione dei massmedia e l‟immigrazione dalla vicina Penisola, hanno portato ad una diffusione dell‟italiano standard presso tutte le fasce della popolazione. Il dialetto non è però scomparso, si è trasformato nella sua forma e nella sua funzione sociale. Una parlata sovraregionale si è, infatti, costituita a partire da una sintesi dei dialetti parlati nei principali centri urbani cantonali ed ha sostituito quelle locali: la sua forte diffusione è dovuta al suo utilizzo in specifici programmi, commedie e sit-com, radiofoniche e televisive. Questo nuovo idioma non è più l‟espressione dei ceti più umili scarsamente socializzati alla lingua standard, quanto una sorta di simulacro di un‟ideologia neo-tradizionalista tesa a differenziare il Ticino e i ticinesi dall‟Italia e dagli immigrati italiani attraverso la mitizzazione di una inesistente collettività arcaica originaria (Bianconi, 1986: 42-49). Jean Widmer (2004a), partendo dalle riflessioni di Sandro Bianconi (1986), individua una recente trasformazione dello spazio pubblico ticinese. Nei confronti politici, infatti, l‟italiano standard era tradizionalmente l‟unica lingua ammissibile, ma nell‟ultimo decennio la Lega dei Ticinesi, un movimento politico di destra , ha parzialmente modificato questa situazione. Essa ha introdotto l‟uso di questo idioma sovraregionale nel dibattito pubblico, sia attraverso gli interventi dei suoi dirigenti sui media elettronici, sia, soprattutto, attraverso gli scritti del Mattino della domenica, il settimanale di riferimento del partito. In 128 quest‟ultimo caso è di particolare interesse l‟uso di una versione scritta di questo nuovo dialetto 54 . La strategia linguistica adottata dalla Lega dei Ticinesi può essere interpretata come volta a “mimare” la prossimità del movimento alla popolazione autoctona. Questa azione è resa possibile dal particolare rapporto che gli svizzeri-italiani intrattengono con i loro idiomi. Come abbiamo visto, l‟italiano costituiva la lingua del ceto dirigente, un idioma elitario che, con il mutare del contesto politico, è divenuto il simbolo del linguaggio burocratico dei rappresentanti dei partiti. L‟uso da parte della Lega dei Ticinesi del nuovo dialetto sovraregionale nello spazio pubblico è stato concepito come una presa di distanza dalla politica tradizionale (Widmer, 2004a: 43-46). Svizzera francese. La Svizzera francese non conosce attualmente praticamente alcuna forma di linguaggio istituito unicamente attraverso l‟oralità. Il francese standard è utilizzato in tutti gli ambiti della società. I dialetti, già poco presenti precedentemente, sono praticamente scomparsi durante il XIX secolo ed ogni loro uso successivo, fatta eccezione per alcune aree rurali del Canton Vallese, risulta legato a manifestazioni esplicitamente folkloristiche (Widmer 2004a: 46-49). Le ragioni di questa differenza rispetto alle altre regioni linguistiche sono diverse. Forse la più importante è legata all‟influenza della vicina Francia, in cui vi è da secoli un‟azione volta a limitare il più possibile la sussistenza dei dialetti. Occorre inoltre ricordare che in Francia la borghesia si è affermata come ceto dominante precedentemente rispetto al resto d‟Europa, questo ha probabilmente spinto le élite romande a guardare ad essa come ad un modello da imitare (Knecht, 1985: 127-169). Un altro fattore è quello religioso; in Svizzera francese vi è stata una forte diffusione del calvinismo, che, più del cattolicesimo o di altre forme di protestantesimo, presuppone un rapporto individuale molto forte con Dio. La bibbia non viene interpretata dalla figura mediatrice del sacerdote, essa viene letta direttamente dai fedeli. La lettura di un testo 54 Si veda, a titolo d‟esempio, l‟allegato 1. 129 francese in un momento importante come quello del raccoglimento spirituale ha probabilmente influenzato la diffusione della lingua standardizzata (Knecht, 1985:143144 ). Le tre principali collettività linguistiche intrattengono un diverso rapporto con i rispettivi idiomi, questa relazione è un elemento costitutivo delle strutture dello spazio pubblico (cfr. 2.2.1) dove vengono dibattuti i problemi sociali e, al tempo stesso, dove si sviluppa il processo di codifica delle identità collettive (cfr. 1.1). Nell‟era moderna lo spazio pubblico è sempre più contraddistinto dall‟utilizzo dei mezzi di comunicazione di massa, ora esaminiamo le caratteristiche assunte dal sistema dei media in Svizzera. 2.2.3 Sistema dei media. Nel precedente capitolo (cfr. 1.2), abbiamo visto come lo spazio pubblico contemporaneo, insito nella condizione umana (Arendt, 1959) ed affermatosi nella forma moderna con l‟avvento della borghesia come ceto dirigente (Habermas, 1962), è diventato il luogo di confronto tra modelli culturali che propongono orientamenti per il funzionamento del sistema sociale (Touraine, 1965, 1973), sostituendosi così alla religione (Widmer, 2004b) come elemento strutturale nella formazione dei codici di identificazione collettiva (Eisenstadt, 1998, 2000). Questo spazio simbolico esiste, nelle società contemporanee, variegate e complesse, grazie alla mediazione di un sistema di mezzi di comunicazione di massa e, di conseguenza, accorda agli attori che vi hanno accesso, giornalisti ed esperti, il ruolo di mediazione che nelle società tradizionali era riservato ai chierici che avevano accesso alle Sacre Scritture (Gellner, 1983). Gli aspetti del sistema dei media svizzero 55 che considereremo in questo paragrafo sono tre. Il primo riguarda la sua istituzionalizzazione, ovvero le strutture normative di cui si è 55 Ci limiteremo ad esaminare i sottosistemi che hanno dominato la comunicazione di massa nel corso degli ultimi decenni, ovvero quello della carta stampata e quello radiotelevisivo. Siamo consapevoli che i nuovi mezzi di mezzi di mediazione tecnica che hanno permesso lo sviluppo di forme di 130 dotata la società al fine di codificare e cristallizzare il flusso di senso proveniente dai mezzi di comunicazione di massa e, di conseguenza, regolamentare l‟attività dei chierici mediatori (cfr. 1.3). Il secondo concerne la segmentazione su base idiomatica del sistema, tanto da un punto di vista organizzativo che della fruizione dei contenuti. Il terzo si riferisce all‟evoluzione dei linguaggi che i diversi media hanno conosciuto negli ultimi decenni. Istituzionalizzazione del sistema dei media. Al fine di descrivere le modalità attraverso le quali la società svizzera si serve dei media per dotarsi di uno spazio pubblico in cui sviluppare il dibattito sui problemi sociali effettueremo un raffronto tra dei modelli teorici di istituzionalizzazione mediale ed elementi concreti del sistema organizzativo dei mezzi di comunicazione di massa nella Confederazione. Le tipologie proposte da Daniel C. Hallin e Paolo Mancini (2004) si fondano sull‟interrelazione tra le caratteristiche del sistema politico e di quello d‟informazione nelle principali democrazie occidentali. I due ricercatori individuano, inoltre, le aree geografiche in cui l‟uno o l‟altro tipo ideale risulta maggiormente simile alla situazione reale. I modelli descritti sono tre: mediterraneo o pluralista-polarizzato, caratteristico di Stati come Grecia, Spagna, Italia e Portogallo; liberale, prevalente nei Paesi anglosassoni; democratico corporativo dominante, oltre che in Svizzera, nei Paesi scandinavi, in quelli di cultura tedesca, in Olanda e in Belgio. Questi gruppi di Paesi sono al loro interno omogenei per quanto riguarda lo sviluppo dei mercati della comunicazione, il parallelismo politico, le caratteristiche della professionalità giornalistica, il grado e la natura dell‟intervento statale nel sistema dei comunicazione come i portali informativi, i blog o i social network, ma un‟analisi delle dinamiche ad esse connesse rischierebbe di allontanarci eccessivamente dalla problematica fondamentale di questa ricerca. 131 media. Essi presentano, inoltre, al loro interno delle affinità politico-istituzionali, in particolare per quanto riguarda l‟evoluzione del processo di democratizzazione, il sistema di governo, il ruolo dello Stato e l‟apparato burocratico. Osserviamo ora brevemente le caratteristiche delle tipologie presenti nel mondo mediterraneo ed anglosassone per poi soffermarci più diffusamente sul modello che meglio identifica le caratteristiche del sistema mediatico svizzero. Il tipo mediterraneo, o pluralista-polarizzato, (Hallin/Mancini, 2004: 79-126) si manifesta in Paesi dove le istituzioni democratiche si sono sviluppate tardivamente, che hanno dei partiti politici forti e polarizzati ideologicamente, in cui vi è un diffuso interventismo statale nell‟economia ed una burocrazia molto clientelare. Il sistema dei media caratteristico di questi Stati ha una stampa scritta d‟élite a diffusione limitata ed una corrispettiva centralità dei media elettronici. Il parallelismo è molto presente, si ha, in altri termini, un forte interessamento dei media verso il mondo politico e viceversa. Le diverse testate sono omogenee ideologicamente al loro interno e, di conseguenza contrapposte tra loro. I partiti, il governo ed i grandi gruppi industriali hanno la tendenza, e la possibilità, di condizionare i contenuti dei diversi media. Il professionismo non è particolarmente sviluppato, la figura del giornalista si sovrappone spesso con quella dell‟attivista, scarsamente autonomo rispetto alla politica e orientato al commento piuttosto che alla ricerca della notizia. Lo Stato è molto presente, sebbene non sempre in modo efficace, nella proprietà, nella regolamentazione e nel finanziamento dei media. Nonostante il ruolo importante delle istituzioni statali, si è constatato in alcuni paesi mediterranei un passaggio molto brusco dal monopolio pubblico televisivo alla liberalizzazione totale del mercato. Il modello liberale, o nord-atlantico, (Hallin/Mancini, 2004: 178-224) è predominante dove vi è stato un precoce sviluppo delle istituzioni democratiche, i partiti sono meno onnipresenti nella vita pubblica e i loro rappresentanti sono più attenti agli interessi contingenti dei loro elettori che all‟elaborazione di visioni ideologiche della società, il 132 sistema di governo è prevalentemente di tipo maggioritario, l‟intervento dello Stato nella sfera economica è molto limitato e l‟apparato burocratico si regge su uno sviluppato senso di legittimazione razionale-legale. Il sistema dei media si caratterizza per una grande diffusione della stampa scritta, affiancata da media elettronici altrettanto sviluppati. Il parallelismo è basso, prevale la stampa commerciale, il pluralismo interno alle testate è elevato e i condizionamenti esterni provengono dagli ambienti economici piuttosto che da quelli politici. La professionalizzazione del giornalismo è forte e prevale la ricerca della notizia rispetto al commento politico. Il sistema dei media è relativamente indipendente e gli interventi dello Stato, soprattutto negli Stati Uniti, sono molto limitati. La regolamentazione delle televisioni commerciali, in particolare in Gran Bretagna, è molto importante. I due modelli che abbiamo presentato sono, ovviamente, ideali nel senso weberiano del termine, in particolare vedremo come alcuni aspetti della tipologia liberale nord-atlantica si stiano diffondendo, negli ultimi anni, a livello globale. Ora esamineremo le ragioni per le quali il sistema dei media svizzero si avvicina maggiormente al modello dell‟Europa centro-settentrionale, o democratico-corporativo (Hallin/Mancini, 2004: 127-177). Questa tipologia è dominante in Paesi che hanno conosciuto una precoce democratizzazione e dove il dibattito pubblico vede contrapposte forze politiche moderate e debolmente ideologizzate. Il sistema di governo prevalente è di tipo consociativo, i partiti non hanno l‟importanza che si riscontra nel modello mediterraneo, ma vi è una forte presenza di associazioni d‟interesse, organizzazioni padronali e sindacali, le cui relazioni, se non armoniose quantomeno non ferocemente contrapposte, sono improntate ad una sorta di corporativismo democratico. L‟intervento dello Stato nell‟economia è tendenzialmente più forte rispetto a quanto avviene nei Paesi anglosassoni e l‟apparato burocratico è molto efficiente e legittimato da criteri razionalilegali. 133 Pur con le differenze che ogni situazione reale presenta rispetto ad un modello teorico, il sistema politico della Confederazione presenta molte caratteristiche comuni con quello della tipologia democratico-corporativa. La Svizzera si è dotata di strutture istituzionali democratiche già a partire dal 1848, con la vittoria della fazione radicale nella guerra del Sonderbund (cfr 2.1.3). Come avremo modo di approfondire nel prossimo paragrafo (cfr. 2.3), una delle specificità del sistema politico elvetico è quella di fondarsi su una democrazia semidiretta (Kriesi, 2005) che ha come conseguenze, da un lato, una debolezza strutturale dei partiti e una scarsa propensione di questi alla polarizzazione ideologica, dall‟altro, la necessità di avere una forma di governo di tipo consociativo (Kriesi, 1998). Le parti sociali hanno stabilito già a partire dagli anni ‟20 gli antefatti della “Pace del lavoro”, conclusa poi nel 1937, sulla base della quale i conflitti collettivi tra datori di lavoro e salariati sono risolti mediante negoziati, rinunciando a misure di lotta come scioperi o serrate (Degen, 1991). L‟intervento dello Stato nell‟economia, pur se meno presente rispetto a quanto avviene nei Paesi scandinavi, è storicamente consistente: già dal 1925 esiste un articolo costituzionale che garantisce l‟assicurazione per la vecchiaia (AVS), che sarebbe entrata in vigore nel 1947, ad essa si sono aggiunte successivamente altre assicurazioni sociali. L‟orientamento liberale-radicale, dominante a partire da metà dell‟Ottocento ha, inoltre, portato allo sviluppo dell‟istruzione pubblica (Tanner, 1997). Il sistema burocratico, infine, è reputato, all‟interno del Paese come all‟estero, efficiente e integro56. Il sistema dei media tipico dei Paesi che, come la Svizzera, sono rappresentati dal modello democratico-corporativo (Hallin/Mancini, 2004: 127-177) si caratterizza per un avvento precoce della libertà di stampa e per un‟industria giornalistica molto sviluppata. Il parallelismo è storicamente molto presente, ma in diminuzione nel corso degli ultimi decenni, a causa della progressiva scomparsa dei giornali di partito, sostituiti da stampa 56 L‟agenzia Transparency International colloca, nel 2009, la Svizzera al quinto posto tra gli Stati in cui vi è minore corruzione: http://www.transparency.org/policy_research/surveys_indices/gcb/2009 (ultima consultazione: 1.11.2010). 134 commerciale a vocazione generalista. La professionalizzazione dei redattori è molto elevata e caratterizzata da una forte organizzazione formale. I mezzi di comunicazione di massa sono concepiti come istituzioni sociali di cui lo Stato è responsabile, per questa ragione la libertà di stampa è accompagnata da una rigorosa regolamentazione. Il sistema radio-televisivo è, o perlomeno era fino agli anni ottanta, un monopolio pubblico nella cui gestione è coinvolta una pluralità di gruppi sociali organizzati. Anche in questo caso, la Svizzera, presenta un sistema dei media che non si discosta significativamente dal modello teorico. Come abbiamo visto in precedenza (cfr. 2.1.3), la Confederazione ha iniziato a dotarsi di istituzioni democratiche quando, a seguito della guerra del Sonderbund, è stata approvata la Costituzione federale del 1848, tra i principi in essa enunciati vi era quello della libertà di stampa (art. 45) (Kreis, 1986). L‟industria giornalistica è tale da assicurare una forte densità di giornali, il numero di quotidiani per milione di abitanti è, infatti, approssimativamente dieci volte più elevato rispetto a quello della Francia o dell‟Italia (Hauf, 2009: 70). Il mercato editoriale ha conosciuto negli ultimi decenni profonde trasformazioni, in particolare vi è stata una progressiva commercializzazione della stampa scritta. Innanzitutto, a seguito della crisi delle ideologie del XX secolo, è scomparsa la maggior parte dei giornali di partito (Imhof, 1996). Inoltre, si è assistito ad una sempre maggiore concentrazione e compenetrazione dei principali gruppi editoriali; molti quotidiani, un tempo indipendenti, fanno ora capo alla medesima casa editrice, altri sono scomparsi o hanno dato vita a fusioni, la più importante delle quali ha portato alla nascita di Le Temps, nel 1998, nato dalla chiusura del Nouveau Quotidien e del Journal de Genève (Hauf, 2009: 61-107). Infine, negli ultimi anni, sono apparse numerose pubblicazioni gratuite, quotidiane o settimanali, caratterizzate da un‟informazione molto sintetica, che si sono rivelate molto concorrenziali rispetto ai giornali tradizionali (Kradolfer, 2007). 135 La professionalizzazione dei giornalisti è garantita da un periodo di formazione di due anni, durante i quali i candidati, oltre a svolgere la loro attività lavorativa, seguono dei corsi organizzati in alcune università svizzere57. L‟intervento dello Stato nel sistema dei media è riscontrabile soprattutto nel settore radiotelevisivo. La SRG SSR idée suisse (più comunemente nota come SSR), l‟azienda che, attraverso le società a lei affiliate, garantisce il servizio pubblico in Svizzera, costituisce l‟elemento portante dell‟intero sistema radiotelevisivo del Paese. A differenza delle varie emittenti private, la SSR vanta strutture e competenze non inferiori a quelle dei più importanti network internazionali. Attraverso le sue diverse unità aziendali, essa copre l‟intero territorio nazionale in tutte le sue componenti linguistiche (Grasso, 1996: 637). Il volume dei proventi di SSR ammonta attualmente ad oltre un miliardo e mezzo di franchi, di cui il 75% derivante dal canone radiotelevisivo ed il rimanente 25% ricavato dalla pubblicità e dalla vendita di programmi. Il numero di dipendenti è, esso pure, molto elevato, e supera le 4000 posizioni a tempo pieno58. L‟organizzazione istituzionale è costituita da quattro enti regionali, dall‟Assemblea dei delegati e dal Consiglio di amministrazione. Al disopra di queste società vi è l‟Assemblea dei delegati, l 'organo supremo della società, che comprende 41 delegati delle regioni e i membri del Consiglio d‟amministrazione SRG SSR. Il Consiglio di amministrazione è composto di nove membri: i quattro Presidenti delle società regionali, che ne fanno parte d‟ufficio, tre membri nominati dall‟Assemblea dei delegati, tra cui il presidente del CdA, e altri due consiglieri nominati dal Consiglio federale59. 57 http://www.impressum.ch (ultima consultazione: 1.6.2010). http://www.srg-ssr.ch/fileadmin/eMagazine_f/index.html (ultima consultazione: 1.6.2010). 59 http://www.srgssrideesuisse.ch/it/la-srg-ssr/organizzazione-istituzionale (ultima consultazione: 1.6.2010). 58 136 La complessa organizzazione istituzionale della SSR è tipica di un‟emittente democraticamente controllata (Saxer, 2000: 20-35). In Svizzera, infatti, i vincoli del suo mandato di servizio pubblico sono sanciti dalla Costituzione federale, il cui articolo 93 così recita: “Le competenze in materia radiotelevisiva sono della Confederazione; la radio e la televisione devono assolvere alcuni compiti rilevanti tra cui quello di contribuire all‟istruzione ed allo sviluppo culturale, alla libera formazione delle opinioni ed all‟intrattenimento; inoltre devono tenere in considerazione le particolarità della Svizzera e le esigenze dei cantoni, presentando gli avvenimenti in modo corretto e rispettando la pluralità delle opinioni; la Costituzione garantisce l‟indipendenza della radio e della televisione dallo Stato.60” Al fine di adempiere ai suoi compiti la SSR, nel 2006 si è dotata di una Carta dei programmi61 coerente con il mandato costituzionale che stabilisce i valori editoriali interni che devono essere recepiti dalle diverse unità aziendali. Il sistema radiotelevisivo svizzero è fortemente condizionato dall‟importanza dell‟emittente di servizio pubblico, tuttavia nel Paese operano attualmente circa 50 radio e 20 televisioni private, tra queste ultime rivestono una certa importanza TeleZüri, nell‟area germanofona, LemanBleu, in quella francofona, e TeleTicino in quella italofona. L‟emittenza privata, pur se fondata prevalentemente sugli introiti pubblicitari, riceve una frazione, complessivamente il 4%, dell‟ammontare lordo derivante dal canone radiotelevisivo. Questa agevolazione costituisce un‟importante differenza rispetto al modello di istituzionalizzazione liberale dal momento che, per avere accesso a questi 60 Saxer (2000), p.134. http://www.srgssrideesuisse.ch/it/la-srg-ssr/valori-aziendali/carta-dei-programmi (ultima consultazione: 1.6.2010). 61 137 fondi, le emittenti devono sottostare a taluni criteri, anche contenutistici, stabiliti dalla legge federale sulla radiotelevisione (LRTV) 62. Il sistema dei media elvetico presenta, in conclusione, caratteristiche tali da poter essere assimilabile alla tipologia democratico-corporativa, che si distingue per una equidistanza dal mondo della politica, che condiziona fortemente il giornalismo nei Paesi che adottano un modello equiparabile a quello pluralista-polarizzato, e da quello dell‟economia, che ha una forte influenza sui media degli Stati che perseguono un‟istituzionalizzazione di tipo liberale. Anche in Svizzera, però, vi sono segnali di una tendenza generale, individuata da Hallin e Mancini (2004: 225-261), che porta alla progressiva omologazione del giornalismo al modello anglosassone. Il settore radiotelevisivo, come abbiamo visto, ha conosciuto una commercializzazione molto limitata, sebbene in Svizzera sia nata una delle prime PayTv (Teleclub, fondata nel 1982), questo fenomeno è stato più significativo per quanto riguarda la stampa scritta. In particolare, Imhof (1996) constata la sempre più forte marginalizzazione dei giornali di partito, che erano storicamente il veicolo dell‟influenza diretta della politica sui contenuti dei media, a vantaggio della stampa d‟opinione che, al contrario, trasmette al sistema politico i contenuti proposti dai mezzi di informazione. Romano (1999) affronta questa trasformazione analizzando i mutamenti del linguaggio giornalistico. Prima di affrontare l‟evoluzione delle forme di comunicazione mediale occorre, però, soffermarsi su un aspetto specifico del sistema dei media svizzero: la sua segmentazione linguistica. Segmentazione linguistica dello spazio pubblico mediatizzato. In uno Stato plurilingue (cfr. 2.1.3) come la Svizzera, la segmentazione su base idiomatica dello spazio pubblico mediatizzato è un fenomeno pressoché inevitabile, causato, da un lato, dalla socializzazione formativa e professionale comune ai giornalisti 62 http://www.bakom.admin.ch/dokumentation/gesetzgebung/00512/01031/01404/index.html?lang=it (ultima consultazione: 1.6.2010). 138 di ciascuna collettività idiomatica e, dall‟altro, dalla scarsa fruizione da parte della popolazione di informazione mediatica proposta in un idioma diverso dal proprio. Il sistema della stampa scritta si suddivide in tre segmenti linguistici di taglia ineguale. Quello più piccolo, escludendo le pubblicazioni in lingua romancia, è quello della Svizzera italiana, che si basa su un pubblico potenziale di circa 280000 persone, esso conta tre quotidiani italofoni più uno in tedesco e due giornali domenicali. Il mercato romando conta approssimativamente un milione di potenziali lettori ed annovera 14 quotidiani, due domenicali, alcuni bi- e tri-settimanali e tre settimanali gratuiti. La maggior parte di questi sono editi a Ginevra e Losanna. In Svizzera tedesca vi è un elevatissima concentrazione di giornali, un centinaio tra quotidiani, settimanali e periodici, per un mercato potenziale che si avvicina ai 5 milioni di persone. I più importanti centri di stampa sono Zurigo, Berna, Basilea e Lucerna (Hauf, 2009: 70-81). Il numero estremamente elevato di pubblicazioni in quest‟area linguistica è legato anche ad una particolarità che non si riscontra, se non in minima parte, nella Svizzera latina. Un grande numero di quotidiani germanofoni condivide interamente le sezioni riguardanti l‟attualità politica nazionale ed internazionale, la cultura e lo sport; solo le pagine regionali sono specifiche alla singola testata. I giornali francofoni ed italofoni, quando anche condividono delle parti redazionali, mantengono comunque una notevole autonomia (Widmer 2004a: 86-91). Il settore radiotelevisivo è largamente dominato dall‟emittente di servizio pubblico SSR che, come abbiamo visto, è chiamata, per mandato costituzionale, a tenere conto delle particolarità, e delle differenze interne, esistenti nel Paese. Per quanto riguarda il rispetto delle collettività linguistiche, Ulrich Saxer (2000) afferma che: “… in Svizzera l‟accettazione generale del monopolio di teleradiodiffusione della SSR è stata a lungo vista ampiamente, a livello politico, come teleradiodiffusione di integrazione. Anche dal punto di vista culturale la teleradiodiffusione di diritto pubblico agì fin dal principio in maniera fortemente integrativa sul territorio, rifornendo di 139 prestazioni simili le diverse regioni linguistiche svizzere, malgrado le differenti dimensioni, grazie a un equilibrio finanziario interno e onorando così l‟ideale di una fornitura pubblicistica uguale per tutti63.” Perequazione finanziaria per regione linguistica (2009). Fonte: sito web SRG SSR idée suisse (ultima verifica: 1.6.2010) Il grafico che rende conto della chiave di riparto finanziaria tra le regioni linguistiche conferma le parole di Saxer (2000), vi è una forte sproporzione tra gli spettatori potenziali, le entrate effettive e l‟allocazione delle risorse finanziarie alle unità aziendali di riferimento delle tre collettività idiomatiche. I mezzi a disposizione nelle aree latine, benché inferiori in termini assoluti, sono proporzionalmente molto maggiori rispetto a quelli utilizzabili nella Svizzera tedesca, questo al fine di garantire all‟insieme della popolazione un servizio radiotelevisivo di qualità uniforme. 63 Saxer, 2000, p. 134 140 A questa forma di perequazione finanziaria tesa a garantire un‟uguaglianza di trattamento a tutte le collettività linguistiche corrisponde un‟organizzazione aziendale ed istituzionale strutturata su base regionale. Le unità aziendali sono sei ed assicurano i contenuti editoriali (radio, televisione, internet) sul mercato svizzero ed internazionale: Radiotelevisione svizzera di lingua italiana (RSI), Schweizer Fernsehen (SF), Schweizer Radio DRS (SR DRS), Radio Télévision Suisse Romande (RTSR), Radio e Televisiun Rumantscha (RTR), Swissinfo. Esse forniscono le loro prestazioni alle rispettive regioni linguistiche di riferimento (la RTR si limita a controllare un‟emettente radio, mentre la programmazione televisiva è trasmessa sulle altre reti regionali a determinati orari). Swissinfo propone un‟offerta editoriale plurilingue destinata all‟estero64. L‟organizzazione istituzionale è costituita da quattro enti regionali che, come abbiamo visto, rispondono all‟Assemblea dei delegati ed al Consiglio di amministrazione. Le quattro società regionali sono: l‟associazione SRG idée suisse Deutschschweiz (SRG.D), l‟associazione SSR idée suisse Romande (RTSR), la Società cooperativa per la radiotelevisione nella Svizzera italiana (CORSI), l‟associazione SRG SSR Svizra Rumantscha (SRG.R). I compiti specifici di questi enti sono, da un lato, l‟osservazione e la valutazione dell‟offerta editoriale proposta dall‟unità aziendale di riferimento, dall‟altro, lo sviluppo di un dibattito sui principi e sullo sviluppo del servizio pubblico audiovisivo nazionale65. La segmentazione linguistica del sistema dei media contribuisce significativamente alla differenziazione delle strutture dello spazio pubblico delle tre collettività idiomatiche svizzere. I giornalisti tendono infatti a sviluppare culture professionali leggermente differenti (Wyss/Keel, 2009). Le occasioni di scambio avvengono a livello regionale, sia 64 http://www.srgssrideesuisse.ch/it/la-srg-ssr/struttura-aziendale/unita-aziendali/ (ultima consultazione: 1.6.2010) 65 http://www.srgssrideesuisse.ch/it/la-srg-ssr/organizzazione-istituzionale (ultima consultazione: 1.6.2010). 141 per quanto riguarda i centri di formazione, ogni area linguistica ha i propri, sia a livello pratico, attraverso lo scambio di contenuti editoriali (Widmer 2004a). Per quanto riguarda la fruizione da parte del pubblico, si nota uno scarsissimo consumo di contenuti mediali provenienti da aree idiomatiche diverse dalla propria. La diffusione dei quotidiani al di fuori della regione linguistica in cui sono stampati è estremamente scarsa, mediamente solo il 5% delle copie distribuite con picchi che non superano il 10%. L‟audience delle reti televisive nazionali di un'altra area è ancora più limitata, raggiunge al massimo il 5% nella Svizzera italiana, dove risiede una forte comunità germanofona (Kriesi/Wernli/Sciarini/Gianni, 1996). Oltre che con l‟ovvio ostacolo costituito dalle difficoltà legate alla comprensione linguistica, questo fenomeno può essere spiegato con il particolare sistema politico vigente nel Paese e soprattutto con l‟elevato uso, anche a livello di microdecisioni cantonali e comunali, della democrazia diretta. Questa situazione fa sì che la maggior parte dei media svizzeri – e tra questi anche i giornali che contano numerosi lettori all‟estero, come la Neue Züricher Zeitung - siano ancorati alla propria regione linguistica, e lì abbiano la maggior parte dei propri lettori. Evoluzione del linguaggio nella comunicazione di massa. Il contributo alla segmentazione su base idiomatica delle strutture dello spazio pubblico svizzero è rafforzato dall‟evoluzione del linguaggio mediatico. Il cambiamento degli obbiettivi e delle strategie ha portato ad una trasformazione degli effetti della comunicazione di massa (Wolton, 1991; Wolf, 1996), in particolare vi è stata una progressiva oralizzazione e personalizzazione dell‟informazione sui giornali (Romano, 1996) ed una regionalizzazione di quella radiotelevisiva (Hungerbühler, 2002; CorboudFumagalli, 1996; Beck/Schwotzer, 2006). Per quanto riguarda la stampa scritta, Kurt Imhof (1996: 165-183) constata, a partire dal secondo dopoguerra il declino del giornalismo di partito ed il contemporaneo sviluppo di quello d‟opinione. Fino agli anni ‟50-‟60 il mondo politico aveva come punti di riferimento ideologie che si reggevano su ben definiti progetti di società sviluppatisi nel 142 XIX secolo in concomitanza con l‟affermarsi del sistema industriale e con l‟apogeo della contrapposizione tra le diverse classi sociali. Il contemporaneo sviluppo della sfera pubblica (Habermas, 1962) ove discutere razionalmente la creazione di un nuove istituzioni statali non più legittimate unicamente dalla tradizione ha portato alla nascita di numerosi giornali che esprimevano le idee ed i progetti sociali dei principali partiti politici. I mutamenti avvenuti durante i “trenta gloriosi” (1950-1980), una fase storica caratterizzata dal definitivo superamento dell‟economia fordista e da un conseguente allentamento delle tensioni sociali, hanno ridotto considerevolmente l‟influenza presso l‟opinione pubblica delle ideologie, ancorate alle contrapposizioni tra classi, proposte dai partiti tradizionali. In questo periodo nello spazio pubblico, ai rappresentanti delle rivendicazioni dei detentori dei mezzi di produzione e della forza lavoro si sono aggiunti movimenti sociali – di matrice femminista, ecologista o nazionalista – che propongono cambiamenti non più esclusivamente economici, ma anche culturali della società (Laclau/Muff, 1985). Il sistema della stampa non rimane indifferente a questi mutamenti, i giornali di partito, i cui pezzi redazionali sono scritti da esponenti politici, appaiono obsoleti ed i discorsi da loro proposti vengono sempre più decodificati in maniera oppositiva dal pubblico (Hall, 1980). Si assiste, di conseguenza, a testate giornalistiche che appoggiano o combattono le istanze dei diversi movimenti sociali o, addirittura, si fanno esse stesse promotrici di cambiamenti dell‟ordine sociale. Il giornale che, più di ogni altro, è rappresentativo di questa trasformazione è il Blick, fondato a Zurigo nel 1959 ed edito da Ringier SA. Di questo quotidiano si è occupato Gaetano Romano (1999: 143-159) in uno studio sulla correlazione tra la nascita ed il rafforzamento dei movimenti xenofobi e i cambiamenti del linguaggio giornalistico. Le conclusioni della ricerca evidenziano un‟evoluzione verso uno stile più simile a quello del racconto, tradizionalmente utilizzato nella narrazione finzionale. In particolare, Romano individua una progressiva oralizzazione della prosa giornalistica, in pratica vengono allentate le regole che separano la comunicazione scritta da quella 143 parlata. La prima, tradizionalmente, si distingue per essere in grado di porre una distanza emotiva tra il destinatario ed i contenuti delle informazioni, ciò avviene perché la comunicazione scritta riesce ad essere indipendente dal contesto della sua emissione dal momento che, attraverso un‟esposizione logica e lineare, fornisce gli strumenti necessari alla decodifica del messaggio. La seconda al contrario è, sin dall‟antichità, maggiormente in grado di creare un legame stretto tra il destinatario ed i fatti che vengono narrati, questo perché l‟oralità tende ad essere più vicina all‟esperienza umana grazie ad uno stile più enfatico, ridondante e meno analitico. Lo studio delle strategie comunicative attuate dal Blick porta a concludere che esse si avvicinino molto a quella che Walter Ong (1982) descrive come oralità secondaria: “… questa nuova oralità ha sorprendenti somiglianze con quella più antica, dell‟epoca priva della scrittura, per la sua mistica partecipatoria, per il senso della comunità, per la concentrazione sul momento presente e persino per l‟utilizzazione delle formule. Ma ha anche grandi differenze: si tratta pur sempre di un‟oralità più deliberata e consapevole, permanentemente basata sull‟uso della scrittura e della stampa …” 66 Questa “mistica partecipatoria” è rafforzata dal ricorso ad una personalizzazione dei fatti, cioè all‟attribuire a singoli individui le cause di determinati eventi al fine di favorire la comprensibilità della narrazione. Nel caso specifico, gli articoli dedicati ai movimenti xenofobi si concentravano sulla personalità dei loro leader piuttosto che sui fenomeni collettivi alla base di questa situazione sociale. L‟informazione sui media elettronici svizzeri ha anch‟essa conosciuto delle trasformazioni importanti, leggermente differenti rispetto a quelle avute dalla stampa scritta principalmente a causa, come abbiamo visto, della posizione tuttora dominante nel settore radiotelevisivo dell‟emittente di servizio pubblico SSR. Sin dalla sua nascita, nel 1931, l‟informazione, radiofonica prima e radiotelevisiva poi, fu rigidamente regolamentata dallo Stato, i notiziari dovevano, ad esempio, limitarsi a 66 Ong, 1982, trad.it. 1986: p.191 144 riportare integralmente i dispacci dell‟Agenzia telegrafica svizzera (ATS) senza poter aggiungere alcun commento o approfondimento delle notizie. Il controllo politico sulla SSR, che conobbe il suo apogeo durante il secondo conflitto mondiale, iniziò ad allentarsi e ad essere oggetto di dibattito a partire dagli anni ‟60, in concomitanza con l‟attenuarsi della Guerra Fredda (Vallotton, 2006: 37-81). Il vero cambiamento avvenne però dopo il 1979, quando il monopolio radiotelevisivo venne rimesso concretamente in discussione dalla nascita di Radio 24, fondata da Roger Schawinski, enfant terrible del giornalismo svizzero-tedesco. L‟emittente trasmetteva dall‟Italia, da Pizzo Groppera, verso l‟area zurighese utilizzando delle frequenze riservate all‟uso militare. Radio 24, nei primi periodi, proponeva prevalentemente intrattenimento musicale e si rivolgeva ad un pubblico giovane ed insoddisfatto dall‟offerta troppo paludata delle radio di servizio pubblico. Inizialmente, l‟emittente fu duramente osteggiata dagli ambienti conservatori che, spalleggiati dai grandi gruppi editoriali che temevano di dover spartire il mercato pubblicitario con nuovi concorrenti, le rimproveravano di non rispettare i criteri fondamentali di qualità necessari ad un servizio radiofonico. La situazione mutò in occasione degli scontri che si svolsero a Zurigo nel 1980 tra giovani militanti della sinistra extraparlamentare e forze dell‟ordine; in questa circostanza Radio 24 fu molto apprezzata da coloro che prima ne pretendevano la chiusura, l‟informazione fornita dall‟emittente venne, infatti, giudicata più equilibrata di quella proposta dalla SSR, considerata troppo attenta alle posizioni dei contestatori. Il mutato contesto politico portò all‟approvazione, nel 1983, di una nuova regolamentazione della radiofonia che contemplava l‟esistenza di emittenti commerciali. Questa riforma aprì, di fatto, la strada ad analoghe concessioni in ambito televisivo (Schneider, 2006: 83-129). La risposta della SSR, che restava di gran lunga l‟attore più importante nel panorama radiotelevisivo del Paese, fu di allentare i rigidi parametri che, sino ad allora, erano giudicati imprescindibili per un‟emittente di servizio pubblico. La novità costituita dal ritrovarsi in un mercato soggetto alla concorrenza, ha modificato sensibilmente il modo di fare informazione, in particolar modo, per contrastare le emittenti locali, si è registrata una marcata regionalizzazione dei notiziari, in modo da assecondare maggiormente le preferenze del pubblico della propria area linguistica di riferimento. Se fino agli anni 145 ‟60, infatti, l‟informazione radiofonica forniva contenuti piuttosto uniformi all‟insieme del Paese, successivamente, vi è stata una progressiva differenziazione che ha portato i canali germanofoni ad accordare sempre più spazio alla politica nazionale ed economica, quelli francofoni alle notizie regionali e culturali e quelli italofoni all‟attualità internazionale (Hungerbühler, 2002: 162-183). I notiziari televisivi, invece, si sono caratterizzati sia per una sempre maggiore focalizzazione sull‟attualità regionale (Beck/Schwotzer, 2006), sia per una diversificazione nelle modalità di mediazione; sui canali germanofoni, infatti, si registrano molti meno commenti e prese di posizione rispetto a quanto avviene in quelli latini (Corboud-Fumagalli, 1996). Osservazioni generali. Jean Widmer (2004b) individua nello spazio pubblico il luogo simbolico che, nella Svizzera moderna, ha sostituito la religione come fattore di produzione di codici di identificazione collettiva. Il ceto borghese e liberale che ha preso il potere nella seconda metà dell‟Ottocento ha dovuto trarre la propria legittimità, non più dalla tradizione e dalla fede come faceva la classe aristocratica, ma dalla capacità di dare un assetto razionale-legale alle istituzioni statali attraverso una discussione pubblica aperta e trasparente. Lo spazio pubblico, che in origine era molto simile a quello descritto da Habermas (1962), ovvero un luogo di scambio in cui un numero ristretto di persone pianificava le riforme politiche, si è poi progressivamente mediatizzato divenendo accessibile ad un pubblico sempre più vasto ed eterogeneo (Wolf, 1996). La segmentazione linguistica del sistema dei media, unita alla sua istituzionalizzazione secondo il modello democratico-corporativo diffuso nei Paesi dell‟Europa centrosettentrionale (Hallin/Mancini, 2004), ha contribuito ad accentuare lo sviluppo di specifici codici identitari presso le collettività idiomatiche elvetiche. Già a partire dalla seconda metà dell‟Ottocento, la stampa scritta, infatti, costituiva uno strumento indispensabile di partecipazione democratica per i cittadini delle diverse regioni linguistiche; ad essa si è aggiunto, durante il XX secolo, un sistema radiotelevisivo di servizio pubblico che persegue una politica tesa a garantire una parità 146 d‟accesso all‟informazione a tutta la popolazione indipendentemente dalla sua appartenenza idiomatica (Saxer, 2000). La suddivisione su base linguistica del sistema dei media - che nella sua fase iniziale era promossa e, per certi versi, controllata dal potere politico – ha portato negli ultimi decenni ad una sempre maggiore differenziazione, sia nelle priorità contenutistiche (Hungerbühler, 2002; Beck/Schwotzer, 2006) che nella presentazione formale (CorboudFumagalli, 1996; Romano, 1999) delle informazioni proposte dai mezzi di comunicazione di massa alle diverse collettività idiomatiche. Gli effetti di questa progressiva regionalizzazione dello spazio pubblico mediatizzato, dovuta a mutamenti sociali (Imhof, 1996) e a trasformazioni del mercato (Schneider, 2006), sono stati descritti come una delle cause delle differenze nelle preferenze politiche che si registrano tra le aree linguistiche in occasione di alcune consultazioni popolari (Knüsel, 1994; Widmer, 2004a; Linder/Zürcher/Bollinger, 2008). 