Lo straniero nello spazio pubblico svizzero.
I dibattiti sulle procedure di naturalizzazione nelle
diverse collettività linguistiche (1983-2008).
Tesi di
Spartaco Calvo
Direttore di tesi
Dr. Ursula Ganz-Blättler
Presentata alla
Facoltà di scienze della comunicazione
Università della Svizzera italiana
per il titolo di
Dottore in Scienze della comunicazione
Mese anno
Febbraio 2011
Ringraziamenti.
Innanzitutto non posso che ringraziare la mia direttrice di tesi, Dr. Ursula Ganz-Blättler,
per l’interessamento e la fiducia accordatimi, senza i quali, semplicemente, questo testo
non esisterebbe.
Esprimo la mia più sincera gratitudine al Prof. Giuseppe Richeri per i molti consigli e
insegnamenti che ho da lui ricevuto in questi anni.
Voglio inoltre ringraziare i collaboratori, passati e presenti, dell’Istituto Media e
Giornalismo, la cui competenza e correttezza professionale
mi è sempre stata di
esempio.
Non posso dimenticare il Prof. Robin Nelson (Department of Contemporary Arts,
Manchester
Metropolitan
University)
ed
il
Prof.
Andreas
Hepp
(FB
Kulturwissenschaften, Universität Bremen) che, durante il periodo che ho trascorso
come Visiting Student, mi hanno permesso di osservare e di apprendere le loro
metodologie di lavoro.
Un ringraziamento particolare va a Jonida Myftiu che mi è stata di grande aiuto
nell’elaborazione dei dati empirici su cui si fonda questa ricerca.
Ringrazio tutto il personale amministrativo e logistico dell’Università della Svizzera
Italiana, la cui estrema efficienza mi ha molto agevolato il lavoro. Un grazie speciale va
ai bibliotecari della BUL per la loro disponibilità e comprensione.
Ultimo, ma non meno importante, voglio ringraziare mia madre, Silvana Calvo, i cui
consigli, più che materni, sono stati sovente quelli di un consulente storico.
Sicuramente non ho ringraziato qualcuno che lo merita moltissimo. Spero vi si
riconosca.
Indice.
Introduzione........................................................................................................................3
Stato della ricerca. ............................................................................................................10
Capitolo I: Il problema sociale nello spazio pubblico. .....................................................42
1.1 Rappresentazioni sociali. .....................................................................................43
1.1.1
Identità collettive e codici civilizzazionali. ..................................................44
1.1.2
Modelli culturali e movimenti storici. ..........................................................52
1.1.3
Ideologie e progetti egemonici. ....................................................................57
1.2 Spazio pubblico mediatizzato..............................................................................66
1.2.1
Spazio pubblico e condizione umana. ..........................................................67
1.2.2
Spazio pubblico e modernità. .......................................................................70
1.2.3
Spazio pubblico mediatizzato contemporaneo. ............................................75
1.3 Attori del processo di pubblicizzazione dei problemi sociali..............................82
1.3.1
Problemi sociali e problemi pubblici. ..........................................................84
1.3.2
Imprenditori morali. .....................................................................................88
1.3.3
Chierici mediatori. .......................................................................................90
1.4 Conclusioni. ........................................................................................................92
Capitolo II: Le strutture dello spazio pubblico in Svizzera. .............................................95
2.1 Situazione linguistica ed evoluzione storica delle diverse collettività. ...............96
2.1.1 Caratteristiche socio-demografiche..............................................................97
2.1.2 Dall‟antichità all‟Alto Medioevo ...............................................................102
2.1.3 Dalla Lega di Stati germanofona allo Stato federale plurilingue. ..............110
2.2 Gruppi linguistici ed identità collettive .............................................................115
2.2.1 Il concetto di “architettura dello spazio pubblico” .....................................117
2.2.2 Collettività idiomatiche e rapporti alle lingue ...........................................120
2.2.3 Sistema dei media. .....................................................................................130
2.2.4 Rapporti alle lingue e spazio pubblico. ......................................................147
1
2.3 Identità collettive e modelli culturali. ................................................................151
2.3.1
La concezione svizzera della democrazia diretta .......................................152
2.3.2
Gli attori del sistema politico svizzero. ......................................................158
2.3.3
Il caso del referendum sull‟adesione allo Spazio economico europeo. .....167
2.4 Conclusioni. ......................................................................................................174
Capitolo III: Analisi dei discorsi pubblici in occasione delle campagne per le votazioni
sulle procedure di naturalizzazione ................................................................................178
3.1 Problematiche inerenti le procedure di naturalizzazione. ..................................180
3.1.1
Origini dei dibattiti pubblici sul tema degli stranieri. ................................180
3.1.2
Aspetti legislativi. ......................................................................................185
3.1.3
Votazioni popolari (1983-2008).................................................................188
3.2 Domanda, ipotesi e metodologie di analisi. .......................................................196
3.2.1
Domanda e ipotesi iniziali..........................................................................197
3.2.2
Approccio metodologico generale. ............................................................200
3.2.3
Corpo d‟analisi. ..........................................................................................201
3.2.4 La frame analysis degli articoli di giornale................................................203
3.2.5 Analisi del “contratto di lettura” nelle trasmissioni televisive ....................211
3.3 Risultati della frame analysis. ...........................................................................214
3.3.1 Ripartizione e tipologie degli articoli. ........................................................215
3.3.2 Ripartizione dei frame e delle posizioni degli attori ..................................219
3.3.3 Sintesi e commento dei risultati .................................................................232
3.4 Risultati dell‟analisi del “contratto di lettura” ...................................................234
3.4.1 Dibattito televisivo proposto dal canale francofono TSR ..........................235
3.4.2 Dibattito televisivo proposto dal canale italofono TSI ..............................239
3.4.3 Dibattito televisivo proposto dal canale germanofono SF .........................243
3.4.4 Le differenti strategie di mediazione..........................................................247
3.5 Conclusioni .......................................................................................................249
Conclusioni generali .......................................................................................................257
Bibliografia.....................................................................................................................263
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Introduzione.
Ancor‟oggi i giovani stranieri nati e cresciuti in Svizzera possono vedersi rifiutata la
cittadinanza a causa di una legislazione che attribuisce un grande potere ai Comuni nel
processo decisionale inerente le procedure di naturalizzazione ordinaria (Steiner/Wicker,
2004).
Nella maggior parte dei casi, le autorità cantonali e comunali hanno istituito un
ordinamento che consente, di fatto, alle persone nate e scolarizzate nel Paese, di
naturalizzarsi unicamente adempiendo a delle pratiche amministrative; in alcuni Comuni
della Svizzera centrale e orientale, tuttavia, l‟attribuzione della cittadinanza è considerata
una decisione eminentemente politica da prendere in votazione popolare.
Questa situazione genera profonde discriminazioni perché il ricorso alle urne rende
oggettivamente più complesso per i richiedenti ottenere la naturalizzazione. L‟anonimato
garantito dal voto a scrutinio segreto deresponsabilizza, infatti, i cittadini rispetto alle
conseguenze delle loro decisioni sui candidati (Helbling, 2008) (cfr. 3.1.2).
Il Consiglio federale, per garantire un‟uguaglianza di trattamento ad una componente
sempre più importante delle strutture sociali ed economiche del Paese ed in accordo con
le principali forze politiche, ha tentato a più riprese di rendere operativo un decreto che
equiparasse i giovani stranieri alle categorie sociali che beneficiano delle procedure
agevolate di naturalizzazione. Nelle tre occasioni in cui è stato proposto, il progetto
legislativo è sempre stato respinto con un referendum (1983, 1994, 2004). Probabilmente
incoraggiata dai risultati delle consultazioni precedenti, l‟Unione Democratica di Centro,
sostenuta da alcuni movimenti xenofobi, ha promosso un‟iniziativa popolare di segno
opposto (2008), anch‟essa respinta, volta a rafforzare il potere dei Comuni e ad eliminare
il diritto di ricorso in merito alle decisioni sull‟attribuzione della cittadinanza (cfr. 3.1.3).
Al fine di comprendere le ragioni per le quali la legislazione sulle procedure di
naturalizzazione può essere oggetto di votazioni popolari, occorre ricordare che il
3
sistema politico svizzero si fonda sul principio della democrazia diretta (Kriesi, 2005).
La Costituzione federale, infatti, attribuisce molta importanza agli strumenti del
referendum e dell‟iniziativa che – a livello comunale, cantonale e federale –
conferiscono molto potere ai cittadini in termini di proposta e di ratifica degli atti
legislativi (cfr. 2.3.1).
I risultati delle quattro consultazioni popolari che avevano per oggetto le procedure di
naturalizzazione ci hanno suggerito alcune riflessioni riguardo alla loro ripartizione
regionale ed, in particolare, alle differenze che si sono registrate tra le aree linguistiche
del Paese.
Ovviamente un numero così limitato di votazioni non consente alcun controllo delle
variabili che possono essere all‟origine di queste differenze. Tuttavia, come vedremo nel
paragrafo consacrato allo stato della ricerca, i principali studi sull‟evoluzione storica dei
comportamenti elettorali in Svizzera segnalano delle significative divergenze tra le
collettività idiomatiche autoctone. Questi contributi evidenziano, attribuendovi maggiore
o minore importanza, il medesimo fenomeno; sarebbe, però, scorretto ricondurli tutti ad
un'unica corrente di pensiero. Nef (1980), ad esempio, constata come i confini tra le aree
linguistiche coincidano quelli di altri elementi strutturali della società elvetica; Kriesi
(Kriesi/Wernli/Sciarini/Gianni, 1996), integrando i risultati di un‟inchiesta ai dati
elettorali,
individua alcune differenze identitarie tra le collettività; Linder
(Linder/Zürcher/Arlettaz, 2008), infine, osserva come l‟accrescimento delle divergenze
sia concomitante alla progressiva mediatizzazione dei discorsi pubblici.
Non ci si trova di fronte, quindi, ad un paradigma nell‟accezione proposta da Kuhn
(1962); i diversi studi non traggono forza l‟uno dall‟altro assumendo, agli occhi della
comunità scientifica, un valore di scienza normale. In altri termini, queste ricerche non
tentano di imporre la lingua come il fattore esplicativo determinante dei fenomeni
sociali, come la variabile indipendente che rende conto della complessità e delle
sfaccettature presenti nella società svizzera; le loro conclusioni, tuttavia, coincidono
nell‟indicare l‟appartenenza linguistica come un elemento di differenziazione nelle scelte
politiche.
4
Le osservazioni sulla ripartizione dei risultati delle quattro votazioni che concernono la
nostra ricerca, rafforzate dalle conclusioni a cui giungono gli studi sull‟evoluzione dei
comportamenti politici in Svizzera, ci hanno spinto ad interrogarci sulle possibili cause
delle variazioni riscontrate tra le regioni linguistiche.
L‟interpretazione di queste differenze non può avvenire, se non in minima parte,
attraverso le categorie sociologiche utilizzate per rendere conto dei fenomeni
caratteristici della modernità. Né i modelli culturali (Touraine, 1965, 1973), che
forniscono gli orientamenti teorici per la regolazione delle relazioni sociali, né le
ideologie
(Althusser, 1965, 1970; Gramsci, 1948; Laclau/Mouffe, 1985), che
giustificano e fanno apparire naturali questi rapporti, possono, infatti, manifestarsi in
forme radicalmente diverse in uno Stato moderno le cui strutture socio-economiche sono
relativamente omogenee sull‟insieme del territorio (cfr. 1.2).
Occorre, di conseguenza, riflettere su una dimensione le cui radici affondano in epoche
molto anteriori: quella inerente alle identità collettive (Eisenstadt/Giesen, 1995)
costituite da codici che definiscono i confini di una comunità agli occhi dei suoi membri
(Eisenstadt, 1998, 2000) (cfr. 1.1).
La teoria di Pizzorno (1991) sui comportamenti politici rafforza notevolmente l‟ipotesi
che le variazioni nei risultati delle votazioni su temi come quelli concernenti le
procedure di naturalizzazione possano discendere da logiche identitarie. Quando, infatti,
il rapporto costi/benefici di una decisione politica non è particolarmente chiara o quando
le sue conseguenze sono molto differite nel tempo, il cittadino-votante tende a cercare
nelle identità collettive le condizioni strutturali entro cui effettuare le proprie scelte (cfr.
2.3.3).
Se le differenze nei comportamenti di voto sono da imputarsi ad una diversa costruzione
dei codici identitari, e queste variazioni si registrano tra le regioni linguistiche, occorre
chiedersi quale rapporto esiste tra le identità collettive e le lingue. Eisenstadt e Giesen
(1995) individuano nel rapporto tra la religione e l‟organizzazione sociale l‟origine del
5
processo di codifica identitaria. Secondo Widmer (2004b) - le cui riflessioni traggono
notevoli spunti da quelle di Habermas (1962) sulla costituzione della sfera pubblica l‟avvento del ceto borghese, il cui potere trae legittimità dalla razionalità delle istituzioni
statali, ha progressivamente fatto divenire lo spazio pubblico il luogo principale ove
vengono elaborati questi codici.
In uno Stato plurilingue come la Svizzera, le istituzioni federaliste di cui la
Confederazione si è dotata a partire dalla metà dell‟Ottocento, unite alla progressiva
mediatizzazione del dibattito politico hanno portato ad una suddivisione idiomatica
dello spazio pubblico, in cui ciascun segmento si caratterizza per una propria ben
definita struttura (cfr. 2.2.3).
Sempre Widmer (2004a) ci fornisce un‟interpretazione dell‟influenza che l‟appartenenza
linguistica esercita sulle caratteristiche dello spazio pubblico e, di conseguenza, sul
processo di costituzione delle identità collettive; in particolare, egli evidenzia come sia
decisivo il rapporto che i diversi gruppi intrattengono con il proprio idioma
Presso la collettività germanofona esiste, infatti, una diglossia: anche nello spazio
pubblico, accanto al tedesco standard viene utilizzato lo Schweizerdeutsch, un idioma
specifico istituito unicamente attraverso l‟oralità. Essa vive, di conseguenza, un rapporto
metonimico con la propria lingua, considera quest‟ultima un tratto distintivo della
propria identità.
I gruppi francofoni ed italofoni, al contrario, nelle discussioni pubbliche si servono, pur
con sfumature diverse, unicamente della lingua standard. Esse intrattengono una
relazione metaforica con il loro idioma, non lo pensano un elemento identitario
fondamentale ed accettano che esso sia parlato anche da altre collettività (cfr. 2.2.1).
Le elaborazioni teoriche sin qui esposte ci permettono di porci la domanda fondamentale
di questa ricerca:
6
Il dibattito pubblico sulla legislazione concernente le procedure di naturalizzazione è
influenzato dalle diverse identità collettive che, in Svizzera, sono definite principalmente
dall‟appartenenza ad un gruppo linguistica?
A partire da questa è possibile elaborare due ipotesi predittive fondamentali:
1) I quadri semantici entro cui si svolgono i dibattiti a proposito di determinati problemi
sociali variano notevolmente tra le collettività linguistiche. Esse hanno, infatti, una
diversa concezione della propria identità. La relazione metonimica che caratterizza il
rapporto tra il gruppo germanofono ed il proprio idioma, istituito unicamente attraverso
l‟oralità, indica una percezione dell‟esistenza di frontiere naturali tra essa ed il mondo
esterno. Le collettività francofone ed italofone, che non concepiscono la lingua come un
elemento identitario e concedono, attraverso l‟utilizzo di un idioma codificato attraverso
la scrittura, la possibilità a chi si trova all‟esterno di apprenderla, pensano alle linee di
demarcazione tra loro ed il resto del mondo come selettivamente permeabili.
2) Le modalità di mediazione del dibattito pubblico presentano anch‟esse delle
differenze tra le collettività linguistiche. Presso il gruppo germanofono, l‟utilizzo di una
lingua istituita unicamente attraverso l‟oralità riduce l‟importanza di giornalisti ed
intellettuali - che, traendo la loro legittimità dall‟essere ritenuti i detentori delle risorse
espressive
date
dalla
perfetta
padronanza
della
lingua
scritta,
esercitano
tradizionalmente il ruolo di mediatori – a vantaggio di quella degli esponenti dei partiti
e dei movimenti, a cui viene attribuito il possesso delle riserve di esperienza sociale.
Presso le collettività francofone ed italofone, invece, il ruolo esercitato nello spazio
pubblico da questi agenti di mediazione è molto forte.
I discorsi mediatici tenutisi in occasione delle quattro consultazioni popolari sulle
procedure di naturalizzazione permettono un‟analisi approfondita delle implicazioni
identitarie sui comportamenti politici e della loro interrelazione con le strutture dello
spazio pubblico.
7
Come abbiamo ricordato in precedenza, infatti, le istituzioni elvetiche tendono a
contenere il ruolo dei partiti e dei loro rappresentanti in parlamento e a favorire, invece,
quello di movimenti sorti allo scopo di legiferare a proposito di un determinato problema
sociale. Questa caratteristica ha conseguenze significative sui contenuti delle discussioni
pubbliche. Nei sistemi fondati sulla democrazia rappresentativa, infatti, la partecipazione
dei cittadini trova la sua massima espressione nell‟elezione dei parlamentari; in Svizzera,
invece, le votazioni a proposito di problematiche specifiche possono suscitare un
interesse collettivo ancora maggiore. La differenza sostanziale risiede nel fatto che in
occasione di elezioni politiche il dibattito è incentrato sulla contrapposizione tra partiti
che propongono visioni complessive della società tra loro contrastanti; mentre durante le
campagne che si svolgono su un referendum o su un‟iniziativa popolare, le discussioni
vertono su problemi sociali su cui si affrontano movimenti, anche eterogenei, interessati
alla loro risoluzione (Kriesi, 1998) (cfr. 2.3.2).
L‟oggetto specifico delle votazioni, inoltre, obbligava gli autori dei discorsi pubblici e
gli elettori ad interrogarsi sulle frontiere della loro collettività. In particolare nel caso dei
tre referendum (1983, 1994, 2004), il quesito fondamentale riguardava, infatti, i requisiti
che un giovane straniero deve possedere per poter essere ammesso direttamente nella
collettività svizzera, una scelta che, agli occhi dell‟elettore, presentava degli effetti
incerti e differiti nel tempo che gli impedivano una valutazione puramente razionale
delle conseguenze del suo voto (cfr. 3.1.3).
La ricerca empirica si è fondata su un corpo d‟analisi costituito dagli articoli apparsi su
sei giornali, due per ogni regione linguistica, durante le quattro campagne di voto e da
tre dibattiti televisivi, anche in questo caso uno per area idiomatica, che hanno preceduto
la consultazione del 2004. La selezione
dei quotidiani è stata effettuata secondo
numerosi criteri, il più importante dei quali prevedeva la scelta di testate il più possibile
“istituzionali” – ovvero con una lunga tradizione, un vasto seguito di lettori ed una
connotazione politica non troppo marcata – al fine di poter descrivere le caratteristiche di
un eventuale gruppo di comunicazione dominante. Per le stesse ragioni sono state prese
8
in considerazione le trasmissioni realizzate dai canali linguistici dell‟emittente di
servizio pubblico SSR (cfr. 3.2.3).
Gli articoli di giornale sono stati sottoposti ad una frame analysis (Entman, 1993; Ferree
e altri, 2002) che permette simultaneamente di individuare coloro che prendono parte al
dibattito – che abbiamo suddiviso in due categorie: quella dei chierici mediatori, che
comprende giornalisti ed intellettuali, e quella degli imprenditori morali, che include
essenzialmente gli esponenti del mondo politico e dei movimenti sociali (cfr. 1.3) –
isolare i concetti espressi all‟interno delle argomentazioni (gli idea element) e inserirli in
aree di significato più ampie (i frame) (cfr. 3.2.4).
I dibattiti televisivi sono stati osservati con un approccio qualitativo fondato sul contratto
di lettura della realtà implicito che gli autori dei programmi stabiliscono con il pubblico
(Véron, 1985) (cfr. 3.2.5).
I risultati dell‟analisi ci inducono ad alcune riflessioni conclusive sulla crescente
influenza delle identità collettive sui discorsi pubblici e, di conseguenza, sui processi di
decisione democratica.
Concretamente, il testo si struttura su tre capitoli. Il primo propone un modello teorico
generale del processo di problematizzazione sociale. Il secondo considera le specificità
delle strutture dello spazio pubblico svizzero. Il terzo presenta l‟analisi dei discorsi
mediatici in occasione delle votazioni sulle procedure di naturalizzazione.
Innanzitutto vi è, però, un paragrafo dedicato ai principali contributi scientifici a cui
questa ricerca è debitrice.
9
Stato della ricerca.
In precedenza abbiamo evidenziato che questa ricerca propone uno studio sulle modalità
attraverso le quali la figura dello straniero viene problematizzata nei diversi segmenti
linguistici dello spazio pubblico svizzero. In particolare essa si occupa dei discorsi
mediatizzati durante le campagne per le votazioni sulle procedure di naturalizzazione.
I campi di investigazione sociale da essa toccati sono, di conseguenza, molteplici. In
questo paragrafo esporremo un‟analisi dei principali contributi scientifici sulla base dei
quali è stato costituito l‟impianto teorico che la sorregge.
Le opere i cui contenuti hanno maggiormente influenzato questa ricerca possono essere
ricondotte a quattro aree tematiche principali: la prima è costituita dagli studi incentrati
sulle differenze nelle preferenze politiche che, su determinati temi, si manifestano nelle
aree idiomatiche elvetiche; la seconda comprende le ricerche sulle caratteristiche delle
diverse collettività linguistiche e sui rispettivi segmenti dello spazio pubblico; la terza
include gli studi sulle rappresentazioni, soprattutto mediatiche, della figura dello
straniero in Svizzera e la quarta ingloba le ricerche che hanno per oggetto le
problematiche legate alla naturalizzazione.
Ovviamente la suddivisione in quattro filoni può apparire arbitraria dal momento che una
singola opera può toccare più aree tematiche, essa è però coerente con il processo di
elaborazione delle ipotesi fondamentali di questa ricerca.
Preferenze politiche e regioni linguistiche.
L‟esistenza di differenze nelle preferenze politiche espresse dai cittadini delle diverse
regioni linguistiche è stata constatata per la prima volta da Nef (1980), documentata da
Knüsel (1994), Kriesi (1996) e, più recentemente, Linder (2008) ed interpretata da
Meier-Dallach (1991) e, soprattutto, da Widmer (2004a).
Le opere dei primi quattro autori citati hanno messo in evidenza l‟esistenza di talune
regolarità nelle divergenze politiche tra la regioni idiomatiche ed hanno proposto delle
categorie per classificarle. Il lavoro di Meier-Dallach (1991) ha permesso di evidenziare
10
delle distinte scale di identificazione ed un differente rapporto verso la mediazione
culturale nelle diverse aree idiomatiche.
Il saggio di Widmer (2004a) inserisce un‟ulteriore dimensione di complessità, non
limitandosi a considerare le diverse regioni linguistiche come le variabili indipendenti di
una serie di correlazioni statistiche. Il sociologo romando si interroga sulle ragioni per le
quali esse sono costituite in maniera tale da produrre gli effetti che sono loro attribuiti.
Lo studio di Rolf Nef (1980) analizza le variazioni interregionali che si sono registrate
nelle votazioni federali svoltesi tra il 1950 ed il 1977. I risultati a cui giunge, portano il
ricercatore a concludere che le differenze nelle scelte elettorali da parte dei cittadini delle
diverse aree hanno un carattere strutturale e durevole.
Le preferenze politiche dei cittadini dipendono, secondo l‟approccio teorico utilizzato,
da riflessioni sulle funzioni dello Stato in materia di produttività, di legittimazione e di
integrazione. Queste propensioni, a loro volta, scaturiscono da contesti culturali e
sociostrutturali fortemente diversificati all‟interno del Paese. Associando le singole
votazioni alle funzioni dello Stato ed osservando la ripartizione dei risultati, Nef
individua quattro regioni molto omogenee dal punto di vista della cultura politica. Da un
lato vi sono i Cantoni latini, maggiormente orientati verso l‟estero e fortemente attenti
alla preservazione della funzione di integrazione svolta dalle istituzioni federaliste ;
dall‟altro vi è l‟area germanofona, più orientata alle dinamiche interne del Paese, e a sua
volta suddivisa in una regione rurale e cattolica, tendenzialmente conservatrice, una
rurale e protestante, orientata ad una ripartizione centralizzata delle risorse statali, ed una
urbana e protestante, federalista e più attenta alle problematiche di redistribuzione tra i
ceti sociali.
La ricerca condotta da René Knüsel (1994) prende in considerazione le votazioni svoltesi
tra il 1918 ed 1993. Essa presenta per noi il duplice interesse di evidenziare, da un lato, il
progressivo affermarsi del fattore linguistico come elemento costitutivo della Svizzera
moderna e, dall‟altro, le differenze nelle scelte di voto che si registrano tra la regione
germanofona e quelle latine.
11
La riflessione storica, fondata sullo sviluppo del dibattito politico sulla legislazione
linguistica, sull‟evoluzione delle caratteristiche dei diversi idiomi e sui dati dei
censimenti federali, porta a concludere che le lingue sono divenute, nel corso del XIX e
del XX secolo, l‟elemento caratterizzante delle diverse collettività elvetiche, superando
per importanza la religione che era la principale causa di divisione nella Svizzera
premoderna.
L‟analisi della ripartizione dei risultati delle votazioni mostra che nelle diverse aree
linguistiche, che pure non sono dei blocchi omogenei e compatti, si registrano importanti
differenze riguardo a specifiche tematiche politiche e sociali. Tradizionalmente le
consultazioni che chiamano in causa le libertà individuali, la difesa nazionale e
l‟intervento dello Stato nel sociale, costituiscono un terreno di divisione tra germanofoni
e latini. Knüsel constata, inoltre, che - a partire dagli anni settanta, in concomitanza con
la scissione del Canton Giura da quello di Berna – le differenze tra le regioni linguistiche
si sono accresciute, portando le aree latine a porsi sovente come minoranza. Questa
tendenza ha raggiunto il suo culmine con il referendum sull‟adesione allo Spazio
Economico Europeo che è stata respinto nonostante il forte consenso registrato in
Svizzera romanda.
Il referendum sull‟adesione allo SEE costituisce uno dei punti centrali anche nelle
riflessioni
presenti
nella
ricerca
condotta
da
Hanspeter
Kriesi
(Kriesi/Wernli/Sciarini/Gianni, 1996). Lo studio – oltre ad esaminare, anch‟esso, i
risultati di numerose votazioni federali - presenta un‟analisi comparata tra la regione
francofona e quella germanofona sulla correlazione esistente, agli occhi dei cittadini, tra
le relazioni con la Comunità Europea, la riforma delle istituzioni elvetiche e l‟esistenza o
meno di fossati linguistici tra le diverse aree. I risultati mostrano come esistano due
diverse forme di tradizionalismo: quella che si manifesta in Svizzera romanda spinge i
cittadini ad aprirsi verso l‟Europa e ad una riforma delle istituzioni statali, ma, nel
contempo, a temere l‟accrescersi di un fossato linguistico capace di minare la coesione
nazionale; nell‟area germanofona, al contrario, il tradizionalismo si presenta attraverso il
rifiuto di un avvicinamento alla Comunità Europea e di una riorganizzazione
12
istituzionale, queste opposizioni non sono però associate al timore di lacerazioni interne
dovute alle divisioni linguistiche.
Lo studio diretto da Wolf Linder (Linder/Zürcher/Bollinger, 2008) prende in
considerazione le votazioni svoltesi a partire dal 1874 al fine di descrivere le divisioni
politiche riscontrabili in Svizzera e le variazioni di intensità che esse hanno subito nel
corso delle diverse epoche. Al di là della tradizionale contrapposizione tra destra e
sinistra, i ricercatori individuano quattro contrasti fondamentali: quello confessionale tra
protestanti e cattolici, che ha però perso di importanza nel corso del XX secolo; quello
tra capitale e lavoro, particolarmente importante fino ai primi decenni del „900,
declinante fino alle fine degli anni settanta e riapparso nell‟ultimo trentennio; quello tra
aree urbane e rurali, venutosi a creare progressivamente a seguito delle trasformazioni
economiche e demografiche; ed infine, quello legato alla polarizzazione tra Cantoni
germanofoni e latini. La contrapposizione tra le regioni linguistiche è giudicata
relativamente debole a paragone delle polemiche che essa innesca quando si manifesta,
come nel caso del referendum sull‟adesione allo SEE. L‟evoluzione storica mostra, però,
nell‟ultimo ventennio, un progressivo accentuarsi di questo contrasto, l‟ipotesi, per noi
molto interessante, avanzata in questo studio è che la differenziazione sia legata allo
sviluppo di uno spazio pubblico mediatizzato sempre più segmentato su base idiomatica.
Le quattro ricerche che abbiamo sin qui sinteticamente presentato mostrano, con
sfumature diverse dovute ai differenti approcci teorici e metodologici, che
l‟appartenenza ad un gruppo linguistico può condizionare in maniera significativa le
preferenze politiche di un individuo. Anche nello studio diretto da Linder (2008), dove
questo fenomeno appare meno evidente, esso è riconosciuto e si attribuisce la sua
progressione al fatto che i mezzi di comunicazione creano un opinione pubblica sempre
più differenziata su base linguistica. Quest‟ultimo aspetto viene ripreso nei contributi di
Meier-Dallach (1991) e Widmer (2004a) che tentano di fornire un‟interpretazione di
questa situazione sociale.
13
La ricerca condotta da Hans-Peter Meier-Dallach (Meier-Dallach/Gloor/Hohermuth/Nef,
1991) descrive una sorta di geografia culturale della Svizzera che, indirettamente, può
aiutare a rendere conto delle differenze nelle preferenze politiche che si registrano tra le
regioni linguistiche. Una prima distinzione importante si nota a proposito del territorio di
identificazione delle diverse collettività. Le popolazioni latine attribuiscono molta
importanza alla propria aera idiomatica o a entità spaziali sovrannazionali, come
l‟Europa, mentre gli svizzero-tedeschi si identificano maggiormente con il territorio
nazionale.
Anche per quanto riguarda il modo di intendere la cultura si registrano variazioni
rilevanti, nell‟area germanofona essa è concepita piuttosto come un codice che permette
di preservare costumi e tradizioni e la sua gestione è affidata perlopiù a personale
indigeno, nelle regioni latine emerge un‟idea di cultura più legata al progresso sociale e
tecnologico; i nuovi mezzi di comunicazione e le più recenti modalità di mediazione
sono, infatti, considerati i suoi vettori principali. Una rilevazione interessante presente in
questa ricerca è che le differenze identitarie e culturali tra le regioni linguistiche
appaiono più evidenti presso le giovani generazioni, più mobili e istruite, che non hanno
vissuto l‟esperienza unificatrice dell‟ultimo conflitto mondiale.
L‟importanza che lo studio condotto da Meier-Dallach riveste per la problematica alla
base della nostra ricerca è data dal fatto che esso permette di integrare le dimensioni
culturali e quelle legate al sistema dei media alle dinamiche che determinano le
preferenze politiche regionali.
Come evidenziato in precedenza, l‟opera di Jean Widmer (2004a) riveste un grande
rilievo nell‟impostazione teorica della presente ricerca, in questo paragrafo ci limiteremo
a descriverne gli elementi principali.
Egli fornisce un‟interpretazione delle differenze regionali nelle preferenze politiche
fondata sulla relazione esistente tra il senso identitario di una collettività, il tipo di
rapporto che essa intrattiene con la proprio idioma e le caratteristiche del suo spazio
pubblico di riferimento.
14
Attraverso l‟analisi comparata dei discorsi mediatici a proposito delle problematiche
legate all‟ecologia ed alla tossicomania, egli mostra come i medesimi contenuti siano
discussi in maniera diversa nelle tre aree idiomatiche. Una delle architravi fondamentali
dello spazio pubblico è, infatti, costituita dal rapporto che una collettività intrattiene con
la propria lingua, esso influenza in modo significativo i quadri semantici entro cui si
svolge il dibattito e le modalità della sua mediazione.
Più specificamente, egli individua nella relazione metonimica che il gruppo
germanofono intrattiene con lo Schweizerdeutsch, parlato solo nella regione ed istituito
unicamente attraverso l‟oralità, un elemento identitario fondamentale che porta lo spazio
pubblico svizzero-tedesco ad avere strutture diverse da quello delle collettività latine.
Le ricerche che abbiamo sin qui sinteticamente presentato hanno avuto, per diverse
ragioni, una grande importanza nell‟elaborazione della problematica di ricerca.
L‟ipotesi che vi fossero delle differenze tra le aree linguistiche nelle discussioni
pubbliche per le campagne di voto sulle naturalizzazioni scaturiva dalla constatazione
che i risultati delle urne di quelle votazioni, e di altre che riguardavano la popolazione
straniera, variavano molto a livello regionale. Gli studi sulle suddivisioni nelle scelte
elettorali in Svizzera ci hanno permesso di comprendere l‟effettiva importanza delle
frontiere linguistiche. Il contributo Hans-Peter Meier-Dallach (1991) ha posto in
evidenza le differenze identitarie e culturali tra le aree idiomatiche. Infine, l‟opera di
Jean Widmer (2004a) ci ha fornito un modello teorico per interpretare la relazione
esistente tra le preferenze politiche, l‟appartenenza linguistica, la costituzione delle
identità collettive e le strutture dello spazio pubblico.
La Svizzera plurilingue e le caratteristiche delle diverse collettività linguistiche.
La letteratura scientifica che si occupa delle caratteristiche e dei modi di convivenza
delle collettività linguistiche in Svizzera è ovviamente molto vasta, in questo paragrafo
presentiamo gli studi che maggiormente permettono di comprendere come l‟uso e
l‟istituzionalizzazione di una lingua contribuisce a definire l‟identità di una collettività,
15
anche in questo caso abbiamo suddiviso i diversi contributi in aree tematiche funzionali
allo sviluppo teorico di questa ricerca.
Il primo filone di studi che, inevitabilmente, occorre prendere in considerazione è quello
che si è occupato dell‟evoluzione storica che ha portato la Svizzera ad essere uno Stato
plurilingue. In molti Paesi coesistono, o hanno coesistito, diversi idiomi; ciò che rende
specifica la situazione elvetica è il percorso politico ed istituzionale che ha permesso il
mantenimento e lo sviluppo di un‟eterogeneità idiomatica su base regionale. I contributi
di Altermatt (2003) permettono di comprendere la genesi storica delle istituzioni del
plurilinguismo svizzero, quello di Weibel (1999) il loro funzionamento all‟interno di uno
Stato federalista ed, infine, quelli di Widmer (2003, 2004b) approfondiscono i dibattiti
pubblici che ne sono stati alla loro origine.
Lo studio di Urs Altermatt (2003: 39-49) mostra come l‟attenzione del mondo politico
verso la questione delle lingue sia stata molto posteriore al 1848, quanto la Svizzera
venne costituita come Stato moderno. Le istituzioni federaliste elvetiche furono fondate
per ragioni sostanzialmente diverse dalla salvaguardia della composizione idiomatica del
Paese. Durante il XIX secolo il dibattito politico era, infatti, dominato dal confronto tra
liberali e conservatori, una contrapposizione che vedeva due gruppi la cui coesione
interna era di tipo essenzialmente ideologico e travalicava i confini tra le regioni
linguistiche.
La prima fase storica nella quale le élite politiche si resero conto di quanto fosse
importante una presa di coscienza collettiva del fatto che la Svizzera fosse uno Stato
multietnico fu durante la crisi europea conseguente all‟affermazione del nazi-fascismo in
Italia ed in Germania. Durante il periodo 1933-1945 le ideologie totalitarie e nazionaliste
che animavano i regimi delle due potenze confinanti costituivano una seria minaccia alla
legittimità stessa dell‟esistenza del Paese, per questa ragione il mondo politico svizzero
mise in atto una serie di iniziative tese a valorizzare il plurilinguismo come tratto
caratteristico e imprescindibile della Confederazione.
16
A partire dalla seconda metà del XX secolo, a seguito anche dell‟allentamento
dell‟impatto ideologico dei partiti tradizionali, la questione linguistica ha acquisito
un‟importanza sempre maggiore nell‟agenda politica nazionale. Nel corso degli anni ‟90
le tensioni, in particolare tra romandi e svizzero-tedeschi, si sono accentuate al punto da
far temere una futura contrapposizione tra blocchi etnici, o quantomeno tra comunità
culturali, simile a quella che caratterizza la vita politica in Belgio.
Il contributo di Ernest Weibel (1999) ripercorre, come Altermatt (2003), l‟evoluzione
storica del Paese a partire dal XIX secolo, ma la sua analisi è incentrata maggiormente
sul cambiamento delle istituzioni.
Innanzitutto Weibel individua nel processo di costituzione della Svizzera come Stato
moderno un percorso simile a quello che ha caratterizzato la nascita della Germania e
degli Stati Uniti, il passaggio che porta una lega di Stati praticamente indipendenti ad
unirsi in uno Stato federale.
Anche questo ricercatore riconosce che il federalismo non è conseguenza di fattori etnici
o linguistici, ma del particolare substrato legislativo che regola le competenze comunali
e cantonali e che è il risultato di una complessa articolazione di elementi storici, politici,
socioculturali ed economici. La coesistenza di diverse collettività idiomatiche è data da
due principi: quelli di territorialità e di libertà di lingua. Il primo garantisce il diritto di
ogni Cantone a essere sovrano in materia di identità linguistica e a decidere se
promuovere o meno l‟omogeneità idiomatica all‟interno del proprio territorio; il secondo
permette ad ogni cittadino di rivolgersi alle autorità federali nella propria lingua madre,
purché questa sia un idioma ufficiale della Confederazione.
Anche se maggiormente focalizzata sui discorsi che hanno accompagnato l‟evoluzione
delle istituzioni in Svizzera, l‟analisi di Jean Widmer (2004b: 157-181) non si discosta
molto, per quanto riguarda il XIX e la prima metà del XX secolo, da quella proposta dai
due autori considerati in precedenza.
Secondo il sociologo romando, infatti, la Costituzione federale del 1848, redatta al
termine di una guerra civile politico-confessionale, risentiva fortemente dell‟influenza
17
della dottrina liberale classica che proponeva innanzitutto una razionalizzazione delle
istituzioni statali. In questo clima il problema delle lingue era essenzialmente di natura
burocratica, occorreva decidere quali fossero quelle ufficiali e come strutturare un
sistema di traduzione capace di rendere efficace l‟amministrazione federale.
Fu solo tramite la ratifica popolare della prima revisione costituzionale, nel 1938, che
venne sancito il principio dell‟uguaglianza e della diversità delle lingue. Questa riforma,
avvenuta nel momento forse di massimo consenso dei regimi nazifascisti al potere nei
Paesi confinanti, diede il via ad una retorica politica imperniata sull‟esistenza di una
“Nazione quadrilingue”, istanza legittimatrice dello Stato (trilingue).
Il secondo dopoguerra ha visto il progressivo affermarsi un nuovo tipo di discorso
connesso al plurilinguismo svizzero, quello fondato sul concetto di “minoranza”
(Widmer,
2003:
1-30).
Il
federalismo,
originariamente
concepito
come
un‟organizzazione volta ad ottimizzare il funzionamento dell‟apparato statale, diviene
uno strumento capace di garantire l‟accettazione delle differenze culturali tra le
collettività linguistiche e, di conseguenza, assicurare l‟esistenza dello Stato stesso.
I contributi che abbiamo raggruppato in questo primo filone di ricerca propongono delle
riflessioni sull‟evoluzione delle istituzioni statali svizzere e sulla loro relazione con
l‟esistenza e lo sviluppo delle diverse collettività linguistiche presenti nel Paese.
Pur con importanti ed inevitabili differenze di approccio al tema, le ricerche dei tre
autori convergono sul fatto che non è stato il plurilinguismo a determinare la creazione
di un sistema federalista, è però quest‟ultimo a permettere alle lingue di avere un ruolo di
mediazione identificante capace di costituire le diverse popolazioni in altrettante
collettività politiche capaci di coesistere in un medesimo Stato.
La seconda area tematica è costituita dalla situazione relativa all‟uso delle lingue nei
diversi contesti della vita sociale ed economica svizzera.
Ci occuperemo dapprima di due contributi che offrono una panoramica complessiva
della situazione linguistica del paese: la ricerca condotta da Lüdi e Werlen (2005) ne
18
evidenzia in modo quantitativo gli aspetti strutturali, mentre lo studio di Franceschini
(1996) analizza fenomeni più specifici.
La ricerca condotta da Georges Lüdi e Iwar Werlen (2005) si fonda sui dati emersi dal
censimento della popolazione avvenuto nel 2000. Essa fornisce innanzitutto una serie di
informazioni relative alla ripartizione geografica ed all‟evoluzione storica del peso
demografico delle collettività linguistiche svizzere. Inoltre propone uno studio sui
contesti sociali in cui sono in uso i dialetti nelle regioni latine e lo Schweizerdeutsch
nell‟area germanofona.
I risultati mostrano l‟esistenza di regioni linguistiche territorialmente molto compatte ma
diversamente popolate, la Svizzera tedesca conta una popolazione molto più numerosa
rispetto alle altre, mentre quella romancia ha solo poche migliaia di locutori. L‟analisi
dell‟uso delle lingue nei contesti familiari, scolastici e lavorativi evidenzia profonde
differenze tra le diverse aree: in quella francofona l‟uso del francese standard è esteso a
tutti gli ambiti della vita sociale e l‟utilizzo di forme dialettali è limitato a poche aree
periferiche; nella regione italofona il dialetto è ancora fortemente presente nella sfera
familiare, ma è quasi assente nel settore scolastico e lavorativo; nell‟area germanofona lo
Schweizerdeutsch è largamente utilizzato in tutti gli ambiti della vita sociale, un dato
questo già di per sé indicativo di quanto sia improprio considerare questo idioma alla
stregua dei dialetti in uso nelle regioni latine.
Lo studio di Rita Franceschini (1996: 9-29) si focalizza sulle pratiche linguistiche degli
alloglotti, sia stranieri che svizzeri residenti in un'area idiomatica diversa da quella
d‟origine. Una constatazione in particolare – ripresa, come vedremo, anche da Iwar
Werlen (2007) – riveste un particolare interesse per la nostra ricerca: le differenze
nell‟adattamento degli alloglotti alle culture linguistiche delle diverse regioni. Nelle aree
latine essi praticano molto più frequentemente il francese o l‟italiano rispetto a quanto
utilizzano il tedesco o lo
Schweizerdeutsch nella zona germanofona. Franceschini
attribuisce questo fenomeno alla forte valenza identitaria dello Schweizerdeutsch che
19
provoca, da un lato, un sentimento di indifferenza verso gli altri idiomi e, dall‟altro, uno
di tolleranza verso le lingue maggioritarie.
I contributi di Werlen e Lüdi (2005) e di Franceschini (1996), oltre a fornire una visione
d‟insieme della situazione linguistica in Svizzera,
propongono entrambi un‟analisi
comparata tra le tre aree idiomatiche al fenomeno dei contesti di uso sociale di una
lingua standard piuttosto che dei dialetti, nelle regioni latine, o dello svizzero-tedesco in
quella germanofona. Lo studio di Werlen e Lüdi evidenzia come in Svizzera tedesca
l‟uso dello Schweizerdeutsch sia diffuso in ambiti che nelle altre aree sono preclusi alle
parlate locali. La ricerca di Franceschini mostra come l‟integrazione linguistica degli
alloglotti risulti più problematica nella regione germanofona caratterizzata da questa
diglossia.
I due studi che abbiamo proposto presentano il grande interesse di affrontare
complessivamente il fenomeno linguistico in Svizzera. Le modalità di uso e di
istituzionalizzazione delle lingue obbediscono però a dinamiche molto articolate, i
contributi che prendiamo ora in considerazione trattano le specificità degli idiomi di
ciascuna regione ed in particolare sono focalizzati sul rapporto esistente tra la lingua
standard, codificata attraverso la scrittura, ed i dialetti e lo Schweizerdeutsch, tramandati
attraverso l‟oralità.
Ovviamente, l‟area in cui il rapporto tra lingua scritta e idiomi orali si presenta più
complesso è quella germanofona, tra gli studi che affrontano questo fenomeno ci
sembrano particolarmente significativi quelli di Haas (1985), Rash (1998) e Ris (1990).
Di grande interesse per la nostra ricerca è anche il contributo di Werlen (2007) che
affronta i problemi che devono superare gli alloglotti confrontati con lo
Schweizerdeutsch.
20
Lo studio di Walter Haas (1985: 65-106) propone un‟analisi della diglossia esistente
nell‟area germanofona affrontando il fenomeno da un punto di vista storico, linguistico e
sociale.
Un primo aspetto che viene evidenziato è che lo Schweizerdeutsch non è affatto un
idioma uniforme, esiste un tale numero di parlate locali che gli svizzeri-tedeschi stessi,
generalmente, ignorano quante esse siano. Queste differenze hanno avuto origine con la
moltitudine di frontiere politiche che storicamente frammentavano la regione e che oggi,
sovente, ancora delimitano i confini cantonali.
Dopo essersi occupato dei diversi gradi di variazione che intercorrono tra le diverse
parlate e la lingua standard e delle divergenze tra il tedesco utilizzato in Svizzera e
quello usato negli altri Paesi germanofoni, Haas si concentra sull‟evoluzione storica
della diglossia modale svizzero-tedesca. Innanzitutto egli constata che la coesistenza dei
due idiomi ha iniziato a porre problemi sociali a partire dal XX secolo. Fino al termine
dell‟Ottocento era chiaro che il tedesco-standard era utilizzato per la scrittura ed in
occasione di discorsi pubblici, che erano, all‟epoca, riservati ai ceti sociali più elevati. I
due fenomeni che alla fine del secolo hanno posto le basi della futura conflittualità sono
stati, da un lato, lo sviluppo del sistema scolastico, che ha aperto grandi dibattiti
pedagogici sugli spazi da riservare ai diversi idiomi, dall‟altro, lo sviluppo, attraverso un
vocabolario, di uno Schweizerdeutsch “puro” dotato di maggiore legittimità rispetto al
tedesco standard.
Rispetto al secolo precedente, il Novecento si è rivelato molto più instabile da un punto
di vista linguistico. Walter Haas lo descrive infatti caratterizzato da una serie di “ondate
dialettali” durante le quali lo Schweizerdeutsch ha acquisito importanza a discapito della
lingua standard, questi fenomeni possono avere avuto un‟origine politica, normalmente
in opposizione alle iniziative militari espansioniste della vicina Germania, o culturale,
prima con lo sviluppo di opere letterarie e successivamente attraverso la produzione di
film o programmi radiotelevisivi.
L‟opera di Felicity Rash (1998), come quella di Haas (1985), affronta il fenomeno della
diglossia in Svizzera tedesca in maniera complessiva. L‟approccio utilizzato è però
21
sostanzialmente diverso, l‟analisi storica della situazione linguistica è meno approfondita
dal momento che l‟attenzione è più focalizzata, anche attraverso lo studio di dati
quantitativi, sui contesti d‟uso dei due idiomi.
Rash descrive la diglossia svizzero-tedesca come “funzionale”, l‟uso del tedesco
standard e dello Schweizerdeutsch non è fondato semplicemente sulla dicotomia che
vuole il primo adoperato per l‟espressione scritta ed il secondo per quella orale. Una
lingua viene utilizzata a discapito dell‟altra quando svolge in modo più efficace una
funzione sociale. Il tedesco standard è utilizzato prevalentemente per le relazioni di tipo
societario:
l‟istruzione
secondaria,
le
comunicazioni
militari,
l‟informazione
radiotelevisiva o gli interventi parlamentari, ma anche, ad esempio, nella didattica del
linguaggio per sordomuti. Lo Schweizerdeutsch prevale nei rapporti comunitari, nelle
conversazioni quotidiane, ma è pure utilizzato in molti programmi radiotelevisivi non
informativi e nella letteratura per ragazzi.
Il contributo di Roland Ris (1990: 40-49), a differenza di quelli dei due autori che
abbiamo visto in precedenza, non ha una vocazione unicamente descrittiva del
fenomeno, esso propone, invece, una riflessione sul ruolo dello Schweizerdeutsch nella
comprensione reciproca tra le diverse collettività linguistiche elvetiche.
Ris parte dalla constatazione che la diglossia della collettività germanofona non è, come
in molti altri casi nel Mondo, una manifestazione delle differenze tra classi sociali, la sua
intensità varia, infatti, a seconda del contesto storico e dei rapporti che intercorrono tra
svizzeri e tedeschi. Durante il periodo nel quale scrive, egli osserva un progressivo
rafforzamento dello Schweizerdeutsch che limita l‟uso della lingua standard a pochi
ambiti, solitamente legati all‟istruzione superiore, dove la diglossia trova applicazione
unicamente presso le persone colte di una certa età e in coloro che hanno contatti
frequenti con la Germania.
L‟avanzata dello Schweizerdeutsch non è però correlata necessariamente con un aumento
delle incomprensioni tra le collettività linguistiche svizzere. Ris ritiene, infatti, che gli
abitanti delle regioni latine abbiano una conoscenza dello Schweizerdeutsch superiore a
quanto comunemente si creda e che questo idioma rischi di costituire un capro espiatorio
22
capace di nascondere l‟importanza delle disparità economiche nella formazione delle
fratture interregionali.
Iwar Werlen (2007), partendo dai dati del censimento della popolazione elvetica
effettuato nel 2000, riflette su una dimensione per noi molto importante: l‟integrazione
linguistica degli immigrati, misurabile attraverso il passaggio dalla lingua d‟origine a
quella locale.
L‟interpretazione dei risultati lo porta a concludere che l‟impatto integrativo è minore
nell‟area germanofona rispetto alle regioni latine. Werlen individua nella diglossia
modale svizzero-tedesca una delle cause principali di questa discrepanza, le collettività
germanofone, secondo l‟autore, definiscono la loro identità sociale prevalentemente
attraverso i dialetti e molti dei loro membri considerano il tedesco standard alla stregua
di una lingua straniera. Questa situazione ha delle importanti conseguenze per i migranti,
che, da un lato, non hanno possibilità di accedere a degli strumenti formali per
apprendere le varie forme di Schweizerdeutsch che non sono codificate attraverso la
scrittura e, dall‟altro, hanno poche opportunità di esercitare il tedesco standard che è
raramente utilizzato dalla collettività autoctona.
I contributi di questi quattro autori permettono di meglio comprendere le dimensioni
della diglossia modale presente nell‟area germanofona ed evidenziano come essa sia un
fenomeno complesso e non semplicemente riducibile ad una esplicita distinzione tra
l‟uso della lingua standard nell‟espressione scritta e dello svizzero-tedesco in quella
orale. Innanzitutto, sebbene in questa ricerca lo Schweizerdeutsch sia considerato come
un idioma a sé stante, Haas (1985) pone in evidenzia come esista una pluralità di dialetti
germanofoni, una conseguenza, riteniamo, della mancanza di codificazione scritta di
questa lingua che ha reso possibile il mantenimento di varianti regionali che altrimenti
sarebbero scomparse.
Haas (1985) e Ris (1990) mostrano, inoltre, che dal momento che la diglossia svizzerotedesca non è, come sovente accade, legata alla stratificazione sociale, essa può subire
delle trasformazioni dettate da fattori politici o culturali capaci di alterare, nel corso del
23
tempo, i rapporti di forza tra gli idiomi. Rash (1998) evidenzia, invece, come i contesti
d‟uso delle due lingue siano molto variegati e come la scelta di un idioma costituisca, in
maniera implicita, una risposta ad una sorta di imperativo funzionale del sistema sociale.
Werlen (2007) si concentra su aspetto più specifico di questo fenomeno, gli ostacoli che
la diglossia pone all‟integrazione linguistica degli allofoni. In particolare, pur senza
approfondire il tema, questo autore avanza un‟ipotesi molto interessante nell‟ottica della
nostra ricerca: quella secondo cui lo Schweizerdeutsch costituisce un elemento
fondamentale nella costruzione delle identità collettive nell‟area germanofona.
Le regioni linguistiche di area latina, in particolare quella francofona, non presentano un
rapporto tra lingua standard e parlate locali di una complessità paragonabile a quello che
caratterizza la collettività germanofona. Una valida descrizione di questo fenomeno è
fornita da Knecht (1995) per quanto riguarda la Romandia e da Lurati (1985) e Bianconi
(1986) per la situazione nella Svizzera italiana.