2.2.4 Rapporti alle lingue e spazio pubblico. Nel capitolo precedente abbiamo trattato le identità collettive come il risultato di una combinazione dei codici di distinzione (Eisenstadt, 1998, 2000) che permettono ai membri stessi di definire i criteri di appartenenza ad una determinata società. Il processo di codificazione inizia ad aver luogo al momento in cui un gruppo inizia a concepire una distinzione tra la sua dimensione mondana e quella ultramondana e a costituire la propria organizzazione sociale in funzione di quest‟ultima. Il credo religioso è, di conseguenza, da secoli un importante fattore di costruzione dei codici di identificazione collettiva. Tuttavia, l‟emergere, nel corso dell‟Ottocento, del ceto borghese ha spostato verso lo spazio pubblico, il luogo simbolico in cui si discute l‟assetto istituzionale dello Stato, e dove avviene il processo di codifica identitaria (Widmer 2004b). La segmentazione linguistica dello spazio pubblico (Kriesi/Wernli/Sciarini/Gianni, 1996) e la sua progressiva mediatizzazione e democratizzazione hanno, infatti, portato ad una sempre più marcata regionalizzazione 147 dell‟informazione, tanto a livello delle priorità contenutistiche (Hungerbühler, 2002; Beck/Schwotzer, 2006) quanto della presentazione formale (Corboud-Fumagalli, 1996; Romano, 1999). Secondo Jean Widmer (2004a), la crescente importanza dello spazio pubblico mediatizzato ha portato, in uno Stato plurilingue come la Svizzera, ad un accrescimento dell‟importanza del rapporto che una collettività intrattiene con il proprio idioma nella definizione del senso di appartenenza dei propri membri. La collettività germanofona si caratterizza, abbiamo visto, per praticare una diglossia modale. Accanto ad un tedesco standard utilizzato per i documenti scritti coesiste lo Schweizerdeutsch che è essenzialmente la lingua parlata (Ris, 1982; Haas, 1985a, Rash, 1998). La diglossia si manifesta tanto nella vita quotidiana, quanto nella discussione pubblica (Hungerbühler e altri, 2008). Questa situazione ha delle implicazioni profonde nella costituzione dell‟identità collettiva della popolazione. L‟uso di un idioma istituito unicamente attraverso l‟oralità presuppone l‟assenza di strumenti formali di apprendimento per coloro per cui esso non costituisce la lingua materna. Il rapporto che questa collettività intrattiene con il proprio idioma ha un carattere metonimico (Widmer 2004a), i suoi membri tendono, infatti, a considerare lo Schweizerdeutsch come una loro caratteristica specifica e distintiva. La tipologia ideale di legame identitario che meglio si adatta alla situazione svizzerotedesca è quella fondata sul codice primordiale, descritta da Eisenstadt e Giesen (1995), in cui i codici di distinzione che definiscono la frontiera tra i membri della collettività e coloro che si trovano all‟esterno come naturale e quindi estremamente difficile da valicare. Una volta superata, però, quando l‟outgroup apprende lo Schweizerdeutsch, quest‟ultimo sarà considerato parte integrante di una comunità tendenzialmente egualitaria. Questo tipo di auto-percezione della collettività svizzero-tedesca è constatato anche da Gaetano Romano (1998: 143-159) che individua in questo sentimento identitario la base di una vera e propria ideologia fondata sulla dicotomia classica tra comunità e società (Tönnies, 1887). Si tratta di un pensiero politico proposto a più riprese nello spazio 148 pubblico elvetico- durante la Seconda guerra mondiale e, successivamente, negli anni ‟60 - che ad un sistema sociale bastato sulla crescita economica ed insensibile alla cultura locale, ai costumi ed alle tradizioni, contrappone un modello di comunità attenta alle realtà territoriali, i cui membri sono molto legati e coesi tra loro ed in grado di controllare collettivamente i cambiamenti sociali. Quanto alle implicazioni sulle architetture dello spazio pubblico, si constata che il rapporto metonimico con la propria lingua intrattenuto dalla collettività germanofona fornisce una maggiore importanza al ruolo degli imprenditori morali (Becker, 1963), ossia agli attori che operano all‟interno del sistema politico (cfr. 2.3.2) dove, sulla base della propria esperienza individuano le situazioni da normalizzare. Per contro i chierici mediatori (Geller, 1983), ossia gli intellettuali e i giornalisti, inseriti in una società meno incline a riconoscere statuti sociali particolari al suo interno, non possono avvalersi del loro storico monopolio della lingua standardizzata scritta. La Svizzera francese presenta caratteristiche che permettono di associarla a tipologie ideali opposte a quelle della regione germanofona. Il rapporto che questa collettività intrattiene con la propria lingua è di tipo metaforico (Widmer, 2004a), che situa l‟idioma al di fuori delle sue caratteristiche identitarie fondamentali. Essa concepisce l‟esistenza di altre società che si identificano con la medesima lingua, dal momento che i suoi membri non si percepiscono come i depositari unici di un idioma trasmissibile unicamente attraverso l‟oralità (Knecht, 1985). Il codice civilizzazionale che meglio si adatta al senso identitario del gruppo francofono è il codice civico (Eisenstadt/Giesen, 1995), che traccia frontiere identitarie non particolarmente impermeabili ed a cui non viene riconosciuto uno statuto naturale. L‟accesso è però graduale ed all‟interno della collettività permangono forti gerarchie economiche e sociali. L‟uso esclusivo di una lingua istituita attraverso la scrittura permette, infatti, una maggiore integrazione dei nuovi membri attraverso forme di socializzazione secondaria poste al di fuori del contesto familiare. Lo spazio pubblico è maggiormente animato dai chierici mediatori che godono di uno statuto sociale elevato dovuto sia alla maggiore gerarchizzazione della società nel suo 149 insieme, sia alla maggiore importanza attribuita alla lingua scritta, di cui essi sono storicamente i detentori, quale veicolo di discussione dei problemi sociali. La Svizzera italiana presenta tratti che permettono di associarla maggiormente alle tipologie che caratterizzano la regione francofona, con però delle importanti differenze. Innanzitutto essa è composta, a parte alcune vallate poco popolate dei Grigioni, da un unico Cantone di frontiera, il Ticino (Lurati, 1985). Questa specificità geografica la rende partecipe in misura maggiore rispetto alle altre due regioni linguistiche allo spazio pubblico mediatizzato della nazione limitrofa67. Un aspetto relativamente recente che si sta manifestando nel rapporto alla lingua dei ticinesi e, di conseguenza, nell‟architettura dello spazio pubblico italofono è lo sviluppo di una nuova forma di dialetto sovra-regionale (Bianconi, 1986). Questo idioma si è affiancato all‟italiano che fino a pochi decenni orsono era l‟unica lingua ammessa nel dibattito pubblico. La sua introduzione nello spazio pubblico è un atto politico volto a dare apparentemente “voce al popolo” in opposizione all‟italiano standard utilizzato dai rappresentanti dei partiti tradizionali. Un‟ulteriore finalità nell‟uso del dialetto è quella di esprimere un richiamo identitario verso una, più o meno immaginaria, popolazione autoctona contrapposta a quella di recente immigrazione (Widmer, 2004a). In questo paragrafo ci siamo soffermati sullo specifico rapporto che le tre principali collettività linguistiche intrattengono con il proprio idioma e di come questa relazione influenzi le architetture dei rispettivi segmenti dello spazio pubblico. Nelle prossime pagine vedremo come questi segmenti condizionino le forme del dibattito politico, i cui contenuti derivano dalla contrapposizione di modelli culturali. 67 Il discorso sulle interinfluenze tra lo spazio pubblico ticinese e quello italiano è particolarmente complesso e non verrà qui affrontato. Per un approfondimento sul tema del consumo mediatico transfrontaliero si veda Cola/Prario (2009). 150 2.3 Identità collettive e modelli culturali. Sinora abbiamo considerato il rapporto che le tre principali collettività linguistiche svizzere intrattengono con i propri idiomi e di come il diverso relazionarsi alla lingua concorra in maniera significativa alla configurazione dei rispettivi codici identitari che, a loro volta, determinano le diverse architetture dei segmenti dello spazio pubblico elvetico influenzando i quadri semantici, le regole fondamentali, entro cui un problema sociale viene dibattuto. In questo paragrafo tratteremo, dapprima, le modalità attraverso cui si sviluppano i contenuti del dibattito pubblico. In Svizzera, infatti, pur con la sua struttura federalista, esistono numerose situazioni sociali che riguardano il Paese nel suo insieme e le decisioni inerenti la loro normalizzazione coinvolgono l‟insieme dei cittadini, indipendentemente dalle loro differenze linguistiche ed identitarie. Questi problemi sociali (Céfai, 1996) vengono percepiti come tali sulla base di modelli culturali (Touraine, 1965, 1973): gli orientamenti teorici sul funzionamento del sistema sociale, che guidano le azioni dei diversi attori politici. il primo aspetto da prendere in considerazione è legato alle specificità delle istituzioni politiche elvetiche che rendono possibile, a differenza di quanto avviene nella maggior parte degli Stati occidentali, ricorrere sovente agli strumenti della democrazia diretta. Questa caratteristica, come vedremo, ha per effetto di attenuare la componente ideologica associata ai modelli culturali, dal momento che il dibattito pubblico volge più su singoli problemi sociali e meno su progetti globali di società (cfr. 1.1.2). Successivamente vedremo quali sono gli attori che prendono parte al dibattito politico ed in quale misura essi possono essere ricondotti alle tipologie ideali di imprenditore morale (Becker, 1963) e di movimento storico (Touraine, 1973) (cfr.1.1.2/1.3). Infine, torneremo ad occuparci dell‟influenza delle forme date dai codici identitari (cfr. 2.2) al dibattito pubblico e lo faremo analizzando le variazioni regionali nelle preferenze politiche in occasione del referendum sull‟adesione allo Spazio Economico Europeo (SEE) avvenuto nel 1992. 151 2.3.1 La concezione svizzera della democrazia diretta. Il sistema politico elvetico presenta specificità tali da renderlo molto diverso da quello della maggior parte delle democrazie occidentali. L‟assetto istituzionale che lo regge permette ai cittadini di ricorrere molto più sovente a strumenti legislativi come i referendum e le iniziative popolari; queste caratteristiche hanno profonde ripercussioni sui contenuti dei dibattiti pubblici e, come vedremo successivamente (cfr. 2.3.2) sul potere esercitato dai diversi attori politici. Democrazia diretta e rappresentativa. La democrazia in quanto sistema politico esiste in numerose varianti, è però possibile distinguere due tipologie maggiori (Held, 1987): le democrazie liberali o rappresentative e le democrazie dirette o partecipative. Le democrazie di tipo rappresentativo sono largamente le più diffuse nel mondo occidentale, gli Stati Uniti, la Francia, la Germania e l‟Italia, ad esempio, adottano questo modello. Questo sistema istituzionale prevede che i cittadini deleghino l‟insieme delle decisioni politiche a rappresentanti eletti a scadenze regolate. Secondo Hans Peter Kriesi (2005), in questo modello: “… la democrazia è essenzialmente un metodo per investire taluni individui del potere di effettuare decisioni politiche vincolanti, un metodo che consiste nella competizione tra élite politiche per il voto popolare.”68 [t.d.a] In questa prospettiva, il sistema rappresentativo concede ai cittadini unicamente l‟opportunità di rimpiazzare un governo con un altro. Essi sono ritenuti troppo disinformati e scarsamente interessati rispetto agli affari pubblici, o, addirittura, non sufficientemente qualificati per partecipare alle decisioni politiche (Budge, 1996). 68 “… democracy is essentially a method for vesting in certain individuals the power to make binding decisions, a method which consists in the competition between political elites for the people‟s vote.” (Kriesi, 2005, p.2) 152 La Svizzera, come abbiamo anticipato, si basa sulla democrazia diretta, ovvero sulla possibilità da parte dei cittadini di partecipare direttamente alle scelte politiche fondamentali del Paese; un modello che presuppone ben più di una trasformazione dell‟apparato istituzionale, esso è una maniera alternativa di intendere la democrazia. L‟inclusione dei cittadini nelle prese di decisione collettive non è da intendersi come un insieme di norme legislative che consentono alla popolazione di esprimersi su determinati temi. La partecipazione collettiva è una concezione diversa della cittadinanza che presuppone una responsabilizzazione rispetto alla cosa pubblica che si manifesta a diversi livelli della vita politica, da quella nazionale a quella locale. Secondo Benjamin Barber (1984) essa è una democrazia forte: “… letteralmente [la democrazia diretta] è autogoverno da parte dei cittadini piuttosto che governo rappresentativo in nome dei cittadini. I cittadini attivi qui governano direttamente loro stessi, non necessariamente ad ogni livello ed a ogni istanza, ma abbastanza frequentemente e in particolare quando sono decise politiche fondamentali e quando un potere significativo viene dispiegato. L‟autogoverno è reso possibile attraverso istituzioni designate a facilitare una continua partecipazione civica all‟agenda-setting, alla deliberazione, alla legislazione ed all‟implementazione pubblica.”69 [t.d.a] L‟idea alla base della democrazia diretta vede nell‟atto di partecipazione un effetto educativo nei cittadini che sono sempre più responsabilizzati rispetto alla vita pubblica. Le decisioni politiche prese in questo modo sono, infatti, sentite come “proprie” anche quando non corrispondono alle scelte del singolo individuo. In altri termini, la 69 “… literally it is self-government by citizens rather than representative government in the name of citizens. Active citizens govern themselves directly here, not necessarily at every level and in every instance, but frequently enough and in particular when basic policies are being decided and when significant power is deployed. Self government is carried on through institutions designed to facilitate ongoing civic participation in agenda-setting, deliberation, legislation, and policy implementation.” (Barber, 1984, p. 151) 153 democrazia diretta non costituisce un ostacolo alle politiche pubbliche, essa può contribuire in maniera importante alla loro legittimazione ed alla loro stabilizzazione. Istituzioni della democrazia diretta. La Svizzera dispone di numerosi strumenti che permettono l‟esistenza della democrazia diretta, a livello federale, che è quello che ci interessa in questa ricerca, ma anche cantonale e comunale. Queste istituzioni possono essere raggruppate in due macro-categorie: il referendum e l‟iniziativa popolare. La prima è una votazione popolare in cui i cittadini si pronunciano su nuovi articoli costituzionali o su loro modifiche, su leggi federali e su altre decisioni del parlamento, accettandoli o respingendoli. La seconda è una domanda con cui 100000 aventi diritto di voto chiedono all'Assemblea federale la rielaborazione totale della Costituzione federale oppure l'adozione, l'abrogazione o la modifica di disposizioni costituzionali o legislative. Gli ambiti in cui questi strumenti possono essere utilizzati sono molteplici e la loro istituzionalizzazione è avvenuta parallelamente all‟evolversi delle sfide a cui era confrontato il sistema politico svizzero. La situazione attuale si è venuta a creare a seguito delle seguenti tappe: Referendum obbligatorio per la revisione della Costituzione (1848). Iniziativa popolare per la revisione totale della Costituzione (1848). Referendum facoltativo in materia di leggi (1874 - 50‟000 firme, oppure 8 Cantoni). Iniziativa popolare per la revisione parziale della Costituzione (1891 - 50'000 firme, 100'000 a partire dal 1971). Referendum facoltativo per i trattati internazionali di lunga durata e non denunciabili (1921). Referendum facoltativo per le decisioni federali di portata generale ma in vigore d‟urgenza (1949). Referendum obbligatorio per le decisioni federali di portata generale ma in vigore d‟urgenza e che derogano alla Costituzione. Referendum facoltativo per i trattati internazionali che prevedono l‟adesione ad un‟organizzazione internazionale o 154 che prevedono un‟unificazione multilaterale del diritto (1977). Referendum obbligatorio sull‟adesione a organizzazioni di sicurezza collettiva o a comunità sovranazionali (1977). Gli strumenti della democrazia diretta rendono il sistema politico svizzero più aperto e meno autonomo nei confronti del resto della società rispetto a quanto avviene nella maggior parte degli Stati occidentali. Il margine di manovra delle élite politiche è ristretto dal fatto che, in ultima analisi, le loro decisioni sono sovente sottoposte a votazione popolare. Il referendum e l‟iniziativa popolare, pur essendo entrambi strumenti funzionali all‟istituzione di una specifica forma di governo, rivestono ruoli profondamente diversi. In proposito Hans Peter Kriesi (1998) rileva che: “ … il referendum interviene solo alla fine di un processo di decisione. Ha il carattere di veto o di valvola di sicurezza, che permette al popolo di intervenire quando non è soddisfatto dei progetti di legge elaborati dalle élite politiche. Analogamente, il referendum obbligatorio permette di ribaltare un progetto costituzionale. Il referendum offre dunque la possibilità di un‟opposizione caso per caso, specifica ad un contesto politico.”70 [t.d.a] Secondo Neidhart (1970) questa caratteristica dell‟attività referendaria ha degli effetti latenti profondi sull‟insieme del sistema politico svizzero. La minaccia del ricorso al referendum da parte di una moltitudine di organizzazioni radicate nella società civile, ha portato ad una sorta di democrazia della negoziazione. Perché le scelte legislative abbiano maggiori possibilità di non essere affossate necessitano del consenso più vasto possibile tra le forze politiche. 70 “ … le référendum n‟intervient qu‟à la fin d‟un processus de décision. Il a le caractère d‟un veto ou bien d‟une soupape de sécurité, qui permet au peuple d‟intervenir lorsqu‟il n‟est pas satisfait des projets de loi élaborés par les élites politiques. De façon analogue, le referendum obligatoire permet de faire capoter un projet constitutionnel. Le référendum offre donc la possibilité d‟une opposition selon le cas, spécifique à un enjeu politique.” (Kriesi, 1998, p. 99) 155 Se il referendum ha una funzione di veto e si pone alla fine del processo di decisione, l‟iniziativa, invece: “… si situa all‟inizio di questo processo. Essa fornisce un impulso. Essa permette ad un gruppo della popolazione di iscrivere un problema nell‟agenda politica, sia nella forma di una proposta concepita in termini generali, sia nella forma di un progetto dettagliato. Essa permette a dei gruppi che, altrimenti, ne sarebbero esclusi, di accedere al sistema. Questi gruppi e le organizzazioni che li rappresentano sono rivalorizzati. L‟iniziativa popolare obbliga l‟élite politica a riflettere su un problema.”71 [t.d.a] L‟élite politica, pur se in disaccordo con le idee dell‟iniziativa, viene da essa indirettamente influenzata, spesso questo si traduce in un contro-progetto che prevede qualche concessione alle esigenze degli iniziativisti. Occorre infatti ricordare che questo strumento, a differenza della petizione che unicamente sollecita il ceto politico a prendere posizione, impone una presa di decisione all‟insieme della cittadinanza. Osservazioni generali. Nel precedente capitolo abbiamo visto (cfr. 1.1.2) che le società si trasformano grazie alla spinta di modelli culturali che permettono alla società di riflettere su se stessa e di evolversi. Essi traggono origine dall‟interazione con due elementi endogeni al sistema sociale: la conoscenza, ovvero la capacità di produzione simbolica e l‟accumulazione, la capacità di produzione materiale, che forniscono le basi per l‟elaborazione di progetti concreti di riforma sociale (Touraine, 1973). 71 “… se situe au début d‟un tel processus. Elle donne une impulsion. Elle permet à un groupe de la population d‟inscrire un problème dans l‟agenda politique, soit sous la forme d‟une proposition conçue en termes généraux, soit sous la forme d‟un projet rédigé en toutes pièces. Elle permet à des groupes qui, autrement, en seraient exclus, d‟accéder au système. Ces groupes et les organisations qui les représentent sont revalorisés. L‟initiative populaire force l‟élite politique à réfléchir sur un problème.” (Kriesi, 1998, p.101) 156 Nei sistemi politici fondati sulla democrazia rappresentativa i modelli culturali sono sovente soppiantati, nello spazio pubblico, da contrapposizioni ideologiche. In un contesto istituzionale di questo tipo, infatti, i cittadini delegano a coloro che eleggono l‟individuazione e la regolamentazione delle situazioni sociali da normalizzare. Sono dunque le élite politiche – ed, eventualmente, quelle economiche e culturali con cui esse hanno interazioni privilegiate – a necessitare di orientamenti teorici capaci di guidare le riforme sociali concrete. Per poter accedere a questo ruolo necessitano dell‟appoggio di una massa di cittadini che è ritenuta: “… non qualificata per decidere l‟alta politica, e a cui, per questo, può essere consentito di influenzarla solo indirettamente, scegliendo coloro cui spetta decidere piuttosto che decidendo essi stessi.”72 [t.d.a] Il consenso popolare viene, di conseguenza, conquistato proponendo nello spazio pubblico discorsi di tipo ideologico che prospettano una visione globale dei rapporti sociali irrimediabilmente contrapposta a quella propugnata dagli avversari politici. L‟ideologizzazione del dibattito politico consente, nelle democrazie rappresentative, una mobilitazione dell‟ elettorato che viene convinto che lo schieramento opposto a quello a cui fa riferimento sia composto da nemici. Il sistema politico svizzero, al contrario, grazie all‟iniziativa popolare più ancora che al referendum, porta ad un coinvolgimento di larghi strati della società civile nel processo di decisione relativo a questioni anche fondamentali per il Paese (Kriesi, 2005). Gli elettori sono così portati a riflettere sulla regolamentazione di situazioni sociali reali, di conseguenza il dibattito pubblico dovrà essere incentrato sul confronto tra modelli culturali piuttosto che su contrapposizioni ideologiche prive di applicazioni concrete. 72 “ … not qualified to decide high policy, so they can be allowed to influence it only indirectly, by choosing those who are to decide rather than deciding themselves.” (Budge, 1996, p.69) 157 Le istituzioni della democrazia diretta hanno un duplice effetto: da un lato, quello di rafforzare la partecipazione civica dei cittadini, dall‟altro, quello di rendere gli attori politici meno indipendenti dal resto della società (Kriesi, 1998; Windisch, 2002). 2.3.2 Gli attori del sistema politico svizzero. Dopo aver visto le caratteristiche del sistema politico e le implicazioni che queste hanno nel dibattito pubblico, considereremo ora gli attori che li animano. In particolare analizzeremo il ruolo del sistema dei partiti e dei movimenti sociali. Presi singolarmente, i membri di queste organizzazioni sono imprenditori morali, dal momento che si preoccupano del contenuto delle leggi e si adoperano per ottenere un consenso pubblico sufficiente a cambiare le norme, oppure essi possono battersi affinché una legge che li soddisfa non venga modificata. Come entità collettive i partiti e i movimenti sociali sono, invece, dei movimenti storici dal momento che esercitano un‟azione collettiva fondata su determinati modelli culturali. I primi sono fondati su strutture organizzative durature, si fondano su basi ideologiche che propongono una visione complessiva della società e sono i principali competitori per il controllo delle istituzioni rappresentative della democrazia elvetica. I secondi, pur assumendo forme molto diverse tra loro, tendono ad avere una vita politica più breve, a proporre soluzioni rispetto a problematiche specifiche e ad essere composti da membri che non condividono necessariamente una visione ideologica comune sull‟insieme della società. Vedremo in seguito altri attori che partecipano, in maniera differente, alla vita politica, come, ad esempio, e il Consiglio federale e le associazioni d‟interesse. Il sistema dei partiti. I partiti politici svizzeri sono relativamente deboli rispetto ai loro omologhi presenti negli altri Paesi occidentali. Il federalismo, inoltre, favorisce l‟autonomia delle sezioni cantonali: non è raro, ad esempio, che una di esse prenda una posizione diversa rispetto al partito nazionale in occasione di una votazione popolare. 158 Secondo Kriesi (1998: 143-175) questa debolezza si manifesta attraverso una forte frammentazione, sia dei singoli partiti, sia del sistema nel suo insieme. Questa frammentazione è osservabile innanzitutto nel numero dei partiti, uno tra i più alti in assoluto. Il sistema stesso non è omogeneo a livello federale, Ulrich Klöti (1998) individua infatti tre sottosistemi cantonali: il sistema dei Cantoni cattolici, che si caratterizza per una dominazione del Partito Democristiano (PDC) e per una debolezza strutturale del Partito Socialista (PS); il sistema dei Cantoni misti religiosamente svizzero-tedeschi, dove i socialisti sono relativamente forti e si oppongono ad un blocco borghese costituito dall‟Unione Democratica di Centro (UDC) ed al Partito Radicale Democratico (PRD); i Cantoni romandi misti religiosamente, in cui il Partito Socialista occupa una posizione di forza ed è opposto a due correnti distinte del liberalismo, il Partito Liberale Svizzero (PLS) ed il Partito Radicale Democratico. Questo modello, pur mantenendo un alto grado di robustezza non tiene conto dell‟avanzata massiccia a livello nazionale dell‟UDC che si è verificata negli ultimi anni. Se, da un lato, non è certo che questo fenomeno sia strutturale, dall‟altro, si deve rilevare che ha portato ad un cambiamento della composizione del Consiglio federale che resisteva immutata da oltre cinquant‟anni. Va inoltre aggiunto che il Ticino, pur essendo un cantone assolutamente cattolico, ha un sistema di partiti differente rispetto a quello dei suoi omologhi svizzero-tedeschi. Ad un blocco borghese costituito dal Partito Liberale-Radicale (PLR) e dal PDC, si contrappongono due partiti di eguale forza ma di segno politico opposto: i socialisti e la Lega dei Ticinesi, un movimento politico di recente costituzione riconducibile a quella che può essere definita una Destra sociale. Tra la moltitudine di partiti è possibile distinguere tra quelli che contano (Sartori 1976; Kriesi 1998) e gli altri. Per contare, un partito: 159 “… occupa una posizione che gli permette di essere considerato come partner di una coalizione governativa, o una posizione che gli permette di opporre un veto alle decisioni politiche del governo.”73 [t.d.a] Date le peculiarità del sistema consociativo svizzero, che vedremo meglio di seguito, i partiti che contano, sono unicamente quelli che fanno parte del Consiglio federale: il PRD, il PDC, il PS e l‟UDC. Il Partito Radicale Democratico fu, tra la fine del XIX e l‟inizio del XX secolo, la forza politica dominante nel Paese. Fino al 1892 era l‟unico partito rappresentato in Consiglio federale e sino al 1913 ne ha detenuto la maggioranza assoluta, per questo è generalmente ritenuto l‟iniziatore delle principali istituzioni della Svizzera moderna. Originariamente era un partito riconducibile alla Sinistra, erede della tradizione anticlericale e giacobina. Con l‟affermarsi dei socialisti è però divenuto il principale riferimento del ceto borghese. Oggi può essere considerato un partito di Centrodestra, orientato alla laicità dello Stato e ad un libero mercato temperato da un appartato di responsabilità sociale. La coesistenza di una corrente radicale, più attenta al ruolo dello Stato, ed una liberale, focalizzata sull‟economia, è, soprattutto nella Svizzera latina, origine di frizioni e di cicliche scissioni e ricomposizioni. Negli ultimi decenni si è caratterizzato per allearsi prevalentemente a socialisti e democristiani su questioni di politica internazionale e all‟UDC su quelle di politica interna ed economica. Il suo consenso elettorale si è progressivamente ridotto, facendo del partito, storicamente di maggioranza relativa, una forza politica che alle elezioni federali del 2007 ha raggiunto il 15.7% dei suffragi, una cifra che mette a rischio il suo doppio seggio in Consiglio federale (Moser-Léchot, 2010). Il Partito Democristiano fu fondato nel 1848 con il nome di Partito CattolicoConservatore. Nella seconda parte XIX si contrappose duramente al Partito Radicale a 73 “… occupe une position qui lui permet d‟être considéré comme partenaire dans une coalition gouvernementale, ou une position lui permettant d‟opposer un veto aux décisions politiques du gouvernement.” (Kriesi, 1998, p.147) 160 cui aveva dovuto cedere il potere a seguito della sconfitta nella guerra del Sonderbund (1848). Inizialmente considerato l‟opposizione clericale “di Destra” ai Radicali, nel XX si è spostato progressivamente verso il Centro. Nel 1912 ha cambiato nome in Partito Conservatore, nel 1957 in Partito Conservatore-Cristiano-Sociale e nel 1970 è giunto alla denominazione attuale. Attualmente costituisce con il PRD il cosiddetto “blocco borghese” che caratterizza l‟area politica dominante in Svizzera. Rispetto al PRD, il PDC, ispirandosi anche alla dottrina sociale della chiesa, è più attento al mantenimento di determinati aspetti dello Stato sociale. Nonostante una progressiva laicizzazione delle posizioni espresse dai propri membri ed un accordo elettorale a livello federale con il Partito Evangelico (PE), l‟elettorato di riferimento di questa formazione resta quello cattolico e, di conseguenza, la sua forza di penetrazione nei Cantoni riformati è sempre stata debole (Altermatt, 2009). Il Partito Socialista fu fondato nel 1888, fino alla fine degli anni ‟20, ed in particolare dopo lo sciopero di Olten del 1918, esso fu in contrapposizione totale con i partiti governativi. La situazione iniziò a cambiare nel decennio successivo, a seguito del progressivo affermarsi di regimi di tipo fascista nei principali Paesi europei. Nel 1935 il congresso del partito accettò i principi della democrazia liberale e della difesa militare. La diffidenza dei partiti borghesi si placò definitivamente nel 1943, con l‟elezione del primo Consigliere federale socialista. Contrariamente a quanto avvenuto nel resto d‟Europa, la grande coalizione governativa composta da tutte le forze politiche democratiche non si sciolse, tranne una parentesi tra il 1953 ed il 1959, e i socialisti sono rimasti parte integrante del governo nazionale. Le loro posizioni politiche sono comuni a quelle della maggior parte dei partiti socialisti europei e si caratterizzano per una forte difesa dello Stato sociale ed un‟attenzione particolare per l‟integrazione delle nuove componenti della società. A partire dagli anni ‟90 il partito subisce la concorrenza dei Verdi ed è sovente accusato di essere divenuto la formazione di riferimento dei funzionari pubblici e degli 161 intellettuali. A livello nazionale i socialisti restano comunque, solidamente, la seconda forza elettorale (Degen, 2009). L‟Unione Democratica di Centro è nata nel 1971 dalla fusione di due forti partiti agrari: il Partito dei Contadini ed il Partito dei Contadini, degli Artigiani e degli Indipendenti. Essa è stata, a partire dalla sua creazione, una formazione di governo dal momento che ha ereditato il Consigliere federale spettante alla maggiore delle sue componenti. Inizialmente il partito era considerato il rappresentante degli interessi della Svizzera rurale; il suo posizionamento politico, così come le sue fortune elettorali, sono mutati negli anni ‟90, con l‟accendersi del dibattito sull‟integrazione europea. Il referendum sull‟adesione allo Spazio Economico Europeo del 1992 ha costituito l‟occasione per l‟ala “zurighese” o “blocheriana”, dal nome del carismatico leader Cristoph Blocher, di affermarsi alla guida del partito. La linea politica è da allora caratterizzata, oltre che da un marcato antieuropeismo, da un forte liberalismo economico coniugato ad un profondo conservatorismo sociale. Più volte accusata di promuovere idee xenofobe, l‟UDC è divenuta la più forte forza politica del Paese (Mazzoleni, 2003; McGann/Kitschelt, 2005). La turbolenta permanenza di Blocher in Consiglio federale, unita a dissidi sempre più insanabili con l‟ala moderata del partito, hanno portato ad una scissione. Le correnti che non si riconoscevano più nella linea politica blocheriana hanno dato vita, nel 2008, al Partito Borghese Democratico (PBD)74. Altri partiti che, pur senza avere un rappresentante in Consiglio federale, incidono o hanno inciso sul sistema politico svizzero sono: i Verdi, o Partito Ecologista Svizzero (PES), l‟Anello degli Indipendenti (AdI), il Partito Evangelico (PE), il Partito del Lavoro (PdL), i Democratici Svizzeri (DS) e il Partito Liberale Svizzero (PLS). 74 http://www.swissinfo.ch/ita/Speciali//La_fine_dellera_della_concordanza.html?cid=422668 (ultima consultazione: 1.6.2010) 162 I movimenti sociali. I movimenti sociali, i gruppi che tramite un‟azione collettiva si propongono di modificare una specifica situazione sociale, tendono a rafforzarsi rispetto ai partiti politici a partire dal secondo dopoguerra (Imhof, 1996b). In particolare, in Svizzera, essi trovano nel referendum e, soprattutto, nell‟iniziativa popolare degli strumenti fondamentali di partecipazione alla vita pubblica (Kriesi, 1998: 304-333). Probabilmente la prima formazione di questo tipo ad affermarsi nella moderna Confederazione fu proprio, negli anni 1850-1870, il cosiddetto Movimento democratico che si batteva per rendere maggiormente partecipativo il sistema politico elvetico. La sua lotta si concluse con una sostanziale vittoria che portò alla revisione della Costituzione del 1874 ed alla conseguente estensione del diritto di referendum (Schaffner, 1982). Nel corso del XX secolo si sono sviluppati movimenti sociali che hanno combattuto per ottenere cambiamenti nei più svariati ambiti sociali e politici. In particolare, sull‟onda delle rivolte studentesche dell‟anno precedente, nel 1969, si è affacciato alla vita pubblica il Movimento per la liberazione della donna (MLD), che ha dapprima animato la battaglia per il referendum sul diritto di voto alle donne (1971) e, successivamente, ha promosso mutamenti nelle politiche familiari, al fine di garantire parità di accesso tra i sessi al mondo del lavoro, e nella morale sessuale, rivendicando il libero accesso ai mezzi contraccettivi e la depenalizzazione dell'interruzione della gravidanza (Bucher/Schmucki, 1995). La genesi dei movimenti ecologisti - che, dal 1977 al 2003, hanno promosso ben 19 iniziative popolari in materia di energia e trasporti – è, invece, molto variata. Sino alla fine degli anni „60, la protezione della natura era un tema monopolizzato dall‟estrema destra che vedeva nell‟industrializzazione e nello sviluppo edilizio le conseguenze dell‟immigrazione e della perdita delle radici culturali elvetiche (Niggli/Frischknecht, 1998). Dagli anni‟70, sotto l‟impulso dei sommovimenti culturali e politici degli anni precedenti, l‟ecologia divenne centrale per importanti settori del mondo progressista. La sua introduzione nello spazio pubblico avvenne sia attraverso la fondazione del Partito ecologista svizzero, che propone un modello globale di sviluppo della società, sia con la 163 costituzione di aggregati politici con finalità più settoriali, il più importante dei quali è stato il Movimento antinucleare che, tra il 1979 ed il 1990, ha sottoposto alla popolazione quattro iniziative, l‟ultima delle quali ha portato ad una moratoria decennale sulla costruzione di nuove centrali (Giugni/Passy, 1997: 33-59). I movimenti pacifisti svizzeri sono eredi di una lunga e variegata tradizione di rifiuto alla guerra. Già nell‟Ottocento, infatti, vi era un forte pacifismo filantropico e umanitario, rappresentato da Jean-Jacques de Sellon e dalla Società della pace, che promuoveva i diritti umani fondamentali senza mettere in discussione la difesa nazionale, ad esso si è successivamente è aggiunto il pacifismo internazionalista di stampo socialista (Grossi, 1994). Dopo la Seconda guerra mondiale sono emersi svariati movimenti di opposizione ai conflitti, il più attivo tra questi è stato probabilmente il Gruppo per una Svizzera senza esercito (GSsE) che, sullo slancio del relativo successo ottenuto nel 1986 dall'iniziativa "Per una Svizzera senza esercito ed una politica globale di pace", tra il 1988 ed il 1993 ha promosso tre votazioni per il contenimento delle spese militari (Degen, 2006). Le situazioni sociali legate alla popolazione straniera residente, come vedremo meglio in seguito (cfr: 3.1), hanno portato a vasti fenomeni di mobilizzazione collettiva. Alla fine degli anni ‟60 - quando l‟immigrazione di manodopera straniera, ed in particolare italiana, ha raggiunto uno dei suoi picchi – sono sorti dei movimenti xenofobi che hanno intrapreso azioni volte a limitare quello che definivano l‟inforestierimento del Paese. Probabilmente in reazione ad essi vi è stata la nascita di gruppi che si battevano per una politica più solidale. L‟Azione Nazionale (oggi: Democratici Svizzeri) aveva una struttura molto diversa rispetto ai gruppi che abbiamo menzionato in precedenza, era un partito-movimento, nell‟accezione che Kurt Imhof (1996b) attribuisce a questo termine, che partecipava alle elezioni legislative nazionali e locali, ma la sua ragione di essere risiedeva nel contrastare l‟immigrazione. Pur senza ottenere mai un grande consenso elettorale, l‟AN, ed il suo leader carismatico James Schwarzenbach, negli anni‟70 hanno promosso, con 164 notevole successo, delle iniziative popolari durissime volte a contingentare la presenza di stranieri nel Paese (Urech, 1995). In netta contrapposizione a queste spinte xenofobe vi è stata una forte mobilizzazione sociale, sia da ambienti vicini alla Sinistra sia da gruppi confessionali, che proponeva azioni di aiuto allo sviluppo, sostegno ai profughi, promozione dei diritti umani e lotta al razzismo. Questa galassia di associazioni, tra le quali la più importante era probabilmente il Movimento per una Svizzera aperta e democratica (MSAD), tra le varie attività ha promosso due iniziative: “Essere solidali” (1981), che proponeva una politica di accoglienza meno restrittiva, e una che avrebbe vietato per legge le espressioni razziste (1994) (Giugni/Passy, 1997: 141-165). Curiosamente, tanto gli “imprenditori morali” appartenenti ai movimenti xenofobi quanto quelli che facevano riferimento ai gruppi solidali, avrebbero, nella maggior parte dei casi, continuato le loro battaglie all‟interno di partiti tradizionali, rispettivamente l‟UDC ed il PS. Altri attori politici. Un importante attore nel dibattito politico è sicuramente il Consiglio federale che detiene il potere esecutivo in seno alla Confederazione. Il sistema di governo è molto particolare se raffrontato a quelli vigenti negli altri Paesi occidentali. Secondo Arend Lijphard (1984) è un caso ibrido che combina il sistema presidenziale a quello parlamentare. Philippe Lauvaux (1990) ritiene invece che esso costituisca una tipologia a sé stante, un sistema direttoriale, erede diretto della forma di governo vigente durante la Rivoluzione francese. I Consiglieri federali, sette, sono proposti dai principali partiti, ma nell‟esercizio delle loro funzioni sono messi nella condizione di non dover essere “uomini di partito”. Il modo in cui viene formato il governo svizzero si attiene a quello che viene definito il sistema della concordanza, una strategia di integrazione – contrapposta al bipolarismo maggioranza/opposizione – volta alla ricerca del compromesso, alla risoluzione dei 165 conflitti e votata alla soluzione negoziata dei problemi all‟ordine del giorno (Kriesi, 1998: 218-236). Il occasione delle iniziative popolari o dei referendum, il Consiglio federale è tenuto ad esprimere una posizione unanime che viene “raccomandata” pubblicamente ai cittadini. Le associazioni di interesse, sindacati e confederazioni padronali, sono in una posizione intermedia tra coloro che rappresentano e lo Stato: questa situazione fa sì che esse sono confrontate a due logiche di scambio differenti (Schmitter/Streeck, 1981), da un lato sono confrontate con la logica dei membri, e dall‟altro con la logica dell‟influenza. Il loro trovarsi in un luogo di intersezione costringe le associazioni a dotarsi di strutture particolari che le rendono degli attori collettivi specifici. In Svizzera vi è un notevole squilibrio di forze tra i sindacati, poco rappresentativi e molto frammentati, e le associazioni padronali, che sono invece molto forti. I loro interventi nello spazio pubblico avvengono prevalentemente in occasione di votazioni concernenti questioni di politica economica (Kriesi, 1998: 245-271). In uno Stato federale, quale è la Svizzera, sovente le decisioni collettive toccano le autonomie comunali o cantonali. In questo caso, quindi, i rappresentanti locali del potere esecutivo e legislativo si ritrovano, spesso loro malgrado, a dover prendere posizione. I problemi sociali dibattuti riguardano quasi sempre determinate categorie sociali che sono, di volta in volta, più coinvolte rispetto ad altre. Quando si presenta il caso, questi sottogruppi sociali tendono a fare sentire la loro voce, dal momento che le decisioni da prendere si rivelano foriere di conseguenze per la loro vita materiale. Le modalità con cui si esprimono variano molto, possono prendere parola singoli individui, associazioni, oppure personalità pubbliche in qualche modo collegate alle categorie in questione. Sovente i privati cittadini, anche se non direttamente coinvolti nelle decisioni collettive, si esprimono pubblicamente a riguardo. La rubrica delle lettere dei lettori dei quotidiani 166 è il mezzo più tradizionale, ma anche le interviste radiotelevisive “all‟uomo della strada” o, più, recentemente, i blog sono strumenti che permettono al cittadino di far sentire la propria voce. Dopo aver trattato le specificità della democrazia diretta e le caratteristiche dei principali attori che animano il sistema politico svizzero, analizzeremo ora i comportamenti elettorali considerando l‟influenza dei modelli culturali e delle identità collettive sulle scelte di voto. 2.3.3 Il caso del referendum sull‟adesione allo Spazio economico europeo. I contributi teorici di Alessandro Pizzorno (1991: 343-359) ed Eliseo Véron (1995) ci permettono di meglio comprendere da un punto di vista teorico l‟influenza dei modelli culturali e delle identità collettive nelle scelte di voto dei cittadini. I risultati della votazione popolare sull‟adesione allo SEE (1992) costituiscono un importante esempio di questo fenomeno. I comportamenti elettorali. Pizzorno (1991) definisce l‟espressione di una preferenza elettorale come un atto realizzato a partire dalla propria identità individuale che, a sua volta, è determinata dall‟appartenenza ad una collettività politica o culturale. L‟apparente paradosso insito in questa affermazione è reso comprensibile da Norbert Elias (1970) attraverso il concetto di configurazione tra individui. Il sociologo tedesco descrive i fatti sociali come fenomeni concreti, tanto nella loro singolarità, quanto nella loro pluralità. Le identità collettive, secondo questo approccio, sono il risultato delle interazioni degli atti di un gruppo di individui tra loro interdipendenti. Sono dunque le azioni e le relazioni reciproche a dare alle identità, collettive ed individuali, una fisionomia unica e sempre diversa. 