Pierre Knecht (1985: 125-170) presenta uno studio molto accurato delle parlate che, nel
corso del medioevo, erano in uso nell‟attuale Svizzera francese. Come però evidenziano
anche i dati del censimento dell‟anno 2000 analizzati da Lüdi e Werlen (2005), ben poco
egli può dire sull‟attuale coesistenza tra i dialetti locali ed il francese standard, dal
momento che i primi sono praticamente scomparsi dall‟uso quotidiano. La
sopravvivenza, in posizione molto minoritaria, di parlate locali in alcune aree periferiche
nei Cantoni cattolici costituisce una delle chiavi di lettura per spiegare l‟affermazione
pressoché assoluta della lingua standard. La prevalenza protestante in molte importanti
regioni urbane della Svizzera francese è dovuta, infatti, all‟immigrazione di un grande
numero di ugonotti scacciati negli anni della Riforma. L‟arrivo di queste genti, oltre a
provocare l‟abbandono delle parlate locali per ragioni di comunicazione quotidiana, ha
anche introdotto un nuovo rapporto alla religione che prevedeva una relazione diretta tra
i fedeli ed i testi sacri, scritti ovviamente in francese.
Un‟ulteriore spinta all‟abbandono dei dialetti è attribuibile al grande prestigio di cui
Parigi, e di conseguenza la lingua che vi si parlava, ha goduto tra la fine del XVIII e la
24
prima metà del XX secolo. Il potere della capitale francese, simbolo di cultura raffinata e
di progresso sociale, ha reso, secondo Knecht, la collettività francofona svizzera molto
più allineata linguisticamente ai suoi vicini stranieri rispetto a quella germanofona ed a
quella italofona.
Ottavio Lurati (1985: 171-201) e Sandro Bianconi (1986: 39-48) presentano due
dimensioni, solo apparentemente antitetiche, dell‟evoluzione delle relazioni tra dialetti e
lingua standard presso una collettività, quella italofona, che, pur se in maniera molto
meno marcata rispetto a quanto avviene nell‟area germanofona, conosce ancora l‟uso di
parlate locali, in particolar modo nella sfera familiare.
Lurati descrive come, a differenza di quanto avviene per lo Schweizerdeutsch,
tradizionalmente le parlate dialettali abbiano presso la collettività italofona una valenza
identitaria molto scarsa, al punto che la scuola dell‟obbligo annoverava, in passato, tra i
suoi compiti quello di scoraggiarne l‟uso presso gli allievi.
Bianconi intuisce però un mutamento dovuto essenzialmente al ruolo dei massmedia. La
programmazione dialettale dell‟ente pubblico radiotelevisivo ha infatti portato alla
nascita di una parlata sovra-regionale che ha soppiantato quelle locali e che costituisce la
sintesi di quelle originariamente usate nei principali centri urbani. Widmer (2004a)
sviluppa questa tesi ed ipotizza che questo dialetto sovra-regionale abbia
progressivamente acquisito, presso la popolazione autoctona, una funzione di
identificazione collettiva.
Gli autori che abbiamo esaminato in questo paragrafo sono accomunati dal fatto di
studiare le caratteristiche delle diverse collettività linguistiche esaminando il ruolo degli
idiomi nei diversi ambiti della vita sociale. Le ricerche che presentiamo ora osservano ed
approfondiscono un aspetto, già parzialmente esplorato da Bianconi (1986), legato alle
variazioni regionali nelle forme di mediazione simbolica della realtà.
Tra la vasta letteratura scientifica che si occupa della comunicazione di massa in
Svizzera, gli studi di Wyss e Keel (2009), Hungerbühler (2002), Corboud-Fumagalli
25
(1996) e Beck e Schwotzer (2006) hanno la caratteristica comune di esplorare i segmenti
linguistici dello spazio pubblico mediatizzato e di evidenziare come questi siano, al
tempo stesso, rivelatori ed artefici delle differenze culturali ed identitarie esistenti tra le
collettività idiomatiche elevetiche.
La ricerca condotta da Vinzenz Wyss e Guido Keel (2009: 245-262), a differenza degli
studi che vedremo successivamente, non si concentra esclusivamente sulle variazioni
contenutistiche e formali dei discorsi mediatici. I due autori, attraverso uno studio
longitudinale svoltosi nel decennio 1998-2008, esaminano le caratteristiche della cultura
giornalistica svizzera attraverso un approccio più globale. L‟analisi quantitativa di dati
provenienti sia da interviste a redattori
che da testi redazionali ha permesso di
evidenziare, da un lato, l‟esistenza di un retroterra comune all‟intera collettività
giornalistica elvetica e, dall‟altro, di alcune differenze tra le aree linguistiche.
Un aspetto particolarmente interessante di questa ricerca è costituito, a nostro avviso, dal
superamento di un concetto di cultura intrinsecamente legato a quello di prodotto
culturale. I due autori, infatti, si spingono oltre l‟analisi dei contenuti, lo studio
comparativo da loro proposto affronta dimensioni che riguardano le caratteristiche
strutturali dei segmenti regionali dello spazio pubblico mediatizzato svizzero:
dall‟organizzazione del sistema dei media, fino ai metodi di formazione dei giornalisti ed
alla struttura socio-demografica delle diverse categorie professionali che operano
nell‟ambito della comunicazione di massa.
Il contributo di Ruth Hungerbühler (2002: 162-183) presenta i risultati di un‟analisi
comparativa dei contenuti dei notiziari proposti sui canali linguistici dell‟emittente
radiofonica nazionale di servizio pubblico. In particolare, la ricercatrice focalizza il suo
interesse sull‟informazione politica ed individua importanti variazioni nell‟offerta rivolta
alle tre collettività idiomatiche. Il canale germanofono, infatti, fornisce molte più notizie
a carattere nazionale ed economico, quello italofono appare più attento agli eventi
internazionali, mentre quello in lingua francese si concentra maggiormente
sull‟informazione regionale e culturale.
26
Più ancora che alla natura di queste differenze, Hungerbühler presta attenzione alla loro
evoluzione storica. La ricerca abbraccia, infatti, un arco temporale estremamente lungo,
il periodo 1960-1999, durante il quale le divergenze nei contenuti proposti dai notiziari
regionali sono costantemente aumentate. Questo mutamento ha dei significati profondi,
il cambiamento di strategia comunicativa dell‟ente pubblico è, infatti, correlato alla
trasformazione della società svizzera. Fino agli anni sessanta la radio era concepita come
un importante strumento capace di favorire l‟integrazione e la coesione nazionale e,
come tale, produceva contenuti il più possibile omogenei. Successivamente questa
situazione si è progressivamente modificata, la necessità di soddisfare i bisogni di un
pubblico sempre più avvezzo all‟offerta mediatica, ha portato i canali linguistici a
diversificare l‟informazione in modo da offrire agli ascoltatori una chiave d‟accesso
regionale a notizie concernenti una realtà sempre più globalizzata.
La progressiva differenziazione nei contenuti informativi mostra, d‟altra parte, come le
regioni linguistiche costituiscano sempre più delle aree culturali omogenee dotate di un
proprio sistema mediatico.
La ricerca di Adrienne Corboud-Fumagalli (1996) si occupa delle differenze
nell‟informazione televisiva proposta dai canali linguistici dell‟emittente di servizio
pubblico SSR. L‟approccio, in questo caso, non prevede un‟analisi storica dei contenuti
mediatici, ma consiste in un‟osservazione settimanale dei notiziari regionali finalizzata
ad esplorare molteplici dimensioni della comunicazione mediatica.
Lo studio rileva due fenomeni particolarmente interessanti nell‟ottica della nostra
ricerca. Innanzitutto le informazioni riguardanti le regioni linguistiche diverse da quella
di riferimento sono relativamente poche rispetto alla massa complessiva di notizie
fornite; a questa carenza, inoltre, va aggiunto lo scarso interesse del pubblico nei
confronti della programmazione offerta dai canali indirizzati alle altre collettività
idiomatiche. Oltre alla regionalizzazione dei contenuti, Corboud-Fumagalli constata
delle differenze nelle modalità di mediazione proposte dai diversi canali, in quelli di
lingua latina il presentatore introduce e commenta le notizie molto più sovente di quanto
27
non avvenga in quello germanofono, dove è accordato molto più spazio alla pluralità di
voci degli attori implicati nella situazione sociale che viene mediatizzata.
Lo studio Daniel Beck e Bertil Schwotzer (2006) consiste in un‟analisi longitudinale che
pone a confronto i contenuti delle edizioni principali dei telegiornali delle tre collettivitâ
linguistiche comparando, inoltre, la loro evoluzione dal 1996 al 2002.
I risultati mostrano che a fronte di una progressiva omogeneizzazione delle tematiche
proposte – nel, 1996, ad esempio, la TSR proponeva molta più informazione culturale
rispetto agli altri due canali, mentre nel 2002 questa differenza è scomparsa – si registra
un maggiore ripiegamento sulle notizie inerenti la regione linguistica di riferimento a
discapito di quelle riguardanti le altre aree ed il Paese nel suo insieme.
In particolare il canale francofono e germanofono incrementano notevolmente lo spazio
dedicato alla propria cultura regionale e diminuisce quello consacrato alle altre aree.
Un altro aspetto interessante, che non ha subito variazioni significative nell‟arco di
tempo considerato, è il rapporto inversamente proporzionale tra il peso demografico di
una collettività idiomatiche e l‟importanza che il proprio canale accorda alle
informazioni sugli altri gruppi linguistici. La TSI, infatti, è decisamente l‟emittente più
orientata a fornire notizie dal resto della Svizzera, mentre la SF DRS è quella che lo è di
meno.
Fatta eccezione per il contributo di Wyss e Keel (2009) - che evidenzia come le
differenze regionali nell‟ambito della comunicazione di massa possono non essere solo
legate ai contenuti trasmessi dai media, ma anche alle condizioni strutturali che ne hanno
permesso la realizzazione – le altre ricerche che abbiamo considerato presentano risultati
che indicano una tendenza ad una progressiva segmentazione dello spazio pubblico
mediatizzato svizzero. Lo studio di Hungerbühler (2002), riferito al medium elettronico
più antico e fondato su dati che coprono un notevole arco di tempo (1960-1999), mostra
una differenziazione sempre più accentuata dei contenuti informativi. La ricerca di Beck
e Schwotzer (2006), incentrata sui notiziari televisivi e focalizzata sugli anni successivi
(1996-2002), evidenzia approssimativamente la stessa tendenza rilevando una
28
progressiva regionalizzazione dell‟informazione. Il contributo di Corboud-Fumagalli
(1996) constata il medesimo ripiegamento regionale ed indica delle importanti differenze
nelle modalità di mediazione proposte dai canali latini rispetto a quello germanofono.
Nei prossimi capitoli, anche attraverso gli studi di Kurt Imhof (1996b), sulla graduale
perdita di importanza della stampa partitica a vantaggio di quella generalista, e di
Gaetano Romano (1999), sulla progressiva “oralizzazione” e commercializzazione della
comunicazione di massa, cercheremo di rendere conto di questo fenomeno.
Gli studi che abbiamo presentato in questo paragrafo descrivono, sotto diverse
angolature, le caratteristiche della Svizzera come Paese, ma soprattutto come Stato,
plurilingue. Alcuni autori hanno evidenziato l‟influenza delle istituzioni federaliste sullo
sviluppo delle collettività linguistiche, altri si sono incentrati sui diversi modi che queste
ultime hanno di rapportarsi ai propri idiomi e di come vi siano fattori politici e culturali
capaci di alterarli, altri ancora hanno individuato nei massmedia il moderno luogo
simbolico di identificazione collettiva di questi gruppi. Il quadro complessivo che ne
emerge è estremamente interessante ed altrettanto complesso, difficile da comparare con
altre realtà apparentemente simili. Il Belgio, ad esempio, è un Paese dalle dimensioni
geografiche e demografiche analoghe a quelle della Svizzera, è anch‟esso plurilingue;
eppure (Coenen-Hutter, 1997: 142-148) la sua organizzazione centralizzata ed il fatto
che, almeno in alcune aree, le variazioni linguistiche sono associate a differenze di ceto
sociale, rendono le problematiche di questo Stato profondamente diverse da quelle
elvetiche. Il bilinguismo franco-inglese che caratterizza il Canada è ancora più
difficilmente comparabile a quello svizzero; il contesto storico, geografico e politico
presenta infatti discrepanze ancora maggiori, in particolar modo legate al molto più
recente stanziamento della comunità anglofona e di quella francofona sul territorio
nordamericano ed al diverso assetto istituzionale di quest‟ultima in Quebec rispetto a
quello in aree come l‟Ontario o l‟Acadia (Heller/Normand, 2003).
29
La popolazione straniera e la sua problematizzazione pubblica in Svizzera.
La presenza della popolazione straniera in Svizzera è un fenomeno studiato sotto diverse
angolature dalle scienze sociali, ma, come vedremo, il diverso impatto culturale e
politico che essa esercita sulle collettività idiomatiche è un tema esplorato solo
marginalmente. In questo paragrafo presenteremo le ricerche che, nel loro complesso, ci
sembrano coprire le principali dimensioni del fenomeno. Dapprima esamineremo uno
studio che rende conto dell‟evoluzione dei rapporti demografici (Rausa/Reist, 2008) ed
una ricerca che si occupa delle attitudini della popolazione autoctona nei confronti di
quella straniera (Cattacin, 2007). In seguito ci soffermeremo più specificamente sulla
problematizzazione dell‟alterità nello spazio pubblico, attraverso due analisi delle
strategie
comunicative
dei
movimenti
xenofobi
(Altermatt/Kriesi,
1995;
Skenderovic/D‟Amato, 2008) e alcuni studi più generali sulla rappresentazione dello
straniero nel sistema dei media svizzero tedesco (Imhof, 1996a; Romano, 1996) e
francese (Windisch, 2004).
La ricerca di Fabienne Rausa e Sara Reist (2008) esplora numerosi aspetti quantitativi
relativi alla popolazione straniera residente in Svizzera. I risultati evidenziano il forte
aumento percentuale di persone non autoctone avvenuto negli ultimi decenni e le
differenze di età media e di ripartizione tra i generi tra svizzeri e stranieri. Rausa e Reist
si soffermano, inoltre, sulla diversa origine nazionale di coloro che hanno partecipato
alle
successive ondate migratorie e sulle differenze sociali ed economiche che si
registrano tra la popolazione autoctona e quelle originarie delle altre regioni del Mondo.
Questo studio, pur non affrontando il tema dei discorsi mediatici sugli stranieri fornisce
un quadro socio-demografico molto dettagliato che permette di meglio comprendere
l‟origine di determinati contenuti dei dibattiti pubblici che hanno avuto luogo nel corso
degli anni.
Lo studio condotto da Sandro Cattacin (Cattacin/Gerber/Sardi/Wegener, 2007) si occupa
delle attitudini xenofobe presenti nella popolazione Svizzera. In particolare, attraverso
delle interviste effettuate su un campione proveniente dai diversi contesti regionali del
30
Paese, Cattacin osserva la percezione che gli autoctoni hanno degli stranieri. I risultati
mostrano delle inclinazioni contrastanti, da un lato, infatti, si riscontrano delle forti
preoccupazioni legate al timore che gli immigrati provochino un aumento della
criminalità e minaccino l‟identità nazionale, dall‟altro, viene riconosciuta la loro utilità
economica e la necessità di predisporre delle infrastrutture in grado di accoglierli. Questa
apparente contraddizione viene spiegata come un‟attitudine di ripiegamento sulle proprie
frontiere unita ad un desiderio di integrazione di coloro che già si trovano all‟interno del
territorio.
I due contributi che abbiamo presentato permettono, a nostro avviso, di integrare le
riflessioni sui discorsi mediatici sugli stranieri dal momento che essi esplorano delle
dimensioni
complementari
del
fenomeno:
l‟impatto
socio-demografico
dell‟immigrazione in Svizzera (Rausa/Reist, 2008) e il carattere e il grado dei sentimenti
xenofobi presenti nella popolazione elvetica (Cattacin, 2007). In particolare la ricerca
condotta da Sandro Cattacin presenta importanti spunti di interesse per quanto riguarda
la relazione tra percezione dello straniero ed identità collettiva, l‟impostazione teorica e
metodologica proposta dal sociologo ginevrino non prevede però la, per noi cruciale,
analisi comparata tra le diverse collettività linguistiche.
Le ricerche che vedremo ora (Altermatt/Kriesi, 1996; D‟Amato/Skenderovic, 2008)
analizzano le strategie politiche e comunicative di Partiti e movimenti per i quali la
problematizzazione pubblica dello straniero costituisce una delle ragioni di esistere.
Questi due studi ci permettono di comprendere le caratteristiche che assume in Svizzera
una particolare tipologia ideale di attori politici, gli imprenditori morali (Becker, 1963),
che, come vedremo nel prossimo capitolo, è costituita da coloro che vedono nella
presenza della popolazione straniera una situazione sociale da normalizzare e, per
questo, la tematizzano nello spazio pubblico.
Lo studio condotto da Urs Altermatt e Hanspeter Kriesi (1996) si occupa del fenomeno
dell‟estrema destra, di quegli attori politici che svolgono la loro attività ai confini ultimi
31
delle istituzioni democratiche elvetiche e che si fondano su ideologie che hanno nella
xenofobia una delle architravi fondamentali. Dopo aver analizzato i tratti
che
accomunano i diversi movimenti estremisti sviluppatisi in Occidente a partire dagli anni
ottanta, i due ricercatori si concentrano sulle specificità di questo fenomeno in Svizzera.
Attraverso la costruzione di diverse tipologie di organizzazioni, Altermatt e Kriesi
descrivono un universo molto frammentato e numericamente limitato che sta però
conoscendo una profonda trasformazione. Dal fascismo e dall‟antisemitismo tradizionali,
che caratterizzavano il pensiero dei nostalgici dei regimi totalitari del XX secolo, si sono
sviluppate nuove forme di estremismo che estendono l‟odio razziale a tutta la
popolazione straniera e che coinvolgono aderenti sempre più giovani che concepiscono
la violenza come una forma di lotta politica. Oltre allo studio delle organizzazioni, la
ricerca propone un‟analisi del percorso personale, della “carriera”, di una decina di
estremisti, quest‟ultima parte è particolarmente interessante perché permette di
comprendere il contesto sociale entro cui può maturare la xenofobia.
La ricerca di Gianni D‟Amato e Damir Skenderovic (2008), a differenza di quella di
Altermatt e Kriesi (1996), non si occupa dei movimenti xenofobi estremisti, ma della
tematizzazione pubblica dell‟immigrazione da parte dei partiti populisti di Destra.
Attraverso l‟analisi dei programmi elettorali, dei verbali delle sedute parlamentari e dei
giornali di partito, i due ricercatori ritracciano le strategie con cui questi partiti hanno
influenzato la politica migratoria attuata dalla Svizzera a partire dagli anni sessanta, in
particolare viene rilevato come, analogamente a quanto avviene nel resto d‟Europa, la
loro azione si sia fatta più pressante ed efficace nel corso dell‟ultimo ventennio.
D‟Amato e Skenderovic pongono la loro attenzione sulla trasformazione dell‟Unione
Democratica di Centro (UDC) che, a partire dal 1991, ha praticamente monopolizzato la
problematica dell‟immigrazione soppiantando, di fatto, i piccoli partiti estremisti. Grazie
e delle campagne molto dispendiose e provocatorie, l‟UDC è riuscita, da allora, a
mantenere il tema della presenza straniera costantemente nel cuore dell‟agenda politica.
Per quanto riguarda i contenuti proposti, è stato notato come il partito guidato da
Cristoph Blocher abbia modificato la percezione collettiva dell‟immigrazione. Nei
32
decenni precedenti, infatti, i movimenti xenofobi tematizzavano gli stranieri unicamente
come una fonte di criminalità e di impoverimento economico, l‟UDC, invece, ha posto
l‟accento anche sulle differenze culturali tra autoctoni ed immigrati. L‟arrivo e
l‟integrazione di numerose persone di religione mussulmana, ad esempio, è stato
presentato come incompatibile con la cultura ed i costumi svizzeri. Questi nuovi discorsi,
uniti a quelli più tradizionali sugli “abusi” dei richiedenti d‟asilo, si sono rivelati molto
efficaci in occasione di svariate consultazioni popolari ed hanno permesso all‟UDC di
assumere sempre più potere all‟interno del parlamento e del governo del Paese.
I due contributi che abbiamo appena sintetizzato permettono di comprendere le
caratteristiche degli attori politici che propongono al pubblico la presenza di persone
straniere come un problema sociale che richiede soluzioni di tipo restrittivo.
I movimenti xenofobi antidemocratici sono, in Svizzera, un fenomeno marginale, anche
se non trascurabile (Altermatt/Kriesi, 1996); mentre l‟azione dei partiti populisti di
Destra, ed in particolare dell‟UDC, si rivela sempre più forte ed efficace
(D‟Amato/Skenderovi, 2008).
Gli studi di Imhof (1996a) e Romano (1996) e Windisch (2002) affrontano il tema della
problematizzazione pubblica dello straniero da un'altra prospettiva, non occupandosi
tanto degli attori politici, gli imprenditori morali, quanto dell‟impostazione dei giornali,
di quanto proposto, cioè, da coloro che dispongono delle risorse espressive per porre
all‟attenzione collettiva determinati problemi sociali: i chierici mediatori (Gellner,
1983). I primi due contributi utilizzano come corpo empirico i quotidiani della Svizzera
tedesca, il terzo quelli della Romandia.
Kurt Imhof (1996a: 299-314) si occupa della semantica dello straniero, ovvero della
distinzione tra i concetti di “noi” e di “altri”, proposta sui mezzi di comunicazione di
massa durante le fasi di crisi sociale. Il corpo empirico della ricerca è costituito dalle
edizioni di cinque giornali, unicamente germanofoni, pubblicate nel periodo 1910-1980.
Innanzitutto, l‟autore identifica nei periodi di crisi, in generale legati e cambiamenti
33
profondi delle strutture economiche, una sostanziale convergenza nelle tematiche a cui i
quotidiani considerati danno risalto. Una delle problematiche che viene posta in primo
piano durante queste fasi di rottura è la contrapposizione tra i membri della collettività
svizzera e chi non ne fa parte, in una sorta di processo di “etnicizzazione dell‟elemento
politico” che porta alla costituzione di forme comunitarie all‟interno della società. Le
crisi che si sono succedute a partire dagli anni dieci portano alla nascita di altrettanti
“regimi di comunicazione” durante i quali le rappresentazioni identitarie proposte nei
discorsi pubblici soggiacciono a visioni ideologiche che propugnano ineguaglianze
basate, di volta in volta, su fattori religiosi, biologico-razziali, culturali o politici. In
determinate fasi storiche, come all‟indomani del secondo conflitto mondiale o durante la
Guerra Fredda, infatti, coloro che professavano ideologie ritenute in conflitto con i valori
del Paese erano considerati al di fuori della comunità elvetica attraverso un processo in
cui l‟elemento conflittuale trasformava alcuni membri della società in stranieri.
Gaetano Romano (1996: 25-35), basandosi anch‟egli su un corpo di giornali svizzeritedeschi, mostra che, storicamente, non è possibile stabilire una correlazione temporale
tra l‟intensità del dibattito pubblico sul tema degli stranieri ed i flussi reali di
immigrazione. Nel corso del XX secolo la mediatizzazione del problema
dell‟”inforestierimento” (Überfremdung), della minaccia alle tradizioni elvetiche portate
dall‟afflusso di persone provenienti dall‟estero, si sviluppa per cause legate a dinamiche
interne alla società svizzera. Secondo Romano non sono le crisi di tipo economico ad
incrementare la discussione su questo tema, essa è stimolata piuttosto dall‟acuirsi delle
lacerazioni tra i diversi gruppi sociali presenti nel Paese.
I discorsi sui rischi legati all‟immigrazione erano, infatti, particolarmente intensi già a
partire dalla fine dell‟Ottocento, quando esisteva un forte contrasto tra liberali e
conservatori. Questo fenomeno si è poi ripetuto tra la fine degli anni sessanta e l‟inizio
dei settanta, un periodo in cui ai movimenti studenteschi libertari si contrapponevano le
iniziative “anti-stranieri” promosse da James Schwarzenbach, e tra il 1986 ed il 1994,
quando la Svizzera doveva prendere le prime importanti decisioni sul suo ruolo rispetto
34
all‟Unione Europea. Lo straniero diviene, secondo Romano, un problema pubblico
quando la coesione nazionale è minacciata da cause interne.
Ueli Windisch (2002) propone un‟analisi degli editoriali, delle tribune e delle lettere dei
lettori apparsi sui giornali svizzero-francesi in occasione delle votazioni che hanno avuto
per oggetto la legislazione sugli stranieri svoltesi tra il 1970 ed il 2000.
L‟autore ha un‟impostazione profondamente differente rispetto ai due che abbiamo citato
in precedenza; egli non mira, infatti, a descrivere le fasi storiche in cui la
problematizzazione dei flussi migratori ha avuto luogo, il suo interesse principale verte
sulle trasformazioni che il dibattito pubblico ha generato sulla percezione stessa del
problema.
Secondo
l‟approccio
comunicazionale
adottato
da
Windisch,
le
argomentazioni proposte dai partigiani dei due schieramenti hanno come effetto, oltre a
quello diretto di orientare il voto degli elettori, quello di porre in contrapposizione
visioni complessive dell‟ordine sociale, ad esempio il concetto di “sovrappopolazione
straniera” presuppone una ben determinata concezione della società svizzera, così come
l‟accusa di ”xenofobia” indica chiaramente un tipo di rappresentazione dello
schieramento che propugna una politica restrittiva in materia di immigrazione.
Secondo il sociologo ginevrino
i dibattiti che hanno luogo in occasione delle
consultazioni popolari permettono di costruire e di far evolvere progressivamente la
problematizzazione dello straniero attraverso una dinamica relativamente autonoma
rispetto ad altri mutamenti sociali.
Gli studi che abbiamo preso in considerazione in questo paragrafo permettono di
comprendere aspetti importanti legati alla tematizzazione pubblica dello straniero. Ai
fini della nostra ricerca si rivelano particolarmente importanti da un lato i contributi di
Altermatt/Kriesi (1996) e, soprattutto, D‟Amato/Skenderovic (2008), dall‟altro quelli di
Imhof (1996a), Romano (1996) e Windisch (2002). I primi si occupano infatti delle
strategie degli attori politici interessati a problematizzare l‟immigrazione, coloro che
definiremo imprenditori morali; i secondi trattano dell‟impatto che essi hanno attraverso
35
l‟azione dei massmedia, entrando in contatto, quindi, con gli attori che descriveremo nel
prossimo capitolo come chierici mediatori.
Né Imhof, né Romano, né Windisch, però, analizzano in modo approfondito le eventuali
differenze nella struttura dei dibattiti su questo tema tra i diversi segmenti linguistici
dello spazio pubblico svizzero, ciascun‟autore prende in considerazione i media di una
sola regione linguistica e ne trae conclusioni valide per l‟intero Paese.
Le problematiche legate alle procedure di naturalizzazione in Svizzera.
Le specificità legate alle pratiche di naturalizzazione in Svizzera sono state osservate
sotto diverse angolature, dall‟analisi delle implicazioni giuridiche sino a considerazioni
sociologiche sul loro essere riflesso del senso identitario prevalente nella collettività
nazionale. In questo paragrafo ci occupiamo dapprima di una ricerca che ne esplora
l‟evoluzione da un punto di vista socio-demografico (Wanner/Piguet, 2002) e di uno
studio che analizza storicamente le tappe della legislazione svizzera in materia di
cittadinanza (Studer/Arlettaz/Argast, 2008). In seguito presenteremo tre studi etnografici
strettamente complementari tra loro (Centlivres, 1990; Ossipow, 1996; Steiner/Wicker,
2000) incentrati sulle differenze regionali nella definizione dei criteri per ottenere la
naturalizzazione ed uno (Helbling, 2008) che fornisce un‟interpretazione in chiave
politologica di queste variazioni. Infine renderemo conto di un contributo che analizza
comparativamente il grado di integrazione scolastica e professionale dei giovani
naturalizzati
in
rapporto
a
quello
dei
loro
coetanei
svizzeri
e
stranieri
(Fibbi/Lerch/Wanner, 2007).
Philippe Wanner e Etienne Piguet (2002) propongono un‟analisi quantitativa
dell‟evoluzione storica del fenomeno della naturalizzazione dei cittadini stranieri in
Svizzera. Oltre a fornire un quadro generale del suo impatto sulle strutture demografiche
del Paese, lo studio fornisce importanti elementi chiarificatori su alcuni aspetti che
risultano particolarmente controversi nei dibattiti pubblici su questo tema. In particolare,
viene posto in evidenza come, a fronte di un aumento considerevole in termini assoluti
delle persone naturalizzate nel periodo 1950-2000, il tasso lordo di naturalizzazione,
36
ovvero il numero di individui che acquisiscono la cittadinanza ogni cento stranieri
residenti, sia rimasto pressoché invariato.
Attraverso il raffronto tra le piramidi dell‟età della popolazione autoctona, degli stranieri
e degli svizzeri naturalizzati, viene mostrato come questi ultimi siano mediamente più
giovani, un aspetto spiegato dai due ricercatori con il desiderio da parte dei candidati di
una maggiore integrazione lavorativa. Per quanto riguarda l‟origine di coloro che
ottengono la cittadinanza, Wanner e Piguet constatano come vi siano forti differenze tra i
cittadini europei, in particolare spagnoli e tedeschi, la cui madrepatria non riconosce il
doppio passaporto e che aspirano in misura sempre minore alla nazionalità svizzera, e
coloro che sono originari di Paesi lontani a cui faranno difficilmente ritorno e che sono
perciò più propensi a considerare la Confederazione come la loro patria d‟adozione.
Lo studio condotto da Brigitte Studer (Studer/Arlettaz/Argast, 2008) è anch‟esso di
carattere storico, ma è incentrato sui fattori politici, culturali ed economici che hanno
determinato l‟evoluzione del diritto di cittadinanza dal 1848 ad oggi. L‟analisi si fonda
su un‟estesa documentazione che comprende i dibattiti parlamentari, le principali prese
di posizione politiche, le istruzioni date ai funzionari ed i regolamenti in vigore nei
settori dell‟amministrazione pubblica preposti a trattare questa problematica e si
focalizza su due dimensioni: la prima riguarda le trasformazioni a livello federale nella
concezione di appartenenza allo Stato, la seconda - attraverso lo studio di quanto
avvenuto a Basilea, Berna e Ginevra – concerne l‟evoluzione del diritto di cittadinanza
sul piano cantonale e comunale. Le conclusioni a cui giunge Studer permettono di
individuare una serie di fasi storiche nel corso delle quali si registrano
radicali
modifiche nella collocazione dei valori discorsivi e delle pratiche concrete di
naturalizzazione. Ad una progressiva centralizzazione dei poteri a livello federale che,
nel corso dell‟Ottocento, ha portato ad una politica di assimilazione della popolazione
immigrata, ha fatto seguito, nel periodo comprensivo dei due conflitti mondiali, una fase
in cui vi era una forte diffidenza nei confronti degli stranieri.
Nel dopoguerra, ed in particolare a partire dagli anni sessanta, si è registrato un
inasprimento delle disposizioni in molti Comuni e Cantoni che si prefiggevano di
37
combattere l‟”inforestierimento” del Paese. A partire dagli anni ottanta sino ad oggi si
assiste, a livello federale, a numerosi tentativi di agevolare le naturalizzazioni, questi
sforzi incontrano però una forte opposizione politica che porta ad una drammatizzazione
del dibattito su questo tema.
Le ricerche condotte da Studer (2008) e da Wanner e Piguet (2002) permettono di
inquadrare da prospettive diverse l‟evoluzione storica dei fenomeni legati alle pratiche di
naturalizzazione. I tre studi che esaminiamo ora (Centlivres, 1990; Ossipow, 1996;
Steiner/Wicker, 2000) considerano questo fenomeno da un punto di vista etnografico
incentrandosi sulla situazione nella Svizzera contemporanea.
Pierre Centlivres (1990) ha focalizzato la sua analisi sul Comune di domicilio di colui
che richiede la cittadinanza, il luogo nel quale si svolge concretamente la procedura di
naturalizzazione, dove viene giudicato il livello di inserimento sociale ed il sentimento di
appartenenza nazionale del candidato. La concessione del passaporto svizzero a seguito
di una tale prassi, che in tempi non lontani da quelli in cui scrive l‟autore ancora si
fondava su visite a domicilio, non è concepito come una tappa di un percorso di
integrazione, ma come la ricompensa per un‟assimilazione ormai completata. Centlivres
nota in proposito come in alcuni Cantoni della Svizzera centrale ed orientale siano i
cittadini dei Comuni interessati ad esprimersi in consultazione popolare sull‟opportunità
di naturalizzare o meno i richiedenti.
Laurence Ossipow (1996), seguendo il medesimo approccio, constata che le procedure
lasciano un largo margine di manovra ai Comuni. Entro certi limiti giuridici, infatti,
alcuni di essi agiscono principalmente in base allo ius sanguini mentre altri si riferiscono
in prevalenza allo ius soli.
Pascale Steiner e Hans-Rudolf Wicker (2000) contestualizzano queste differenze
all‟interno delle strutture federaliste svizzere. Secondo i due autori la ripartizione tra i
Cantoni che adottano il diritto di suolo e quelli che fanno prevalere il diritto di sangue
semplifica in maniera eccessiva la complessità delle divisioni interne al Paese. I risultati
della ricerca mostrano che vi è una vasta area geografica, la Romandia ma anche le
38
regioni urbane della Svizzera tedesca, in cui le autorità comunali e cantonali si
adoperano per agevolare le naturalizzazioni, in particolare dei giovani di seconda e terza
generazione, distanziandosi dai modelli di assimilazione e rendendole principalmente
degli atti amministrativi. Accanto a questa regione caratterizzata per una sempre
maggiore liberalità nell‟attribuzione della cittadinanza ve n‟è un‟altra, costituita in
prevalenza da comuni rurali germanofoni, dove viene applicato rigidamente lo ius
sanguinis ed in cui il principio di assimilazione è ancora ritenuto imprescindibile.
Le ricerche di Centlivres (1990), Ossipow (1996), Steiner e Wicker (2000) evidenziano
come vi siano importanti differenze regionali – anche, ma non esclusivamente, tra le aree
linguistiche – nel modo in cui le autorità che presiedono le istituzioni comunali e
cantonali concepiscono le pratiche di naturalizzazione. Il recente studio di Helbling
(2008) fornisce un‟interpretazione, in chiave politologica, di queste variazioni.
L‟analisi di Marc Helbling (2008) prende spunto dalle specificità della legislazione in
materia di naturalizzazione in Svizzera; in nessun‟altro Stato, infatti, vi è una tale
differenziazione a livello regionale e comunale nelle pratiche di attribuzione della
cittadinanza. Basandosi sui dati provenienti da 200 Comuni e sull‟osservazione
approfondita delle procedure applicate da 14 di essi, il ricercatore rende conto delle
ragioni per le quali alcune municipalità applicano una politica più restrittiva rispetto ad
altre.
Secondo Helbling, le cause di queste differenze non sono da ricercare nelle
caratteristiche socioeconomiche, nel tasso di disoccupazione o di immigrazione, dei
diversi Comuni, quanto nel loro assetto istituzionale e nella composizione della
rappresentanza politica che li guida.
I risultati mostrano, infatti, che più è estesa l‟arena dei partecipanti al processo
decisionale – ed in alcuni Comuni, in particolare della Svizzera centrale ed orientale, le
naturalizzazioni sono decise in consultazione popolare – maggiore si rivela la rigidità nel
concedere la cittadinanza. Più gli attori implicati sono garantiti dall‟anonimato, meno si
sentono responsabilizzati rispetto alle ripercussioni che il loro voto negativo potrebbe
avere sul candidato.
39
Un altro elemento importante che determina l‟orientamento delle politiche in materia di
naturalizzazione è dato dal radicamento che i partiti hanno nelle diverse municipalità; la
concezione del diritto di cittadinanza degli amministratori comunali influenza, infatti,
fortemente le prese di decisione riguardo alle candidature. In particolare, gli esponenti di
partiti favorevoli ad una politica restrittiva riescono sovente a dominare i dibattiti
pubblici su questo tema dal momento che possono ricorrere ad argomenti, come la
sicurezza sociale o la criminalità, che si rivelano di facile presa sulla popolazione.
La ricerca condotta da Rosita Fibbi (Fibbi/Lerch/Wanner, 2007) adotta una prospettiva
differente rispetto agli studi che abbiamo considerato in precedenza: si tratta, infatti, di
uno studio sulle performance scolastiche dei giovani naturalizzati e sulle loro successive
prospettive professionali. L‟analisi comparata con i loro coetanei svizzeri di nascita e
stranieri, mostra come i naturalizzati terminino con più frequenza una formazione
superiore rispetto agli appartenenti agli altri due gruppi sociali; in particolare coloro che
hanno ottenuto la cittadinanza ma sono nati nella Confederazione, indipendentemente
dalla loro origine etnica, ottengono risultati nettamente migliori rispetto agli autoctoni ed
agli immigrati.
Il successo negli studi non si traduce però automaticamente in un‟altrettanto brillante
integrazione nel mondo del lavoro: il tasso di disoccupazione dei giovani naturalizzati,
pur se inferiore a quello degli stranieri, risulta più elevato rispetto a quello degli svizzeri
di nascita. Questa apparente contraddizione può essere spiegata con i legami più
informali che caratterizzano determinati rami professionali e che favoriscono, di
conseguenza, l‟integrazione degli autoctoni. Un aspetto importante è dato, inoltre, dalla
migliore riuscita scolastica e dalle più interessanti aspettative lavorative dei naturalizzati
rispetto ai loro coetanei stranieri, una situazione che potrebbe essere dovuta a degli
impliciti meccanismi di selezione insiti nelle procedure di concessione della cittadinanza
che favorirebbero gli individui più funzionali al sistema economico.
Le ricerche che abbiamo preso in esame esplorano, a nostro avviso, le principali
problematiche legate al fenomeno delle naturalizzazioni in Svizzera. Lo studio di
40
Wanner e Piguet (2002) permette di contestualizzare scientificamente una serie di dati
statistici che, sovente, sono presentati strumentalmente nei dibattiti pubblici. Studer
(2008) ripercorre l‟evoluzione storica di queste discussioni in parallelo con le
trasformazioni legislative. Centlivres (1990), Ossipow (1996), Steiner e Wicker (2000)
evidenziano le differenze comunali e cantonali nelle procedure di attribuzione della
cittadinanza. I contributi di Helbling (2008) e Fibbi (2007), infine, si occupano di due
temi - rispettivamente le conseguenze dell‟applicazione della democrazia diretta in
materia di naturalizzazione e lo statuto dei giovani richiedenti – che erano alla base delle
votazioni di cui ci occuperemo nei prossimi capitoli.
Come anticipato, la nostra domanda di ricerca tocca molteplici ambiti della vita sociale e
politica svizzera, di conseguenza gli studi a cui è occorso rapportarci affrontano
problematiche a volte molto diverse tra loro.
Dapprima ci siamo occupati di un gruppo di ricerche che, con sfumature diverse,
mostrano l‟esistenza di divergenze nelle scelte politiche tra le regioni linguistiche e
ipotizzano che queste variazioni celino differenze culturali ed identitarie. In seguito
abbiamo trattato i contributi che evidenziano l‟importanza del fattore idiomatico nella
costruzione delle identità collettive, in particolare ci siamo soffermati su quelli
focalizzati sui segmenti dello spazio pubblico mediatizzato svizzero, intesi come luoghi
simbolici in cui avviene una parte essenziale di questo processo di identificazione.
Successivamente ci siamo occupati dei principali studi sulle problematiche legate agli
stranieri, ponendo particolare attenzione a quelli che analizzavano la loro
rappresentazione attraverso i mezzi di comunicazione di massa. Infine abbiamo preso in
considerazione le ricerche che hanno per oggetto le procedure di naturalizzazione e che
permettono di comprendere come questo tema presenti forti implicazioni identitarie, in
termini di differenze tra “noi e gli “altri” e di attribuzione del potere decisionale in
materia.
Nel prossimo capitolo abbandoneremo momentaneamente le specificità della realtà
svizzera per affrontare da un punto di vista teorico il processo di problematizzazione
pubblica di un fatto sociale e le tipologie di attori che vi sono coinvolti.
41
Capitolo I: Il problema sociale nello spazio pubblico.
Rispetto al tema trattato in questa ricerca, i discorsi mediatici sugli stranieri nei tre
segmenti dello spazio pubblico svizzero in occasione delle votazioni sulle procedure di
naturalizzazione, il capitolo propone un modello teorico che descrive in maniera
generale il processo di problematizzazione sociale senza, per ora, affrontare le specificità
del contesto elvetico.
Sono esplorati dapprima i fattori che concorrono alla rappresentazione sociale della
realtà, in seguito i luoghi simbolici in cui questa viene condivisa e presentata in termini
di problema di rilevanza pubblica, e, infine, le tipologie ideali a cui è possibile
ricondurre gli attori che compiono questa operazione.
Il modello si articola su tre dimensioni strettamente interconnesse: la rappresentazione
sociale, l‟immagine della realtà scaturita da una conoscenza socialmente elaborata e
condivisa, attraverso il senso comune, dai membri di una collettività; lo spazio pubblico
mediatizzato, il luogo simbolico nel quale si confrontano e si elaborano opinioni su temi
che sono stati resi di interesse pubblico; la problematizzazione pubblica, l‟operazione
compiuta dagli attori che definiscono un problema di rilevanza collettiva e da quelli, non
necessariamente gli stessi, che lo rendono pubblico.
Al fine di comprendere le sotto-dimensioni che compongono tanto il concetto di
rappresentazione sociale quanto quello di spazio pubblico mediatizzato occorre ricordare
l‟insegnamento di Fernand Braudel (1949) e riflettere sulla coesistenza di diversi tempi
storici oltre a quello rapido e superficiale caratteristico della storia fattuale. Vedremo di
seguito come le due nozioni sono costruite su elementi che derivano, anche e soprattutto,
da una temporalità quasi immobile, basata su mutazioni di carattere antropologico, e di
una più ritmata, ma comunque lenta, che scandisce i cambiamenti sociali.
42
Partendo da questa premessa, la rappresentazione sociale è considerata attraverso
l‟influenza che su di essa hanno i codici civilizzazionali (Eisenstadt, 2000, 1998), che
costituiscono il collante delle identità collettive (Eisenstadt/Gisen 1995).
Su un'altra scala temporale, quella che concerne i mutamenti sociali, la rappresentazione
sociale è studiata attraverso le influenze di modelli culturali (Touraine, 1965, 1973) e di
logiche ideologiche (Althusser, 1965, 1970) che si impongono nella società attraverso il
processo di egemonia (Gramsci, 1948, Laclau/Mouffe, 1985).
Analogamente il concetto di spazio pubblico è considerato dapprima riflettendo sul suo
ruolo nella condizione umana (Arendt, 1958), in seguito analizzando come, con
l‟avvento della modernità, si sia affermata una sfera pubblica borghese (Habermas,
1962, 1990) e come questa sia stata all‟origine dello spazio pubblico mediatizzato
contemporaneo (Wolton, 1991; Wolf, 1996).
Dopo aver trattato questi aspetti, viene analizzato il ruolo degli imprenditori morali
(Becker, 1963) - portatori di tratti civilizzazioni, di modelli culturali e di posizioni
ideologiche –
che definiscono un problema della società e, attraverso coloro che
fungono da chierici mediatori (Gellner, 1983), lo immettono dello spazio pubblico
mediatizzato, proponendolo come un problema per la società (Céfai, 1996).
1.1 Rappresentazioni sociali.
Il concetto di rappresentazione è di natura polisemica. In sociologia (ed in psicologia
sociale) esso designa l‟immagine collettiva della realtà come frutto della relazione
riflessiva tra la collettività ed i suoi membri. È una nozione centrale dell‟
etnometodologia (Garfinkel, 1963) che la considera una forma di conoscenza, il pensiero
di senso comune, indispensabile all‟uomo per orientarsi nella società in cui vive.
43
Ai fini della nostra ricerca è, però, più utile rifarsi alla definizione proposta dallo
psicologo sociale Serge Moscovici (1963, 1973), secondo cui la rappresentazione è
l‟elaborazione collettiva:
“… di un oggetto sociale da parte di una comunità al fine di darsi un comportamento e
di comunicare”1 che avviene attraverso “un sistema di valori, idee e pratiche per una
duplice funzione; primo, per stabilire un ordine che permetta agli individui di orientarsi
nel proprio mondo materiale e sociale e di gestirlo; secondariamente per permettere la
comunicazione tra i membri di una comunità fornendo loro un codice per lo scambio
sociale ed un codice per nominare e classificare senza ambiguità i vari aspetti del loro
mondo nonché la loro storia individuale e di gruppo.2 [t.d.a]
L‟aspetto che consideriamo in questo paragrafo è il secondo, ed in particolare quello
relativo al codice per nominare e classificare i vari aspetti del mondo. Ci soffermeremo
dapprima sui codici relativi ai tratti civilizzazionali per poi occuparci di quelli generatisi
tramite le ideologie e i modelli culturali propri all‟era moderna.
1.1.1 Identità collettive e codici civilizzazionali.
La civilizzazione è, secondo Shmuel N.Eisenstadt (2000, 1998), l‟effetto di codici che
stabiliscono delle distinzioni che permettono, attraverso la reinterpretazione delle visioni
ontologiche fondamentali, l‟elaborazione e la comprensione delle strutture e delle regole
dei principali contesti istituzionali di una società. In una pubblicazione con Bernhard
Giesen (1995),
determinati codici civilizzazionali sono messi in relazione con il
1
…of a social object by the community for the purpose of behaving and communicating (Moscovici,
1963, p.231)
2
…system of values, ideas and practices with a twofold function; first, to establish an order which
will enable individuals to orientate themselves in their material and social world and to master it; and
secondly to enable communication to take place among the members of a community by providing
them with a code for social exchange and a code for naming and classifying unambiguously the
various aspects of their world and their individual and group history” (Moscovici, 1973 p.xiii)
44
concetto di identità collettiva, inteso a designare tutto ciò che permette ad una
popolazione di definire sé stessa in quanto collettività auto-organizzata e di distinguere i
suoi membri dal resto dell‟umanità.
A partire da queste considerazioni, i due autori propongono, guidati dal concetto
weberiano di tipo ideale (Weber, 1922), delle tipologie di codici simbolici inerenti ad
altrettante forme di identità collettive.
L‟approccio civilizzazionale all‟identità collettiva.
Lo studio della costituzione delle identità collettive è stato raramente un punto centrale
nelle analisi proposte dai principali paradigmi sociologici contemporanei. Essi hanno
prevalentemente focalizzato la loro attenzione su fenomeni caratteristici dell‟età
comunemente definita moderna. L‟identità collettiva è sovente stata ritenuta come un
semplice effetto collaterale delle strutture sociali di base, o un richiamo ad uno stile di
vita tradizionale destinato a dissolversi con il progresso.
Eisenstadt e Giesen (1995) contestano questa visione che definisce la modernità - il
periodo storico, relativamente recente, che ha visto l‟affermarsi degli Stati nazione,
della razionalizzazione e dell‟economia industriale – come la principale chiave di volta
delle società contemporanee.
I due autori attribuiscono grande importanza ad un fenomeno molto anteriore: lo
sviluppo di civiltà assiali - Grecia antica, giudaismo e cristianesimo, tra le altre - che
hanno costituito e recepito un chiasmo tra l‟universo trascendente e quello mondano.
Al fine di rendere conto dell‟influenza che l‟emergere di queste forme civilizzazionali ha
avuto sulle società contemporanee, essi tornano alle riflessioni durkheimiane e
weberiane sulla religione, rilevando come entrambe costituiscono un orientamento
paradigmatico per una teoria dell‟identità collettiva e che:
“… sebbene relazionino la cultura simbolica alla struttura sociale, né Durkheim, ne
Weber spiegano la religione come il risultato pianificato e intenzionale di un‟azione
45
razionale.”3 Le identità collettive, così come la religione, si “… riferiscono a costrutti
simbolici … [e possono] compiere la [loro] funzione solo se il processo di costruzione
sociale resta latente.”4 [t.d.a]
L‟identità collettiva risulta dunque il quadro entro il quale i costi e i benefici delle azioni
razionali sono misurati. Essa non configura direttamente i comportamenti degli
individui, ne delinea piuttosto la cornice, è l‟insieme delle regole istituzionali
fondamentali entro cui le considerazioni razionali, utilitariste o assiologiche, possono
manifestarsi.
I fondamenti teorici di questo approccio sono forniti attraverso un‟analisi comparativa
delle diverse istituzioni sociali. Uno studio che si pone come obbiettivo quello di
spostare l‟attenzione dalle differenze strutturali presenti nelle singole società al loro
contesto interpretativo e regolativo. Questo perché, secondo Eisenstadt (2000):
“… contrariamente alle presupposizioni delle analisi evoluzioniste e strutturalfunzionaliste classiche, le diverse dimensioni delle differenziazioni strutturali non
sempre si accompagnano nel medesimo modo. Ciascuno di questi componenti della vita
sociale sviluppa alcune tendenze autonome che possono accompagnarsi in diversi modi
nelle diverse società.”5 [t.d.a]
Il fulcro di questa analisi risiede nel concetto di civilizzazione, una combinazione delle
visioni ontologiche e cosmologiche prevalenti in una società, con le definizioni,
costruzioni e regolazioni delle maggiori arene della vita sociale. L‟interrelazione tra la
formulazione, la promulgazione, l‟articolazione e la continua reinterpretazione della
“… although relating symbolic culture to social structure, neither Durkheim nor Weber explained
religion as the planned and intentional outcome of rational action” (Eisenstadt/Gisen, 1995, p.73)
4
“… refer to symbolic constructs … can also fulfill its function only if the social process
constructing it are kept latent.” (Eisenstadt/Gisen, 1995, p.73)
5
“… contrary to the presupposition of classical evolutionary and structural-functional analyses,
different dimensions of structural differentiation do not always go together in the same ways. Each of
these components of social life develops some autonomous tendencies , and they may come together in
different ways in different societies” (Eisenstadt, 2000, p.2)
3
46
visione mondana e trans-mondana della realtà con la definizione, la strutturazione e la
regolazione dei principali settori istituzionali.
L‟approccio civilizzazionale implica, e questo assume una particolare rilevanza nella
presente ricerca, un superamento delle relazioni di potere unicamente in termini di classi
sociali o, quantomeno, in funzione dei rapporti di forza economici.
È più appropriato, in questo caso, riflettere sui processi di controllo esercitati da gruppi
di élite operanti nelle diverse arene istituzionali; in quelle politiche ed economiche, ma
anche in quelle che garantiscono la solidarietà sociale e la costruzione di un immaginario
collettivo. Elite che assicurano l‟impatto della visione ontologica nei diversi segmenti
della società.
Tipologie ideali di identità collettive.
Come sottolineato in precedenza, i tratti civilizzazionali specifici alle identità collettive,
caratterizzano, da un lato, lo stretto rapporto che intercorre tra visione ontologica ed
organizzazione sociale e, dall‟altro, la percezione di un‟ appartenenza esclusiva ad una
collettività all‟interno della quale i membri condividono:
“… speciali processi di induzione, che spaziano da vari riti di iniziazione a vari rituali
collettivi, attraverso i quali l‟attributo di similarità tra i membri, contrapposto
all‟alterità, alla diversità, alla distinzione degli altri, viene simbolicamente costruito e
definito.”6 [t.d.a]
Al fine di stabilire la solidarietà e la fiducia tra i propri membri, la collettività regola,
attraverso l‟attivazione di specifici codici di distinzione connessi con la visione
ontologica, l‟eventuale acquisizione di nuovi componenti e assicura che, una volta
ammessi, questi siano percepiti e si percepiscano come uguali agli altri sotto determinati
“… special processes of induction, ranging from various rites of initiation to various collective
rituals, in which the attribute of similarity among its members, as against the strangeness, the
differences, the distinctions of the other, is symbolically constructed and defined.” (Eisenstadt/Giesen,
1995, p.74)
6
47
aspetti. La collettività stabilisce una sorta di frontiera che divide ciò che è dentro da ciò
che è fuori, ciò che è familiare da ciò che è estraneo, ciò che è civile da ciò che è
barbaro.
Le caratteristiche distintive dei codici propri alla formulazione di un‟identità collettiva
si gerarchizzano e si combinano diversamente a seconda delle civiltà.
Eisenstadt e Giesen (1995: 74-77), a partire dai codici maggiori di civilizzazione,
riconoscono dei codici di distinzione connessi a diverse forme di identità collettiva e
costituiti sulla base della seguente tricotomia: la dimensione spaziale, ancorata sul
concetto di qui, che distingue ciò che è dentro da ciò che è fuori; la dimensione
temporale, centrata sull‟ adesso, che divide il presente dal passato e dal futuro; la
dimensione riflessiva, focalizzata sull‟io, che distingue ciò che è centro da ciò che è
periferia, ciò che è sacro da ciò che è profano.