167 Eliseo Véron (1995) prosegue questa riflessione prendendo in considerazione il sistema dei mezzi di comunicazione di massa come il luogo principale ove si costruiscono le collettività identitarie nelle società contemporanee (cfr. 2.2.3). Egli nota, inoltre, come le logiche veicolate non siano quelle rappresentate nell‟insieme della società quanto invece quelle del gruppo di comunicazione dominante. La teoria della scelta democratica di Pizzorno (1991) contesta l‟idea che l‟elettore segua delle logiche puramente razionali. In altri termini, il cittadino prende la propria decisione sulla base di un modello culturale che propone la regolazione delle relazioni sociali che egli ritiene, utilitaristicamente o assiologicamente, migliore, ma i suoi criteri di scelta sono influenzati da determinate condizioni strutturali. Queste condizioni strutturali sono le identità collettive che, come abbiamo visto (cfr. 1.1), stabiliscono le regole fondamentali del dibattito pubblico. Nel caso del comportamento elettorale: “ … la logica dell‟azione politica individuale non può essere concepita come una logica strumentale, una relazione mezzi-fini, ma deve essere concepita come una logica di identificazione: a seguito di comparazioni e conflitti tra delle identità collettive, che tendono ad avere per effetto una trasformazione dei fini dei partecipanti.”75 [t.d.a] Le identità collettive, hanno, rispetto al beneficio simbolico auspicato a seguito dell‟espressione di un voto, un ruolo analogo a quello rivestito dal mercato rispetto alla nozione economica di profitto. Pizzorno le definisce condizioni strutturali perché – come il manager che calcola il rapporto costi/ricavi deve presupporre un mercato stabile, dal momento che l‟investimento avviene in un epoca anteriore – il cittadino-elettore deve: 75 “La logique de l'action politique individuelle ne peut être conçue comme une logique instrumentale, une relation moyens-fins, mais doit être conçue comme une logique d'identification : suite de comparaisons et conflits entre des identités collectives, qui tendent à avoir pour effet une transformation des fins des participants. " (Pizzorno, 1991, p. 354) 168 “… essere rassicurato della propria identità attraverso l‟appartenenza ad una collettività identificante.”76 [t.d.a] I comportamenti degli elettori sono, di conseguenza, fortemente influenzati dalla dimensione identitaria. Se sul corto termine il soggetto votante sa razionalmente quale scelta operare al fine di ottenere ciò a cui aspira, sul lungo periodo, al contrario, le decisioni da prendere si rivelano molto meno sicure. Questa incertezza nella gestione del lungo periodo provoca la necessità di appoggiarsi su dei quadri identitari: “… sulla stabilità di una collettività che viene presa come punto di riferimento … Se temiamo che il valore della nostra persona (la significazione della nostra identità) non sia riconosciuta, se siamo incerti delle conseguenze delle nostre scelte, minimizzeremo l‟incertezza identificandoci ad una collettività di riferimento.”77 [t.d.a] Molte iniziative popolari e referendum che caratterizzano la vita democratica svizzera implicano decisioni che riguardano il lungo termine e le conseguenze di queste scelte possono essere percepite come capaci di influenzare le strutture dell‟intera collettività nazionale. Eliseo Véron (1995) riprende le riflessioni di Pizzorno sui comportamenti elettorali mettendole in relazione con quelle di Dominique Wolton (1991) sulla crescente influenza dei mezzi di comunicazione di massa nello spazio pubblico contemporaneo. Egli rileva, a partire dagli anni ottanta, una progressiva mediatizzazione della comunicazione politica, ed in particolare una crescente importanza del medium 76 “ ... être assuré de son identité par l'appartenance à une collectivité identifiante. " (Pizzorno, 1991, p. 352) 77 “… sur la stabilité d'une collectivité qui est prise comme point de repère … Si nous craignons que la valeur de notre personne (la signification de notre identité) ne soit pas reconnue, si nous sommes incertains des conséquences de nos choix, nous minimiserons l'incertitude en nous identifiant à une collectivité de référence.” (Pizzorno, 1991, p.358) 169 televisivo che ha fatto dei media il principale luogo di costruzione simbolica delle identità collettive. Le posizioni espresse non sono però rappresentative dell‟insieme della società, dal momento che: “… le misurazioni dell‟audience misurano la reazione all‟offerta e non la domanda. Ed in un determinato mercato … questa circolarità avvantaggia essenzialmente il gruppo di comunicazione dominante.”78 [t.d.a] Facendo riferimento alla terminologia utilizzata finora si può affermare che, secondo Véron (1995), coloro che, in virtù delle proprie risorse espressive, comunicano attraverso i mezzi di comunicazione di massa, i chierici mediatori, esprimono prevalentemente i modelli culturali, gli orientamenti-guida per il funzionamento della società, propri a dei gruppi sociali particolari, ma lo fanno attraverso le regole fondamentali dettate da un‟identità collettiva che è propria ad una popolazione più ampia. I giornalisti (e gli intellettuali che hanno accesso ai media) non influenzano in maniera decisiva le scelte razionali degli elettori, ma rafforzano le condizioni strutturali che le determinano. Dopo aver analizzato teoricamente l‟influenza delle identità collettive nelle scelte politiche, osserviamo ora come i risultati del referendum sull‟adesione allo SEE (1992) abbiano evidenziato delle profonde fratture tra le collettività linguistiche presenti nel Paese. Il referendum sull‟adesione allo SEE. La votazione popolare del 1992 sull‟adesione o meno della Svizzera allo Spazio Economico Europeo (SEE) ha costituito una chiave di volta nella storia del Paese, tanto 78 “… les mesures d'audience mesurent la réaction à l'offre et non pas la demande. Et dans un marché donné de médias … cette circularité conforte essentiellement le groupe de communication dominant.” (Véron, 1995, p.212) 170 per le implicazioni che il risultato ha avuto in diversi ambiti della vita economica e sociale, quanto per le circostanze in cui questo risultato sarebbe maturato. Concretamente lo SEE costituiva il predecessore diretto dell‟Unione Europea (UE) e prevedeva che gli Stati membri dell‟Associazione Europea di Libero Scambio (AELS) – Austria, Finlandia, Islanda, Liechtenstein, Norvegia, Svezia e Svizzera – si associassero ai Paesi membri della Comunità Europea (CE) nel garantire la libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali. L‟adesione a organizzazioni di sicurezza collettiva o a comunità sovranazionali, in Svizzera, è sottoposta a un referendum obbligatorio (cfr. 2.3.1): perché la decisione del Consiglio federale venga ratificata occorre che la maggioranza dei votanti e dei Cantoni sia favorevole. La campagna, data la rilevanza storica della votazione, è stata particolarmente vivace e combattuta, questo nonostante il Consiglio federale, quasi tutte le associazioni di categoria, sindacali e padronali, e la maggioranza dei partiti politici si fossero espressi a favore dell‟adesione. Occorre ricordare che se il PS si è mostrato compatto a livello nazionale, alcune sezioni cantonali del PRD e del PDC hanno espresso la loro contrarietà, rispettivamente Svitto e Grigioni e Obvaldo e Nidvaldo. Si sono invece opposti tutti i piccoli partiti di Destra, tra cui la Lega dei Ticinesi ed i Democratici Svizzeri, e, soprattutto, l‟UDC, con l‟eccezione delle sezioni del Giura, dal Vaud e di Berna79. Un importante contributo agli avversari all‟adesione è stato fornito dall‟Azione per una Svizzera neutrale ed indipendente (ASNI), un movimento sociale profondamente conservatore e ostile ad ogni coinvolgimento elvetico in campo internazionale (Hirter, 2001). È interessante notare che il leader carismatico sia dell‟UDC che dell‟ASNI era Cristoph Blocher, che dopo di allora guiderà il suo partito alla conquista della maggioranza relativa a livello nazionale ed egli stesso diverrà, per una legislatura, Consigliere federale (Zollinger, 2004). 79 http://www.swissvotes.ch/votes/401 (Ultima verifica: 1.6.2010) 171 I risultati del referendum80, come è noto, hanno sancito la bocciatura dell‟adesione allo SEE, il 50.3% dei votanti l‟ha, infatti, rifiutata, così come 14 Cantoni e 4 Semi-Cantoni su, rispettivamente, 20 e 6. La partecipazione al voto è stata del 78.73%, una percentuale estremamente elevata rispetto alla media in questo genere di consultazioni. Il dato che più degli altri attira l‟attenzione è la netta spaccatura tra il risultato nella Svizzera francese e quello nel resto del Paese. Tutti i Cantoni romandi hanno accettato l‟adesione allo SEE, spesso con percentuali importanti, come Neuchâtel (80%), Vaud (78.3%) e Ginevra (78.1%). Significativamente le percentuali di approvazione più basse nella regione si riscontrano in Vallese (55.8%) e a Friburgo (64.9%), dove sono presenti importanti minoranze germanofone. L‟integrazione nello SEE è, invece, stata rifiutata dalla totalità dei Cantoni svizzerotedeschi, ad eccezione di Basilea, e dal Ticino. Le percentuali sono state particolarmente importanti nelle regioni rurali come Uri (74.9%), Svitto (73.3%) e Obvaldo (71.8%), mentre nelle aree a forte concentrazione urbana, come Zurigo (51.5%) e Berna (52.4%), il risultato è stato più incerto. Un‟inchiesta condotta da Hanspeter Kriesi (Kriesi/Wernli/Sciarini/Gianni, 1996) presenta un‟analisi delle divergenze regionali registrate nel referendum che, indirettamente, rafforza la teoria del comportamento elettorale enunciata da Pizzorno (1991). La ricerca, fondata su un campione di interviste, comparava la correlazione esistente, presso la collettività germanofona e quella francofona, tra tre temi di grande attualità nel 1992: le relazioni con la CE, la riforma delle istituzioni e l‟esistenza o meno di un fossato linguistico capace di minare la coesione nazionale. I risultati principali di questa analisi mostrano come le tre problematiche venissero relazionate diversamente nella Svizzera tedesca ed in quella francese. I romandi interpellati si erano espressi prevalentemente a favore di un‟apertura del Paese verso la CE, nel contempo si sono detti favorevoli ad una riforma delle istituzioni, ma hanno manifestato preoccupazione rispetto all‟evoluzione della coesione nazionale. La 80 Allegato 2 : i risultati nazionali e cantonali complessivi della votazione. 172 maggioranza del campione composto da svizzero-tedeschi, al contrario, si opponeva tanto ad un avvicinamento alla CE quanto ad una riforma istituzionale, ma non mostrava particolare preoccupazione rispetto all‟esistenza di un fossato linguistico-culturale tra le regioni linguistiche. Kriesi (1996) interpreta queste differenze con l‟esistenza di forme diverse di tradizionalismo, del desiderio della ripetizione e dell‟invarianza, in contrasto con la realtà sostanziale di un ordine del costume in continua evoluzione (Hobsbawm, 1995). La tradizione, presso la collettività francofona, sarebbe percepita come minacciata dall‟accrescersi delle divergenze tra le regioni linguistiche, al fine di conservare lo status quo sarebbe pertanto risultata accettabile una trasformazione delle istituzioni politiche e delle relazioni con gli altri Stati. Il gruppo germanofono, invece, considererebbe l‟assetto istituzionale e il modello di relazioni internazionali vigenti intrinsecamente legati alle tradizioni e sarebbe per questo restio a modificarli. Le conclusioni a cui giunge Kriesi (1996) sono coerenti con quelle, più generali, esposte da Pizzorno (1991). La razionalità dei votanti nel processo di adesione ad un modello culturale a cui fare riferimento è influenzata da condizioni strutturali, derivanti dai codici di identificazione collettiva, che definiscono il contesto in cui una determinata organizzazione delle relazioni sociali è giudicata più soddisfacente rispetto ad altre. L‟assenza di un‟analisi comparata a livello regionale dei discorsi pubblici tenuti in occasione della campagna precedente al referendum impedisce di trovare riscontri alla teoria di Véron (1995), secondo cui l‟azione dei massmedia, indipendentemente dal modello culturale a cui fanno riferimento gli agenti mediatori, porterebbe ad un rafforzamento delle condizioni strutturali identitarie entro cui sono prese le scelte di voto. Uno studio di Christian Schärer (1996) sui contenuti proposti durante la campagna evidenzia che essi vertevano, in particolare, sulla neutralità, sul federalismo, sulla democrazia diretta, sulla sovranità nazionale e sulle relazioni internazionali. I temi trattati riguardavano, dunque, la Svizzera come sistema-Paese e non le singole realtà regionali. Queste conclusioni sembrano indicare che anche in questa votazione, come in quelle sulle procedure di naturalizzazione che esamineremo nel prossimo capitolo, la differente architettura dei segmenti linguistici dello spazio pubblico elvetico abbia portato ad un diverso inquadramento della discussione politica (Widmer, 2004a). 173 2.4 Conclusioni. Nel precedente capitolo abbiamo proposto un modello per la comprensione teorica del processo di problematizzazione pubblica. Sono state individuate due tipologie ideali di attori, gli imprenditori morali (Becker, 1963) ed i chierici mediatori (Gellner, 1983), a ciascuno dei quali è attribuita una specifica legittimazione sociale a partecipare al dibattito politico. Essi, a partire dalle loro rappresentazioni sociali (Moscovici, 1973), individuano aspetti della società che debbono essere portati a conoscenza dell‟opinione pubblica al fine di essere normalizzati. Le relazioni riflessive che questi attori intrattengono il resto della società sono condizionate da modelli culturali (Touraine, 1973) e da codici di identificazione collettiva (Eisenstadt/Giesen, 1995). I primi sono orientamenti teorici che guidano la definizione dei rapporti sociali in relazione alle problematiche poste dalla modernità. I secondi definiscono i criteri di distinzione vigenti in una collettività (Eisenstadt, 1998). Alfine di rendere partecipe l‟intera comunità delle situazioni problematizzate sulla base delle loro rappresentazioni, i diversi attori le propongono nello spazio pubblico attraverso i mezzi di comunicazione di massa (Wolton, 1991; Wolf, 1996). In questo contesto, i modelli culturali – promossi da movimenti storici (Touraine, 1973), partiti e altri gruppi organizzati di imprenditori morali, e rafforzati da una visione ideologica complessiva della società (Althusser, 1965, 1970) – sono all‟origine dei contenuti del dibattito. I codici di identificazione collettiva, invece, determinano – attraverso l‟attività degli agenti di mediazione, cioè giornalisti ed intellettuali – l‟inquadramento concettuale entro cui si svolge la discussione. La decodifica dei discorsi mediatici da parte del pubblico potrà poi dare luogo ad una lettura preferita, se il modello culturale e la produzione ideologica che lo accompagna vengono accettati, o oppositiva, se sono rifiutati (Hall, 1980). In questo capitolo sono state analizzate le strutture attraverso le quali problema sociale può divenire pubblico nel contesto svizzero attuale. 174 A partire da una riflessione di Jean Widmer (2004a, 2004b) si è individuato nel rapporto che una collettività intrattiene con la propria lingua un fattore decisivo nella costruzione delle identità collettive. Storicamente, la religione era il principale elemento di codificazione identitaria di una società (Eisenstadt/Giesen, 1995), a partire da essa, infatti, il ceto aristocratico legittimava (Weber, 1922) la sua posizione dominante all‟interno delle strutture sociali. La successiva affermazione della borghesia ha reso lo spazio pubblico la principale istituzione legittimatrice di una categoria sociale che fonda il proprio potere sul mercato che, a sua volta, per funzionare correttamente necessita di un luogo ove sia possibile discutere l‟organizzazione razionale dello Stato (Habermas, 1962). La Svizzera si è dotata, a partire dalla metà dell‟Ottocento, di una struttura federalista che le ha permesso, contrariamente a quanto avvenuto in molti Paesi europei affacciatisi alla modernità, di preservare le sue diverse componenti idiomatiche (Widmer, 2004b). Questo ha portato ad una progressiva segmentazione linguistica dello spazio pubblico tanto nella fruizione da parte del pubblico (Kriesi/Wernli/Sciarini/Gianni, 1996), quanto nella gerarchizzazione dei contenuti (Hungerbühler, 2002; Beck/Schwotzer, 2006) e nelle forme di mediazione proposte (Corboud-Fumagalli, 1996). I diversi gruppi linguistici hanno sviluppato una sempre maggiore autonomia nella costruzione dei discorsi pubblici ed una, conseguente, accentuazione delle differenze nella codifica delle rispettive identità. Un elemento fondamentale che concorre a questo fenomeno è dato dal modo in cui queste collettività istituzionalizzano i loro idiomi (Widmer, 2004a). La collettività germanofona per diverse ragioni storiche, a partire dal XX secolo, pratica una diglossia dalle caratteristiche molto specifiche (Haas, 1985a). Accanto al tedesco standard, utilizzato nell‟espressione scritta, essa adotta lo Schweizerdeutsch, un idioma istituito unicamente attraverso l‟oralità che viene usato nella maggior parte dei contesti sociali (Ris, 1983; Rash, 1998), anche nei massmedia (Trebbe e altri, 2009) e nel dibattito politico (Hungerbühler e altri, 2008). Simili caratteristiche non si presentano, invece, nelle regioni di lingua latina, il gruppo francofono, anzi, ha conosciuto la pressoché sparizione di ogni forma dialettale (Knecht, 175 1985), quello italofono, pur utilizzando in netta prevalenza l‟italiano standard, vive, secondo alcuni ricercatori, la nascita di un neodialetto, creato dai media elettronici (Bianconi, 1986) e recentemente approdato nello spazio pubblico (Widmer, 2004a). Al diverso rapporto alla lingua corrispondono distinte modalità di identificazione collettiva e di strutturazione dello spazio pubblico. La collettività svizzero-tedesca ha un rapporto metonimico con il proprio idioma, considerandolo una parte integrante ed imprescindibile della propria identità. Le altre due collettività hanno con esso una relazione di tipo metaforico, accettando che altre comunità usino la stessa lingua. Un rapporto metonimico con un idioma unicamente parlato, come lo Schweizerdeutsch, implica la creazione di una frontiera quasi naturale tra i membri della collettività e chi non ne fa parte, a questi ultimi, infatti, sono preclusi gli strumenti formali che una lingua standardizzata assicura a chi vuole apprenderla. Una volta superato il confine, i nuovi venuti tenderanno, però, ad essere accolti con uno spirito comunitario da chi riconosce loro di avere superato un rito di iniziazione. Una relazione metaforica con un idioma istituzionalizzato attraverso la scrittura, al contrario, porta a delle frontiere comunitarie più permeabili, dal momento che la lingua è utilizzata anche da altre collettività ed è, comunque, apprendibile attraverso metodi tradizionali. In questo caso, però, il superamento del confine linguistico apre la strada ad un processo più graduale di integrazione. L‟uso di un idioma orale nello spazio pubblico ha, anche, conseguenze importanti sulla legittimità sociale dei chierici mediatori, storicamente detentori dell‟uso corretto della lingua scritta; ad essi non è, infatti, riconosciuto il medesimo prestigio di cui godono presso le collettività che non contemplano l‟utilizzo di un idioma non standardizzato al di fuori della sfera privata (Widmer, 2004a). Dopo aver descritto il processo di formazione dei codici identitari presso le collettività linguistiche elvetiche, abbiamo analizzato la loro influenza nel dibattito politico, la loro interazione con gli altri elementi costitutivi delle rappresentazioni sociali, i modelli culturali e le ideologie. Per farlo, è occorso considerare un tratto caratteristico del 176 sistema politico elvetico: la democrazia diretta. L‟importanza accordata al referendum ed all‟iniziativa popolare, da un lato focalizza la discussione pubblica su specifici problemi culturali riducendo l‟importanza della componente ideologica e mettendo in condizione i cittadini di rapportarsi direttamente ai modelli culturali (Kriesi, 2005), dall‟altro limita il potere dei partiti politici tradizionali, che propongono progetti globali di società, in favore dei movimenti sociali, che si battono su questioni specifiche (Kriesi, 1998). Abbiamo, infin,e preso in esame il caso della votazione popolare sull‟adesione allo SEE, i cui risultati illustrano molto bene le implicazioni identitarie in determinate scelte politiche. Le variazioni elettorali registrate tra le regioni linguistiche mostrano come, quando le conseguenze di un voto non sono facilmente identificabili razionalmente, i cittadini ricerchino nelle identificazioni collettive le condizioni strutturali per effettuare una scelta (Pizzorno, 1991). Nel prossimo capitolo analizzeremo i discorsi mediatici avvenuti in occasione delle votazioni sulle procedure di naturalizzazione e vedremo come questi, indipendentemente dal loro orientamento, contribuiscano a rafforzare l‟identità delle diverse collettività linguistiche (Véron, 1995). 177 Capitolo III: Analisi dei discorsi pubblici in occasione delle campagne per le votazioni sulle procedure di naturalizzazione. Nei precedenti capitoli ci siamo occupati da un punto di vista prevalentemente teorico del fenomeno della problematizzazione sociale in Svizzera. Abbiamo dapprima considerato in maniera generale i meccanismi e gli attori implicati nella costruzione di un problema sociale, in seguito ci siamo soffermati sulle caratteristiche e le specificità dello spazio pubblico svizzero. Gli attori collettivi legittimati socialmente a partecipare al dibattito pubblico, gli imprenditori morali e i chierici mediatori, problematizzano una situazione sociale sulla base delle proprie rappresentazioni queste derivano da modelli culturali e dalle identità collettive che forniscono il quadro entro cui questi orientamenti prendono forma. In Svizzera i diversi movimenti storici, portatori ciascuno dei propri modelli culturali, si confrontano, nella maggior parte dei casi, in occasione di consultazioni popolari dove specifiche situazioni sociali sono discusse a livello nazionale. Molto sovente l‟oggetto in votazione ha implicazioni tali da impedire all‟elettore di fondare la sua scelta su base puramente razionale mettendolo in condizione di dover ricercare nelle identità collettive le condizioni strutturali per prendere la propria decisione. L‟obbiettivo di questo capitolo è di studiare le differenze riscontrabili nei discorsi sul tema delle naturalizzazioni nei tre segmenti linguistici dello spazio pubblico mediatizzato. Verranno presi in esame i discorsi mediatici – in particolare quelli presenti sui giornali, ma anche, in minore misura, nei programmi televisivi – svoltisi su una dimensione 178 specifica relativa alla problematizzazione pubblica della situazione della popolazione straniera residente in Svizzera: quella inerente alle procedure di naturalizzazione81. Innanzitutto presenteremo una panoramica generale della problematica della naturalizzazione, contestualizzandola nell‟evoluzione del dibattito pubblico sugli stranieri, analizzando le procedure che la regolano e la natura delle modifiche legislative poste in votazione. In seguito - avvalendoci di una parte dei risultati di una recente ricerca sul rapporto tra le lingue, i massmedia e le identità politiche a cui abbiamo partecipato (Hungerbühler e altri 2008) – prenderemo in considerazione le differenze che si riscontrano nei quadri semantici della discussione pubblica nelle tre regioni linguistiche e il diverso ruolo che chierici mediatori ed imprenditori morali svolgono all‟interno del dibattito. Al fine di perseguire questi due obbiettivi presenteremo un‟analisi di contenuto (Entman, 1993, Ferree a altri, 2002) sugli articoli tratti da due giornali di ciascuna regione linguistica durante le campagne di voto. Ciò che permetterà di stabilire le aree concettuali entro cui si inseriscono le argomentazioni dei diversi attori collettivi. Proporremo inoltre un‟analisi qualitativa dei discorsi (Véron, 1985) nei dibattiti televisivi svoltisi nella campagna del 2004 allo scopo di illustrare le diverse modalità di mediazione proposte nei tre segmenti linguistici dello spazio pubblico svizzero. 81 Le votazioni sulle procedure di naturalizzazione sono state, negli ultimi venticinque anni, molto numerose, si è infatti ricorso alle urne nel 1983, 1994, 2004 e 2008, ciò che testimonia il fatto che si tratta di un tema particolarmente sentito nel Paese. 179 3.1 Problematiche inerenti le procedure di naturalizzazione. Le procedure di naturalizzazione svizzere, fondate su un sistema di decisione strutturato su tre livelli – comunale, cantonale e federale – costituiscono un caso unico al mondo. Prima di addentrarci, però, sui meccanismi legislativi che le regolano, vedremo come il dibattito politico sulla loro evoluzione si inserisca in uno più ampio che riguarda i diversi aspetti sociali legati alla popolazione straniera residente nel Paese. 3.1.1 Origini dei dibattiti pubblici sul tema degli stranieri. Nel corso della storia contemporanea svizzera, determinati movimenti storici, sovente capeggiati da imprenditori morali particolarmente carismatici, hanno a più riprese problematizzato socialmente la presenza della popolazione straniera residente avvalendosi degli strumenti della democrazia diretta per promuoverne il contingentamento e la limitazione dei diritti. A partire dal secondo dopoguerra la percentuale degli stranieri è aumentata in modo considerevole. Le ondate migratorie di lavoratori venuti dai Paesi limitrofi hanno portato la proporzione di persone non autoctone residenti dal 6.1% del 1950 al 17.2% del 1970. Il progressivo sviluppo delle relazioni bilaterali con l‟UE, ed in particolare gli accordi bilaterali del 2002, contribuiscono probabilmente a spiegare l‟ulteriore incremento che ha portato il rapporto al 22.1% nel 2007 (Rausa/Reist, 2008: 11-14). Occorre domandarsi se questo incremento sia la causa scatenante delle azioni politiche ostili agli stranieri. Da un lato, infatti, i dati sembrano tali da rendere plausibile un certo allarme da parte di alcuni segmenti sociali, d‟altra parte occorre ricordare che questi valori sono difficili da comparare a livello internazionale dal momento che dipendono, anche, dal tipo di politica di naturalizzazione attuato. I contributi di Kurt Imhof (1996a: 299-314) e, soprattutto, Gaetano Romano (1996: 2535) sembrano escludere una correlazione tra l‟aumento dei flussi migratori e 180 l‟inasprimento del dibattito pubblico. Entrambi i ricercatori concordano che la problematizzazione delle situazioni sociali legate alla popolazione straniera residente tendono a raggiungere a il loro acme quando, a causa di altri fattori, la coesione nazionale appare minacciata. Già durante la seconda metà dell‟Ottocento, in un periodo di forti tensioni tra liberali e conservatori, nell‟agenda politica apparvero tematiche xenofobe; in particolare, nel 1893, venne accettata in votazione popolare una controversa iniziativa, promossa dalla Società svizzero-tedesca per la protezione degli animali, che vietava, di fatto, la macellazione rituale in uso presso gli ebrei (Krauthammer, 2000). A partire dagli anni ‟30, in concomitanza con l‟emergere dei nazionalismi nel resto d‟Europa, sorsero paure e diffidenze nei confronti del diverso e le autorità iniziarono a prendere nuove misure di protezione dall‟elemento straniero (Gast, 1997). Quando la Seconda guerra mondiale apparve come un elemento ineluttabile venne elaborata la dottrina della Difesa spirituale che consistette, in pratica, in una reideologizzazione della società. La Confederazione era presentata come un caso unico, un Sonderfall, una collettività non fondata sull‟unità linguistica, ma su un legame comunitario tradizionale. Non è casuale, infatti, che il riconoscimento del romancio come lingua nazionale dati del 1938, probabilmente per affermare un‟identità elvetica capace di accordare pieni diritti anche alla più piccola delle sue componenti idiomatiche autoctone (Widmer, 2004b). In questo contesto le barriere poste agli stranieri, nella fattispecie ai profughi, erano giustificate come necessarie alla preservazione di questo modello sociale e costituivano un‟alternativa alle concezioni etnico-razziali imperanti nei vicini Stati totalitari (Romano, 1998: 143-159). I decenni successivi alla fine della guerra videro affluire in Svizzera molta manodopera – prevalentemente di origine europea, in particolar modo italiana – attratta dalle prospettive professionali offerte da un Paese in forte crescita economica. Tra le fine degli anni ‟60 e la metà dei ‟70, paradossalmente quando i flussi migratori iniziarono a 181 diminuire a causa di una fase di recessione, il dibattito pubblico su questo tema si accrebbe considerevolmente (Romano, 1996). Il movimento di estrema destra Azione nazionale, nel 1970 e nel 1974, aveva, infatti, promosso due iniziative popolari per combattere – con una severità oltre il limite della spietatezza 82 – il fenomeno dell‟”inforestierimento” (Überfremdung) attraverso una politica di contingentamento della popolazione straniera. Il leader carismatico che animava questo movimento estremista era James Schwarzenbach, erede di una delle più importanti e facoltose dinastie industriali di Zurigo. Nonostante la sua fosse una famiglia di tradizione protestante, egli si era convertito in giovane età al cattolicesimo aderendo alle correnti più conservatrici presenti in questa religione. Grande ammiratore del dittatore spagnolo Francisco Franco e strenuo oppositore del socialismo e del liberalismo, Schwarzenbach idealizzava il ritorno ad una Svizzera patriarcale, rurale e precapitalista (Drews, 2005). In occasione dell‟iniziativa del 1970, che passerà alla storia come “Iniziativa Schwarzenbach”, il politico zurighese impose nel dibattito pubblico dei discorsi apertamente xenofobi. Un esempio della sua retorica è ricordato da Gian Antonio Stella – autore, tra l‟altro, di un saggio, L‟orda (2003), sull‟emigrazione italiana in Svizzera – in un articolo sul Corriere della Sera: “I vecchi, le mogli, i figli degli italiani sono braccia morte che pesano sulle nostre spalle. Che minacciano nello spettro d' una congiuntura lo stesso benessere dei nostri cittadini. Dobbiamo liberarci del fardello. Respingere dalla nostra comunità immigrati che abbiamo chiamato per i lavori più umili e che nel giro di pochi anni, dopo il primo smarrimento, si guardano attorno e migliorano la loro posizione sociale.”83 Le due iniziative prevedevano delle quote massime di popolazione straniera residente consentite ad ogni Cantone, ciò che avrebbe portato al disgiungimento forzato di innumerevoli nuclei familiari. La prima, inoltre, proponeva l‟inserimento di norme discriminatorie nel diritto del lavoro. Il relativo successo ottenuto dalle iniziative (entrambe respinte, rispettivamente dal 54% e dal 65.8% dei votanti) suscitò, infatti, numerose critiche internazionali. 83 Corriere della Sera, 27.8.2002, p.9 82 182 La parabola di Schwarzenbach fu relativamente breve, già nel 1971 abbandonò l‟Azione nazionale a causa di dissidi interni e fondò un proprio partito, i Repubblicani svizzeri. Pur restando ancora per alcuni anni il principale punto di riferimento della Destra radicale, egli non riuscì più a incidere sulla politica nazionale. Il declino del suo astro politico coincise con la frammentazione e la progressiva irrilevanza della galassia dei movimenti xenofobi estremisti. Probabilmente in reazione al dibattito degli anni precedenti, dominato da forze politiche ostili alla popolazione straniera, i partiti ed i movimenti di Sinistra iniziarono anch‟essi a problematizzare pubblicamente questo tema. La loro azione si concretizzò con un‟iniziativa popolare, largamente battuta in votazione nel 1981, un‟estensione dei servizi sociali alla popolazione straniera che proponeva e con un vittorioso referendum, nel 1994, che consentiva l‟introduzione di una norma che rendeva punibili le affermazioni razziste. (Windisch, 2002: 54-75). L‟inizio degli anni novanta, ed in particolare il periodo successivo al referendum sull‟adesione allo SEE (cfr. 2.3.4), fu caratterizzato da una profonda trasformazione dell‟Unione Democratica di Centro, che da partito rappresentativo del ceto agrario divenne - sotto la guida della sua ala zurighese, capeggiata da Christoph Blocher – una formazione decisamente nazionalista ed antieuropeista. Ancor‟oggi, una parte importante del consenso elettorale dell‟UDC è dovuto ai discorsi xenofobi ed alle iniziative anti-stranieri promosse nel corso degli anni. Una recente ricerca (Skenderovic/D‟Amato, 2008) evidenzia come l‟UDC sia riuscita a fagocitare i movimenti estremisti di Destra, riprendendo la loro tematizzazione degli stranieri quale fonte di criminalità e di impoverimento economico84, ma ponendo anche l‟accento sulle differenze e sull‟incomunicabilità tra la cultura autoctona e quelle provenienti dall‟estero, in particolare dal mondo mussulmano85. Negli ultimi due decenni, l‟UDC – o i movimenti d‟opinione che erano, di fatto, sue emanazioni – ha promosso votazioni 84 85 Costituiscono un buon esempio i manifesti allegati 3A e 3B. Allegato 3C. 183 volte sia ad inasprire le leggi che regolano l‟immigrazione, sia a porre limitazioni a manifestazioni culturali non autoctone: gli ultimi due esempi sono, rispettivamente, l‟iniziativa “per l'espulsione degli stranieri che commettono reati” (2010) e l‟iniziativa “contro l‟edificazione di minareti” (2009). Le procedure di naturalizzazione, sino all‟inizio degli anni‟80, non avevano costituito una tematica centrale nei discorsi pubblici sugli stranieri. Il numero di persone che annualmente acquisivano la cittadinanza era aumentato in valore assoluto, ma il tasso di naturalizzazione lordo86 restava costantemente attestato attorno all‟ 1-1.5% (Rausa/Reist, 2008: 28-32), un dato, quest‟ultimo, sorprendentemente basso tenendo conto - come hanno fatto Philippe Wanner e Étienne Piguet (2002), prendendo in considerazione un periodo successivo – che gran parte degli immigrati risiedeva nel Paese ormai da molti anni e si era integrata nel tessuto sociale ed economico elvetico. L‟iniziativa di rendere più facile l‟accesso alla cittadinanza è stata presa dalle autorità federali e doveva costituire una risposta pragmatica ad un inasprimento delle procedure di naturalizzazione che alcuni Comuni e Cantoni avevano posto in essere negli anni in cui la propaganda sull‟”inforestierimento” promossa dall‟Azione nazionale era particolarmente intensa (Studer/Arlettaz/Argast, 2008: 108-117). Il Consiglio federale ha promulgato a tre riprese (1983, 1994, 2004) un decreto che, con sfumature diverse, mirava ad agevolare le procedure per i giovani nati e cresciuti in Svizzera, in ogni circostanza la decisione governativa è stata sottoposta a referendum ed è stata sconfitta. Come vedremo più nel dettaglio in seguito (cfr. 3.1.2), la vittoria dei fautori del referendum nel 2004 – piuttosto sorprendente, dal momento che nel 1994 la riforma era stata rifiutata di strettissima misura – ha incoraggiato l‟UDC a promuovere un iniziativa popolare (2008), poi rifiutata in votazione, tesa a rafforzare il potere decisionale dei Comuni, ciò che, di fatto, avrebbe reso più difficoltosa l‟acquisizione della cittadinanza per i richiedenti. 