Così costruiti, i codici di distinzione, di differenziazione tra noi e loro, danno luogo a
delle tipologie ideali che caratterizzano le identità collettive vigenti nelle civiltà: il
codice primordiale, focalizzato su componenti come il genere e la generazione, il
territorio, la razza o la lingua; il codice della civiltà, costruito sulla familiarità con
determinate regole di comportamento, tradizioni e routine sociali , che possono essere
esplicite o implicite, ed il cui rispetto demarca l‟appartenenza o meno alla collettività; il
codice del sacro, stabilisce il confine tra gli “altri” e “noi” in relazione con il sacro ed il
sublime. Senza distinzione se questo viene definito Dio o Ragione, Progresso o
Razionalità.
La tipologia ideale di identità collettiva fondata sul codice primordiale si caratterizza per
un‟appartenenza percepita dai membri come fondata su un insieme di demarcazioni
ritenute naturali e non socialmente costruite. I confini che separano coloro che fanno
parte della collettività da chi ne è escluso sono estremamente difficili da valicare, proprio
in ragione del loro carattere percepito come “naturale”. Essi sono superati unicamente
attraverso complessi riti di passaggio e di purificazione che hanno lo scopo di
48
riaffermare l‟omogeneità della comunità. La naturalizzazione dei codici tra interno ed
esterno garantisce, da un lato, la latenza della loro costruzione sociale e, dall‟altro,
condiziona la percezione dell‟esterno; gli “altri” infatti:
“… non possono essere convertiti e adottati … non possono essere educati … ogni
sforzo di istruirli sarebbe vano, perché essi semplicemente mancano delle essenziali
precondizioni per la comprensione … Gli estranei sono spesso considerati demoniaci,
dotati di una identità forte ed ostile che minaccia l‟esistenza delle comunità
primordiali.”7 [t.d.a]
In virtù della convinzione dell‟esistenza di caratteristiche naturali che accomunano i
propri membri, le società contraddistinte dal codice primordiale hanno una spiccata
tendenza ad un‟egualitaria distribuzione dei diritti ed a garantire un adeguato accesso
pubblico a beni e servizi, ciò che permane una delle linee guida dei moderni Statinazione.
L‟identità collettiva idealmente fondata sul codice civico è, contrariamente alla
precedente, caratterizzata dalla percezione di una differenza tra “noi” e “loro” non
segnata da un referente esterno come la natura, quanto dalla capacità di assimilazione
delle routine, delle tradizioni, delle istituzioni e dei principi costitutivi propri alla società
di riferimento. Il membro della collettività è colui che, attraverso un processo di
socializzazione, è familiare a questo insieme di regole, anche a quelle implicite che egli
nemmeno sa di conoscere e rispettare.
Pur senza avere la rigidezza delle demarcazioni proprie al codice primordiale, le barriere
possono venire superate dall‟outsider solo con pazienza e cautela. Il carattere implicito
di molte delle regole e routine a cui attenersi rende, infatti, insufficiente un‟istruzione
unicamente formale. Il codice civico, in modo apparentemente paradossale, costruisce
“… cannot be converted and adopted … cannot be educated … every effort to instruct them will
fail, because they simply lack the essential preconditions of understanding … Strangers are frequently
considered as demoniac, as endowed whit a strong and hostile identity which threatens the existence
of primordial communities” (Eisenstadt/Giesen, 1995, pp 78-79)
7
49
molti tratti della frontiera dell‟identità collettiva non menzionandoli e lasciandoli latenti.
L‟outgroup non è, infatti, considerato naturalmente diverso:
“… è semplicemente differente e straordinario senza attribuirgli particolari – positive o
negative – qualità carismatiche. Dal momento che l‟estraneo non è familiarizzato e
differente, le sue azioni sono difficili da comprendere ed il suo comportamento difficile
da spiegare; la logica stessa dell‟interazione richiede una certa cautela e distanza.” 8
[t.d.a]
La gradualità nel processo di superamento delle barriere del codice civico porta ad una
marcata distinzione gerarchica tra i membri familiarizzati a tutte le regole ed i nuovi
venuti. Questa gerarchia è una delle concause, assieme ad una più marcata separazione
della sfera politica da quella economica, della maggiore ineguaglianza nell‟attribuzione
dei diritti e nell‟accesso ai beni ed ai servizi.
La tipologia di identità collettiva fondata sul codice sacro – o codice culturale, se si
considera l‟accezione più stretta, legata alle dinamiche dell‟universalismo, del termine –
si caratterizza per una distinzione tra “noi” e “loro” sulla base di una particolare
relazione tra il soggetto collettivo ed il sacro. La barriera tra interno ed esterno può
essere superata attraverso la comunicazione, l‟educazione e la conversione.
L‟orientamento universalistico di questo senso di identità si traduce in un desiderio di
inclusione, in un‟attitudine missionaria verso gli altri.
A fronte di questa sorta di “invito”, anche pressante, rivolto all‟outsider perché questo
superi le barriere, una eventuale resistenza da parte dell‟altro viene fortemente
stigmatizzata, infatti:
“… is simply different and extraordinary without attributing particular – positive or negative –
charismatic qualities to him. Because the stranger is unfamiliar and different, his actions are difficult
to understand and his behavior is difficult to account for; the logic of the interaction itself requires a
certain cautiousness and distance.”(Eisenstadt/Giesen, 1995, p.81)
8
50
“… coloro che resistono alla missione non sono solo diversi ed inferiori, sbagliano ed
errano; devono essere convertiti anche contro la loro volontà, perché essi non sono
consapevoli della loro vera identità. Gli outsider sono considerati vuoti oggetti naturali
che necessitano di una formazione e di un‟identità culturale.”9 [t.d.a]
L‟apertura dei confini nei confronti di chi accetta di convertirsi è, abbiamo visto, ben
maggiore rispetto alle altre tipologie. Permangono tuttavia determinati meccanismi
sociali, riti e cerimonie di iniziazione, che, compensando lo zelo missionario, rendono
graduale e stratificato l‟accesso alla collettività. La resistenza delle barriere tra il centro,
costituito dai “virtuosi”, e la periferia, gli “iniziati”, si ripercuote in senso gerarchico
nell‟allocazione dei diritti nell‟accesso ai beni e ai servizi.
Le tre tipologie presentate sono ideal-tipiche, delle costruzioni ipotetiche ottenute
mediante la connessione di una quantità di particolari in un quadro unitario, esse
costituiscono uno strumento per intendere l‟agire reale proprio in base alla distanza del
suo corso dal corso tipico ideale (Weber, 1922).
In altri termini esse, in virtù della loro “purezza”, non corrispondono appieno alle forme
di identità collettiva realmente esistenti, forniscono però gli strumenti per comprendere
queste ultime, molto più variegate e complesse, proprio sulla base delle loro affinità e
divergenze con i tipi ideali.
Attraverso la presentazione della teoria civilizzazionale e delle relative tipologie ideali di
identità collettiva è possibile rendere conto dell‟esistenza di dimensioni che compongono
le rappresentazioni sociali che sono molto anteriori alla modernità, ma che non per
questo sono meno fondamentali.
Ad esse si accompagnano componenti altrettanto importanti che sono proprie all‟età
moderna e che possono essere esplicitate attraverso lo studio sulla formazione dei
“… those who resist the mission are not only different and inferior, but mistaken and erring; they
have to be converted even against their own will, because they are not aware of their true identity.
Here, outsiders are considered as empty natural objects requiring cultural formation and identity.”
(Eisenstadt/Giesen, 1995, p.83)
9
51
modelli culturali. In contrapposizione al modello civilizzazionale che, abbiamo visto,
presenta una visione meno dinamica della società, la concettualizzazione dei modelli
culturali permette di comprendere, attraverso l‟analisi delle caratteristiche dei movimenti
storici e delle ideologie che ne sono alla base, le dinamiche evolutive dei rapporti sociali
fondamentali.
Queste due componenti consentono di avviare una riflessione sulle arene in cui le
rappresentazioni sociali sono problematizzate pubblicamente e discusse.
1.1.2 Modelli culturali e movimenti storici.
In questo paragrafo, essenzialmente grazie al lavoro teorico di Alain Touraine (1965,
1973), definiremo le caratteristiche dei modelli culturali e contestualizzeremo la loro
posizione all‟interno del sistema d‟azione storico e della teoria generale della produzione
della società. Successivamente vedremo come, attraverso le azioni di specifici gruppi
sociali, questi si confrontano, si modificano e si evolvono.
Il sistema d‟azione storico nella teoria generale della produzione della società.
La società è per Touraine (1973) un sistema di sistemi d‟azione complessi, strutturati e
multidimensionali. Le diverse dimensioni non sono costruite sulla base delle categorie
classiche – economiche, politiche o ideologiche – dei fatti sociali, esse sono, al contrario,
correlate alle diverse modalità di azione sociale. Questo approccio permette di escludere
un garante non sociale come fondamento costitutivo della società e, di conseguenza e
diversamente in questo dall‟ottica marxista, i fenomeni economici non determinano
quelli sociali, al contrario essi si inseriscono nel sistema summenzionato.
La “produzione della società” , l‟autopoiesi del sistema sociale, avviene attraverso
l‟interconnessione di tre livelli d‟azione: il sistema d‟azione storico, che definisce la
capacità da parte della società di proporre l‟orientamento sociale e culturale della sua
pratica e che consiste nell‟azione di trasformazione della società su sé stessa; il sistema
d‟azione istituzionale e politico, che produce le decisioni che adattano le regole di una
52
società sulla base dei cambiamenti in essa in atto e che possono essere di tipo strutturale
o ambientale; il sistema d‟azione organizzativo, che assicura, in vista di determinati
obbiettivi e grazie ad un apparato normativo, gli scambi consensuali che mantengono
l‟equilibrio di una società, tanto al suo interno quanto con l‟esterno.
Il sistema d‟azione storico costituisce una dimensione fondamentale della società,
attraverso di esso si costituisce l‟azione sociale come produzione di opere e attribuzione
di senso:
“… non si può evidentemente spiegare il passaggio dalla natura alla cultura senza
ammettere come dato primo della storia umana l‟esistenza di un principio culturale. Noi
lo chiamiamo lavoro10 … Il lavoro si definisce innanzitutto come una relazione
dell‟uomo alle sue opere e come un principio di orientamento delle condotte, del
semplice fatto che il lavoratore valorizza la creazione di opere e rivendica allo stesso
tempo che queste siano considerate come prodotti della sua attività e non come delle
cose.”11 [t.d.a]
Il sistema d‟azione storico permette alla produzione sociale di non essere solo un atto di
trasformazione della natura, ma anche, e soprattutto, creazione simbolica. Il suo
funzionamento dipende, a sua volta, dall‟interazione di tre componenti: la conoscenza,
l‟accumulazione ed il modello culturale.
Il modello culturale all‟interno del sistema d‟azione storico.
Abbiamo visto che il sistema d‟azione storico consente ad una società di agire su se
stessa, di organizzare il proprio rapporto
rispetto all‟ambiente circostante fornendo le
definizioni culturali della natura. Questo è reso possibile dall‟interazione dei tre elementi
10
“… on ne peut évidemment expliquer le passage de la nature à la culture qu‟en admettant comme
donné première de l‟histoire humaine l‟existence d‟un principe culturel. Nous le nommons travail “
Touraine, 1965, p.132).
11
“Le travail se définit d‟abord comme une relation de l‟homme à ses œuvres set comme un principe
d‟orientation des conduites, du simple fait que le travailleur valorise la création d‟œuvres et
revendique en même temps que celles-ci soient considérées comme des produits de son activité et non
comme des choses“ (Touraine, 1965, p.38)
53
che lo compongono: la conoscenza che è la capacità simbolica di organizzare il rapporto
all‟ambiente circostante attraverso la costituzione di “stati di natura”, di definizioni
culturali della natura; l‟accumulazione che è la parte di prodotto sottratto al consumo ed
accumulato al fine di essere investito nella trasformazione; il modello culturale che è la
capacità della società , attraverso la conoscenza e l‟accumulazione, di riflettere su di sé
che permette l‟appropriazione della propria creatività12 in modo da poter agire tanto
sulla definizione del campo dei rapporti sociali quanto sugli altri due elementi del
sistema d‟azione storico.
Il modello culturale è l‟elemento che configura la cornice delle azioni, non definisce
tanto degli interessi o delle opposizioni, quanto il loro senso all‟interno del sistema
sociale. Differentemente da ciò che per Eisenstadt è un codice civilizzazionale, esso non
costituisce la proprietà intrinseca della cornice, piuttosto le fornisce un orientamento
attraverso una mobilitazione delle risorse sociali.
La stretta interazione che il modello culturale intrattiene con gli altri due elementi del
sistema d‟azione storico è così sintetizzata da Touraine:
“ … la società umana non può essere ridotta ad un organismo immutabile … Essa
possiede una capacità simbolica che le permette di costruire un sistema di conoscenza e
degli strumenti tecnici attraverso i quali essa interviene sul proprio funzionamento [La
conoscenza, n.d.a] … Questa capacità di agire su sé stessa, questa non coincidenza
della società con le sue regole di funzionamento deve essere molto più che non la
creazione dell‟ ordine delle parole a fianco dell‟ ordine delle cose. Occorre che il
doppio della società abbia dei mezzi d‟azione, d‟intervento sul funzionamento materiale
della società, dunque dei mezzi d‟investimento [L‟accumulazione, n.d.a]. Infine questa
distanza della società rispetto a sé stessa è anche appropriazione da parte della
12
“… saisie de sa propre créativité … “ (Touraine, 1973, p.29)
54
coscienza sociale. Appropriazione … creatrice di un‟immagine della creatività che io
chiamo un modello culturale”.13 [t.d.a]
Prima di analizzare i meccanismi di mediazione attraverso i quali questo doppio
interviene sul funzionamento della società, occorre occuparsi dei movimenti storici che
impongono l‟atto di riflessione della società su sé stessa.
Movimenti storici.
Il modello culturale, a differenza dei codici civilizzazionali, è una configurazione
dinamica legata al mutare dei rapporti di potere tra i vari gruppi sociali, esso orienta le
pratiche sociali attraverso le risorse reperite con il processo di accumulazione.
Da un lato esso, ed il sistema d‟azione storico nel suo insieme, guida gli attori dirigenti
nell‟organizzazione del sistema istituzionale e politico e di quello organizzativo;
dall‟altro, questa organizzazione sociale provoca l‟emergere di nuovi modelli culturali
concepiti dai gruppi non-dirigenti. Questi ultimi, al fine di modificare il sistema d‟azione
storico, devono proporre:
“… un‟azione collettiva durevole, che non può essere ridotta a delle reazioni ad una
crisi o a delle tensioni sociali particolari, ed anche una produzione ideologica o utopica
che propone, anche in modo frammentario, una visione della società.”14 [t.d.a]
Un‟azione che attacca incessantemente la riproduzione dell‟ordine stabilito facendo
riapparire i rapporti sociali laddove si erano istallati i valori, i principi e le tecnologie.
13
“… la société humaine ne peut pas être réduite à un organisme se reproduisant immuable …Elle
possède une capacité symbolique et des instruments techniques par lesquels elle intervient dans son
propre fonctionnement… Cette capacité d‟agir sur soi, cette non-coïncidence de la société avec ses
règles de fonctionnement, doit être beaucoup plus que la création de l‟ordre des mots à coté de
l‟ordre des choses. Il faut que le double de la société ait des moyens d‟action, d‟intervention dans le
fonctionnement matériel de la société, donc des moyens d‟investissement. Enfin cette distance de la
société à elle-même est aussi saisie par la conscience sociale. Saisie… créatrice d‟une image de la
créativité que je nomme un modèle culturel.“ (Touraine, 1973, pp. 25-26).
14
“… une action collective durable, qui ne peut pas être réduite à des réactions à une crise ou à des
tensions sociales particulières, et aussi par une production idéologique ou utopique qui propose,
même de manière fragmentaire, une vision de la société.“ (Touraine, 1973, p.407)
55
I movimenti storici possono assumere due forme distinte a seconda del grado di apertura
o di chiusura della società che li ospita, essi possono prendere la forma di movimenti
sociali:
“ … [che] si sistemano all‟ interno di un campo di storicità e mettono faccia a faccia
soprattutto una classe dirigente ed una classe contestatrice.”15 [t.d.a]
Oppure di azioni critiche:
“… [che] attaccano una dominazione, una cristallizzazione della dominazione di classe
in ordine sociale ed in egemonia politica”16 [t.d.a]
Sebbene nella realtà sociale i movimenti storici non si presentino mai in forma pura, si
può constatare che i movimenti sociali sono presenti nelle società aperte e si
caratterizzano come una spinta alla modernizzazione dell‟organizzazione sociale e ad un
cambiamento basato sulle riforme e le innovazioni. Le azioni critiche si manifestano
piuttosto in sistemi sociali chiusi nei quali il sistema d‟azione storico ha essenzialmente
la funzione di garantire privilegi, in questo caso i mutamenti avvengono, se avvengono,
in forma di rottura.
L‟ ulteriore ed ultimo componente delle rappresentazioni sociali che analizzeremo è
l‟ideologia, che per Touraine è:
“ … ogni definizione di una relazione sociale dal punto di vista di uno degli attori …
l‟appropriazione da parte di un attore di classe del rapporto di classi, ma senza
15
“… se placent à l‟intérieur d‟un champ d‟historicité et mettent face à face surtout une classe
dirigeante et une classe contestataire“ (Touraine, 1973, p.452)
16
“… attaquent une domination, une cristallisation de la domination de classe en ordre social et en
hégémonie politique. “ (Touraine, 1973, p.452)
56
riferimento all‟implicazione di questo rapporto che è il sistema d‟azione storico.”17
[t.d.a]
Si tratta di un modo di rappresentare i rapporti sociali che concorre, attraverso il
rafforzamento della coesione di gruppo, all‟efficacia di un‟azione collettiva. In altri
termini, l‟ideologia fornisce una visione della società che permette: agli attori che
rappresentano le élite di legittimare il sistema d‟azione storico corrente, rafforzando lo
status quo; a coloro che, invece,
animano i movimenti storici consente di trovare
maggiore accordo nella loro azione di modifica del sistema storico e nella proposizione
di nuovi modelli culturali. Attraverso l‟ideologia, infatti:
“… l‟attore di classe, identificando gli orientamenti della società ai propri valori ed ai
propri interessi, combatte l‟avversario, che diviene il nemico dei valori, il principio del
male.”18 [t.d.a]
1.1.3 Ideologie e progetti egemonici.
In questo paragrafo affronteremo il concetto di ideologia nell‟accezione che Louis
Althusser (1965, 1970) attribuisce al termine, ovvero il rapporto che gli uomini vivono
inconsciamente con il proprio mondo.
In seguito vedremo attraverso quali processi questa visione inconscia è generata
nell‟uomo, lo faremo esplorando il lavoro di Antonio Gramsci (1948) sul concetto di
egemonia. Ernesto Laclau e Chantal Mouffe (1985) ci permetteranno infine, con una
revisione del pensiero gramsciano, un superamento della visione marxista classica
attraverso la focalizzazione sulle pratiche egemoniche ed i movimenti antagonisti
(Sorice, 2005: 134-141).
17
“… toute définition d‟une relation sociale du point de vue d‟un des acteurs … saisie par un acteur
de classe du rapport de classes, mais sans référence à l‟enjeu de ce rapport qu‟est le système d‟action
historique“ (Touraine, 1973, p.531)
18
“… l‟acteur de classe, identifiant les orientations de la société à ses valeurs et à ses intérêts,
combat l‟adversaire, qui dévient l‟ennemi des valeurs, le principe du mal“ (Touraine, 1973, p.173)
57
L‟ideologia come visione immaginata del mondo.
La teoria della società di Althusser, pur non discostandosi radicalmente da quella
marxista – che vede nell‟ideologia una costruzione intellettuale volta a giustificare un
ordine sociale esistente, facendo apparire gli interessi della classe dominante come
coincidenti con quelli di tutti – presenta rispetto ad essa alcune significative differenze.
La dominazione ideologica avviene, secondo il filosofo francese, attraverso un
orientamento della realtà apparente costituita dalla struttura sociale che costringe il
soggetto a “scegliere” di sottomettersi alla struttura sociale stessa, lasciandogli la
convinzione di agire secondo il suo libero arbitrio.
La riproduzione della società basata sulla dominazione ideologica è resa possibile da
agenzie di socializzazione – come la scuola, le chiese, i partiti e le organizzazioni
economiche – che costituiscono un Apparato Ideologico di Stato (AIS) capace di
strutturare l‟individuo all‟interno della società.
L‟aspetto particolarmente interessante della proposta di Althusser ai fini di un‟analisi
delle rappresentazioni sociali è costituito dalla non percettibilità di questa dominazione
ideologica che avviene attraverso il processo di socializzazione, essa riguarda, infatti:
“… il rapporto vissuto dagli uomini col loro mondo. Questo rapporto non si rivela
cosciente se non a condizione di essere inconscio … Nell‟ideologia, infatti, gli uomini
esprimono non i loro rapporti con le loro condizioni di esistenza, la qual cosa suppone
al tempo stesso, un rapporto reale e un rapporto vissuto, immaginario. L‟ideologia è
allora l‟espressione del rapporto degli uomini col loro mondo, ossia l‟unità
(surdeterminata) del loro rapporto reale e del loro rapporto immaginario con le loro
reali condizioni di esistenza.”19
Sostanzialmente Althusser rifiuta tanto l‟idea che la dominazione ideologica sia il frutto
di un‟operazione cinica e razionale delle classi dirigenti, quanto quella che essa derivi
dall‟alienazione materiale delle condizioni d‟esistenza umane. Questo perché l‟ideologia
19
Althusser, 1965, trad.it 1967, p.209
58
non è una rappresentazione, in forma immaginaria, delle condizioni d‟esistenza reali,
essa è il rapporto immaginario che gli uomini intrattengono con i rapporti reali a cui
soggiacciono.
L‟interrogazione fondamentale non riguarda, dunque, la “causa” delle deformazioni
nella percezione delle relazioni reali. La domanda che egli si pone è:
“… perché la rappresentazione data agli individui del loro rapporto (individuale) ai
rapporti sociali che governano le loro condizioni di esistenza e la loro vita collettiva ed
individuale, è necessariamente immaginaria?20 [t.d.a]
La risposta risiede nel superamento del determinismo causale unidirezionale tra
infrastruttura e sovrastruttura in favore di una loro maggiore reciproca interdipendenza.
Restando all‟interno del paradigma marxista, Althusser, riconosce come la
contraddizione determinante all‟interno della società sia quella tra forze di produzione e
rapporti di produzione, nondimeno essa coesiste con altre contraddizioni, sia a livello
infrastrutturale che sovrastrutturale.
La contraddizione economica non è solo determinante ma anche determinata dalle
diverse istituzioni presenti nella realtà sociale. Le istituzioni in questione sono, per il
filosofo francese, essenzialmente lo Stato, la religione e le organizzazioni politiche. Esse
generano la surdeterminazione – un concetto mutuato alla psicanalisi che indica una
manifestazione dell‟inconscio riconducibile a contenuti latenti diversi tra loro - del
rapporto immaginario che l‟individuo intrattiene con le proprie condizioni d‟esistenza
reali.
Abbiamo visto come le ideologie, secondo Althusser, si impongono agli attori sociali
senza che questi se ne rendano conto e lo fanno attraverso le strutture sociali, in
particolare attraverso l‟Apparato Ideologico di Stato.
20
“… pourquoi la représentation donne aux individus de leur rapport (individuel) aux rapports
sociaux qui gouvernent leurs conditions d‟existence et leur vie collective et individuelle, est
nécessairement imaginaire.“ (Althusser, 1970, p.3)
59
Nei prossimi paragrafi, pur salvaguardando le implicazioni fondamentali della
definizione di ideologia come rapporto inconscio ed immaginario dell‟uomo alla realtà,
non seguiremo il filosofo francese sul fatto che sia lo Stato ad imporla attraverso le sue
agenzie di socializzazione.
Vedremo, attraverso il concetto gramsciano di egemonia culturale, come sia l‟attività dei
soggetti a elaborare e propagare un‟ideologia dominante. Definendo in seguito le
pratiche egemoniche e i movimenti antagonisti, mostreremo come in una società possano
coesistere diverse forme ideologiche.
Il processo di egemonia culturale.
Per Gramsci l‟egemonia è, in questo senso non diversamente da Althusser, l‟insieme di
idee dominanti che permeano una società in modo tale da far apparire naturale l‟apparato
di potere vigente. Anche in questo caso la dominazione ideologica non viene percepita
come imposta, ma come conseguenza di un consenso legittimo. Questo consenso non è
però generato da agenzie di socializzazione facenti capo ad un Apparato Ideologico di
Stato, esso è prodotto dall‟attività di uno specifico gruppo di attori sociali, gli
intellettuali, che hanno la funzione di :
“ … commessi del gruppo dominante per l‟esercizio delle funzioni subalterne
dell‟egemonia sociale e del governo politico, cioè:
1. Del consenso spontaneo dato dalle grandi masse della popolazione all‟indirizzo
impresso alla vita sociale dal gruppo fondamentale dominante, consenso che
nasce storicamente dal prestigio (e quindi dalla fiducia) derivante al gruppo
dominante dalla sua posizione e dalla sua funzione nel mondo della produzione.
2. Dell‟apparato di coercizione statale che assicura legalmente la disciplina di
quei gruppi che non consentono né attivamente né passivamente, ma è costituito
per tutta la società in previsione dei momenti di crisi nel comando e nella
direzione in cui il consenso spontaneo viene meno.”21
21
Gramsci [1948], 1991, p.9
60
Gramsci suddivide gli intellettuali – o, meglio, coloro che rivestono la funzione di
formare l‟opinione pubblica all‟interno di una società – in due categorie:
. Gli intellettuali tradizionali, che sono autonomi ed indipendenti dal gruppo sociale
dominante e che si affermano come tali poggiandosi su categorie sociali preesistenti.
Essi si pongono come i rappresentanti di una continuità storica non interrotta dai
mutamenti delle forme sociali e politiche. Un esempio di tale categoria è costituito dagli
ecclesiastici, per secoli monopolizzatori della cultura.
. Gli intellettuali organici, collegati, appunto organicamente, al gruppo dominante che
offre loro funzioni organizzative e connettive ricevendo in contropartita consapevolezza
della propria funzione nei diversi campi della vita sociale e giustificazione del proprio
potere.
L‟attività degli intellettuali organici è fondamentale come tessuto connettivo del blocco
storico, l‟insieme di forze politiche e sociali che assicura l‟armonia tra la struttura
economica, i rapporti di produzione e di scambio e lo Stato. Questa coesione è possibile
solo attraverso un consenso diffuso nella società, anche da parte degli strati sociali i cui
interessi sono in contrasto con quelli del ceto dominante.
Un gruppo sociale con aspirazioni dirigenti deve assicurarsi, attraverso i propri
intellettuali organici, la dominazione ideologica capace di cementare un blocco storico,
infatti:
“ … la supremazia di un gruppo sociale si manifesta in due modi, come dominio e come
direzione intellettuale e morale. Un gruppo sociale è dominante dei gruppi avversari che
tende a liquidare o a sottomettere anche con la forza armata, ed è dirigente dei gruppi
affini e alleati. Un gruppo sociale può e anzi deve essere dirigente già prima di
conquistare il potere governativo (è questa una delle condizioni principali per la stessa
61
conquista del potere); dopo, quando esercita il potere ed anche se lo tiene fortemente in
pugno, diventa dominante ma deve continuare ad essere anche dirigente.”22
Il ceto divenuto dominante deve, come abbiamo visto, dirigere gruppi sociali, anche
molto vasti, che non traggono vantaggio dal blocco storico instauratosi, per farlo deve
essere in grado:
“… di imporre ad altri gruppi, attraverso pratiche quotidiane e credenze condivise, i
propri punti di vista fino alla loro interiorizzazione, creando i presupposti per un
complesso sistema di controllo.”23
L‟approccio gramsciano permette di comprendere come un‟ideologia, intesa come
visione immaginaria del mondo, possa diffondersi nella società.
Egli propone - a differenza di Althusser, a cui si deve la definizione organica del
carattere inconscio della dominazione ideologica – un meccanismo di propagazione di
tipo interazionista che ci pare, oltre che più convincente, più applicabile ai fini della
ricerca rispetto a quello holista del filosofo francese.
Entrambi gli autori, e Gramsci particolarmente, sono fortemente legati al pensiero
marxista classico fondato sulla contraddizione determinante tra capitale e lavoro.
Questo paradigma, che prevedeva una progressiva polarizzazione sociale connessa allo
sviluppo del sistema capitalista, male si adatta a descrivere la realtà contemporanea.
Lungi dall‟essere semplicemente strutturate in una dicotomia composta da un ristretto
numero di detentori dei mezzi di produzione e da una massa omogenea di proletari, le
società multietniche e globalizzate dei nostri giorni sono estremamente eterogenee e
complesse.
Pur non essendo affatto scomparsa, la contraddizione economica è stata affiancata da
altri conflitti, altrettanto importanti. Problemi come l‟emarginazione sociale - o, per fare
22
23
Gramsci [1948], 1991, p.70
Gramsci [1948], 1991, p.51
62
riferimento alla presente ricerca, all‟integrazione di nuove componenti etniche – devono
essere affrontati attraverso una revisione profonda dei fondamenti teorici che
costituiscono la base delle riflessioni sinora proposte in questo paragrafo.
Pratiche egemoniche e movimenti antagonisti.
L‟emergere, a partire dagli anni ‟60, di movimenti sociali le cui specificità e
rivendicazioni
nulla avevano a che fare con la struttura di classe e che non erano
riconducibili allo sfruttamento economico, unito alla prova di sé che il comunismo
sovietico aveva dato in Ungheria, in Cecoslovacchia, in Afganistan e altrove, aveva reso,
a partire dal secondo dopoguerra, insostenibile una concettualizzazione teorica della
società fondata sul paradigma marxista classico.
Laclau e Mouffe (1985), in questo contesto, hanno operato una rilettura in chiave
dichiaratamente post-marxista del concetto gramsciano di egemonia, la cui principale
conclusione è che:
“… dietro il concetto di egemonia si cela qualcosa di più che non un tipo di relazione
politica complementare alle categorie di base della teoria marxista.”24 [t.d.a]
Essi ripartono da Gramsci, a cui riconoscono di aver superato la linearità del pensiero
marxista, che concepisce la figura dell‟intellettuale come avanguardia del proletariato
capace di leggere il destino della classe operaia e di indicare la via per una nuova forma
di società. Attraverso il concetto di blocco storico, il pensatore italiano introduce
un‟articolazione, una costruzione politica basata sull‟incontro di elementi dissimili,
necessaria a rendere conto della complessità della realtà sociale. Il nucleo centrale resta
però quello della contraddizione economica tra capitale e lavoro, ed è proprio questo
riduzionismo in termini di classi che deve essere superato, dal momento che nella storia
recente:
24
“… behind the concept of hegemony lies hidden something more than a type of political relation
complementary to the basic categories of Marxist theory.” (Laclau/Mouffe, [1985], 1993, p.3)
63
“ … la forte unità ed omogeneità dei soggetti di classe si è frammentata in un insieme di
posizioni precariamente integrate tra loro che, una volta abbandonata la tesi del
carattere neutrale delle forze produttive, non possono essere riferite ad alcun punto
necessario di futura unificazione.”25 [t.d.a]
In altri termini, il carattere stabile delle identità sociali, su cui si fonda il concetto
gramsciano di egemonia, è venuto meno. Essendo caduta questa condizione storica,
perde fondamento il supposto carattere indissolubile del legame tra l‟egemonia ed i
rapporti di classe.
Una volta liberata dal determinismo economico, la teoria sociale può occuparsi dei
diversi tipi di conflitto esistenti, anche di quelli che nulla hanno a che vedere con i
rapporti di produzione. L‟egemonia, osservata in questa ottica, diviene una forma di
dominazione puramente relazionale.
I conflitti sono da concepire su una scala molto più ampia e non sono tutti risolvibili con
soluzioni razionali. Essi sono connaturati all‟antagonismo, una condizione insieme
negativa e creatrice insita in tutte le società. Un pluralismo fondato sull‟impossibilità di
conciliare tutti i punti di vista, Chantal Mouffe (2000) lo definisce il politico,
distinguendolo dalla politica, che è l‟insieme delle diverse attività volte a organizzare la
coesistenza umana.
Concettualizzare l‟egemonia in questo contesto, implica che:
“… ogni ordine sociale non è che l‟articolazione contingente di relazioni di potere
particolari e che non ha perciò fondamenti razionali ultimi.”26 [t.d.a]
La società non è, allora, che il prodotto di una serie di pratiche messe in opera con lo
scopo di tentare di creare un determinato ordine in un contesto contingente. Queste
pratiche sono, per l‟appunto, le pratiche egemoniche.27
25
“… the very unity and homogeneity of class subjects has split into a set of precariously integrated
positions which, once the thesis of the neutral character of the productive forces in abandoned,
cannot be referred to any necessary point of future unification.” (Laclau/Mouffe, [1985], 1993, p.85)
26
“… chaque ordre social n‟est que l‟articulation contingente de relations de pouvoir particulières et
qu‟il n‟a ainsi pas de fondements rationnelles ultimes. “ (Mouffe, 2008, online)
64
Ogni ordine creato in un contesto contingente è fondato sull‟esclusione di altri ordini
possibili ed è sempre l‟espressione di una particolare configurazione dei rapporti di
potere. Esso non è mai l‟unico possibile, è innanzitutto un ordine politico, generato da
una configurazione egemonica fondata su relazioni di potere.
L‟ordine egemonico vigente può essere rimesso in causa da pratiche contro-egemoniche
e differenti progetti di società.
La visione marxista che concepisce un mutamento sociale in termini unicamente
economici, viene superata attraverso un‟articolazione delle rivendicazioni di classe con
le proposte che giungono da movimenti come quelli femministi, antirazzisti o ecologisti.
Questo al fine di proporre una pratica contro-egemonica, un progetto di società, diverso
dall‟ordine sociale esistente.
La
concettualizzazione
post-marxista
della
società
implica
un
importante
riposizionamento rispetto alle teorie critiche, quali quelle proposte da Althusser e
Touraine. Pur mantenendo intatta l‟idea dell‟esistenza di profondi conflitti insiti nel
tessuto sociale, viene rifiutato il postulato che la loro sola e unica matrice sia economica.
I rapporti di produzione sono, in questa ottica, solo uno dei terreni di contrapposizione
tra i sostenitori dell‟ordine sociale contingente e coloro che da questo ordine risultano
svantaggiati. L‟origine etnica o l‟orientamento sessuale sono oggetto di confronto tra
pratiche egemoniche quanto lo è l‟appartenenza di classe.
L‟esplorazione delle logiche ideologiche ha costituito l‟ultima tappa dell‟analisi di quelli
che, a nostro modo di vedere, sono gli elementi costitutivi delle rappresentazioni sociali.
Riassumendo, secondo il nostro modello, queste sono composte da: una dimensione
identitaria e da una componente dinamica costituita dai modelli culturali e dalle logiche
27
Non va dimenticato che le opere di Laclau e Mouffe hanno oltre ad un valore conoscitivo, un
ambizione normativa, quella di contribuire a fornire una linea politica alla Sinistra post-marxista.
Questo aspetto è importante ricordarlo al fine di comprendere i passaggi che seguono.
65
ideologiche che polarizzano le posizioni sia dei gruppi dirigenti, sia di coloro che
animano i movimenti storici.
Abbiamo considerato le rappresentazioni sociali come primo elemento costitutivo di un
modello più ampio, volto a rendere conto delle dimensioni fondamentali della
problematizzazione pubblica di una situazione sociale.
È evidente, a partire da quanto visto finora, che tanto le componenti identitarie quanto
quelle legate ai modelli culturali delle rappresentazioni sociali per poter essere tali
devono poter essere espresse in uno spazio pubblico mediatizzato (cfr. 1.2), e perché
questo avvenga è necessario che determinati attori le definiscano e le problematizzino
(cfr 1.3).
1.2 Spazio pubblico mediatizzato.
Esamineremo ora lo spazio pubblico mediatizzato contemporaneo, definito da Mauro
Wolf (1996) come uno:
“… spazio simbolico nel quale si confrontano ed organizzano le opinioni, gli
orientamenti, gli schieramenti, su temi che sono stati resi di rilevanza pubblica.”28
All‟interno del nostro modello teorico è il luogo in cui determinati attori, gli
imprenditori morali e i chierici mediatori (cfr. 1.3), problematizzandole pubblicamente,
diffondono e istituzionalizzano le proprie rappresentazioni sociali. Questo avviene
attraverso progetti egemonici volti a mantenere l‟ordine sociale, o contro-egemonici,
sotto forma di movimenti storici, tesi a imporre nuovi modelli culturali.
Prima di definire le caratteristiche dello spazio pubblico mediatizzato contemporaneo
(Wolton, 1991 e Wolf, 1996)29 vedremo, analogamente a quanto fatto per le
28
Wolf, 1996, p.482
66
rappresentazioni sociali, l‟evoluzione storica di questo concetto, anche in questo caso
prendendo spunto sulla teoria dei tempi storici di Braudel (1949).
Attraverso le teorie di Hannah Arendt (1958), e considerando la temporalità
antropologica, cercheremo di comprendere come lo spazio pubblico sia insito nella
condizione umana, o, integrando ad esse il lavoro di Eisenstadt (1998, 2000),
quantomeno connesso all‟emergere delle civiltà assiali.
Il lavoro di Jürgen Habermas (1962), esaminato riflettendo sulla temporalità propria alla
storia dei mutamenti sociali, ci permetterà di mettere in relazione le origini della sfera
pubblica (un concetto sostanzialmente analogo a quello di spazio pubblico) che
conosciamo oggi con l‟affermarsi della borghesia come ceto dirigente.
1.2.1 Spazio pubblico e condizione umana.
Nell‟opera che forse meglio sintetizza il pensiero filosofico di Hannah Arendt su questo
tema, Vita activa oder Vom tätigen Leben (1958)30, è proposta una teoria politica che
accorda grande importanza al ruolo dello spazio pubblico, come luogo dell‟agire, della
relazione degli uomini tra loro. Per comprendere l‟importanza di questo aspetto, quello
maggiormente caratteristico della condizione umana, è necessario tornare ai fondamenti
del pensiero arendtiano.
29
Nell‟ultimo decennio questo concetto è in corso di trasformazione molto rapido ( si vedano a questo
proposito, tra gli altri, Bahnish, 2006; Norris, 2001 e Sroka, 2006) sotto l‟influsso delle nuove forme
di comunicazione. L‟importanza avuta dai Blog e dai Network nelle elezioni presidenziali americane
del 2008 ha reso probabilmente questo mutamento incontrovertibile. Nella presente ricerca non
approfondiremo il tema, dal momento che il corpo empirico è costituito da medium più tradizionali
(giornali e dibattiti televisivi) risalenti, in parte, agli anni immediatamente precedenti alla diffusione di
questi fenomeni.
30
In italiano: Vita activa
67
Vita attiva e vita contemplativa.
Nella sua esplorazione sulla condizione umana, la somma delle capacità e delle attività
dell‟uomo, Hanna Arendt distingue due momenti fondamentali: la vita attiva e la vita
contemplativa.
Nella filosofia greca classica, la prima (bios politikos) era subordinata alla seconda (bios
theoretikos) sulla base della convinzione che:
“… nessuna opera prodotta dalle mani dell‟uomo possa eguagliare in bellezza e verità il
kosmos fisico, che ruota nell‟eternità immutabile … Questa eternità si dischiude agli
occhi mortali solo quando tutti i movimenti e le attività umane sono in perfetto riposo.
Paragonate a quest‟attitudine di quiete , tutte le distinzioni e le articolazioni entro la
vita activa scompaiono.”31
È interessante notare che la filosofa tedesca fa risalire la bipartizione della condizione
umana alla Grecia classica. Molto più tardi Eisenstadt avrebbe visto in questa civiltà una
delle prime civiltà assiali, capaci di costituire un chiasmo tra l‟organizzazione sociale e
la visione ontologica fondamentale.
Il rovesciamento gerarchico tra la vita attiva e la vita contemplativa – e, vedremo in
seguito, anche tra le loro componenti interne
- sarebbe avvenuto con il dubbio
metodologico di Cartesio. La svolta cartesiana avrebbe troncato il Rinascimento dando
avvio alla modernità e lasciando la vita attiva priva del suo riferimento contemplativo e
dunque dipendente unicamente da sé stessa.
La posizione dello spazio pubblico tra le attività umane.
La concettualizzazione della vita attiva riprende la distinzione aristotelica dei modi di
vivere che gli uomini potrebbero scegliere in piena libertà. Essa designa le tre principali
attività umane: l‟attività lavorativa, corrispondente alla tipologia umana aristotelica
dell‟animal laborans, con cui la specie umana assicura la propria sopravvivenza
31
Arendt, [1958], trad.it. 2004, p.13
68
biologica; l‟attività dell‟operare, e il tipo dell‟ homo faber, ha come frutto l‟insieme
degli artefatti che danno permanenza alla sua presenza sulla terra, trascendendo i limiti
della vita individuale; l‟attività dell‟agire, corrispondente al tipo zoon politikon, il luogo
in cui gli uomini entrano in relazione gli uni con gli altri, conservando così la memoria
dei loro atti attraverso il discorso.
Quest‟ultima attività si svolge nello spazio pubblico,ed è l‟unica che:
“… mette in rapporto diretto gli uomini senza la mediazione delle cose materiali,
corrisponde alla condizione umana della pluralità, al fatto che gli uomini, e non l‟Uomo
vivono la terra e abitano il mondo.”32
Essa è possibile, e necessaria, perché gli uomini non sono semplicemente ripetizioni
riproducibili illimitatamente di uno stesso modello. La natura umana non è la stessa per
tutti, l‟attività dell‟agire presuppone la pluralità, il fatto che siamo uguali, della stessa
specie, ma non identici.
L‟attività dell‟agire è stata, nel mondo premoderno, la più importante delle componenti
della vita attiva. Secondo Hannah Arendt, la desacralizzazione della vita, e dunque la
perdita di importanza della sua dimensione contemplativa, ha fatto sì che l‟epoca
moderna si interessasse alla vita, ma ponendo come fine ultimo la sua conservazione,
sovvertendo le gerarchie e attribuendo sempre maggiore importanza all‟attività
lavorativa:
“La vittoria dell‟animal laborans non sarebbe mai stata completa se il processo di
secolarizzazione, la perdita inevitabile della fede derivata dal dubbio cartesiano, non
avesse privato la vita individuale della sua immortalità, o almeno della certezza
dell‟immortalità … L‟uomo moderno, quando perse la certezza di un mondo a venire, si
ripiegò su sé stesso … la vita individuale divenne parte del processo vitale, e lavorare,
32
Arendt, [1958], trad.it. 2004, p.7
69
assicurare la continuità della propria vita e di quella della propria famiglia, fu tutto
quanto bastava.”33
Hannah Arendt fornisce, attraverso il suo saggio, una teoria sulle proprietà ontologiche
dello spazio pubblico, sulla posizione che esso occupa nella condizione umana. Essa
vede con l‟avvento della modernità, una riduzione della facoltà umana che ne è alla base,
quella dell‟agire.
In questo testo non approfondiremo oltre quest‟ultimo, importante, aspetto del suo
pensiero. Vedremo invece, attraverso il lavoro di Habermas, quali sono le caratteristiche
che lo spazio pubblico ha assunto nell‟era moderna.
1.2.2 Spazio pubblico e modernità.
Nel suo saggio Strukturwandel der Öffentlichkeit34, pubblicato nel 1962 ed attualizzato
nel 1990, Habermas si interessa allo spazio pubblico come dimensione costitutiva della
società borghese.
In questo senso si può leggere una profonda continuità con il pensiero di Hannah Arendt;
anche per Habermas, come vedremo meglio in seguito, lo spazio pubblico nella
modernità, inteso come luogo delle rivendicazioni socio-economiche del ceto borghese,
segna, per molti aspetti, l‟affermazione dell‟animal laborans arendtiano.
La teoria proposta da questo autore ha un fondamento importante nella filosofia
kantiana. Descrivendo lo spazio pubblico come il luogo nel quale gli individui, facendo
uso della propria ragione, esercitano una funzione critica rispetto al potere dello Stato,
33
Arendt, [1958], trad.it. 2004, pp. 238-239
Il titolo originale tedesco, Strukturwandel der Öffentlichkeit. Untersuchungen zu einer Kategorie
der bürgerlichen Gesellschaft è stato tradotto in italiano come Storia e critica dell‟opinione pubblica
e in francese come L'espace public : archéologie de la publicité comme dimension constitutive de la
société bourgeoise. Abbiamo avuto modo di notare che i concetti di sfera pubblica, opinione pubblica
e spazio pubblico sono considerati dai traduttori come sinonimi.
34
70
egli si riallaccia alla visione di Kant sulla pubblicità come massima trascendentale del
diritto.
Il filosofo di Königsberg, nel suo saggio Zum ewigen Frieden (1795), indica come solo il
mutuo controllo, e dunque la pubblicità, permette di evitare l‟inganno reciproco e, di
conseguenza, di coniugare la politica alla morale:
“Se io astraggo da tutta la materia del diritto pubblico, così come i giuristi abitualmente
se lo immaginano (secondo i diversi rapporti empiricamente dati degli uomini in uno
Stato o degli Stati tra di loro), allora quella che mi resta è la forma della pubblicità, di
cui ogni pretesa giuridica contiene in sé la possibilità, perché senza di quella non vi
sarebbe alcuna giustizia (la quale può essere pensata solo come conosciuta
pubblicamente) e nemmeno quindi di alcun diritto, il quale viene concesso solo dalla
giustizia.”35
Per Habermas questo concetto kantiano indica il superamento della logica del segreto
che aveva segnato l‟umanità sino all‟avvento della modernità. Grazie alla pubblicità si
chiude l‟epoca in cui le decisioni del sovrano erano avvolte nel mistero. Lo spazio
pubblico diviene il luogo in cui la nuova classe borghese chiede conto delle decisioni
prese dal potere politico, diviene uno strumento di controllo.
Le origini dello spazio pubblico borghese.
L‟opinione pubblica nasce con la borghesia e, parallelamente all‟affermazione di
quest‟ultima, segna una trasformazione profonda nei regimi politici, infatti :
“… la sfera pubblica borghese può essere concepita in un primo momento come la sfera
dei privati riunita come pubblico; costoro rivendicano subito contro lo stesso potere
pubblico la regolamentazione della sfera pubblica da parte dell‟autorità, per
concordare con questa le regole generali del commercio nella sfera fondamentalmente
privatizzata, ma pubblicamente rilevante, dello scambio di merci e del lavoro sociale.
35
Kant, [1795], trad.it. 1992, p.74
71
Peculiare e storicamente senza precedenti è il tramite di questo confronto politico: la
pubblica argomentazione razionale.”36
La scomposizione di questa, invero complessa, definizione permette di comprendere
fino a che punto lo spazio pubblico sia una dimensione costitutiva fondamentale dello
Stato moderno (Abruzzese/Mancini, 2007: 203-223).
La sfera pubblica è costituita, nella sua origine, da privati che si riuniscono come
pubblico. I primi rappresentanti del ceto borghese – commercianti, artigiani, banchieri –
dopo il lavoro si riuniscono in luoghi pubblici – caffè, pub, teatri – per leggere i primi
giornali e discutere.
I membri della nuova classe sociale fondano la propria potenza sul libero mercato. Nei
loro incontri essi parlano di affari, che da privati assumono una rilevanza pubblica,
rivendicando, sulla base di interessi comuni, dei cambiamenti nella regolamentazione
delle pratiche commerciali o una diversa politica dei dazi doganali.
Il ceto borghese, così facendo, formula delle precise richieste che, di fatto, implicano un
profondo mutamento delle strutture economiche e, soprattutto, politiche della società.
La discussione che ha luogo nella sfera pubblica e le rivendicazioni che ne scaturiscono,
oltre a produrre dei mutamenti profondi nella gestione del potere politico, costituiscono
la base di una nuova forma di convivenza e di condivisione, quella che Norberto Bobbio
(1990) definisce società civile:
“… il terreno dei conflitti economici, ideologici, sociali e religiosi che lo Stato ha il
compito di risolvere o mediandoli o sopprimendoli; come la base da cui partono le
domande cui il sistema politico è chiamato a dare una risposta; come il campo delle
varie forze di mobilitazione, di associazione di organizzazione, delle forze sociali che
muovono verso la conquista del potere politico.”37
36
37
Habermas, [1962], trad.it. 2005, p.33
Bobbio, 1990, p.1065
72
Lo spazio pubblico, in altri termini, permette ai diversi attori e movimenti sociali di
contrapporre le rispettive pratiche egemoniche al fine di affermare i propri modelli
culturali.
Spazio pubblico e mezzi di comunicazione di massa.
Jürgen Habermas non trascura l‟importanza avuta dai massmedia nell‟affermazione della
sfera pubblica. Egli vede, anzi, uno stretto legame tra la nascita del libero mercato delle
merci ed il libero mercato delle idee. La nascita dei primi giornali è ricondotta a due
fenomeni distinti, uno, di natura economica, specifico al ceto borghese, l‟altro, culturale,
legato alla progressiva commistione tra segmenti della borghesia e della nobiltà.
La ragione economica della diffusione della stampa è spiegata con il fatto che:
“… non solo il traffico delle notizie si sviluppa in connessione con i bisogni del traffico
mercantile, ma le notizie stesse diventano merci. L‟informazione su base professionale
risulta perciò subordinata alle stesse leggi del mercato, alla cui origine essa stessa deve
la sua esistenza.”38
Accanto alla pubblicazione di notizie fattuali utili al commercio, un‟altra forma di
stampa si diffonde in quegli anni, quella culturale. Le gazzette letterarie circolano nei
salotti in cui il ceto borghese comincia a frequentare l‟aristocrazia. Le discussioni che
esse generano, da letterarie ed artistiche divengono ben presto sociali e politiche.
Le due componenti della pubblicistica, fattuale e letteraria, costituiscono l‟ossatura di
quelli che saranno i moderni giornali.
Il filosofo tedesco, teorizzando la nascita della sfera pubblica borghese, descrive un
periodo circoscritto della storia, una fase in cui il ceto borghese era numericamente
limitato e i pochi giornali in circolazione avevano, in pratica, l‟unico scopo di
contribuire alla pubblica discussione. L‟opinione pubblica di cui parla era costituita da
38
Habermas, [1962], trad.it. 2005, p.20
73
gruppi di individui che, per grado di istruzione e affinità sociale, erano in grado di
sviluppare delle argomentazioni razionali concernenti la totalità dei fatti pubblici.
L‟affermazione dello Stato sociale, unito alla diffusione ed alla commercializzazione dei
mezzi di comunicazione, ha, secondo Habermas, eliminato la natura critica insita nella
sfera pubblica.
L‟ampliamento delle funzioni statali ha provocato l‟occupazione di molti spazi
precedentemente auto-organizzati, ciò ha generato una minore possibilità da parte degli
individui di esprimersi singolarmente. È sorta un‟opinione quasi pubblica costituita da
partiti, associazioni di categoria o sindacati.
La crescente influenza dei massmedia ha trasformato ciò che rimane dell‟opinione
pubblica da elemento critico verso il potere in elemento ricettivo. La ricerca del profitto
da parte di chi diffonde informazioni ha cancellato lo spazio per l‟interlocuzione e lo
scambio di opinioni.
La visione che Habermas esprime sullo Stato contemporaneo e, soprattutto, sull‟odierno
sistema dei media sembra essere, per certi versi, non molto dissimile da quella proposta
dai suoi predecessori della Scuola di Francoforte. Nelle opere successive egli ha, pur
senza stravolgerlo, modificato il suo pensiero, forse eccessivamente pessimista, sugli
effetti dei mezzi di comunicazione sull‟opinione pubblica.
Vedremo, attraverso l‟esame proposto da altri ricercatori (Hall, 1980, Wolton 1991,
Wolf 1996), come lo
spazio pubblico mediatizzato contemporaneo possa essere
considerato, pur nei suoi limiti e con le sue distorsioni, un luogo simbolico in cui si
esaminano le scelte del potere e le si confrontano con delle possibili alternative.
74
1.2.3 Spazio pubblico mediatizzato contemporaneo.
Il concetto di spazio pubblico mediatizzato, come viene inteso nella presente ricerca, è il
risultato dell‟evoluzione storica subita dalla sfera pubblica borghese: uno spazio
simbolico entro il quale vengono dibattute le principali problematiche sociali.
Lo sviluppo della democrazia di massa, il moltiplicarsi degli attori, dei medium e dei
soggetti nella discussione pubblica, ha però prodotto una trasformazione tale da rendere
necessario un radicale ripensamento delle sue caratteristiche fondamentali.
Rispetto alle origini della sfera pubblica descritte da Habermas, lo spazio pubblico
attuale è, infatti, qualcosa di molto più complesso che non un luogo entro il quale pochi
attori, attraverso pochi media, dibattono in maniera razionale un numero limitato di
problemi.
Evidentemente la proliferazione dei mezzi di comunicazione ha grandi conseguenze sul
modo in cui i fatti sociali sono problematizzati pubblicamente. Il sistema dei media
rimane però strettamente interdipendente alle altre componenti della società, ciò che
rende estremamente complesso delineare questo rapporto è che:
“… i media svolgono contemporaneamente un doppio ruolo: sono sulla scena sociale,
ne fanno parte integrante e, nello stesso tempo, la definiscono, riproducendo e
stabilendo i criteri di visibilità e di rilevanza sociale dei fenomeni collettivi.” 39
Al fine di descrivere la contraddizione alla base dello spazio pubblico odierno è
necessario considerare il precario equilibrio tra le logiche della comunicazione ed i tempi
della società. Per farlo analizzeremo dapprima in maniera teorica il processo di codifica
e di decodifica dei messaggi mediali (Hall, 1980), ed in seguito le conseguenze maggiori
che questo comporta nel sistema sociale nel suo complesso (Wolton 1991, Wolf, 1996).
39
Wolf, 1996, p.482
75
Il processo di codifica e decodifica dei messaggi mediali.
Il modello encoding/decoding proposto da Stuart Hall (1980), anche se focalizzato
principalmente sul medium televisivo, è particolarmente illuminante per la comprensione
dello spazio pubblico mediatizzato nel suo insieme.
Secondo Hall non è possibile considerare i processi di produzione e di ricezione del
messaggio come entità separate e distinte, essi sono, invece, interconnessi tra loro da un
insieme di relazioni specifiche. Inoltre è necessario tenere conto che tanto l‟attività di
codifica quanto quella di decodifica sono influenzate dalle condizioni materiali e sociali
dei diversi attori.
Il processo di comunicazione è costituito da un circuito continuo di produzionedistribuzione-produzione.
La “prima” tappa è costituita dalla produzione del messaggio, il “processo lavorativo”
svolto da coloro che operano nei mezzi di comunicazione di massa. In questa fase il
messaggio assume il suo carattere “discorsivo” dal momento che viene inserito in una
struttura di significati e di idee che risultano tanto dall‟applicazione di procedure di
produzione e di conoscenze tecniche, quanto da ideologie professionali, conoscenze
istituzionali e previsioni di audience.
La fase di produzione del messaggio non è un sistema chiuso, infatti, anche se a dar vita
al discorso sono le strutture produttive del mezzo di comunicazione:
“Gli argomenti, il modo di affrontarli, il loro grado di importanza, gli eventi, il
personale, le immagini del pubblico, la definizione della situazione derivano da altre
fonti e da altre formazioni discorsive all‟interno di una struttura socio-culturale e
politica più ampia, di cui le strutture di produzione sono una parte distinta.40
Perché possa essere fruito da un pubblico, il discorso deve poter essere riconosciuto e
decodificato come significativo. Questo risultato viene raggiunto grazie all‟uso di codici
40
Hall, [1980], trad.it. 2002, p.70
76
professionali specifici al mezzo di comunicazione che forniscono al messaggio le sue
strutture di significato.
Come vedremo meglio in seguito, nulla garantisce che il processo di decodifica arrivi a
determinare le medesime strutture di significato previste durante quello di codifica.
Perché questa possibile discrepanza si riduca quanto più possibile la codifica può
“indirizzare” la decodifica fornendole dei limiti e dei parametri, ma non è in grado di
eliminare la naturale autonomia di quest‟ultima.
I limiti e i parametri sono fissati attraverso un codice professionale che si inserisce in un
codice egemonico più ampio:
“Il codice professionale è relativamente indipendente dal codice dominante, perché
applica modifiche e criteri propri, soprattutto di natura tecnico-pratica. Il codice
professionale, comunque opera dentro l‟ egemonia del codice dominante.”41
Hall utilizza il concetto di egemonia nella sua accezione gramsciana, come il codice
entro il quale i valori e i significati funzionali a un determinato ordine sociale vengono
fatti apparire come naturali e scontati. Il codice professionale agisce al suo interno, nel
senso che riproduce le definizioni dominanti “nascondendo” la loro qualità egemonica e
mettendo in risalto le questioni apparentemente neutre e tecniche legate alle specificità
del mezzo di comunicazione.
Il processo di comunicazione prevede un‟ulteriore importante tappa, quella della
distribuzione e della relativa decodifica dei messaggi. Come abbiamo precedentemente
accennato, questo passaggio non ricalca necessariamente quello di codifica. La lettura
del messaggio – a causa della possibile disparità di codici tra emittente e destinatario,
teorizzata nel modello semiotico informazionale di Eco e Fabbri (1965) – può condurre
ad una strutturazione del suo significato diversa da quella formulata in fase di codifica.
41
Hall, [1980], trad.it 2002, p.81
77
Stuart Hall indica tre possibili modi di decodificare un messaggio, attraverso una lettura
preferita, negoziata o oppositiva.
. La lettura preferita, che avviene quando la decodifica riproduce esattamente la codifica
del messaggio. Il codice egemonico funzionale all‟ordine sociale, veicolato dal codice
professionale, viene percepito dal decodificatore come naturale e non suscettibile di
alcuna legittimazione sociale.
. La lettura negoziata, in cui il decodificatore accetta il codice egemonico, ma ne
fornisce interpretazioni parzialmente autonome. Le definizioni dominanti degli eventi
occupano una posizione privilegiata, ma la loro attuazione può essere negoziata in
determinate circostanze.
. La lettura oppositiva, che si manifesta quando il destinatario comprende la codifica
elaborata dall‟emittente, ma ricolloca il messaggio in un contesto opposto. In questo caso
il decodificatore si pone in contrasto con il produttore e mette in evidenza l‟ideologia
imposta dal codice egemonico.
Il processo di decodifica, in particolare quanto assume un carattere negoziato o
oppositivo, influenza i quadri di conoscenza che saranno alla base del “processo
lavorativo” che porterà alla codifica di un nuovo messaggio.
La ciclicità del processo di comunicazione, in ultima analisi, fa sì che:
“… il pubblico è allo stesso tempo la fonte e il ricettore del messaggio … la circolazione
e la ricezione sono realmente momenti del processo produttivo … e sono reinseriti nello
stesso processo produttivo, attraverso una serie di feedback indiretti e strutturati.”42
Le interazioni tra l‟attività di codifica e di decodifica e la loro permeabilità rispetto a
formazioni discorsive provenienti da strutture sociali più ampie permettono di
comprendere teoricamente la funzione dello spazio pubblico mediatizzato come luogo di
confronto, dissimmetrico, tra le istanze proposte dai diversi attori e gruppi sociali.
42
Hall, [1980], trad.it 2002, p.70
78
Vedremo ora quali sono i principali fenomeni sociali che caratterizzano questi scambi
imperfetti.
Gli effetti sociali della comunicazione di massa.
La disparità nell‟uso dei codici tra emittente e destinatario coincide con una serie di
contraddizioni tra la rappresentazione mediatica della società e la società stessa. Questi
conflitti condizionano il dibattito all‟interno dello spazio pubblico mediatizzato,
allontanandolo fortemente dall‟essere un luogo preposto ad una discussione razionale
come lo era la sfera pubblica borghese descritta da Habermas. Vedremo nelle prossime
righe quali sono, a nostro avviso, i principali problemi che questa situazione pone.
_ Sovrarappresentazione e personalizzazione degli eventi (Wolton, 1991: 104-105).
La proliferazione e la concorrenza tra i mezzi di comunicazione ha portato ad una
riduzione di tutte le scale temporali a quella dell‟evento, a presentare in maniera fattuale
processi storici e sociali che si sono invece prodotti nell‟arco di un lungo periodo.
Questo aspetto, unito all‟influenza esercitata dagli uomini politici, porta, inoltre, ad
attribuire un‟importanza sproporzionata al ruolo di singoli individui in eventi o processi
prodotti dall‟attività di interi gruppi o categorie.
_ Standardizzazione e autoreferenzialità del linguaggio (Wolton, 1991: 102-103).
L‟aumento degli spazi occupati dal sistema politico nella democrazia di massa, unito al
progressivo riconoscimento dell‟importanza dei mezzi di comunicazione da parte dei
suoi membri, ha creato un linguaggio standardizzato che utilizza delle categorie ed un
vocabolario, appunto, politici, anche in relazione a problematiche che riguarderebbero
altri sotto-sistemi della società.
Questo particolare linguaggio, inoltre, risulta pienamente accessibile solo ad una
minoranza della popolazione, le élite culturali, che si ritrovano, di conseguenza, ad
essere le uniche a poter partecipare al dibattito pubblico. Ciò provoca, da un lato, il
restringimento della discussione ai soli temi che interessano i ceti più colti,
79
allontanandoli dalla realtà percepita dagli altri gruppi della società, dall‟altro, provoca in
questi ultimi la diffidenza ed il disprezzo verso il concetto stesso di dibattito pubblico.
_ Attenzione (effimera) verso le sofferenze degli altri (Wolf, 1996: 488-490).
Fornendo i resoconti e le immagini di tragedie umane, anche lontane, i mezzi di
comunicazione inducono lo spettatore ad un‟empatia verso chi soffre e chi vede i propri
diritti calpestati. Si tratta di sensazioni effimere, subito sostituite da altri eventi più
recenti. Esse sono tuttavia prodotte da uno spazio pubblico che non consente più di
ignorare i drammi del resto del mondo. Pur nascondendo le distanze sociali, economiche
e morali tra chi soffre la tragedia e chi vi assiste da lontano, l‟informazione può fungere
da stimolo perché non vengano calpestati in silenzio i diritti dei più deboli.
Se, da un lato, la mediatizzazione di un susseguirsi di tragedie lontane può indurre ad un
cinismo socialmente pericoloso, dall‟altro, ha indubitabilmente permesso lo sviluppo di
associazioni come Amnesty International o Terre des Hommes che, senza la copertura
dei mezzi di comunicazione, avrebbero avuto ben poche risorse a disposizione.
_ Emissione globalizzata da e verso realtà localizzate (Wolton,1991: 110-113; Wolf,
1996: 490-491).
Diversamente da quanto avveniva in passato, oggi, e verosimilmente sempre più nel
futuro, i mezzi di comunicazione sono in grado, da un punto di vista tecnico, di fornire
notizie in tempo reale provenienti da ogni parte del mondo. Questa, relativamente nuova,
situazione pone però dei seri problemi, tanto nella codifica dei messaggi, quanto,
soprattutto, nella loro decodifica.
Abbiamo visto in precedenza che il processo di codifica-decodifica suppone l‟esistenza
di quadri di conoscenza preesistenti, sia da parte degli emittenti che dei riceventi. Questi
quadri di conoscenza sono dati, anche, da una cultura locale, un‟esperienza del sociale
generata da un‟identità specifica, situata.
I codificatori descrivono ciò che vedono attraverso i propri codici, anche quando si tratta
di realtà sociali e culturali a loro lontanissime.
80
I decodificatori devono ancorarsi a sistemi di interpretazione che dipendono
profondamente delle proprie identità culturali. Oltre a ciò, essi sono confrontati con la
narrazione evenemenziale che caratterizza la comunicazione dei massmedia, ritrovandosi
a dover metabolizzare in tempi estremamente rapidi fenomeni sociali complessi e
culturalmente lontani. La globalizzazione dell‟informazione si trova dunque confrontata
ad un insieme di punti di vista che si organizzano attorno a dei valori che sono dibattuti e
strutturati all‟interno di uno spazio pubblico che è ancora nazionale 43. Ovviamente
l‟impulso fornito da notizie che giungono da tutto il mondo contribuisce a modificare i
quadri di riferimento nazionali, ma si tratta di un fenomeno incommensurabilmente più
lento rispetto alla rapidità imposta dai tempi della comunicazione di massa.
Lo spazio pubblico mediatizzato è, abbiamo visto, un luogo simbolico complesso, entro
cui le diverse rappresentazioni dei fatti sociali vengono dibattute pubblicamente. Esso è
costitutivo della condizione umana, rappresenta l‟attività umana dell‟ agire insieme agli
altri. Le sue origini si perdono nell‟antichità, ma le prime tracce possono essere ritrovate
in un‟istituzione risalente ad una delle prime civiltà assiali, la polis greca. L‟avvento
della borghesia come ceto dominante, coincidente con lo sviluppo dei primi mezzi di
comunicazione di massa, ha segnato la nascita dello spazio pubblico moderno, un luogo
in cui un ristretto gruppo, accomunato da una precisa posizione economica e culturale,
discuteva razionalmente diversi aspetti dei futuri assetti della società. Il consolidarsi
della borghesia come classe dirigente e la conseguente instaurazione del sistema
parlamentare ha portato alla democrazia di massa. L‟aumento dei partecipanti allo spazio
pubblico, unito allo sviluppo ed alla proliferazione dei mezzi di comunicazione, ha reso
questo luogo simbolico molto più variegato e complesso rispetto alle sue origini.
L‟utilizzo di una pluralità di codici sia da parte dei codificatori che dei decodificatori ha
diversificato le rappresentazioni pubbliche dei fatti sociali e le ha rese creatrici di quadri
di riferimento culturali in perenne, ancorché lento, mutamento.
43
Vedremo come, nel caso della Svizzera, lo spazio pubblico di riferimento è, in larga parte, quello
della regione linguistica.
81
Dopo aver analizzato le dimensioni costitutive delle rappresentazioni sociali ed il luogo
simbolico entro cui sono discusse, rimane un ultimo elemento da prendere in
considerazione: l‟identità degli attori protagonisti di questo processo.
1.3 Attori del processo di pubblicizzazione dei problemi sociali.
Nei precedenti paragrafi abbiamo analizzato le rappresentazioni sociali e lo spazio
pubblico mediatizzato in quanto elementi costitutivi nella costruzione di problematiche
pubbliche. Si tratta ora di capire chi sono gli attori che partecipano a questo processo ed
in quale modo le loro interazioni con il resto della società rendono possibile l‟esistenza
di questi fenomeni sociali.
Prima di occuparci della loro identità, è necessario comprendere i meccanismi di
interazione che coinvolgono i singoli individui. Norbert Elias (1970), la cui teoria
costituisce una sintesi tra il paradigma struttural-funzionalista e l‟individualismo
metodologico, così concepisce quello che comunemente è definito come il rapporto tra
l‟individuo e la società:
“ … ciò che abitualmente si designa con due concetti differenti, l‟individuo e la società,
non costituiscono, come l‟impiego attuale di questi due termini ci fa sovente credere,
due oggetti d‟esistenza separata: sono due livelli differenti ma inseparabili dell‟universo
umano.”44 [t.d.a]
44
“ … ce qu‟on a coutume de désigner par deux concepts différents, l‟individu et la société, ne
constituent pas, comme l‟emploi actuel de ces deux termes nous le fait souvent croire, deux objets
d‟existence séparée : ce sont des niveaux différents mais inséparables de l‟univers humain.” (Elias,
[1970], trad.fr 1991a, p.156)
82
Il sociologo tedesco per spiegare questo suo pensiero usa il concetto di configurazione
tra individui, questo modo di procedere teorico permette di considerare l‟esistenza
concreta di questi ultimi, tanto nella loro singolarità, quanto nella loro pluralità.
Attraverso la metafora di una partita a carte Elias illustra come lo svolgimento del gioco
risulti dalle interpenetrazioni degli atti di un gruppo di individui interdipendenti. Il gioco
dipende dall‟intelletto dei singoli giocatori, ma non solo da questo, sono infatti le loro
azioni e relazioni reciproche a dare alla partita una fisionomia unica e sempre diversa, a
fare di essa un fenomeno sociale concreto e non riconducibile alla semplice somma di
comportamenti individuali.
Le implicazioni di questo paradigma teorico nel processo di problematizzazione pubblica
appaiono chiare riflettendo ad una delle conclusioni a cui giunge Howard S. Becker nel
suo saggio Outsiders (1963):
“… anche se, eventualmente, una pratica nuoce oggettivamente al gruppo nel quale essa
viene effettuata, il danno deve essere scoperto e segnalato. Occorre che la popolazione
sia stata persuasa che qualcosa debba essere fatto a riguardo. Perché una norma sia
creata, occorre che qualcuno richiami l‟attenzione del pubblico sui fatti.”45 [t.d.a]
Le rappresentazioni sociali e lo spazio pubblico mediatizzato concorrono al processo di
problematizzazione pubblica perché determinati individui identificano un problema
sociale e, mediatizzandolo, lo propongono come un problema per la società, affinché
divenga un problema della società.
45
“ … même si, éventuellement, une pratique nuit objectivement au groupe dans lequel elle s‟effectue,
le dommage doit être découvert et signalé. Il faut que la population ait été persuadée que quelque
chose doit être fait à ce sujet. Pour qu‟une norme soit créée, il faut que quelqu‟un appelle l‟attention
du public sur les faits.” (Becker, [1963] trad.fr. 1985, p.186)
83
1.3.1 Problemi sociali e problemi pubblici.
Vedremo ora più precisamente i fenomeni che possono essere intesi come problemi
sociali, perché, e attraverso quali meccanismi, alcuni di essi assumono rilevanza
pubblica ed, infine, quali sono le caratteristiche degli attori che compiono questa
operazione.
I problemi sociali.
La definizione di cosa sia un problema sociale é particolarmente controversa. Essa può
variare in maniera sostanziale a seconda del paradigma teorico, della visione generale
della società a cui fa riferimento chi se ne occupa.
Storicamente si sono contrapposti su questo tema l‟approccio funzionalista e quello
focalizzato sul conflitto dei valori.
Secondo Robert K. Merton e Robert A. Nisbet (1971) la disorganizzazione sociale e il
comportamento deviante riguardano delle inadeguatezze nel sistema sociale che fanno sì
che gli obbiettivi individuali dei suoi membri risultino meno pienamente realizzati di
quanto lo sarebbero in un sistema sociale alternativo. Un problema sociale, nella visione
funzionalista, è una disfunzione causata da un comportamento, un credo o un
organizzazione che interferisce con un bisogno funzionale della società.
In una prospettiva opposta, Richard C. Fuller e Richard A. Myers (1941) giudicano che
non sono le condizioni oggettive a determinare l‟esistenza di un problema sociale, esso
esiste solo se i membri di una società enunciano un giudizio di valore su una situazione
che pare loro insostenibile o, comunque, indesiderabile.
Entrambe le definizioni sono insoddisfacenti per quelle che sono le finalità della presente
ricerca. L‟approccio che considereremo, e che è per certi versi una sintesi dei precedenti,
è quello proposto dalla teoria dell‟interazionismo simbolico (Becker 1966, Blumer
1971). La devianza non è concepita unicamente come la trasgressione ad una norma
generalmente condivisa, essa è prodotta da determinati gruppi sociali che istituiscono
delle norme passibili di essere infrante. Diversamente da quanto ritenevano gli autori
84
citati in precedenza la devianza non è né una patologia sociale, né il frutto di un semplice
giudizio di valore in merito ad una situazione, essa è il risultato di un processo di
etichettatura.
Determinate categorie sociali stigmatizzano un comportamento, o un modo di essere,
come deviante. L‟individuo così etichettato, nel suo processo di auto-identificazione, si
appropria di alcune stigmate e prosegue nella sua “carriera” di deviante, finendo con il
marchiare a sua volta i gruppi sociali che lo condannano.
Un problema sociale, secondo questo approccio, è un fenomeno articolato causato dalle
interazioni tra individui e gruppi i più disparati tra loro, i criminali, come la magistratura,
la polizia, gli insegnanti o gli assistenti sociali.
I meccanismi di pubblicizzazione dei problemi sociali.
Seguendo questo approccio i problemi sociali non sono da considerare né fatti puri, né
invenzioni dello spirito. Alcune situazioni assurgono a questo statuto, mentre altre, del
tutto analoghe, non vengono in alcun modo problematizzate nello spazio pubblico.
Secondo Daniel Céfai (1996):
“…il problema pubblico è costruito e stabilizzato, tematizzato e interpretato, nei quadri
o le trame di pertinenza che hanno corso in un orizzonte di interazioni e di
interlocuzioni.”46 [t.d.a]
La pubblicizzazione di un problema sociale si realizza, dunque, attraverso una dinamica
di produzione e di ricezione di racconti a carattere prevalentemente interpretativo.
Questo processo avviene attraverso il dispiego, tanto da parte del codificatore che del
decodificatore, del senso comune che, abbiamo visto, è costituito dalle rappresentazioni
che consentono agli individui di orientarsi e comprendersi all‟interno della società.
46
“ …le problème public est construit et stabilisé, thématisé et interprété, dans les cadres ou les
trames de pertinence qui ont cours dans un horizon d‟interactions et d‟‟interlocutions.” ( Céfai, 1996,
p.47)
85
Rifacendosi al modello di codifica/decodifica (Hall, 1980) ed alla teoria della tripla
mimesi proposta da Paul Ricoeur (1983), Céfai (1996) propone una configurazione
narrativa dei problemi pubblici articolata in tre fasi: la gestazione, che costituisce il
primo momento, quello in cui le rappresentazioni sociali e le esperienze private dei
produttori di senso, che non sono ancora vittime o denunciatori, portano all‟espressione,
a livello interpersonale, un malessere ancora mal definito; la costruzione del racconto, la
fase centrale, in cui il disagio viene espresso in maniera articolata ed è accompagnato
dalla proposta di possibili soluzioni; la ricezione, in cui, infine, i diversi attori elaborano
attraverso il proprio senso comune una pluralità di versioni del problema pubblico.
Analogamente a quanto constatato in maniera più generale analizzando i meccanismi di
funzionamento dello spazio pubblico mediatizzato, il processo di configurazione
narrativa di un problema pubblico presenta una dinamica di tipo azione-retroazione. Gli
attori che recepiscono il racconto lo rielaborano attraverso le proprie rappresentazioni,
influenzando tanto i produttori del racconto quanto gli altri recettori. Questo meccanismo
di rielaborazione avviene, da un lato in maniera intenzionale organizzando il problema in
temi elaborati sulla base di strutture di pertinenza interpretative e pragmatiche, dall‟altro
in modo inconsapevole attraverso una commutazione di codici o un cambiamento di
registro.
Gli attori implicati nel processo di configurazione narrativa.
La problematizzazione pubblica viene attivata da degli attori collettivi, collettivi in
quanto confrontati gli uni agli altri in relazione a degli oggetti, a dei discorsi e a delle
pratiche. Questi attori non sono preesistenti alla configurazione narrativa del problema
sociale, esistono in funzione di essa. La loro attività consiste nel rendere pubblici dei
temi, nel farli esistere in uno spazio pubblico.
Gli attori collettivi per essere tali devono condividere approssimativamente le medesime
riserve di esperienza e risorse d‟espressione. In assenza di queste condizioni sarebbe
impossibile una ricostruzione della realtà in qualche modo accettabile. La messa in scena
86
di un problema sociale presuppone, infatti, la familiarità con strumenti retorici e
drammaturgici capaci di renderlo comprensibile ed accettabile cognitivamente.
Queste riserve di esperienza e risorse d‟espressione non sono da intendersi come sistemi
unificati di significato, quanto piuttosto come matrici di una comprensione comune,
come repertorio di possibilità interpretative (Céfai, 1996).
Nei prossimi paragrafi analizzeremo in modo più approfondito due tipologie ideali
particolarmente significative per questa ricerca: gli imprenditori morali ed i chierici
mediatori, distinte tra loro sulla base del principio weberiano (1922) di legittimità. Gli
imprenditori morali sono gli attori che partecipano direttamente al sistema politico - i
membri dei partiti, ma anche dei movimenti sociali o delle associazioni di categoria –
coloro a cui viene riconosciuta socialmente la riserva di esperienza necessaria a
partecipare al dibattito. I chierici mediatori – giornalisti ed intellettuali – traggono
legittimità dal riconoscimento sociale della loro padronanza delle risorse espressive
necessarie alla discussione. Si tratta, evidentemente, di una distinzione che ha una
validità principalmente teorica, accade infatti che un giornalista si impegni in prima
persona in una battaglia politica, così come un membro di un partito può proporre delle
riflessioni distaccate su una determinata tematica.
87
1.3.2 Imprenditori morali.
Howard S. Becker (1963) così definisce le caratteristiche di questa particolare tipologia
di attore che partecipa alla pubblicizzazione dei problemi sociali:
“ … l‟individuo che intraprende una crociata per la riforma dei costumi. Egli si
preoccupa del contenuto delle leggi. Quelle esistenti non gli procurano soddisfazione
perché sussiste questa o quella forma di male che lo sciocca profondamente.”47 [t.d.a]
Secondo il sociologo americano gli imprenditori morali, nella loro azione, si ispirano ad
un‟etica intransigente, il problema sociale da loro individuato appare assolutamente
negativo e meritevole di essere eliminato con tutti i mezzi. Essi si sentono investititi di
una sorta di missione sacra, un sentimento non molto dissimile da quello che animava,
per l‟appunto, i partecipanti alle crociate.
La particolare terminologia utilizzata da Becker è probabilmente legata al particolare
contesto della sua opera Outsiders (1963), che studia la stigmatizzazione operata nei
confronti di alcune categorie che conducevano, come l‟autore stesso, uno stile di vita
anticonformista.
Nonostante il sarcasmo che la permea, la sua analisi presenta per noi degli spunti teorici
estremamente interessanti al fine di definire una tipologia ideale di attore a cui la società
riconosce le riserve di esperienza sociale necessarie alla configurazione narrativa di un
problema pubblico (Céfai, 1996).
Nei prossimi capitoli analizzeremo, infatti, i comportamenti di coloro che intervengono
nel sistema politico svizzero al fine di modificare le leggi concernenti le procedure di
naturalizzazione. In particolar‟modo ci soffermeremo sugli esponenti dei partiti e dei
movimenti sociali. Essi, presi singolarmente, hanno caratteristiche tipiche di coloro che
47
“ … l‟individu qui entreprend une croisade pour la reforme des mœurs. Il se préoccupe du contenu
des lois. Celles qui existent ne lui donnent pas satisfaction parce qu‟il subsiste telle ou telle forme de
mal qui le choque profondément. ” (Becker, [1963], trad.fr. 1985, p. 171)
88
Becker definisce come imprenditori morali, collettivamente, invece, esercitano
un‟azione riconducibile a quella operata dai movimenti storici descritti da Touraine.
Un primo aspetto che caratterizza, secondo Becker (1963), gli imprenditori morali è
legato alla loro appartenenza ai ceti sociali più favoriti e al fatto che le loro imprese si
rivolgono verso quelli più bassi (Gusfield, 1955). La loro azione, oltre ad essere guidata
dal convincimento che il loro “migliore” stile di vita sia il frutto di una superiorità
morale, risulta rafforzata dal potere derivante dalla loro posizione sociale (Becker, 1963
[1985: 171-176]).
Questa peculiarità, ancorché non sia sempre valida in senso assoluto, la osserveremo in
Christoph Blocher e James Schwarzenbach, i principali uomini-guida delle azioni
collettive tese a limitare i diritti degli stranieri in Svizzera (cfr. 3.1).
Un‟ulteriore caratteristica individuata da Becker a proposito di questa tipologia di attore
è la sua specifica “carriera”. Gli imprenditori morali, generalmente, non si limitano ad un
unico intervento teso a normalizzare una specifica situazione sociale. Le energie ed il
tempo spesi, uniti alla rete di conoscenze ed allo stile di vita acquisiti, infatti, fanno sì
che difficilmente la sua attività termini con l‟esaurirsi della sua “crociata”.
Normalmente, se la sua azione fallisce, egli continuerà ad associarsi a gruppi sempre più
minoritari e a battersi per cause di volta in volta meno popolari. Quando invece il suo
intervento ha successo, l‟esperienza vincente acquisita lo può trasformare in una sorta di
professionista delle arene pubbliche e a divenire, a tempo pieno, membro di una forza
politica organizzata (Becker, 1963 [1985: 176-179]). Anche questo aspetto ha trovato
riscontro nell‟analisi della galassia dei movimenti sociali svizzeri, i cui militanti
transitano dall‟uno all‟altro o confluiscono in un partito tradizionale (cfr. 2.3.2).
La tipologia ideale costituita dall‟imprenditore morale, risponde appieno alle
caratteristiche dell‟attore collettivo descritte da Céfai (1996), la sua ragione di esistere è
indissolubilmente connessa a quella del problema sociale.
89
Vedremo ora un altro tipo di attore, il chierico mediatore, il cui rapporto con le
problematiche pubbliche è prevalentemente quello di contribuire con le risorse di
espressione alla loro configurazione narrativa.
1.3.3 Chierici mediatori.
La tipologia ideale del chierico mediatore è utilizzata nell‟accezione proposta da Ernest
Gellner (1983) che descrive questa figura non tanto come un religioso, quanto come il
depositario della scrittura. In termini più generali: il giornalista e l‟intellettuale, quest‟
ultimo da intendersi nella definizione che Gramsci (1948) attribuisce a questo ruolo.
Gellner attribuisce la legittimità sociale di questo tipo di attore al riconoscimento del suo
monopolio delle risorse espressive derivanti dalla padronanza della lingua scritta. Il suo
ruolo, antichissimo, ha conosciuto una profonda trasformazione nel corso dei secoli
avvenuta in parallelo con il mutamento dell‟organizzazione sociale e dei rapporti
economici.
La classe dei chierici si è affermata in concomitanza con un passaggio epocale della
storia dell‟umanità: l‟invenzione della scrittura.
Inizialmente utilizzato per tenere i registri contabili e rendere possibile il prelievo
fiscale, il segno scritto è stato progressivamente impiegato per altre finalità, permettendo
lo sviluppo dei vari campi del sapere umano:
“… la scrittura, l‟istituzione di una grafia relativamente permanente e normalizzata,
significa, infatti, la possibilità di procedere ad un‟accumulazione e ad una
centralizzazione culturale e cognitiva.”48 [t.d.a]
48
“… l‟‟écriture, l‟institution d‟une graphie relativement permanente et normalisée, signifie, en fait,
la possibilité de procéder à une accumulation et à une centralisation culturelle et cognitive”
(Gellner, [1983], trad.fr 1989, p.22)
90
Durante l‟antichità, nelle società ad economia prevalentemente agraria, i chierici
costituivano una classe specializzata importante, forse la prima a sviluppare una forte
omogeneità al suo interno. La loro capacità d‟azione in termini di accumulazione e
centralizzazione culturale era fortemente limitata da due fattori: da un lato, i detentori del
potere politico erano scarsamente interessati ad utilizzare i chierici al fine di esercitare
un‟egemonia culturale sul resto della popolazione dal momento che il monopolio della
violenza era ritenuto sufficiente per il mantenimento del controllo sociale; dall‟altro, la
grande maggioranza degli agricoltori era analfabeta e quindi non in grado di assimilare
la produzione intellettuale sviluppata dai chierici. Inoltre le caratteristiche del lavoro dei
campi rendevano poco utile un insegnamento impartito da specialisti, l‟educazione delle
nuove generazioni era data direttamente dalle precedenti [Gellner, 1983, [1989: 21-34]).
Il ruolo dei chierici è mutato radicalmente in concomitanza con le trasformazioni nella
divisione del lavoro e dei processi di produzione che ha segnato l‟avvento della società
industriale.
Se le civiltà agricole erano organizzate in modo da riprodurre loro stesse,
l‟industrializzazione ha portato con sé l‟idea di progresso. La scolarizzazione, finalizzata
all‟accumulo e allo sviluppo del sapere si è generalizzata, ha reso la conoscenza diffusa
della scrittura un prerequisito indispensabile al funzionamento della società.
Il nuovo sistema di produzione richiedeva inoltre una comunicazione continuata ed
estremamente settoriale tra gli individui. A ciò si deve aggiungere che le trasformazioni
politiche ad esso connesse hanno reso i diversi strati sociali meno estranei tra loro,
spingendo i detentori del potere politico a cercare un consenso culturale, non essendo più
sostenibile un dominio basato sulla sola forza.
Il nuovo contesto ha visto l‟emergere di diverse categorie di specialisti dell‟educazione,
incaricati di formare gli individui nei diversi rami del sapere da cui dipende il
funzionamento del sistema sociale. Ai sacerdoti delle civiltà tradizionali si sono quindi
aggiunte altre tipologie di insegnanti (Gellner, 1983, [1989: 35-62]).
91
Nella presente ricerca ci interesseremo ad un particolare tipo di chierico, colui che,
grazie a particolari risorse espressive, porta alla conoscenza del resto della popolazione
quelli che sono ritenuti problemi sociali.
Le due tipologie ideali di attori del processo di pubblicizzazione dei problemi sociali si
riveleranno importanti nella nostra ricerca.
Nel prossimo paragrafo vedremo, ripercorrendo in forma sintetica i concetti analizzati
nel capitolo, le diverse dimensioni sociali che sono alla base della loro azione.
1.4 Conclusioni.
Il processo di problematizzazione pubblica è un fenomeno complesso che tocca
molteplici aspetti del vivere assieme degli uomini.
Abbiamo individuato due tipologie ideali di attori, gli imprenditori morali e i chierici
mediatori, che interagiscono con gli altri membri della società facendo emergere nello
spazio pubblico quelli che le proprie rappresentazioni sociali percepiscono come
problemi.
Questi due tipi di attore si differenziano per la legittimazione a partecipare allo spazio
pubblico; ai primi è riconosciuta l‟esperienza sociale necessaria a esercitare un‟attività
politica volta a normalizzare una situazione ritenuta anomica, ai secondi è invece
attribuito il possesso degli strumenti che permettono di configurare narrativamente la
situazione in questione e di portarla all‟attenzione della collettività.
Entrambe le tipologie di attori osservano la società, individuandone i problemi,
attraverso le proprie rappresentazioni sociali che sono il frutto della relazione riflessiva
che essi intrattengono con la collettività e che sono costituite da codici che permettono di
nominare e classificare i vari aspetti del mondo (Moscovici,1973).
I codici si formano attraverso modalità molto complesse, il presente modello ne
individua due principali ordini, quelli inerenti alle identità collettive e quelli relativi ai
modelli culturali. I primi costituiscono la cornice, le regole fondamentali, entro cui gli
92
individui compiono le loro azioni, i secondi forniscono l‟orientamento su come muoversi
all‟interno di queste norme. I codici identitari (Eisenstadt, 2000, 1998) hanno dei tempi
di mutazione estremamente lunghi e dipendono da caratteristiche fondamentali come la
religione (Eisenstadt/Giesen, 1995) o, come vedremo, l‟appartenenza linguistica (cfr. 2).
Accanto alle identità collettive vi sono i modelli culturali (Touraine, 1965, 1973)
caratteristici dell‟era moderna. Essi costituiscono gli orientamenti per la gestione dei
diversi sottosistemi sociali e sono strettamente correlati ai rapporti di potere vigenti in
una società. I modelli culturali, molto più facilmente rispetto alle identità collettive,
possono venire sostituiti da modelli alternativi quando delle azioni collettive, dei
movimenti storici, hanno la forza per imporli.
Perché un modello culturale possa mantenersi o, al contrario, perché uno differente possa
affermarsi, è necessaria una produzione ideologica in grado di proporre una visione
complessiva della società condivisa da un numero sufficiente di individui.
L‟ideologia è il rapporto immaginario che gli individui intrattengono con i propri
rapporti sociali reali (Althusser, 1965, 1970). Essa viene assimilata inconsciamente
attraverso delle pratiche egemoniche (Gramsci, 1948) finalizzate a creare un consenso
collettivo attorno ad un ordine sociale contingente, o tramite delle pratiche controegemoniche (Laclau/Mouffe, 1985) volte a crearne uno alternativo.
Il luogo simbolico in cui prendono forma le rappresentazioni sociali è lo spazio pubblico.
Esso è la zona dell‟agire umano (Arendt, 1959), in cui gli uomini si confrontano gli uni
con gli altri.
Lo spazio pubblico ha iniziato ad affermarsi nella sua dimensione moderna con
l‟emergere di una sfera pubblica borghese (Habermas, 1962), all‟interno della quale il
nuovo ceto dominante discute razionalmente gli assetti della società.
Lo spazio pubblico mediatizzato contemporaneo (Wolton 1991, Wolf 1996) che gli è
succeduto e si è venuto a creare con la democratizzazione della società e con il
proliferare dei massmedia, ha perso il suo carattere puramente razionale ed ha un
93
funzionamento complesso, costituito da un processo di comunicazione a circuito
continuo produzione-distribuzione-produzione (Hall, 1980). In questo processo i
codificatori – nel nostro caso, gli imprenditori morali ed i chierici mediatori – codificano
un problema pubblico sulla base delle loro rappresentazioni sociali. La decodifica del
messaggio sarà diversa a seconda dei destinatari, dando luogo a nuove rielaborazioni del
problema. A loro volta queste reinterpretazioni produrranno nuove rappresentazioni
sociali che saranno re-immesse nel circuito comunicativo.
Il processo di creazione dei problemi pubblici si caratterizza da meccanismi di azioneretroazione estremamente complessi. Gli attori che ne prendono parte, infatti,
definiscono e descrivono fenomeni collettivi appartenenti alla scena sociale di cui essi
stessi fanno parte.
Questo capitolo ha permesso di illustrare il modello teorico che ci permetterà di
descrivere, dapprima, le caratteristiche del contesto svizzero in cui viene costruito il
problema pubblico e, in seguito, le specificità della problematizzazione dello straniero
attraverso l‟analisi dei discorsi mediatici sulle procedure di naturalizzazione.
94
Capitolo II: Le strutture dello spazio pubblico in Svizzera.
Dopo aver considerato da un punto di vista generale come avviene la problematizzazione
pubblica di una situazione sociale ed aver descritto gli attori che vi prendono parte,
osserveremo ora quali sono le caratteristiche che questo processo assume in Svizzera.
In particolare, vedremo le ragioni per le quali determinati problemi sociali (Céfai, 1996)
vengono discussi pubblicamente in maniera diversa nelle tre principali regioni
idiomatiche elvetiche49.
La prima parte del capitolo è consacrata ad un‟analisi della situazione linguistica in
Svizzera. Dopo una panoramica sulla ripartizione geografica e quantitativa delle diverse
lingue e i loro contesti d‟uso sul territorio nazionale, presenteremo l‟evoluzione storica
che ha permesso lo sviluppo delle collettività idiomatiche.
Successivamente, anche attraverso l‟analisi delle strutture e delle segmentazioni dello
spazio pubblico mediatizzato elvetico, mostreremo come all‟appartenenza idiomatica –
ed, in particolare, al rapporto intrattenuto con la propria lingua (Widmer, 2004a) corrisponda un senso identitario collettivo (Eisenstadt/Giesen, 1995) che si traduce in
una specifica conformazione dei dibattiti pubblici dovuta, anche, all‟interpretazione del
ruolo esercitato dai chierici mediatori (Gellner, 1983).
In seguito considereremo le caratteristiche del sistema politico svizzero, soffermandoci
su come le peculiarità della democrazia diretta (Kriesi, 2005) incidano sull‟azione degli
imprenditori morali (Becker, 1963) che animano i diversi movimenti storici che si
contrappongono per il mantenimento o la sovversione di determinati modelli culturali
(Touraine, 1965, 1973).
Infine, presenteremo il contesto in cui è avvenuta la votazione popolare sull‟adesione
allo Spazio economico europeo (1992), che costituisce ancora oggi il caso più
emblematico di differenziazione delle preferenze politiche tra le regioni linguistiche.
Non considereremo in questa ricerca la componente linguistica reto-romancia che pure è a pieno
titolo lingua nazionale (ma non ufficiale). Questo perché essa si compone di un numero veramente
esiguo di locutori (lo 0.5% di coloro che si esprimono in un idioma nazionale), ciò che rende il suo
spazio pubblico molto particolare e difficilmente comparabile. Inoltre praticamente la totalità di
coloro che si esprimono in questo idioma sono bilingui germanofoni o italofoni.
49
95
2.1 Situazione linguistica ed evoluzione storica delle diverse collettività.
La maggior parte dei Paesi è plurilingue, all‟interno di molte entità statali sussistono
minoranze idiomatiche; ciò che caratterizza la Confederazione è il suo essere uno Stato
plurilingue. A partire dall‟entrata in vigore della Costituzione del 1848, infatti, viene
riconosciuta un‟uguaglianza giuridica tra le tre lingue amministrative – tedesco, francese
ed italiano – sul piano nazionale. Nel 1939, inoltre, al romancio, un idioma parlato da
poche migliaia di locutori, è stato accordato lo statuto di lingua nazionale, anche se priva
di valenza amministrativa al di fuori della propria regione di riferimento (Widmer, 2003:
1-30).
Per queste ragioni, il termine nazione, in Svizzera, non fa riferimento né a una lingua, né
a un Paese, né a un popolo (Schlöpfer, 1985: 11-20). Di contro, sono ben definite dalla
Costituzione federale le “comunità linguistiche”: esse sono costituite da popolazioni
autoctone che condividono una medesima lingua e che sono raggruppate in maniera
maggioritaria in una determinata regione ed a cui sono riconosciuti determinati diritti
sulla base del principio di territorialità (Gohrad-Radencovik, 2007).
Nelle pagine che seguono descriveremo, dapprima, le caratteristiche sociostrutturali
attuali delle diverse collettività ed in seguito l‟evoluzione storica che ha generato questa
situazione. In particolare ci focalizzeremo sulle circostanze che durante l‟Alto
Medioevo, contemporaneamente alla diffusione regionale del cristianesimo, hanno
portato alla formazione degli attuali gruppi linguistici. È molto interessante, in proposito,
notare come questi eventi abbiano coinciso con l‟affermarsi a livello europeo delle
civiltà assiali che hanno permesso la formazione dei codici di identificazione descritti da
Eisenstadt (2000). Successivamente vedremo come la lega di Cantoni medioevale, di
fatto a dominazione germanofona, si sia trasformata in uno Stato moderno plurilingue
capace di garantire la sopravvivenza delle diverse collettività.
In sintesi, questo paragrafo delinea le importanti differenze esistenti tra le collettività
idiomatiche; ciò che consentirà, successivamente, di evidenziare l‟importanza
96
dell‟appartenenza linguistica nella definizione dei codici di identificazione collettiva che,
a loro volta, condizionano le architetture dello spazio pubblico svizzero.
2.1.1 Caratteristiche socio-demografiche.
I risultati della ricerca quantitativa condotta da Iwar Werlen e Georges Lüdi (2005)50
forniscono un quadro molto esaustivo della situazione linguistica svizzera, dei confini
territoriali in cui vengono utilizzati i diversi idiomi,
della loro diffusione e delle
principali sfere d‟attività in cui vengono utilizzate. L‟analisi dei contesti d‟uso delle
lingue standard e delle parlate orali permette, inoltre, di ricavare alcune prime
informazioni sull‟rapporto che le diverse collettività intrattengono con il proprio idioma.
Rapporti spaziali e demografici.
Come mostra la cartina,
le lingue nazionali non sono ripartite uniformemente sul
territorio.
50
I dati alla base di questo studio provengono dal censimento federale dell‟anno 2000, e non sono
quindi particolarmente recenti, essi presentano però aspetti che li rendono per noi di particolare
interesse. Innanzitutto la ricchezza di informazioni presenti in questa rilevazione permette un‟analisi
quantitativa di dimensioni altrimenti osservabili unicamente da un punto di vista qualitativo. Inoltre,
tenendo conto che le collettività linguistiche sono soggette a mutamenti estremamente lenti, l‟anno
2000 si situa in una posizione quasi mediana all‟interno del periodo considerato dalla ricerca empirica
che presenteremo nel prossimo capitolo.
97
Popolazione residente secondo la lingua d‟origine.
Fonte: Ufficio federale di statistica (2005), Censimento federale della popolazione (2000).
È possibile distinguere chiaramente tre regioni linguistiche maggiori ed alcune aree in
cui vi è prevalenza del romancio. La Svizzera occidentale è francofona, quella nordorientale germanofona e quella sud-orientale italofona. A livello regionale si constata
che la maggior parte dei Cantoni fa riferimento ad un'unica lingua, fanno eccezione
Berna, Friborgo e Vallese, le cui aree occidentali sono francofone e quelle orientali
germanofone, ed i Grigioni, in cui vi sono zone a prevalenza germanofona, romancia ed
italofona.
La diffusione delle lingue nel Paese è, essa pure, molto differenziata; il dato che emerge
con maggiore chiarezza è che la Confederazione è abitata da una popolazione a netta
maggioranza germanofona. Considerando unicamente i cittadini svizzeri, la componente
98
germanofona costituisce il 72.5%, i francofoni il 21%, gli italofoni il 4.3% ed i romanci
lo 0.6%.
Le percentuali cambiano includendo anche gli stranieri residenti, in questo caso i
locutori di lingua tedesca diminuiscono significativamente (63.7%), quelli di lingua
francese rimangono sostanzialmente invariati (20.4%), mentre, a causa della massiccia
immigrazione di lavoratori dalla vicina Penisola, aumentano gli italofoni (6.5%). L‟uso
di lingue non nazionali si attesta al 9%.
Uso della lingua standard e delle parlate locali.
Fino ad ora abbiamo descritto della maggioranza germanofona senza specificarne le
caratteristiche. Se all‟interno delle altre due componenti linguistiche principali è
possibile riscontrare una persistenza più o meno residuale di vari dialetti, in Svizzera
tedesca esiste una vera e propria diglossia modale, una compresenza di due lingue
contigue ma funzionalmente differenziate. È assolutamente improprio considerare questo
un dialetto, dal momento che i germanofoni, pur con alcune sfumature che
approfondiremo in seguito, considerano lo Schweizerdeutsch la loro lingua orale, quella
per “parlare”, ed il tedesco standard quella scritta.
Le importanti differenze tra le collettività riguardo a questo aspetto, appaiono evidenti
già considerando l‟uso linguistico nel contesto familiare e domestico.
Gli svizzeri germanofoni fanno larghissimo utilizzo dello Schweizerdeutsch (96.2%), il
tedesco standard è parlato dal 6.7%, ma per solo l‟1.3% esso costituisce l‟unica lingua.
Per quanto riguarda gli stranieri , complessivamente solo il 39.7% di loro parla tedesco
(13.8%) e/o Schweizerdeutsch (29.1%) in famiglia.
In Svizzera francese esistono delle forme dialettali (i patois), ma la loro diffusione,
anche in contesto famigliare, è assolutamente marginale, solo lo 0.4% degli svizzeri e lo
0.2% degli stranieri ne fa uso. Un dato interessante riguarda gli stranieri che parlano
francese, l‟87.4% di loro lo utilizza in casa, una percentuale molto maggiore rispetto a
quella degli immigrati che si esprimono in tedesco nella regione germanofona.
99
Nella Svizzera italiana il fenomeno dell‟uso del dialetto presenta maggiori sfaccettature
rispetto alle altre due regioni linguistiche. Le parlate italo-grigionesi51, pur non avendo
un‟importanza ed uno statuto paragonabile allo Schweizerdeutsch, hanno una diffusione
significativa presso la popolazione autoctona. Il 44.6 % degli svizzeri italofoni le utilizza
in casa e, per il 21.2% di loro, esse costituiscono l‟unica lingua usata nel contesto
familiare. Diversamente da quanto accade nella regione germanofona, l‟uso del dialetto
da parte degli stranieri è molto limitato (4%).
L‟uso delle diverse lingue in contesto familiare riveste, da un punto di vista sociologico,
un grande significato, dal momento che la famiglia è l‟ambiente nel quale avviene la
socializzazione primaria di un individuo. Altrettanto importanti sono però i luoghi della
formazione scolastica e professionale, che concorrono alla seconda fase del processo di
socializzazione. Vedremo ora il rapporto esistente tra i diversi idiomi parlati dagli
studenti durante le scuole obbligatorie. Ci occuperemo principalmente di quanto avviene
nella svizzera italiana ed in quella tedesca. Non considereremo la parte francofona dal
momento che, come abbiamo visto, l‟uso dei dialetti ha un peso trascurabile all‟interno
dei nuclei familiari ed è inesistente in altri contesti istituzionali.
Il dialetto italo-grigionese è poco utilizzato all‟interno delle istituzioni scolastiche, ma
non è completamente scomparso. L‟italiano è largamente predominante come lingua
parlata a scuola, per la quasi totalità degli studenti (97.9%) è uno degli idiomi parlati e
per l‟88.6% esso è l‟unico a venire utilizzato. Il dialetto è parlato dall‟11.1% degli
allievi, ma solo l‟1.8% lo considera l‟unica lingua di comunicazione.
La situazione nella regione germanofona si presenta completamente diversa. Si nota,
infatti, una larga diffusione dello Schweizerdeutsch, il 91.7% ne fa uso in contesto
scolastico ed il 39% lo considera l‟unica lingua. Il tedesco standard è molto meno
parlato, il 60.3% lo utilizza e per il 7.5% esso rappresenta il solo idioma.
51
Il concetto di dialetto italo-grigionese non è filologicamente preciso (Lurati, 1985: 171-201) ma è
funzionale ad un analisi quantitativa. Esso si riferisce all‟insieme degli idiomi, oralmente istituiti,
parlati nelle regioni italofone della Svizzera.
100
Considerazioni generali.
I dati quantitativi fin qui considerati fanno apparire un quadro estremamente variegato
della situazione linguistica del Paese, sia per quanto riguarda la diffusione dei principali
idiomi, sia per le differenze tra le collettività nell‟uso delle lingue standard e delle
parlate locali.
Per quanto riguarda il primo aspetto, si constata come le quattro lingue nazionali siano
ripartite in altrettante aree geografiche relativamente ben definite. La regione centroorientale è prevalentemente germanofona, quella occidentale francofona, quella sudorientale italofona ed all‟estremità orientale esistono delle gruppi linguistici romanci.
La diffusione delle lingue è molto differenziata, la maggior parte della popolazione
svizzera è germanofona (72%), la componente francofona è di poco superiore al 20% ,
quella italofona ammonta al 4.3%, mentre i locutori romanci rappresentano unicamente
lo 0.6%.
Considerando la popolazione residente si nota una massiccia presenza di lingue non
nazionali (9%) legata all‟elevato numero di stranieri presenti nel Paese.
Per ciò che concerne il secondo aspetto, si nota come l‟importanza delle parlate locali sia
praticamente nulla per la componente francofona, significativa per quella italofona ed
estremamente importante per quella germanofona.
In Svizzera francese la percentuale di coloro che parlano un dialetto nel contesto
familiare è inferiore allo 0.5%, in quella italiana è del 44.6% ed in quella tedesca è del
96.7%, un dato, quest‟ultimo, che rende già di per se improprio il concetto di dialetto
applicato allo Schweizerdeutsch.
Un fenomeno analogo lo si constata analizzando l‟uso degli idiomi locali da parte degli
studenti in contesto scolastico. L‟utilizzo di lingue istituite attraverso l‟oralità è in questo
caso ovviamente nullo nella regione francofona, scarso in quella italofona (11.1%) e
molto importante in quella germanofona (91.7%).
Questi dati relativi alle differenze nei contesti d‟uso delle lingue standard e delle parlate
locali tra le collettività completano le considerazioni proposte da Rita Franceschini
101
(1996: 9-29), che ha constatato una molto maggiore difficoltà nell‟adattamento degli
alloglotti alla cultura linguistica della collettività germanofona rispetto a quanto avviene
a quelle latine.
Approfondiremo ora le circostanze storiche che hanno portato alla ripartizione
geografica delle diverse collettività idiomatiche.
2.1.2 Dall‟antichità all‟Alto Medioevo.
Analizzeremo ora gli eventi politici e culturali che hanno portato il territorio svizzero ad
essere abitato da collettività linguistiche differenti. Per comprendere come ciò sia
avvenuto occorre considerare un periodo storico nettamente anteriore all‟epoca in cui la
Confederazione fu fondata.
L‟arco di tempo in cui si svolsero questi fatti si estende dal III-IV d.C. - quando le
popolazioni germaniche iniziarono penetrare all‟interno dello Stato Romano e, nel
contempo, si diffondeva nella regione il cristianesimo - al VIII d.C., allorché dopo le
tumultuose dominazioni burgunda ed alemanna, vi fu una stabilizzazione della
situazione linguistica e religiosa dovuta al progressivo affermarsi del Regno Franco.
Come vedremo successivamente (cfr. 2.2), questa fase storica presenta un particolare
interesse per l‟analisi del processo di codifica delle identità collettive dei diversi gruppi
linguistici: questi ultimi iniziarono, infatti, a formarsi contemporaneamente all‟avvento
della religione cristiana, che, secondo Eisenstadt (2000), è all‟origine del chiasmo tra
visione ontologica fondamentale ed organizzazione sociale ed è alla base del processo
costitutivo delle civiltà assiali.