86 il tasso di naturalizzazione lordo è dato dal numero di individui che acquisiscono la cittadinanza ogni cento stranieri residenti. 184 3.1.2 Aspetti legislativi. In questo paragrafo analizzeremo la legislazione concernente le procedure di naturalizzazione così come si presenta oggi. In particolare ci soffermeremo sugli articoli costituzionali che e la riguardano e, soprattutto, sulle implicazioni della Legge sulla Cittadinanza (LCit). In seguito, prenderemo in considerazione le votazioni che si sono svolte su questo tema dal 1983 al 2008. Presenteremo le istanze proposte, le prese di posizione dei diversi attori collettivi e gli esiti nazionali e cantonali. La naturalizzazione è il principale mezzo con cui avviene l‟acquisizione della nazionalità svizzera, le altre modalità, molto meno diffuse, sono l‟adozione da parte di un cittadino elvetico, il riconoscimento della cittadinanza e la reintegrazione. La naturalizzazione è regolamentata attraverso gli articoli 37 e 38 della Costituzione federale87 e dalla Legge sulla Cittadinanza (LCit.)88. Quest‟ultima disposizione entrò in vigore nel 1952 ed era il riflesso di una corrente di pensiero, attiva fin dagli anni ‟30, secondo cui l‟integrazione alla collettività costituirebbe il prerequisito indispensabile per l‟ottenimento della cittadinanza. Essa si contrapponeva alla filosofia, dominante sino ad allora, secondo cui la naturalizzazione era concepita come il primo passo verso l‟assimilazione (Studer/Arlettaz/Argast, 2008: 67-99). La LCit. è stata oggetto di revisione nel 1992 e nel 2006 permettendo, rispettivamente, l‟eliminazione delle discriminazioni fondate sul sesso, che rendevano più difficile accedere alla cittadinanza al marito straniero di una donna svizzera che non viceversa, e di quelle che riguardavano i figli di coppie miste nati fuori dal matrimonio. Attualmente è in discussione un ulteriore aggiornamento che dovrebbe focalizzarsi sugli aspetti linguistici del processo di integrazione e sullo statuto degli apolidi. Come abbiamo accennato in precedenza, le procedure si reggono su un sistema fondato su un triplice livello istituzionale e geografico. Per accedere alla cittadinanza occorre, 87 88 Allegato 4 Allegato 5 185 infatti, un responso positivo da parte delle autorità federali, cantonali e comunali e la decisione finale spetta a queste ultime. Esistono due modalità di naturalizzazione, quella ordinaria e quella agevolata89. La naturalizzazione ordinaria viene effettuata a partire dall‟inoltro al proprio Comune di domicilio della candidatura da parte dello straniero. Le autorità comunali trasmettono poi il dossier al Cantone ed alla Confederazione al fine di ottenerne l‟approvazione prima di prendere esse stesse la decisione definitiva dopo aver valutato il candidato. La procedura ordinaria richiede l‟integrazione alla comunità svizzera, l‟adeguamento alle leggi, agli usi ed ai modi di vita nazionali ed il rispetto della sicurezza esterna ed interna del Paese (art.14, LCit.). Essa necessita, inoltre, una durata di residenza in Svizzera di 12 anni, di cui tre nel corso dei cinque che precedono il deposito della candidatura (art.15 LCit.). Nel computo totale degli anni di residenza richiesta, quelli che il candidato ha trascorso nella fascia di età tra i dieci ed i venti contano doppio90. La naturalizzazione agevolata, introdotta con la riforma legislativa del 1992, è concessa, previa domanda del candidato, dalla Confederazione. I Cantoni, così come i Comuni, sono interpellati ma non hanno alcun potere decisionale all‟infuori del diritto di ricorso. Lo straniero che desidera ottenere la cittadinanza svizzera in procedura agevolata deve essersi integrato nella collettività svizzera ai sensi dell‟art. 14 della LCit. Allo stato attuale, possono beneficiare di questa procedura coloro che hanno rapporti di parentela stretta con un cittadino della Confederazione91. La differenza sostanziale tra queste due procedure risiede nel livello istituzionale in cui avviene la decisione definitiva. Nel caso della naturalizzazione ordinaria, è il Comune di domicilio a prenderla, in quella agevolata è la Confederazione. 89 http://www.bfm.admin.ch/content/bfm/it/home/themen/buergerrecht.html. (Ultima verifica: 1.6.2010) 90 http://www.bfm.admin.ch/content/bfm/it/home/themen/buergerrecht/einbuergerung/ordentliche_einb uergerung.html (Ultima verifica: 1.6.2010) 91 http://www.bfm.admin.ch/content/bfm/it/home/themen/buergerrecht/einbuergerung/erleichterte_einb uergerung.html (Ultima verifica: 1.6.2010) 186 È evidente che in quest‟ultimo caso il processo è meno complesso e garantisce al richiedente un trattamento uniforme a livello nazionale. A livello comunale e cantonale, infatti, i fondamenti su cui si basano le pratiche per l‟attribuzione della cittadinanza variano in maniera sostanziale, in alcuni casi prevale il principio dello ius sanguini in altri quello dello ius soli. La maggior parte dei Cantoni, ad eccezione Uri e Obvaldo, prevedono delle facilitazioni di varia natura per gli stranieri nati in Svizzera. A Ginevra, ad esempio, il processo di decisione è di esclusiva pertinenza cantonale. Berna, Friborgo e Vaud prevedono un conteggio doppio degli anni di residenza ai giovani nati nel Paese, mentre il Ticino consente, dal 1972, agevolazioni a coloro che, residenti nella Confederazione dalla nascita, ne facciano richiesta tra i 12 ed i 22 anni d‟età (Wicker, 2002). Per quanto riguarda il comportamento delle autorità comunali, è possibile individuare due gruppi che hanno un atteggiamento radicalmente opposto tra loro rispetto alle procedure di naturalizzazione. Un esteso gruppo, che include i principali Comuni urbani, adotta approssimativamente la filosofia auspicata dal Consiglio federale ed applicano un‟interpretazione estremamente liberale delle legislazioni nazionali e cantonali, semplificando le procedure e considerando le decisioni sull‟attribuzione della cittadinanza a determinate categorie, in particolare i giovani nati e cresciuti nel Paese, degli atti amministrativi e non politici. Vi sono, però, altri Comuni, in particolare nella Svizzera centrale ed orientale, che si attengono strettamente al principio dello ius sanguini. Per essi l‟attribuzione della cittadinanza è sostanzialmente un azione politica che sancisce la piena assimilazione dell‟individuo alla collettività. In alcuni Comuni le naturalizzazioni sono decise in votazione popolare; ha destato scalpore, in proposito, quanto avvenuto a più riprese ad Emmen (LU), dove le richieste di cittadini provenienti dai Balcani e dal Medio Oriente venivano sistematicamente respinte (Steiner/Wicker, 2000). La ragione fondamentale che ha portato a numerose votazioni federali sul tema delle naturalizzazioni (cfr. 3.1.3) è legata a quest‟ultimo gruppo di Comuni. Come ricorda Marc Helbling (2008), infatti, la differenziazione regionale nelle pratiche di attribuzione della cittadinanza non è dovuta tanto a specificità socio-strutturali, quanto a diversità 187 nelle tradizioni politiche. I Comuni in cui la Destra populista è molto rappresentata ed in cui si ricorre alla democrazia diretta per questo tipo di decisioni, tendono ad applicare parametri decisamente più restrittivi rispetto al resto del Paese. Questo perché le autorità locali sono in grado di influenzare le scelte di cittadini che, tutelati dall‟anonimato, sono già di per sé meno responsabilizzati rispetto alle conseguenze sulla vita del candidato causate da un loro voto negativo. 3.1.3 Votazioni popolari (1983-2008). Nel periodo che intercorre tra il 1983 ed il 2008 le naturalizzazioni sono state oggetto di ben cinque consultazioni popolari. Quattro di queste (1983, 1994 e due nel 2004) erano dei referendum lanciati a seguito di decreti governativi che miravano a centralizzare a livello federale le procedure alfine di agevolare l‟acquisizione della cittadinanza ai giovani stranieri nati e cresciuti nel Paese. La quinta (2008), un iniziativa popolare lanciata dall‟UDC, si proponeva uno scopo diametralmente opposto, quello di rafforzare il diritto dei Comuni di fare delle naturalizzazioni una materia di dibattito politico. L‟analisi di queste votazioni popolari ci permette, da un lato, di comprendere appieno le loro implicazioni politiche e giuridiche e, dall‟altro di osservare le ripartizioni cantonali e regionali dei risultati. Referendum sul decreto federale inteso ad agevolare certe naturalizzazioni (1983). Il decreto federale del 24.06.1983 proponeva una modifica della Costituzione allora vigente attraverso l‟introduzione del seguente articolo: Art. 44bis La Confederazione può agevolare la naturalizzazione dei giovani stranieri cresciuti in Svizzera, come pure dei rifugiati e degli apolidi che si siano adattati alle condizioni di vita svizzere. 188 Questa riforma, promossa dal Consiglio federale, era la prima dall‟entrata in vigore della Legge sulla Cittadinanza nel 1952. Ciò non di meno, la naturalizzazione agevolata dei cittadini stranieri nati in Svizzera era stata oggetto di dibattito parlamentare già negli anni sessanta e settanta. Una novità era invece la proposta di includere i rifugiati e gli apolidi tra i beneficiari. Occorre comprendere che il contesto storico in cui si è svolta questa votazione era profondamente diverso da quello odierno e queste due categorie erano costituite prevalentemente da individui coinvolti dai conflitti generati dalla Guerra Fredda. A favore della riforma si erano schierati i maggiori partiti, compresa l‟Unione Democratica di Centro, e quasi tutte le associazioni di categoria, mentre vi si opponevano i partiti ed i movimenti di estrema destra92. Nonostante l‟appoggio dei principali attori istituzionali, la riforma è stata respinta a livello nazionale in modo abbastanza marcato (55.2%) 93. A differenza delle votazioni successive, in questo caso non si notano significative differenze tra le regioni linguistiche. Nella Svizzera francofona, solo i Cantoni Neuchâtel e Giura si sono schierati a favore della riforma mentre gli altri, compresi i due parzialmente germanofoni, l‟hanno bocciata. È particolarmente interessante il caso di Ginevra, che tradizionalmente esprime una notevole apertura nei confronti degli stranieri; in questo caso ha rifiutato la riforma con percentuali nettamente superiori alla media del Paese (68.8%). Ciò è probabilmente spiegabile con il fatto che, data la sua vocazione internazionale, era l‟area del Paese nella quale si trovavano più rifugiati ed apolidi. In Svizzera tedesca, che complessivamente ha rifiutato la riforma, si nota una spaccatura tra aree urbane e rurali. Zurigo e Basilea, infatti, si erano espressi a favore. Il Ticino aveva respinto la modifica costituzionale con percentuali di poco superiori alla media nazionale (59.8%). 92 93 http://www.swissvotes.ch/votes/view/326/list (Ultima verifica: 1.6.2010). Allegato 6 : i risultati complessivi, nazionali e cantonali, della votazione. 189 Referendum sul decreto federale concernente la revisione del disciplinamento della cittadinanza nella Costituzione federale (1994). Il decreto del Consiglio federale sottoposto al voto nel 1994 perseguiva i medesimi obbiettivi di quello del 1983, ma riguardava i soli stranieri nati in Svizzera ed escludeva dalle agevolazioni i rifugiati e gli apolidi. Esso avrebbe riformato la Costituzione attraverso l‟articolo seguente: Art. 44 cpv. 3 e 4 3 La Confederazione agevola la naturalizzazione dei giovani stranieri cresciuti in Svizzera. 4 Ex capoverso 3. Anche in questo caso erano favorevoli alla riforma i principali partiti svizzeri e le maggiori associazioni di interesse. L‟UDC appoggiava anch‟essa il cambiamento, ma la sua sezione di San Gallo si era alleata con i partiti di estrema destra94. Il referendum ha avuto risultati controversi; perché questo tipo di votazioni abbia successo occorre, infatti, la maggioranza dei votanti, come era avvenuto in questo caso con il 52.8%, e dei Cantoni, cosa che non si è verificata, nove Cantoni e due Semicantoni si erano espressi a favore, undici e quattro si erano opposti95. In occasione di questa consultazione si è riproposta con forza una discrepanza di risultati tra le regioni linguistiche. I Cantoni puramente francofoni hanno votato a favore della riforma con percentuali molto superiori al 60%. Ginevra, che in occasione della votazione del 1983 si era nettamente opposta, in questo caso, con l‟esclusione dei rifugiati e degli apolidi dalle agevolazioni, l‟ha approvata con il 69.9% dei consensi. Solo il Vallese, che ha una forte minoranza germanofona, l‟ha rifiutata. 94 95 http://www.swissvotes.ch/votes/view/424/list (Ultima verifica: 1.6.2010). Allegato 7: i risultati complessivi, nazionali e cantonali, della votazione. 190 In Svizzera tedesca si constata una spaccatura tra regioni urbane che l‟hanno accettata – come Zurigo, Berna e Basilea, dove il tasso di adesione si aggirava attorno al 55% - e aree rurali che l‟hanno rifiutata. Il Ticino ha ottenuto risultati simili a queste ultime. Referendum sui decreti federali sulla naturalizzazione ordinaria e agevolata per i giovani stranieri di seconda generazione e sull‟acquisizione della cittadinanza degli stranieri di terza generazione (2004). Attraverso questi due decreti, sottoposti a referendum il 26 settembre 2004, il Consiglio federale ha riproposto la problematica di un più facile accesso alla cittadinanza ai giovani nati e cresciuti in Svizzera. Dieci anni prima, come abbiamo visto, una simile iniziativa era stata appoggiata dalla maggioranza dei cittadini, ma solo da una minoranza di Cantoni. Nella Svizzera tedesca, infatti, solo i Cantoni urbani, più popolosi ma meno numerosi, l‟avevano approvata. Il Consiglio federale ha motivato la decisione di una legge a valenza nazionale volta ad agevolare la naturalizzazione di queste due categorie anche con il fatto che: “… diversi Cantoni che avevano approvato il progetto hanno riveduto la loro legislazione in base alla Convenzione di reciprocità … e quindi anche nel senso della modifica costituzionale; e dato che anche altri Cantoni hanno introdotto considerevoli agevolazioni per la naturalizzazione dei giovani stranieri, appare opportuno prevedere ora un altro progetto a livello federale. È inammissibile dover tuttora assistere, in singoli Comuni e Cantoni, al rifiuto ingiustificato e senza alcun motivo di domande di naturalizzazione presentate da giovani stranieri cresciuti nel nostro Paese.”96 Nel decreto federale del 3 ottobre 2001 riguardante la naturalizzazione dei giovani di seconda generazione veniva sottoposta l‟approvazione del seguente costituzionale: 96 Messaggio relativo alla cittadinanza per giovani stranieri e alla revisione della legge sulla cittadinanza del 21 novembre 2001, Foglio federale, p 1743 191 articolo Art. 38 cpv. 2 e 2bis 2 La Confederazione stabilisce i principi per la naturalizzazione degli stranieri da parte dei Cantoni. 2bis La Confederazione agevola la naturalizzazione, da parte dei Cantoni, dei giovani stranieri cresciuti in Svizzera. In quello, sempre del 3 ottobre 2001, concernente gli stranieri di terza generazione: Art. 38 cpv. 1 (nuovo) 1 La Confederazione disciplina l‟acquisizione della cittadinanza per origine, matrimonio e adozione nonché per nascita in Svizzera se almeno un genitore è cresciuto nel Paese. Disciplina inoltre la perdita della cittadinanza svizzera e la reintegrazione nella medesima. Anche nel 2004 le riforme erano appoggiate dalla maggioranza dei partiti e delle associazioni di categoria; ad opporsi, in questa circostanza, non eranp, però, solo le formazioni di estrema destra, ma anche l‟UDC e le sezioni di Zugo, Lucerna e Turgovia del PRD97. Nonostante si trattasse di votare a proposito di due decreti del Consiglio federale, Cristoph Blocher, membro del governo e leader dell‟UDC, durante la campagna di voto ha lasciato chiaramente intendere di essere risolutamente contrario alle agevolazioni per i giovani stranieri, un atteggiamento, questo, che gli è valso le critiche dei suoi colleghi98. Per quanto riguarda i risultati99, a differenza del 1994, nel 2004 le due iniziative governative sono state respinte sia dai cittadini che dai Cantoni, di stretta misura quella sugli stranieri di terza generazione (51.6%), più largamente quella su quelli di seconda (56.8%). 97 http://www.swissvotes.ch/votes/view/526/list e http://www.swissvotes.ch/votes/view/525/list (Ultima verifica: 1.6.2010) 98 http://www.swissinfo.ch/spa/index/Naturalizzazioni:_impegno_minimo_per_Blocher.html?cid=4058 972 Ultima verifica: 1.6.2010) 99 Allegati 8 A e B : i risultati complessivi, nazionali e cantonali dei referendum. 192 Nonostante la leggera discrepanza di risultati a livello nazionale, le differenze tra le aree linguistiche nelle due votazioni sono simili. In Svizzera romanda, i Cantoni esclusivamente francofoni hanno accettato con una larga maggioranza i due decreti, solo il Vallese, parzialmente germanofono le ha rifiutate. Le adesioni alla riforma riguardante gli stranieri di seconda generazione hanno superato il 65% nel Vaud e a Ginevra, e quelle concernenti quelli di terza, addirittura il 70%. In Svizzera tedesca, i due decreti sono stati largamente respinti, con risultati addirittura plebiscitari in alcuni piccoli Cantoni rurali come Uri, Svitto e Appenzello Esterno, che hanno rifiutato le agevolazioni agli stranieri di seconda generazione con percentuali vicine o superiori al 75%. Per quanto riguarda le aree urbane, solo Basilea Città ha accettato entrambi i decreti, mentre Berna solo quello riguardante la terza generazione. Il Ticino ha respinto i decreti con percentuali che si avvicinano a quelle dei Cantoni urbani germanofoni. Iniziativa popolare “per naturalizzazioni democratiche” (2008). Se le precedenti votazioni chiamavano i cittadini a esprimersi su una maggiore centralizzazione a livello federale di talune pratiche di naturalizzazione. L‟iniziativa popolare del 2008 si muoveva in segno opposto: rafforzare le competenze comunali in materia. Essa nasceva in risposta a due sentenze del 9 luglio 2003 del Tribunale federale che, appellandosi al rispetto delle disposizioni costituzionali e dei principi dello Stato di diritto, aveva accolto i ricorsi di cittadini stranieri la cui domanda di naturalizzazione era stata rifiutata dal Comune di Emmen, dove questo tipo di decisioni vengono prese in votazione popolare. In sostanza i promotori dell‟iniziativa richiedevano che fossero i Comuni a poter decidere autonomamente l‟organo incaricato di concedere la cittadinanza comunale, anche quindi, implicitamente, il ricorso alle urne, e che la decisione di naturalizzazione comunale fosse definitiva, escludendo ogni riesame da parte di un‟altra autorità. Per ottenere ciò venne proposta la seguente riforma costituzionale: 193 Art. 38 cpv. 4 Cost. (nuovo) Gli aventi diritto di voto di ciascun Comune stabiliscono nel regolamento comunale quale organo concede la cittadinanza comunale. Le decisioni di tale organo concernenti la concessione della cittadinanza comunale sono definitive. L‟iniziativa era sostenuta dall‟estrema destra e, soprattutto, dall‟UDC, che in quella fase storica si trovava all‟opposizione dato che i suoi due rappresentanti in governo avevano aderito al PBD. Gli altri partiti, ad eccezione delle sezioni di Zugo e Lucerna del PRD, ed il Consiglio federale, invece, vi si opponevano100. L‟iniziativa è stata respinta di larga misura (63.8%) e rifiutata da tutti i Cantoni ad eccezione di Svitto101. Si riscontrano anche in questo caso importanti differenze tra le regioni linguistiche. In Svizzera romanda, nei Cantoni puramente francofoni il tasso di rifiuto ha sempre superato l‟80%, in quelli dove esistono minoranze germanofone ha oscillato tra il 73% ed il 75%. In Svizzera tedesca l‟iniziativa è stata respinta dalla quasi totalità dei Cantoni, ma con percentuali nettamente inferiori a quelle registrate nell‟area francofona. Nelle regioni urbane, il tasso di rifiuto ha oscillato dal 60.7% di Zurigo al 71.5% di Basilea. Molti Cantoni rurali, senza contare Svitto che l‟ha accettata con convinzione (59.9%), hanno rifiutato la proposta con percentuali di poco superiori al 50%. Il Ticino si è opposto all‟iniziativa con una percentuale, 57.8%, superiore ai Cantoni rurali ma inferiore a quelli urbani svizzero-tedeschi. Osservazioni generali. Analizzando i risultati a livello nazionale delle cinque votazioni, si può affermare che i cittadini sono globalmente favorevoli allo status quo per quanto riguarda la legislazione concernente le procedure di naturalizzazione. In ben quattro circostanze sono state 100 101 http://www.swissvotes.ch/votes/view/548/list (Ultima verifica: 1.6.2010) Allegato 9: i risultati complessivi, nazionali e cantonali, della votazione. 194 respinte le proposte governative di centralizzare le decisioni e, di conseguenza, di agevolare l‟ottenimento della cittadinanza ai giovani stranieri cresciuti in Svizzera, ma, nel 2008, è stata rifiutata un‟iniziativa che avrebbe rafforzato il potere dei Comuni in materia, cosa che avrebbe frapposto, di fatto, maggiori ostacoli all‟acquisizione della nazionalità svizzera per molte persone. Esaminando gli esiti delle varie votazioni nelle tre maggiori aree linguistiche si notano importanti differenze. In Svizzera francese – fatta eccezione della consultazione del 1983 che, come abbiamo visto presentava l‟anomalia di includere rifugiati ed apolidi tra i beneficiari delle agevolazioni – si registra un consenso molto ampio rispetto alle proposte governative di rendere più facile l‟accesso alla cittadinanza ai giovani stranieri cresciuti nel Paese. I romandi sembrano accettare di buon grado una centralizzazione delle procedure, come dimostra il loro netto rifiuto all‟iniziativa popolare volta ad accrescere il potere decisionale dei Comuni. In Svizzera tedesca, al contrario, vi sono resistenze molto maggiori rispetto alle agevolazioni per i giovani stranieri – resistenze che, visto il maggiore peso demografico della popolazione germanofona, si rivelano decisive al fine dell‟esito delle consultazioni. In questa regione si registrano importanti differenze tra i risultati elettorali nelle aree rurali, dove vi è una decisa contrarietà alle facilitazioni, e quelle urbane, più favorevoli, ma in misura minore rispetto alla Romandia. Anche per quanto riguarda l‟iniziativa popolare che chiedeva una maggiore delega di potere alle autorità comunali, pur respingendo anch‟essa l‟oggetto, l‟esito è stato molto meno plebiscitario rispetto a quello registrato nell‟area francofona. Il Ticino, nelle votazioni prese in considerazione, ha fatto registrare risultati nettamente più simili a quelli della Svizzera tedesca, ponendosi in una ideale mediana tra i Cantoni rurali e quelli urbani 195 Le votazioni su temi come quelli inerenti le procedure di naturalizzazione, come abbiamo evidenziato nel capitolo precedente, implicano, per i cittadini, delle scelte con una forte valenza identitaria. In questo caso il significato profondo insito nell‟attribuzione della cittadinanza metteva in causa l‟alternativa se per la decisione dovesse prevalere lo ius sanguinis piuttosto che lo ius soli. Se considerare prioritaria la discendenza etnica o la nascita e l‟acculturazione all‟interno del Paese. Nel prossimo paragrafo presenteremo le ipotesi fondamentali relative a come questa problematica, strettamente legata alle identità collettive, viene affrontata nei diversi segmenti dello spazio pubblico svizzero. 3.2 Domanda, ipotesi e metodologie di analisi. La panoramica sul fenomeno della naturalizzazione in Svizzera costituisce il punto di partenza per l‟analisi dei discorsi pubblici che si sono svolti attorno ad esso nel corso delle campagne di voto. Abbiamo visto che i risultati delle votazioni su questo tema differiscono molto nelle tre principali regioni linguistiche e particolarmente significativa è la discrepanza tra Svizzera francese e tedesca. Tali differenze, a fronte di una situazione sociale che è comune all‟insieme del Paese, non possono che suscitare delle domande. Riprendendo l‟elaborazione teorica della costruzione sociale di un problema pubblico presenteremo le ipotesi principali che possono rendere conto di queste spaccature. Dopo aver presentato le caratteristiche dei documenti mediatici che costituiscono il campione ed aver motivato la loro scelta, presenteremo le metodologie d‟analisi. 196 Vedremo nel dettaglio come il metodo fondato sulla frame analysis (Goffman, 1974; Entman, 1993) è stato utilizzato al fine di comprendere in quali quadri semantici si inseriscono i discorsi dei diversi attori riportati sui giornali. Accanto allo studio degli articoli di giornale, che costituisce la parte fondamentale della ricerca, presenteremo la metodologia di un‟analisi qualitativa di alcune trasmissioni televisive svoltesi durante la campagna per il voto sul referendum popolare del 2004 che permetterà di meglio comprendere i ruoli dei chierici mediatori e degli imprenditori morali all‟interno dello spazio pubblico. 3.2.1 Domanda e ipotesi iniziali. Le consultazioni popolari in Svizzera - molto numerose a causa delle specificità del sistema politico vigente nel Paese, fondato sulla democrazia diretta – hanno sovente prodotto risultati profondamente diversi tra le regioni linguistiche. Queste differenze assumono una particolare importanza quando le votazioni concernono temi a forte valenza identitaria (Pizzorno, 1991; Widmer, 2004a), come la legislazione sugli stranieri o le procedure di naturalizzazione. Questo fenomeno è difficilmente spiegabile attraverso la teoria dei modelli culturali (Touraine, 1965, 1973). Dal momento che i temi trattati nelle votazioni concernono problematiche comuni all‟insieme del Paese e che le regioni linguistiche non presentano grosse difformità nella loro struttura socio-economica, anche le possibili proposte in termini di regolazione delle relazioni sociali dovrebbero essere analoghe. Per spiegare le differenze che si riscontrano tra le diverse aree idiomatiche occorre rifarsi al fenomeno relativo alle identità collettive (Eisenstadt/Giesen, 1995) che forniscono agli individui i codici per effettuare delle distinzioni (Eisenstadt, 1998), di differenziare tra noi e loro, tra ciò che è dentro e ciò che è fuori. Nella Svizzera contemporanea ciò che maggiormente definisce le identità collettive è l‟appartenenza linguistica, o meglio il rapporto che le diverse collettività intrattengono con il proprio idioma (Widmer, 2004a,). 197 L‟importanza preponderante delle lingue - rispetto ad altri fattori come quello religioso, o quello relativo alla dimensione urbana piuttosto che rurale - nella costituzione delle diverse collettività elvetiche è dovuta allo stretto legame che intercorre tra i codici di identificazione e lo spazio pubblico (Widmer, 2004b). Quest‟ultimo, infatti, a causa degli effetti della sua progressiva mediatizzazione (Romano, 1999; Imhof, 1996b), risulta sempre più segmentato su base idiomatica (Kriesi/Wernli/Sciarini/Gianni, 1996). Studiando le modalità di istituzionalizzazione delle principali lingue parlate nel Paese, Jean Widmer ha identificato importanti differenze che conducono non solo ad una naturale segmentazione dello spazio pubblico, ma anche ad una sua diversa architettura (Widmer, 2004a). Partendo da questi presupposti, la domanda fondamentale della ricerca è la seguente: Il dibattito pubblico sulla legislazione concernente le procedure di naturalizzazione è influenzato dalle diverse identità collettive che, in Svizzera, sono definite principalmente dall‟appartenenza ad un gruppo linguistico? Al fine di proporre una risposta a questo quesito è possibile formulare due ipotesi principali, il cui fondamento si poggia sia sullo stretto legame di azione-retroazione (Hall, 1980) tra spazio pubblico ed identità collettive, sia sul fatto che queste ultime si caratterizzano per il rapporto che i diversi gruppi intrattengono con la propria lingua. La prima ipotesi riguarda il quadro semantico entro cui si iscrivono le argomentazioni pubbliche sul tema della naturalizzazione ed è espressa sulla base delle forme di identità collettive formulate da Eisenstadt e Giesen (1995) e sulle implicazioni che queste hanno sulle strutture dello spazio pubblico (Widmer, 2004a): Il gruppo germanofono, il cui spazio pubblico è strutturato, anche, su un idioma istituzionalizzato unicamente attraverso l‟oralità, intrattiene un rapporto metonimico con la propria lingua e tende a considerala come un tratto caratteristico e distintivo 198 della propria collettività (Widmer, 2004a) e tende a percepire le frontiere di quest‟ultima come naturali (Eisenstadt/Giesen, 1995). Il quadro semantico entro cui si svolgere la discussione sulle procedure di naturalizzazione è condizionato dal fatto che lo straniero è considerato naturalmente diverso e, di conseguenza, refrattario ad ogni procedura formalizzata di socializzazione. Il superamento della frontiera avviene il più delle volte attraverso riti di iniziazione con una valenza “purificatoria102. Il gruppo francofono e, pur con qualche sfumatura, dovuta alla sporadica introduzione nello spazio pubblico di un neodialetto (Bianconi, 1986), quello italofono, utilizzano una lingua standard, ed hanno con essa un rapporto metaforico, dal momento che accettano che altre popolazioni la utilizzino (Widmer, 2004a). In questo caso i confini della collettività sono percepiti come selettivamente permeabili ed il candidato alla naturalizzazione non è ritenuto naturalmente diverso, è possibile socializzarlo gradualmente agli usi e costumi del gruppo (Eisenstadt/Giesen, 1995), innanzitutto mettendogli a disposizione gli strumenti formali necessari ad apprendere la lingua. La seconda ipotesi si fonda sull‟influenza che le forme di istituzionalizzazione linguistica hanno sullo spazio pubblico: Il dibattito pubblico nelle aree francofone ed italofone sarà caratterizzato per un ruolo più significativo dei chierici mediatori: giornalisti ed intellettuali. Nella regione germanofona sarà più forte la posizione degli imprenditori morali: esponenti dei partiti e dei movimenti sociali. Questa ipotesi si basa sul fatto che presso le popolazioni il cui spazio pubblico è dominato da una lingua istituzionalizzata attraverso la scrittura, la figura del chierico mediatore sia più importante. Una collettività nella quale il dibattito pubblico può Non è affatto da escludere che la tenacia con cui alcuni Comuni della Svizzera centrale ed orientale continuano ad avvalersi della democrazia diretta per accettare o respingere i candidati alla naturalizzazione sia riconducibile all‟intenzione di preservare un rito collettivo di iniziazione. 102 199 avvenire anche attraverso una lingua orale tende, al contrario, ad attribuire maggiore importanza all‟ imprenditore morale. Il tentativo di risposta alla domanda di ricerca ed il vaglio delle relative ipotesi necessita un‟analisi dei discorsi proposti nello spazio pubblico mediatizzato, di cui ora presentiamo la metodologia. 3.2.2 Approccio metodologico generale. Per proporre una risposta alla domanda ed alle ipotesi di ricerca occorre un‟analisi dei contenuti e dei discorsi proposti nello spazio pubblico mediatizzato svizzero. A questo fine ci avvarremo dei dati di uno studio di ampio respiro, a cui abbiamo partecipato, incentrato sul rapporto tra lingue, massmedia ed identità politiche (Hungerbühler e altri, 2008). Considereremo, rielaborandoli, i risultati ottenuti attraverso l‟analisi di un corpo empirico – sulla cui descrizione dettagliata ci soffermeremo nel prossimo paragrafo – costituito da articoli di varie testate giornalistiche e da trasmissioni televisive proposte al pubblico durante le campagne per le votazioni sulle procedure di naturalizzazione. Presenteremo uno studio fondato sul metodo della frame analysis (Goffman, 1974; Entman, 1993) degli articoli di giornale al fine di rendere conto della prima ipotesi l‟esistenza di argomentazioni pubbliche diverse negli spazi pubblici delle tre regioni idiomatiche: argomentazioni che traggono origine da distinte identità collettive – e di trovare elementi a sostegno della seconda – che il ruolo dei chierici mediatori e degli imprenditori varia nelle tre aree linguistiche. Questa metodologia permette, sostanzialmente, di identificare dei quadri semantici generali entro cui si collocano le argomentazioni dei diversi attori coinvolti nel dibattito. Per poter maggiormente approfondire l‟ipotesi concernente la diversità dei ruoli di chierici mediatori ed imprenditori morali, presenteremo uno studio qualitativo di un numero limitato di trasmissioni televisive andate in onda nelle tre regioni linguistiche durante la campagna sull‟iniziativa del 2004. Proporremo un‟analisi del tipo di 200 mediazione proposta in ciascuna emissione, questo partendo dal presupposto metodologico che il dibattito televisivo instituisce una relazione triadica che articola un enunciatore ad un destinatario attraverso un universo possibile (Widmer, 2004a, Véron, 1985, 1995). 3.2.3 Corpo d‟analisi. Ovviamente una scelta accurata del corpo di documenti mediatici d‟analisi riveste un‟importanza fondamentale nel corretto svolgimento della ricerca. Come anticipato, la parte principale dell‟analisi si concentra sulla stampa scritta e per questo sono stati considerati due quotidiani per ogni regione linguistica nei periodi delle campagne delle diverse votazioni. A complemento di ciò è presentata un‟analisi qualitativa di tre trasmissioni televisive, una per regione linguistica, immediatamente antecedenti al voto sull‟iniziativa del 2004. I quotidiani. La scelta dei due quotidiani per regione linguistica è stata effettuata sulla base di criteri editoriali, contenutistici e geografici. . Sono state scelte testate generaliste con una tiratura elevata, una di tipo classico ed un tabloid, esistenti durante tutto l‟arco temporale entro il quale si sono svolte le votazioni considerate. . I due giornali sono stati selezionati tra quelli che tradizionalmente non appoggiano in maniera esplicita un‟area politica. L‟impostazione ideale prevalente è quella che fa riferimento ad un umanesimo liberale che è riconducibile al gruppo di comunicazione dominante (Véron, 1995) in Svizzera. . Sono stati privilegiati i quotidiani stampati nel medesimo, grosso, centro urbano. 201 È stato possibile attenersi a questi tre criteri nella scelta dei giornali germanofoni e francofoni, mentre per quanto riguarda quelli italofoni, a causa delle ridotte dimensioni della regione linguistica di riferimento, si è dovuto ricorrere ad alcuni, ponderati, compromessi. I due quotidiani svizzeri tedeschi prescelti sono il Tages Anzeiger ed il Blick. Entrambi editi a Zurigo, il primo è un giornale di taglio classico, ma rivolto ad un pubblico meno elitario rispetto alla Neue Zürcher Zeitung, mentre il secondo è il primo e più celebre tabloid del Paese. Per quanto riguarda la Romandia sono stati considerati il 24 Heures e Le Matin, entrambi pubblicati a Losanna. La scelta di due quotidiani del capoluogo vodese è dovuta al fatto che Ginevra, a causa della sua vocazione internazionale, costituisce un‟eccezione nel panorama svizzero. Il 24 Heures è un giornale di tipo classico, rivolto ad un pubblico più largo rispetto a Le Temps, mentre Le Matin può essere definito come il corrispettivo francofono del Blick. Per la Svizzera italiana sono stati scelti il Corriere del Ticino e La Regione, pubblicati rispettivamente a Lugano e a Bellinzona. Il primo è un quotidiano di taglio classico, mentre il secondo si avvicina, senza esserlo propriamente, ad un tabloid. Si è deciso di considerare La Regione invece del Giornale del Popolo, stampato a Lugano, dal momento che quest‟ultimo è edito dalla curia, un aspetto questo che non è senza conseguenze sui suoi contenuti, soprattutto riguardo a temi che toccano l‟etica cristiana. La Regione nasce nel 1992 dalla fusione de Il Dovere e de L‟Eco di Locarno, per questa ragione si è deciso di raccogliere gli articoli de Il Dovere durante la campagna del 1983, dal momento che quest‟ultimo ha successivamente fornito al nuovo giornale la maggior parte dei redattori politici. Le trasmissioni televisive. La scelta in questo caso è stata estremamente semplice, sono state analizzate le tre trasmissioni - realizzate dalle emittenti germanofona, francofona ed italofona di SRG 202 SSR idée suisse – che comprendevano il dibattito precedente al voto sull‟iniziativa del 2004. È stato possibile trovare tre programmi molto analoghi dal momento che la discussione prima del voto costituisce un format tradizionale della televisione di servizio pubblico svizzera. Le trasmissioni prescelte sono state: Arena, trasmesso dalla televisione svizzero-tedesca il 10 settembre 2004, Infrarouge, proposta dall‟emittente romanda il 15 settembre, e Lunedì Forum, mandata in onda dal canale italofono il 20 settembre. 3.2.4 La frame analysis degli articoli di giornale. La frame analysis è una metodologia che trae i suoi fondamenti teorici dai contributi di Erving Goffman (1974), secondo cui gli attori sociali utilizzano degli schemi interpretativi per comprendere quanto avviene nell‟universo circostante. La realtà, secondo questo paradigma, non è percepita come unitaria, ma come un sistema interdipendente di livelli, i frame, sulla cui base è possibile inquadrare, ed affrontare, situazioni sconosciute. A partire da questo modello, Robert Entman (1993) sviluppa un approccio ai discorsi mediatici che permette, all‟interno di un testo comunicativo, di: “ … inquadrare [to frame] è selezionare alcuni aspetti di una realtà percepita e renderli più salienti in un testo comunicativo, in modo da promuovere una particolare definizione di un problema, un‟interpretazione causale, una valutazione morale, e/o una raccomandazione per il trattamento di un elemento descritto.”103 Concretamente, questa ricerca si ispira alla metodologia utilizzata nello studio comparato sulla rappresentazione mediatica dell‟aborto condotto da Myra Marx Ferree 103 “To frame is to select some aspects of a perceived reality and make them more salient in a communicating text, in such a way as to promote a particular problem definition, causal interpretation, moral evaluation, and/or treatment recommendation for the item described.” (Entman, 1993, p.52) 203 (Ferree e altri, 2002) che prevede il trattamento quantitativo sia di dati stand, che hanno un valore ed un significato fissi ed intersoggettivamente inequivocabili, sia di elementi ricostruiti dal ricercatore, i frame, a partire dalle informazioni contenute nel testo. Per standing si intende avere voce nei media, ovvero chi sono gli attori che prendono parte al dibattito pubblico. In questa ricerca abbiamo considerato sia coloro che effettivamente si esprimono, gli enunciatori, sia chi, attore o istituzione, viene menzionato senza prendere la parola all‟interno dello specifico discorso. Il framing è, invece, l‟organizzazione attorno a dei nuclei concettuali comuni delle idee (gli idea element) espresse dai diversi attori nelle rispettive argomentazioni. Concretamente, le unità d‟analisi prese in considerazione sono tre: l‟articolo, l‟attore coinvolto e l‟argomentazione. . L‟articolo costituisce l‟unità d‟analisi fondamentale in base alla quale viene costruita la griglia di codifica104 . Esso viene selezionato sulla base dei suoi contenuti, se tratta l‟argomento delle procedure di naturalizzazione. Due codici sono unicamente consacrati ad esso: il primo mira a disgiungere dagli altri gli articoli che hanno richiamo in prima pagina; il secondo a stabilire la tipologia, se è un testo firmato, un dispaccio d‟agenzia, un‟intervista, un editoriale, un commento esterno o una lettera di un lettore. Se l‟articolo è puramente descrittivo, ossia se non presenta argomentazioni di sorta, ad esempio se menziona che il dato giorno si terrà un convegno sul tema della naturalizzazione, non si procede ad un‟ulteriore codifica. Qualora, invece, esso presenti delle dichiarazioni di individui coinvolti nella campagna – di imprenditori morali – o commenti del giornalista o di un esperto – i chierici mediatori – si procede con l‟analisi di due ulteriori unità. . L‟enunciatore nonché l‟attore o l‟istituzione eventualmente nell‟enunciazione. I dati in questo caso ottenuti riguardano lo standing. 