Il periodo precedente alla dominazione romana rimane piuttosto oscuro, è noto tuttavia
che gli abitanti dell‟odierna Svizzera erano, nell‟antichità, popolazioni di ceppo celtico
(Ducrey, 1982: 19-51). La scarsità di informazioni su di esse, unita alla lunga durata ed
alla grande influenza del dominio romano, non permettono di valutare quali
102
caratteristiche hanno lasciato in eredità agli attuali abitanti del Paese. Certo è che il loro
modo di vivere, la Cultura di La Tène, è stato dominante in Europa per almeno cinque
secoli, dal VI a.C. al I a.C. (Cunliffe, 1997).
Il territorio svizzero nell‟antichità.
Il dominio romano si protrasse dal 52 a.C., allorché Giulio Cesare pose fine alla relativa
indipendenza degli Elvezi, sino al IV d.C. quando iniziò il progressivo abbandono
imperiale del territorio. Durante questa fase storica vi fu un vero e proprio processo di
acculturazione pacifica caratterizzato da un progressivo processo di romanizzazione
delle popolazioni celtiche (Ducrey, 1982: 51-96).
La società romana - che era molto religiosa, basti pensare alle innumerevoli costruzioni
sacre presenti nella struttura urbana delle città – ha conosciuto profonde trasformazioni
nel suo rapporto con il divino.
A partire dal II d.C., si diffusero, infatti, nelle regioni occidentali dell‟impero, e quindi
anche nel territorio svizzero, di forme di culto orientali che si sovrapposero al
paganesimo tradizionale. Lo sviluppo di queste credenze - l‟adorazione di Mitra, di
Osiride e di Dionisio – rispondeva ad un esigenza di una dimensione maggiormente
metafisica nel rapporto con gli dei (Ducrey, 1982: 86-90).
L‟Impero Romano stava quindi, per usare la terminologia di Eisenstadt (2000),
completando il suo divenire una civiltà assiale.
In questo contesto di rinnovato fervore religioso, il cristianesimo, introdotto
probabilmente dai legionari di stanza nella regione, incontrava uno straordinario
successo. Vi sono testimonianze dell‟esistenza nel territorio svizzero di comunità
cristiane in un‟epoca ben anteriore al 313 d.C., quando fu emanato l‟editto di tolleranza
di Costantino.
Quando, a partire dal V d.C., l‟influenza civilizzatrice dell‟Impero Romano venne meno,
spazzata via dalle invasioni germaniche, fu il cristianesimo a raccoglierne l‟eredità.
103
Formazione delle collettività linguistiche nell‟Alto Medioevo.
Gli studi di Walter Haas (1985b: 21-57) e Guy P. Marchal (1982: 99-114) sono concordi
nel descrivere come nei primi secoli dell‟Alto Medioevo si siano prodotti due fenomeni
di grande importanza che ancora caratterizzano la Svizzera attuale: l‟instaurazione delle
frontiere linguistiche e la diffusione capillare del cristianesimo.
La dominazione romana, che aveva garantito un lungo periodo di stabilità e prosperità
alla comunità gallo-romana, cominciò a vacillare verso la fine del III d.C.
L‟abbandono (260 d.C.) delle frontiere orientali confinanti con le terre abitate dai
Germani causò un massiccio esodo della popolazione autoctona che, per paura delle
incursioni degli Alemanni, si spostò dalle regioni della Svizzera nord-orientale verso
quelle più occidentali.
Il tracollo dell‟Impero Romano d‟Occidente, nel V d.C., provocò l‟abbandono definitivo
(401 d.C.) del presidio militare romano in territorio elvetico.
Esistono testimonianze attendibili della sopravvivenza di talune colonie romane fino
approssimativamente al VI d.C. (Marchal, 1982: 101), si trattava però di comunità che
vivevano di un‟economia di sussistenza e che, pur mantenendo gli antichi costumi,
lottavano da posizioni insostenibili contro un mondo che stava inesorabilmente
cambiando.
Le popolazioni germaniche - i Burgundi a ovest, gli Alemanni ad est, i Goti prima e i
Longobardi poi a sudest – si accingevano ad assumere, con modalità diverse tra loro, il
controllo del territorio svizzero.
104
Le popolazioni germaniche sul territorio svizzero nel VI d.C.
Fonte: AAVV, Storia della Svizzera, Dadò, Locarno, 1989: p. 31
Non essendo separata dalle Alpi, la popolazione residente nell‟attuale regione italofona
condivise l‟evoluzione culturale e linguistica degli abitanti della pianura padana. Venne
dapprima inglobata nel regno degli Ostrogoti, in seguito riconquistata da Giustiniano ed
infine assoggettata dai Longobardi.
Le aree dove attualmente è parlato il romancio erano, soprattutto all‟epoca,
particolarmente impervie e l‟influenza dei germani non era abbastanza pregnante da
influenzare significativamente la lingua utilizzata dalla popolazione.
Più interessante, da un punto di vista dell‟analisi sulle origini delle attuali frontiere
linguistiche, è lo studio delle forme di dominazione esercitate dai Burgundi e dagli
Alemanni.
I primi germani a stabilirsi in territorio svizzero (436 d.C.), occupandone la parte
occidentale, furono i Burgundi. Essi non erano probabilmente degli invasori, quanto un
105
popolo alleato di Roma a cui fu concesso di stabilirsi nella regione. Il loro regno era una
creazione politica caratteristica della fase finale dell‟Impero.
La Chronica Gallica parla di uno stanziamento della reliquiae Burgundionum, Guy
Marchal (1982: 102-103) interpreta il termine reliquie come “ciò che rimane”,
deducendo che doveva trattarsi di un piccolo contingente, verosimilmente decimato dagli
innumerevoli conflitti che insanguinavano l‟Europa del periodo.
Questa tesi è suffragata da studi archeologici (Martin, 1910) che permettono di stimare
che la popolazione burgunda non avrebbe costituito più di un decimo del totale degli
abitanti della regione. Il loro esiguo numero unito alla maggiore raffinatezza della civiltà
in cui si insediarono fece sì che buona parte della classe dirigente restasse di origine
autoctona. Le testimonianze gallo-romane pervenuteci portano a pensare che questo
popolo germanico avesse presto assimilato la lingua e la cultura romane.
Il regno Burgundo non sopravvisse per lungo tempo e venne integrato in quello dei
Franchi nel 534 d.C. Tuttavia esso contribuì in maniera decisiva a preservare l‟impronta
romana che caratterizzava la configurazione civilizzazionale e linguistica della Svizzera
occidentale.
Gli Alemanni, arrivarono più tardivamente, quando già l‟Impero Romano aveva cessato
di esistere. Fino al V d.C. essi furono uno dei popoli che maggiormente minacciavano le
frontiere imperiali, ma quando giunsero ad insediarsi nella Svizzera orientale erano
ormai indeboliti e decimati da anni di guerre contro i romani e contro gli altri popoli
germanici. Schiacciati tra i potenti regni dei Franchi e degli Ostrogoti, gli Alemanni
finirono con l‟insediarsi nel territorio che attualmente comprende la Svizzera nord
orientale. Si trattava di aree che si erano progressivamente spopolate nei secoli
precedenti dal momento che, essendo situate immediatamente a ridosso delle frontiere
dell‟Impero, erano continuamente soggette a scorrerie e saccheggi.
Il popolo Alemanno, ormai ridotto ad isolate bande di fuggiaschi, si insediò in un
contesto di campagne poco popolate e di insediamenti romani semi-abbandonati. I
ritrovamenti archeologici sembrano suggerire che la frontiera che delimitava i loro
insediamenti non fosse tanto di natura politica, quanto demografica. Dato l‟esiguo
106
numero, la loro avanzata si arrestò quando, ad ovest, incontrarono popolazioni
romanizzate numericamente consistenti.
Il regno autonomo alemanno cessò di esistere nel 537 d.C quando la regione da loro
abitata venne assoggettata dai Franchi. A partire da allora fu istaurato il Ducato di
Alemagna, la cui direzione politica pare fosse esercitata da notabili franchi piuttosto che
da capi indigeni (Kaiser, 2002).
Pur se di durata relativamente breve, il regno Burgundo e quello Alemanno ebbero
un‟influenza decisiva nel determinare le frontiere tra le due attuali principali aree
linguistiche (Marchal, 1982: 108-109). Ad una tale conclusione è possibile giungere
analizzando i nomi dei luoghi geografici. Come abbiamo visto in precedenza, l‟influenza
culturale burgunda fu modesta all‟interno del loro stesso regno, per questa ragione è
praticamente impossibile ritrovare dei toponimi le cui origini risalgano alla loro lingua.
Si possono però distinguere i toponimi di origine alemanna (che terminano sovente per –
ingen) da quelli romani e preromani.
L‟origine dei confini linguistici.
Fonte: AAVV, Nuova storia della Svizzera e degli svizzeri, Casagrande, Bellinzona, p.101
107
Attraverso i prefissi Wal- o Walen- è inoltre possibile risalire agli insediamenti romani
di frontiera, la popolazione alemanna, infatti, utilizzava una parola simile per designare
un confine.
In particolare si constata che i confini tra i toponimi corrispondono a quelli tra le due
aree linguistiche odierne. L‟attuale cantone di Vaud costituisce l‟unica significativa
eccezione, esso presenta numerosi luoghi il cui nome è di origine alemanna (-ens o –
ence, originati dalla forma –ingen), ciò fa pensare che questa regione, oggi
completamente francofona, fosse in origine bilingue (Haas, 1985b: 50-51).
Diffusione del cristianesimo in Svizzera.
Come abbiamo visto in precedenza, già in epoca romana, a partire dal II d.C., si
diffusero sul territorio svizzero svariate religioni di origine orientale che si
caratterizzavano per un rapporto maggiormente metafisico con il divino rispetto al
paganesimo romano.
Quando nel IV d.C. e nel V d.C. il cristianesimo si estese nell‟Impero fino a diventarne
la religione ufficiale, esso arrivò anche in Svizzera, grazie principalmente all‟influenza
di legionari convertiti (Marchal, 1982: 109-116).
Alla vigilia del crollo della potenza romana, numerose città – tra cui le attuali Coira,
Ginevra e Martigny – avevano già un vescovo.
La dominazione burgunda non aveva portato a grosse trasformazioni religiose e le sedi
episcopali presenti nella Svizzera occidentale poterono continuare pressoché indisturbate
la loro missione.
Diversa fu la situazione nelle terre orientali dominate dagli Alemanni. Si trattava di aree
scarsamente popolate, dove le comunità romane-cristianizzate non potevano influenzare,
se non sporadicamente, il paganesimo dei nuovi dominatori.
La cristianizzazione della Svizzera orientale avvenne più tardivamente, a partire dal VII
d.C., sotto il Ducato di Alemagna e quindi, indirettamente, ad opera dei Franchi. La
conversione, soprattutto nelle campagne, avvenne grazie a due principali centri di
irradiazione, l‟abbazia di San Gallo e quella di Saint-Maurice.
108
Considerazioni generali.
Lo scopo di questo paragrafo è quello di evidenziare la contemporaneità storica tra
l‟emergere sul territorio svizzero dei tratti propri ad una civiltà assiale, nell‟accezione
che Eisenstadt (2000) attribuisce al termine, e lo sviluppo delle diverse collettività
linguistiche.
In altri termini, le diverse popolazioni giunte nell‟attuale Svizzera hanno iniziato,
assieme agli abitanti autoctoni, a codificare i propri idiomi e a stabilire la propria
organizzazione sociale in funzione della visione ontologica fondamentale data dai
precetti della religione cristiana. Questo processo di civilizzazione è all‟origine dei tratti
di distinzione caratteristici delle identità collettive, che, oggi, definiscono le strutture
dello spazio pubblico del Paese.
La nascita delle maggiori collettività linguistiche, abbiamo visto, è conseguenza delle
diverse modalità di insediamento di due popoli germanici, i Burgundi e gli Alemanni,
rispettivamente ad ovest e a nord-est del territorio svizzero.
Le attuali minoranze italofona e romancia hanno origini diverse, ma, almeno la prima, è
anch‟essa nata dalla commistione tra la civiltà romana e quella germana.
La fase storica, tra il IV d.C. ed VII d.C., in cui sono state gettate le basi per le attuali
collettività linguistiche svizzere è compresa in quella più ampia, tra il II d.C. ed il VII
d.C., in cui si è assistito ad una profonda trasformazione del sentimento religioso
collettivo caratterizzato dalla diffusione del cristianesimo che, a parte la parentesi pagana
del regno alemanno, ha conosciuto uno sviluppo inarrestabile. La nuova religione, molto
più di quelle che l‟hanno preceduta, implicava una visione ontologica fondamentale
capace di esercitare una forte influenza sull‟organizzazione sociale.
Questo periodo storico è di grande importanza per la definizione delle identità collettive,
ma, come abbiamo ricordato in precedenza, la presenza di gruppi linguistici differenti è
caratteristica di molti Paesi, ciò che differenzia la Svizzera dalla maggior parte dei suoi
vicini europei è la sua struttura federalista, instaurata a metà dell‟Ottocento, che ha
consentito alle diverse collettività idiomatiche di sviluppare le rispettive caratteristiche.
109
2.1.3 Dalla Lega di Stati germanofona allo Stato federale plurilingue.
In questo paragrafo ci occuperemo della fase storica che ha portato alla costituzione di
uno Stato multilingue. In altri termini, del periodo in cui l‟aggregazione passiva
relativamente stabile di collettività idiomatiche, divenne oggetto di una politica attiva e
la Confederazione, affacciandosi alla modernità, sottomise ad una legge la propria
eterogeneità linguistica, facendo di essa un proprio elemento costitutivo.
Come vedremo, infatti, la Svizzera si dotò delle proprie strutture istituzionali in seguito
alla Guerra del Sonderbund (1847) che segnò il passaggio da una Lega di Stati
praticamente indipendenti ad uno Stato dotato di un potere centrale (Weibel, 1999).
Le istituzioni federaliste, stabilite con la Costituzione del 1848, esercitavano la funzione
di attenuare le lacerazioni politico-religiose che avevano contrapposto i Cantoni
conservatori cattolici a quelli liberali prevalentemente protestanti. In questo contesto, la
regolamentazione delle diversità linguistiche, pur se piuttosto secondaria, era ispirata dai
principi liberali e radicali che animavano il ceto politico uscito vincitore dal conflitto ed
avevano lo scopo di razionalizzare l‟amministrazione statale e di garantire l‟uguaglianza
di fronte alla legge di tutti i cittadini (Altermatt, 2003: 39-49).
L‟importanza, politica ed identitaria, delle collettività idiomatiche elvetiche si è
accresciuta progressivamente nel XX secolo, ma lo spirito alla base dell‟assetto
legislativo in vigore dal 1848, che ne garantiva la coesistenza e lo sviluppo, è rimasto
immutato. Le modifiche successive sono state per la maggior parte formali o, nel caso
della riforma del 1939 che ha riconosciuto al romancio lo statuto di lingua nazionale,
dettate da ragioni legate alla situazione internazionale (Widmer, 2004b).
Situazione linguistica dal Medioevo alla Guerra del Sonderbund.
Le vicende politiche che hanno coinvolto il territorio svizzero iniziarono a distinguersi
da quelle del Sacro Romano Impero alla fine del XIII d.C. L‟alleanza originaria tra Uri,
Svitto ed Untervaldo (1291), successivamente allargatasi a 13 Cantoni, era una
federazione di Stati priva di un contratto di associazione uniforme e fondata su una
moltitudine di trattati particolari. Sino al 1798 non vi erano, con la parziale eccezione di
110
Friburgo, Cantoni che non fossero germanofoni. Esistevano territori soggetti o alleati la
cui popolazione era francofona o italofona, ma queste aree non godevano degli stessi
diritti attribuiti agli Stati confederati. Benché anche alcune regioni germanofone
avessero lo statuto di baliaggio, è probabile che solo le collettività di lingua tedesca
potessero divenire pienamente parte integrante della Confederazione (Haas, 1985b: 5758).
La sola istituzione che legava i diversi Cantoni era la Dieta, che si riuniva a Zurigo, ed
era monolingue, sia per quanto riguarda i dibattimenti tra i delegati, sia per la
corrispondenza con gli alleati. I soli problemi linguistici erano legati alle comunicazioni
tra i singoli Cantoni germanofoni ed i territori a loro soggetti, gli ostacoli, però, erano
facilmente sormontabili dato che l‟amministrazione statale era molto decentralizzata, e
dunque delegata prevalentemente alle autorità locali, inoltre la maggior parte dei balivi
era in grado di comprendere il francese. I baliaggi italofoni costituivano un‟eccezione
dal momento che le parlate locali erano perlopiù sconosciute ai confederati. In questo
caso, valendo sempre il principio secondo cui il sovrano deve esprimersi nella lingua
della popolazione, i funzionari si servivano di un segretario che aveva funzione di
interprete e che, sovente, esercitava un potere informale difficilmente controllabile
(Haas, 1985b: 59-62).
Le istituzioni che reggevano l‟antica Confederazione vennero sconvolte nel 1798
dall‟invasione napoleonica. La Repubblica Elvetica, creata sul modello rivoluzionario
francese, fu uno Stato centrale i cui abitanti venivano considerati cittadini giuridicamente
eguali, in ragione di ciò scomparvero le differenze statutarie tra i Cantoni ed i loro
baliaggi. Questo sistema politico impose un‟uguaglianza tra i diversi idiomi parlati nel
Paese (de Capitani, 1982: 154-161). Oltre che da motivazioni ideologiche, il riequilibrio
degli statuti delle lingue nazionali era reso necessario dal nuovo assetto statale,
rigidamente centralizzato: le decisioni dell‟esecutivo, composto da cinque membri,
dovevano essere tradotte in tutti gli idiomi ed i dibattiti parlamentari, che avvenivano tra
deputati sovente sprovvisti delle competenze linguistiche necessarie a comprendersi
vicendevolmente, erano resi possibili dalla presenza di interpreti (Haas, 1985b: 62-64).
111
La storia della Repubblica Elvetica fu, come quella di tutti gli Stati napoleonici, molto
breve, ma il sistema politico da essa instaurato per la prima volta mise su un piano di
parità i diversi gruppi linguistici obbligando i loro rappresentanti a discutere per trovare
soluzioni condivise. In queste circostanze le classi dirigenti emerse dagli sconvolgimenti
rivoluzionari dettero prova di un forte senso unitario che sopravvisse ben oltre il crollo
delle istituzioni statali.
La Restaurazione ristabilì la vecchia federazione decentralizzata di Cantoni e impose
l‟abbandono del principio di uguaglianza tra i cittadini, ma non poté reintrodurre i
baliaggi, né, tantomeno, ebbe la forza di soffocare le idee liberali che avrebbero
condotto, nel 1848, alla nascita della Svizzera moderna.
Regolamentazione linguistica nella Svizzera moderna.
L‟ordine politico instaurato dalla Restaurazione si rivelò ben presto molto instabile. La
contrapposizione tra aree rurali prevalentemente cattoliche, favorevoli al mantenimento
di un assetto statale decentralizzato e poco inclini ad aperture di tipo democratico, e
regioni urbanizzate a maggioranza protestante, che appoggiavano la creazione di uno
Stato centrale forte ispirato da principi liberali, diede vita a scissioni cantonali ed a
insurrezioni popolari (Andrey, 1982: 173-274).
Queste tensioni portarono, nel 1844, alla costituzione di una coalizione politica e militare
di sette Cantoni cattolici (Sonderbund) finalizzata a contrastare l‟azione anti-cattolica e
centralizzatrice del Partito Radicale Democratico, molto forte nelle città riformate.
Il rifiuto da parte dell‟alleanza di sciogliersi come venne loro imposto, il 13 ottobre del
1847, dalla Dieta federale portò ad un breve e poco cruento conflitto (circa 100 morti)
che si concluse con la vittoria dell‟esercito federale (du Bois, 2002).
L‟esito dello scontro determinò l‟affermazione dei principi sostenuti dal Partito Radicale
Democratico, che accanto al liberalismo in campo economico, prospettava un
rafforzamento del ruolo dello Stato. L‟azione statale doveva promuovere la mobilità
sociale attraverso la laicizzazione delle istituzioni, l‟ampliamento dei diritti popolari e
112
l‟instaurazione di un sistema scolastico pubblico capace di garantire parità di accesso
all‟istruzione per tutti i ceti sociali (Tanner, 1997).
Sulla base di queste idee venne redatta la Costituzione del 1848, al cui interno la
questione linguistica era trattata con lo stesso spirito liberale che animava l‟intero
documento.
L‟articolo 109 attribuiva lo statuto di lingue nazionali al tedesco, al francese e
all‟italiano, i diversi idiomi erano dunque considerati su un piano egualitario, coerente
con l‟uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Tenendo però conto delle tensioni
regionali che solo pochi mesi prima avevano provocato il conflitto armato, i
costituzionalisti assegnarono al potere centrale solamente gli aspetti della vita pubblica
giudicati strategicamente vitali e la coesistenza dei diversi idiomi non era considerata tra
questi. Le politiche linguistiche furono, di fatto, delegate ai diversi Cantoni,
l‟amministrazione federale si limitava ad assicurare un funzionamento razionale
dell‟apparato statale attraverso un sistema di traduzione degli idiomi ufficiali (Widmer,
2003: 11-15).
La riforma costituzionale del 1874 lasciò immutato l‟articolo concernente le lingue
(divenuto l‟articolo 116). Il primo importante atto politico riguardo alla situazione
idiomatica avvenne, non a caso, nel 1939, quando in Europa le tensioni nazionaliste
avevano raggiunto il loro culmine. Già a partire dalla fine della Grande Guerra era sorto
un movimento che promuoveva il ruolo del romancio, la campagna si concluse con un
voto delle camere federali, nel 1937, e con una consultazione referendaria, nel 1938, che
accordarono a questo idioma lo statuto di lingua nazionale non ufficiale. Data l‟esiguità
di locutori di lingua romancia, lo scopo di questa riforma era eminentemente politico, si
voleva affermare con essa l‟identità elvetica attraverso un suo tratto caratteristico: il
plurilinguismo (Widmer, 2004b).
L‟attuale Costituzione, votata nel 1996 ed entrata in vigore nel 1999, precisa meglio la
questione delle lingue senza però mutare l‟impianto legislativo risalente al 1848.
L‟articolo 18 enuncia, per la prima volta, il diritto alla libertà di lingua. L‟articolo 70
(che sostituisce l‟articolo 116) presenta invece delle novità: (al.1) il romancio diviene un
idioma parzialmente ufficiale, la Confederazione ne accorda l‟ufficialità nelle sue
113
relazioni con i locutori; (al.2) i Cantoni determinano le loro lingue ufficiali, rispettano le
ripartizioni territoriali e prendono in considerazione le minoranze linguistiche autoctone;
(al.4) la Confederazione sostiene i Cantoni plurilingui nell‟esecuzione dei loro compiti
particolari; (al.5) la Confederazione sostiene le misure prese dai Cantoni Grigioni e
Ticino per la salvaguardia del romancio e dell‟italiano (Forster, 2007).
In queste pagine abbiamo reso conto della situazione linguistica svizzera e
dell‟evoluzione storica ed istituzionale che ne è all‟origine. La Confederazione si
compone di tre collettività idiomatiche maggiori e ne riconosce una quarta, il romancio,
molto minoritaria. Il processo che ha portato alla costituzione di questi gruppi linguistici
è molto antico, risalente all‟instaurazione dei regni romano-germanici all‟alba del
Medioevo e contemporaneo alla diffusione del cristianesimo nella regione. Diversamente
da quanto avvenuto nella maggior parte dei Paesi europei, le differenze linguistiche non
sono state soffocate dall‟affermazione del modello di Stato-nazione. La nascita,
all‟interno del Sacro Romano Impero, di una Lega di Stati indipendenti e la sua
conseguente trasformazione in una Repubblica democratica di tipo napoleonico prima, e
di uno Stato moderno di impronta liberale poi, ha permesso lo sviluppo di un impianto
istituzionale che ha consentito la coesistenza ed il mantenimento della pluralità
idiomatica.
Nel prossimo paragrafo porremo in evidenza come la diversa appartenenza linguistica
abbia portato le tre principali collettività a sviluppare delle identità dotate di tratti
distintivi che, ancora oggi, si ripercuotono sul modo di problematizzare pubblicamente i
problemi sociali.
114
2.2 Gruppi linguistici ed identità collettive.
Nel precedente capitolo abbiamo visto come la problematizzazione pubblica avvenga
attraverso un processo che vede determinate tipologie di attori sociali, gli imprenditori
morali (Becker, 1963) ed i chierici mediatori (Gellner, 1983), portare all‟attenzione della
collettività delle situazioni sociali che, secondo le loro rappresentazioni della realtà,
necessitano di essere normalizzate. I contenuti delle problematiche derivano dai modelli
culturali (Touraine, 1965, 1975) mentre le modalità con cui vengono discussi nello
spazio pubblico dipendono da codici identitari di distinzione (Eisenstadt, 1998, 2000).
Lo scopo del paragrafo è di mostrare che in Svizzera coesistono diverse collettività
dotate ciascuna di una propria identità, e che il tratto distintivo di queste collettività è
dato dall‟appartenenza linguistica, e più precisamente dal rapporto che esse
intrattengono con il proprio idioma.
L‟esistenza, all‟interno della Confederazione, di diverse collettività identitarie è
suffragata da numerosi studi che evidenziano le differenze nelle scelte politiche tra
gruppi sociali, al loro interno omogenei, in occasione delle votazioni popolari.
Wolf Linder (Linder/Zürcher/Bollinger, 2008) individua quattro divisioni fondamentali:
tra detentori di capitali e forza lavoro, tra abitanti delle aree urbane e di quelle rurali, tra
protestanti e cattolici e tra collettività linguistiche.
Come vedremo in seguito (cfr. 2.3), il sistema politico svizzero è caratterizzato dalla
presenza di solide istituzioni volte a garantire la democrazia diretta. Le votazioni
popolari, a differenza delle elezioni politiche, mettono i cittadini in condizione di
decidere la regolamentazione di situazioni sociali concrete, di scegliere, in altri termini,
in quale modo gestire le relazioni tra i diversi gruppi sociali. In un tale contesto le
differenze nelle scelte elettorali tra i detentori dei mezzi di produzione e la forza lavoro,
così come quelle tra gli abitanti delle città a quelli delle campagne, sono spiegabili con
l‟adesione di ciascun gruppo al modello culturale che propone la regolazione dei rapporti
sociali che maggiormente lo avvantaggia. Le fratture legate alla fede religiosa ed
115
all‟appartenenza linguistica sono invece ascrivibili a ragioni identitarie, alle diverse
modalità, cioè, con cui il tema in votazione viene problematizzato nello spazio pubblico.
Le motivazioni che ci spingono a ritenere, nella Svizzera contemporanea, l‟appartenenza
linguistica come un elemento di identificazione collettiva più forte rispetto alla fede
religiosa sono molteplici. Innanzitutto il già citato studio di Wolf Linder (2008) così
come quello di René Knüsel (1994) mostrano, in una prospettiva storica, che le
differenze confessionali si sono rivelate sempre meno determinanti nelle scelte di voto,
al contrario quelle idiomatiche hanno acquisito sempre maggiore importanza.
Jean Widmer (2004b) spiega questo fenomeno con il fatto che la fede era, in passato, il
mezzo di cui il potere politico si serviva per controllare la popolazione. Le guerre di
religione che ne sono seguite, unite all‟emergere di un nuovo ceto dominante borghese,
che aveva nel possesso dei mezzi di produzione il suo strumento di controllo, hanno
ricondotto la fede ad una dimensione sostanzialmente privata. Inoltre, la borghesia aveva
la necessità, per organizzare le istituzioni dello Stato moderno, di sviluppare una sfera
pubblica in cui poter discutere razionalmente (Habermas, 1962). Questo luogo simbolico
di scambio di opinioni si è trasformato progressivamente nello spazio pubblico
contemporaneo, accessibile a strati più larghi della popolazione e supportato da mezzi di
comunicazione di massa sempre più potenti e complessi. In Svizzera il sistema dei media
è fortemente segmentato a livello idiomatico (Kriesi/Wernli/Sciarini/Gianni, 1996) e
dominato da un linguaggio che ha perso la sua funzione originaria di favorire la
discussione razionale e che sempre più tocca i sentimenti identitari del pubblico che mira
a raggiungere (Romano, 1996).
Nelle prossime pagine esamineremo, innanzitutto, un modello teorico elaborato da Jean
Widmer (2004a) che illustra come il rapporto che una collettività intrattiene con la
propria lingua costituisca un elemento decisivo nella formazione dei codici identitari di
distinzione e nella conseguente configurazione dello spazio pubblico. In seguito
vedremo le come i diversi gruppi linguistici elvetici si relazionano ai loro idiomi.
Successivamente analizzeremo le caratteristiche del sistema dei media svizzero e la loro
116
influenza sui dibattiti pubblici. Infine descriveremo la relazione che le collettività
idiomatiche confederate intrattengono con le loro lingue, le loro identità collettive ed i
loro segmenti dello spazio pubblico.
2.2.1 Il concetto di “architettura dello spazio pubblico”.
Jean Widmer (2004a: 11-31) si serve del concetto di architettura per rendere conto del
modo in cui il rapporto alla propria lingua è parte integrante dell‟esperienza politica, e
dunque dello spazio pubblico, di una collettività:
“… la metafora dell‟architettura permette di significare che il rapporto alle lingue
determina le maniere in cui la collettività è visibile, le maniere in cui i membri di una
collettività sono visibili a loro stessi. Il rapporto alle lingue ha dunque a che vedere con
le costanti strutturali dello spazio pubblico inteso come spazio di visibilità e di azione
all‟interno di un collettivo.”52 [t.d.a]
Il rapporto alla lingua, per restare nella metafora, è un elemento che partecipa alla
configurazione di uno spazio interno senza determinare l‟uso che ne verrà fatto o
l‟arredamento che vi troverà posto. Esso però, assieme alle altre costanti strutturali
dell‟architettura (come i massmedia), può imporre delle scelte attraverso la ripartizione
dello spazio, ad esempio definendo dove e che forma avrà l‟ingresso.
Tipologie ideali di architettura dello spazio pubblico.
Le due tipologie ideali di architettura dello spazio pubblico (Widmer, 2004a: 23-31) si
riferiscono a due società che, ceteris paribus, si identificano l‟una (che d‟ora in avanti
chiameremo A) ad una lingua standardizzata, l‟altra (che chiameremo B) con un idioma
52
“… la métaphore de l‟architecture permet de signifier que le rapport aux langues détermine les
manières dont la collectivité est visible, les manières dont les membres d‟une collectivité sont visibles
à eux-mêmes. Le rapport aux langues a donc à voir avec les constantes structurales de l‟espace
public en tant qu‟espace de visibilité et d‟action dans un collectif. ” (Widmer, 2004a, p.14)
117
istituito unicamente attraverso l‟oralità. Nel caso della collettività A, l‟accesso ai codici
linguistici, e quindi ai requisiti minimi per poter partecipare allo spazio pubblico,
avviene attraverso un‟istruzione di tipo scolastico, nella società B, o non avviene, oppure
ha luogo soltanto mediante una completa incorporazione dei nuovi venuti.
Nella società A si assiste così ad una separazione netta tra la lingua, elemento portante
dell‟architettura, e l‟attività sociale di elaborazione dei contenuti dello spazio pubblico.
La collettività B, dal momento che si esprime in un idioma orale che solo i membri a
pieno titolo del gruppo possono conoscere, non prevede una distinzione inequivocabile
tra la collettività ed il suo spazio pubblico.
Se nel primo caso è la lingua ad essere considerata una norma trascendente, nel secondo
sarà la collettività ad esserlo rispetto a sé stessa, includendo le proprie dimensioni
ancestrali nel suo modo di autorappresentarsi.
A partire da questa diversa architettura dello spazio pubblico è possibile distinguere,
sempre a livello ideale, un differente modo di istituzionalizzare il potere politico.
La società A presenta una più spiccata tendenza alla delegazione ed ad una forma di
democrazia di tipo rappresentativo. Essa permette, infatti, l‟esistenza di una classe di
chierici a cui delega le operazioni di standardizzazione della lingua.
Il ruolo di questi ultimi può essere considerato come anticipatore di quello di altri
chierici, non ultimi quelli preposti alla gestione della cosa pubblica.
La collettività B, che non riconosce alcuna figura mediatrice tra sé stessa e la propria
lingua, ha invece tendenza ad un rapporto più diretto con il potere politico. Chi
rappresenta i membri di una società di questo tipo deve innanzitutto dimostrare di fare
autenticamente parte del gruppo, di essere uguale agli altri.
Riassumendo, la collettività che si identifica ad una lingua standardizzata (A) intrattiene
con essa un rapporto metaforico ponendola al di fuori di sé stessa. I suoi membri
possono immaginare l‟esistenza di altri popoli che si riconoscono nella medesima lingua.
118
La società che si riconosce in un idioma istituzionalizzato unicamente attraverso l‟oralità
(B) si caratterizza, invece, per avere con esso un rapporto metonimico, considerandolo
una parte del tutto costituito da sé stessa. In questo caso è la collettività a costituire la
metafora di sé stessa attraverso uno sdoppiamento tra la sua esistenza reale e quella
immaginaria, fondata sull‟eredità di un passato mitico di cui i membri sono depositari.
Non sfugge che i modelli di architettura dello spazio pubblico proposti da Jean Widmer
(2004a) presentino delle affinità concettuali molto marcate con le tipologie ideali di
identità collettive elaborate da Eisenstadt e Giesen (1995). Il lavoro del sociologo
romando costituisce, infatti, un ampliamento teorico della teoria civilizzazionale che
abbiamo esaminato nel capitolo precedente (cfr. 1.1). Eisenstadt (1998, 2000) individua
l‟inizio dello sviluppo dei codici identitari con la nascita di forme di organizzazione
sociale relazionate alle credenze religiose. Secondo Widmer (2004b), l‟affermarsi della
borghesia come nuovo ceto dominante porta ad un progressivo spostamento del luogo
simbolico di codifica delle identità collettive dalla religione allo spazio pubblico. I
regimi anteriori alla modernità erano, infatti, retti da una classe sociale, l‟aristocrazia,
che traeva dalla religione la propria legittimità. Il ceto borghese, al contrario, necessita di
una sfera pubblica ove discutere e pianificare l‟assetto razionale di uno Stato capace di
garantire un corretto funzionamento dell‟economia che gli consenta di mantenere e
rafforzare il proprio ruolo dirigente. La democratizzazione della vita politica ed il
progresso tecnologico che caratterizzano le società industriali avanzate hanno portato ad
un‟estensione e ad una mediatizzazione dello spazio pubblico facendo di quest‟ultimo il
maggiore agente di costruzione identitaria. In tale contesto, in cui la comunicazione di
massa assume un‟importanza sempre maggiore, la lingua, strumento di comunicazione
primordiale, diviene il principale fattore di diversificazione delle identità collettive.
Le tipologie di architettura dello spazio pubblico proposte da Jean Widmer (2004a) sono
“ideali” nel senso weberiano del termine, sono cioè dei tipi puri, ovvero categorie
elaborate deduttivamente e costituite da un insieme coerente di elementi che raramente,
così combinati, si trovano nella realtà. Il loro valore scientifico consiste nella possibilità
119
di confrontare la loro distanza da quanto si osserva empiricamente. Nelle prossime
pagine, invece, analizzeremo le relazioni reali che le tre principali collettività svizzere
intrattengono con i rispettivi idiomi.
2.2.2 Collettività idiomatiche e rapporti alle lingue.
Il rapporto che i diversi gruppi intrattengono con i rispettivi idiomi è origine di codici di
identificazione che partecipano alla definizione delle strutture dello spazio pubblico. In
Svizzera, abbiamo visto, coesistono tre lingue pienamente riconosciute come nazionali
ed ufficiali.
Le principali collettività non si distinguono tra loro unicamente per l‟uso di idiomi
differenti, ma anche per il modo con cui si relazionano ad essi, per la maniera, cioè, con
cui socializzano i membri al loro utilizzo.
In particolare, la collettività germanofona si caratterizza (cfr. 2.1.1) rispetto a quelle
latine per un uso particolarmente esteso, accanto alla lingua standard, dello
Schweizerdeutsch,
un insieme di parlate locali istituzionalizzate principalmente
attraverso l‟oralità.
La complementarietà delle due lingue fa sì che nella regione esista una vera e propria
diglossia, che è:
“… la relazione tra due varietà dello stesso linguaggio in uso in una comunità
linguistica, in cui ciascuna varietà possiede il proprio medium di uso o la propria
funzione.”53 [t.d.a]
Questo fenomeno non è riducibile alla semplice coesistenza di idiomi diversi presso una
medesima collettività che si registra in molti Paesi, in particolare in quelli post-coloniali.
53
“… the relationship between two varieties of the same language in use in one language community,
each variety having its own medium of use or function” (Rash, 1998, p.17)
120
Ad esempio è improprio parlare di diglossia in riferimento alla compresenza dello
spagnolo e del guaranì in Paraguay, in questo caso si tratta di lingue dalla radice
completamente differente, utilizzate da ceti sociali diversi (Widmer, 2004a: 31-32).
Situazioni linguistiche più simili a quella svizzero-tedesca sono quelle che si registrano
in alcuni Paesi mediorientali dove accanto all‟arabo classico coesistono forme
vernacolari. Charles Ferguson (1959) individua tratti comuni anche ad Haiti, tra francese
e creolo, in Norvegia, tra bokmal e nynorsk, ed in Grecia, tra katharevousa e dhimotiki,
sebbene questi idiomi siano molto più standardizzati rispetto allo Schweizerdeutsch.
In Svizzera francese non esiste, in pratica, altro idioma rispetto la francese standard,
mentre in quella italiana esistono parlate locali, simili ai dialetti parlati in Lombardia,
che non hanno però un importanza sociale paragonabile a quelle svizzero-tedesche.
Vedremo ora più nel dettaglio l‟evoluzione storica dei contesti d‟uso delle lingue presso
le tre principali collettività elvetiche.
Svizzera tedesca.
Prima di affrontare le specificità inerenti la situazione linguistica nella regione
germanofona svizzera occorre fare due precisazioni.
Innanzitutto, contrariamente a quanto comunemente si ritiene, lo Schweizerdeutsch non è
un idioma uniforme, l‟assenza di una sua sistematica standardizzazione attraverso la
scrittura favorisce, infatti, lo sviluppo di numerose varianti regionali (Haas, 1985a: 7080).
Secondariamente, la diglossia in uso presso la collettività svizzero-tedesca ha iniziato ad
assumere un carattere specifico durante il XX secolo, prima di allora il rapporto tra
lingua standard e dialetti era molto simile a quello esistente in Germania: la prima era
utilizzata per la scrittura e quando occorreva esprimersi in un linguaggio “aulico”, ad
esempio in occasione di discorsi pubblici,
prediche, dibattiti parlamentari e
comunicazioni militari; mentre i secondi erano usati durante le conversazioni informali
(Ris, 1983: 167-168). In conseguenza di questa situazione, la maggior parte della
121
popolazione prendeva parte passivamente alla diglossia dal momento che non possedeva
gli strumenti per utilizzare l‟idioma standardizzato attraverso la scrittura.
La diglossia germanofona iniziò ad assumere connotazioni sociali quando, verso la fine
del XIX secolo, da un lato, il miglioramento del livello di scolarizzazione rese
accessibile la lingua standardizzata ad un numero crescente di persone; dall‟altro, un
gruppo di intellettuali diede vita ad un progetto di istituzionalizzazione formale dello
Schweizerdeutsch (l‟Idiotikon) al fine di individuare una forma “pura” di questo idioma
che potesse essere utilizzabile anche in forma scritta (Haas, 1985a: 90). Dopo di allora vi
fu un susseguirsi di periodi durante i quali a volte l‟una, a volte l‟altra, delle due varietà
linguistiche accresceva la propria importanza.
Durante il periodo tra l‟inizio del Novecento e lo scoppio della Grande Guerra, il tedesco
sembrava destinato a prendere definitivamente il sopravvento, soprattutto nei principali
centri urbani dove vi era una forte presenza di cittadini tedeschi che occupavano
posizioni sociali importanti. La situazione mutò radicalmente all‟indomani della
sconfitta militare degli Imperi centrali che ridusse sensibilmente l‟influenza
internazionale della Germania. In quegli anni, inoltre, un movimento culturale nato a
Berna all‟inizio del secolo promuoveva la produzione di testi letterari in
Schweizerdeutsch, un idioma che veniva percepito come un simbolo di emancipazione
politica e culturale della regione nei confronti del mondo tedesco (Ris, 1983: 167-169).
Negli anni ‟30, sotto la minaccia del violento pangermanesimo propugnato dal regime
nazista assurto al potere in Germania, venne elaborata dal ceto politico svizzero la
dottrina della Difesa Spirituale, che si proponeva di costruire una “svizzerità” in qualche
modo comparabile ai nazionalismi imperanti in Europa. Essa si fondava sui miti
costitutivi classici del Paese e trovava la sua più celebre espressione nella Landi,
l‟esposizione nazionale del 1939. Da un punto di vista linguistico, questa dottrina
incoraggiava, ovviamente, lo Schweizerdeutsch come elemento caratterizzante e
distintivo della cultura elvetica (Haas, 1985a: 92).
122
Dopo la Seconda guerra mondiale numerosi movimenti culturali, spesso con motivazioni
contrapposte, hanno attuato delle campagne in favore di una maggiore diffusione dello
Schweizerdeutsch. I primi gruppi ecologisti sorti negli anni ‟60, ad esempio, vedevano
in questo idioma il simbolo per un ritorno ad una società meno consumista e lo
strumento per superare le frontiere linguistiche imposte dal ceto borghese (Ris, 1983:
168). Sempre in quel periodo il dialetto venne percepito dalle avanguardie artistiche
come un mezzo che permetteva di esplorare nuove forme espressive, esempi
emblematici furono Mani Matter e Polo Hofer, nella musica pop, Hansjörg Schneider e
Urs Widmer, nel teatro, Kurt Gloor e Thomas Hostettler nel cinema (Haas, 1985a: 9697).
Di natura completamente diversa da quelle che abbiamo visto in precedenza fu la spinta
data allo Schweizerdeutsch dalle forze politiche che, negli anni sessanta e settanta
teorizzavano
l‟”inforestierimento”
(Ueberfremdung)
del
Paese
a
causa
dell‟immigrazione, in particolare italiana, e avevano come riferimento James
Schwarzenbach, un uomo politico la cui visione ideologica della società prevedeva un
ritorno alla Svizzera tradizionale ed agricola (Widmer, 2004a: 34-35).
I movimenti politici e culturali che abbiamo presentato hanno indubbiamente contribuito
a caratterizzare la diglossia svizzero-tedesca, occorre però considerare che coloro che li
hanno promossi erano prevalentemente individui appartenenti al ceto sociale più elevato.
Paradossalmente è dalla borghesia urbana e istruita che prendono spesso avvio le azioni
tese a valorizzare lo Schweizerdeutsch, al contrario i membri delle categorie meno
favorite manifestato un maggiore rispetto per il tedesco standard e tendono a considerare
il proprio dialetto come un linguaggio tipico delle persone incolte (Ris, 1983: 172-175).
Esistono, tuttavia, dei fenomeni strutturali che a partire dal dopoguerra, hanno portato
allo sviluppo dello Schweizerdeutsch toccando trasversalmente tutti i ceti sociali.
Innanzitutto, questo idioma è assurto a simbolo della cosiddetta “pace del lavoro” - una
fase storica che ha toccato il suo apice durante i cosiddetti “trenta gloriosi” (1950-1980),
contraddistinta da un basso livello di conflittualità sociale – esercitando una funzione di
123
riconciliazione tra le diverse classi. L‟uso comune del dialetto ha prodotto, infatti, una
sorta di avvicinamento culturale tra impiegati e datori di lavoro che potevano
comunicare senza ricorrere ai formalismi legati all‟utilizzo del tedesco classico
(Widmer, 2004a: 34-35).
Secondariamente, l‟evoluzione dei costumi sociali - comune a tutto il mondo
occidentale, e, come vedremo (cfr. 2.2.3), alimentata dalla diffusione dei media
elettronici – ha portato ad una progressiva riduzione dell‟importanza del linguaggio
scritto e, più in generale, di quello formale. In questo contesto, lo Schweizerdeutsch,
originariamente consacrato alle conversazioni informali, ha guadagnato sempre più
spazio presso la collettività germanofona (Haas, 1985a: 92-93).
In queste pagine abbiamo visto che, pur se sostanzialmente corretta, la definizione di
diglossia modale, secondo cui il tedesco standard è utilizzato per l‟espressione scritta
mentre le parlate locali per quella orale, è riduttrice della complessità del rapporto che la
collettività germanofona intrattiene con i propri idiomi. Roland Ris (1983) e Felicity
Rash (1998) evidenziano l‟aspetto funzionale assunto dalla diglossia, ovvero l‟uso
dell‟uno o dell‟altro idioma a seconda dell‟ambito sociale.
Educazione e formazione.
Il settore dell‟educazione presenta una situazione linguistica molto complessa, anche in
considerazione del fatto che, data la struttura federalista dello Stato, esso è in larga parte
posto sotto la responsabilità dei Cantoni. Fino al termine degli anni ‟50 il tedesco
standard era molto valorizzato, tanto che anche al di fuori delle ore di lezione ufficiali gli
alunni erano tenuti ad esprimersi in quella lingua; per contro l‟uso dello
Schweizerdeutsch era limitato alle sole prime due classi elementari (Ris, 1983: 169).
Successivamente le parlate dialettali hanno occupato sempre più spazio; sebbene
l‟idioma raccomandato resti il tedesco, si constata, che l‟insegnamento di soggetti
specifici, come la musica, l‟educazione fisica o il disegno, avviene sovente in
Schweizerdeutsch (Rash, 1998: 54-57). Per quanto riguarda l‟insegnamento postobbligatorio la situazione è ancora più fluida, se nelle scuole professionali esiste ancora
124
una prevalenza dell‟idioma standard; nelle università, al di fuori delle lezioni excathedra, le discussioni, se non sono coinvolti studenti stranieri, avvengono
prevalentemente in dialetto. Ciò che appare evidente è che in tutti gli ordini di scuola,
una grande maggioranza degli allievi considera lo Schweizerdeutsch come la lingua di
comunicazione con i propri pari (Lüdi/Werlen, 2007: 69-80).
Attualmente vi sono segnali che sembrano portare in una direzione diversa, verso un
maggiore utilizzo del tedesco standard in ambito educativo. In questo senso va
interpretato il manuale realizzato nel 2003 dalla Scuola Superiore di pedagogia di Zurigo
(PHZ) che incoraggia gli insegnanti ad utilizzare in modo coerente e costante il tedesco
standard a partire dalle prime classi delle elementari.
Esercito.
L‟utilizzo delle lingue in seno all‟esercito è fortemente influenzato da due fattori, da un
lato, la compresenza di militi provenienti da tutte le aree idiomatiche del Paese, e,
dall‟altro, la forte influenza esercitata dalla scuola prussiana sulle alte gerarchie militari.
In generale, presso lo stato maggiore prevale il tedesco, mentre i soldati parlano tra loro
in dialetto (Ris, 1983: 169-170). Un fenomeno piuttosto curioso si nota ai livelli
gerarchici inferiori, caporali e sergenti si rivolgono alle reclute prevalentemente in
tedesco, mentre accade che gli ufficiali superiori a volte utilizzino lo Schweizerdeutsch
(Rash, 1998: 69-70).
Chiese e funzioni religiose.
Le due chiese tradizionali svizzere, quella di rito cattolico-romano e quella riformata,
non
regolano
formalmente
l‟uso
degli
idiomi;
in
alcuni
ambiti,
tuttavia,
tradizionalmente viene utilizzato lo Schweizerdeutsch ed in altri il tedesco. Storicamente
sembra che nel XIX secolo fosse frequente la predicazione in dialetto, ma che questa
pratica sia andata progressivamente scomparendo a causa delle reticenze dei fedeli,
tendenzialmente contrari al fatto che dal pulpito ci si esprimesse nella “lingua di tutti i
giorni” (Ris, 1983: 170). Da un punto di vista dottrinario, alle teorie secondo le quali era
125
necessario che gli ecclesiastici si esprimessero in tedesco per sfuggire al provincialismo
e alla supposta inadeguatezza dello Schweizerdeutsch a rendere conto della complessità
teologica, se ne sono contrapposte altre che vedevano nell‟uso del dialetto un
riavvicinarsi al modo in cui Cristo predicava ai semplici. In generale, sia nell‟ambito
della chiesa cattolica che in quella riformata, le cerimonie solenni si svolgono
prevalentemente in tedesco mentre durante le attività più informali si parla in
Schweizerdeutsch (Rash, 1998: 65-68).
Discorsi a carattere ufficiale.
Gli interventi parlamentari, fino approssimativamente alla metà del XX secolo, si
svolgevano rigorosamente in tedesco, si trattasse di un‟assemblea legislativa federale,
cantonale o comunale. In generale, i rappresentanti dei partiti quando tenevano un
discorso pubblico, utilizzavano la lingua standardizzata. Successivamente gli uomini
politici hanno fatto sempre maggior ricorso allo Schweizerdeutsch, in pratica limitando
l‟uso del tedesco ad occasioni in cui vi fosse una parte cospicua di allofoni tra l‟auditorio
(Ris, 1983: 171-172). Attualmente nei consigli comunali e cantonali è considerato
assolutamente accettabile l‟utilizzo del dialetto.
Comunemente si ritiene molto raro che un gruppo composto da meno di dieci svizzerotedeschi parlino tra loro in tedesco, salvo in occasioni assolutamente formali come ad
esempio di fronte ad un tribunale o ad una commissione d‟esame.
I mass media.
Le specificità della comunicazione di massa in Svizzera saranno riprese successivamente
(cfr. 2.2.3), ora ci limiteremo ad alcune annotazioni strettamente legate alla diglossia
della collettività germanofona. Innanzitutto, la stampa scritta utilizza quasi
esclusivamente il tedesco standard, lo Schweizerdeutsch è limitato ad alcune citazioni, ai
proverbi e, di tanto in tanto, alle vignette satiriche. L‟unico periodo interamente in
dialetto, lo Schwyzerlüt, fondato nel 1939, ha chiuso i battenti nel 1966 (Ris, 1983: 170171).
126
Diverso è il rapporto tra i due idiomi nei media elettronici, nei canali radiofonici di
servizio pubblico più della metà dei contenuti sono in Schweizerdeutsch, solo i notiziari
sono quasi esclusivamente in tedesco (Trebbe e altri, 2009). I canali germanofoni della
SSR ripartiscono la programmazione in maniera sostanzialmente analoga, utilizzando la
lingua standard per le trasmissioni di informazione scientifica, culturale ed
internazionale; mentre il dialetto è usato nei programmi di intrattenimento, in quelli per
ragazzi e nelle notizie regionali (Rash, 1998: 57-62). Per quanto riguarda i dibattiti
pubblici, in conseguenza del progressivo abbandono del tedesco standard da parte dei
politici vi è stato un forte aumento dell‟utilizzo dello Schweizerdeutsch, si pensi in
particolare alla popolare trasmissione Arena (Hungerbühler e altri, 2008). È interessante
come i canali televisivi e radiofonici privati, e quindi non vincolati dal mandato di
servizio pubblico, abbiano una programmazione prevalentemente dialettale, questa
tendenza ha avuto un incremento con l‟adozione di seguiti, ed economici, format di
Reality show.
I messaggi pubblicitari utilizzano lo Schweizerdeutsch molto più sovente rispetto al resto
dei contenuti veicolati dai mezzi di comunicazione. Alla fine del Millennio, Rash (1998:
63-65) constatava che il 15% della pubblicità presente sui quotidiani era in dialetto, così
come ben il 74% di quella radiofonica ed il 58% di quella televisiva.
In queste pagine abbiamo reso conto dei principali aspetti del rapporto ai propri idiomi
intrattenuto dalla collettività germanofona, vedremo ora, più brevemente, qual è la
situazione nelle altre regioni linguistiche.
Svizzera italiana.
Riferendoci alla Svizzera italiana intendiamo qui il Canton Ticino, senza considerare le
numericamente poco consistenti aree italofone dei Grigioni, le cui specificità
meriterebbero un discorso a parte (Lurati, 1985: 171-201).
In Ticino esistono dialetti locali di ceppo lombardo, la loro importanza e il loro ruolo
sono però radicalmente differenti rispetto a quello ricoperto dallo Schweizerdeutsch in
Svizzera tedesca.
127
Fino al termine della Seconda guerra mondiale esisteva nella regione una diglossia
sociale simile a quella che caratterizzava la collettività germanofona. I ceti sociali
inferiori si esprimevano dei dialetti locali, mentre quelli superiori, ed in particolare la
borghesia luganese, utilizzavano l‟italiano. In tale contesto, le diverse parlate
affiancavano la lingua standard ma non la sostituivano in alcuna sua funzione essenziale,
dato che essa rimaneva il solo idioma riconosciuto nella vita pubblica, nella cultura e
nell‟istruzione (Bianconi, 1986: 39-41).