104 Allegato 10: esempio di griglia di codifica applicata ad un articolo. 204 menzionati In presenza di una dichiarazione o di un argomentazione viene effettuata una codifica volta ad identificare chi ne è l‟autore. Esso può essere un imprenditore morale – ad esempio un esponente di partito, il rappresentante di un associazione coinvolta nella campagna, o membro del Consiglio federale – oppure un chierico mediatore – l‟autore stesso dell‟articolo o un “esperto, ad esempio un sociologo, un giurista o un politologo che interviene non in quanto parte coinvolta, ma in ragione della propria veste professionale. . La dichiarazione e l‟argomentazione, sono atti comunicativi espressi dai diversi attori, siano essi imprenditori morali o i chierici mediatori. Ogni atto comunicativo viene analizzato, qualitativamente, al fine di individuare le idee in esso contenute. A ciascuna di queste idee (idea element) viene attribuito un codice ed un segno grafico (+/-/=) che ne indica l‟orientamento – favorevole, sfavorevole o neutro – rispetto alla modifica legislativa posta in votazione. Ad esempio, in un articolo apparso durante la campagna del 1994105 si legge: Secondo il Consiglio federale la revisione della legge sulla nazionalità non dovrebbe avere particolari conseguenze sulle finanze né sull‟effettivo del personale, poiché, per la maggioranza dei richiedenti, la procedura sarà semplificata. La codifica è la seguente: La revisione non avrà conseguenze rilevanti sulle finanze pubbliche. (6.2.1), (+), (7) La frase costituisce l‟idea element, l‟idea espressa. Il primo codice (6.2.1) riguarda l‟attore, in questo caso il Consiglio federale, infatti, in tutta evidenza, il giornalista parafrasa una presa di posizione del governo. 105 Giovani stranieri ma svizzeri, La Regione, 3.6.1994, p.2 205 Il segno (+), indica che l‟orientamento di questa idea è favorevole alla riforma. Il secondo codice (7) indica l‟area di significato entro la quale essa si iscrive, in questo caso quella riguardante le conseguenze per le finanze pubbliche. Quest‟ultima codifica permette, come vedremo in seguito, la costruzione dei frame d‟analisi. A partire da queste unità, l‟analisi si articola su due dimensioni, quella inerente lo standing e quella del framing. Le variabili riguardanti lo standing. Considerando lo standing si verifica quali sono gli attori che partecipano al dibattito ed in che misura vi prendono parte. Unitamente a coloro che intervengono attivamente nello spazio pubblico, sono esaminati anche gli attori o le istituzioni che vengono menzionati nelle enunciazioni. Per quanto riguarda i partecipanti attivi essi sono stati suddivisi in due macrocategorie, i chierici mediatori e gli imprenditori morali. I chierici mediatori possono essere a loro volta ripartiti in due tipologie: i giornalisti e gli intellettuali. . I giornalisti, di fatto gli autori degli articoli di giornale analizzati. Essi, infatti, nei loro scritti molto sovente, in particolare negli editoriali, esprimono opinioni proprie sull‟oggetto in votazione e sulle sue implicazioni. . Gli intellettuali, individui che in ragione del riconoscimento pubblico del loro statuto sono ritenuti idonei ad intervenire nel dibattito. Essi possono essere degli accademici la cui formazione li avvicina all‟oggetto in votazione – sociologi, economisti o politologi – oppure scrittori o artisti la cui produzione è in qualche modo anch‟essa ritenuta afferente al tema in discussione. Questi attori partecipano al dibattito solitamente perché 206 intervistati da un redattore, accade anche che un giornale conceda uno spazio, una sorta di tribuna, che permette loro di esprimersi attraverso un testo autonomo. Gli imprenditori morali, gli attori che, in ragione della propria esperienza, mirano a normalizzare una determinata situazione sociale, possono appartenere a numerose categorie. . Esponenti di partiti politici. Nonostante le caratteristiche del sistema democratico svizzero ne limitino l‟importanza, le prese di posizione dei rappresentanti dei partiti hanno una notevole importanza in occasione delle campagne per i referendum o le iniziative. . Membri degli esecutivi cantonali o comunali. Come abbiamo visto le procedure di naturalizzazione si articolano su tre livelli – federale, cantonale e comunale – accade quindi che sindaci, municipali e Consiglieri di Stato partecipino al dibattito pubblico. . Membri del Consiglio federale. Ovviamente gli esponenti del governo si esprimono – in teoria con una posizione univoca – su referendum ed iniziative che implicano delle modifiche costituzionali. . Appartenenti ad istituzioni pubbliche. Accade che funzionari che operano in istituzioni in qualche modo toccate dalle riforme partecipino anch‟essi al dibattito. . Membri di associazioni d‟interesse, padronali o sindacali. Molto spesso le riforme hanno importanti conseguenze sul sistema economico e sul mercato del lavoro. In questo caso i rappresentanti delle associazioni di categoria intervengono nella discussione. . Personaggi pubblici toccati nella loro sfera privata dalle riforme. Nel caso delle votazioni sulle naturalizzazioni si tratta di individui noti al grande pubblico – sportivi o attori, ad esempio - che hanno ottenuto la cittadinanza svizzera. 207 . Appartenenti alle categorie sociali toccate dalla riforma. In questo caso non si tratta di personaggi pubblici, ma di individui che subiscono le conseguenze pratiche delle modifiche legislative, nel caso specifico i giovani stranieri in attesa di ricevere la cittadinanza. Queste categorie hanno accesso ai mezzi di comunicazione di massa soprattutto attraverso interviste. . Partigiani e oppositori delle riforme. Sono privati cittadini che partecipano al dibattito pubblico, soprattutto mediante le lettere ai quotidiani. I chierici mediatori e gli imprenditori morali si caratterizzano per prendere parte attivamente al dibattito pubblico. Essi stessi possono, però, essere oggetto di discorsi da parte di altri attori. Per questa ragione, la griglia di analisi prevede una categoria denominata attori ed istituzioni privi di voce in cui sono registrati coloro che vengono citati dagli enunciatori. Essi possono appartenere alle categorie che abbiamo menzionato, ma anche essere istituzioni, ovvero organizzazioni costituite da interazioni cristallizzate riconosciute da vasti strati della società. Le variabili riguardanti il framing. Se i dati concernenti lo standing sono oggettivamente rintracciabili all‟interno dell‟articolo, i frame sono invece una costruzione del ricercatore. Concretamente, in questa ricerca, la definizione dei frame è il risultato di una procedura induttiva che consiste nell‟individuazione, all‟interno delle dichiarazioni o delle argomentazioni dei diversi attori, di idea element e nella loro organizzazione attorno a nuclei concettuali comuni. Il processo di selezione dei frame è stato ispirato da anlcuni elementi proposti dalla Grounded Theory, una metodologia sviluppata da Barney Glaser e Anselm Strauss (1967) che permette una definizione rigorosa dei dati qualitativi. Durante una prima fase è stata effettuata una codifica aperta che ha consentito di individuare un elevato numero di concetti su cui si articolavano le diverse argomentazioni proposte nello spazio pubblico. Successivamente si è proceduto ad una 208 codifica selettiva che ha portato ad identificare delle categorie superordinate, più generiche ed astratte, e, di conseguenza, funzionali alla discussione delle teorie alla base della ricerca. Attraverso l‟analisi degli articoli abbiamo raggruppato le diverse idee espresse all‟interno di frame particolarmente ricorrenti: . Principi di diritto. Questa categoria racchiude le argomentazioni che hanno per oggetto la natura stessa del diritto di cittadinanza, se esso debba fondarsi sullo ius sanguinis piuttosto che sullo ius soli. . Autonomia e funzionamento delle istituzioni svizzere. Questo frame accorpa le idee che fanno riferimento alle strutture amministrative comunali, cantonali e federali. In esso sono presenti sia argomentazioni favorevoli alle agevolazioni, come lo snellimento delle procedure burocratiche, sia contrarie, che paventano una perdita di potere decisionale di Comuni e Cantoni. . Integrazione degli stranieri naturalizzandi. A questa categoria sono ricondotte le argomentazioni che fanno riferimento all‟adattamento agli usi e ai costumi svizzeri di coloro che postulano per ottenere la cittadinanza. Le idee espresse possono essere di segno opposto e fare riferimento a fattori come la scolarizzazione o la conoscenza della lingua. . Rappresentazione della popolazione straniera nel suo insieme. Questo frame racchiude le idee concernenti la presenza degli stranieri in Svizzera. Esso include, da un lato le argomentazioni di tipo ideale fondate sull‟uguaglianza tra gli esseri umani e, dall‟altro, di carattere xenofobo o comunque tese a discriminare gli individui su base etnica. 209 . Paure legate alla presenza straniera. Questa categoria racchiude le argomentazioni legate ai timori per un‟evoluzione futura della situazione sociale, come un aumento del tasso di criminalità. . Immagine della Svizzera all‟estero. A questo frame sono associate le argomentazioni che hanno come nucleo comune quello di considerare le ripercussioni che il voto potrebbe far scaturire all‟estero. Da un lato viene propugnata la necessità di preservare l‟immagine di un Paese aperto ed ospitale, dall‟altro si paventa che delle agevolazioni eccessive potrebbero favorire un aumento dell‟immigrazione. . Economia e demografia. Questa categoria include le argomentazioni sulle implicazioni che le agevolazioni in materia di naturalizzazioni comporterebbero sulla struttura della popolazione, sull‟economia e sulle finanze pubbliche. . Democrazia diretta. Il frame si riferisce alle argomentazioni che si fondano su questa peculiarità del sistema politico svizzero. Esse sono nella maggior parte casi esposte dagli avversari di una politica volta a facilitare le naturalizzazioni che rilevano come, da un lato la democrazia diretta sia un valore aggiunto della cittadinanza che non può quindi essere “svenduta”, dall‟altro notano che se nei Paesi confinanti i cittadini avessero anch‟essi il diritto di esprimersi su questo tema le normative per l‟acquisizione della nazionalità sarebbero più restrittive rispetto alla Svizzera. Interesse della frame analysis in relazione alle ipotesi di ricerca. Questa particolare metodologia di ricerca ha delle caratteristiche che la rendono idonea a testare le ipotesi di ricerca. Essa consente di trattare quantitativamente, e di mettere in relazione, unità di contenuto oggettive, inerenti lo standing, ed altre costruite dal ricercatore, concernenti il framing. Ovviamente una tale procedura richiede, soprattutto per quanto riguarda la costruzione dei frame, un notevole rigore da parte dei ricercatori che devono operare in modo tale da costruire degli aggregati di idea element accomunati 210 da un nucleo concettuale comune partendo dalle argomentazioni enunciate dai diversi attori. Una volta acquisita una solida competenza in questa pratica – attraverso codifiche multiple ed incrociate dei medesimi articoli effettuate in fasi successive della ricerca – diviene possibile estrapolare dati qualitativi molto significativi. Concretamente, i risultati forniscono un quadro complessivo dei discorsi mediatici proposti nelle tre regioni linguistiche. Vedere chi sono gli attori che prendono parte al dibattito e quali sono i nuclei concettuali attorno ai quali si articolano le diverse argomentazioni. Questi due aspetti ci permettono di descrivere le strutture, le architetture, che assumono i diversi segmenti linguistici dello spazio pubblico svizzero in occasione di campagne di voto su temi ad alta valenza identitaria come quelli sulle modifiche delle procedure di naturalizzazione. Da un lato, trarremo delle indicazioni - sia a partire dalla tipologia di articoli, dalla partecipazione dei diversi attori al dibattito - sui ruoli svolti dai chierici mediatori e dagli imprenditori morali. Dall‟altro, attraverso l‟analisi dei frame avremo delle informazioni importanti sulle diverse dimensioni del concetto di identità collettiva soggiacente alle argomentazioni proposte nel dibattito. 3.2.5 Analisi del “contratto di lettura” nelle trasmissioni televisive. Accanto all‟analisi di tipo quantitativo ne viene presentata una qualitativa che si propone di studiare il tipo di mediazione nei dibattiti televisivi proposti dalle emittenti pubbliche delle tre regioni linguistiche. Occorre precisare che lo studio non prevede una comparazione sistematica delle forme di ciascuna trasmissione nel loro complesso. Si tratta piuttosto di confrontare il modo in cui gli autori del programma televisivo inquadrano l‟oggetto della discussione e definiscono il ruolo dei partecipanti al dibattito. 211 Per arrivare a questo risultato abbiamo adottato un approccio che prevede l‟esistenza di un contratto di lettura (Véron, 1985, 1995; Widmer, 2004a) implicito che lega l‟enunciatore e lo spettatore attraverso un discorso. La lettura di un testo, in questo caso un discorso proposto attraverso il medium televisivo, è un‟attività significante, un processo socioculturale di acquisizione di senso. Essa è possibile quando, tanto l‟enunciatore quanto il lettore, dispongono di un retroterra comune che permette loro di conoscersi reciprocamente e definire l‟implicito contratto di lettura proposto dal primo. Perché questo abbia successo, occorre che l‟enunciatore abbia la capacità di prospettare un contratto che si articoli correttamente alle aspettative, alle motivazioni, agli interessi e ai contenuti dell‟immaginario del lettore. Il funzionamento di questa interazione mediata è reso possibile dalla corretta coesistenza dei due livelli del discorso descritti dalla teoria dell‟enunciazione (Maingueneau, 1976), l‟enunciato e l‟enunciazione (Véron, 1985): “… il livello dell‟enunciato è quello di ciò che si dice (con un approssimazione grossolana: il livello dell‟enunciato corrisponde all‟ordine del “contenuto”); il livello dell‟enunciazione concerne le modalità del dire. Per il funzionamento dell‟enunciazione, un discorso costruisce una certa immagine di colui che parla (l‟enunciatore), una certa immagine di colui a cui si parla (il destinatario) e, di conseguenza, un legame tra queste “posizioni”.106 [t.d.a] L‟applicazione di questo contratto tra l‟autore del messaggio ed i destinatari fa sì che un medesimo contenuto possa essere trattato attraverso strutture enunciative profondamente differenti all‟interno delle quali l‟enunciatore decide il proprio posizionamento e quello dei recettori. 106 “… le niveau de l‟énoncé est celui de ce que l‟on dit (dans une approximation grossière : le niveau de l‟énoncé correspond à l‟ordre du «contenu») ; le niveau de l‟énonciation concerne les modalités du dire. Par le fonctionnement de l‟énonciation, un discours construit une certaine image de celui qui parle (l‟énonciateur), une certaine image de celui à qui l‟on parle (le destinataire) et, par conséquent, un lien entre ces «places»“ (Véron, 1985, p. 207) 212 Interesse del metodo fondato sul contratto di lettura in relazione alle ipotesi di ricerca. In precedenza abbiamo identificato e descritto due tipologie ideali di attori che partecipano al dibattito pubblico, gli imprenditori morali ed i chierici mediatori. Questi ultimi, in questo specifico caso i giornalisti e gli autori delle trasmissioni televisive, sono in grado di proporre un‟efficace pubblicizzazione della discussione. Essi, come abbiamo visto, stabiliscono un contratto di lettura implicito con gli spettatori fondato su un retroterra conoscitivo comune. Le nostre ipotesi di ricerca, unite al fatto che le tre trasmissioni televisive considerate sono state realizzate dai diversi canali linguistici dell‟emittente di servizio pubblico SRG SSR idée suisse, ci portano a considerare la lingua l‟elemento conoscitivo comune più importante in ciascuna delle tre interazioni comunicative. In sintesi, la frame analysis applicata agli articoli di giornale e quella fondata sul contratto di lettura volta a descrivere le pratiche di mediazione in atto nelle trasmissioni televisive, permettono di rendere conto in modo soddisfacente delle ipotesi di ricerca. La prima, oltre a fornire delle indicazioni sugli attori che prendono parte al dibattito, descrive i quadri semantici entro cui si articolano le diverse argomentazioni. La seconda mostra il rapporto esistente in una discussione pubblica tra chierici mediatori, imprenditori morali e spettatori. 213 3.3 Risultati della frame analysis. La frame analysis, come abbiamo visto, si fonda su una metodologia ibrida che consente il trattamento quantitativo sia di dati intersoggettivamente esistenti in maniera inequivocabile, sia di elementi ricostruiti dai ricercatori. Concretamente, sono stati presi in considerazione gli articoli apparsi su due quotidiani per ogni regione linguistica durante le campagne per le votazioni che avevano come oggetto le procedure di naturalizzazione e che si sono svolte tra il 1983 ed il 2008. I risultati mostrano sia i dati riguardanti le tipologie di attori che prendono parte o che sono menzionati nel dibattito pubblico, sia i frame, i quadri semantici entro cui si collocano le diverse argomentazioni proposte nella pubblica discussione. Nel primo caso si tratta di dati intersoggettivamente riconoscibili, nel secondo di categorie costruite individuando dei nuclei concettuali che accomunano la varietà di idea element espressi dagli attori. In relazione alle riflessioni teoriche sin qui proposte, i risultati permettono di rendere conto delle diverse strutture dello spazio pubblico. Da un lato, verrà valutato in termini quantitativi l‟apporto fornito al dibattito dai chierici mediatori nelle tre regioni linguistiche, dall‟altro quali sono i quadri semantici entro cui sono espresse le argomentazioni. La presentazione dei dati avverrà attraverso la modalità seguente: dapprima ci si occuperà del numero complessivo e della tipologia degli articoli analizzati durante tutte le campagne. In seguito sarà proposta l‟analisi dei risultati aggregati, inerenti lo standing ed il framing, delle campagne sulle “naturalizzazioni agevolate” (1983, 1994, 2004). Infine, nello stesso paragrafo, verranno esposti i dati riguardanti la ripartizione dei frame espressi per l‟iniziativa “per delle naturalizzazioni democratiche” (2008). 214 3.3.1 Ripartizione e tipologie degli articoli. Complessivamente, considerando due giornali per ogni regione linguistica durante quattro campagne di voto (1983-2008), sono stati trovati 731 articoli che rispondevano ai requisiti necessari all‟analisi. Ripartiti nel modo seguente: 326 nella regione germanofona, 201 in quella francofona e 204 in quella italofona. Ripartizione degli articoli per regione linguistica. 28% Svizzera tedesca 44.5% Svizzera francese Svizzera italiana 27.5% Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 ( annessa tabella 11A). Il risultato si presta ad alcune considerazioni, Appare evidente che la quantità di articoli scritti durante la campagna è molto superiore in Svizzera tedesca rispetto alle altre regioni linguistiche. Questo dato è interpretabile nella maniera seguente: come abbiamo ipotizzato, e come vedremo successivamente, i risultati del voto sono pressoché scontati in Svizzera francese, dove i progetti sono sistematicamente accettati in votazione popolare, e nella Svizzera italiana, dove vengono bocciati, mentre nella Svizzera tedesca, che ha inoltre un peso demografico molto superiore, il responso delle urne è molto più incerto. È probabile, pertanto, che la campagna sia molto più vivace, con una conseguente 215 maggiore produzione di articoli, nella regione linguistica germanofona, dove, di fatto, viene deciso l‟esito della votazione. Più interessante ai fini delle nostre ipotesi sulle strutture dello spazio pubblico la ripartizione, all‟interno di ogni regione linguistica, delle diverse tipologie di articoli. Ripartizione delle diverse tipologie di articoli in Svizzera tedesca. Articolo firmato Intervista 33.7% 40.2% Dispaccio Editoriale Tribuna 2.8% 7.1% Lettera 11.7% 4.9% Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 ( annessa tabella 11A). I risultati registrati in Svizzera tedesca possono essere interpretati nel modo seguente: la tipologia di articolo che prevede, per la sua natura, una presa di posizione esplicita dei chierici mediatori costituisce complessivamente il 9.9% del totale, essa è costituita per il 7.1% da editoriali, che riportano le opinioni dei giornalisti stessi e per il 2.8% da tribune, che ospitano generalmente il parere di intellettuali ed accademici. Gli articoli firmati, i dispacci di agenzia e le interviste, che riportano invece le posizioni di coloro che potremmo definire imprenditori morali istituzionali, ammontano complessivamente al 56.8% del totale. Le lettere dei lettori, che di fatto rendono le opinioni, di imprenditori morali “spontanei” costituiscono il 33.7%. 216 Ripartizione delle diverse tipologie di articoli in Svizzera francese. Articolo firmato 19.4% Intervista 42.8% Dispaccio 9% Editoriale 14.4% Tribuna Lettera 8% 6.5% Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 ( tabelle allegate 11A). La ripartizione tra le diverse tipologie in Svizzera francese è sensibilmente diversa rispetto a quella della regione germanofona. In questo caso gli articoli che propongono le opinioni dei chierici mediatori sono complessivamente il 23.4%, nel 14.4% dei casi si tratta di editoriali e nel 9% di tribune. Articoli firmati, dispacci d‟agenzia e interviste, che riportano principalmente le posizioni degli imprenditori morali istituzionali costituiscono il 57.3% del totale, mentre le lettere dei lettori, il 19.4%. Ripartizione delle diverse tipologie di articoli in Svizzera italiana. Articolo firmato 14.7% 26% Intervista 9.8% Dispaccio Editoriale 6.9% 14.2% Tribuna Lettera 28.4% Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11A). 217 La situazione nella Svizzera italiana è molto simile a quella che si registra in quella francese. In questo caso gli editoriali (14.2%) e le tribune (9.8%) ammontano complessivamente al 24% del totale. Articoli firmati, dispacci d‟agenzia e interviste costituiscono il 61.3% e le lettere dei lettori il 14.7%. La significativa differenza, rispetto alla Romandia, nel computo degli articoli firmati (26.2% e 42.8%) e dei dispacci (28.4% e 6,5%) è spiegabile con il minor budget dei giornali ticinesi e con la collocazione geograficamente periferica della regione italofona. Questi due fattori probabilmente fanno sì che la stampa in lingua italiana si rivolga con maggiore frequenza alle agenzie di informazione. I dati relativi alla ripartizione numerica e tipologica degli articoli apparsi durante le campagne sulle naturalizzazioni nelle tre regioni linguistiche consentono alcune considerazioni. Innanzitutto colpisce il numero complessivo molto più elevato, quasi doppio, di articoli apparsi sui giornali germanofoni rispetto a quelli pubblicati nelle aree francofona ed italofona. Il fenomeno è spiegabile con il peso demografico, e dunque elettorale, che questa area riveste rispetto alle altre due. Inoltre, i votanti francofoni si sono sempre espressi in maniera univoca a favore delle riforme tese a facilitare le naturalizzazioni, mentre quelli italofoni si sono dimostrati nettamente contrari. Gli svizzeri-tedeschi, pur se in maggioranza contrari, appaiono, complessivamente, meno compatti. Per quanto riguarda la tipologia degli articoli, conformemente alle nostre ipotesi si nota come nelle aree latine, dove il dibattito pubblico avviene unicamente in una lingua istituzionalizzata attraverso la scrittura, vi sia un maggior numero di editoriali e tribune, che tradizionalmente ospitano le opinioni dei chierici mediatori. Nella regione germanofona al contrario, vien dato maggior peso alle tipologie che ospitano le posizioni degli imprenditori morali. Particolarmente significativo è il dato riguardante le lettere dei lettori, degli imprenditori morali “non istituzionali”, che sono proporzionalmente molto superiori in Svizzera tedesca rispetto al resto del Paese. 218 3.3.2 Ripartizione dei frame e delle posizioni degli attori. In questo paragrafo ci occupiamo dei dati aggregati inerenti le campagne concernenti le votazioni che hanno avuto per oggetto, con sfumature diverse, delle riforme volte ad agevolare le procedure di naturalizzazione per i giovani cresciuti in Svizzera – quelle, quindi, svoltesi tra il 1983 ed il 2004 – e presenteremo infine un accenno ai principali temi che hanno caratterizzato l‟iniziativa del 2008, “per delle naturalizzazioni democratiche”. Dapprima vedremo alcuni risultanti che riguardano lo standing, ovvero gli attori a vario titolo coinvolti nel dibattito pubblico. In seguito esamineremo i frame entro cui si inseriscono le argomentazioni pubbliche nelle diverse regioni linguistiche. Un primo dato interessante riguarda la proporzione di idea element espressi da chierici mediatori ed imprenditori morali. Nella prima categoria abbiamo incluso gli autori degli articoli e gli intellettuali che accedono al dibattito mediatico in veste di “esperti” della materia trattata; nella seconda sono compresi gli attori che si confrontano politicamente sul tema: esponenti dei partiti, membri del Consiglio federale o dei governi locali, esponenti delle associazioni economiche e, in generale, le persone che, per diverse ragioni, hanno accesso alla discussione mediatica. I risultati ci permetteranno di avere un idea del peso di queste due tipologie ideali di attori nei segmenti dello spazio pubblico delle tre aree idiomatiche del Paese. 219 Idea element espressi da imprenditori morali e chierici mediatori in Svizzera tedesca. 24.9% Chierici mediatori Imprenditori morali 75.1% Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11B). Su un totale di 445 idea element riportati negli articoli presenti sui giornali svizzerotedeschi , il 75.1% è stato estratto da argomentazioni espresse da imprenditori morali ed il 24.9% è riconducibile ad opinioni esposte dai chierici mediatori. Idea element espressi da imprenditori morali e chierici mediatori in Svizzera francese. 45.5% 54.5% Chierici mediatori Imprenditori morali Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11B). In Svizzera francese gli idea element espressi dai chierici mediatori sono proporzionalmente molto più numerosi rispetto alla regione germanofona, essi costituiscono, infatti, il 45.5% del totale. 220 Idea element espressi da imprenditori morali e chierici mediatori in Svizzera italiana. 34.2 % Chierici mediatori Imprenditori morali 65.8% Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11B). Nella Svizzera italiana la percentuale degli idea element attribuiti ai chierici mediatori e agli imprenditori morali è, rispettivamente del 34.2% e del 65.8%. Il confronto tra la ripartizione degli idea element espressi dagli imprenditori morali e dai chierici mediatori nelle tre regioni linguistiche si presta ad un‟interpretazione che sostanzialmente ricalca quella precedentemente proposta rispetto alle tipologie di articolo. Nella Svizzera tedesca i chierici mediatori tendono molto più raramente a prendere esplicitamente posizione in rapporto alle problematiche concernenti l‟oggetto in votazione. Essi lasciano che siano prevalentemente gli imprenditori morali ad argomentare in proposito. Nelle regioni latine, al contrario, essi concepiscono come un diritto ed un dovere la loro partecipazione attiva al dibattito pubblico. Un altro dato interessante, ancorché, come vedremo, di difficile interpretazione è quello costituito dagli attori e dalle istituzioni privi di voce, da coloro cioè che vengono menzionati all‟interno delle argomentazioni. 221 Attori ed istituzioni privi di voce in Svizzera tedesca. 35.00% 30.00% 28.60% 24.10% 25.00% 20.00% 14.30% 15.00% 13.50% 12% 7.50% 10.00% 5.00% 0.00% Partiti politici Giovani stranieri Popolo svizzero Consiglio federale Comuni, Cantoni Altro Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11C). In Svizzera tedesca vi è una ripartizione piuttosto uniforme tra i principali attori ed istituzioni menzionate dai partecipanti al dibattito. La maggioranza relativa spetta ai Partiti politici (28.6%), seguiti a breve distanza dai giovani stranieri (24.1%), coloro che maggiormente sono interessati dalla riforma. Dal popolo svizzero (14.3%) Consiglio federale (13.5%) e da una categoria che non ritroveremo nelle altre regioni: i Comuni ed i Cantoni (7.5%). Attori ed istituzioni privi di voce in Svizzera francese. 45.00% 40.00% 35.00% 30.00% 25.00% 20.00% 15.00% 10.00% 5.00% 0.00% 42.50% 18.30% 13.30% Partiti politici 10% 8.30% Giovani Consiglio Oppositori Popolo stranieri federale svizzero Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11C). 222 7.60% Altro In Romandia tra gli attori nominati nel dibattito vi è una netta predominanza dei partiti politici (42.5%), seguono a lunga distanza giovani stranieri (18.3%) e Consiglio federale (13.3%), molto meno menzionato è il popolo svizzero (8,3%). La categoria degli oppositori (10%) è utilizzata quando non viene menzionata l‟appartenenza partitica o istituzionale di coloro che rifiutano le riforme. Nella Svizzera italiana, la situazione si presenta profondamente diversa, la categoria maggiormente citata è, seppur di poco, quella dei giovani stranieri (27.4%), vi sono poi i partiti politici (24.1%), il popolo svizzero (12%), il Consiglio federale (11.2%) e gli oppositori (11.2%). Attori ed istituzioni privi di voce in Svizzera italiana. 30.00% 27.40% 24.10% 25.00% 20.00% 15.00% 12% 14% 11.20% 11.20% 10.00% 5.00% 0.00% Giovani stranieri Partiti politici Popolo Consiglio Oppositori Svizzero federale Altro Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11C). Come anticipato i dati riguardanti gli attori e le istituzioni sono apparentemente difficili da interpretare, in particolare per quanto riguarda i dati della Svizzera italiana. L‟anomalia riguarda soprattutto i partiti politici, che in questa regione sono nettamente meno menzionati. Ciò è però spiegabile analizzando la composizione di questa categoria. L‟Unione Democratica di Centro è nettamente il partito più menzionato nelle altre due 223 aree107 – in ragione del 64.7% in quella germanofona e, addirittura, dell‟86.2% in quella francofona – dal momento che gli altri attori lo considerano il principale regista delle campagne di opposizione alla riforma. In Ticino questo partito è elettoralmente irrilevante, dal momento che gran parte del suo bacino di voti gli è vittoriosamente conteso dalla Lega dei Ticinesi che, ovviamente, è meno impegnata nelle battaglie politiche a livello federale. Considerando unicamente i dati della Svizzera tedesca e di quella francese si nota come il binomio di attori istituzionali costituito da partiti politici e Consiglio federale sia nettamente prevalente in quest‟ultima regione – complessivamente il 55.8% contro il 42.1% - mentre quello costituito dalle categorie sociali popolo svizzero e giovani stranieri è fortemente maggioritario – il 38.4% contro il 26.6% - nell‟area germanofona. Interessante inoltre notare come in Svizzera tedesca siano menzionati frequentemente i Comini ed i Cantoni, forse a sottolineare una maggiore sensibilità verso le comunità locali. Dopo aver analizzato i dati guardanti lo standing, vedremo ora quelli concernenti il framing. Prima di vedere la ripartizione tra le regioni dei diversi quadri entro i quali si articolano le pubbliche discussioni, è interessante considerare la direzione prevalente – favorevole o sfavorevole alla riforma – degli idea element che li compongono. 107 Si vedano, anche in questo caso, le tabelle dell‟allegato 10C. 224 Direzione degli idea element in Svizzera tedesca. 24.5% Favorevole Neutra 11% 64.5% Contraria Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11B). In Svizzera tedesca gli idea element favorevoli espressi dall‟insieme degli attori che partecipano al dibattito costituiscono il 64.5%. i contrari il 24.5% ed i neutri l‟11%. Si noti che la direzione neutra è espressa quasi unicamente dalla categoria dei chierici mediatori quando tentano di produrre una sintesi delle argomentazioni dei due campi. Direzione degli idea element in Svizzera francese. 19.2% Favorevole 9.1% Neutra Contraria 71.7% Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11B). In Romandia gli idea element favorevoli sono il 71.7%, quelli neutri il 9.1.% e quelli contrari il 19.2%. 225 Direzione degli idea element in Svizzera italiana. 3.8% 15.8% Favorevole Neutra Contraria 80.4% Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11B). Nella Svizzera italiana la proporzione è di 80.4% idea element favorevoli, 3.8% neutri e 15.8% contrari. Pur registrando delle lievi differenze tra le regioni linguistiche, i risultati sembrano confermare l‟ipotesi dell‟esistenza in Svizzera, nella stampa generalista, di un gruppo di comunicazione dominante (Véron, 1995) costituito da chierici mediatori favorevoli alle riforme che esprimono le proprie opinioni e selezionano quelle degli imprenditori morali di conseguenza. Per quanto riguarda i principali cinque frame entro cui si sono svolte le pubbliche discussioni nelle tre regioni linguistiche, la situazione è la seguente. 226 Ripartizione dei frame in Svizzera tedesca. 25.40% 24.90% 20.70% 18% 11% Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11D). Nel dibattito in Svizzera tedesca vi è una forte presenza di argomentazioni legate alla rappresentazione degli stranieri (25.4%) – come sono, uguali o diversi, rispetto agli svizzeri – e alle paure legate alla loro presenza (24.9%). Importante ma, come vedremo, meno presente rispetto ad altre regioni è il tema incentrato sul processo di integrazione (20.7%). I principi di diritto alla base delle procedure di naturalizzazione sono considerati maggiormente rispetto al resto del Paese (18%), mentre l‟autonomia delle istituzioni cantonali e comunali è posta relativamente ai margini del dibattito (11%). 227 Ripartizione dei frame in Svizzera francese. 37.40% 26.30% 15.20% 13.10% 8% Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11D). In Romandia la ripartizione dei frame è molto meno uniforme. Particolarmente importante è il tema dell‟integrazione degli stranieri (37.4%) e quello dell‟autonomia delle istituzioni cantonali e comunali (26.3%). Molto meno centrali che in Svizzera tedesca si rivelano essere le tematiche legate alla rappresentazione degli stranieri (15.2%), alle paure (13.1%) ad ai principi di diritto (8%). Nella Svizzera italiana il frame relativo all‟integrazione degli stranieri è preponderante (49.4%), seguito a grande distanza da quello dell‟autonomia delle istituzioni cantonali e comunali (24.1%). I principi di diritto (15%) sono tematizzati in maniera sostanzialmente analoga rispetto alla Svizzera tedesca, mentre le rappresentazioni degli stranieri (7%) e le paure (4.4%) sono quasi irrilevanti. 228 Ripartizione dei frame in Svizzera italiana. 49.40% 24.10% 15.20% 7.00% 4.40% Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11D). L‟analisi comparativa della ripartizione dei frame nelle tre regioni linguistiche permette di evidenziare alcuni dati di particolare interesse, in particolare in relazione al rapporto esistente tra discorsi pubblici ed identità collettive in occasione di votazioni di questo tipo. Come vedremo in modo più approfondito nel prossimo paragrafo, è molto significativo che presso le popolazioni delle aree latine – che, nelle nostre riflessioni teoriche, abbiamo ipotizzato caratterizzarsi per un senso di identità collettiva prossimo a quello idealmente segnato dal codice civico (Eisenstadt/Giesen, 1995) – vi sia una predominanza, nei discorsi pubblici, del tema dell‟integrazione, ovvero di quali siano i passi compiuti, o da compiere, perché gli stranieri naturalizzandi possano divenire svizzeri a tutti gli effetti. Analogamente è interessante notare come nella regione germanofona sia molto più presente il frame della rappresentazione degli stranieri ciò che è spiegabile in una società la cui identità si avvicina maggiormente a quella ideale fondata sul codice primordiale, dove le frontiere tra chi si trova incluso nella collettività e chi ne è escluso 229 sono percepite come naturali. Concretamente, in Svizzera tedesca le discussioni si concentrano sul fatto se gli stranieri siano uguali o diversi agli svizzeri, piuttosto che sulle procedure ed i riti legati al processo di integrazione. La rilevanza del frame connesso alle paure va letto anch‟esso in questo senso. Le forti divergenze tra le regioni latine e quella germanofona che si registrano sui dati del frame legato all‟autonomia delle istituzioni cantonali e comunali sono probabilmente da interpretare con il fatto che nelle regioni linguistiche demograficamente minoritarie i diversi attori sono molto attenti alle variazioni che potrebbero potenzialmente limitare le autonomie locali. Ripartizione complessiva dei frame in Svizzera. Paure legate agli stranieri Principi di diritto 50% 40% 30% 20% 10% 0% Autonomia delle istituzioni Svizzera tedesca Svizzera francese Svizzera italiana Rappresenta zione degli stranieri Integrazione degli stranieri Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle 11D allegate). I risultati aggregati inerenti le campagne di voto sulle riforme tese ad agevolare la naturalizzazione dei giovani stranieri (1983-2004) mostrano delle effettive differenze tra le regioni nell‟importanza attribuita ai diversi campi semantici entro cui si svolge la discussione. 230 Se si considerano i frame inerenti la campagna per l‟iniziativa “per delle naturalizzazioni democratiche (2008), la situazione si presenta diversa: Ripartizione complessiva dei frame nella campagna sull‟inizativa per delle naturalizzazioni democratiche (2008). Paure legate agli stranieri Principi di diritto 50% 40% 30% 20% 10% 0% Autonomia delle istituzioni Svizzera tedesca Svizzera francese Svizzera italiana Rappresenta zione degli stranieri Integrazione degli stranieri Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11E). Nel corso della campagna per questa votazione – che, ricordiamo, riguardava la tutela dell‟autonomia comunale e cantonale nella scelta dei criteri con cui concedere la cittadinanza – non si notano importanti differenze regionali. I due temi che oggettivamente concernono l‟oggetto in votazione, i principi di diritto e l‟autonomia cantonale e comunale, monopolizzano il dibattito in tutte tre le regioni, nella misura del 70% nella regione germanofona, del 66.7% in quella francofona e del 74.7% in quella italofona. Questa discrepanza è dovuta probabilmente al fatto che le precedenti votazioni chiamavano maggiormente in causa le identità collettive dei votanti (Pizzorno, 1991; Véron, 1995), mentre a quest‟ultima era attribuito un carattere prevalentemente amministrativo. 231 3.3.3 Sintesi e commento dei risultati. I risultati della frame analysis effettuata sugli articoli di giornale apparsi durante le campagne sulle votazioni concernenti le modifiche legislative delle procedure di naturalizzazione ci permettono di giungere a quattro conclusioni importanti. Le prime due riguardano il ruolo rivestito dai chierici mediatori nel dibattito pubblico, la terza i diversi quadri semantici entro cui si svolgono le discussioni nelle tre regioni linguistiche e, infine, la quarta concerne le specificità delle votazioni il cui oggetto presenta delle forti implicazioni identitarie. Un primo dato emerge osservano la direzione degli idea element riportati dai giornali durante le campagne per le votazioni sulle naturalizzazioni agevolate (1983-2004). In tutte tre le regioni linguistiche si constata una netta prevalenza di quelli favorevoli alle riforme. Questo risultato ci permette di avvalorare l‟ipotesi che i chierici mediatori, i giornalisti che esprimono le proprie opinioni e selezionano quelle degli imprenditori morali, appartengano, senza particolari distinzioni idiomatiche, ad un gruppo di comunicazione dominante che si rifarebbe a modelli culturali che valorizzano positivamente le agevolazioni indirizzate ai giovani stranieri. L‟analisi comparata tra le regioni linguistiche dei risultati relativi alle ripartizioni tra le diverse tipologie di articolo e di quelli concernenti le proporzioni tra gli idea element proposti dai giornalisti e quelli espressi dagli altri attori, mostra come l‟interpretazione del ruolo di chierico mediatore vari considerevolmente nelle tre aree. Rispetto alla Svizzera tedesca, in quella francese ed in quella italiana vi è complessivamente (1983-2008) una percentuale molto maggiore di articoli di opinione, come editoriali e tribune. Analogamente, considerando le campagne sulle naturalizzazioni agevolate (1983-2004), nelle regioni latine si registra un numero molto più alto di idea element espressi dai chierici mediatori in rapporto a quanto avviene in quella germanofona. 232 Questi dati ci suggeriscono che i giornalisti delle aree latine ritengano di dover partecipare al dibattito pubblico prendendo posizione in maniera esplicita. Nella Svizzera tedesca, al contrario, essi sembrano intendere il loro ruolo come quello di artefici di una mediazione che lasci il più possibile agli imprenditori morali il compito di argomentare e di esprimere opinioni. La ripartizione dei frame attorno ai quali si articolano le argomentazioni espresse durante le campagne per le votazioni sulle naturalizzazioni agevolate (1983-2004), mostra importanti differenze tra le regioni linguistiche che possono essere ricondotte a diverse forme di identità collettiva. In Svizzera tedesca vi è una forte presenza di idea element incentrati sulla rappresentazione degli stranieri. Questo fatto può essere spiegato con l‟esistenza di un sentimento identitario fondato sulla relazione metonimica che la collettività germanofona intrattiene con il proprio idioma che porta allo sviluppo di una dimensione riflessiva che prevede delle barriere naturali ed invalicabili tra chi si trova all‟interno del gruppo e chi ne è escluso (Widmer, 2004a). Da qui l‟importanza all‟interno del dibattito della domanda se gli stranieri in attesa di naturalizzazione sono “come noi” oppure “diversi”. Per ragioni analoghe è così interpretabile l‟incidenza del frame connesso alle paure legate alla presenza di stranieri - l‟arrivo di nuovi elementi all‟interno della collettività come minaccia alla natura stessa del legame sociale – e di quelli connessi ai principi di diritto, ovvero alla discussione sulla prevalenza del ius sanguinis o del ius soli. Nelle regioni latine, il frame predominante è quello che tematizza l‟integrazione degli stranieri. Sulla base delle nostre ipotesi questa peculiarità è legata alla rapporto metaforico che queste collettività hanno con la propria lingua e che porta a considerare lo straniero non come antropologicamente differente, ma come un individuo che necessita di un lungo processo di socializzazione che gli permetta di apprendere gli usi e costumi della collettività (Widmer, 2004a). Un‟ultima indicazione che è possibile trarre dai risultati dell‟analisi è data dalla diversità dei quadri entro cui si svolgono le discussioni sulle votazioni che avevano per oggetto le 233 agevolazioni ai giovani stranieri (1983-2004) e quella che, invece, concerneva il rafforzamento dei poteri comunali e cantonali in materia di naturalizzazioni (2008). Nel primo caso si sono constatate forti differenze nella ripartizione dei frame tra le regioni linguistiche, nel secondo, invece, i temi del dibattito pubblico erano pressoché analoghi nelle tre aree. Questo fenomeno è interpretabile con il fatto che le votazioni sui giovani naturalizzandi avevano implicazioni tali da impedire ai cittadini di agire guidati unicamente dalla razionalità strumentale. L‟incertezza sul rapporto costi/benefici era tale da far sì che essi si appoggiassero nelle loro scelte a delle condizioni strutturali date dal loro sentimento di appartenenza identitaria ad una collettività (Pizzorno,1991; Véron, 1995). L‟iniziativa del 2008 si prestava invece meglio a ragionamenti di tipo razionale su quali fossero le istituzioni maggiormente indicate per prendere decisioni definitive in materia di naturalizzazioni. Dopo l‟analisi dei risultati basati sulla frame analysis, presenteremo, nel prossimo paragrafo, quella incentrata sui discorsi nei dibattiti televisivi. 3.4 Risultati dell’analisi del “contratto di lettura”. La frame analysis ci ha permesso di trarre delle indicazioni di tipo quantitativo sugli attori che partecipano al dibattito pubblico nelle tre regioni linguistiche, ci ha inoltre consentito di vedere entro quali quadri semantici si inseriscono le diverse argomentazioni. Lo studio qualitativo, fondato sul concetto di contratto di lettura, delle trasmissioni televisive realizzate in occasione della campagna del 2004 dai tre canali linguistici della SSR, ha invece essenzialmente come scopo quello di descrivere le diverse modalità di 234 mediazione, ovvero il ruolo giocato da chierici mediatori ed imprenditori morali, nel proporre al pubblico una problematica sociale108. Sostanzialmente, l‟inquadramento della problematica oggetto di un dibattito pubblico, varia in funzione delle strategie comunicative dei chierici mediatori e del ruolo da loro imposto agli imprenditori morali nella narrazione televisiva. 3.4.1 Dibattito televisivo proposto dal canale francofono TSR. Ricordiamo che è stata considerata la trasmissione Infrarouge dal titolo “Un passant sur cinq en Suisse n‟est pas Suisse” trasmessa il 15 settembre 2004. Il programma inizia con un commento proposto attraverso una voce fuori campo che presenta sia il soggetto del dibattito, sia i due invitati principali. Il tono è decisamente ironico e teso a irridere una concezione essenzialista dell‟appartenenza nazionale. Dopo aver evidenziato le origini estere di alcuni svizzeri celebri – Christoph Blocher, Pascal Couchepin e Nicolas Hayek – la voce fuori campo affronta il tema degli stranieri che vivono nel Paese e lo fa stabilendo un legame con il dibattito politico in corso: (voce off):… e poi vi è la Svizzera di tutti i giorni: un passante su cinque non è svizzero. I casi dell‟immigrazione li hanno fatti nascere, crescere o radicarsi qui. A coloro che lo volessero, si vuole offrire l‟ipotesi più facile, più semplice di un passaporto, di raggiungere la comunità degli Elvezi, di essere dei nostri. Contro questa semplice idea, l‟UDC ha lanciato un referendum e parla di un‟invasione programmata, di un‟ondata islamica, di terroristi che abiterebbero le nostre città e le nostre campagne.109 [t.d.a] 108 Gli annessi 12 A, B e C consistono nelle trascrizioni delle fasi iniziali delle trasmissioni proposte dai tre canali linguistici: dato che il programma germanofono è in Schweizerdeutsch, una lingua non istituzionalizzata attraverso la scrittura, proponiamo una traduzione in tedesco standard. Un‟analisi più generale di questi documenti audiovisivi è presente in: Bovet, A./Calvo,S./Hungerbühler, R. (2010). 109 Et puis il y a la Suisse de tous les jours : un passant sur cinq en Suisse n‟est pas suisse. Les hasards de l‟immigration les ont fait naître, grandir ou prendre racine ici. A ceux qui le voudraient, on veut 235 Il commento presenta una popolazione straniera numerosa ed integrata nella “Svizzera di tutti i giorni” a cui è proposta una semplificazione all‟accesso alla cittadinanza svizzera. Si noti, inoltre, che viene posto l‟accento sulla volontarietà, l‟uso del condizionale (…A ceux qui le voudraient …)110 a questo proposito sottintende che non tutti potrebbero essere necessariamente interessati a naturalizzarsi. Al progetto di agevolazione, incontestabilmente appoggiato dall‟enunciatore, viene contrapposto un controprogetto attribuito all‟UDC. La formulazione dell‟enunciazione lascia intendere che questo partito è stato il principale artefice dell‟organizzazione del referendum. Il rifiuto della linea dell‟UDC è motivato dai discorsi, allarmisti e xenofobi, che le sono attribuiti. A questo punto del commento, l‟oggetto del dibattito appare come una proposta di modifica legislativa che permetterebbe a degli individui che costituiscono una parte importante della popolazione svizzera di acquisire la cittadinanza, sempre che lo vogliano. Il progetto appare, nel complesso, ragionevole e desiderabile. Coloro che, invece, vi si oppongono, si vedono attribuire delle motivazioni irrazionali ed illegittime. Il proseguo dell‟enunciazione non fa che rinforzare questa configurazione: (voce off): Per dibattere sulla naturalizzazione agevolata dei giovani stranieri, questa sera a Infrarouge, Jean-Philippe Maître, cinquantacinque anni, Consigliere nazionale, pro europeista della prima ora, sovente più convincente nel cinguettare che non nel graffiare. A contrastarlo, Oskar Freysinger, quarantaquattro anni, questo professore di lettere è piuttosto esperto in propaganda ed in linguaggio non proprio aulico. Questo gli ha permesso di conquistare senza difficoltà un seggio come Consigliere nazionale per offrir l‟hypothèse plus facile, plus simple d‟un passeport, de rejoindre la communauté des helvètes, d‟être des nôtres. Contre cette idée simple, l‟UDC a lancé un référendum et parle d‟une invasion programmée, d‟un déferlement de l‟islam, de terroristes qui habiteraient nos villes et nos campagnes.) 110 L‟italiano impone il congiuntivo: A coloro che lo volessero… 236 l‟UDC in Vallese. Di origine austriaca, ha il passaporto solo dall‟età di diciotto anni. Allora Signor Freysinger, cosa significa essere svizzero da soli ventisei anni?111 [t.d.a] Innanzitutto, possiamo notare che il primo partecipante al dibattito, benché Consigliere nazionale, non è collegato, dalla voce fuori campo ad alcun partito politico (è membro del Partito Democristiano, n.d.a). Riguardo al secondo, invece, viene invece subito messa in rilievo l‟appartenenza all‟Unione Democratica di Centro. Inoltre, la voce fuori campo sembra indicare che Oskar Freysinger debba la propria brillante elezione soprattutto al proprio attivismo ed al linguaggio radicale che, prestando fede alla prima parte del commento, sembra caratterizzare l‟intero suo schieramento politico. Viene fatta rilevare, in definitiva, una grande coesione e determinazione all‟interno dello schieramento che si oppone al progetto. Al contrario, la compagine che lo appoggia è presentata come molto frammentata. La leggera ironia indirizzata a JeanPhilippe Maître (… sovente più convincente nel cinguettare che non nel graffiare…) non fa che rafforzare questa impressione. Questa configurazione asimmetrica tende a far apparire l‟esistenza di un campo fortemente politicizzato ed ideologizzato contrapposto ad uno meno aggressivo e guidato unicamente dal buonsenso. Molto interessante è, inoltre, la domanda che conclude in modo provocatorio il commento (Allora Signor Freysinger, cosa significa essere svizzero da soli ventisei anni?). Il fatto di essere stato egli stesso naturalizzato, sembra costituire un problema, o quantomeno un‟incongruenza rispetto all‟opposizione di Oskar Freysinger ad un alleggerimento delle procedure. 111 Pour débattre de la naturalisation facilitée des jeunes étrangers, ce soir dans Infrarouge JeanPhilippe Maître, cinquante-cinq ans, conseiller national, pro européen de la première heure, il est souvent convaincant au ramage pas souvent au grattage, face à lui Oskar Freysinger, quarantequatre ans, ce professeur de lettres serait plutôt expert en battage et en langage pas toujours fleuri. Cela lui a permis de décrocher sans ambages un siège de conseiller national UDC en Valais. D‟origine autrichienne, il n‟a le passeport que depuis l‟âge de dix-huit ans. Alors Monsieur Freysinger, qu‟est-ce que ça fait d‟être suisse depuis vingt-six ans seulement ? 237 La richiesta di spiegazioni è, però, puramente retorica dal momento che subito dopo il “jingle” è la moderatrice, e non il Consigliere dell‟UDC, a prendere la parola per spiegare, molto brevemente, il tema e la data della votazione a cui la trasmissione è consacrata. La giornalista afferma che, da un lato, “gli animi si riscaldano112” [t.d.a] e, dall‟altro, l‟esito del voto è molto incerto. In seguito essa saluta Oskar Freysinger presentandolo come “totalmente e ferocemente opposto a questi due progetti di naturalizzazione agevolata”113 [t.d.a] e solo a questo punto pone al deputato la domanda con cui si era concluso il commento. L‟inquadramento proposto dalla trasmissione influisce fortemente sui partecipanti al dibattito, i cui scambi enunciativi risultano condizionati dalle categorizzazioni a cui sono stati assoggettati. È significativo che quando Oskar Freysinger prende la parola dichiara subito di non essere per principio contrario alle naturalizzazioni agevolate. Questa affermazione, più che da reale convinzione sembra essere dettata dal carattere inaccettabile, se non irricevibile, di un opposizione netta al progetto nel quadro dello spazio di discussione costruito dalla trasmissione. Un ultimo tratto caratteristico del tipo di mediazione proposto dal programma svizzerofrancese si nota quando, dopo il primo scambio di battute tra i partecipanti, la moderatrice lancia un documento che rende conto dei contenuti dei due progetti in votazione. In particolare la voce fuori campo rileva che: (voce off):”Gli stranieri di terza generazione […] saranno svizzeri dalla nascita se il padre o la madre hanno compiuto cinque anni di scolarità in Svizzera.” 114 [t.d.a] 112 “Les esprits s‟échauffent.” “totalement, farouchement opposé à ces deux projets de naturalisation facilitée” 114 “Les étrangers de troisième génération […] seront suisse dès la naissance si le père ou la mère ont accompli cinq ans de scolarité en Suisse.” 113 238 Quando la conduttrice riprende la parola al termine del documento, questo elemento viene utilizzato per interrogare il Consigliere UDC (Ma cosa la disturba? Cinque anni non sono abbastanza? Cinque anni di scuola obbligatoria in Svizzera non sono sufficienti?115 [t.d.a] In conclusione, la trasmissione romanda non si limita a fornire un‟esaustiva descrizione del progetto in votazione, la presentazione proposta diventa materiale per interrogare gli oppositori. Questi ultimi si trovano dunque, data la configurazione asimmetrica del discorso, a dover costantemente giustificare la loro opposizione. 3.4.2 Dibattito televisivo proposto dal canale italofono TSI. La trasmissione considerata è Lunedì forum, dal titolo Volevamo braccia, sono arrivati uomini, andata in onda il 20 aprile 2004. Come nel caso romando, il programma svizzero-italiano consacrato al dibattito sulla votazione concernente le naturalizzazioni agevolate offre all‟inizio un documento che ha lo scopo di inquadrare la discussione. Subito dopo i saluti iniziali, il moderatore lancia un filmato in bianco e nero che mostra delle persone che scendono da un treno commentato da una voce fuori campo: (voce off): “Volevamo braccia e sono arrivati uomini. Sono passate generazioni da quelle parole di Max Frisch. Oggi votiamo sui figli e sui nipoti di quegli uomini. Ai figli, la seconda generazione, la riforma offre una procedura più semplice e meno costosa, solo spese amministrative, a certe condizioni però, età tra 14 e 24 anni, permesso di domicilio o dimora, minimo cinque anni di scuola dell‟obbligo in Svizzera, buona integrazione e nessuna condanna.” 115 “Mais qu‟est-ce qui vous dérange ? Cinq ans ça n‟est pas assez ? Cinq ans d‟école obligatoire en Suisse, ça n‟est pas assez ? ” 239 Il reportage si apre con una citazione del famoso intellettuale e scrittore svizzero Max Frisch (Volevamo braccia, sono arrivati uomini) e con le immagini di lavoratori immigrati in Svizzera. Un‟introduzione di questo tipo contestualizza il voto sulle naturalizzazioni in un processo storico di lunga durata che, inoltre, rende conto delle ragioni che hanno portato ad una massiccia presenza di popolazione straniera nel Paese. La Svizzera ha attratto la manodopera di cui aveva bisogno, la frase di Max Frisch suggerisce, a questo proposito, che gli esseri umani non possono prestarsi a tali riduzioni utilitariste. Questo inquadramento, che potremmo definire umanista, della problematica si ricollega con l‟oggetto stesso della votazione. La voce fuori campo insiste, infatti, sul fatto che votiamo sui figli e sui nipoti di quegli uomini. Il commento prosegue indicando che il primo progetto offre, a certe condizioni, a questi giovani una procedura più semplice e meno costosa. Si nota che la voce fuori campo si sforza di ricreare un legame tra la collettività che ha convocato questi esseri umani (Volevamo …) e quella che è chiamata a riformare le condizioni di naturalizzazione dei loro discendenti (Oggi votiamo …). Un tale inquadramento della problematica rende l‟opposizione ai progetti difficilmente legittimabile e difendibile, a meno di adottare la medesima prospettiva utilitarista stigmatizzata da Max Frisch. Al contrario, la riforma appare come un‟offerta che la Svizzera è moralmente obbligata a fare ai discendenti dei lavoratori che hanno contribuito a modernizzarla. Le agevolazioni sono però sottomesse a determinate condizioni, ed è attorno a queste, secondo il commento, che si articolano la maggior parte delle controversie: (voce off): “È su queste condizioni che si articola il dibattito tra favorevoli e contrari. I toni sono comunque lontani da quelli infuocati che marcavano in passato i voti legati alla problematica degli stranieri.” 240 Se vi è controversia dunque, essa è presentata come notevolmente attenuata rispetto alle passate votazioni legate alla problematica degli stranieri. A questo proposito il secondo progetto, consacrato agli stranieri di terza generazione, non susciterebbe polemiche: (voce off): “Tanto che quasi non c‟è dibattito sulla proposta relativa ai nipoti degli immigrati, se uno dei due genitori è di seconda generazione, l‟acquisto della cittadinanza elvetica è automatica alla nascita.” Questa modalità di inquadramento della problematica è successivamente rinforzato al termine del documento dalle parole del moderatore: (moderatore): “Allora diciamo che la filosofia che sta dietro questa proposta è che i giovani stranieri che sono cresciuti e che sono nati in Svizzera, dovrebbero ottenere facilmente il passaporto.” Attribuendo la riforma ad una filosofia tesa a facilitare l‟accesso alla cittadinanza ai giovani stranieri nati e cresciuti in Svizzera, il giornalista completa la tesi alla base della mediazione sin lì proposta all‟interno della trasmissione: il voto ha delle implicazioni in relazione al rapporto tra il collettivo elvetico e le persone fatte arrivare d‟oltre confine per ragioni utilitariste. Questa messa in prospettiva appare dunque, non solo nel documento audiovisivo, ma anche nella moderazione del dibattito, ai partigiani del progetto sono poste domande aperte che permettono loro di precisare i diversi aspetti delle riforme sottoposte al voto. I quesiti posti agli oppositori mirano, invece, a cercare di comprendere quali mai possano essere le ragioni alla base del rifiuto. La prima domanda posta ad un oppositore, il Consigliere nazionale grigionese UDC Christoffel Brändli, è un ottimo esempio di questa configurazione asimmetrica della mediazione: 241 (moderatore): “Christoffel Brändli, quando si affrontano queste due proposte, si dice, in fondo si tratta semplicemente di naturalizzare persone che sono già integrate nella nostra società. Perché non accettare questo principio?” La domanda mira infatti a comprendere perché un oppositore dovrebbe rifiutarsi di naturalizzare persone che, e viene presentato come un fatto scontato, sono già integrate nella nostra società. Christoffel Brändli risponde, sostanzialmente, che la politica svizzera in materia è già sufficientemente aperta e che non avrebbe senso che lo fosse ancor di più. A questo punto, il giornalista interroga un altro membro della medesima fazione, Attilio Bignasca, Consigliere nazionale della Lega dei Ticinesi, sui supposti pericoli di un‟ulteriore alleggerimento delle procedure: (moderatore): “Ma quali sarebbero appunto i pericoli, sentiamo Bignasca, di questo tipo di apertura? Christoffel Brändli dice non dobbiamo aprirci ancora di più, perché quali pericoli ci sono?” Le motivazioni alla base dei progetti sottomessi al voto vengono ampiamente esposte, in particolare in apertura di trasmissione. Lo stesso non si può dire delle ragioni per rifiutarli, il compito di esporle è assegnato agli oppositori. Inoltre accade che il moderatore riprenda le argomentazioni proposte dai partigiani e le faccia proprie. Così avviene quando il giornalista, dopo un intervento del Consigliere nazionale socialista ginevrino Giovanni Sommaruga che rimproverava al campo contrapposto di fomentare paure ingiustificate, traccia un parallelo tra gli oppositori ed i movimenti xenofobi attivi negli anni ‟70: (moderatore): “Christoffel Brändli, Sommaruga ha parlato di paura, cosa differenzia la vostra posizione se la paragoniamo con la posizione degli anni dello Schwarzenbach, dello Schwarzenbach di allora. Allora erano contro gli italiani oggi si dice contro altri tipi di paesi. Ecco, cosa vi differenzia?” 242 Gli oppositori, in ragione dell‟agire del moderatore, si ritrovano così paragonati, legittimamente o meno, ad uno schieramento storicamente screditato. La trasmissione svizzero-italiana presenta anch‟essa una configurazione asimmetrica della mediazione. In sede di conclusione presenteremo alcune differenze riscontrabili rispetto a quella romanda, in particolare una contrapposizione tra il modello didattico proposto sull‟emittente italofona e quello militante avanzato su quella francofona. In entrambi i programmi si nota una presa di posizione dei chierici mediatori che inquadrano la problematica relativa ai progetti in modo tale da rendere le ragioni degli oppositori difficili da comprendere e, addirittura, da giustificare. 3.4.3 Dibattito televisivo proposto dal canale germanofono SF. La trasmissione considerata in questo caso è Arena, andata in onda il 10 settembre 2004. Occorre innanzitutto rilevare che la lingua utilizzata durante tutto il dibattito è lo Schweizerdeutsch116. Anche in ambito televisivo permane dunque la diglossia, dal momento che, ad esempio i telegiornali, sono presentati in tedesco standard. Arena presenta una struttura profondamente diversa rispetto alle analoghe trasmissioni proposte dalle emittenti della Svizzera latina. Immediatamente dopo il generico, la voce fuori campo presenta i membri dei due fronti del dibattito. Il rappresentante principale dei partigiani del progetto è il “ Consigliere federale e ministro della giustizia” Cristoph Blocher, gli altri sono sindacalisti e esponenti di secondo piano dei partiti che appoggiano la riforma. L‟invitato principale per il fronte degli oppositori è Ueli 116 Questo idioma è, come più volte sottolineato, istituito unicamente attraverso l‟oralità. Per questa ragione, le citazioni verranno qui presentate unicamente nella loro versione tradotta. L‟annesso 8C presenta una versione in tedesco standard. 243 Maurer117, presidente dell‟UDC, a spalleggiarlo vi sono altri rappresentanti del suo partito, di movimenti di estrema destra ed il Primo cittadino del Comune di Emmen. Immediatamente dopo le presentazioni, il moderatore prende la parola e presenta la problematica della votazione in maniera estremamente sintetica: (moderatore): “Buona sera e benvenuti a questa Arena. Per uno di questi118, che per qualcuno non è nient‟altro che un pezzo di cartone che nulla significa se non che il suo possessore o posseditrice è un cittadino o una cittadina svizzera. Per altri è qualcosa di estremamente specifico, una speciale cittadinanza che solo gli eletti possono ricevere. Per la maggioranza è qualcosa il cui significato è un ibrido tra i due. Circa 37'000 persone provenienti dall‟estero hanno ricevuto, nell‟ultimo anno, il passaporto rosso, se entrambe le iniziative sulle naturalizzazioni, sulle quali siamo chiamati a votare il 26 settembre, venissero accettate potrebbero essere, nei prossimi anni, alcuni di più. La domanda è molto semplice: ciò è un bene o un male?” [t.d.a] Il giornalista presenta l‟opposizione tra i due campi sotto la forma di diverse concezioni del passaporto svizzero. Per i fautori dell‟iniziativa la cittadinanza è un puro fatto amministrativo, gli oppositori lo considerano “qualcosa di estremamente specifico”. La maggioranza della popolazione si troverebbe tra queste due posizioni, giudicate di conseguenza estreme. Il moderatore, in seguito, precisa il numero delle naturalizzazioni che ammontava, l‟anno precedente, a 37'000 unità e che l‟accettazione dell‟iniziativa avrebbe portato ad un aumento rispetto a questa cifra. Ciò gli permette di ridurre la problematica a una domanda “molto semplice”, “ciò è un bene o un male?” La questione, posta in tale modo, indica come Arena non si proponga come sostenitrice di alcuno dei due campi. Non è questo aspetto, però, a distinguere maggiormente la 117 Pur ritornando in seguito sulla questione, è utile accennare sin d‟ora al carattere ambiguo della scelta degli ospiti. Ueli Maurer e Cristoph Blocher sono storicamente molto vicini, e la presenza nel campo dei partigiani di quest‟ultimo è legata unicamente ai suoi obblighi istituzionali di membro del Consiglio federale. 118 A questo punto il moderatore estrae un passaporto svizzero e lo mostra alla telecamera. 244 trasmissione germanofona dalle sue consorelle latine. Molto interessante è, piuttosto, il particolare inquadramento della problematica proposto da Arena, focalizzato sulle conseguenze della riforma per coloro che già sono cittadini svizzeri: l‟adozione della riforma porterebbe ad un aumento di “persone provenienti dall‟estero”. Non viene fatta menzione, come invece nel caso della trasmissione italofona, delle ragioni storiche che hanno portato alla massiccia presenza di popolazione straniera nel Paese, né, come in quella francofona, della profonda integrazione nel tessuto sociale di buona parte di essa. Gli inquadramenti della problematica proposti dalle due trasmissioni latine fornivano una struttura normativa capace di indurre un‟opinione favorevole rispetto alle iniziative in votazione che finivano con l‟apparire come delle misure legittime e desiderabili. Questa dimensione è, invece, assente in Arena che si pone in una posizione decisamente più neutrale. Complessivamente, la presentazione dei progetti in votazione è estremamente stringata, infatti al termine della sequenza che abbiamo appena trattato, il moderatore cede la parola a Ueli Maurer, ponendogli la seguente domanda: (moderatore): “Ueli Maurer, cosa c‟è di male se delle persone, nate e cresciute in Svizzera, ottengono il passaporto svizzero?” [t.d.a] La domanda non si discosta, in sostanza, da quelle poste agli oppositori nella trasmissione francofona ed in quella italofona: gli appartenenti a questo campo sono invitati a spiegare la loro contrarietà ad una riforma apparentemente logica e ragionevole. Nel caso di Arena vi è però una differenza importante, le ragioni per le quali l‟approvazione del progetto sarebbe auspicabile non sono state in alcun modo presentate. In altri termini, la domanda non si articola, in questo caso, con una struttura normativa precedentemente proposta attraverso un servizio filmato o un introduzione dettagliata. 245 Il quesito posto, in questo contesto, oltre che leggermente provocatorio, appare come un invito rivolto a Ueli Maurer a esporre non solo la propria posizione, ma anche il progetto nel suo insieme. La trasmissione affida una parte importante del lavoro di informazione sull‟oggetto in votazione, ai partecipanti al dibattito, agli imprenditori morali. Ciò non deve far credere ad un assenza di mediazione, quanto piuttosto ad una strategia comunicativa che tende a minimizzare la visibilità del ruolo dei professionisti della mediazione. Questo aspetto appare manifesto nel proseguo della trasmissione, quando il Consigliere federale Cristoph Blocher sposa chiaramente una linea esplicativa rinunciando ad ogni polemica. A questo proposito va ricordato che egli aveva tutto l‟interesse politico ad adottare questo tipo di strategia, dal momento che il suo appoggio ai progetti era puramente formale, legato al suo ruolo istituzionale, ed in totale contrasto con le opinioni sull‟argomento da lui sempre pubblicamente professate. Le osservazioni effettuate sul programma Arena – che erano mirate, ricordiamo, esclusivamente alla mediazione proposta dall‟istanza giornalistica tra il progetto in votazione ed il pubblico – permettono di mettere in luce importanti differenze rispetto alle trasmissioni delle altre due regioni linguistiche. I mediatori in queste ultime, infatti, presentano la riforma in maniera dettagliata, sia nei suoi contenuti che nel suo contesto. Questo approccio ha come effetto di far apparire gli oppositori come individui mossi da motivazioni inaccettabili e xenofobe. Il programma germanofono, invece, si limita a tematizzare le conseguenze sul collettivo nazionale di un‟eventuale accettazione del progetto, lasciando ai membri dei due schieramenti il compito di presentare i contenuti della riforma. Occorre inoltre ricordare che la scelta dello Schweizerdeutsch come lingua di comunicazione esclude, di fatto, tutti i telespettatori che non hanno avuto un lungo processo di socializzazione nella Svizzera tedesca. 246 3.4.4 Le differenti strategie di mediazione. L‟analisi, ricordiamo, è stata effettuata sulle trasmissioni televisive che presentavano il dibattito precedente alle votazioni sulle procedure di naturalizzazione del 2004 nelle tre regioni linguistiche. L‟approccio utilizzato è stato quello di studiare l‟implicito contratto di lettura (Véron, 1985; Widmer, 2004a) proposto dall‟enunciatore che stabilisce una relazione triadica tra di esso, i destinatari ed una possibile rappresentazione della realtà. Questo tipo di osservazione permette di valutare il diverso ruolo che, nelle tre regioni linguistiche, rivestono i chierici mediatori – in questo caso autori televisivi e moderatori – rispetto a quello degli imprenditori morali, ossia dei partecipanti effettivi al dibattito, in questo caso gli uomini politici dei due schieramenti. Rispetto alle trasmissioni analizzate, occorre innanzitutto rilevare che in tutti e tre i casi con diverse sfumature, in maniera più esplicita nelle regioni latine, in modo più sfumato in quella germanofona – i chierici mediatori mostrano un‟attitudine favorevole rispetto alle riforme tese ad alleggerire le procedure di naturalizzazione. Questo fenomeno è spiegabile con il fatto che questa categoria tende ad appartenere ad un gruppo di comunicazione dominante (Véron, 1995) che, in Svizzera, ha come riferimento valori assimilabili ad un umanesimo liberale. Questo aspetto, in relazione alle nostre ipotesi, ci interessa meno delle differenze riscontrabili nelle forme di mediazione, di inquadramento della problematica, che i chierici mediatori propongono al pubblico. A tale proposito è possibile rilevare elementi molto interessanti. Le trasmissioni francofona ed italofona propongono una lunga introduzione alla problematica prima di dare la parola ai rappresentanti dei due schieramenti. La prima attraverso un commento fuoricampo, che evidenzia la forte integrazione sociale dei potenziali richiedenti, la seconda per mezzo di un documento audiovisivo che 247 ricostruisce le ragioni utilitaristiche per le quali gli antenati dei giovani “naturalizzabili” sono stati chiamati in Svizzera. In entrambi i casi l‟inquadramento della problematica è effettuato dai chierici mediatori in una maniera tale da obbligare gli oppositori alla riforma a giustificarsi del fatto di sostenere una posizione priva di qualunque ragione etica o morale. Inoltre la prospettiva introdotta dai mediatori è quella di far prevalere le motivazioni che possono spingere i richiedenti a sentirsi in diritto di ottenere la cittadinanza elvetica. Il programma germanofono Arena, pur senza nascondere le simpatie dei moderatori nei confronti della riforma, rinuncia a una lunga introduzione alla problematica, lasciando ai partecipanti al dibattito, gli imprenditori morali, il compito di spiegare la natura della riforma. Diversamente dalle sue consorelle latine, la trasmissione focalizza l‟inquadramento della problematica non sui diritti dei richiedenti, ma piuttosto sui vantaggi o gli svantaggi che questa comporterebbe per coloro che sono già cittadini svizzeri. Sostanzialmente queste osservazioni corroborano quanto ipotizzato teoricamente. Nelle aree dove il dibattito avviene attraverso una lingua istituita attraverso la scrittura, i chierici mediatori si ritengono autorizzati a condizionare in maniera esplicita la rappresentazione della problematica, concedendo un margine di manovra molto limitato agli imprenditori morali, in particolare a quelli appartenenti al campo avverso rispetto a quello da loro sostenuto. Questa attitudine è estremamente manifesta soprattutto nella trasmissione francofona dove, ad un certo punto, viene data la parola non soltanto ai potenziali naturalizzabili, ma anche a rappresentanti della comunità mussulmana in Svizzera in quanto, ad avviso dei mediatori, “fortemente presi in causa durante la campagna”119. [t.d.a] Nella trasmissione germanofona, al contrario, i chierici mediatori ritengono di dover assumere un atteggiamento molto più neutrale rispetto alla problematica trattata. 119 “ fortement pris à partie durant cette campagne “ 248 Va comunque rilevato che la scelta di invitare Cristoph Blocher come capofila dei fautori della riforma costituisce una scelta quanto mai provocatoria, che è difficile non leggere come un tentativo di mettere in difficoltà il campo degli oppositori. Egli, in quanto Consigliere federale, è obbligato, in nome del principio della collegialità di governo, a sostenere una riforma appoggiata dalla maggior parte dei suoi colleghi, ma tutta la sua storia politica mostra la sua avversione ad una modifica legislativa di questo tipo. Il leader carismatico dell‟UDC si ritrova così costretto a dibattere con Ueli Maurer, presidente del partito e suo stretto collaboratore. Le scelte degli autori del programma Arena mostrano come anche nella svizzera tedesca, per quanto sia inconcepibile un inquadramento esplicito della problematica politica, i chierici mediatori non rinuncino affatto, in maniera implicita, a condizionare la messa in prospettiva della discussione. 3.5 Conclusioni. In questo capitolo ci siamo occupati delle caratteristiche della discussione pubblica in occasione delle votazioni che, dal 1983 al 2008, hanno avuto come oggetto le procedure di naturalizzazione. Tre di queste (1983, 1994, 2004) erano referendum su dei decreti federali, la quarta (2008) un‟iniziativa popolare. Le problematiche legata alle naturalizzazioni si inseriscono in un dibattito più ampio che coinvolge diversi ambiti sociali legati alla popolazione straniera residente in Svizzera. Nel secondo dopoguerra, in particolare, tra la fine degli anni sessanta e la metà dei settanta, un movimento xenofobo, l‟Azione nazionale, ha avviato con notevole successo una campagna contro l‟”inforestierimento” del Paese. Queste azioni, oltre ad aver portato a due iniziative popolari che chiedevano un severo contingentamento dell‟ immigrazione, hanno spinto alcune amministrazioni comunali a varare delle misure che rendono estremamente ostico agli stranieri ottenere la cittadinanza. 249 Per porre un freno alle discriminazioni determinate dalla disomogeneità delle legislazioni comunali, il Consiglio federale e la maggioranza parlamentare hanno promosso - a più riprese come abbiamo visto - delle modifiche costituzionali volte ad aprire la strada ad agevolazioni per i giovani stranieri nati e cresciuti in Svizzera ed interessati ad acquisire la cittadinanza elvetica. Nel sistema politico elvetico questi cambiamenti legislativi possono essere annullati da un referendum popolare. Le sconfitte alle urne registrate dai progetti governativi hanno spinto coloro che vi si opponevano, ed in particolare l‟UDC, a promuovere un‟iniziativa popolare che proponeva un ampliamento dei poteri decisionali dei Comuni e dei Cantoni in materia di naturalizzazione, rendendo, di fatto, più arduo l‟ottenimento della nazionalità svizzera. I risultati di queste votazioni – ed in particolare le differenze registratesi tra i Cantoni e le aree linguistiche, messe in relazione con quelli relativi ad altre consultazioni che avevano per tema la popolazione straniera – ci hanno portato a ritenere che le discussioni pubbliche attorno ad esse avrebbero potuto essere state caratterizzate da argomentazioni fortemente influenzate dall‟appartenenza identitaria. Le precedenti riflessioni sui rapporti tra consultazioni popolari, identità collettive e spazio pubblico ci avevano condotto a formulare la seguente teoria. Le votazioni sulle naturalizzazioni implicano, per i cittadini, delle scelte il cui rapporto costi/benefici è troppo sfumato e differito nel tempo per poter essere operate attraverso dei ragionamenti unicamente di tipo razionale-utilitaristico. In situazioni di questo genere, gli elettori, per esprimere il proprio voto, si appellano alle condizioni strutturali date dalla loro appartenenza ad una collettività identificante (Pizzorno, 1991). Le identità collettive sono determinate da codici (Eisenstadt, 1998, 2000) che – definendo delle dicotomie di tipo spaziale, temporaneo e riflessivo – influenzano in maniera importante le strutture dello spazio pubblico. Esse non determinano i contenuti del dibattito quanto l‟inquadramento della discussione. 