Il radicale cambiamento delle strutture socioeconomiche che ha preso avvio negli anni
‟50, la sparizione del ceto contadino, l‟urbanizzazione, la diffusione dei massmedia e
l‟immigrazione dalla vicina Penisola, hanno portato ad una diffusione dell‟italiano
standard presso tutte le fasce della popolazione. Il dialetto non è però scomparso, si è
trasformato nella sua forma e nella sua funzione sociale. Una parlata sovraregionale si è,
infatti, costituita a partire da una sintesi dei dialetti parlati nei principali centri urbani
cantonali ed ha sostituito quelle locali: la sua forte diffusione è dovuta al suo utilizzo in
specifici programmi, commedie e sit-com, radiofoniche e televisive.
Questo nuovo idioma non è più l‟espressione dei ceti più umili scarsamente socializzati
alla lingua standard, quanto una sorta di simulacro di un‟ideologia neo-tradizionalista
tesa a differenziare il Ticino e i ticinesi dall‟Italia e dagli immigrati italiani attraverso la
mitizzazione di una inesistente collettività arcaica originaria (Bianconi, 1986: 42-49).
Jean Widmer (2004a), partendo dalle riflessioni di Sandro Bianconi (1986), individua
una recente trasformazione dello spazio pubblico ticinese. Nei confronti politici, infatti,
l‟italiano standard era tradizionalmente l‟unica lingua ammissibile, ma nell‟ultimo
decennio la Lega dei Ticinesi, un movimento politico di destra , ha parzialmente
modificato questa situazione.
Essa ha introdotto l‟uso di questo idioma sovraregionale nel dibattito pubblico, sia
attraverso gli interventi dei suoi dirigenti sui media elettronici, sia, soprattutto, attraverso
gli scritti del Mattino della domenica, il settimanale di riferimento del partito. In
128
quest‟ultimo caso è di particolare interesse l‟uso di una versione scritta di questo nuovo
dialetto 54 .
La strategia linguistica adottata dalla Lega dei Ticinesi può essere interpretata come
volta a “mimare” la prossimità del movimento alla popolazione autoctona.
Questa azione è resa possibile dal particolare rapporto che gli svizzeri-italiani
intrattengono con i loro idiomi. Come abbiamo visto, l‟italiano costituiva la lingua del
ceto dirigente, un idioma elitario che, con il mutare del contesto politico, è divenuto il
simbolo del linguaggio burocratico dei rappresentanti dei partiti. L‟uso da parte della
Lega dei Ticinesi del nuovo dialetto sovraregionale nello spazio pubblico è stato
concepito come una presa di distanza dalla politica tradizionale (Widmer, 2004a: 43-46).
Svizzera francese.
La Svizzera francese non conosce attualmente praticamente alcuna forma di linguaggio
istituito unicamente attraverso l‟oralità. Il francese standard è utilizzato in tutti gli ambiti
della società.
I dialetti, già poco presenti precedentemente, sono praticamente scomparsi durante il
XIX secolo ed ogni loro uso successivo, fatta eccezione per alcune aree rurali del Canton
Vallese, risulta legato a manifestazioni esplicitamente folkloristiche (Widmer 2004a:
46-49).
Le ragioni di questa differenza rispetto alle altre regioni linguistiche sono diverse.
Forse la più importante è legata all‟influenza della vicina Francia, in cui vi è da secoli
un‟azione volta a limitare il più possibile la sussistenza dei dialetti.
Occorre inoltre ricordare che in Francia la borghesia si è affermata come ceto dominante
precedentemente rispetto al resto d‟Europa, questo ha probabilmente spinto le élite
romande a guardare ad essa come ad un modello da imitare (Knecht, 1985: 127-169).
Un altro fattore è quello religioso; in Svizzera francese vi è stata una forte diffusione del
calvinismo, che, più del cattolicesimo o di altre forme di protestantesimo, presuppone un
rapporto individuale molto forte con Dio. La bibbia non viene interpretata dalla figura
mediatrice del sacerdote, essa viene letta direttamente dai fedeli. La lettura di un testo
54
Si veda, a titolo d‟esempio, l‟allegato 1.
129
francese in un momento importante come quello del raccoglimento spirituale ha
probabilmente influenzato la diffusione della lingua standardizzata (Knecht, 1985:143144 ).
Le tre principali collettività linguistiche intrattengono un diverso rapporto con i rispettivi
idiomi, questa relazione è un elemento costitutivo delle strutture dello spazio pubblico
(cfr. 2.2.1) dove vengono dibattuti i problemi sociali e, al tempo stesso, dove si sviluppa
il processo di codifica delle identità collettive (cfr. 1.1). Nell‟era moderna lo spazio
pubblico è sempre più contraddistinto dall‟utilizzo dei mezzi di comunicazione di massa,
ora esaminiamo le caratteristiche assunte dal sistema dei media in Svizzera.
2.2.3 Sistema dei media.
Nel precedente capitolo (cfr. 1.2), abbiamo visto come lo spazio pubblico
contemporaneo, insito nella condizione umana (Arendt, 1959) ed affermatosi nella
forma moderna con l‟avvento della borghesia come ceto dirigente (Habermas, 1962), è
diventato il luogo di confronto tra modelli culturali che propongono orientamenti per il
funzionamento del sistema sociale (Touraine, 1965, 1973), sostituendosi così alla
religione (Widmer, 2004b) come elemento strutturale nella formazione dei codici di
identificazione collettiva (Eisenstadt, 1998, 2000).
Questo spazio simbolico esiste, nelle società contemporanee, variegate e complesse,
grazie alla mediazione di un sistema di mezzi di comunicazione di massa e, di
conseguenza, accorda agli attori che vi hanno accesso, giornalisti ed esperti, il ruolo di
mediazione che nelle società tradizionali era riservato ai chierici che avevano accesso
alle Sacre Scritture (Gellner, 1983).
Gli aspetti del sistema dei media svizzero 55 che considereremo in questo paragrafo sono
tre. Il primo riguarda la sua istituzionalizzazione, ovvero le strutture normative di cui si è
55
Ci limiteremo ad esaminare i sottosistemi che hanno dominato la comunicazione di massa nel corso
degli ultimi decenni, ovvero quello della carta stampata e quello radiotelevisivo. Siamo consapevoli
che i nuovi mezzi di mezzi di mediazione tecnica che hanno permesso lo sviluppo di forme di
130
dotata la società al fine di codificare e cristallizzare il flusso di senso proveniente dai
mezzi di comunicazione di massa e, di conseguenza, regolamentare l‟attività dei chierici
mediatori (cfr. 1.3). Il secondo concerne la segmentazione su base idiomatica del
sistema, tanto da un punto di vista organizzativo che della fruizione dei contenuti. Il
terzo si riferisce all‟evoluzione dei linguaggi che i diversi media hanno conosciuto negli
ultimi decenni.
Istituzionalizzazione del sistema dei media.
Al fine di descrivere le modalità attraverso le quali la società svizzera si serve dei media
per dotarsi di uno spazio pubblico in cui sviluppare il dibattito sui problemi sociali
effettueremo un raffronto tra dei modelli teorici di istituzionalizzazione mediale ed
elementi concreti del sistema organizzativo dei mezzi di comunicazione di massa nella
Confederazione.
Le tipologie proposte da Daniel C. Hallin e Paolo Mancini (2004) si fondano
sull‟interrelazione tra le caratteristiche del sistema politico e di quello d‟informazione
nelle principali democrazie occidentali. I due ricercatori individuano, inoltre, le aree
geografiche in cui l‟uno o l‟altro tipo ideale risulta maggiormente simile alla situazione
reale.
I modelli descritti sono tre: mediterraneo o pluralista-polarizzato, caratteristico di Stati
come Grecia, Spagna, Italia e Portogallo; liberale, prevalente nei Paesi anglosassoni;
democratico corporativo dominante, oltre che in Svizzera, nei Paesi scandinavi, in quelli
di cultura tedesca, in Olanda e in Belgio.
Questi gruppi di Paesi sono al loro interno omogenei per quanto riguarda lo sviluppo dei
mercati della comunicazione, il parallelismo politico, le caratteristiche della
professionalità giornalistica, il grado e la natura dell‟intervento statale nel sistema dei
comunicazione come i portali informativi, i blog o i social network, ma un‟analisi delle dinamiche ad
esse connesse rischierebbe di allontanarci eccessivamente dalla problematica fondamentale di questa
ricerca.
131
media. Essi presentano, inoltre, al loro interno delle affinità politico-istituzionali, in
particolare per quanto riguarda l‟evoluzione del processo di democratizzazione, il
sistema di governo, il ruolo dello Stato e l‟apparato burocratico.
Osserviamo ora brevemente le caratteristiche delle tipologie presenti nel mondo
mediterraneo ed anglosassone per poi soffermarci più diffusamente sul modello che
meglio identifica le caratteristiche del sistema mediatico svizzero.
Il tipo
mediterraneo, o pluralista-polarizzato, (Hallin/Mancini, 2004: 79-126) si
manifesta in Paesi dove le istituzioni democratiche si sono sviluppate tardivamente, che
hanno dei partiti politici forti e polarizzati ideologicamente, in cui vi è un diffuso
interventismo statale nell‟economia ed una burocrazia molto clientelare.
Il sistema dei media caratteristico di questi Stati ha una stampa scritta d‟élite a diffusione
limitata ed una corrispettiva centralità dei media elettronici.
Il parallelismo è molto presente, si ha, in altri termini, un forte interessamento dei media
verso il mondo politico e viceversa. Le diverse testate sono omogenee ideologicamente
al loro interno e, di conseguenza contrapposte tra loro. I partiti, il governo ed i grandi
gruppi industriali hanno la tendenza, e la possibilità, di condizionare i contenuti dei
diversi media.
Il professionismo non è particolarmente sviluppato, la figura del giornalista si
sovrappone spesso con quella dell‟attivista, scarsamente autonomo rispetto alla politica e
orientato al commento piuttosto che alla ricerca della notizia.
Lo Stato è molto presente, sebbene non sempre in modo efficace, nella proprietà, nella
regolamentazione e nel finanziamento dei media. Nonostante il ruolo importante delle
istituzioni statali, si è constatato in alcuni paesi mediterranei un passaggio molto brusco
dal monopolio pubblico televisivo alla liberalizzazione totale del mercato.
Il modello liberale, o nord-atlantico, (Hallin/Mancini, 2004: 178-224) è predominante
dove vi è stato un precoce sviluppo delle istituzioni democratiche, i partiti sono meno
onnipresenti nella vita pubblica e i loro rappresentanti sono più attenti agli interessi
contingenti dei loro elettori che all‟elaborazione di visioni ideologiche della società, il
132
sistema di governo è prevalentemente di tipo maggioritario, l‟intervento dello Stato nella
sfera economica è molto limitato e l‟apparato burocratico si regge su uno sviluppato
senso di legittimazione razionale-legale.
Il sistema dei media si caratterizza per una grande diffusione della stampa scritta,
affiancata da media elettronici altrettanto sviluppati. Il parallelismo è basso, prevale la
stampa commerciale, il pluralismo interno alle testate è elevato e i condizionamenti
esterni provengono dagli ambienti economici piuttosto che da quelli politici.
La professionalizzazione del giornalismo è forte e prevale la ricerca della notizia rispetto
al commento politico.
Il sistema dei media è relativamente indipendente e gli interventi dello Stato, soprattutto
negli Stati Uniti, sono molto limitati. La regolamentazione delle televisioni commerciali,
in particolare in Gran Bretagna, è molto importante.
I due modelli che abbiamo presentato sono, ovviamente, ideali nel senso weberiano del
termine, in particolare vedremo come alcuni aspetti della tipologia liberale nord-atlantica
si stiano diffondendo, negli ultimi anni, a livello globale. Ora esamineremo le ragioni per
le quali il sistema dei media svizzero si avvicina maggiormente al modello dell‟Europa
centro-settentrionale, o democratico-corporativo (Hallin/Mancini, 2004: 127-177).
Questa tipologia è dominante in Paesi che hanno conosciuto una precoce
democratizzazione e dove il dibattito pubblico vede contrapposte forze politiche
moderate e debolmente ideologizzate. Il sistema di governo prevalente è di tipo
consociativo, i partiti non hanno l‟importanza che si riscontra nel modello mediterraneo,
ma vi è una forte presenza di associazioni d‟interesse, organizzazioni padronali e
sindacali, le cui relazioni, se non armoniose quantomeno non ferocemente contrapposte,
sono improntate ad una sorta di corporativismo democratico. L‟intervento dello Stato
nell‟economia è tendenzialmente più forte rispetto a quanto avviene nei Paesi
anglosassoni e l‟apparato burocratico è molto efficiente e legittimato da criteri razionalilegali.
133
Pur con le differenze che ogni situazione reale presenta rispetto ad un modello teorico, il
sistema politico della Confederazione presenta molte caratteristiche comuni con quello
della tipologia democratico-corporativa.
La Svizzera si è dotata di strutture istituzionali democratiche già a partire dal 1848, con
la vittoria della fazione radicale nella guerra del Sonderbund (cfr 2.1.3).
Come avremo modo di approfondire nel prossimo paragrafo (cfr. 2.3), una delle
specificità del sistema politico elvetico è quella di fondarsi su una democrazia semidiretta (Kriesi, 2005) che ha come conseguenze, da un lato, una debolezza strutturale dei
partiti e una scarsa propensione di questi alla polarizzazione ideologica, dall‟altro, la
necessità di avere una forma di governo di tipo consociativo (Kriesi, 1998).
Le parti sociali hanno stabilito già a partire dagli anni ‟20 gli antefatti della “Pace del
lavoro”, conclusa poi nel 1937, sulla base della quale i conflitti collettivi tra datori di
lavoro e salariati sono risolti mediante negoziati, rinunciando a misure di lotta come
scioperi o serrate (Degen, 1991).
L‟intervento dello Stato nell‟economia, pur se meno presente rispetto a quanto avviene
nei Paesi scandinavi, è storicamente consistente: già dal 1925 esiste un articolo
costituzionale che garantisce l‟assicurazione per la vecchiaia (AVS), che sarebbe entrata
in vigore nel 1947, ad essa si sono aggiunte successivamente altre assicurazioni sociali.
L‟orientamento liberale-radicale, dominante a partire da metà dell‟Ottocento ha, inoltre,
portato allo sviluppo dell‟istruzione pubblica (Tanner, 1997).
Il sistema burocratico, infine, è reputato, all‟interno del Paese come all‟estero, efficiente
e integro56.
Il sistema dei media tipico dei Paesi che, come la Svizzera, sono rappresentati dal
modello democratico-corporativo (Hallin/Mancini, 2004: 127-177) si caratterizza per un
avvento precoce della libertà di stampa e per un‟industria giornalistica molto sviluppata.
Il parallelismo è storicamente molto presente, ma in diminuzione nel corso degli ultimi
decenni, a causa della progressiva scomparsa dei giornali di partito, sostituiti da stampa
56
L‟agenzia Transparency International colloca, nel 2009, la Svizzera al quinto posto tra gli Stati in
cui vi è minore corruzione: http://www.transparency.org/policy_research/surveys_indices/gcb/2009
(ultima consultazione: 1.11.2010).
134
commerciale a vocazione generalista. La professionalizzazione dei redattori è molto
elevata e caratterizzata da una forte organizzazione formale. I mezzi di comunicazione di
massa sono concepiti come istituzioni sociali di cui lo Stato è responsabile, per questa
ragione la libertà di stampa è accompagnata da una rigorosa regolamentazione. Il sistema
radio-televisivo è, o perlomeno era fino agli anni ottanta, un monopolio pubblico nella
cui gestione è coinvolta una pluralità di gruppi sociali organizzati.
Anche in questo caso, la Svizzera, presenta un sistema dei media che non si discosta
significativamente dal modello teorico.
Come abbiamo visto in precedenza (cfr. 2.1.3), la Confederazione ha iniziato a dotarsi di
istituzioni democratiche quando, a seguito della guerra del Sonderbund, è stata approvata
la Costituzione federale del 1848, tra i principi in essa enunciati vi era quello della
libertà di stampa (art. 45) (Kreis, 1986).
L‟industria giornalistica è tale da assicurare una forte densità di giornali, il numero di
quotidiani per milione di abitanti è, infatti, approssimativamente dieci volte più elevato
rispetto a quello della Francia o dell‟Italia (Hauf, 2009: 70).
Il mercato editoriale ha conosciuto negli ultimi decenni profonde trasformazioni, in
particolare vi è stata una progressiva commercializzazione della stampa scritta.
Innanzitutto, a seguito della crisi delle ideologie del XX secolo, è scomparsa la maggior
parte dei giornali di partito (Imhof, 1996).
Inoltre, si è assistito ad una sempre maggiore concentrazione e compenetrazione dei
principali gruppi editoriali; molti quotidiani, un tempo indipendenti, fanno ora capo alla
medesima casa editrice, altri sono scomparsi o hanno dato vita a fusioni, la più
importante delle quali ha portato alla nascita di Le Temps, nel 1998, nato dalla chiusura
del Nouveau Quotidien e del Journal de Genève (Hauf, 2009: 61-107).
Infine, negli ultimi anni, sono apparse numerose pubblicazioni gratuite, quotidiane o
settimanali, caratterizzate da un‟informazione molto sintetica, che si sono rivelate molto
concorrenziali rispetto ai giornali tradizionali (Kradolfer, 2007).
135
La professionalizzazione dei giornalisti è garantita da un periodo di formazione di due
anni, durante i quali i candidati, oltre a svolgere la loro attività lavorativa, seguono dei
corsi organizzati in alcune università svizzere57.
L‟intervento dello Stato nel sistema dei media è riscontrabile soprattutto nel settore
radiotelevisivo. La SRG SSR idée suisse (più comunemente nota come SSR), l‟azienda
che, attraverso le società a lei affiliate, garantisce il servizio pubblico in Svizzera,
costituisce
l‟elemento portante dell‟intero sistema radiotelevisivo del Paese. A
differenza delle varie emittenti private, la SSR vanta strutture e competenze non inferiori
a quelle dei più importanti network internazionali. Attraverso le sue diverse unità
aziendali, essa copre l‟intero territorio nazionale in tutte le sue componenti linguistiche
(Grasso, 1996: 637).
Il volume dei proventi di SSR ammonta attualmente ad oltre un miliardo e mezzo di
franchi, di cui il 75% derivante dal canone radiotelevisivo ed il rimanente 25% ricavato
dalla pubblicità e dalla vendita di programmi. Il numero di dipendenti è, esso pure, molto
elevato, e supera le 4000 posizioni a tempo pieno58.
L‟organizzazione istituzionale è costituita da quattro enti regionali, dall‟Assemblea dei
delegati e dal Consiglio di amministrazione.
Al disopra di queste società vi è l‟Assemblea dei delegati, l 'organo supremo della
società, che comprende 41 delegati delle regioni e i membri del Consiglio
d‟amministrazione SRG SSR.
Il Consiglio di amministrazione è composto di nove membri: i quattro Presidenti delle
società regionali, che ne fanno parte d‟ufficio, tre membri nominati dall‟Assemblea dei
delegati, tra cui il presidente del CdA, e altri due consiglieri nominati dal Consiglio
federale59.
57
http://www.impressum.ch (ultima consultazione: 1.6.2010).
http://www.srg-ssr.ch/fileadmin/eMagazine_f/index.html (ultima consultazione: 1.6.2010).
59
http://www.srgssrideesuisse.ch/it/la-srg-ssr/organizzazione-istituzionale (ultima consultazione:
1.6.2010).
58
136
La complessa organizzazione istituzionale della SSR è tipica di un‟emittente
democraticamente controllata (Saxer, 2000: 20-35). In Svizzera, infatti, i vincoli del suo
mandato di servizio pubblico sono sanciti dalla Costituzione federale, il cui articolo 93
così recita:
“Le competenze in materia radiotelevisiva sono della Confederazione; la radio e la
televisione devono assolvere alcuni compiti rilevanti tra cui quello di contribuire
all‟istruzione ed allo sviluppo culturale, alla libera formazione delle opinioni ed
all‟intrattenimento; inoltre devono tenere in considerazione le particolarità della
Svizzera e le esigenze dei cantoni, presentando gli avvenimenti in modo corretto e
rispettando la pluralità delle opinioni; la Costituzione garantisce l‟indipendenza della
radio e della televisione dallo Stato.60”
Al fine di adempiere ai suoi compiti la SSR, nel 2006 si è dotata di una Carta dei
programmi61 coerente con il mandato costituzionale che stabilisce i valori editoriali
interni che devono essere recepiti dalle diverse unità aziendali.
Il sistema radiotelevisivo svizzero è fortemente condizionato dall‟importanza
dell‟emittente di servizio pubblico, tuttavia nel Paese operano attualmente circa 50 radio
e 20 televisioni private, tra queste ultime rivestono una certa importanza TeleZüri,
nell‟area germanofona, LemanBleu, in quella francofona, e TeleTicino in quella
italofona.
L‟emittenza privata, pur se fondata prevalentemente sugli introiti pubblicitari, riceve una
frazione, complessivamente il 4%, dell‟ammontare lordo derivante dal canone
radiotelevisivo. Questa agevolazione costituisce un‟importante differenza rispetto al
modello di istituzionalizzazione liberale dal momento che, per avere accesso a questi
60
Saxer (2000), p.134.
http://www.srgssrideesuisse.ch/it/la-srg-ssr/valori-aziendali/carta-dei-programmi (ultima
consultazione: 1.6.2010).
61
137
fondi, le emittenti devono sottostare a taluni criteri, anche contenutistici, stabiliti dalla
legge federale sulla radiotelevisione (LRTV) 62.
Il sistema dei media elvetico presenta, in conclusione, caratteristiche tali da poter essere
assimilabile alla tipologia
democratico-corporativa, che si distingue per una
equidistanza dal mondo della politica, che condiziona fortemente il giornalismo nei Paesi
che adottano un modello equiparabile a quello pluralista-polarizzato, e da quello
dell‟economia, che ha una forte influenza sui media degli Stati che perseguono
un‟istituzionalizzazione di tipo liberale.
Anche in Svizzera, però, vi sono segnali di una tendenza generale, individuata da Hallin
e Mancini (2004: 225-261), che porta alla progressiva omologazione del giornalismo al
modello anglosassone. Il settore radiotelevisivo, come abbiamo visto, ha conosciuto una
commercializzazione molto limitata, sebbene in Svizzera sia nata una delle prime PayTv (Teleclub, fondata nel 1982), questo fenomeno è stato più significativo per quanto
riguarda la stampa scritta. In particolare, Imhof (1996) constata la sempre più forte
marginalizzazione dei giornali di partito, che erano storicamente il veicolo dell‟influenza
diretta della politica sui contenuti dei media, a vantaggio della stampa d‟opinione che, al
contrario, trasmette al sistema politico i contenuti proposti dai mezzi di informazione.
Romano (1999) affronta questa trasformazione analizzando i mutamenti del linguaggio
giornalistico. Prima di affrontare l‟evoluzione delle forme di comunicazione mediale
occorre, però, soffermarsi su un aspetto specifico del sistema dei media svizzero: la sua
segmentazione linguistica.
Segmentazione linguistica dello spazio pubblico mediatizzato.
In uno Stato plurilingue (cfr. 2.1.3) come
la Svizzera, la segmentazione su base
idiomatica dello spazio pubblico mediatizzato è un fenomeno pressoché inevitabile,
causato, da un lato, dalla socializzazione formativa e professionale comune ai giornalisti
62
http://www.bakom.admin.ch/dokumentation/gesetzgebung/00512/01031/01404/index.html?lang=it
(ultima consultazione: 1.6.2010).
138
di ciascuna collettività idiomatica e, dall‟altro, dalla scarsa fruizione da parte della
popolazione di informazione mediatica proposta in un idioma diverso dal proprio.
Il sistema della stampa scritta si suddivide in tre segmenti linguistici di taglia ineguale.
Quello più piccolo, escludendo le pubblicazioni in lingua romancia, è quello della
Svizzera italiana, che si basa su un pubblico potenziale di circa 280000 persone, esso
conta tre quotidiani italofoni più uno in tedesco e due giornali domenicali.
Il mercato romando conta approssimativamente un milione di potenziali lettori ed
annovera 14 quotidiani, due domenicali, alcuni bi- e tri-settimanali e tre settimanali
gratuiti. La maggior parte di questi sono editi a Ginevra e Losanna.
In Svizzera tedesca vi è un elevatissima concentrazione di giornali, un centinaio tra
quotidiani, settimanali e periodici, per un mercato potenziale che si avvicina ai 5 milioni
di persone. I più importanti centri di stampa sono Zurigo, Berna, Basilea e Lucerna
(Hauf, 2009: 70-81).
Il numero estremamente elevato di pubblicazioni in quest‟area linguistica è legato anche
ad una particolarità che non si riscontra, se non in minima parte, nella Svizzera latina.
Un grande numero di quotidiani germanofoni condivide interamente le sezioni
riguardanti l‟attualità politica nazionale ed internazionale, la cultura e lo sport; solo le
pagine regionali sono specifiche alla singola testata. I giornali francofoni ed italofoni,
quando anche condividono delle parti redazionali, mantengono comunque una notevole
autonomia (Widmer 2004a: 86-91).
Il settore radiotelevisivo è largamente dominato dall‟emittente di servizio pubblico SSR
che, come abbiamo visto, è chiamata, per mandato costituzionale, a tenere conto delle
particolarità, e delle differenze interne, esistenti nel Paese. Per quanto riguarda il rispetto
delle collettività linguistiche, Ulrich Saxer (2000) afferma che:
“… in Svizzera l‟accettazione generale del monopolio di teleradiodiffusione della SSR è
stata a lungo vista ampiamente, a livello politico, come teleradiodiffusione di
integrazione. Anche dal punto di vista culturale la teleradiodiffusione di diritto pubblico
agì fin dal principio in maniera fortemente integrativa sul territorio, rifornendo di
139
prestazioni simili le diverse regioni linguistiche svizzere, malgrado le differenti
dimensioni, grazie a un equilibrio finanziario interno e onorando così l‟ideale di una
fornitura pubblicistica uguale per tutti63.”
Perequazione finanziaria per regione linguistica (2009).
Fonte: sito web SRG SSR idée suisse (ultima verifica: 1.6.2010)
Il grafico che rende conto della chiave di riparto finanziaria tra le regioni linguistiche
conferma le parole di Saxer (2000), vi è una forte sproporzione tra gli spettatori
potenziali, le entrate effettive e l‟allocazione delle risorse finanziarie alle unità aziendali
di riferimento delle tre collettività idiomatiche. I mezzi a disposizione nelle aree latine,
benché inferiori in termini assoluti, sono proporzionalmente molto maggiori rispetto a
quelli utilizzabili nella Svizzera tedesca, questo al fine di garantire all‟insieme della
popolazione un servizio radiotelevisivo di qualità uniforme.
63
Saxer, 2000, p. 134
140
A questa forma di perequazione finanziaria tesa a garantire un‟uguaglianza di
trattamento a tutte le collettività linguistiche corrisponde un‟organizzazione aziendale ed
istituzionale strutturata su base regionale.
Le unità aziendali sono sei ed assicurano i contenuti editoriali (radio, televisione,
internet) sul mercato svizzero ed internazionale: Radiotelevisione svizzera di lingua
italiana (RSI), Schweizer Fernsehen (SF), Schweizer Radio DRS (SR DRS), Radio
Télévision Suisse Romande (RTSR), Radio e Televisiun Rumantscha (RTR), Swissinfo.
Esse forniscono le loro prestazioni alle rispettive regioni linguistiche di riferimento (la
RTR si limita a controllare un‟emettente radio, mentre la programmazione televisiva è
trasmessa sulle altre reti regionali a determinati orari). Swissinfo propone un‟offerta
editoriale plurilingue destinata all‟estero64.
L‟organizzazione istituzionale è costituita da quattro enti regionali che, come abbiamo
visto, rispondono all‟Assemblea dei delegati ed al Consiglio di amministrazione.
Le quattro società regionali sono: l‟associazione SRG idée suisse Deutschschweiz
(SRG.D), l‟associazione SSR idée suisse Romande (RTSR), la Società cooperativa per
la radiotelevisione nella Svizzera italiana (CORSI), l‟associazione SRG SSR Svizra
Rumantscha (SRG.R).
I compiti specifici di questi enti sono, da un lato, l‟osservazione e la valutazione
dell‟offerta editoriale proposta dall‟unità aziendale di riferimento, dall‟altro, lo sviluppo
di un dibattito sui principi e sullo sviluppo del servizio pubblico audiovisivo nazionale65.
La segmentazione linguistica del sistema dei media contribuisce significativamente alla
differenziazione delle strutture dello spazio pubblico delle tre collettività idiomatiche
svizzere. I giornalisti tendono infatti a sviluppare culture professionali leggermente
differenti (Wyss/Keel, 2009). Le occasioni di scambio avvengono a livello regionale, sia
64
http://www.srgssrideesuisse.ch/it/la-srg-ssr/struttura-aziendale/unita-aziendali/
(ultima consultazione: 1.6.2010)
65
http://www.srgssrideesuisse.ch/it/la-srg-ssr/organizzazione-istituzionale (ultima consultazione:
1.6.2010).
141
per quanto riguarda i centri di formazione, ogni area linguistica ha i propri, sia a livello
pratico, attraverso lo scambio di contenuti editoriali (Widmer 2004a).
Per quanto riguarda la fruizione da parte del pubblico, si nota uno scarsissimo consumo
di contenuti mediali provenienti da aree idiomatiche diverse dalla propria. La diffusione
dei quotidiani al di fuori della regione linguistica in cui sono stampati è estremamente
scarsa, mediamente solo il 5% delle copie distribuite con picchi che non superano il
10%. L‟audience delle reti televisive nazionali di un'altra area è ancora più limitata,
raggiunge al massimo il 5% nella Svizzera italiana, dove risiede una forte comunità
germanofona (Kriesi/Wernli/Sciarini/Gianni, 1996).
Oltre che con l‟ovvio ostacolo costituito dalle difficoltà legate alla comprensione
linguistica, questo fenomeno può essere spiegato con il particolare sistema politico
vigente nel Paese e soprattutto con l‟elevato uso, anche a livello di microdecisioni
cantonali e comunali, della democrazia diretta. Questa situazione fa sì che la maggior
parte dei media svizzeri – e tra questi anche i giornali che contano numerosi lettori
all‟estero, come la Neue Züricher Zeitung -
siano ancorati alla propria regione
linguistica, e lì abbiano la maggior parte dei propri lettori.
Evoluzione del linguaggio nella comunicazione di massa.
Il contributo alla segmentazione su base idiomatica delle strutture dello spazio pubblico
svizzero è rafforzato dall‟evoluzione del linguaggio mediatico. Il cambiamento degli
obbiettivi e delle strategie ha portato ad una trasformazione degli effetti della
comunicazione di massa (Wolton, 1991; Wolf, 1996), in particolare vi è stata una
progressiva oralizzazione e personalizzazione dell‟informazione sui giornali (Romano,
1996) ed una regionalizzazione di quella radiotelevisiva (Hungerbühler, 2002; CorboudFumagalli, 1996; Beck/Schwotzer, 2006).
Per quanto riguarda la stampa scritta, Kurt Imhof (1996: 165-183) constata, a partire dal
secondo dopoguerra il declino del giornalismo di partito ed il contemporaneo sviluppo di
quello d‟opinione. Fino agli anni ‟50-‟60 il mondo politico aveva come punti di
riferimento ideologie che si reggevano su ben definiti progetti di società sviluppatisi nel
142
XIX secolo in concomitanza con l‟affermarsi del sistema industriale e con l‟apogeo della
contrapposizione tra le diverse classi sociali. Il contemporaneo sviluppo della sfera
pubblica (Habermas, 1962) ove discutere razionalmente la creazione di un nuove
istituzioni statali non più legittimate unicamente dalla tradizione ha portato alla nascita
di numerosi giornali che esprimevano le idee ed i progetti sociali dei principali partiti
politici.
I mutamenti avvenuti
durante i “trenta gloriosi” (1950-1980), una fase storica
caratterizzata dal definitivo superamento dell‟economia fordista e da un conseguente
allentamento delle tensioni sociali, hanno ridotto considerevolmente l‟influenza presso
l‟opinione pubblica delle ideologie, ancorate alle contrapposizioni tra classi, proposte dai
partiti tradizionali. In questo periodo nello spazio pubblico, ai rappresentanti delle
rivendicazioni dei detentori dei mezzi di produzione e della forza lavoro si sono aggiunti
movimenti sociali – di matrice femminista, ecologista o nazionalista – che propongono
cambiamenti non più esclusivamente economici, ma anche culturali della società
(Laclau/Muff, 1985).
Il sistema della stampa non rimane indifferente a questi mutamenti, i giornali di partito, i
cui pezzi redazionali sono scritti da esponenti politici, appaiono obsoleti ed i discorsi da
loro proposti vengono sempre più decodificati in maniera oppositiva dal pubblico (Hall,
1980).
Si assiste, di conseguenza, a testate giornalistiche che appoggiano o combattono le
istanze dei diversi movimenti sociali o, addirittura, si fanno esse stesse promotrici di
cambiamenti dell‟ordine sociale.
Il giornale che, più di ogni altro, è rappresentativo di questa trasformazione è il Blick,
fondato a Zurigo nel 1959 ed edito da Ringier SA. Di questo quotidiano si è occupato
Gaetano Romano (1999: 143-159) in uno studio sulla correlazione tra la nascita ed il
rafforzamento dei movimenti xenofobi e i cambiamenti del linguaggio giornalistico. Le
conclusioni della ricerca evidenziano un‟evoluzione verso uno stile più simile a quello
del racconto, tradizionalmente utilizzato nella narrazione finzionale.
In particolare, Romano individua una progressiva oralizzazione della prosa giornalistica,
in pratica vengono allentate le regole che separano la comunicazione scritta da quella
143
parlata. La prima, tradizionalmente,
si distingue per essere in grado di porre una
distanza emotiva tra il destinatario ed i contenuti delle informazioni, ciò avviene perché
la comunicazione scritta riesce ad essere indipendente dal contesto della sua emissione
dal momento che, attraverso un‟esposizione logica e lineare, fornisce gli strumenti
necessari alla decodifica del messaggio. La seconda al contrario è, sin dall‟antichità,
maggiormente in grado di creare un legame stretto tra il destinatario ed i fatti che
vengono narrati, questo perché l‟oralità tende ad essere più vicina all‟esperienza umana
grazie ad uno stile più enfatico, ridondante e meno analitico. Lo studio delle strategie
comunicative attuate dal Blick porta a concludere che esse si avvicinino molto a quella
che Walter Ong (1982) descrive come oralità secondaria:
“… questa nuova oralità ha sorprendenti somiglianze con quella più antica, dell‟epoca
priva della scrittura, per la sua mistica partecipatoria, per il senso della comunità, per
la concentrazione sul momento presente e persino per l‟utilizzazione delle formule. Ma
ha anche grandi differenze: si tratta pur sempre di un‟oralità più deliberata e
consapevole, permanentemente basata sull‟uso della scrittura e della stampa …” 66
Questa “mistica partecipatoria” è rafforzata dal ricorso ad una personalizzazione dei
fatti, cioè all‟attribuire a singoli individui le cause di determinati eventi al fine di
favorire la comprensibilità della narrazione. Nel caso specifico, gli articoli dedicati ai
movimenti xenofobi si concentravano sulla personalità dei loro leader piuttosto che sui
fenomeni collettivi alla base di questa situazione sociale.
L‟informazione sui media elettronici svizzeri ha anch‟essa conosciuto delle
trasformazioni importanti, leggermente differenti rispetto a quelle avute dalla stampa
scritta principalmente a causa, come abbiamo visto, della posizione tuttora dominante
nel settore radiotelevisivo dell‟emittente di servizio pubblico SSR.
Sin dalla sua nascita, nel 1931, l‟informazione, radiofonica prima e radiotelevisiva poi,
fu rigidamente regolamentata dallo Stato, i notiziari dovevano, ad esempio, limitarsi a
66
Ong, 1982, trad.it. 1986: p.191
144
riportare integralmente i dispacci dell‟Agenzia telegrafica svizzera (ATS) senza poter
aggiungere alcun commento o approfondimento delle notizie. Il controllo politico sulla
SSR, che conobbe il suo apogeo durante il secondo conflitto mondiale, iniziò ad
allentarsi e ad essere oggetto di dibattito a partire dagli anni ‟60, in concomitanza con
l‟attenuarsi della Guerra Fredda (Vallotton, 2006: 37-81). Il vero cambiamento avvenne
però dopo il 1979, quando il monopolio radiotelevisivo venne rimesso concretamente in
discussione dalla nascita di Radio 24, fondata da Roger Schawinski, enfant terrible del
giornalismo svizzero-tedesco. L‟emittente trasmetteva dall‟Italia, da Pizzo Groppera,
verso l‟area zurighese utilizzando delle frequenze riservate all‟uso militare. Radio 24,
nei primi periodi, proponeva prevalentemente intrattenimento musicale e si rivolgeva ad
un pubblico giovane ed insoddisfatto dall‟offerta troppo paludata delle radio di servizio
pubblico. Inizialmente, l‟emittente fu duramente osteggiata dagli ambienti conservatori
che, spalleggiati dai grandi gruppi editoriali che temevano di dover spartire il mercato
pubblicitario con nuovi concorrenti, le rimproveravano di non rispettare i criteri
fondamentali di qualità necessari ad un servizio radiofonico. La situazione mutò in
occasione degli scontri che si svolsero a Zurigo nel 1980 tra giovani militanti della
sinistra extraparlamentare e forze dell‟ordine; in questa circostanza Radio 24 fu molto
apprezzata da coloro che prima ne pretendevano la chiusura, l‟informazione fornita
dall‟emittente venne, infatti, giudicata più equilibrata di quella proposta dalla SSR,
considerata troppo attenta alle posizioni dei contestatori. Il mutato contesto politico portò
all‟approvazione, nel 1983, di una nuova regolamentazione della radiofonia che
contemplava l‟esistenza di emittenti commerciali. Questa riforma aprì, di fatto, la strada
ad analoghe concessioni in ambito televisivo (Schneider, 2006: 83-129).
La risposta della SSR, che restava di gran lunga l‟attore più importante nel panorama
radiotelevisivo del Paese, fu di allentare i rigidi parametri che, sino ad allora, erano
giudicati imprescindibili per un‟emittente di servizio pubblico. La novità costituita dal
ritrovarsi in un mercato soggetto alla concorrenza, ha modificato sensibilmente il modo
di fare informazione, in particolar modo, per contrastare le emittenti locali, si è registrata
una marcata regionalizzazione dei notiziari, in modo da assecondare maggiormente le
preferenze del pubblico della propria area linguistica di riferimento. Se fino agli anni
145
‟60, infatti, l‟informazione radiofonica forniva contenuti piuttosto uniformi all‟insieme
del Paese, successivamente, vi è stata una progressiva differenziazione che ha portato i
canali germanofoni ad accordare sempre più spazio alla politica nazionale ed economica,
quelli francofoni alle notizie regionali e culturali e quelli italofoni all‟attualità
internazionale (Hungerbühler, 2002: 162-183). I notiziari televisivi, invece, si sono
caratterizzati sia per una sempre maggiore focalizzazione sull‟attualità regionale
(Beck/Schwotzer, 2006), sia per una diversificazione nelle modalità di mediazione; sui
canali germanofoni, infatti, si registrano molti meno commenti e prese di posizione
rispetto a quanto avviene in quelli latini (Corboud-Fumagalli, 1996).
Osservazioni generali.
Jean Widmer (2004b) individua nello spazio pubblico il luogo simbolico che, nella
Svizzera moderna, ha sostituito la religione come fattore di produzione di codici di
identificazione collettiva. Il ceto borghese e liberale che ha preso il potere nella seconda
metà dell‟Ottocento ha dovuto trarre la propria legittimità, non più dalla tradizione e
dalla fede come faceva la classe aristocratica, ma dalla capacità di dare un assetto
razionale-legale alle istituzioni statali attraverso una discussione pubblica aperta e
trasparente. Lo spazio pubblico, che in origine era molto simile a quello descritto da
Habermas (1962), ovvero un luogo di scambio in cui un numero ristretto di persone
pianificava le riforme politiche, si è poi progressivamente mediatizzato divenendo
accessibile ad un pubblico sempre più vasto ed eterogeneo (Wolf, 1996). La
segmentazione linguistica del sistema dei media, unita alla sua istituzionalizzazione
secondo il modello democratico-corporativo diffuso nei Paesi dell‟Europa centrosettentrionale (Hallin/Mancini, 2004), ha contribuito ad accentuare lo sviluppo di
specifici codici identitari presso le collettività idiomatiche elvetiche.
Già a partire dalla seconda metà dell‟Ottocento, la stampa scritta, infatti, costituiva uno
strumento indispensabile di partecipazione democratica per i cittadini delle diverse
regioni linguistiche; ad essa si è aggiunto, durante il XX secolo,
un sistema
radiotelevisivo di servizio pubblico che persegue una politica tesa a garantire una parità
146
d‟accesso all‟informazione a tutta la popolazione indipendentemente dalla sua
appartenenza idiomatica (Saxer, 2000).
La suddivisione su base linguistica del sistema dei media - che nella sua fase iniziale era
promossa e, per certi versi, controllata dal potere politico – ha portato negli ultimi
decenni ad una sempre maggiore differenziazione, sia nelle priorità contenutistiche
(Hungerbühler, 2002; Beck/Schwotzer, 2006) che nella presentazione formale (CorboudFumagalli, 1996; Romano, 1999) delle informazioni proposte dai mezzi di
comunicazione di massa alle diverse collettività idiomatiche.
Gli effetti di questa progressiva regionalizzazione dello spazio pubblico mediatizzato,
dovuta a mutamenti sociali (Imhof, 1996) e a trasformazioni del mercato (Schneider,
2006), sono stati descritti come una delle cause delle differenze nelle preferenze
politiche che si registrano tra le aree linguistiche in occasione di alcune consultazioni
popolari (Knüsel, 1994; Widmer, 2004a; Linder/Zürcher/Bollinger, 2008).
2.2.4 Rapporti alle lingue e spazio pubblico.
Nel capitolo precedente abbiamo trattato le identità collettive come il risultato di una
combinazione dei codici di distinzione (Eisenstadt, 1998, 2000) che permettono ai
membri stessi di definire i criteri di appartenenza ad una determinata società. Il processo
di codificazione inizia ad aver luogo al momento in cui un gruppo inizia a concepire una
distinzione tra la sua dimensione mondana e quella ultramondana e a costituire la propria
organizzazione sociale in funzione di quest‟ultima.
Il credo religioso è, di conseguenza, da secoli un importante fattore di costruzione dei
codici di identificazione collettiva. Tuttavia, l‟emergere, nel corso dell‟Ottocento, del
ceto borghese ha spostato verso lo spazio pubblico, il luogo simbolico in cui si discute
l‟assetto istituzionale dello Stato, e dove avviene il processo di codifica identitaria
(Widmer
2004b).
La
segmentazione
linguistica
dello
spazio
pubblico
(Kriesi/Wernli/Sciarini/Gianni, 1996) e la sua progressiva mediatizzazione e
democratizzazione hanno, infatti, portato ad una sempre più marcata regionalizzazione
147
dell‟informazione, tanto a livello delle priorità contenutistiche (Hungerbühler, 2002;
Beck/Schwotzer, 2006) quanto della presentazione formale (Corboud-Fumagalli, 1996;
Romano, 1999). Secondo Jean Widmer (2004a), la crescente importanza dello spazio
pubblico mediatizzato ha portato, in uno Stato plurilingue come la Svizzera, ad un
accrescimento dell‟importanza del rapporto che una collettività intrattiene con il proprio
idioma nella definizione del senso di appartenenza dei propri membri.
La collettività germanofona si caratterizza, abbiamo visto, per praticare una diglossia
modale. Accanto ad un tedesco standard utilizzato per i documenti scritti coesiste lo
Schweizerdeutsch che è essenzialmente la lingua parlata (Ris, 1982; Haas, 1985a, Rash,
1998). La diglossia si manifesta tanto nella vita quotidiana, quanto nella discussione
pubblica (Hungerbühler e altri, 2008).
Questa situazione ha delle implicazioni profonde nella costituzione dell‟identità
collettiva della popolazione. L‟uso di un idioma istituito unicamente attraverso l‟oralità
presuppone l‟assenza di strumenti formali di apprendimento per coloro per cui esso non
costituisce la lingua materna.
Il rapporto che questa collettività intrattiene con il proprio idioma ha un carattere
metonimico (Widmer 2004a), i suoi membri tendono, infatti, a considerare lo
Schweizerdeutsch come una loro caratteristica specifica e distintiva.
La tipologia ideale di legame identitario che meglio si adatta alla situazione svizzerotedesca è quella fondata sul codice primordiale, descritta da Eisenstadt e Giesen (1995),
in cui i codici di distinzione che definiscono la frontiera tra i membri della collettività e
coloro che si trovano all‟esterno come naturale e quindi estremamente difficile da
valicare. Una volta superata, però, quando l‟outgroup apprende lo Schweizerdeutsch,
quest‟ultimo sarà considerato parte integrante di una comunità tendenzialmente
egualitaria.
Questo tipo di auto-percezione della collettività svizzero-tedesca è constatato anche da
Gaetano Romano (1998: 143-159) che individua in questo sentimento identitario la base
di una vera e propria ideologia fondata sulla dicotomia classica tra comunità e società
(Tönnies, 1887). Si tratta di un pensiero politico proposto a più riprese nello spazio
148
pubblico elvetico- durante la Seconda guerra mondiale e, successivamente, negli anni
‟60 - che ad un sistema sociale bastato sulla crescita economica ed insensibile alla
cultura locale, ai costumi ed alle tradizioni, contrappone un modello di comunità attenta
alle realtà territoriali, i cui membri sono molto legati e coesi tra loro ed in grado di
controllare collettivamente i cambiamenti sociali. Quanto alle implicazioni sulle
architetture dello spazio pubblico, si constata che il rapporto metonimico con la propria
lingua intrattenuto dalla collettività germanofona fornisce una maggiore importanza al
ruolo degli imprenditori morali (Becker, 1963), ossia agli attori che operano all‟interno
del sistema politico (cfr. 2.3.2) dove, sulla base della propria esperienza individuano le
situazioni da normalizzare. Per contro i chierici mediatori (Geller, 1983), ossia gli
intellettuali e i giornalisti, inseriti in una società meno incline a riconoscere statuti sociali
particolari al suo interno, non possono avvalersi del loro storico monopolio della lingua
standardizzata scritta.
La Svizzera francese presenta caratteristiche che permettono di associarla a tipologie
ideali opposte a quelle della regione germanofona.
Il rapporto che questa collettività intrattiene con la propria lingua è di tipo metaforico
(Widmer, 2004a), che situa l‟idioma al di fuori delle sue caratteristiche identitarie
fondamentali. Essa concepisce l‟esistenza di altre società che si identificano con la
medesima lingua, dal momento che i suoi membri non si percepiscono come i depositari
unici di un idioma trasmissibile unicamente attraverso l‟oralità (Knecht, 1985).
Il codice civilizzazionale che meglio si adatta al senso identitario del gruppo francofono
è il codice civico (Eisenstadt/Giesen, 1995), che traccia frontiere identitarie non
particolarmente impermeabili ed a cui non viene riconosciuto uno statuto naturale.
L‟accesso è però graduale ed all‟interno della collettività permangono forti gerarchie
economiche e sociali. L‟uso esclusivo di una lingua istituita attraverso la scrittura
permette, infatti, una maggiore integrazione dei nuovi membri attraverso forme di
socializzazione secondaria poste al di fuori del contesto familiare.
Lo spazio pubblico è maggiormente animato dai chierici mediatori che godono di uno
statuto sociale elevato dovuto sia alla maggiore gerarchizzazione della società nel suo
149
insieme, sia alla maggiore importanza attribuita alla lingua scritta, di cui essi sono
storicamente i detentori, quale veicolo di discussione dei problemi sociali.
La Svizzera italiana presenta tratti che permettono di associarla maggiormente alle
tipologie che caratterizzano la regione francofona, con però delle importanti differenze.
Innanzitutto essa è composta, a parte alcune vallate poco popolate dei Grigioni, da un
unico Cantone di frontiera, il Ticino (Lurati, 1985). Questa specificità geografica la
rende partecipe in misura maggiore rispetto alle altre due regioni linguistiche allo spazio
pubblico mediatizzato della nazione limitrofa67.
Un aspetto relativamente recente che si sta manifestando nel rapporto alla lingua dei
ticinesi e, di conseguenza, nell‟architettura dello spazio pubblico italofono è lo sviluppo
di una nuova forma di dialetto sovra-regionale (Bianconi, 1986). Questo idioma si è
affiancato all‟italiano che fino a pochi decenni orsono era l‟unica lingua ammessa nel
dibattito pubblico. La sua introduzione nello spazio pubblico è un atto politico volto a
dare apparentemente “voce al popolo” in opposizione all‟italiano standard utilizzato dai
rappresentanti dei partiti tradizionali. Un‟ulteriore finalità nell‟uso del dialetto è quella di
esprimere un richiamo identitario verso una, più o meno immaginaria, popolazione
autoctona contrapposta a quella di recente immigrazione (Widmer, 2004a).
In questo paragrafo ci siamo soffermati sullo specifico rapporto che le tre principali
collettività linguistiche intrattengono con il proprio idioma e di come questa relazione
influenzi le architetture dei rispettivi segmenti dello spazio pubblico. Nelle prossime
pagine vedremo come questi segmenti condizionino le forme del dibattito politico, i cui
contenuti derivano dalla contrapposizione di modelli culturali.
67
Il discorso sulle interinfluenze tra lo spazio pubblico ticinese e quello italiano è particolarmente
complesso e non verrà qui affrontato. Per un approfondimento sul tema del consumo mediatico
transfrontaliero si veda Cola/Prario (2009).
150
2.3 Identità collettive e modelli culturali.
Sinora abbiamo considerato il rapporto che le tre principali collettività linguistiche
svizzere intrattengono con i propri idiomi e di come il diverso relazionarsi alla lingua
concorra in maniera significativa alla configurazione dei rispettivi codici identitari che, a
loro volta,
determinano le diverse architetture dei segmenti dello spazio pubblico
elvetico influenzando i quadri semantici, le regole fondamentali, entro cui un problema
sociale viene dibattuto.
In questo paragrafo tratteremo, dapprima, le modalità attraverso cui si sviluppano i
contenuti del dibattito pubblico. In Svizzera, infatti, pur con la sua struttura federalista,
esistono numerose situazioni sociali che riguardano il Paese nel suo insieme e le
decisioni inerenti la loro normalizzazione coinvolgono l‟insieme dei cittadini,
indipendentemente dalle loro differenze linguistiche ed identitarie.
Questi problemi sociali (Céfai, 1996) vengono percepiti come tali sulla base di modelli
culturali (Touraine, 1965, 1973): gli orientamenti teorici sul funzionamento del sistema
sociale, che guidano le azioni dei diversi attori politici.
il primo aspetto da prendere in considerazione è legato alle specificità delle istituzioni
politiche elvetiche che rendono possibile, a differenza di quanto avviene nella maggior
parte degli Stati occidentali, ricorrere sovente agli strumenti della democrazia diretta.
Questa caratteristica, come vedremo, ha per effetto di attenuare la componente
ideologica associata ai modelli culturali, dal momento che il dibattito pubblico volge più
su singoli problemi sociali e meno su progetti globali di società (cfr. 1.1.2).
Successivamente vedremo quali sono gli attori che prendono parte al dibattito politico ed
in quale misura essi possono essere ricondotti alle tipologie ideali di imprenditore
morale (Becker, 1963) e di movimento storico (Touraine, 1973) (cfr.1.1.2/1.3).
Infine, torneremo ad occuparci dell‟influenza delle forme date dai codici identitari (cfr.
2.2) al dibattito pubblico e lo faremo analizzando le variazioni regionali nelle preferenze
politiche in occasione del referendum sull‟adesione allo Spazio Economico Europeo
(SEE) avvenuto nel 1992.
151
2.3.1 La concezione svizzera della democrazia diretta.
Il sistema politico elvetico presenta specificità tali da renderlo molto diverso da quello
della maggior parte delle democrazie occidentali. L‟assetto istituzionale che lo regge
permette ai cittadini di ricorrere molto più sovente a strumenti legislativi come i
referendum e le iniziative popolari; queste caratteristiche hanno profonde ripercussioni
sui contenuti dei dibattiti pubblici e, come vedremo successivamente (cfr. 2.3.2) sul
potere esercitato dai diversi attori politici.
Democrazia diretta e rappresentativa.
La democrazia in quanto sistema politico esiste in numerose varianti, è però possibile
distinguere due tipologie maggiori (Held, 1987): le democrazie liberali o
rappresentative e le democrazie dirette o partecipative.
Le democrazie di tipo rappresentativo sono largamente le più diffuse nel mondo
occidentale, gli Stati Uniti, la Francia, la Germania e l‟Italia, ad esempio, adottano
questo modello. Questo sistema istituzionale prevede che i cittadini deleghino l‟insieme
delle decisioni politiche a rappresentanti eletti a scadenze regolate.
Secondo Hans Peter Kriesi (2005), in questo modello:
“… la democrazia è essenzialmente un metodo per investire taluni individui del potere
di effettuare decisioni politiche vincolanti, un metodo che consiste nella competizione
tra élite politiche per il voto popolare.”68 [t.d.a]
In questa prospettiva, il sistema rappresentativo concede ai cittadini unicamente
l‟opportunità di rimpiazzare un governo con un altro. Essi sono ritenuti troppo
disinformati e scarsamente interessati rispetto agli affari pubblici, o, addirittura, non
sufficientemente qualificati per partecipare alle decisioni politiche (Budge, 1996).
68
“… democracy is essentially a method for vesting in certain individuals the power to make binding
decisions, a method which consists in the competition between political elites for the people‟s vote.”
(Kriesi, 2005, p.2)
152
La Svizzera, come abbiamo anticipato, si basa sulla democrazia diretta, ovvero sulla
possibilità da parte dei cittadini di partecipare direttamente alle scelte politiche
fondamentali del Paese; un modello che presuppone ben più di una trasformazione
dell‟apparato istituzionale, esso è una maniera alternativa di intendere la democrazia.
L‟inclusione dei cittadini nelle prese di decisione collettive non è da intendersi come un
insieme di norme legislative che consentono alla popolazione di esprimersi su
determinati temi. La partecipazione collettiva è una concezione diversa della
cittadinanza che presuppone una responsabilizzazione rispetto alla cosa pubblica che si
manifesta a diversi livelli della vita politica, da quella nazionale a quella locale. Secondo
Benjamin Barber (1984) essa è una democrazia forte:
“… letteralmente [la democrazia diretta] è autogoverno da parte dei cittadini piuttosto
che governo rappresentativo in nome dei cittadini. I cittadini attivi qui governano
direttamente loro stessi, non necessariamente ad ogni livello ed a ogni istanza, ma
abbastanza frequentemente e in particolare quando sono decise politiche fondamentali e
quando un potere significativo viene dispiegato. L‟autogoverno è reso possibile
attraverso istituzioni designate a facilitare una continua partecipazione civica
all‟agenda-setting, alla deliberazione, alla legislazione ed all‟implementazione
pubblica.”69 [t.d.a]
L‟idea alla base della democrazia diretta vede nell‟atto di partecipazione un effetto
educativo nei cittadini che sono sempre più responsabilizzati rispetto alla vita pubblica.
Le decisioni politiche prese in questo modo sono, infatti, sentite come “proprie” anche
quando non corrispondono alle scelte del singolo individuo. In altri termini, la
69
“… literally it is self-government by citizens rather than representative government in the name of
citizens. Active citizens govern themselves directly here, not necessarily at every level and in every
instance, but frequently enough and in particular when basic policies are being decided and when
significant power is deployed. Self government is carried on through institutions designed to facilitate
ongoing civic participation in agenda-setting, deliberation, legislation, and policy implementation.”
(Barber, 1984, p. 151)
153
democrazia diretta non costituisce un ostacolo alle politiche pubbliche, essa può
contribuire in maniera importante alla loro legittimazione ed alla loro stabilizzazione.
Istituzioni della democrazia diretta.
La Svizzera dispone di numerosi strumenti che permettono l‟esistenza della democrazia
diretta, a livello federale, che è quello che ci interessa in questa ricerca, ma anche
cantonale e comunale.
Queste istituzioni possono essere raggruppate in due macro-categorie: il referendum e
l‟iniziativa popolare. La prima è una votazione popolare in cui i cittadini si pronunciano
su nuovi articoli costituzionali o su loro modifiche, su leggi federali e su altre decisioni
del parlamento, accettandoli o respingendoli. La seconda è una domanda con cui 100000
aventi diritto di voto chiedono all'Assemblea federale la rielaborazione totale della
Costituzione federale oppure l'adozione, l'abrogazione o la modifica di disposizioni
costituzionali o legislative.
Gli ambiti in cui questi strumenti possono essere utilizzati sono molteplici e la loro
istituzionalizzazione è avvenuta parallelamente all‟evolversi delle sfide a cui era
confrontato il sistema politico svizzero. La situazione attuale si è venuta a creare a
seguito delle seguenti tappe:
Referendum obbligatorio per la revisione della Costituzione (1848). Iniziativa popolare
per la revisione totale della Costituzione (1848). Referendum facoltativo in materia di
leggi (1874 - 50‟000 firme, oppure 8 Cantoni). Iniziativa popolare per la revisione
parziale della Costituzione (1891 - 50'000 firme, 100'000 a partire dal 1971).
Referendum facoltativo per i trattati internazionali di lunga durata e non denunciabili
(1921). Referendum facoltativo per le decisioni federali di portata generale ma in vigore
d‟urgenza (1949). Referendum obbligatorio per le decisioni federali di portata generale
ma in vigore d‟urgenza e che derogano alla Costituzione. Referendum facoltativo per i
trattati internazionali che prevedono l‟adesione ad un‟organizzazione internazionale o
154
che prevedono un‟unificazione multilaterale del diritto (1977). Referendum obbligatorio
sull‟adesione a organizzazioni di sicurezza collettiva o a comunità sovranazionali
(1977).
Gli strumenti della democrazia diretta rendono il sistema politico svizzero più aperto e
meno autonomo nei confronti del resto della società rispetto a quanto avviene nella
maggior parte degli Stati occidentali. Il margine di manovra delle élite politiche è
ristretto dal fatto che, in ultima analisi, le loro decisioni sono sovente sottoposte a
votazione popolare.
Il referendum e l‟iniziativa popolare, pur essendo entrambi strumenti funzionali
all‟istituzione di una specifica forma di governo, rivestono ruoli profondamente diversi.
In proposito Hans Peter Kriesi (1998) rileva che:
“ … il referendum interviene solo alla fine di un processo di decisione. Ha il carattere di
veto o di valvola di sicurezza, che permette al popolo di intervenire quando non è
soddisfatto dei progetti di legge elaborati dalle élite politiche. Analogamente, il
referendum obbligatorio permette di ribaltare un progetto costituzionale. Il referendum
offre dunque la possibilità di un‟opposizione caso per caso, specifica ad un contesto
politico.”70 [t.d.a]
Secondo Neidhart (1970) questa caratteristica dell‟attività referendaria ha degli effetti
latenti profondi sull‟insieme del sistema politico svizzero. La minaccia del ricorso al
referendum da parte di una moltitudine di organizzazioni radicate nella società civile, ha
portato ad una sorta di democrazia della negoziazione. Perché le scelte legislative
abbiano maggiori possibilità di non essere affossate necessitano del consenso più vasto
possibile tra le forze politiche.
70
“ … le référendum n‟intervient qu‟à la fin d‟un processus de décision. Il a le caractère d‟un veto ou
bien d‟une soupape de sécurité, qui permet au peuple d‟intervenir lorsqu‟il n‟est pas satisfait des
projets de loi élaborés par les élites politiques. De façon analogue, le referendum obligatoire permet
de faire capoter un projet constitutionnel. Le référendum offre donc la possibilité d‟une opposition
selon le cas, spécifique à un enjeu politique.” (Kriesi, 1998, p. 99)
155
Se il referendum ha una funzione di veto e si pone alla fine del processo di decisione,
l‟iniziativa, invece:
“… si situa all‟inizio di questo processo. Essa fornisce un impulso. Essa permette ad un
gruppo della popolazione di iscrivere un problema nell‟agenda politica, sia nella forma
di una proposta concepita in termini generali, sia nella forma di un progetto dettagliato.
Essa permette a dei gruppi che, altrimenti, ne sarebbero esclusi, di accedere al sistema.
Questi gruppi e le organizzazioni che li rappresentano sono rivalorizzati. L‟iniziativa
popolare obbliga l‟élite politica a riflettere su un problema.”71 [t.d.a]
L‟élite politica, pur se in disaccordo con le idee dell‟iniziativa, viene da essa
indirettamente influenzata, spesso questo si traduce in un contro-progetto che prevede
qualche concessione alle esigenze degli iniziativisti. Occorre infatti ricordare che questo
strumento, a differenza
della petizione che unicamente sollecita il ceto politico a
prendere posizione, impone una presa di decisione all‟insieme della cittadinanza.
Osservazioni generali.
Nel precedente capitolo abbiamo visto (cfr. 1.1.2) che le società si trasformano grazie
alla spinta di modelli culturali che permettono alla società di riflettere su se stessa e di
evolversi. Essi traggono origine dall‟interazione con due elementi endogeni al sistema
sociale: la conoscenza, ovvero la capacità di produzione simbolica e l‟accumulazione, la
capacità di produzione materiale, che forniscono le basi per l‟elaborazione di progetti
concreti di riforma sociale (Touraine, 1973).
71
“… se situe au début d‟un tel processus. Elle donne une impulsion. Elle permet à un groupe de la
population d‟inscrire un problème dans l‟agenda politique, soit sous la forme d‟une proposition
conçue en termes généraux, soit sous la forme d‟un projet rédigé en toutes pièces. Elle permet à des
groupes qui, autrement, en seraient exclus, d‟accéder au système. Ces groupes et les organisations
qui les représentent sont revalorisés. L‟initiative populaire force l‟élite politique à réfléchir sur un
problème.” (Kriesi, 1998, p.101)
156
Nei sistemi politici fondati sulla democrazia rappresentativa i modelli culturali sono
sovente soppiantati, nello spazio pubblico, da contrapposizioni ideologiche.
In un contesto istituzionale di questo tipo, infatti, i cittadini delegano a coloro che
eleggono l‟individuazione e la regolamentazione delle situazioni sociali da normalizzare.
Sono dunque le élite politiche – ed, eventualmente, quelle economiche e culturali con
cui esse hanno interazioni privilegiate – a necessitare di orientamenti teorici capaci di
guidare le riforme sociali concrete.
Per poter accedere a questo ruolo necessitano dell‟appoggio di una massa di cittadini che
è ritenuta:
“… non qualificata per decidere l‟alta politica, e a cui, per questo, può essere
consentito di influenzarla solo indirettamente, scegliendo coloro cui spetta decidere
piuttosto che decidendo essi stessi.”72 [t.d.a]
Il consenso popolare viene, di conseguenza, conquistato proponendo nello spazio
pubblico discorsi di tipo ideologico che prospettano una visione globale dei rapporti
sociali irrimediabilmente contrapposta a quella propugnata dagli avversari politici.
L‟ideologizzazione del dibattito politico consente, nelle democrazie rappresentative, una
mobilitazione dell‟ elettorato che viene convinto che lo schieramento opposto a quello a
cui fa riferimento sia composto da nemici.
Il sistema politico svizzero, al contrario, grazie all‟iniziativa popolare più ancora che al
referendum, porta ad un coinvolgimento di larghi strati della società civile nel processo
di decisione relativo a questioni anche fondamentali per il Paese (Kriesi, 2005).
Gli elettori sono così portati a riflettere sulla regolamentazione di situazioni sociali reali,
di conseguenza il dibattito pubblico dovrà essere incentrato sul confronto tra modelli
culturali piuttosto che su contrapposizioni ideologiche prive di applicazioni concrete.
72
“ … not qualified to decide high policy, so they can be allowed to influence it only indirectly, by
choosing those who are to decide rather than deciding themselves.” (Budge, 1996, p.69)
157
Le istituzioni della democrazia diretta hanno un duplice effetto: da un lato, quello di
rafforzare la partecipazione civica dei cittadini, dall‟altro, quello di rendere gli attori
politici meno indipendenti dal resto della società (Kriesi, 1998; Windisch, 2002).
2.3.2 Gli attori del sistema politico svizzero.
Dopo aver visto le caratteristiche del sistema politico e le implicazioni che queste hanno
nel dibattito pubblico, considereremo ora gli attori che li animano.
In particolare analizzeremo il ruolo del sistema dei partiti e dei movimenti sociali. Presi
singolarmente, i membri di queste organizzazioni sono imprenditori morali, dal
momento che si preoccupano del contenuto delle leggi e si adoperano per ottenere un
consenso pubblico sufficiente a cambiare le norme, oppure essi possono battersi affinché
una legge che li soddisfa non venga modificata.
Come entità collettive i partiti e i movimenti sociali sono, invece, dei movimenti storici
dal momento che esercitano un‟azione collettiva fondata su determinati modelli culturali.
I primi sono fondati su strutture organizzative durature, si fondano su basi ideologiche
che propongono una visione complessiva della società e sono i principali competitori per
il controllo delle istituzioni rappresentative della democrazia elvetica. I secondi, pur
assumendo forme molto diverse tra loro, tendono ad avere una vita politica più breve, a
proporre soluzioni rispetto a problematiche specifiche e ad essere composti da membri
che non condividono necessariamente una visione ideologica comune sull‟insieme della
società.
Vedremo in seguito altri attori che partecipano, in maniera differente, alla vita politica,
come, ad esempio, e il Consiglio federale e le associazioni d‟interesse.
Il sistema dei partiti.
I partiti politici svizzeri sono relativamente deboli rispetto ai loro omologhi presenti
negli altri Paesi occidentali. Il federalismo, inoltre, favorisce l‟autonomia delle sezioni
cantonali: non è raro, ad esempio, che una di esse prenda una posizione diversa rispetto
al partito nazionale in occasione di una votazione popolare.
158
Secondo Kriesi (1998: 143-175) questa debolezza si manifesta attraverso una forte
frammentazione, sia dei singoli partiti, sia del sistema nel suo insieme.
Questa frammentazione è osservabile innanzitutto nel numero dei partiti, uno tra i più
alti in assoluto. Il sistema stesso non è omogeneo a livello federale, Ulrich Klöti (1998)
individua infatti tre sottosistemi cantonali: il sistema dei Cantoni cattolici, che si
caratterizza per una dominazione del Partito Democristiano (PDC) e per una debolezza
strutturale del Partito Socialista (PS); il sistema dei Cantoni misti religiosamente
svizzero-tedeschi, dove i socialisti sono relativamente forti e si oppongono ad un blocco
borghese costituito dall‟Unione Democratica di Centro (UDC) ed al Partito Radicale
Democratico (PRD); i Cantoni romandi misti religiosamente, in cui il Partito Socialista
occupa una posizione di forza ed è opposto a due correnti distinte del liberalismo, il
Partito Liberale Svizzero (PLS) ed il Partito Radicale Democratico.
Questo modello, pur mantenendo un alto grado di robustezza non tiene conto
dell‟avanzata massiccia a livello nazionale dell‟UDC che si è verificata negli ultimi anni.
Se, da un lato, non è certo che questo fenomeno sia strutturale, dall‟altro, si deve rilevare
che ha portato ad un cambiamento della composizione del Consiglio federale che
resisteva immutata da oltre cinquant‟anni.
Va inoltre aggiunto che il Ticino, pur essendo un cantone assolutamente cattolico, ha un
sistema di partiti differente rispetto a quello dei suoi omologhi svizzero-tedeschi. Ad un
blocco borghese costituito dal Partito Liberale-Radicale (PLR) e dal PDC, si
contrappongono due partiti di eguale forza ma di segno politico opposto: i socialisti e la
Lega dei Ticinesi, un movimento politico di recente costituzione riconducibile a quella
che può essere definita una Destra sociale.
Tra la moltitudine di partiti è possibile distinguere tra quelli che contano (Sartori 1976;
Kriesi 1998) e gli altri. Per contare, un partito:
159
“… occupa una posizione che gli permette di essere considerato come partner di una
coalizione governativa, o una posizione che gli permette di opporre un veto alle
decisioni politiche del governo.”73 [t.d.a]
Date le peculiarità del sistema consociativo svizzero, che vedremo meglio di seguito, i
partiti che contano, sono unicamente quelli che fanno parte del Consiglio federale: il
PRD, il PDC, il PS e l‟UDC.
Il Partito Radicale Democratico fu, tra la fine del XIX e l‟inizio del XX secolo, la forza
politica dominante nel Paese. Fino al 1892 era l‟unico partito rappresentato in Consiglio
federale e sino al 1913 ne ha detenuto la maggioranza assoluta, per questo è
generalmente ritenuto l‟iniziatore delle principali istituzioni della Svizzera moderna.
Originariamente era un partito riconducibile alla Sinistra, erede della tradizione
anticlericale e giacobina. Con l‟affermarsi dei socialisti è però divenuto il principale
riferimento del ceto borghese. Oggi può essere considerato un partito di Centrodestra,
orientato alla laicità dello Stato e ad un libero mercato temperato da un appartato di
responsabilità sociale. La coesistenza di una corrente radicale, più attenta al ruolo dello
Stato, ed una liberale, focalizzata sull‟economia, è, soprattutto nella Svizzera latina,
origine di frizioni e di cicliche scissioni e ricomposizioni.
Negli ultimi decenni si è caratterizzato per allearsi prevalentemente a socialisti e
democristiani su questioni di politica internazionale e all‟UDC su quelle di politica
interna ed economica. Il suo consenso elettorale si è progressivamente ridotto, facendo
del partito, storicamente di maggioranza relativa, una forza politica che alle elezioni
federali del 2007 ha raggiunto il 15.7% dei suffragi, una cifra che mette a rischio il suo
doppio seggio in Consiglio federale (Moser-Léchot, 2010).
Il Partito Democristiano fu fondato nel 1848 con il nome di Partito CattolicoConservatore. Nella seconda parte XIX si contrappose duramente al Partito Radicale a
73
“… occupe une position qui lui permet d‟être considéré comme partenaire dans une coalition
gouvernementale, ou une position lui permettant d‟opposer un veto aux décisions politiques du
gouvernement.” (Kriesi, 1998, p.147)
160
cui aveva dovuto cedere il potere a seguito della sconfitta nella guerra del Sonderbund
(1848). Inizialmente considerato l‟opposizione clericale “di Destra” ai Radicali, nel XX
si è spostato progressivamente verso il Centro. Nel 1912 ha cambiato nome in Partito
Conservatore, nel 1957 in Partito Conservatore-Cristiano-Sociale e nel 1970 è giunto
alla denominazione attuale.
Attualmente costituisce con il PRD il cosiddetto “blocco borghese” che caratterizza
l‟area politica dominante in Svizzera. Rispetto al PRD, il PDC, ispirandosi anche alla
dottrina sociale della chiesa, è più attento al mantenimento di determinati aspetti dello
Stato sociale.
Nonostante una progressiva laicizzazione delle posizioni espresse dai propri membri ed
un accordo elettorale a livello federale con il Partito Evangelico (PE), l‟elettorato di
riferimento di questa formazione resta quello cattolico e, di conseguenza, la sua forza di
penetrazione nei Cantoni riformati è sempre stata debole (Altermatt, 2009).
Il Partito Socialista fu fondato nel 1888, fino alla fine degli anni ‟20, ed in particolare
dopo lo sciopero di Olten del 1918, esso fu in contrapposizione totale con i partiti
governativi. La situazione iniziò a cambiare nel decennio successivo, a seguito del
progressivo affermarsi di regimi di tipo fascista nei principali Paesi europei. Nel 1935 il
congresso del partito accettò i principi della democrazia liberale e della difesa militare.
La diffidenza dei partiti borghesi si placò definitivamente nel 1943, con l‟elezione del
primo Consigliere federale socialista. Contrariamente a quanto avvenuto nel resto
d‟Europa, la grande coalizione governativa composta da tutte le forze politiche
democratiche non si sciolse, tranne una parentesi tra il 1953 ed il 1959, e i socialisti sono
rimasti parte integrante del governo nazionale. Le loro posizioni politiche sono comuni a
quelle della maggior parte dei partiti socialisti europei e si caratterizzano per una forte
difesa dello Stato sociale ed un‟attenzione particolare per l‟integrazione delle nuove
componenti della società.
A partire dagli anni ‟90 il partito subisce la concorrenza dei Verdi ed è sovente accusato
di essere divenuto la formazione di riferimento dei funzionari pubblici e degli
161
intellettuali. A livello nazionale i socialisti restano comunque, solidamente, la seconda
forza elettorale (Degen, 2009).
L‟Unione Democratica di Centro è nata nel 1971 dalla fusione di due forti partiti agrari:
il Partito dei Contadini ed il Partito dei Contadini, degli Artigiani e degli Indipendenti.
Essa è stata, a partire dalla sua creazione, una formazione di governo dal momento che
ha ereditato il Consigliere federale spettante alla maggiore delle sue componenti.
Inizialmente il partito era considerato il rappresentante degli interessi della Svizzera
rurale; il suo posizionamento politico, così come le sue fortune elettorali, sono mutati
negli anni ‟90, con l‟accendersi del dibattito sull‟integrazione europea. Il referendum
sull‟adesione allo Spazio Economico Europeo del 1992 ha costituito l‟occasione per l‟ala
“zurighese” o “blocheriana”, dal nome del carismatico leader Cristoph Blocher, di
affermarsi alla guida del partito. La linea politica è da allora caratterizzata, oltre che da
un marcato antieuropeismo, da un forte liberalismo economico coniugato ad un profondo
conservatorismo sociale. Più volte accusata di promuovere idee xenofobe, l‟UDC è
divenuta la più forte forza politica del Paese (Mazzoleni, 2003; McGann/Kitschelt,
2005).
La turbolenta permanenza di Blocher in Consiglio federale, unita a dissidi sempre più
insanabili con l‟ala moderata del partito, hanno portato ad una scissione. Le correnti che
non si riconoscevano più nella linea politica blocheriana hanno dato vita, nel 2008, al
Partito Borghese Democratico (PBD)74.
Altri partiti che, pur senza avere un rappresentante in Consiglio federale, incidono o
hanno inciso sul sistema politico svizzero sono: i Verdi, o Partito Ecologista Svizzero
(PES), l‟Anello degli Indipendenti (AdI), il Partito Evangelico (PE), il Partito del
Lavoro (PdL), i Democratici Svizzeri (DS) e il Partito Liberale Svizzero (PLS).
74
http://www.swissinfo.ch/ita/Speciali//La_fine_dellera_della_concordanza.html?cid=422668 (ultima
consultazione: 1.6.2010)
162
I movimenti sociali.
I movimenti sociali, i gruppi che tramite un‟azione collettiva si propongono di
modificare una specifica situazione sociale, tendono a rafforzarsi rispetto ai partiti
politici a partire dal secondo dopoguerra (Imhof, 1996b). In particolare, in Svizzera, essi
trovano nel referendum e, soprattutto, nell‟iniziativa popolare degli strumenti
fondamentali di partecipazione alla vita pubblica (Kriesi, 1998: 304-333).
Probabilmente la prima formazione di questo tipo ad affermarsi nella moderna
Confederazione fu proprio, negli anni 1850-1870, il cosiddetto Movimento democratico
che si batteva per rendere maggiormente partecipativo il sistema politico elvetico. La sua
lotta si concluse con una sostanziale vittoria che portò alla revisione della Costituzione
del 1874 ed alla conseguente estensione del diritto di referendum (Schaffner, 1982).
Nel corso del XX secolo si sono sviluppati movimenti sociali che hanno combattuto per
ottenere cambiamenti nei più svariati ambiti sociali e politici. In particolare, sull‟onda
delle rivolte studentesche dell‟anno precedente, nel 1969, si è affacciato alla vita
pubblica il Movimento per la liberazione della donna (MLD), che ha dapprima animato
la battaglia per il referendum sul diritto di voto alle donne (1971) e, successivamente, ha
promosso mutamenti nelle politiche familiari, al fine di garantire parità di accesso tra i
sessi al mondo del lavoro, e nella morale sessuale, rivendicando il libero accesso ai
mezzi
contraccettivi e la
depenalizzazione dell'interruzione
della gravidanza
(Bucher/Schmucki, 1995).
La genesi dei movimenti ecologisti - che, dal 1977 al 2003, hanno promosso ben 19
iniziative popolari in materia di energia e trasporti – è, invece, molto variata. Sino alla
fine degli anni „60, la protezione della natura era un tema monopolizzato dall‟estrema
destra che vedeva nell‟industrializzazione e nello sviluppo edilizio le conseguenze
dell‟immigrazione e della perdita delle radici culturali elvetiche (Niggli/Frischknecht,
1998). Dagli anni‟70, sotto l‟impulso dei sommovimenti culturali e politici degli anni
precedenti, l‟ecologia divenne centrale per importanti settori del mondo progressista. La
sua introduzione nello spazio pubblico avvenne sia attraverso la fondazione del Partito
ecologista svizzero, che propone un modello globale di sviluppo della società, sia con la
163
costituzione di aggregati politici con finalità più settoriali, il più importante dei quali è
stato il Movimento antinucleare che, tra il 1979 ed il 1990,
ha sottoposto alla
popolazione quattro iniziative, l‟ultima delle quali ha portato ad una moratoria decennale
sulla costruzione di nuove centrali (Giugni/Passy, 1997: 33-59).
I movimenti pacifisti svizzeri sono eredi di una lunga e variegata tradizione di rifiuto alla
guerra. Già nell‟Ottocento, infatti, vi era un forte pacifismo filantropico e umanitario,
rappresentato da Jean-Jacques de Sellon e dalla Società della pace, che promuoveva i
diritti umani fondamentali senza mettere in discussione la difesa nazionale, ad esso si è
successivamente è aggiunto il pacifismo internazionalista di stampo socialista (Grossi,
1994). Dopo la Seconda guerra mondiale sono emersi svariati movimenti di opposizione
ai conflitti, il più attivo tra questi è stato probabilmente il Gruppo per una Svizzera senza
esercito (GSsE) che, sullo slancio del relativo successo ottenuto nel 1986 dall'iniziativa
"Per una Svizzera senza esercito ed una politica globale di pace", tra il 1988 ed il 1993
ha promosso tre votazioni per il contenimento delle spese militari (Degen, 2006).
Le situazioni sociali legate alla popolazione straniera residente, come vedremo meglio in
seguito (cfr: 3.1), hanno portato a vasti fenomeni di mobilizzazione collettiva. Alla fine
degli anni ‟60 - quando l‟immigrazione di manodopera straniera, ed in particolare
italiana, ha raggiunto uno dei suoi picchi – sono sorti dei movimenti xenofobi che hanno
intrapreso azioni volte a limitare quello che definivano l‟inforestierimento del Paese.
Probabilmente in reazione ad essi vi è stata la nascita di gruppi che si battevano per una
politica più solidale.
L‟Azione Nazionale (oggi: Democratici Svizzeri) aveva una struttura molto diversa
rispetto ai gruppi che abbiamo menzionato in precedenza, era un partito-movimento,
nell‟accezione che Kurt Imhof (1996b) attribuisce a questo termine, che partecipava alle
elezioni legislative nazionali e locali, ma la sua ragione di essere risiedeva nel
contrastare l‟immigrazione. Pur senza ottenere mai un grande consenso elettorale, l‟AN,
ed il suo leader carismatico James Schwarzenbach, negli anni‟70 hanno promosso, con
164
notevole successo, delle iniziative popolari durissime volte a contingentare la presenza di
stranieri nel Paese (Urech, 1995).
In netta contrapposizione a queste spinte xenofobe vi è stata una forte mobilizzazione
sociale, sia da ambienti vicini alla Sinistra sia da gruppi confessionali, che proponeva
azioni di aiuto allo sviluppo, sostegno ai profughi, promozione dei diritti umani e lotta al
razzismo.
Questa galassia di associazioni, tra le quali la più importante era probabilmente il
Movimento per una Svizzera aperta e democratica (MSAD), tra le varie attività ha
promosso due iniziative: “Essere solidali” (1981), che proponeva una politica di
accoglienza meno restrittiva, e una che avrebbe vietato per legge le espressioni razziste
(1994) (Giugni/Passy, 1997: 141-165).
Curiosamente, tanto gli “imprenditori morali” appartenenti ai movimenti xenofobi
quanto quelli che facevano riferimento ai gruppi solidali, avrebbero, nella maggior parte
dei casi, continuato le loro battaglie all‟interno di partiti tradizionali, rispettivamente
l‟UDC ed il PS.
Altri attori politici.
Un importante attore nel dibattito politico è sicuramente il Consiglio federale che detiene
il potere esecutivo in seno alla Confederazione. Il sistema di governo è molto particolare
se raffrontato a quelli vigenti negli altri Paesi occidentali. Secondo Arend Lijphard
(1984) è un caso ibrido che combina il sistema presidenziale a quello parlamentare.
Philippe Lauvaux (1990) ritiene invece che esso costituisca una tipologia a sé stante, un
sistema direttoriale, erede diretto della forma di governo vigente durante la Rivoluzione
francese.
I Consiglieri federali, sette, sono proposti dai principali partiti, ma nell‟esercizio delle
loro funzioni sono messi nella condizione di non dover essere “uomini di partito”.
Il modo in cui viene formato il governo svizzero si attiene a quello che viene definito il
sistema della concordanza, una strategia di integrazione – contrapposta al bipolarismo
maggioranza/opposizione – volta alla ricerca del compromesso, alla risoluzione dei
165
conflitti e votata alla soluzione negoziata dei problemi all‟ordine del giorno (Kriesi,
1998: 218-236).
Il occasione delle iniziative popolari o dei referendum, il Consiglio federale è tenuto ad
esprimere una posizione unanime che viene “raccomandata” pubblicamente ai cittadini.
Le associazioni di interesse, sindacati e confederazioni padronali, sono in una posizione
intermedia tra coloro che rappresentano e lo Stato: questa situazione fa sì che esse sono
confrontate a due logiche di scambio differenti (Schmitter/Streeck, 1981), da un lato
sono confrontate con la logica dei membri, e dall‟altro con la logica dell‟influenza. Il
loro trovarsi in un luogo di intersezione costringe le associazioni a dotarsi di strutture
particolari che le rendono degli attori collettivi specifici.
In Svizzera vi è un notevole squilibrio di forze tra i sindacati, poco rappresentativi e
molto frammentati, e le associazioni padronali, che sono invece molto forti. I loro
interventi nello spazio pubblico avvengono prevalentemente in occasione di votazioni
concernenti questioni di politica economica (Kriesi, 1998: 245-271).
In uno Stato federale, quale è la Svizzera, sovente le decisioni collettive toccano le
autonomie comunali o cantonali. In questo caso, quindi, i rappresentanti locali del
potere esecutivo e legislativo si ritrovano, spesso loro malgrado, a dover prendere
posizione.
I problemi sociali dibattuti riguardano quasi sempre determinate categorie sociali che
sono, di volta in volta, più coinvolte rispetto ad altre. Quando si presenta il caso, questi
sottogruppi sociali tendono a fare sentire la loro voce, dal momento che le decisioni da
prendere si rivelano foriere di conseguenze per la loro vita materiale. Le modalità con
cui si esprimono variano molto, possono prendere parola singoli individui, associazioni,
oppure personalità pubbliche in qualche modo collegate alle categorie in questione.
Sovente i privati cittadini, anche se non direttamente coinvolti nelle decisioni collettive,
si esprimono pubblicamente a riguardo. La rubrica delle lettere dei lettori dei quotidiani
166
è il mezzo più tradizionale, ma anche le interviste radiotelevisive “all‟uomo della strada”
o, più, recentemente, i blog sono strumenti che permettono al cittadino di far sentire la
propria voce.
Dopo aver trattato le specificità della democrazia diretta e le caratteristiche dei principali
attori che animano il sistema politico svizzero, analizzeremo ora i comportamenti
elettorali considerando l‟influenza dei modelli culturali e delle identità collettive sulle
scelte di voto.
2.3.3 Il caso del referendum sull‟adesione allo Spazio economico europeo.
I contributi teorici di Alessandro Pizzorno (1991: 343-359) ed Eliseo Véron (1995) ci
permettono di meglio comprendere da un punto di vista teorico l‟influenza dei modelli
culturali e delle identità collettive nelle scelte di voto dei cittadini. I risultati della
votazione popolare sull‟adesione allo SEE (1992) costituiscono un importante esempio
di questo fenomeno.
I comportamenti elettorali.
Pizzorno (1991) definisce l‟espressione di una preferenza elettorale come un atto
realizzato a partire dalla propria identità individuale che, a sua volta, è determinata
dall‟appartenenza ad una collettività politica o culturale.
L‟apparente paradosso insito in questa affermazione è reso comprensibile da Norbert
Elias (1970) attraverso il concetto di configurazione tra individui. Il sociologo tedesco
descrive i fatti sociali come fenomeni concreti, tanto nella loro singolarità, quanto nella
loro pluralità. Le identità collettive, secondo questo approccio, sono il risultato delle
interazioni degli atti di un gruppo di individui tra loro interdipendenti. Sono dunque le
azioni e le relazioni reciproche a dare alle identità, collettive ed individuali, una
fisionomia unica e sempre diversa.
167
Eliseo Véron (1995) prosegue questa riflessione prendendo in considerazione il sistema
dei mezzi di comunicazione di massa come il luogo principale ove si costruiscono le
collettività identitarie nelle società contemporanee (cfr. 2.2.3). Egli nota, inoltre, come le
logiche veicolate non siano quelle rappresentate nell‟insieme della società quanto invece
quelle del gruppo di comunicazione dominante.
La teoria della scelta democratica di Pizzorno (1991) contesta l‟idea che l‟elettore segua
delle logiche puramente razionali. In altri termini, il cittadino prende la propria decisione
sulla base di un modello culturale che propone la regolazione delle relazioni sociali che
egli ritiene, utilitaristicamente o assiologicamente, migliore, ma i suoi criteri di scelta
sono influenzati da determinate condizioni strutturali.
Queste condizioni strutturali sono le identità collettive che, come abbiamo visto (cfr.
1.1), stabiliscono le regole fondamentali del dibattito pubblico. Nel caso del
comportamento elettorale:
“ … la logica dell‟azione politica individuale non può essere concepita come una logica
strumentale, una relazione mezzi-fini, ma deve essere concepita come una logica di
identificazione: a seguito di comparazioni e conflitti tra delle identità collettive, che
tendono ad avere per effetto una trasformazione dei fini dei partecipanti.”75 [t.d.a]
Le identità collettive, hanno, rispetto al beneficio simbolico auspicato a seguito
dell‟espressione di un voto, un ruolo analogo a quello rivestito dal mercato rispetto alla
nozione economica di profitto. Pizzorno le definisce condizioni strutturali perché – come
il manager che calcola il rapporto costi/ricavi deve presupporre un mercato stabile, dal
momento che l‟investimento avviene in un epoca anteriore – il cittadino-elettore deve:
75
“La logique de l'action politique individuelle ne peut être conçue comme une logique
instrumentale, une relation moyens-fins, mais doit être conçue comme une logique d'identification :
suite de comparaisons et conflits entre des identités collectives, qui tendent à avoir pour effet une
transformation des fins des participants. " (Pizzorno, 1991, p. 354)
168
“… essere rassicurato della propria identità attraverso l‟appartenenza ad una
collettività identificante.”76 [t.d.a]
I comportamenti degli elettori sono, di conseguenza, fortemente influenzati dalla
dimensione identitaria. Se sul corto termine il soggetto votante sa razionalmente quale
scelta operare al fine di ottenere ciò a cui aspira, sul lungo periodo, al contrario, le
decisioni da prendere si rivelano molto meno sicure.
Questa incertezza nella gestione del lungo periodo provoca la necessità di appoggiarsi su
dei quadri identitari:
“… sulla stabilità di una collettività che viene presa come punto di riferimento … Se
temiamo che il valore della nostra persona (la significazione della nostra identità) non
sia riconosciuta, se siamo incerti delle conseguenze delle nostre scelte, minimizzeremo
l‟incertezza identificandoci ad una collettività di riferimento.”77 [t.d.a]
Molte iniziative popolari e referendum che caratterizzano la vita democratica svizzera
implicano decisioni che riguardano il lungo termine e le conseguenze di queste scelte
possono essere percepite come capaci di influenzare le strutture dell‟intera collettività
nazionale.
Eliseo Véron (1995) riprende le riflessioni di Pizzorno sui comportamenti elettorali
mettendole in relazione con quelle di Dominique Wolton (1991) sulla crescente
influenza dei mezzi di comunicazione di massa nello spazio pubblico contemporaneo.
Egli rileva, a partire dagli anni ottanta, una progressiva mediatizzazione
della
comunicazione politica, ed in particolare una crescente importanza del medium
76
“ ... être assuré de son identité par l'appartenance à une collectivité identifiante. " (Pizzorno, 1991,
p. 352)
77
“… sur la stabilité d'une collectivité qui est prise comme point de repère … Si nous craignons que
la valeur de notre personne (la signification de notre identité) ne soit pas reconnue, si nous sommes
incertains des conséquences de nos choix, nous minimiserons l'incertitude en nous identifiant à une
collectivité de référence.” (Pizzorno, 1991, p.358)
169
televisivo che ha fatto dei media il principale luogo di costruzione simbolica delle
identità collettive.
Le posizioni espresse non sono però rappresentative dell‟insieme della società, dal
momento che:
“… le misurazioni dell‟audience misurano la reazione all‟offerta e non la domanda. Ed
in un determinato mercato … questa circolarità avvantaggia essenzialmente il gruppo di
comunicazione dominante.”78 [t.d.a]
Facendo riferimento alla terminologia utilizzata finora si può affermare che, secondo
Véron (1995), coloro che, in virtù delle proprie risorse espressive, comunicano attraverso
i mezzi di comunicazione di massa, i chierici mediatori, esprimono prevalentemente i
modelli culturali, gli orientamenti-guida per il funzionamento della società, propri a dei
gruppi sociali particolari, ma lo fanno attraverso le regole fondamentali dettate da
un‟identità collettiva che è propria ad una popolazione più ampia.
I giornalisti (e gli intellettuali che hanno accesso ai media) non influenzano in maniera
decisiva le scelte razionali degli elettori, ma rafforzano le condizioni strutturali che le
determinano.
Dopo aver analizzato teoricamente l‟influenza delle identità collettive nelle scelte
politiche, osserviamo ora come i risultati del referendum sull‟adesione allo SEE (1992)
abbiano evidenziato delle profonde fratture tra le collettività linguistiche presenti nel
Paese.
Il referendum sull‟adesione allo SEE.
La votazione popolare del 1992 sull‟adesione o meno della Svizzera allo Spazio
Economico Europeo (SEE) ha costituito una chiave di volta nella storia del Paese, tanto
78
“… les mesures d'audience mesurent la réaction à l'offre et non pas la demande. Et dans un
marché donné de médias … cette circularité conforte essentiellement le groupe de communication
dominant.” (Véron, 1995, p.212)
170
per le implicazioni che il risultato ha avuto in diversi ambiti della vita economica e
sociale, quanto per le circostanze in cui questo risultato sarebbe maturato.
Concretamente lo SEE costituiva il predecessore diretto dell‟Unione Europea (UE) e
prevedeva che gli Stati membri dell‟Associazione Europea di Libero Scambio (AELS) –
Austria, Finlandia, Islanda, Liechtenstein, Norvegia, Svezia e Svizzera – si associassero
ai Paesi membri della Comunità Europea (CE) nel garantire la libera circolazione delle
persone, delle merci, dei servizi e dei capitali.
L‟adesione a organizzazioni di sicurezza collettiva o a comunità sovranazionali, in
Svizzera, è sottoposta a un referendum obbligatorio (cfr. 2.3.1): perché la decisione del
Consiglio federale venga ratificata occorre che la maggioranza dei votanti e dei Cantoni
sia favorevole.
La campagna, data la rilevanza storica della votazione, è stata particolarmente vivace e
combattuta, questo nonostante il Consiglio federale, quasi tutte le associazioni di
categoria, sindacali e padronali, e la maggioranza dei partiti politici si fossero espressi a
favore dell‟adesione. Occorre ricordare che se il PS si è mostrato compatto a livello
nazionale, alcune sezioni cantonali del PRD e del PDC hanno espresso la loro
contrarietà, rispettivamente Svitto e Grigioni e Obvaldo e Nidvaldo. Si sono invece
opposti tutti i piccoli partiti di Destra, tra cui la Lega dei Ticinesi ed i Democratici
Svizzeri, e, soprattutto, l‟UDC, con l‟eccezione delle sezioni del Giura, dal Vaud e di
Berna79. Un importante contributo agli avversari all‟adesione è stato fornito dall‟Azione
per una Svizzera neutrale ed indipendente (ASNI), un movimento sociale
profondamente conservatore e ostile ad ogni coinvolgimento elvetico in campo
internazionale (Hirter, 2001). È interessante notare che il leader carismatico sia
dell‟UDC che dell‟ASNI era Cristoph Blocher, che dopo di allora guiderà il suo partito
alla conquista della maggioranza relativa a livello nazionale ed egli stesso diverrà, per
una legislatura, Consigliere federale (Zollinger, 2004).
79
http://www.swissvotes.ch/votes/401 (Ultima verifica: 1.6.2010)
171
I risultati del referendum80, come è noto, hanno sancito la bocciatura dell‟adesione allo
SEE, il 50.3% dei votanti l‟ha, infatti, rifiutata, così come 14 Cantoni e 4 Semi-Cantoni
su, rispettivamente, 20 e 6. La partecipazione al voto è stata del 78.73%, una percentuale
estremamente elevata rispetto alla media in questo genere di consultazioni.
Il dato che più degli altri attira l‟attenzione è la netta spaccatura tra il risultato nella
Svizzera francese e quello nel resto del Paese.
Tutti i Cantoni romandi hanno accettato l‟adesione allo SEE, spesso con percentuali
importanti,
come
Neuchâtel
(80%),
Vaud
(78.3%)
e
Ginevra
(78.1%).
Significativamente le percentuali di approvazione più basse nella regione si riscontrano
in Vallese (55.8%) e a Friburgo (64.9%), dove sono presenti importanti minoranze
germanofone.
L‟integrazione nello SEE è, invece, stata rifiutata dalla totalità dei Cantoni svizzerotedeschi, ad eccezione di Basilea, e dal Ticino. Le percentuali sono state particolarmente
importanti nelle regioni rurali come Uri (74.9%), Svitto (73.3%) e Obvaldo (71.8%),
mentre nelle aree a forte concentrazione urbana, come Zurigo (51.5%) e Berna (52.4%),
il risultato è stato più incerto.
Un‟inchiesta condotta da Hanspeter Kriesi (Kriesi/Wernli/Sciarini/Gianni, 1996)
presenta un‟analisi delle divergenze regionali registrate nel referendum che,
indirettamente, rafforza la teoria del comportamento elettorale enunciata da Pizzorno
(1991). La ricerca, fondata su un campione di interviste, comparava la correlazione
esistente, presso la collettività germanofona e quella francofona, tra tre temi di grande
attualità nel 1992: le relazioni con la CE, la riforma delle istituzioni e l‟esistenza o meno
di un fossato linguistico capace di minare la coesione nazionale.
I risultati principali di questa analisi mostrano come le tre problematiche venissero
relazionate diversamente nella Svizzera tedesca ed in quella francese. I romandi
interpellati si erano espressi prevalentemente a favore di un‟apertura del Paese verso la
CE, nel contempo si sono detti favorevoli ad una riforma delle istituzioni, ma hanno
manifestato preoccupazione rispetto all‟evoluzione della coesione nazionale. La
80
Allegato 2 : i risultati nazionali e cantonali complessivi della votazione.
172
maggioranza del campione composto da svizzero-tedeschi, al contrario, si opponeva
tanto ad un avvicinamento alla CE quanto ad una riforma istituzionale, ma non mostrava
particolare preoccupazione rispetto all‟esistenza di un fossato linguistico-culturale tra le
regioni linguistiche. Kriesi (1996) interpreta queste differenze con l‟esistenza di forme
diverse di tradizionalismo, del desiderio della ripetizione e dell‟invarianza, in contrasto
con la realtà sostanziale di un ordine del costume in continua evoluzione (Hobsbawm,
1995). La tradizione, presso la collettività francofona, sarebbe percepita come
minacciata dall‟accrescersi delle divergenze tra le regioni linguistiche, al fine di
conservare lo status quo sarebbe pertanto risultata accettabile una trasformazione delle
istituzioni politiche e delle relazioni con gli altri Stati. Il gruppo germanofono, invece,
considererebbe l‟assetto istituzionale e il modello di relazioni internazionali vigenti
intrinsecamente legati alle tradizioni e sarebbe per questo restio a modificarli.
Le conclusioni a cui giunge Kriesi (1996) sono coerenti con quelle, più generali, esposte
da Pizzorno (1991). La razionalità dei votanti nel processo di adesione ad un modello
culturale a cui fare riferimento è influenzata da condizioni strutturali, derivanti dai codici
di identificazione collettiva, che definiscono il contesto in cui una determinata
organizzazione delle relazioni sociali è giudicata più soddisfacente rispetto ad altre.
L‟assenza di un‟analisi comparata a livello regionale dei discorsi pubblici tenuti in
occasione della campagna precedente al referendum impedisce di trovare riscontri alla
teoria di Véron (1995), secondo cui l‟azione dei massmedia, indipendentemente dal
modello culturale a cui fanno riferimento gli agenti mediatori, porterebbe ad un
rafforzamento delle condizioni strutturali identitarie entro cui sono prese le scelte di
voto. Uno studio di Christian Schärer (1996) sui contenuti proposti durante la campagna
evidenzia
che essi vertevano, in particolare, sulla neutralità, sul federalismo, sulla
democrazia diretta, sulla sovranità nazionale e sulle relazioni internazionali. I temi
trattati riguardavano, dunque, la Svizzera come sistema-Paese e non le singole realtà
regionali. Queste conclusioni sembrano indicare che anche in questa votazione, come in
quelle sulle procedure di naturalizzazione che esamineremo nel prossimo capitolo, la
differente architettura dei segmenti linguistici dello spazio pubblico elvetico abbia
portato ad un diverso inquadramento della discussione politica (Widmer, 2004a).
173
2.4 Conclusioni.
Nel precedente capitolo abbiamo proposto un modello per la comprensione teorica del
processo di problematizzazione pubblica. Sono state individuate due tipologie ideali di
attori, gli imprenditori morali (Becker, 1963) ed i chierici mediatori (Gellner, 1983), a
ciascuno dei quali è attribuita una specifica legittimazione sociale a partecipare al
dibattito politico. Essi, a partire dalle loro rappresentazioni sociali (Moscovici, 1973),
individuano aspetti della società che debbono essere portati a conoscenza dell‟opinione
pubblica al fine di essere normalizzati.
Le relazioni riflessive che questi attori intrattengono il resto della società sono
condizionate da modelli culturali (Touraine, 1973) e da codici di identificazione
collettiva (Eisenstadt/Giesen, 1995).
I primi sono orientamenti teorici che guidano la definizione dei rapporti sociali in
relazione alle problematiche poste dalla modernità. I secondi definiscono i criteri di
distinzione vigenti in una collettività (Eisenstadt, 1998).
Alfine di rendere partecipe l‟intera comunità delle situazioni problematizzate sulla base
delle loro rappresentazioni, i diversi attori le propongono nello spazio pubblico
attraverso i mezzi di comunicazione di massa (Wolton, 1991; Wolf, 1996). In questo
contesto, i modelli culturali – promossi da movimenti storici (Touraine, 1973), partiti e
altri gruppi organizzati di imprenditori morali, e rafforzati da una visione ideologica
complessiva della società (Althusser, 1965, 1970)
– sono all‟origine dei contenuti del
dibattito. I codici di identificazione collettiva, invece, determinano – attraverso l‟attività
degli agenti di mediazione, cioè giornalisti ed intellettuali – l‟inquadramento concettuale
entro cui si svolge la discussione.
La decodifica dei discorsi mediatici da parte del pubblico potrà poi dare luogo ad una
lettura preferita, se il modello culturale e la produzione ideologica che lo accompagna
vengono accettati, o oppositiva, se sono rifiutati (Hall, 1980).
In questo capitolo sono state analizzate le strutture attraverso le quali problema sociale
può divenire pubblico nel contesto svizzero attuale.
174
A partire da una riflessione di Jean Widmer (2004a, 2004b) si è individuato nel rapporto
che una collettività intrattiene con la propria lingua un fattore decisivo nella costruzione
delle identità collettive.
Storicamente, la religione era il principale elemento di codificazione identitaria di una
società (Eisenstadt/Giesen, 1995), a partire da essa, infatti, il ceto aristocratico
legittimava (Weber, 1922) la sua posizione dominante all‟interno delle strutture sociali.
La successiva affermazione della borghesia ha reso lo spazio pubblico la principale
istituzione legittimatrice di una categoria sociale che fonda il proprio potere sul mercato
che, a sua volta, per funzionare correttamente necessita di un luogo ove sia possibile
discutere l‟organizzazione razionale dello Stato (Habermas, 1962).
La Svizzera si è dotata, a partire dalla metà dell‟Ottocento, di una struttura federalista
che le ha permesso, contrariamente a quanto avvenuto in molti Paesi europei affacciatisi
alla modernità, di preservare le sue diverse componenti idiomatiche (Widmer, 2004b).
Questo ha portato ad una progressiva segmentazione linguistica dello spazio pubblico
tanto nella fruizione da parte del pubblico (Kriesi/Wernli/Sciarini/Gianni, 1996), quanto
nella gerarchizzazione dei contenuti (Hungerbühler, 2002; Beck/Schwotzer, 2006) e
nelle forme di mediazione proposte (Corboud-Fumagalli, 1996).
I diversi gruppi linguistici hanno sviluppato una sempre maggiore autonomia nella
costruzione dei discorsi pubblici ed una, conseguente, accentuazione delle differenze
nella codifica delle rispettive identità. Un elemento fondamentale che concorre a questo
fenomeno è dato dal modo in cui queste collettività istituzionalizzano i loro idiomi
(Widmer, 2004a).
La collettività germanofona per diverse ragioni storiche, a partire dal XX secolo, pratica
una diglossia dalle caratteristiche molto specifiche (Haas, 1985a). Accanto al tedesco
standard, utilizzato nell‟espressione scritta, essa adotta lo Schweizerdeutsch, un idioma
istituito unicamente attraverso l‟oralità che viene usato nella maggior parte dei contesti
sociali (Ris, 1983; Rash, 1998), anche nei massmedia (Trebbe e altri, 2009) e nel
dibattito politico (Hungerbühler e altri, 2008).
Simili caratteristiche non si presentano, invece, nelle regioni di lingua latina, il gruppo
francofono, anzi, ha conosciuto la pressoché sparizione di ogni forma dialettale (Knecht,
175
1985), quello italofono, pur utilizzando in netta prevalenza l‟italiano standard, vive,
secondo alcuni ricercatori, la nascita di un neodialetto, creato dai media elettronici
(Bianconi, 1986) e recentemente approdato nello spazio pubblico (Widmer, 2004a).
Al diverso rapporto alla lingua corrispondono distinte modalità di identificazione
collettiva e di strutturazione dello spazio pubblico.
La collettività svizzero-tedesca ha un rapporto metonimico con il proprio idioma,
considerandolo una parte integrante ed imprescindibile della propria identità. Le altre
due collettività hanno con esso una relazione di tipo metaforico, accettando che altre
comunità usino la stessa lingua.
Un rapporto metonimico con un idioma unicamente parlato, come lo Schweizerdeutsch,
implica la creazione di una frontiera quasi naturale tra i membri della collettività e chi
non ne fa parte, a questi ultimi, infatti, sono preclusi gli strumenti formali che una lingua
standardizzata assicura a chi vuole apprenderla. Una volta superato il confine, i nuovi
venuti tenderanno, però, ad essere accolti con uno spirito comunitario da chi riconosce
loro di avere superato un rito di iniziazione.
Una relazione metaforica con un idioma istituzionalizzato attraverso la scrittura, al
contrario, porta a delle frontiere comunitarie più permeabili, dal momento che la lingua è
utilizzata anche da altre collettività ed è, comunque, apprendibile attraverso metodi
tradizionali. In questo caso, però, il superamento del confine linguistico apre la strada ad
un processo più graduale di integrazione.
L‟uso di un idioma orale nello spazio pubblico ha, anche, conseguenze importanti sulla
legittimità sociale dei chierici mediatori, storicamente detentori dell‟uso corretto della
lingua scritta; ad essi non è, infatti, riconosciuto il medesimo prestigio di cui godono
presso le collettività che non contemplano l‟utilizzo di un idioma non standardizzato al
di fuori della sfera privata (Widmer, 2004a).
Dopo aver descritto il processo di formazione dei codici identitari presso le collettività
linguistiche elvetiche, abbiamo analizzato la loro influenza nel dibattito politico, la loro
interazione con gli altri elementi costitutivi delle rappresentazioni sociali, i modelli
culturali e le ideologie. Per farlo, è occorso considerare un tratto caratteristico del
176
sistema politico elvetico: la democrazia diretta. L‟importanza accordata al referendum ed
all‟iniziativa popolare, da un lato focalizza la discussione pubblica su specifici problemi
culturali riducendo l‟importanza della componente ideologica e mettendo in condizione i
cittadini di rapportarsi direttamente ai modelli culturali (Kriesi, 2005), dall‟altro limita il
potere dei partiti politici tradizionali, che propongono progetti globali di società, in
favore dei movimenti sociali, che si battono su questioni specifiche (Kriesi, 1998).