250 Un elemento di identificazione estremamente importante nelle società moderne è l‟appartenenza linguistica. Le principali collettività si caratterizzano per distinti modi di rapportarsi alla propria lingua (Widmer, 2004a, 2004b), questa diversità è data dalle modalità di istituzionalizzazione dell‟idioma. La domanda di ricerca che ci si è posti è stata, di conseguenza, se, ed in quale misura, il dibattito pubblico sulle votazioni concernenti le procedure di naturalizzazione fosse influenzato dall‟appartenenza ad una collettività identificante fondata sulla comune appartenenza linguistica. Le relative ipotesi postulano l‟esistenza, all‟interno del gruppo germanofono di un rapporto metonimico (Widmer, 2004a) con la propria lingua, dove quest‟ultima è percepita, in ragione della sua istituzionalizzazione orale, come un elemento fondamentale e distintivo della collettività. Questa relazione condiziona le strutture dello spazio pubblico e porta allo sviluppo di codici di identificazione che definiscono come naturali e difficilmente superabili le frontiere che separano chi si trova all‟interno di una collettività da chi ne è fuori. Le popolazioni francofone ed italofone – servendosi, nel dibattito pubblico, unicamente delle rispettive lingue standard – intrattengono, invece, un rapporto metaforico con i rispettivi idiomi, non li considerano, cioè, elementi caratterizzanti delle loro collettività. Questa situazione porta a i membri a percepire i confini del gruppo come artificiali e, pertanto, valicabili attraverso un lento processo di socializzazione. La caratteristica della persistenza nello spazio pubblico germanofono di una lingua istituzionalizzata attraverso l‟oralità ci ha portato inoltre ad ipotizzare l‟esistenza di differenze rispetto alle altre regioni per quanto riguarda i ruoli dei chierici mediatori (Gellner, 1983) e degli imprenditori morali (Becker, 1963). L‟analisi è stata effettuata sui discorsi veicolati da mezzi di comunicazione particolarmente importanti nello spazio pubblico mediatizzato (Wolton, 1991; Wolf, 251 1996) durante il periodo in cui si sono svolte le votazioni prese in considerazione: i quotidiani e la televisione. Per quanto riguarda la stampa scritta sono stati scelti ed osservati, durante le campagne di voto, due giornali per ogni regione linguistica. I criteri di selezione sono stati numerosi, ma tutti finalizzati a determinare i due quotidiani maggiormente “istituzionali” e, di conseguenza più facilmente comparabili. Per ciò che concerne la televisione sono stati considerati i tre dibattiti antecedenti la votazione del 2004 proposti dai canali linguistici dell‟emittente di servizio pubblico SRG SSR idée suisse. La selezione dei medium, ed in particolare dei giornali, è stata effettuata alla luce dell‟ipotesi che esista, presso i chierici mediatori svizzeri un gruppo di comunicazione dominante (Véron, 1995) sostenitore di modelli culturali favorevoli ad un‟agevolazione delle procedure per i giovani naturalizzandi. Al fine di vagliare le ipotesi sono stati utilizzati metodi d‟analisi diversi a seconda dei medium presi in considerazione. La stampa scritta, che costituiva di gran lunga il corpo più consistente, è stata studiata attraverso la frame analysis (Entman, 1993; Ferree e altri, 2002) che consente di raggruppare le idee espresse nel dibattito attorno a dei nuclei concettuali comuni, dei frame, e, al tempo stesso, ricondurle agli attori che le hanno formulate. Le trasmissioni televisive sono state considerate attraverso un approccio qualitativo fondato sull‟esistenza di un contratto di lettura (Véron, 1985; Widmer, 2004a) implicito tra gli autori del programma e gli spettatori. Questo punto di vista ci ha consentito di individuare le modalità di mediazione della problematica nelle tre regioni linguistiche. Per quanto riguarda la prima ipotesi, quella concernente l‟influenza dell‟appartenenza identitaria nella costruzione dei quadri semantici entro cui si svolgono le discussioni nei tre segmenti linguistici, sono stati raccolti dati interessanti nella distribuzione dei frame durante le campagne per le votazioni sulle procedure di naturalizzazione per i giovani (1983, 1994, 2004). 252 Sui giornali della Svizzera tedesca, rispetto a quelli delle altre regioni, sono state riportate molte più argomentazioni che si articolavano al concetto di rappresentazione dello straniero. Il dibattito si è dunque incentrato sulla questione se “gli stranieri sono come noi oppure no”, se possono o meno valicare le frontiere naturali della collettività. La ricorrenza dei frame connessi con i principi di diritto, in particolare riferiti ai concetti di ius sanguinis e ius soli, e con le paure legate alla presenza straniera, fornisce lo stesso tipo di indicazioni: l‟idea che esiste una sorta di comunità naturale e che occorre decidere se i nuovi membri abbiano o meno le caratteristiche per farne parte. Sui quotidiani delle regioni francofona ed italofona si è, invece, registrata una netta predominanza delle argomentazioni centrate sul tema dell‟integrazione degli stranieri. Su quali passi, cioè, sono stati compiuti e quali invece ancora da compiere nel percorso che i giovani stranieri si ritrovano a dover percorrere per superare le barriere d‟accesso alla collettività svizzera, barriere non naturali in questo caso, ma costituite da usanze e costumi. È interessante notare come l‟analisi delle trasmissioni televisive, benché limitata alle sole forme di mediazione, mostri un elemento estremamente coerente con i dati relativi alla ripartizione dei frame. La mediazione proposta nei dibattiti sui canali latini si focalizza primariamente sui candidati alla naturalizzazione; illustrando le ragioni storiche della loro presenza, in quella italofona, e la loro integrazione nel tessuto sociale in quella francofona. Il programma germanofono inquadra la problematica unicamente dal punto di vista di coloro che già sono cittadini svizzeri. Il moderatore si interessa alle conseguenze della riforma, affermando che, se approvata, essa porterebbe ad un aumento di “persone provenienti dall‟estero” e chiedendosi se “ciò è un bene o un male”, sottinteso, per la collettività originaria. 253 La seconda ipotesi, quella secondo cui il rapporto alla lingua avrebbe un influenza sul ruolo dei chierici mediatori e degli imprenditori morali nello spazio pubblico, ha anch‟essa trovato dei riscontri interessanti nei risultati raccolti. La ripartizione degli articoli di giornale secondo la loro tipologia ha mostrato come nelle regioni latine gli articoli “di opinione” – editoriali e tribune, che ospitano le posizioni, rispettivamente, dei giornalisti e degli intellettuali – sono proporzionalmente più numerosi. Nella Svizzera tedesca, al contrario prevalgono gli articoli di cronaca politica, che riportano le posizioni degli attori politici istituzionali, e le lettere dei lettori, attraverso le quali si esprimono i cittadini comuni. Questi dati mostrano come i chierici mediatori, nelle regioni latine, ritengano loro compito intervenire in maniera esplicita nel dibattito, nell‟area germanofona, invece, prevale l‟idea che le diverse posizioni debbano essere sostenute dagli imprenditori morali. Il risultato relativo al rapporto tra gli idea element di giornalisti ed esperti e quelli proposti dagli altri attori, fornisce analoghe indicazioni, dal momento che i primi, proporzionalmente, prendono molto più sovente posizione nelle aree francofona ed italofona. L‟analisi delle modalità di mediazione presentate dalle trasmissioni televisive rafforza ulteriormente queste conclusioni. I dibattiti proposti dai canali latini sono, infatti, preceduti da lunghe introduzioni – sottoforma di commento di una voce fuoricampo, alla TSR, o per mezzo di un documento filmato, alla TSI – che hanno la finalità esplicita di spiegare al pubblico l‟oggetto in votazione e quella implicita di inquadrare la problematica da un punto di vista favorevole ai promotori delle riforme. Questo tipo di mediazione costringe, di fatto, gli oppositori in una posizione difensiva che li obbliga a motivare le loro ragioni di contrarietà ad un progetto che appare come naturale e giustificato. Nella trasmissione germanofona, invece, il moderatore propone solo un breve accenno all‟oggetto in votazione ed in seguito cede la parola ai partecipanti, lasciando a loro, agli 254 imprenditori morali di entrambi gli schieramenti, il compito di illustrare agli spettatori le implicazioni del progetto in votazione. Pur senza nascondere simpatia per il progetto, i mediatori, in questo caso, si astengono dall‟inquadrare la problematica in modo asimmetricamente favorevole ai promotori della riforma. Accanto ai dati relativi alle ipotesi di ricerca, occorre evidenziare quelli concernenti due fenomeni ad esse strettamente correlati. Innanzitutto, sia l‟analisi delle mediazioni televisive, sia lo studio della ripartizione della direzione, favorevole o sfavorevole alle riforme in votazione, degli idea element riportati dai quotidiani, mostra come i giornalisti siano tendenzialmente favorevoli al progetto di agevolazione delle procedure di naturalizzazione. Questi dati indicano che effettivamente i chierici mediatori – almeno quelli “istituzionali”, che operano sui principali giornali generalisti e sulle emittenti di servizio pubblico – costituiscono, senza distinzione tra regioni linguistiche, un gruppo di comunicazione che si rifà a modelli culturali simili, ciò che cambia sono le modalità della mediazione. Un altro dato significativo è costituito dalla discrepanza nella ripartizione dei frame tra i referendum sulle naturalizzazioni agevolate (1983, 1994, 2004) e l‟iniziativa tesa ad ampliare le prerogative comunali e cantonali nel processo di attribuzione della cittadinanza (2008). Come abbiamo evidenziato, le campagne per le votazioni sulle procedure concernenti i giovani stranieri si sono caratterizzate per significative differenze nell‟importanza attribuita ai diversi quadri semantici tra le regioni latine e quella germanofona, questo non è avvenuto durante la discussione pubblica sull‟iniziativa “per delle naturalizzazioni democratiche, che si è, invece, articolata attorno ai medesimi frame in tutte le aree linguistiche. Questo fenomeno è spiegabile con il fatto che l‟elettore chiamato a scegliere se includere o meno nuovi membri in seno alla propria collettività cerca punti di riferimento nelle 255 condizioni strutturali date dalla sua appartenenza identitaria, mentre al momento in cui deve decidere delle gerarchie tra le diverse istituzioni, egli si basa maggiormente sulla propria razionalità strumentale. Non è un caso, a questo proposito, che la votazione del 2008 sia stata rifiutata, pur con percentuali diverse, dall‟insieme dei Cantoni ad eccezione di Svitto. In conclusione, i risultati delle analisi mostrano che in occasione di votazioni dotate di una forte valenza identitaria, le strutture entro cui si articola la discussione pubblica variano in maniera significativa tra le regioni linguistiche. 256 Conclusioni generali. In questa ricerca sono state evidenziate le differenze strutturali che caratterizzano i segmenti dello spazio pubblico svizzero; si è osservato, inoltre, come queste siano in stretta relazione con lo sviluppo di specifici codici di identificazione collettiva. Questi aspetti appaiono particolarmente visibili analizzando i dibattiti politici che hanno avuto luogo in occasione delle votazioni sulla regolamentazione delle procedure di naturalizzazione. Traendo spunto da ciò, in queste pagine conclusive vogliamo proporre alcune riflessioni di più largo respiro sull‟influenza delle identità collettive sui processi decisionali democratici. L‟oggetto ed i risultati stessi delle consultazioni che abbiamo preso in considerazione pongono, infatti, interrogativi altrettanto importanti a quelli relativi alle differenziazioni regionali nei discorsi politici che hanno animato le loro campagne. Soprattutto i tre referendum (1983, 1994, 2004) lanciati per abrogare i decreti volti ad agevolare le procedure di naturalizzazione per i giovani stranieri, hanno avuto un esito che è difficile interpretare presupponendo la razionalità dei comportamenti degli attori sociali (Boudon, 1977; Elster, 1983). Ricordiamo, infatti, che il Consiglio federale aveva varato queste modifiche legislative per porre fine alle discriminazioni a cui vanno incontro coloro che, nati e cresciuti nella Confederazione, devono sottoporre la propria candidatura nei Comuni, pochi e perloppiù periferici, che non riconoscono loro le facilitazioni ad ottenere la cittadinanza che nel resto del Paese sono loro accordate. Date queste premesse, l‟applicazione dei modelli d‟analisi fondati sull‟individualismo metodologico - che postulano l‟esistenza di un homo sociologicus il cui atteggiamento sociale segue una logica situazionale: che è, in altri termini, capace di sviluppare criteri di adattamento al contesto in cui si trova al fine di poter agire perseguendo un rapporto ottimale tra mezzi e fini – non permettono di comprendere le cause del successo ottenuto dai promotori dei referendum. La grande maggioranza dei votanti, infatti, se 257 avesse fondato la propria scelta su criteri di tipo razionale-strumentale, non avrebbe avuto ragioni per opporsi alla riforma poiché i provvedimenti proposti dal governo sarebbero stati privi di effetti pratici sulle procedure di naturalizzazione applicate nella quasi totalità dei Comuni e dei Cantoni che già concedevano delle facilitazioni ai giovani stranieri. Anche un cittadino con idee xenofobe avrebbe avuto difficoltà ad opporsi al decreto federale unicamente sulla base di logiche utilitariste; da un punto di vista teorico, infatti, gli stranieri desiderosi di acquisire, per loro stessi o per i discendenti, la cittadinanza, potrebbero decidere di abbandonare i pochi Comuni che applicano una politica restrittiva per spostarsi nel resto della Svizzera. In precedenza abbiamo reso conto di questo apparente paradosso rifacendoci alla teoria esposta da Pizzorno (1991) secondo cui, quando il rapporto costi/benefici di una decisione non è chiaramente riconoscibile, coloro che esprimono il voto, al fine di minimizzare la loro incertezza, cercano dei punti di appoggio nei codici di identificazione della loro collettività di riferimento. Questo modello permette di interpretare il comportamento dei cittadini confrontati a scelte come quelle sulle procedure di naturalizzazione. Ciò su cui vorremmo, però, riflettere è perché essi sono chiamati a prendere questo tipo di decisioni? E, ancora, chi sono gli attori che promuovono questo tipo di consultazioni? Sulla base di quali motivazioni? Più specificamente, chi e perché ha lanciato tre referendum su altrettanti decreti legislativi, la cui approvazione avrebbe avuto come unico effetto quello di eliminare delle disparità di trattamento all‟interno dello stesso Stato verso una categoria, quella dei giovani stranieri nati e scolarizzati in Svizzera, che è, per giunta, sempre meno identificabile socialmente? Alcuni studi sulla problematizzazione pubblica delle situazioni legate agli stranieri forniscono degli elementi di risposta interessanti. Skenderovic e D‟Amato (2008) evidenziano come, negli ultimi decenni, le formazioni che pongono al centro del 258 dibattito questa tematica si siano fortemente trasformate. Dagli anni sessanta alla fine del XX secolo, l‟argomento era monopolizzato da piccoli partiti e movimenti che trovavano nella xenofobia la loro ragione di esistere e che, nonostante alcuni estemporanei successi in occasione di singole votazioni, non avevano la capacità di costituirsi come forze in grado di proporre un progetto di società organico e condivisibile da vasti strati della popolazione. A partire dagli anni novanta il contesto è mutato radicalmente, l‟Unione Democratica di Centro, un partito con una lunga storia di difesa del ceto agrario, ha progressivamente assunto un atteggiamento nei confronti della popolazione straniera che fino ad un decennio prima sarebbe stato inconcepibile per una forza politica governativa. A differenza delle piccole formazioni estremiste come l‟Azione Nazionale - i cui membri risentivano in larga misura dell‟influenza ideologica dei regimi fascisti d‟anteguerra ed i cui discorsi erano, di conseguenza, ambigui e globalmente poco efficaci – l‟UDC è in grado di proporre una visione complessiva della società supportata da una vigorosa produzione ideologica trasnazionale che, in tutto il mondo occidentale, rafforza le posizioni di partiti e movimenti della Destra populista (Skenderovic, 2009: 173-229). Negli ultimi anni questo partito ha promosso o, implicitamente o esplicitamente, sostenuto svariati referendum ed iniziative finalizzati a limitare i diritti della popolazione straniera. Secondo molti osservatori (Kriesi, 2005; Giugni/Passy, 2006; Skenderovic/D‟Amato, 2008), si è trattato di una strategia che ha consentito all‟UDC di rafforzare il proprio consenso elettorale. L‟introduzione nel dibattito politico di tematiche dalle forti implicazioni identitarie può permettere, infatti, una produzione ideologica (Althusser, 1965, 1970) – una rappresentazione delle relazioni sociali tale da creare una contrapposizione immaginaria tra i membri della collettività elvetica e gli stranieri - capace di opacizzare i modelli culturali (Touraine, 1973) che guidano le elite del partito nei loro progetti di regolazione dei rapporti di potere in seno alla società svizzera. L‟UDC sembra, quindi, servirsi degli strumenti della democrazia diretta per introdurre nello spazio pubblico contrapposizioni identitarie che le permettono di esercitare 259 pratiche egemoniche (Laclau/Mouffe, 1985) funzionali all‟instaurazione di un ordine sociale congeniale al suo gruppo dirigente. Il successo di questa strategia – che ha portato, nell‟arco di meno di un ventennio, il partito più debole tra quelli rappresentati in Consiglio federale a divenire la forza maggioritaria nel Paese – non significa che lo sfruttamento a fini elettorali dei codici di identificazione collettiva sia possibile unicamente in questo tipo di regime politico. Secondo Windisch (2002), al contrario, i referendum e le iniziative popolari su queste problematiche portano ad una progressiva presa di coscienza da parte dell‟opinione pubblica delle dinamiche reali che le regolano. Le considerazioni del sociologo ginevrino ci trovano parzialmente d‟accordo, anche se occorre ricordare che i promotori delle iniziative che hanno per oggetto la legislazione sulla popolazione straniera in Svizzera sono in grado di modificare costantemente il baricentro della discussione sollevando, di volta in volta, a seconda delle opportunità, questioni relative all‟integrazione economica sociale o culturale (Skenderovic/D‟Amato, 2008). La democrazia diretta obbliga le forze politiche a sottoporre ai cittadini delle scelte che hanno conseguenze reali sulla vita sociale, mentre nei sistemi rappresentativi i partiti possono ricorrere più facilmente a discorsi populisti che non trovano applicazioni reali perché le decisioni sull‟argomento avvengono unicamente in sede parlamentare 120 . Il ricorso a discorsi finalizzati alla costruzione ideologica di contrapposizioni fondate sulle differenze identitarie è divenuto uno strumento di lotta sempre più diffuso nei Paesi democratici occidentali (Skenderovic, 2009: 173-229), e nulla porta a credere che questa tendenza sia destinata ad esaurirsi sul medio termine. La globalizzazione dei sistemi economici, infatti, da un lato, ha reso le relazioni sociali sempre meno intellegibili in termini di contrapposizione tra classi e, dall‟altro, ha portato ad importanti flussi migratori verso il mondo occidentale. 120 Un ottimo esempio della rappresentazione ideologica delle contrapposizioni identitarie in un sistema democratico rappresentativo è datto dal titolo principale de “il Giornale”, un quotidiano molto vicino all‟era governativa, del 6.11.2010 a commento delle misure di sicurezza varate dall‟Esecutivo (Allegato 11). 260 Questo fenomeno si è manifestato con molta evidenza in Svizzera in occasione dell‟iniziativa popolare del 29 novembre 2009 “Contro l‟edificazione di minareti”; quando, diversamente dalle occasioni precedenti, la vittoriosa campagna dei promotori è stata impostata non su argomenti relativi all‟economia o alla sicurezza sociale, ma esplicitamente sulla contrapposizione culturale. Nel resto d‟Europa, ed in particolare dove gli strumenti della democrazia diretta sono poco sviluppati, vi sono stati discorsi ostili nei confronti delle popolazioni nomadi che, in alcuni casi, hanno provocato reazioni popolari pericolosamente violente. L‟agenda politica dei prossimi anni sarà verosimilmente segnata da contrapposizioni di questo genere; in Svizzera - dove le istituzioni del referendum e dell‟iniziativa popolare forniscono le occasioni per problematizzare questi temi e, al tempo stesso, permettono la loro elaborazione da parte dell‟opinione pubblica – e nell‟Unione Europea che appare, invece, diffidente verso questa forma di democrazia, ma che dovrà fare fronte a sfide cruciali, come l‟eventuale integrazione della Turchia, in occasione delle quali i partiti e i movimenti che traggono la propria forza dall‟enfatizzazione dei conflitti tra identità collettive non mancheranno di far sentire la propria voce. A nostro avviso coloro che credono nelle opportunità offerte dal processo di unificazione europea dovranno guardare con interesse al modello istituzionale elvetico al fine di non consentire a determinate forze politiche di incanalare su di esso il malessere sociale. Possibili sbocchi della ricerca. Come abbiamo sottolineato in queste pagine conclusive è molto probabile che le identità collettive acquisiranno un peso sempre maggiore nei dibattiti pubblici in Svizzera ed in Europa. Le forme di comunicazione utilizzate dalle forze politiche che attuano delle pratiche egemoniche fondate su questo su questo tipo di argomentazioni dovranno perciò essere osservate con estrema attenzione, perché i conflitti tra gruppi sociali basati su divergenze economiche possono essere ricomposti attraverso il compromesso e la mediazione, le contrapposizioni costruite sulle differenze identitarie sono, dato il loro 261 carattere principalmente immaginario, più difficilmente risolvibili e rischiano di portare a fenomeni di disgregazione sociale anche violenti. Considerando gli aspetti più specifici di questa ricerca, quelli relativi alle differenze strutturali esistenti nello spazio pubblico elvetico, riteniamo che un elemento importante che non è stato finora affrontato debba essere necessariamente approfondito. Il nostro studio ha, per ragioni teoriche e metodologiche, considerato i diversi segmenti linguistici come compartimenti stagni, senza prendere in considerazione l‟interinfluenza che questi hanno con lo spazio pubblico degli Stati in cui ci esprime nello stesso idioma. Alcune osservazioni prive di valenza scientifica relative alla situazione nella Svizzera italiana, ci hanno suggerito alcune riflessioni in proposito. Negli anni settanta e ottanta il Ticino in occasione delle votazioni che riguardavano la popolazione straniera tendeva ad allinearsi ai Cantoni romandi nel rifiutare le proposte legislative più restrittive. Questa situazione è radicalmente mutata nel corso degli anni novanta in concomitanza con il crollo in Italia della cosiddetta Prima repubblica e la conseguente trasformazione del clima politico nazionale. Non è un caso, riteniamo, che nello stesso periodo si sia affermata la Lega dei Ticinesi, una formazione che, nella sua denominazione prima ancora che nelle forme di lotta politica, trae ispirazione dalla Lega Nord attiva nella vicina Penisola. In un contesto sociale in cui lo spazio pubblico è sempre più mediatizzato, riteniamo che alcune utili indicazioni in questo senso possano arrivare dagli studi sul consumo mediatico transfrontaliero (Cola/Prario, 2009). 262 Bibliografia. AAVV (1989), Storia della Svizzera, Locarno, Dadò AAVV, (2000), La radio et la télévision en Suisse, Bern, MSC SGR SSR AAVV, (2003), 50 Jahren Schweizer Fernsehen, Zürich, SF DRS Abruzzese, A/Mancino, P. (2007), Sociologie della comunicazione, Roma-Bari, Laterza Acklin Muji, D. (2003), Le débat suisse sur l'enseignement des langues étrangères. Vers une réflexion sur l'auto-constitution du collectif helvétique, Bulletin Suisse de Linguistique Appliquée, 77, p. 67-81 Altermatt, U. /Kriesi H. 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Allegato 1: Prima pagina de “Il Mattino della domenica” del 25.04.2010. ....................... 3 Allegato 2: Risultati complessivi del referendum sull‟adesione allo SEE (1992). ............ 5 Allegato 3: Manifesti politici. ............................................................................................ 7 A: Campagna per il referendum sull‟adesione ai trattati di Schengen (2005). ............... 8 B: Campagna per l‟iniziativa per l‟espulsione dei criminali stranieri (2010). ............... 9 C: Campagna per l‟iniziativa per una moratoria sull‟edificazione di minareti (2009). 10 Allegato 4: Articoli costituzionali concernenti la cittadinanza. ....................................... 11 Allegato 5: Legge sulla Cittadinanza (LCit.) ................................................................... 13 Allegato 6: Risultati del referendum sul “Decreto federale inteso ad agevolare certe naturalizzazioni” (1983). .................................................................................................. 32 Allegato 7: Risultati complessivi del referendum sul “Decreto federale concernente la revisione del disciplinamento della cittadinanza nella Costituzione federale” (1994). .... 34 Allegato 8: Risultati complessivi dei referendum sui “Decreti federali sulla naturalizzazione ordinaria e agevolata per i giovani stranieri di seconda generazione e sull‟acquisizione della cittadinanza degli stranieri di terza generazione” (2004). ........... 36 1 A: Decreto federale sulla naturalizzazione ordinaria e agevolata per i giovani stranieri di seconda generazione. ................................................................................................ 37 B: Decreto federale sull‟acquisizione della cittadinanza degli stranieri di terza generazione. .................................................................................................................. 38 Allegato 9: Risultati nazionali e cantonali complessivi dell‟iniziativa popolare “Per naturalizzazioni democratiche” (2008). ................................................................... 39 Allegato 10: Griglia di codifica applicata ad un articolo (La Regione, 3.6.1994). .......... 41 Allegato 11: Tabelle riassuntive della frame analysis. ..................................................... 46 A: Tabelle sulla ripartizione degli articoli (1983-2008). .............................................. 47 B: Tabelle sulla ripartizione degli attori “con voce” (1983-2004). .............................. 51 C: Tabella sulla ripartizione degli attori ed istituzioni “privi di voce” (1983-2004).... 52 D: Tabelle sulla ripartizione dei frame (1983-2004). ................................................... 53 E: Tabelle sulla ripartizione dei frame (2008). ............................................................. 55 Allegato 12: Trascrizioni delle fasi introduttive delle trasmissioni televisive (2004). ..... 57 A: Trasmissione francofona.......................................................................................... 58 B: Trasmissione italofona. ............................................................................................ 61 C: Trasmissione germanofona. ..................................................................................... 64 Allegato 13: Prima pagina de “Il Giornale” del 6.11.2010. ............................................ 70 2 Allegato 1: Prima pagina de “Il Mattino della domenica” del 25.04.2010. 3 4 Allegato 2: Risultati complessivi del referendum sull’adesione allo SEE (1992). 5 Si No % Si % No 618'209 540'179 181'614 19'816 64'315 16'940 20'811 19'780 50'648 107'423 135'176 % Partecip. 80.48% 78.69% 80.91% 78.36% 83.23% 81.78% 84.10% 79.71% 87.17% 79.98% 83.68% 297'503 255'224 70'878 4'943 17'094 4'737 6'957 6'290 22'037 38'329 56'554 316'154 281'026 109'447 14'728 46'962 12'062 13'590 13'398 28'239 68'265 76'233 48.50% 47.60% 39.30% 25.10% 26.70% 28.20% 33.90% 31.90% 43.80% 36.00% 42.60% 51.50% 52.40% 60.70% 74.90% 73.30% 71.80% 66.10% 68.10% 56.20% 64.00% 57.40% 95'563 72.37% 52'519 42'226 55.40% 44.60% 161'211 129'102 48'787 41'696 80.08% 85.47% 68'001 15'810 59'872 25'249 53.20% 38.50% 46.80% 61.50% 29'039 82.49% 10'612 18'278 36.70% 63.30% 8'297 226'212 255'892 92'605 112'124 151'090 261'087 35'646 77'373 148'309 141'148 3'580'094 84.67% 81.17% 76.16% 75.68% 76.41% 87.23% 72.67% 75.59% 74.83% 73.52% 76.24% 78.74% 29.10% 38.40% 39.90% 32.40% 64.90% 55.80% 78.30% 77.10% 80.00% 78.10% 38.50% 49.70% 70.90% 61.60% 60.10% 67.60% 35.10% 44.20% 21.70% 22.90% 20.00% 21.90% 61.50% 50.30% Cantone1 Elettori Votanti Zurigo Berna Lucerna Uri Svitto Obvaldo Nidvaldo Glarona Zugo Turgovia Soletta 768'126 686'459 224'458 25'290 77'278 20'713 24'745 24'814 58'104 134'311 161'531 Basilea Città 132'051 Basilea Campagna Sciaffusa Appenzello Esterno 35'204 Appenzello Interno 9'799 San Gallo 278'676 Argovia 335'992 Grigioni 122'356 Friburgo 146'744 Vallese 173'216 Vaud 359'273 Giura 47'158 Neuchâtel 103'399 Ginevra 201'738 Ticino 185'138 Svizzera 4'546'571 1 2'397 5'854 86'247 138'103 101'582 152'769 29'821 62'115 72'101 39'017 82'997 65'636 203'168 56'288 27'298 8'087 61'466 15'408 114'819 32'120 53'488 85'582 1'762'872 1'786'708 In arancione scuro i Cantoni germanofoni, in arancione chiaro quelli a maggioranza germanofona, in azzurro chiaro quelli a maggioranza francofona, in blu quelli francofoni, in viola quelli italofoni ed in verde i risultati nazionali. 6 Allegato 3: Manifesti politici. 7 A: Campagna per il referendum sull‟adesione ai trattati di Schengen (2005). 8 B: Campagna per l‟iniziativa per l‟espulsione dei criminali stranieri (2010). 9 C: Campagna per l‟iniziativa per una moratoria sull‟edificazione di minareti (2009). 10 Allegato 4: Articoli costituzionali concernenti la cittadinanza. 11 Art. 37 Diritti di cittadinanza 1 Ha la cittadinanza svizzera chi possiede una cittadinanza comunale e la cittadinanza di un Cantone. 2 Nessuno deve essere favorito o sfavorito a causa della sua cittadinanza. Sono eccettuate le prescrizioni sui diritti politici nei patriziati e nelle corporazioni, nonché sulle quote di partecipazione al loro patrimonio, salvo diversa disposizione della legislazione cantonale. Art. 38 Acquisizione e perdita della cittadinanza 1 La Confederazione disciplina l‟acquisizione e la perdita della cittadinanza per origine, matrimonio e adozione. Disciplina inoltre la perdita della cittadinanza svizzera per altri motivi e la reintegrazione nella medesima. 2 La Confederazione emana prescrizioni minime sulla naturalizzazione degli stranieri da parte dei Cantoni e rilascia il relativo permesso. 3 Essa agevola la naturalizzazione dei fanciulli apolidi. 12 Allegato 5: Legge sulla Cittadinanza (LCit.) 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 Allegato 6: Risultati del referendum sul “Decreto federale inteso ad agevolare certe naturalizzazioni” (1983). 32 % Partecip. 44.22% 38.90% 31.73% 32.72% 34.45% 30.23% 31.30% 32.22% 39.53% 37.43% 43.33% Si No % Si % No 156'503 103'130 27'985 2'859 7'856 1'948 2'318 2'604 8'172 20'180 25'493 155'254 137'789 32'611 4'253 13'593 3'236 3'957 4'759 10'561 21'350 35'682 50.20% 42.80% 46.20% 40.20% 36.60% 37.60% 36.90% 35.40% 43.60% 48.60% 41.70% 49.80% 57.20% 53.80% 59.80% 63.40% 62.40% 63.10% 64.60% 56.40% 51.40% 58.30% 48'294 35.17% 24'960 22'849 52.20% 47.80% 143'737 44'585 40'928 31'038 28.47% 69.62% 20'541 14'197 19'972 14'875 50.70% 48.80% 49.30% 51.20% 31'512 10'547 33.47% 4'135 6'319 39.60% 60.40% 31.14% 28.47% 29.58% 30.70% 27.74% 39.09% 27.15% 23.30% 36.98% 35.39% 34.08% 35.87% 995 31'410 31'863 16'595 13'519 22'304 38'794 5'544 18'843 20'462 21'459 644'669 1'686 37'692 52'031 15'575 20'168 33'647 47'497 4'157 16'715 45'133 31'892 793'253 37.10% 45.50% 38.00% 51.60% 40.10% 39.90% 45.00% 57.10% 53.00% 31.20% 40.20% 44.80% 62.90% 54.50% 62.00% 48.40% 59.90% 60.10% 55.00% 42.90% 47.00% 68.80% 59.80% 55.20% Cantone2 Elettori Zurigo Berna Lucerna Uri Svitto Obvaldo Nidvaldo Glarona Zugo Turgovia Soletta 717'854 317'419 626'559 243'718 194'171 61'606 22'551 7'379 63'266 21'792 17'407 5'263 20'397 6'384 23'051 7'426 47'866 18'922 113'476 42'469 144'414 62'572 Basilea Città 137'307 Basilea Campagna Sciaffusa Appenzello Esterno Votanti Appenzello Interno 8'703 2'710 San Gallo 245'087 69'772 Argovia 287'838 85'150 Grigioni 106'878 32'813 Friburgo 122'733 34'045 Vallese 145'908 57'033 Vaud 321'161 87'193 Giura 42'310 9'857 Neuchâtel 97'637 36'102 Ginevra 188'122 66'571 Ticino 159'257 54'267 Svizzera 4'073'787 1'461'270 2 In arancione scuro i Cantoni germanofoni, in arancione chiaro quelli a maggioranza germanofona, in azzurro chiaro quelli a maggioranza francofona, in blu quelli francofoni, in viola quelli italofoni ed in verde i risultati nazionali. 33 Allegato 7: Risultati complessivi del referendum sul “Decreto federale concernente la revisione del disciplinamento della cittadinanza nella Costituzione federale” (1994). 34 Cantone3 Elettori Votanti % Partecip. Si No % Si % No Zurigo Berna Lucerna Uri Svitto Obvaldo Nidvaldo Glarona Zugo Turgovia Soletta 769'774 676'295 226'509 25'428 78'547 20'997 25'179 24'770 59'083 136'134 162'070 373'803 337'329 109'456 10'656 35'686 8'924 11'960 11'983 31'490 66'655 87'702 48.56% 49.88% 48.32% 41.91% 45.43% 42.50% 47.50% 48.38% 53.30% 48.96% 54.11% 210'026 183'115 51'730 4'367 13'253 4'055 5'784 4'901 16'373 26'102 39'598 158'592 149'052 56'524 6'107 21'991 4'748 5'999 6'987 14'797 39'816 46'392 57.00% 55.10% 47.80% 41.70% 37.60% 46.10% 49.10% 41.20% 52.50% 39.60% 46.00% 43.00% 44.90% 52.20% 58.30% 62.40% 53.90% 50.90% 58.80% 47.50% 60.40% 54.00% Basilea Città 131'105 69'809 53.25% 38'479 30'800 55.50% 44.50% Basilea Campagna Sciaffusa 171'952 48'682 82'521 33'656 47.99% 69.13% 43'278 15'420 38'351 16'660 53.00% 48.10% 47.00% 51.90% Appenzello Esterno 35'498 19'856 55.94% 9'010 10'699 45.70% 54.30% 47.77% 49.71% 43.62% 34.92% 39.16% 51.90% 35.88% 32.93% 37.42% 41.34% 50.06% 46.75% 1'508 59'439 68'592 22'764 32'593 40'288 88'658 9'441 25'436 58'000 41'948 1'114'158 3'157 78'812 77'998 19'722 24'918 48'827 39'897 5'909 13'064 25'020 49'618 994'457 32.30% 43.00% 46.80% 53.60% 56.70% 45.20% 69.00% 61.50% 66.10% 69.90% 45.80% 52.80% 67.70% 57.00% 53.20% 46.40% 43.30% 54.80% 31.00% 38.50% 33.90% 30.10% 54.20% 47.20% Appenzello Interno 9'861 4'711 San Gallo 279'853 139'110 Argovia 339'025 147'869 Grigioni 123'576 43'148 Friburgo 148'786 58'272 Vallese 175'509 91'086 Vaud 361'547 129'725 Giura 47'358 15'594 Neuchâtel 104'140 38'964 Ginevra 203'780 84'239 Ticino 187'255 93'740 Svizzera 4'572'713 2'137'944 3 In arancione scuro i Cantoni germanofoni, in arancione chiaro quelli a maggioranza germanofona, in azzurro chiaro quelli a maggioranza francofona, in blu quelli francofoni, in viola quelli italofoni ed in verde i risultati nazionali. 35 Allegato 8: Risultati complessivi dei referendum sui “Decreti federali sulla naturalizzazione ordinaria e agevolata per i giovani stranieri di seconda generazione e sull’acquisizione della cittadinanza degli stranieri di terza generazione” (2004). 36 A: Decreto federale sulla naturalizzazione ordinaria e agevolata per i giovani stranieri di seconda generazione. % Cantone4 Elettori Votanti Si No % Si % No Partecip. Zurigo 817'621 468'279 57.27% 203'962 255'766 44.40% 55.60% Berna 688'445 355'586 51.65% 157'494 194'827 44.70% 55.30% Lucerna 239'649 140'122 58.47% 43'635 94'540 31.60% 68.40% Uri 25'575 12'428 48.59% 3'332 8'846 27.40% 72.60% Svitto 90'689 54'068 59.62% 12'862 39'880 24.40% 75.60% Obvaldo 23'090 13'170 57.04% 3'526 9'405 27.30% 72.70% Nidvaldo 28'591 16'567 57.94% 4'659 11'516 28.80% 71.20% Glarona 25'071 13'100 52.25% 3'400 9'639 26.10% 73.90% Zugo 68'007 40'802 60% 14'945 25'616 36.80% 63.20% Turgovia 147'957 75'514 51.04% 21'825 52'114 29.50% 70.50% Soletta 166'564 95'965 57.61% 30'918 64'495 32.40% 67.60% Basilea Città 115'557 68'704 59.45% 34'895 33'247 51.20% 48.80% Basilea Campagna 180'250 99'501 55.20% 39'305 59'076 40.00% 60.00% Sciaffusa 48'152 32'564 67.63% 11'140 20'403 35.30% 64.70% Appenzello Esterno 36'278 21'291 58.69% 7'212 13'960 34.10% 65.90% Appenzello Interno 10'367 5'488 52.94% 1'302 4'121 24.00% 76.00% San Gallo 292'662 159'191 54.39% 49'479 109'156 31.20% 68.80% Argovia 367'166 189'116 51.51% 59'184 128'950 31.50% 68.50% Grigioni 130'680 59'976 45.90% 22'717 36'071 38.60% 61.40% Friburgo 166'465 83'619 50.23% 41'622 40'687 50.60% 49.40% Vallese 191'205 88'634 46.36% 34'957 52'193 40.10% 59.90% Vaud 377'299 196'409 52.06% 131'306 63'420 67.40% 32.60% Giura 48'509 22'739 46.88% 12'257 10'128 54.80% 45.20% Neuchâtel 105'640 60'870 57.62% 39'083 21'233 64.80% 35.20% Ginevra 222'852 127'291 57.12% 85'126 40'490 67.80% 32.20% Ticino 200'557 90'432 45.09% 36'386 52'674 40.90% 59.10% Svizzera 4'814'898 2'591'426 53.82% 1'106'529 1'452'453 43.20% 56.8 4 In arancione scuro i Cantoni germanofoni, in arancione chiaro quelli a maggioranza germanofona, in azzurro chiaro quelli a maggioranza francofona, in blu quelli francofoni, in viola quelli italofoni ed in verde i risultati nazionali. 37 B: Decreto federale sull‟acquisizione della cittadinanza degli stranieri di terza generazione. % Cantone5 Elettori Votanti Si No % Si Partecip. Zurigo 817'621 468'236 57.27% 224'761 235'133 48.90% Berna 688'445 355'589 51.65% 180'516 172'198 51.20% Lucerna 239'649 140'261 58.53% 54'531 83'867 39.40% Uri 25'575 12'428 48.59% 4'228 7'955 34.70% Svitto 90'689 54'041 59.59% 15'688 37'060 29.70% Obvaldo 23'090 13'162 57% 4'461 8'475 34.50% Nidvaldo 28'591 16'607 58.08% 5'769 10'443 35.60% Glarona 25'071 13'105 52.27% 3'851 9'192 29.50% Zugo 68'007 40'806 60% 17'191 23'395 42.40% Turgovia 147'957 75'628 51.11% 24'975 49'133 33.70% Soletta 166'564 96'032 57.65% 35'541 59'984 37.20% Basilea Città 115'557 68'550 59.32% 37'107 30'903 54.60% Basilea Campagna 180'250 99'472 55.19% 43'110 55'296 43.80% Sciaffusa 48'152 32'505 67.50% 11'681 19'785 37.10% Appenzello Esterno 36'278 21'324 58.78% 8'183 13'033 38.60% Appenzello Interno 10'367 5'489 52.95% 1'636 3'796 30.10% San Gallo 292'662 159'376 54.46% 58'507 100'327 36.80% Argovia 367'166 189'085 51.50% 66'015 122'159 35.10% Grigioni 130'680 60'038 45.94% 24'159 34'721 41.00% Friburgo 166'465 83'655 50.25% 48'294 34'238 58.50% Vallese 191'205 88'603 46.34% 40'592 46'575 46.60% Vaud 377'299 196'424 52.06% 141'205 53'841 72.40% Giura 48'509 22'936 47.28% 14'132 8'520 62.40% Neuchâtel 105'640 60'894 57.64% 43'152 17'275 71.40% Ginevra 222'852 127'291 57.12% 89'103 36'636 70.90% Ticino 200'557 90'431 45.09% 40'524 48'647 45.40% Svizzera 4'814'898 2'591'968 53.83% 1'238'912 1'322'587 48.40% 5 % No 51.10% 48.80% 60.60% 65.30% 70.30% 65.50% 64.40% 70.50% 57.60% 66.30% 62.80% 45.40% 56.20% 62.90% 61.40% 69.90% 63.20% 64.90% 59.00% 41.50% 53.40% 27.60% 37.60% 28.60% 29.10% 54.60% 51.60% In arancione scuro i Cantoni germanofoni, in arancione chiaro quelli a maggioranza germanofona, in azzurro chiaro quelli a maggioranza francofona, in blu quelli francofoni, in viola quelli italofoni ed in verde i risultati nazionali. 38 Allegato 9: Risultati nazionali e cantonali complessivi dell’iniziativa popolare “Per naturalizzazioni democratiche” (2008). 39 % Partecip. 46.32% 41.65% 46.85% 36.84% 47.61% 48.52% 46.07% 37.05% 49.01% 37.66% 44.93% Si No % Si % No 153'794 106'571 50'940 4'352 26'559 5'302 6'523 4'609 15'226 27'875 31'357 237'379 183'565 64'043 5'002 17'758 5'955 6'771 4'816 19'174 29'081 44'389 39.30% 36.70% 44.30% 46.50% 59.90% 47.10% 49.10% 48.90% 44.30% 48.90% 41.40% 60.70% 63.30% 55.70% 53.50% 40.10% 52.90% 50.90% 51.10% 55.70% 51.10% 58.60% 59'948 52.74% 16'915 42'388 28.50% 71.50% 184'642 48'813 80'827 30'780 43.77% 63.06% 28'106 12'621 51'705 16'835 35.20% 42.80% 64.80% 57.20% 37'103 16'368 44.12% 6'930 9'334 42.60% 57.40% 3'814 121'546 153'514 51'761 74'707 93'417 201'127 19'808 51'689 122'366 103'025 2'245'577 34.77% 40.32% 40.11% 38.94% 42.53% 47.20% 51.09% 39.83% 48.19% 52.54% 50.03% 45.18% 1'805 58'523 71'469 17'694 19'874 22'779 37'901 3'875 9'193 21'579 42'358 804'730 1'930 62'591 81'352 33'057 53'673 68'411 161'430 15'736 42'010 98'738 58'126 1'415'249 48.30% 48.30% 46.80% 34.90% 27.00% 25.00% 19.00% 19.80% 18.00% 17.90% 42.20% 36.20% 51.70% 51.70% 53.20% 65.10% 73.00% 75.00% 81.00% 80.20% 82.00% 82.10% 57.80% 63.80% Cantone6 Elettori Zurigo Berna Lucerna Uri Svitto Obvaldo Nidvaldo Glarona Zugo Turgovia Soletta 849'224 393'323 702'599 292'648 249'086 116'702 25'716 9'475 94'773 45'120 24'092 11'690 29'697 13'681 25'566 9'472 70'594 34'595 154'147 58'059 169'420 76'115 Basilea Città 113'676 Basilea Campagna Sciaffusa Appenzello Esterno Appenzello Interno 10'969 San Gallo 301'461 Argovia 382'701 Grigioni 132'909 Friburgo 175'650 Vallese 197'925 Vaud 393'664 Giura 49'734 Neuchâtel 107'269 Ginevra 232'880 Ticino 205'910 Svizzera 4'970'220 Votanti 6 In arancione scuro i Cantoni germanofoni, in arancione chiaro quelli a maggioranza germanofona, in azzurro chiaro quelli a maggioranza francofona, in blu quelli francofoni, in viola quelli italofoni ed in verde i risultati nazionali. 40 Allegato 10: Griglia di codifica applicata ad un articolo (La Regione, 3.6.1994). 41 42 43 1 2 3 Journal Date Position - importance 4 Surtitre Titre Sous-titre Légende image Type de texte 5 Illustration 6 Acteurs « avec voix » 7 Personnes et collectivités « sans voix » (qui sont « objet ») La Regione 3.6.1994 3.1 Première page (et renvoi à la 1ère page) 3.2 Autre page Radici nuove 4.1 Article signé 4.2 Interview 4.3 Dépêche, article non signé 4.4 Tribune, opinion 4.5 Edito, commentaire 4.6 Lettre de lecteur 5.1 (photo, graphe, tableau) 5.2 Pas d’illustration 6.1 Politiciens, députés, partis : 6.1.1 Partis socialiste et verts 6.1.2. Liberaux/Radicales 6.1.3 Partis chrétiens (PPD/CVP) et EVP 6.1.4 UDC/SVP 6.1.5 petits partis de la droite (Lega dei Ticinesi, Schwezier Demokraten, Autopartei,…) 6.1.6 petits partis de la gauche (PC, POCH) Ligue Marxiste,….) 6.2 Collectivités publiques, institutions, exécutifs cantonaux ou communaux 6.2.1 Conseil/s fédéral/aux 6.2.2 autre collectivités publiques 6.3 USAM, patronat, entreprises 6.4 syndicats, associations d’employés 6.5 autres Groupe d’intérêts, lobbies, etc. 6.6 Catégories concernées (« les secondos… ») 6.7 Partisans (si pas inclus dans les autres catégories) 6.8 Opposants (si pas inclus dans les autres catégories) 6.9 Personnalités concernées 6.10 Les régions linguistiques suisses : 6.10.1 La Suisse alémanique 6.10.2 La Romandie 6.10.3 La Suisse italienne 6.11 Les Suisses 6.12 La Suisse 6.13 Experts, savants, chercheurs 6.14 autre 7.1 Politiciens, députés, partis 7.1.1 Partis socialiste et verts 7.1.2. Liberaux/Radicales 7.1.3 Partis chrétiens (PPD/CVP) et EVP 7.1.4 UDC/SVP 7.1.5 petits partis de la droite (Lega dei Ticinesi, Schwezier Demokraten, Autopartei,…) 7.1.6 petits partis de la gauche (PC, POCH) Ligue Marxiste,….) 44 7.2 Collectivités publiques, institutions, exécutifs cantonaux ou communaux 7.2.1 Conseil/s fédéral/aux 7. 2.2 autre collectivités publiques 7.3 USAM, patronat, entreprises 7.4 syndicats, associations d’employés 7.5 autres Groupe d’intérêts, lobbies, etc. 7.6 Catégories concernées («les secondos »…..) 7.7 Partisans (si pas inclus dans les autres catégories) 7.8 Opposants (si pas inclus dans les autres catégories) 7.9 Personnalités concernées 7.10 Les régions linguistiques suisses 7.10.1 La Suisse alémanique 7.10.2 La Romandie 7.10.3 La Suisse italienne 7.11 Les Suisses 7.12 La Suisse (à entendre comme « Peuple ») 7.13 Experts, savants, chercheurs 7.14 UE, Reste du Monde 7.15 Media 7.16 Autre Idea elements journaliste Il concetto di naturalizzazione provoca paura (+)(5) Se non passa la riforma la Svizzera lancia un messaggio di chiusura (+)(10) Gli stranieri che ne beneficeranno sono quelli perfettamente integrati (+)(3) L’identità non è innata acquisisce attraverso la lingua e la cultura(+)(1) La riforma centralizza e snellisce le pratiche di naturalizzazione (+)(7) Idea elements acteurs Commentes: L’article se prête à l’analyse qualitative du discours? 45 Allegato 11: Tabelle riassuntive della frame analysis. 46 A: Tabelle sulla ripartizione degli articoli (1983-2008). A1. Articoli/Giornale Totali Frequency Valid Percent Valid Percent Cumulative Percent Tagi 201 27,5 27,5 27,5 24 Heures 126 17,2 17,2 44,7 Blick 125 17,1 17,1 61,8 Corriere TI 113 15,5 15,5 77,3 Regione TI 82 11,2 11,2 88,5 Matin 75 10,3 10,3 98,8 9 1,2 1,2 100,0 731 100,0 100,0 Frequency 68 Percent 28,5 Valid Percent 28,5 Cumulative Percent 28,5 Corriere TI 50 20,9 20,9 49,4 24 Heures 41 17,2 17,2 66,5 Regione TI 30 12,6 12,6 79,1 Blick 27 11,3 11,3 90,4 100,0 Il Dovere Total A2. Articoli/Giornale 2008 Valid Tagi Matin 23 9,6 9,6 Total 239 100,0 100,0 A3. Articoli/Giornale 2004 Frequency Valid Percent Valid Percent Cumulative Percent Tagi 100 29,0 29,0 29,0 Blick 82 23,8 23,8 52,8 24 Heures 53 15,4 15,4 68,1 Regione TI 43 12,5 12,5 80,6 Corriere TI 35 10,1 10,1 90,7 Matin 32 9,3 9,3 100,0 Total 345 100,0 100,0 47 A4. Artcoli/Giornale 1994 Valid 24 Heures Frequency 17 Percent 21,3 Valid Percent 21,3 Cumulative Percent 21,3 Corriere TI 17 21,3 21,3 42,5 Tagi 15 18,8 18,8 61,3 Blick 80,0 15 18,8 18,8 Regione TI 9 11,3 11,3 91,3 Matin 7 8,8 8,8 100,0 Total 80 100,0 100,0 A5. Articoli/Giornale 1983 Frequency Valid Percent Cumulative Percent Valid Percent Tagi 18 26,9 26,9 26,9 24 Heures 15 22,4 22,4 49,3 Matin 13 19,4 19,4 68,7 Corriere TI 11 16,4 16,4 85,1 9 13,4 13,4 98,5 100,0 Il Dovere Blick 1 1,5 1,5 Total 67 100,0 100,0 A6. Articoli/Tipologia Totali Frequency Percent Valid Percent Cumulative Percent Article signé 270 36,9 36,9 36,9 Lettre de lecteur 179 24,5 24,5 61,4 Dépêche, article non signé 108 14,8 14,8 76,2 Edito, commentaire 81 11,1 11,1 87,3 Tribune, opinion 47 6,4 6,4 93,7 46 731 6,3 6,3 100,0 100,0 100,0 Interview Total 48 A7. Articoli/Giornale/Tipologia 2008 Article signé Tagi Blick 24 Heures Matin Corriere TI Regione TI Group Total Count 25 15 16 7 5 7 75 Interview Count 2 1 2 4 3 4 16 Type de Texte Dépêche, article Tribune, non signé opinion Count 10 1 2 6 27 11 57 Count Group Total Edito, commentaire Count 1 5 2 8 3 4 15 4 12 Lettre de lecteur Count 31 9 8 4 12 64 Count 68 27 41 23 50 30 239 A8. Articoli/Giornale/Tipologia 2004 Article signé Tagi Blick 24 Heures Matin Corriere TI Regione TI Group Total Count 44 24 19 15 9 19 130 Interview Count 4 9 4 4 3 24 Type de Texte Dépêche, article Tribune, non signé opinion Count 18 1 2 1 8 3 33 49 Count 3 6 5 2 7 3 26 Group Total Edito, commentaire Count 12 6 6 6 4 5 39 Lettre de lecteur Count 19 36 17 4 7 10 93 Count 100 82 53 32 35 43 345 A9. Articoli/Giornale/Tipologia 1994 Article signé Interview Count Count Tagi 11 Blick 6 24 Heures 6 Matin 5 Corriere TI 4 Regione TI 5 Group Total 37 Group Total Type de Texte Dépêche, article non Tribune, signé opinion Count Edito, commentaire Count Lettre de lecteur Count Count 2 2 1 15 1 6 15 1 4 3 17 1 1 1 17 11 9 80 1 2 4 4 4 2 2 5 12 Count 1 2 7 13 A10. Articoli/Giornale/Tipologia 1983 Article signé Interview Count Tagi Count Count 6 Matin Count Lettre de lecteur Count Count Count 2 8 18 3 3 15 1 7 1 1 1 11 Corriere TI 3 2 Il Dovere 1 1 Group Total Edito, commentaire 2 Blick 24 Heures Group Total Type de Texte Dépêche, article non Tribune, signé opinion 28 1 6 50 3 4 2 13 3 11 7 9 67 17 11 B: Tabelle sulla ripartizione degli attori “con voce” (1983-2004). B1.Idea element totali e la loro tendenza (1983-2004) Direction de l'Idea Element favorable neutre opposant Group Total Tagi Count 453 85 157 695 Blick Count 248 81 116 445 24 Heures Count 244 24 82 350 Matin Count 105 22 34 161 Corriere TI Count 230 48 82 360 Regione TI Count 240 16 51 307 Group Total Count 1520 276 522 2318 B1. Idea element dei giornalisti e la loro tendenza (1983-2004) Direction de l'Idea Element favorable neutre opposant Group Total Tagi Count 113 36 Blick Count 65 38 6 109 24 Heures Count 57 12 2 71 Matin Count 41 17 58 Corriere TI Count 56 11 67 Regione TI Count 62 8 70 Group Total Count 394 122 51 149 8 524 C: Tabella sulla ripartizione degli attori ed istituzioni “privi di voce” (1983-2004). C1. Totale attori e istituzioni senza voce (1983-2004). 52 D: Tabelle sulla ripartizione dei frame (1983-2004). D1. Ripartizione dei frame su tutti i giornali (1983-2004) Frequency Percent Valid Percent Cumulative Percent Autonomie 244 15,2 15,2 15,2 Integration 233 14,5 14,5 29,6 Rechtsprinzipien 226 14,0 14,0 43,7 Repräsentation des Fremden 178 11,1 11,1 54,7 Ängste 164 10,2 10,2 64,9 Wirtschaft & Demographie 128 8,0 8,0 72,9 Direkte Demokratie 91 5,7 5,7 78,5 Spaltung der Schweiz 81 5,0 5,0 83,5 Beziehungen der Schweiz zum Ausland 75 4,7 4,7 88,2 Bild der Schweiz 64 4,0 4,0 92,2 Ethik/Moral 63 3,9 3,9 96,1 Der Ausländer als Bereicherung 32 2,0 2,0 98,1 100,0 Andere Total 31 1,9 1,9 1610 100,0 100,0 D2. Totale dei frame espressi su ogni giornale (1983-2004) Frequency Valid TagesAnzeiger Blick Percent Valid Percent Cumulative Percent 695 30,0 30,0 30,0 445 19,2 19,2 49,2 24 Heures 350 15,1 15,1 64,3 Matin 161 6,9 6,9 71,2 Corriere TI 360 15,5 15,5 86,8 Regione TI 307 13,2 13,2 100,0 2318 100,0 100,0 Total 53 D3. Ripartizione dei frame per ogni giornale (1983-2004) Rechtsprinzipien Integration Repräsentation des Fremden Aengste Der Ausländer als Bereicherung Autonomie Direkte Demokratie Bild der Schweiz Spaltung der Schweiz Ethik/Moral Wirtschaft & Demographie Beziehungen der Schweiz zum Ausland Andere Group Total Tagi Blick 24 Heures Corriere TI Regione TI Count 98 62 Count 27 39 Count 19 29 2 13 Count 49 52 Count 31 38 Count 226 233 80 55 16 6 11 10 178 60 62 15 5 18 4 164 12 9 2 1 4 4 32 79 14 17 23 3 6 37 30 13 14 9 6 55 9 14 36 26 8 244 91 64 14 3 26 10 15 13 81 17 14 10 5 5 12 63 40 18 13 12 24 21 128 21 18 5 6 9 16 75 9 523 1 278 17 232 89 1 266 3 222 31 1610 54 Matin Count Group Total E: Tabelle sulla ripartizione dei frame (2008). E1. Totale dei frame su ogni giornale (2008) Frequency Percent Valid Percent Cumulative Percent Autonomie 131 28,2 28,2 28,2 Rechtsprinzipien 114 24,6 24,6 52,8 Repräsentation des Fremden 39 8,4 8,4 61,2 Aengste 33 7,1 7,1 68,3 Wirtschaft & Demographie 33 7,1 7,1 75,4 Integration 26 5,6 5,6 81,0 Direkte Demokratie 23 5,0 5,0 86,0 Andere 19 4,1 4,1 90,1 Beziehungen der Schweiz zum Ausland 13 2,8 2,8 92,9 Der Ausländer als Bereicherung 12 2,6 2,6 95,5 Spaltung der Schweiz 97,8 11 2,4 2,4 Bild der Schweiz 7 1,5 1,5 99,4 Ethik/Moral 3 ,6 ,6 100,0 464 100,0 100,0 Total 55 E2. Ripartizione dei frame su tutti i giornali (2008) Rechtsprinzipien Integration Repräsentation des Fremden Aengste Der Ausländer als Bereicherung Autonomie Direkte Demokratie Bild der Schweiz Spaltung der Schweiz Ethik/Moral Wirtschaft & Demographie Beziehungen der Schweiz zum Ausland Andere Group Total Tagi 39 9 Blick 6 24 Heures 12 3 19 3 10 1 6 42 11 1 1 2 Corriere TI 33 7 Regione TI 23 5 Group Total 114 26 6 1 6 4 39 6 1 14 1 33 1 1 3 1 12 17 8 33 20 131 15 2 1 4 23 2 3 7 1 5 11 2 3 Matin 2 1 4 1 4 2 133 2 7 6 5 9 33 1 2 1 5 4 13 26 16 90 23 1 111 81 19 464 56 Allegato 12: Trascrizioni delle fasi introduttive delle trasmissioni televisive (2004). 57 A: Trasmissione francofona. Off Il y a d‟abord la suisse qui dirige blocher christoph ancêtres allemands suisse de la quatrième génération hayek nicolas père libanais suisse de la deuxième génération couchepin pascal ancêtres italiens suisse de la xième génération il y aussi la suisse uqi joue qui perd et qui gagne mario cantaluppi fabio celestini hakan yakin ricardo cabanas les uns les autres sont tous de bons suisses les bras noueux la tête bien faite parfois les deux et puis il y a la suisse de tous les jours un passant sur cinq en suisse n‟est pas suisse les hasards de l‟immigration les a fait naître grandir ou prendre racine ici à ceux qui le voudraient on veut offrir l‟hypothèse plus facile plus simple d‟un passeprot de rejoindre la communauté des helvètes d‟être des nôtres contre cette idée simple l‟udc a lancé un référendum et parle d‟une invasion programmée d‟un déferlement de l‟islam de terroristes qui habiteraient nos villes et nos campagnes pour débattre de la naturalisation facilitée des jeunes étrangers ce soir dans infrarouge jean-philippe maître cinquante-cinq ans conseiller national pro européen de la première heure il est souvent convaincant au ramage pas souvent au grattage face à lui oskar freysinger quarante-quatre ans ce professeur de lettres serait plutôt expert en battage et en langage pas toujours fleuri cela lui a permis de décrocher sans ambage un siège de conseiller national udc en valais d‟origine autrichienne il n‟a le passeport que depuis l‟âge de dix-huit ans alors monsieur freysinger qu‟est-ce que ça fait d‟être suisse depuis vingt-six ans seulement Générique Mod bonsoir à tous bienvenue à chaque fois que l‟on parle du passeport suisse ce fameux passeport rouge à croix blanche les esprits s‟échauffent et c‟est encore le cas cette fois-ci avec cette votation du vingt-six septembre qui devrait permettre en principe en principe aux jeunes étrangers d‟acquérir plus facilement plus rapidement la nationalité suisse osakr freysinger bonsoir Fre bonsoir Mod vous êtes totalement farouchement opposé à cette à ces deux projets de naturalisation facilitée je vais peut-être vous laisser déjà répondre à la question de michel zendali qu‟est-ce que cela fait d‟être suisse depuis vingt-six ans seulement Fre je ne suis pas opposé aux naturalisations facilitées mais aux naturalisations facilitées sous cette forme là Mod d‟accord Fre c‟est une différence quand même importante parce que je vais pouvoir prouver quand même quels sont les mécanismes perfides qui sont impliqués dans ce projet de loi maintenant être euh ben avoir fait ce choix à dix-huit ans c‟était au moment où il s‟agissait de faire le service militaire euh j‟ai dû faire un choix j‟ai choisi la suisse en connaissance j‟ai passé toute mon enfance je suis né en suisse et je ne l‟ai jamais regretté je me bats pour ce pays pour sa démocratie et aussi pour la valeur de sa citoyenneté 58 Mod un vrai patriote euh être suisse c‟est un choix en face de vous jean-philippe maître bonsoir Maî bonsoir Mod alors vous vous êtes favorable à ces deux projets de natiralisation facilitée on vous accuse euh vous les les gens les partisans de ces projets de voulir bradre ce fameux passeport cette fameuse nationalité suisse qu‟est-ce que vous répondez Mai il il n‟en est pas question il n‟en est pas question le l‟objectif est d‟avoir une procédure un processus de naturalisation pour les pour les jeunes qui est moins compliqué qui est moins bureaucratique qui donne davantage de droits et de compétences aux cantons en l‟occurrence Mod mais est-ce qu‟il ne dévalorise pas le passeport Mai en aucun cas en aucun cas Mod donc vous aurez l‟occasion de le prouver jean-philippe maître on entendra beaucoup de gens durant cette heure d‟émission beaucoup d‟invités des politiques des secondos c‟est-à-dire des suisses de la deuxième génération on entendra tout à l‟heure l‟acteur emil également des des musulmans de suisse qui ont été fortement pris à partie durant cette campagne alors le vingt-six septembre nous devrons nous prononcer sur deux projets deux projets que nous présente xavier studer Off2 le premier projet simplifie la naturalisation des étrangers de deuxième génération c'est-à-dire ceux dont les parents sont venus en suisse ils devront être âgés de quatorze à vingt-quatre ans avoir suivi cinq ans d‟école obligatoire avoir habité pendant deux ans dans la commune dont ils demandent l‟origine être titulaire d‟un permis b ou c ils devront encore être intégrés parler une langue nationale et se conformer à la législation le deuxième objet concerne les étrangers de troisième génération c'est-à-dire en majorité ceux dont les grands parents ont immigré ils seront suisse dès la naissance si le père ou la mère ont accompli cinq ans de scolarité en suisse et si les parents détiennent un permis b ou c depuis cinq ans si les deux objets passent la rampe ces procédures simplifiées seraient unifiées dans toute la suisse les naturalisations devraient augmenter de sept mille cinq cent à quinze mille personnes par an environ Mod alors on va rester Oskar Freysinger sur ce premier projet qui concerne la deuxième génération donc si on fréquenté l‟école obligatoire durant cinq ans on peut profiter de cette naturalisation facilitée mais qu‟est-ce qui vous dérange cinq ans ça n‟est pas assez cinq ans d‟école obligatoire en suisse ça n‟est pas assez Fre non il y a une accélération formidable qui nous est proposée à travers ce projet de loi c‟est que en huit ans seulement vous passez de la première à la troisième génération en huit ans seulement donc il n‟est plus du tout question des gens qui sont là depuis les années soixante des enfants ou des petits enfants d‟italiens ou de portugais etcetera c‟est pas du tout de ça qu‟il est question-là il y a une accélération très forte il y a dans le texte de loi un endroit o`u il est écrit très clairement euh qu‟il faut avouir un permis de séjour 59 ou d‟établissement ce sont à ma connaissance les permis b et c et il est rajouté et un autre ou un autre droit de séjour durable Mod qu‟est-ce que vous voulez dire par là Fre eh bien oui le problème c‟est simple c‟est que on peut regarder la loi on contrôle et on a pas d‟autre droit de séjour durable mis à part le permis f admission provisoire si ce n‟est l‟asile et le permis humanitaire Mod attendez alors qu‟est-ce que vous voulez dire permis f Fre ce qui veut dire que ce qu‟on veut obtenir c‟est de pouvoir régler le problème assez rapidement de réfugiés débouté en les faisant passer à la naturalisation parce qu‟il n‟y a pas d‟autre droit de séjour durable Mai c‟est faux non c‟est faux Mod donc vous dites (…) 60 B: Trasmissione italofona. Mod Ecco, non voteremo soltanto sulla maternità il prossimo fine settimana, vi sono anche due progetti sulla naturalizzazione dei giovani quella della seconda generazione e quella della terza generazione (poi spiega che dopo la scheda di spiegazione si parlerà con il resto dei ospiti nello studio, che fino a quel momento solo ascoltava.) (Inizia il Servizio sui stranieri seconda e terza generazione. Si vede un filmato vecchio bianco e nero, una stazione di treno, immigranti che scendono dal treno e passano il controllo passaporto) Off Volevamo braccia e sono arrivati uomini, sono passati generazioni da quelle parole di Max Frisch, oggi votiamo sui figli e sui nipoti di quelli uomini, ai figli, la seconda generazione, la riforma offre una procedura più semplice e meno costosa, solo spese amministrative, a certe condizioni però, età tra 14-24 anni, permesso di domicilio o dimora, min 5 anni di scuola obbligo in Svizzera, buona integrazione, nessuna condanna. E su queste condizioni che si articola il dibattito tra favorevole e contrari. I toni sono comunque lontani da quelli infocati che marcavano in passato i voti legati alla problematica degli stranieri. Tanto che quasi non ce dibattito sulla proposta relativa ai nipoti dei immigrati, se uno dei due genitori e di seconda generazione, l‟acquisto della cittadinanza elvetica è automatica alla nascita. Attualmente 14 cantoni , tra cui Grigioni e Ticino facilitano già ai giovani l‟ottenimento del passaporto rosso, la riforma mira anche ad omogeneizzare le procedure a livello nazionale. (fine Servizio, in Studio sono in primo piano gli altri ospiti, Fabio Abate, Carlo Sommaruga, Christoffer Brändli, Attilio Bignasca ) Mod Allora diciamo che la filosofia che sta dietro questa proposta è che i giovani straniere che sono cresciuti e che sono nati in Svizzera, dovrebbero ottenere facilmente il passaporto. Se si guardano le statistiche, signor Abate, risulta che nei ultimi dieci anni il numero delle naturalizzazione si è più che raddobbiato. Quindi si ha l‟impressione che questo principio gia oggi, con la legge attuale, sia realizzato, perche allora proporre questa soluzione o questo dibattito? 61 F. A: Buona sera anche da parte mia, prima di tutto bisogna sottolineare che la società svizzera è molto cambiata. Quindi ci siamo ritrovati davanti una Svizzera molto diversa, proprio dal profilo della popolazione. Siamo già un paese multiculturale, siamo un paese plurilingue, che è stata confrontata ad un ulteriore circolazione di persone. Oggi però, quello che lei ha citato, corrisponde a quel 2,1% della popolazione straniera residente in Svizzera, quindi un tasso sempre inferiore a quanto accade nei altri paesi europei. Si tratta semplicemente di formalizzare la posizione di giovani, giovani (ripete alzando il dito), che sono già nel nostro paese, che sono integrati, dovranno anche dimostrare di esserlo. La scheda (il servizio presentato) ha dimenticato di quello è stato inserito nel Parlamento, ossia la conoscenza di minimo una lingua nazionale. E quindi conseguire quello che è formalmente la situazione, che è l‟ottenimento della cittadinanza. Mod: Christoffer Brändli, quando si affrontano queste due proposte, si dice, in fondo si tratta semplicemente di naturalizzare persone che sono gia integrate nella nostra società. Perché non accettare questo principio, se una persona è integrata, fa parte della nostra società e quindi bisogna dare anche la possibilità di partecipare in modo totale a questa società? Ch.Br: Beh noi non siamo contro questo diritto, pero si deve vedere bene le cose come sono. Noi siamo un paese, che ha una naturalizzazione molto liberale, se faccio un risguardo con l‟Europa. La Svizzera è il paese che ha più naturalizzazione in confronto con la popolazione non è che siamo un paese chiuso, siamo un paese molto aperto con le naturalizzazioni. Abbiamo come lei ha detto 40.000 naturalizzazioni, se facciamo un confronto con l‟Italia, l‟Italia ha 26 volte meno di naturalizzazioni. Allora non dobbiamo fare come se noi fossimo un paese chiuso. E adesso, com‟è la soluzione oggi, la soluzione oggi è che i giovani, i anni che vanno a scuola fra 10 e 20 anni contano doppio e dopo otto anni possono fare la domanda e ha diritto, se il comune decide, di diventare Svizzero. Il nostro partito UDC Grigionese ritiene che questa soluzione e sufficiente, non capiamo perché dobbiamo aprirci ancora di più, perché ci sono tanti problemi con questa apertura. Mod: Ma quale sarebbero a punto i pericoli, sentiamo Bignasca, di questo tipo di apertura? Chritoffer Brändli dice non dobbiamo aprirci ancora di più, perché quali pericoli ci sono? A. E i pericoli sono tanti, pero dobbiamo partire dall‟integrazione. Le autorità comunali sono i primo che possono vedere se una persona è integrata o no, e adesso si vorrebbero togliere questa competenza al comune per fare una cosa più generalizzata. 62 Mod Nel caso di persone, si dice, che hanno fatto 5 anni di scuola qui, conosce la lingua nazionale etc. si considera d‟ufficio, che è integrata, secondo lei questo non è sufficiente? A.B. Il fatto di aver fatto 5 anni di scuola qui non vuol dire molto. Se uno va a scuola e vuol integrarsi automaticamente ha il criterio di voler avere la nazionalità svizzera, può ottenerla facilmente. I problemi nascono con gente di cultura diversa, che non vuole integrarsi e fa poco o niente per integrarsi e allora con la nuova legge, si presume che siano integrati, e fare queste presunzioni in questo tema eh un po…(gestikuliert und schüttelt den Kopf)..è vaga. Mod: Ecco, Carlo Sommaruga, è stato sollevato da Bignasca questo problema, diciamo il problema nasce con questo nuovo tipo di integrazione, che sono persone che, diciamo cosi che non è molto vicina alle nostre tradizioni e quindi questa gente ha più difficolta ad integrarsi C.S: Penso che la nostra società, come e già stato detto prima, ha permesso a certe persone di venire qui, di partecipare finalmente alla economia svizzera e anche allo sviluppo dello stato, con il pagamento delle tasse etc. Quindi ce già un integrazione di tutta questa popolazione, nella nostra vita sociale di tutti gironi, nel lavoro e finalmente anche nel andamento delle finanze. Oggi quello che si vuol sapere è se queste persone della seconda e della terza generazione sono considerati integrati. Bisogna ben vedere che non è solo la questione della scuola come ha detto lei (segnala verso Bignasca), ma che ci sono certe condizioni che figura nella legge, che devono essere integrati, conoscere la lingua nazionale e poi che devono rispettare la legge svizzera. Che è quello che si chiede a qualsiasi essere che appartiene a una società. Dunque penso che oggi, quello che si vuol fare da parte del UDC e della Lega è di creare una sorta di paura astratta dello straniero, che in fondo i stranieri chi sono, sono gente che è qui con noi che incontriamo nella partita di calcio, che incontriamo nel autobus, che come dice lei (segnale verso moderatore), sono completamente integrati. Sono persone che sono qui da parecchi anni, al minimo 5 anni di scuola, come si dice, è chiaro che sono dei anni che contano moltissimo, tutti gli psichiatri e psicologi hanno già fatto delle riflessioni, mostrando che, chi ha passato questi anni in svizzera o nel paese dove si trova, che questo ha un impatto molto forte e che permette alla persona l‟integrazione. Dunque non ce bisogno oggi di dipingere il diavolo sulla muraglia, sono gente che è intorno a noi e che vive con noi e che finalmente non sappiamo neanche se ha il passaporto svizzero o no, si dovrebbe chiederlo e si scopre che il vicino che ti sta molto vicino perché siamo sempre con loro e le parliamo, in fatti non ha il passaporto e sarebbe ideale dare il passaporto a questa gente. Mod Christoffer Brändli (…) 63 C: Trasmissione germanofona. Leu Mau Leu Mau Leu Blo Guten Abend (il montre le passeport rouge) für die einen ist das nur ein Stück roter Karton, der nichts anderes besagt, als der Besitzer ist Schweizer Bürgerin oder Bürger, für die andern ist es etwa ganz besonderes, eine spezielle Staatsbürgerschaft, die nur Auserwählte bekommen sollten, für die meisten ist es etwas zwischendrin. Rund 37„000 Menschen aus dem Ausland haben letztes Jahr einen solchen Schweizer Pass bekommen, und wenn die beiden Einbürgerungsvorlagen, über die wir am 26. Sept. abstimmen, angenommen werden, dürften es für die nächsten paar Jahre noch einige mehr sein. Die Frage ist jetzt eigentlich ganz einfach: Ost das gut, oder ist das schlecht? Ueli Maurer, was ist schlecht daran, wenn Menschen, die hier geboren worden sind oder hier aufgewachsen sind, einen Schweizer Pass bekommen? Das ist gerade eine Kernfrage, die zeigt, dass die Stimmbürger getäuscht werden mit dieser Vorlage, man sagt es gehe um die erleichterte Einbürgerung der zweiten Generation, aber eine Generation wäre eigentlich eine Lebensdauer (zeigt Duden), hingegen in der Vorlage meint man damit nur 5 Jahre, in der ausländische Jugendliche bei uns zur Schule gegangen sind, in diesen 5 Jahren haben sie während eines Teils in ihrer Herkunftskultur verbracht und nur einen Teil in unserer Kultur, …das reicht nicht zur Integration. Und zweitens ist entscheidend dass in dieser Vorlage der Automatismus enthalten ist...(Leu hebt Hand zum unterbrechen) Wenn wir jetzt schauen, dann sind die meisten Leute die wir einbürgern aus dem Balkan, also aus ganz anderen Kulturen, eine andere Religion, eine andere Einstellung zur Gewaltbereitschaft, und darum gehen wir mit dem Automatismus Risiken ein….. (unterbricht) ja aber es werden nur Leute automatisch eingebürgert, die hier geboren sind, gemäss dieser Vorlage. Ja, aber auch dort reicht es schon, wenn die Eltern nur 5 Jahre hier in der Schule waren, und da kann man schon automatisch einbürgern, da gehen wir sehr viel weiter als andere europäische länder. Gut, darüber werden wir noch sprechen. Herr Bundesrat Blocher, der Vorwurf von Ueli Maurer lautet, das sei eine Mogelpackung, da werde eine Generation anders definiert, als man sie im Volksmund versteht…. (nimmt zuerst zur Frage der Definition der Generationen Stellung…dann:) Ja also ich will etwas sagen zu Ihrem Einstieg mit dem roten Pass da, also das Bürgerrecht ist nicht nur einfach eine Frage dieses Passes, sondern, ob man abstimmen kann oder nicht, und das heisst die Geschicke des Landes mitbestimmen und das ist in der Schweiz mit der direkten Demokratie ein heikles Thema und das hat man bisher je einzeln geprüft, und weil man jetzt diesen 64 Leu Mau Leu Blo Leu Blo Automatismus hat, tut man das nicht mehr. Bundesrat und Parlament sind der Auffassung, das sei gerecht... Bei der zweiten Generation ist das nicht so, dass nicht geprüft wird, es wird schon noch geprüft. Eben, checken wir doch dieses Argument gerade mal ab, Ueli Maurer, ihre Partei sagt, dass der Schweizerpass verschleudert wird, jetzt sagt der Bundesrat Blocher, es wird ja immer noch geprüft, halt unter anderen Rahmenbedingungen, haben sie da falsch informiert in ihrer Abstimmungspropaganda? Wesentlich ist in diesem Fall, jetzt nicht nur die Verfassung, sondern das Gesetz dazu, dass ja auch schon besteht, es ist zu vermuten, dass jemand der 5 Jahre die Schule besucht hat, als integriert gilt. Das heisst, es wird uns im Gesetz indoktriniert, was wir zu denken haben, nämlich, dass wir vermuten müssen, dass jemand integriert ist und damit wird im laufe der Zeit, auch auf Grund der Rechtssprechung, die wir in der Vergangenheit auch gehabt haben, sehr rasch ein faktischer Anspruch auf Einbürgerung bestehen. Wir werden mühe haben, jemand nicht einzubürgern auch wenn man das prüft, weil wir haben ja, wenn man an die Jugendlichen denkt, die wir dann einbürgern, das kann durchaus einer sein, der 20-30 Ladendiebstähle gemacht hat oder irgend etwas, kein Eintrag dann hat, dass kann allenfalls dann gelten als unbefleckt, wenn man das so will und diese Rechtssprechung, die wir jetzt schon haben, ist mit diesem Gesetz, das nachher noch kommt,... schafft praktisch für diese Jugendliche ein Recht auf Einbürgerung und das ist eine wesentliche Änderung zur Praxis, die wir bis jetzt schon haben. Herr Bundesrat, ist das möglich, dass ein Jugendlicher, der so delinquiert, wie das der Herr Maurer gesagt hat, das der jetzt mit der neuen Vorlage eingebürgert werden kann? Also wenn er nicht eingetragen ist im Strafregister, ist klar, dann ist es möglich. Ich weiss schon was angedeutet wird, es gab einmal einen Fall, da wurde jemand eingebürgert mit einem Eintrag, das ist ein Fehler, dass kann ja mal passieren. Aber die Meinung ist ja, dass bei der zweiten Generation, also bei der dritten ja nicht, die werden ja nicht mehr geprüft, das passiert ja dann automatisch bei der Geburt,.. aber das andere ist ja bei den 116000 zwischen 14 und 24 Jahren, aber das wird angeschaut, wenn sie ein Delikt begannen haben, aber die, die der Herr Maurer gesagt hat, also die kleinen...(zeigt auf Ueli Maurer und spricht mit zustimmenden und gelangweiltem unterton ) die werden natürlich, wenn man es nicht weiss, nicht berücksichtigt. Finden sie das gut? Es kommt nicht drauf an, was ich finde, ich bin ja im Bundesrat und habe..das ist ja eine Vorlage vom vorherigen Bundesrat...und ich weiss schon wieso sie diese Frage stellen wir müssen da nicht Verstecken spielen...der Vorteil von „dem“ 65 Leu Blo Leu Blo Leu Mau (die Vorlage, Blocher macht abwinkende Gestik) ist, dass es einfacher ist zum einbürgern, es ist weniger Bürokratisch und der Bundesrat und das Parlament finden, dass es eben der Integration der jungen Leute hilft. Aber eben, normalerweise entspielt sich am Anfang der Sendung immer eine heftige Diskussion zwischen den beiden Hauptkontrahenten, bei ihnen weiss man ja, dass sie am Anfang eine andere Meinung hatten bevor sie zum Bundesrat gekommen sind, was ist ihre Aufgabe, die sie sich heute gestellt haben. Wie möchten sie informieren heute? Ich habe mir keine Aufgabe gestellt, ich bin..im Parlament, als die Vorlage kam, habe ich die bekämpft, das hat man schon gewusst, bevor ich ins Bundesrat gewählt wurde, und jetzt bin ich im Bundesrat und es ist Verpflichtung von den Bundesräten, die Vorlagen, die im Parlament durchgekommen sind,.. nicht mehr zu bekämpfen, und das mache ich auch nicht und ich lege ihnen diese Gründe dar. Also dann ist es eine Pflicht für sie heute? Ja, natürlich es ist eine Pflicht, ja, ja es ist schon das. (Gelächter im Publikum und Blocher lächelt auch). Ich glaube beim Herr Maurer liegt schon mehr Herzblut dahinter. Möchten Sie einfach ganz Grundsätzlich möglichst wenig Ausländer in der Schweiz? Nein das Bürgerrecht ist für uns wirklich etwas ganz besonderes, ...es hat damit zu tun mit der Mitgestaltung, mit dem Abstimmen, mit der Fähigkeit Stellung nehmen zu können. Und für uns ist die Einbürgerung, im Gegensatz zu dem was der Bundesrat sagt, die Einbürgerung seien wichtige Massnahem für die Integration. Wir sehen das anders. Jemand soll eingebürgert werden, wenn er integriert ist...Einbürgerung sollte Abschluss der Integration sein und nicht Anfang,…..Mit diesen Massnahmen, die wir jetzt haben, mit diesem Automatismus, wo die Eltern nicht einmal sind, aber das Kind wird automatisch, wo 5 Jahre Schule reichen, um die Einbürgerung zu erlangen. Das ist falsch...ich glaube da machen wir dem eingebürgerten keinen Gefallen, weil das ist mir kürzlich passiert, als wir Unterschriften sammelten für unsere Initiative, habe ich eine Frau angesprochen und gefragt, sind Sie Stimmberechtigt, (macht die Frau nach), „Ja bin Stimmberechtigt“ dann sagte ich, ja dann sind sie Schweizerin?, „Nein ich bin Ausländerin, aber ich habe Schweizer Pass“ (Maurer spielt Akzent nach). Das zeigt eben, wie man anders fühlt, man hat zwar den Schweizer Pass, aber man fühlt sich als Ausländer. Oder ein anderes Beispiel, auf einer Kontaktanzeige habe ich gelesen: Italiener mit CH-Pass sucht Lebenspartnerin. Da schaffen wir eben Konflikte, die immer wieder auftauchen...und deshalb muss zuerst die Integration und nacher die Einbürgerung sein. Und wenn wir dies jetzt eben wechseln, wenn wir jetzt automatisch einbürgern, wie kein anderes Land, 66 nach 5 Jahren einbürgern, dann verändern wir den Charakter der Schweiz, ein Teil unserer Identität geht verloren, wir generieren auch Sogwirkung, wir werden zum attraktivsten Land in Europa für Einbürgerungen... Leu Klären wir das mal ab, Cecile Bühlmann: der Charakter der Schweiz wird verändert, vor allem hat U.Maurer gesagt, die Integration sollte am Anfang und nicht am Schluss stattfinden. Wie ist das jetzt, sollen hier Leute zu früh aufgenommen werden? Bühlmann (Verts): Also bei der zweiten Generation geht es um Kinder, wie der Herr Bundesrat Blocher gesagt hat, von eingewanderten Eltern, das ist die erste Generation und der grösste Teil von diesen Kindern ist in der Schweiz geboren und ein kleiner Teil wandert später ein und jetzt immer mit diesen 5 Jahren zu operieren, das ist der Ausnahmefall, die grosse Regel ist, dass diese Kinder hier geboren sind.. Leu (unterbricht) Aber die Regelung ist so formuliert, dass 5 Jahre obligatorische Schulzeit und dann kann jemand erleichtert eingebürgert werden. Blo sie ist so formuliert, richtig..oder in der Schweiz geboren, es gibt zwei Möglichkeiten und wir gehen davon aus, also die Mehrheit des Parlaments, dass wer hier geboren ist oder mindestens einen grossen Teil der Schulzeit in der Schweiz gemacht hat, der fühlt sich hier zu Hause, der ist an dieses Leben gewöhnt,.. das ist jemand wie sie und ich ist Leute gehören zu uns, sie fühlen wie wir. Es ist auch nicht so, dass diese Leute, wenn sie eingebürgert sind, dass sie erst dann die Schweiz mitgestalten, sie gestalten bereist jetzt mit, sie besuchen unsere Schule, machen hier ihre Lehre, sind in unserer Arbeitswelt und beweisen Tagtäglich, dass sie integriert sind. Leu Herr Schlür, Frau Bühlman sagt, wenn jemand 5 Jahre hier in der Schule war, die obligatorische Schule besucht hat, oder sogar hier geboren ist, kann man dann nicht sagen, dass er integriert ist? Schlür Schauen sie, es gibt zum Beispiel in der Agglomeration Zürich oder auch in Luzern , Frau Bühlman, da haben wir Schulklassen mit 80-90% Ausländer aus 20, 22, 25 Nationen. Die kommen mit Schweizer gar nicht in Berührung, sondern die müssen die Sprachprobleme irgendwie überwinden, die auch entstehen. Jetzt einfach zu sagen, dass generell diese jetzt integriert sein sollen, (Leu nickt) gesetzlich vorzuschreiben, dass diese nun integriert sein sollen, und dann gibt‟s noch den Automatismus, das ist eine völlig absurde Lösung. (Man hört Gemurmel von Frau Bühlman, sie sagt, das gibt kein Automatismus)..diese Frage klärt man ab, bei der Gemeinde, wo man die Familie kennt, wo man die Verhältnisse kennt, (Leu nickt) wo sich diese Leute in der Gemeinde einleben können und wo man dann den Entscheid trifft...aber als Automatismus unter solchen Verhältnissen nicht. 67 Leu ja also der Automatismus ist ja nur bei der 3. Generation. Doris Leuthard: Doris Leuthard:Ja eben, man muss einige Sachen klären. Der Herr Bundesrat Blocher hat in einem Nebensatz noch erwähnt, man muss heute ein Gesuch stellen und auch ein Zweitgeneratiönler muss auch zukünftig zwischen dem 14 und 24 Lebensjahr auch ein Gesuch stellen, wenn man das verpasst hat, dann gilt das ordentliche Verfahren. Das zum ersten, dann zum zweiten im 1994 haben wurde über diese Vorlage bereits abgestimmt, da war die SVP dafür, der Herr Blocher war damals sogar Copräsident in Zürich und schon damals war die Definition 5 Jahre Schulpflicht (wird unterbrochen von Schlür) Schlür aber es gab dieses Gesetz damals nicht, „es ist zu vermuten, dass die Integration stattgefunden hat. Doris L.ja, aber die Definition Herr Schlür, war dieselbe. Jetzt, was haben wir heute: wenn sich jemand ordentlich einbürgern will, dann muss er 12 Jahre Wohnsitz haben und das wird schon erleichtert, da im Alter zwischen 10 und 20 die Wohnsitzjahre doppelt gelten. Also de Facto ist jetzt 6 Jahre Wohnsitz und neu sagen wir jetzt 5 Jahre Schulpflicht. Also was ist jetzt gescheiter, ein Kind ist doch wesentlich, wenn es früher kommen muss und in der Schule ist, ist es doch viel besser integriert, wir haben es mehr mit unserer Kultur vertraut gemacht, als nur mit der Wohnsitzdauer. Und noch etwas, was sie falsch gesagt haben. Es gilt die Vermutung, dass die Integration stattgefunden hat, aber selbstverständlich prüft die Gemeinde..(Schlür unterbricht: Nein, nein, das kann sie nicht mehr) ...Herr Schlür, ich war in der Kommission und das ist lediglich eine Beweislastumkehr, sie waren ja auch mal Jurist und wissen, was das bedeutet, das ist eben falsch..., wenn eine Gemeinde sagt, diese Person ist nicht integriert, wir haben Merkmale, die das belegen, dann darf sie dass, sie muss sogar kontrollieren. Und ich vertraue da der Gemeinde, das sie das tut. Leu Ja fragen wir doch gleich Daniel Bühlmann, stellv. Gemeindepräsident von Emmen. D. B. Ich muss zuerst sagen, dass ist die Stellungnahme von Daniel Bühlman, der Gemeinderat nimmt ja da keine Stellung... Also, es gibt einen klaren Unterschied, ich spreche jetzt über die zweite Generation, bei der erleichterten Einbürgerung da hat der Ausländer einen Anspruch, dass er, wenn er die Voraussetzungen erfüllt, eingebürgert wird. (gemurmel der Befürworte: nein, Kopfschütteln). ..und heute mit der ordentlichen Einbürgerung, muss man auch die Voraussetzungen erfüllen, sonst darf man den Gesuch ja gar nicht stellen, aber es gibt keinen Anspruch und das ist eben der Unterschied. Und da hat die Gemeinde nicht mehr das zu sagen, was sie einmal hatte. Leu Also Rechtsanspruch, ist ein wichtiger Punkt (dreht sich um und will jem. anderem das Wort erteilen...da unterbricht Cecile Bühlmann..) 68 C. B. Darf ich den Herrn Bühlmann etwas fragen...(liest vor die Voraussetzungen die der Ausländer haben soll). Was wollen sie den gegen diese Person noch sagen, wieso soll der nicht eingebürgert werden, wenn er doch all diese hohen Hürden erfüllt? D.B Bis jetzt war es eben immer so, dass die Verwaltung die Behörde geprüft hat, ob diese Integration stattgefunden hat und dann hat das Volk darüber entschieden, ob sie das auch so sehen, und es ist nicht immer gesagt, das sie das tun,...so ist der fall bis jetzt. Leu (dreht sich zu Blocher um) Herr Bundesrat, wie ist das mit dem Rechtsanspruch, besteht er oder nicht? Blo Ja, also es gibt nachher einen Rechtsanspruch und bei der automatischen Einbürgerung, da ist es selbstverständlich, dass es ihn gibt. Leu gut, dann haben wie diese Frage geklärt. Jasmin Hutter, wieso sind sie eigentlich dagegen, es geht ja um junge Leute, sie sind doch auch Jung? J.Hutter ich habe zwei Sachen, also wenn ein Junge aus Ex-Jugoslavien kommt mit 11 und dann kann der schon nach 5 Jahren, eingebürgert werden, dann heiratet der später eine Frau aus seinem Heimatland, ich sage jetzt Heimatland, ExJugoslavien, die haben eine ganz andere Kultur, die haben dann Kinder und die können dann automatisch eingebürgert werden. Egal ob die Frau, die er geheiratet hat, Deutsch kann, egal ob sie integriert ist und für mich bedeutet halt der CH-Pass noch was, ich ihn nicht einfach so allen verteilen. Und darum bin ich in erster Linie dagegen. Zweitens..(spricht über die 37%, die bis jetzt eingebürgert wurden und aus Ex-Jugoslavien stammen und die haben andere Kultur, andere Werte, auch gegenüber Frauen, deshalb sei sie auch als Frau dagegen etc. Publikum applaudiert). 69 Allegato 13: Prima pagina de “Il Giornale” del 6.11.2010. 70 71