Abbiamo, infin,e preso in esame il caso della votazione popolare sull‟adesione allo SEE,
i cui risultati illustrano molto bene le implicazioni identitarie in determinate scelte
politiche.
Le variazioni elettorali registrate tra le regioni linguistiche mostrano come, quando le
conseguenze di un voto non sono facilmente identificabili razionalmente, i cittadini
ricerchino nelle identificazioni collettive le condizioni strutturali per effettuare una scelta
(Pizzorno, 1991).
Nel prossimo capitolo analizzeremo i discorsi mediatici avvenuti in occasione delle
votazioni sulle procedure di naturalizzazione e vedremo come questi, indipendentemente
dal loro orientamento, contribuiscano a rafforzare l‟identità delle diverse collettività
linguistiche (Véron, 1995).
177
Capitolo III: Analisi dei discorsi pubblici in occasione delle campagne per le
votazioni sulle procedure di naturalizzazione.
Nei precedenti capitoli ci siamo occupati da un punto di vista prevalentemente teorico
del fenomeno della problematizzazione sociale in Svizzera.
Abbiamo dapprima considerato in maniera generale i meccanismi e gli attori implicati
nella costruzione di un problema sociale, in seguito ci siamo soffermati sulle
caratteristiche e le specificità dello spazio pubblico svizzero.
Gli attori collettivi legittimati socialmente a partecipare al dibattito pubblico, gli
imprenditori morali e i chierici mediatori, problematizzano una situazione sociale sulla
base delle proprie rappresentazioni queste derivano da modelli culturali e dalle identità
collettive che forniscono il quadro entro cui questi orientamenti prendono forma.
In Svizzera i diversi movimenti storici, portatori ciascuno dei propri modelli culturali, si
confrontano, nella maggior parte dei casi, in occasione di consultazioni popolari dove
specifiche situazioni sociali sono discusse a livello nazionale.
Molto sovente l‟oggetto in votazione ha implicazioni tali da impedire all‟elettore di
fondare la sua scelta su base puramente razionale mettendolo in condizione di dover
ricercare nelle identità collettive le condizioni strutturali per prendere la propria
decisione.
L‟obbiettivo di questo capitolo è di studiare le differenze riscontrabili nei discorsi sul
tema delle naturalizzazioni nei tre segmenti linguistici dello spazio pubblico
mediatizzato.
Verranno presi in esame i discorsi mediatici – in particolare quelli presenti sui giornali,
ma anche, in minore misura, nei programmi televisivi – svoltisi su una dimensione
178
specifica relativa alla problematizzazione pubblica della situazione della popolazione
straniera residente in Svizzera: quella inerente alle procedure di naturalizzazione81.
Innanzitutto presenteremo una panoramica generale della problematica della
naturalizzazione, contestualizzandola nell‟evoluzione del dibattito pubblico sugli
stranieri, analizzando le procedure che la regolano e la natura delle modifiche legislative
poste in votazione.
In seguito - avvalendoci di una parte dei risultati di una recente ricerca sul rapporto tra le
lingue, i massmedia e le identità politiche a cui abbiamo partecipato (Hungerbühler e
altri 2008) – prenderemo in considerazione le differenze che si riscontrano nei quadri
semantici della discussione pubblica nelle tre regioni linguistiche e il diverso ruolo che
chierici mediatori ed imprenditori morali svolgono all‟interno del dibattito.
Al fine di perseguire questi due obbiettivi presenteremo un‟analisi di contenuto (Entman,
1993, Ferree a altri, 2002) sugli articoli tratti da due giornali di ciascuna regione
linguistica durante le campagne di voto. Ciò che permetterà di stabilire le aree
concettuali entro cui si inseriscono le argomentazioni dei diversi attori collettivi.
Proporremo inoltre un‟analisi qualitativa dei discorsi (Véron, 1985) nei dibattiti
televisivi svoltisi nella campagna del 2004 allo scopo di illustrare le diverse modalità di
mediazione proposte nei tre segmenti linguistici dello spazio pubblico svizzero.
81
Le votazioni sulle procedure di naturalizzazione sono state, negli ultimi venticinque anni, molto
numerose, si è infatti ricorso alle urne nel 1983, 1994, 2004 e 2008, ciò che testimonia il fatto che si
tratta di un tema particolarmente sentito nel Paese.
179
3.1 Problematiche inerenti le procedure di naturalizzazione.
Le procedure di naturalizzazione svizzere, fondate su un sistema di decisione strutturato
su tre livelli – comunale, cantonale e federale – costituiscono un caso unico al mondo.
Prima di addentrarci, però, sui meccanismi legislativi che le regolano, vedremo come il
dibattito politico sulla loro evoluzione si inserisca in uno più ampio che riguarda i
diversi aspetti sociali legati alla popolazione straniera residente nel Paese.
3.1.1 Origini dei dibattiti pubblici sul tema degli stranieri.
Nel corso della storia contemporanea svizzera, determinati movimenti storici, sovente
capeggiati da imprenditori morali particolarmente carismatici, hanno a più riprese
problematizzato socialmente la presenza della popolazione straniera residente
avvalendosi
degli
strumenti
della
democrazia
diretta
per
promuoverne
il
contingentamento e la limitazione dei diritti.
A partire dal secondo dopoguerra la percentuale degli stranieri è aumentata in modo
considerevole. Le ondate migratorie di lavoratori venuti dai Paesi limitrofi hanno portato
la proporzione di persone non autoctone residenti dal 6.1% del 1950 al 17.2% del 1970.
Il progressivo sviluppo delle relazioni bilaterali con l‟UE, ed in particolare gli accordi
bilaterali del 2002, contribuiscono probabilmente a spiegare l‟ulteriore incremento che
ha portato il rapporto al 22.1% nel 2007 (Rausa/Reist, 2008: 11-14).
Occorre domandarsi se questo incremento sia la causa scatenante delle azioni politiche
ostili agli stranieri. Da un lato, infatti, i dati sembrano tali da rendere plausibile un certo
allarme da parte di alcuni segmenti sociali, d‟altra parte occorre ricordare che questi
valori sono difficili da comparare a livello internazionale dal momento che dipendono,
anche, dal tipo di politica di naturalizzazione attuato.
I contributi di Kurt Imhof (1996a: 299-314) e, soprattutto, Gaetano Romano (1996: 2535) sembrano escludere una correlazione tra l‟aumento dei flussi migratori e
180
l‟inasprimento del dibattito pubblico. Entrambi i ricercatori concordano che la
problematizzazione delle situazioni sociali legate alla popolazione straniera residente
tendono a raggiungere a il loro acme quando, a causa di altri fattori, la coesione
nazionale appare minacciata.
Già durante la seconda metà dell‟Ottocento, in un periodo di forti tensioni tra liberali e
conservatori, nell‟agenda politica apparvero tematiche xenofobe; in particolare, nel
1893, venne accettata in votazione popolare una controversa iniziativa, promossa dalla
Società svizzero-tedesca per la protezione degli animali, che vietava, di fatto, la
macellazione rituale in uso presso gli ebrei (Krauthammer, 2000).
A partire dagli anni ‟30, in concomitanza con l‟emergere dei nazionalismi nel resto
d‟Europa, sorsero paure e diffidenze nei confronti del diverso e le autorità iniziarono a
prendere nuove misure di protezione dall‟elemento straniero (Gast, 1997).
Quando la Seconda guerra mondiale apparve come un elemento ineluttabile venne
elaborata la dottrina della Difesa spirituale che consistette, in pratica, in una reideologizzazione della società. La Confederazione era presentata come un caso unico, un
Sonderfall, una collettività non fondata sull‟unità linguistica, ma su un legame
comunitario tradizionale. Non è casuale, infatti, che il riconoscimento del romancio
come lingua nazionale dati del 1938, probabilmente per affermare un‟identità elvetica
capace di accordare pieni diritti anche alla più piccola delle sue componenti idiomatiche
autoctone (Widmer, 2004b).
In questo contesto le barriere poste agli stranieri, nella fattispecie ai profughi, erano
giustificate come necessarie alla preservazione di questo modello sociale e costituivano
un‟alternativa alle concezioni etnico-razziali imperanti nei vicini Stati totalitari
(Romano, 1998: 143-159).
I decenni successivi alla fine della guerra videro affluire in Svizzera molta manodopera –
prevalentemente di origine europea, in particolar modo italiana – attratta dalle
prospettive professionali offerte da un Paese in forte crescita economica. Tra le fine degli
anni ‟60 e la metà dei ‟70, paradossalmente quando i flussi migratori iniziarono a
181
diminuire a causa di una fase di recessione, il dibattito pubblico su questo tema si
accrebbe considerevolmente (Romano, 1996). Il movimento di estrema destra Azione
nazionale, nel 1970 e nel 1974, aveva, infatti, promosso due iniziative popolari per
combattere – con una severità oltre il limite della spietatezza 82 – il fenomeno
dell‟”inforestierimento” (Überfremdung) attraverso una politica di contingentamento
della popolazione straniera.
Il leader carismatico che animava questo movimento estremista era James
Schwarzenbach, erede di una delle più importanti e facoltose dinastie industriali di
Zurigo. Nonostante la sua fosse una famiglia di tradizione protestante, egli si era
convertito in giovane età al cattolicesimo aderendo alle correnti più conservatrici
presenti in questa religione. Grande ammiratore del dittatore spagnolo Francisco Franco
e strenuo oppositore del socialismo e del liberalismo, Schwarzenbach idealizzava il
ritorno ad una Svizzera patriarcale, rurale e precapitalista (Drews, 2005). In occasione
dell‟iniziativa del 1970, che passerà alla storia come “Iniziativa Schwarzenbach”, il
politico zurighese impose nel dibattito pubblico dei discorsi apertamente xenofobi. Un
esempio della sua retorica è ricordato da Gian Antonio Stella – autore, tra l‟altro, di un
saggio, L‟orda (2003), sull‟emigrazione italiana in Svizzera – in un articolo sul Corriere
della Sera:
“I vecchi, le mogli, i figli degli italiani sono braccia morte che pesano sulle nostre
spalle. Che minacciano nello spettro d' una congiuntura lo stesso benessere dei nostri
cittadini. Dobbiamo liberarci del fardello. Respingere dalla nostra comunità immigrati
che abbiamo chiamato per i lavori più umili e che nel giro di pochi anni, dopo il primo
smarrimento, si guardano attorno e migliorano la loro posizione sociale.”83
Le due iniziative prevedevano delle quote massime di popolazione straniera residente consentite ad
ogni Cantone, ciò che avrebbe portato al disgiungimento forzato di innumerevoli nuclei familiari. La
prima, inoltre, proponeva l‟inserimento di norme discriminatorie nel diritto del lavoro. Il relativo
successo ottenuto dalle iniziative (entrambe respinte, rispettivamente dal 54% e dal 65.8% dei votanti)
suscitò, infatti, numerose critiche internazionali.
83
Corriere della Sera, 27.8.2002, p.9
82
182
La parabola di Schwarzenbach fu relativamente breve, già nel 1971 abbandonò l‟Azione
nazionale a causa di dissidi interni e fondò un proprio partito, i Repubblicani svizzeri.
Pur restando ancora per alcuni anni il principale punto di riferimento della Destra
radicale, egli non riuscì più a incidere sulla politica nazionale. Il declino del suo astro
politico coincise con la frammentazione e la progressiva irrilevanza della galassia dei
movimenti xenofobi estremisti.
Probabilmente in reazione al dibattito degli anni precedenti, dominato da forze politiche
ostili alla popolazione straniera, i partiti ed i movimenti di Sinistra iniziarono anch‟essi a
problematizzare pubblicamente questo tema. La loro azione si concretizzò con
un‟iniziativa popolare, largamente battuta in votazione nel 1981,
un‟estensione dei servizi sociali alla popolazione straniera
che proponeva
e con un vittorioso
referendum, nel 1994, che consentiva l‟introduzione di una norma che rendeva punibili
le affermazioni razziste. (Windisch, 2002: 54-75).
L‟inizio degli anni novanta, ed in particolare il periodo successivo al referendum
sull‟adesione allo SEE (cfr. 2.3.4), fu caratterizzato da una profonda trasformazione
dell‟Unione Democratica di Centro, che da partito rappresentativo del ceto agrario
divenne - sotto la guida della sua ala zurighese, capeggiata da Christoph Blocher – una
formazione decisamente nazionalista ed antieuropeista.
Ancor‟oggi, una parte importante del consenso elettorale dell‟UDC è dovuto ai discorsi
xenofobi ed alle iniziative anti-stranieri promosse nel corso degli anni. Una recente
ricerca (Skenderovic/D‟Amato, 2008) evidenzia come l‟UDC sia riuscita a fagocitare i
movimenti estremisti di Destra, riprendendo la loro tematizzazione degli stranieri quale
fonte di criminalità e di impoverimento economico84, ma ponendo anche l‟accento sulle
differenze e sull‟incomunicabilità tra la cultura autoctona e quelle provenienti
dall‟estero, in particolare dal mondo mussulmano85. Negli ultimi due decenni, l‟UDC – o
i movimenti d‟opinione che erano, di fatto, sue emanazioni – ha promosso votazioni
84
85
Costituiscono un buon esempio i manifesti allegati 3A e 3B.
Allegato 3C.
183
volte sia ad inasprire le leggi che regolano l‟immigrazione, sia a porre limitazioni a
manifestazioni culturali non autoctone: gli ultimi due esempi sono, rispettivamente,
l‟iniziativa “per l'espulsione degli stranieri che commettono reati” (2010) e l‟iniziativa
“contro l‟edificazione di minareti” (2009).
Le procedure di naturalizzazione, sino all‟inizio degli anni‟80, non avevano costituito
una tematica centrale nei discorsi pubblici sugli stranieri. Il numero di persone che
annualmente acquisivano la cittadinanza era aumentato in valore assoluto, ma il tasso di
naturalizzazione lordo86 restava costantemente attestato attorno all‟ 1-1.5% (Rausa/Reist,
2008: 28-32), un dato, quest‟ultimo, sorprendentemente basso tenendo conto - come
hanno fatto Philippe Wanner e Étienne Piguet (2002), prendendo in considerazione un
periodo successivo – che gran parte degli immigrati risiedeva nel Paese ormai da molti
anni e si era integrata nel tessuto sociale ed economico elvetico.
L‟iniziativa di rendere più facile l‟accesso alla cittadinanza è stata presa dalle autorità
federali e doveva costituire una risposta pragmatica ad un inasprimento delle procedure
di naturalizzazione che alcuni Comuni e Cantoni avevano posto in essere negli anni in
cui la propaganda sull‟”inforestierimento” promossa dall‟Azione nazionale era
particolarmente intensa (Studer/Arlettaz/Argast, 2008: 108-117). Il Consiglio federale ha
promulgato a tre riprese (1983, 1994, 2004) un decreto che, con sfumature diverse,
mirava ad agevolare le procedure per i giovani nati e cresciuti in Svizzera, in ogni
circostanza la decisione governativa è stata sottoposta a referendum ed è stata sconfitta.
Come vedremo più nel dettaglio in seguito (cfr. 3.1.2), la vittoria dei fautori del
referendum nel 2004 – piuttosto sorprendente, dal momento che nel 1994 la riforma era
stata rifiutata di strettissima misura – ha incoraggiato l‟UDC a promuovere un iniziativa
popolare (2008), poi rifiutata in votazione, tesa a rafforzare il potere decisionale dei
Comuni, ciò che, di fatto, avrebbe reso più difficoltosa l‟acquisizione della cittadinanza
per i richiedenti.
86
il tasso di naturalizzazione lordo è dato dal numero di individui che acquisiscono la cittadinanza
ogni cento stranieri residenti.
184
3.1.2 Aspetti legislativi.
In questo paragrafo analizzeremo la legislazione concernente le procedure di
naturalizzazione così come si presenta oggi. In particolare ci soffermeremo sugli articoli
costituzionali che e la riguardano e, soprattutto, sulle implicazioni della Legge sulla
Cittadinanza (LCit).
In seguito, prenderemo in considerazione le votazioni che si sono svolte su questo tema
dal 1983 al 2008. Presenteremo le istanze proposte, le prese di posizione dei diversi
attori collettivi e gli esiti nazionali e cantonali.
La naturalizzazione è il principale mezzo con cui avviene l‟acquisizione della nazionalità
svizzera, le altre modalità, molto meno diffuse, sono l‟adozione da parte di un cittadino
elvetico, il riconoscimento della cittadinanza e la reintegrazione.
La naturalizzazione è regolamentata attraverso gli articoli 37 e 38 della Costituzione
federale87 e dalla Legge sulla Cittadinanza (LCit.)88. Quest‟ultima disposizione entrò in
vigore nel 1952 ed era il riflesso di una corrente di pensiero, attiva fin dagli anni ‟30,
secondo cui l‟integrazione alla collettività costituirebbe il prerequisito indispensabile per
l‟ottenimento della cittadinanza. Essa si contrapponeva alla filosofia, dominante sino ad
allora, secondo cui la naturalizzazione era concepita come il primo passo verso
l‟assimilazione (Studer/Arlettaz/Argast, 2008: 67-99).
La LCit. è stata oggetto di revisione nel 1992 e nel 2006 permettendo, rispettivamente,
l‟eliminazione delle discriminazioni fondate sul sesso, che rendevano più difficile
accedere alla cittadinanza al marito straniero di una donna svizzera che non viceversa, e
di quelle che riguardavano i figli di coppie miste nati fuori dal matrimonio. Attualmente
è in discussione un ulteriore aggiornamento che dovrebbe focalizzarsi sugli aspetti
linguistici del processo di integrazione e sullo statuto degli apolidi.
Come abbiamo accennato in precedenza, le procedure si reggono su un sistema fondato
su un triplice livello istituzionale e geografico. Per accedere alla cittadinanza occorre,
87
88
Allegato 4
Allegato 5
185
infatti, un responso positivo da parte delle autorità federali, cantonali e comunali e la
decisione finale spetta a queste ultime. Esistono due modalità di naturalizzazione, quella
ordinaria e quella agevolata89.
La naturalizzazione ordinaria viene effettuata a partire dall‟inoltro al proprio Comune di
domicilio della candidatura da parte dello straniero. Le autorità comunali trasmettono poi
il dossier al Cantone ed alla Confederazione al fine di ottenerne l‟approvazione prima di
prendere esse stesse la decisione definitiva dopo aver valutato il candidato. La procedura
ordinaria richiede l‟integrazione alla comunità svizzera, l‟adeguamento alle leggi, agli
usi ed ai modi di vita nazionali ed il rispetto della sicurezza esterna ed interna del Paese
(art.14, LCit.). Essa necessita, inoltre, una durata di residenza in Svizzera di 12 anni, di
cui tre nel corso dei cinque che precedono il deposito della candidatura (art.15 LCit.).
Nel computo totale degli anni di residenza richiesta, quelli che il candidato ha trascorso
nella fascia di età tra i dieci ed i venti contano doppio90.
La naturalizzazione agevolata, introdotta con la riforma legislativa del 1992, è concessa,
previa domanda del candidato, dalla Confederazione. I Cantoni, così come i Comuni,
sono interpellati ma non hanno alcun potere decisionale all‟infuori del diritto di ricorso.
Lo straniero che desidera ottenere la cittadinanza svizzera in procedura agevolata deve
essersi integrato nella collettività svizzera ai sensi dell‟art. 14 della LCit. Allo stato
attuale, possono beneficiare di questa procedura coloro che hanno rapporti di parentela
stretta con un cittadino della Confederazione91.
La differenza sostanziale tra queste due procedure risiede nel livello istituzionale in cui
avviene la decisione definitiva. Nel caso della naturalizzazione ordinaria, è il Comune di
domicilio a prenderla, in quella agevolata è la Confederazione.
89
http://www.bfm.admin.ch/content/bfm/it/home/themen/buergerrecht.html. (Ultima verifica:
1.6.2010)
90
http://www.bfm.admin.ch/content/bfm/it/home/themen/buergerrecht/einbuergerung/ordentliche_einb
uergerung.html (Ultima verifica: 1.6.2010)
91
http://www.bfm.admin.ch/content/bfm/it/home/themen/buergerrecht/einbuergerung/erleichterte_einb
uergerung.html (Ultima verifica: 1.6.2010)
186
È evidente che in quest‟ultimo caso il processo è meno complesso e garantisce al
richiedente un trattamento uniforme a livello nazionale.
A livello comunale e cantonale, infatti, i fondamenti su cui si basano le pratiche per
l‟attribuzione della cittadinanza variano in maniera sostanziale, in alcuni casi prevale il
principio dello ius sanguini in altri quello dello ius soli.
La maggior parte dei Cantoni, ad eccezione Uri e Obvaldo, prevedono delle facilitazioni
di varia natura per gli stranieri nati in Svizzera. A Ginevra, ad esempio, il processo di
decisione è di esclusiva pertinenza cantonale. Berna, Friborgo e Vaud prevedono un
conteggio doppio degli anni di residenza ai giovani nati nel Paese, mentre il Ticino
consente, dal 1972, agevolazioni a coloro che, residenti nella Confederazione dalla
nascita, ne facciano richiesta tra i 12 ed i 22 anni d‟età (Wicker, 2002).
Per quanto riguarda il comportamento delle autorità comunali, è possibile individuare
due gruppi che hanno un atteggiamento radicalmente opposto tra loro rispetto alle
procedure di naturalizzazione.
Un esteso gruppo, che include i principali Comuni urbani, adotta approssimativamente la
filosofia auspicata dal Consiglio federale ed applicano un‟interpretazione estremamente
liberale delle legislazioni nazionali e cantonali, semplificando le procedure e
considerando le decisioni sull‟attribuzione della cittadinanza a determinate categorie, in
particolare i giovani nati e cresciuti nel Paese, degli atti amministrativi e non politici.
Vi sono, però, altri Comuni, in particolare nella Svizzera centrale ed orientale, che si
attengono strettamente al principio dello ius sanguini. Per essi l‟attribuzione della
cittadinanza è sostanzialmente un azione politica che sancisce la piena assimilazione
dell‟individuo alla collettività. In alcuni Comuni le naturalizzazioni sono decise in
votazione popolare; ha destato scalpore, in proposito, quanto avvenuto a più riprese ad
Emmen (LU), dove le richieste di cittadini provenienti dai Balcani e dal Medio Oriente
venivano sistematicamente respinte (Steiner/Wicker, 2000).
La ragione fondamentale che ha portato a numerose votazioni federali sul tema delle
naturalizzazioni (cfr. 3.1.3) è legata a quest‟ultimo gruppo di Comuni. Come ricorda
Marc Helbling (2008), infatti, la differenziazione regionale nelle pratiche di attribuzione
della cittadinanza non è dovuta tanto a specificità socio-strutturali, quanto a diversità
187
nelle tradizioni politiche. I Comuni in cui la Destra populista è molto rappresentata ed in
cui si ricorre alla democrazia diretta per questo tipo di decisioni, tendono ad applicare
parametri decisamente più restrittivi rispetto al resto del Paese. Questo perché le autorità
locali sono in grado di influenzare le scelte di cittadini che, tutelati dall‟anonimato, sono
già di per sé meno responsabilizzati rispetto alle conseguenze sulla vita del candidato
causate da un loro voto negativo.
3.1.3 Votazioni popolari (1983-2008).
Nel periodo che intercorre tra il 1983 ed il 2008 le naturalizzazioni sono state oggetto di
ben cinque consultazioni popolari. Quattro di queste (1983, 1994 e due nel 2004) erano
dei referendum lanciati a seguito di decreti governativi che miravano a centralizzare a
livello federale le procedure alfine di agevolare l‟acquisizione della cittadinanza ai
giovani stranieri nati e cresciuti nel Paese. La quinta (2008), un iniziativa popolare
lanciata dall‟UDC, si proponeva uno scopo diametralmente opposto, quello di rafforzare
il diritto dei Comuni di fare delle naturalizzazioni una materia di dibattito politico.
L‟analisi di queste votazioni popolari ci permette, da un lato, di comprendere appieno le
loro implicazioni politiche e giuridiche e, dall‟altro di osservare le ripartizioni cantonali
e regionali dei risultati.
Referendum sul decreto federale inteso ad agevolare certe naturalizzazioni (1983).
Il decreto federale del 24.06.1983 proponeva una modifica della Costituzione allora
vigente attraverso l‟introduzione del seguente articolo:
Art. 44bis
La Confederazione può agevolare la naturalizzazione dei giovani stranieri cresciuti in
Svizzera, come pure dei rifugiati e degli apolidi che si siano adattati alle condizioni di
vita svizzere.
188
Questa riforma, promossa dal Consiglio federale, era la prima dall‟entrata in vigore della
Legge sulla Cittadinanza nel 1952. Ciò non di meno, la naturalizzazione agevolata dei
cittadini stranieri nati in Svizzera era stata oggetto di dibattito parlamentare già negli
anni sessanta e settanta. Una novità era invece la proposta di includere i rifugiati e gli
apolidi tra i beneficiari. Occorre comprendere che il contesto storico in cui si è svolta
questa votazione era profondamente diverso da quello odierno e queste due categorie
erano costituite prevalentemente da individui coinvolti dai conflitti generati dalla Guerra
Fredda.
A favore della riforma si erano schierati i maggiori partiti, compresa l‟Unione
Democratica di Centro, e quasi tutte le associazioni di categoria, mentre vi si
opponevano i partiti ed i movimenti di estrema destra92.
Nonostante l‟appoggio dei principali attori istituzionali, la riforma è stata respinta a
livello nazionale in modo abbastanza marcato (55.2%) 93. A differenza delle votazioni
successive,
in questo caso non si notano significative differenze tra le regioni
linguistiche.
Nella Svizzera francofona, solo i Cantoni Neuchâtel e Giura si sono schierati a favore
della riforma mentre gli altri, compresi i due parzialmente germanofoni, l‟hanno
bocciata.
È particolarmente interessante il caso di Ginevra, che tradizionalmente esprime una
notevole apertura nei confronti degli stranieri; in questo caso ha rifiutato la riforma con
percentuali nettamente superiori alla media del Paese (68.8%). Ciò è probabilmente
spiegabile con il fatto che, data la sua vocazione internazionale, era l‟area del Paese nella
quale si trovavano più rifugiati ed apolidi.
In Svizzera tedesca, che complessivamente ha rifiutato la riforma, si nota una spaccatura
tra aree urbane e rurali. Zurigo e Basilea, infatti, si erano espressi a favore.
Il Ticino aveva respinto la modifica costituzionale con percentuali di poco superiori alla
media nazionale (59.8%).
92
93
http://www.swissvotes.ch/votes/view/326/list (Ultima verifica: 1.6.2010).
Allegato 6 : i risultati complessivi, nazionali e cantonali, della votazione.
189
Referendum sul decreto federale concernente la revisione del disciplinamento della
cittadinanza nella Costituzione federale (1994).
Il decreto del Consiglio federale sottoposto al voto nel 1994 perseguiva i medesimi
obbiettivi di quello del 1983, ma riguardava i soli stranieri nati in Svizzera ed escludeva
dalle agevolazioni i rifugiati e gli apolidi. Esso avrebbe riformato la Costituzione
attraverso l‟articolo seguente:
Art. 44 cpv. 3 e 4
3 La Confederazione agevola la naturalizzazione dei giovani stranieri cresciuti
in Svizzera.
4 Ex capoverso 3.
Anche in questo caso erano favorevoli alla riforma i principali partiti svizzeri e le
maggiori associazioni di interesse. L‟UDC appoggiava anch‟essa il cambiamento, ma la
sua sezione di San Gallo si era alleata con i partiti di estrema destra94.
Il referendum ha avuto risultati controversi; perché questo tipo di votazioni abbia
successo occorre, infatti, la maggioranza dei votanti, come era avvenuto in questo caso
con il 52.8%, e dei Cantoni, cosa che non si è verificata, nove Cantoni e due Semicantoni
si erano espressi a favore, undici e quattro si erano opposti95.
In occasione di questa consultazione si è riproposta con forza una discrepanza di risultati
tra le regioni linguistiche.
I Cantoni puramente francofoni hanno votato a favore della riforma con percentuali
molto superiori al 60%. Ginevra, che in occasione della votazione del 1983 si era
nettamente opposta, in questo caso, con l‟esclusione dei rifugiati e degli apolidi dalle
agevolazioni, l‟ha approvata con il 69.9% dei consensi.
Solo il Vallese, che ha una forte minoranza germanofona, l‟ha rifiutata.
94
95
http://www.swissvotes.ch/votes/view/424/list (Ultima verifica: 1.6.2010).
Allegato 7: i risultati complessivi, nazionali e cantonali, della votazione.
190
In Svizzera tedesca si constata una spaccatura tra regioni urbane che l‟hanno accettata –
come Zurigo, Berna e Basilea, dove il tasso di adesione si aggirava attorno al 55% - e
aree rurali che l‟hanno rifiutata. Il Ticino ha ottenuto risultati simili a queste ultime.
Referendum sui decreti federali sulla naturalizzazione ordinaria e agevolata per i giovani
stranieri di seconda generazione e sull‟acquisizione della cittadinanza degli stranieri di
terza generazione (2004).
Attraverso questi due decreti, sottoposti a referendum il 26 settembre 2004, il Consiglio
federale ha riproposto la problematica di un più facile accesso alla cittadinanza ai
giovani nati e cresciuti in Svizzera.
Dieci anni prima, come abbiamo visto, una simile iniziativa era stata appoggiata dalla
maggioranza dei cittadini, ma solo da una minoranza di Cantoni. Nella Svizzera tedesca,
infatti, solo i Cantoni urbani, più popolosi ma meno numerosi, l‟avevano approvata.
Il Consiglio federale ha motivato la decisione di una legge a valenza nazionale volta ad
agevolare la naturalizzazione di queste due categorie anche con il fatto che:
“… diversi Cantoni che avevano approvato il progetto hanno riveduto la loro
legislazione in base alla Convenzione di reciprocità … e quindi anche nel senso della
modifica costituzionale; e dato che anche altri Cantoni hanno introdotto considerevoli
agevolazioni per la naturalizzazione dei giovani stranieri, appare opportuno prevedere
ora un altro progetto a livello federale. È inammissibile dover tuttora assistere, in
singoli Comuni e Cantoni, al rifiuto ingiustificato e senza alcun motivo di domande di
naturalizzazione presentate da giovani stranieri cresciuti nel nostro Paese.”96
Nel decreto federale del 3 ottobre 2001 riguardante la naturalizzazione dei giovani di
seconda
generazione
veniva
sottoposta
l‟approvazione
del
seguente
costituzionale:
96
Messaggio relativo alla cittadinanza per giovani stranieri e alla revisione della legge sulla
cittadinanza del 21 novembre 2001, Foglio federale, p 1743
191
articolo
Art. 38 cpv. 2 e 2bis
2 La Confederazione stabilisce i principi per la naturalizzazione degli stranieri da
parte dei Cantoni.
2bis La Confederazione agevola la naturalizzazione, da parte dei Cantoni, dei giovani
stranieri cresciuti in Svizzera.
In quello, sempre del 3 ottobre 2001, concernente gli stranieri di terza generazione:
Art. 38 cpv. 1 (nuovo)
1 La Confederazione disciplina l‟acquisizione della cittadinanza per origine,
matrimonio e adozione nonché per nascita in Svizzera se almeno un genitore è cresciuto
nel Paese. Disciplina inoltre la perdita della cittadinanza svizzera e la reintegrazione
nella medesima.
Anche nel 2004 le riforme erano appoggiate dalla maggioranza dei partiti e delle
associazioni di categoria; ad opporsi, in questa circostanza, non eranp, però, solo le
formazioni di estrema destra, ma anche l‟UDC e le sezioni di Zugo, Lucerna e Turgovia
del PRD97.
Nonostante si trattasse di votare a proposito di due decreti del Consiglio federale,
Cristoph Blocher, membro del governo e leader dell‟UDC, durante la campagna di voto
ha lasciato chiaramente intendere di essere risolutamente contrario alle agevolazioni per
i giovani stranieri, un atteggiamento, questo, che gli è valso le critiche dei suoi
colleghi98. Per quanto riguarda i risultati99, a differenza del 1994, nel 2004 le due
iniziative governative sono state respinte sia dai cittadini che dai Cantoni, di stretta
misura quella sugli stranieri di terza generazione (51.6%), più largamente quella su
quelli di seconda (56.8%).
97
http://www.swissvotes.ch/votes/view/526/list e http://www.swissvotes.ch/votes/view/525/list
(Ultima verifica: 1.6.2010)
98
http://www.swissinfo.ch/spa/index/Naturalizzazioni:_impegno_minimo_per_Blocher.html?cid=4058
972 Ultima verifica: 1.6.2010)
99
Allegati 8 A e B : i risultati complessivi, nazionali e cantonali dei referendum.
192
Nonostante la leggera discrepanza di risultati a livello nazionale, le differenze tra le aree
linguistiche nelle due votazioni sono simili.
In Svizzera romanda, i Cantoni esclusivamente francofoni hanno accettato con una larga
maggioranza i due decreti, solo il Vallese, parzialmente germanofono le ha rifiutate.
Le adesioni alla riforma riguardante gli stranieri di seconda generazione hanno superato
il 65% nel Vaud e a Ginevra, e quelle concernenti quelli di terza, addirittura il 70%.
In Svizzera tedesca, i due decreti sono stati largamente respinti, con risultati addirittura
plebiscitari in alcuni piccoli Cantoni rurali come Uri, Svitto e Appenzello Esterno, che
hanno rifiutato le agevolazioni agli stranieri di seconda generazione con percentuali
vicine o superiori al 75%. Per quanto riguarda le aree urbane, solo Basilea Città ha
accettato entrambi i decreti, mentre Berna solo quello riguardante la terza generazione.
Il Ticino ha respinto i decreti con percentuali che si avvicinano a quelle dei Cantoni
urbani germanofoni.
Iniziativa popolare “per naturalizzazioni democratiche” (2008).
Se le precedenti votazioni chiamavano i cittadini a esprimersi su una maggiore
centralizzazione a livello federale di talune pratiche di naturalizzazione. L‟iniziativa
popolare del 2008 si muoveva in segno opposto: rafforzare le competenze comunali in
materia. Essa nasceva in risposta a due sentenze del 9 luglio 2003 del Tribunale federale
che, appellandosi al rispetto delle disposizioni costituzionali e dei principi dello Stato di
diritto, aveva accolto i ricorsi di cittadini stranieri la cui domanda di naturalizzazione era
stata rifiutata dal Comune di Emmen, dove questo tipo di decisioni vengono prese in
votazione popolare. In sostanza i promotori dell‟iniziativa richiedevano che fossero i
Comuni a poter decidere autonomamente l‟organo incaricato di concedere la cittadinanza
comunale, anche quindi, implicitamente, il ricorso alle urne, e che la decisione di
naturalizzazione comunale fosse definitiva, escludendo ogni riesame da parte di un‟altra
autorità. Per ottenere ciò venne proposta la seguente riforma costituzionale:
193
Art. 38 cpv. 4 Cost. (nuovo)
Gli aventi diritto di voto di ciascun Comune stabiliscono nel regolamento comunale
quale organo concede la cittadinanza comunale. Le decisioni di tale organo concernenti
la concessione della cittadinanza comunale sono definitive.
L‟iniziativa era sostenuta dall‟estrema destra e, soprattutto, dall‟UDC, che in quella fase
storica si trovava all‟opposizione dato che i suoi due rappresentanti in governo avevano
aderito al PBD. Gli altri partiti, ad eccezione delle sezioni di Zugo e Lucerna del PRD,
ed il Consiglio federale, invece, vi si opponevano100.
L‟iniziativa è stata respinta di larga misura (63.8%) e rifiutata da tutti i Cantoni ad
eccezione di Svitto101.
Si riscontrano anche in questo caso importanti differenze tra le regioni linguistiche. In
Svizzera romanda, nei Cantoni puramente francofoni il tasso di rifiuto ha sempre
superato l‟80%, in quelli dove esistono minoranze germanofone ha oscillato tra il 73%
ed il 75%.
In Svizzera tedesca l‟iniziativa è stata respinta dalla quasi totalità dei Cantoni, ma con
percentuali nettamente inferiori a quelle registrate nell‟area francofona. Nelle regioni
urbane, il tasso di rifiuto ha oscillato dal 60.7% di Zurigo al 71.5% di Basilea. Molti
Cantoni rurali, senza contare Svitto che l‟ha accettata con convinzione (59.9%), hanno
rifiutato la proposta con percentuali di poco superiori al 50%.
Il Ticino si è opposto all‟iniziativa con una percentuale, 57.8%, superiore ai Cantoni
rurali ma inferiore a quelli urbani svizzero-tedeschi.
Osservazioni generali.
Analizzando i risultati a livello nazionale delle cinque votazioni, si può affermare che i
cittadini sono globalmente favorevoli allo status quo per quanto riguarda la legislazione
concernente le procedure di naturalizzazione. In ben quattro circostanze sono state
100
101
http://www.swissvotes.ch/votes/view/548/list (Ultima verifica: 1.6.2010)
Allegato 9: i risultati complessivi, nazionali e cantonali, della votazione.
194
respinte le proposte governative di centralizzare le decisioni e, di conseguenza, di
agevolare l‟ottenimento della cittadinanza ai giovani stranieri cresciuti in Svizzera, ma,
nel 2008, è stata rifiutata un‟iniziativa che avrebbe rafforzato il potere dei Comuni in
materia, cosa che avrebbe frapposto, di fatto, maggiori ostacoli all‟acquisizione della
nazionalità svizzera per molte persone.
Esaminando gli esiti delle varie votazioni nelle tre maggiori aree linguistiche si notano
importanti differenze.
In Svizzera francese – fatta eccezione della consultazione del 1983 che, come abbiamo
visto presentava l‟anomalia di includere rifugiati ed apolidi tra i beneficiari delle
agevolazioni – si registra un consenso molto ampio rispetto alle proposte governative di
rendere più facile l‟accesso alla cittadinanza ai giovani stranieri cresciuti nel Paese. I
romandi sembrano accettare di buon grado una centralizzazione delle procedure, come
dimostra il loro netto rifiuto all‟iniziativa popolare volta ad accrescere il potere
decisionale dei Comuni.
In Svizzera tedesca, al contrario, vi sono resistenze molto maggiori rispetto alle
agevolazioni per i giovani stranieri – resistenze che, visto il maggiore peso demografico
della popolazione germanofona, si rivelano decisive al fine dell‟esito delle consultazioni.
In questa regione si registrano importanti differenze tra i risultati elettorali nelle aree
rurali, dove vi è una decisa contrarietà alle facilitazioni, e quelle urbane, più favorevoli,
ma in misura minore rispetto alla Romandia.
Anche per quanto riguarda l‟iniziativa popolare che chiedeva una maggiore delega di
potere alle autorità comunali, pur respingendo anch‟essa l‟oggetto, l‟esito è stato molto
meno plebiscitario rispetto a quello registrato nell‟area francofona.
Il Ticino, nelle votazioni prese in considerazione, ha fatto registrare risultati nettamente
più simili a quelli della Svizzera tedesca, ponendosi in una ideale mediana tra i Cantoni
rurali e quelli urbani
195
Le votazioni su temi come quelli inerenti le procedure di naturalizzazione,
come
abbiamo evidenziato nel capitolo precedente, implicano, per i cittadini, delle scelte con
una forte valenza identitaria.
In questo caso il significato profondo insito nell‟attribuzione della cittadinanza metteva
in causa l‟alternativa se per la decisione dovesse prevalere lo ius sanguinis piuttosto che
lo ius soli. Se considerare prioritaria la discendenza etnica o la nascita e l‟acculturazione
all‟interno del Paese.
Nel prossimo paragrafo presenteremo le ipotesi fondamentali relative a come questa
problematica, strettamente legata alle identità collettive, viene affrontata nei diversi
segmenti dello spazio pubblico svizzero.
3.2 Domanda, ipotesi e metodologie di analisi.
La panoramica sul fenomeno della naturalizzazione in Svizzera costituisce il punto di
partenza per l‟analisi dei discorsi pubblici che si sono svolti attorno ad esso nel corso
delle campagne di voto.
Abbiamo visto che i risultati delle votazioni su questo tema differiscono molto nelle tre
principali regioni linguistiche e particolarmente significativa è la discrepanza tra
Svizzera francese e tedesca.
Tali differenze, a fronte di una situazione sociale che è comune all‟insieme del Paese,
non possono che suscitare delle domande.
Riprendendo l‟elaborazione teorica della costruzione sociale di un problema pubblico
presenteremo le ipotesi principali che possono rendere conto di queste spaccature.
Dopo aver presentato le caratteristiche dei documenti mediatici che costituiscono il
campione ed aver motivato la loro scelta, presenteremo le metodologie d‟analisi.
196
Vedremo nel dettaglio come il metodo fondato sulla frame analysis (Goffman, 1974;
Entman, 1993) è stato utilizzato al fine di comprendere in quali quadri semantici si
inseriscono i discorsi dei diversi attori riportati sui giornali.
Accanto allo studio degli articoli di giornale, che costituisce la parte fondamentale della
ricerca, presenteremo la metodologia di un‟analisi qualitativa di alcune trasmissioni
televisive svoltesi durante la campagna per il voto sul referendum popolare del 2004 che
permetterà di meglio comprendere i ruoli dei chierici mediatori e degli imprenditori
morali all‟interno dello spazio pubblico.
3.2.1 Domanda e ipotesi iniziali.
Le consultazioni popolari in Svizzera - molto numerose a causa delle specificità del
sistema politico vigente nel Paese, fondato sulla democrazia diretta – hanno sovente
prodotto risultati profondamente diversi tra le regioni linguistiche. Queste differenze
assumono una particolare importanza quando le votazioni concernono temi a forte
valenza identitaria (Pizzorno, 1991; Widmer, 2004a), come la legislazione sugli stranieri
o le procedure di naturalizzazione.
Questo fenomeno è difficilmente spiegabile attraverso la teoria dei modelli culturali
(Touraine, 1965, 1973). Dal momento che i temi trattati nelle votazioni concernono
problematiche comuni all‟insieme del Paese e che le regioni linguistiche non presentano
grosse difformità nella loro struttura socio-economica, anche le possibili proposte in
termini di regolazione delle relazioni sociali dovrebbero essere analoghe.
Per spiegare le differenze che si riscontrano tra le diverse aree idiomatiche occorre rifarsi
al fenomeno relativo alle identità collettive (Eisenstadt/Giesen, 1995) che forniscono agli
individui i codici per effettuare delle distinzioni (Eisenstadt, 1998), di differenziare tra
noi e loro, tra ciò che è dentro e ciò che è fuori.
Nella Svizzera contemporanea ciò che maggiormente definisce le identità collettive è
l‟appartenenza linguistica, o meglio il rapporto che le diverse collettività intrattengono
con il proprio idioma (Widmer, 2004a,).
197
L‟importanza preponderante delle lingue - rispetto ad altri fattori come quello religioso,
o quello relativo alla dimensione urbana piuttosto che rurale - nella costituzione delle
diverse collettività elvetiche è dovuta allo stretto legame che intercorre tra i codici di
identificazione e lo spazio pubblico (Widmer, 2004b). Quest‟ultimo, infatti, a causa
degli effetti della sua progressiva mediatizzazione (Romano, 1999; Imhof, 1996b),
risulta sempre più segmentato su base idiomatica (Kriesi/Wernli/Sciarini/Gianni, 1996).
Studiando le modalità di istituzionalizzazione delle principali lingue parlate nel Paese,
Jean Widmer ha identificato importanti differenze che conducono non solo ad una
naturale segmentazione dello spazio pubblico, ma anche ad una sua diversa architettura
(Widmer, 2004a).
Partendo da questi presupposti, la domanda fondamentale della ricerca è la seguente:
Il dibattito pubblico sulla legislazione concernente le procedure di naturalizzazione è
influenzato dalle diverse identità collettive che, in Svizzera, sono definite principalmente
dall‟appartenenza ad un gruppo linguistico?
Al fine di proporre una risposta a questo quesito è possibile formulare due ipotesi
principali, il cui fondamento si poggia sia sullo stretto legame di azione-retroazione
(Hall, 1980) tra spazio pubblico ed identità collettive, sia sul fatto che queste ultime si
caratterizzano per il rapporto che i diversi gruppi intrattengono con la propria lingua.
La prima ipotesi riguarda il quadro semantico entro cui si iscrivono le argomentazioni
pubbliche sul tema della naturalizzazione ed è espressa sulla base delle forme di identità
collettive formulate da Eisenstadt e Giesen (1995) e sulle implicazioni che queste hanno
sulle strutture dello spazio pubblico (Widmer, 2004a):
Il gruppo germanofono, il cui spazio pubblico è strutturato, anche, su un idioma
istituzionalizzato unicamente attraverso l‟oralità, intrattiene un rapporto metonimico
con la propria lingua e tende a considerala come un tratto caratteristico e distintivo
198
della propria collettività (Widmer, 2004a) e tende a percepire le frontiere di
quest‟ultima come naturali (Eisenstadt/Giesen, 1995). Il quadro semantico entro cui si
svolgere la discussione sulle procedure di naturalizzazione è condizionato dal fatto che
lo straniero è considerato naturalmente diverso e, di conseguenza, refrattario ad ogni
procedura formalizzata di socializzazione. Il superamento della frontiera avviene il più
delle volte attraverso riti di iniziazione con una valenza “purificatoria102.
Il gruppo francofono e, pur con qualche sfumatura, dovuta alla sporadica introduzione
nello spazio pubblico di un neodialetto (Bianconi, 1986), quello italofono, utilizzano
una lingua standard, ed hanno con essa un rapporto metaforico, dal momento che
accettano che altre popolazioni la utilizzino (Widmer, 2004a). In questo caso i confini
della collettività sono percepiti come selettivamente permeabili ed il candidato alla
naturalizzazione non è ritenuto naturalmente diverso, è possibile socializzarlo
gradualmente agli usi e costumi del gruppo (Eisenstadt/Giesen, 1995), innanzitutto
mettendogli a disposizione gli strumenti formali necessari ad apprendere la lingua.
La seconda ipotesi si fonda sull‟influenza che le forme di istituzionalizzazione
linguistica hanno sullo spazio pubblico:
Il dibattito pubblico nelle aree francofone ed italofone sarà caratterizzato per un ruolo
più significativo dei chierici mediatori: giornalisti ed intellettuali. Nella regione
germanofona sarà più forte la posizione degli imprenditori morali: esponenti dei partiti
e dei movimenti sociali.
Questa ipotesi si basa sul fatto che presso le popolazioni il cui spazio pubblico è
dominato da una lingua istituzionalizzata attraverso la scrittura, la figura del chierico
mediatore sia più importante. Una collettività nella quale il dibattito pubblico può
Non è affatto da escludere che la tenacia con cui alcuni Comuni della Svizzera centrale ed
orientale continuano ad avvalersi della democrazia diretta per accettare o respingere i candidati alla
naturalizzazione sia riconducibile all‟intenzione di preservare un rito collettivo di iniziazione.
102
199
avvenire anche attraverso una lingua orale tende, al contrario, ad attribuire maggiore
importanza all‟ imprenditore morale.
Il tentativo di risposta alla domanda di ricerca ed il vaglio delle relative ipotesi necessita
un‟analisi dei discorsi proposti nello spazio pubblico mediatizzato, di cui ora
presentiamo la metodologia.
3.2.2 Approccio metodologico generale.
Per proporre una risposta alla domanda ed alle ipotesi di ricerca occorre un‟analisi dei
contenuti e dei discorsi proposti nello spazio pubblico mediatizzato svizzero. A questo
fine ci avvarremo dei dati di uno studio di ampio respiro, a cui abbiamo partecipato,
incentrato sul rapporto tra lingue, massmedia ed identità politiche (Hungerbühler e altri,
2008). Considereremo, rielaborandoli, i risultati ottenuti attraverso l‟analisi di un corpo
empirico – sulla cui descrizione dettagliata ci soffermeremo nel prossimo paragrafo –
costituito da articoli di varie testate giornalistiche e da trasmissioni televisive proposte al
pubblico durante le campagne per le votazioni sulle procedure di naturalizzazione.
Presenteremo uno studio fondato sul metodo della frame analysis (Goffman, 1974;
Entman, 1993) degli articoli di giornale al fine di rendere conto della prima ipotesi l‟esistenza di argomentazioni pubbliche diverse negli spazi pubblici delle tre regioni
idiomatiche: argomentazioni che traggono origine da distinte identità collettive – e di
trovare elementi a sostegno della seconda – che il ruolo dei chierici mediatori e degli
imprenditori varia nelle tre aree linguistiche.
Questa metodologia permette, sostanzialmente, di identificare dei quadri semantici
generali entro cui si collocano le argomentazioni dei diversi attori coinvolti nel dibattito.
Per poter maggiormente approfondire l‟ipotesi concernente la diversità dei ruoli di
chierici mediatori ed imprenditori morali, presenteremo uno studio qualitativo di un
numero limitato di trasmissioni televisive andate in onda nelle tre regioni linguistiche
durante la campagna sull‟iniziativa del 2004. Proporremo un‟analisi del tipo di
200
mediazione proposta in ciascuna emissione, questo partendo dal presupposto
metodologico che il dibattito televisivo instituisce una relazione triadica che articola un
enunciatore ad un destinatario attraverso un universo possibile (Widmer, 2004a, Véron,
1985, 1995).
3.2.3 Corpo d‟analisi.
Ovviamente una scelta accurata del corpo di documenti mediatici d‟analisi riveste
un‟importanza fondamentale nel corretto svolgimento della ricerca.
Come anticipato, la parte principale dell‟analisi si concentra sulla stampa scritta e per
questo sono stati considerati due quotidiani per ogni regione linguistica nei periodi delle
campagne delle diverse votazioni.
A complemento di ciò è presentata un‟analisi qualitativa di tre trasmissioni televisive,
una per regione linguistica, immediatamente antecedenti al voto sull‟iniziativa del 2004.
I quotidiani.
La scelta dei due quotidiani per regione linguistica è stata effettuata sulla base di criteri
editoriali, contenutistici e geografici.
. Sono state scelte testate generaliste con una tiratura elevata, una di tipo classico ed un
tabloid, esistenti durante tutto l‟arco temporale entro il quale si sono svolte le votazioni
considerate.
. I due giornali sono stati selezionati tra quelli che tradizionalmente non appoggiano in
maniera esplicita un‟area politica. L‟impostazione ideale prevalente è quella che fa
riferimento ad un umanesimo liberale che è riconducibile al gruppo di comunicazione
dominante (Véron, 1995) in Svizzera.
. Sono stati privilegiati i quotidiani stampati nel medesimo, grosso, centro urbano.
201
È stato possibile attenersi a questi tre criteri nella scelta dei giornali germanofoni e
francofoni, mentre per quanto riguarda quelli italofoni, a causa delle ridotte dimensioni
della regione linguistica di riferimento, si è dovuto ricorrere ad alcuni, ponderati,
compromessi.
I due quotidiani svizzeri tedeschi prescelti sono il Tages Anzeiger ed il Blick. Entrambi
editi a Zurigo, il primo è un giornale di taglio classico, ma rivolto ad un pubblico meno
elitario rispetto alla Neue Zürcher Zeitung, mentre il secondo è il primo e più celebre
tabloid del Paese.
Per quanto riguarda la Romandia sono stati considerati il 24 Heures e Le Matin,
entrambi pubblicati a Losanna. La scelta di due quotidiani del capoluogo vodese è
dovuta al fatto che Ginevra, a causa della sua vocazione internazionale, costituisce
un‟eccezione nel panorama svizzero.
Il 24 Heures è un giornale di tipo classico, rivolto ad un pubblico più largo rispetto a Le
Temps, mentre Le Matin può essere definito come il corrispettivo francofono del Blick.
Per la Svizzera italiana sono stati scelti il Corriere del Ticino e La Regione, pubblicati
rispettivamente a Lugano e a Bellinzona. Il primo è un quotidiano di taglio classico,
mentre il secondo si avvicina, senza esserlo propriamente, ad un tabloid. Si è deciso di
considerare La Regione invece del Giornale del Popolo, stampato a Lugano, dal
momento che quest‟ultimo è edito dalla curia, un aspetto questo che non è senza
conseguenze sui suoi contenuti, soprattutto riguardo a temi che toccano l‟etica cristiana.
La Regione nasce nel 1992 dalla fusione de Il Dovere e de L‟Eco di Locarno, per questa
ragione si è deciso di raccogliere gli articoli de Il Dovere durante la campagna del 1983,
dal momento che quest‟ultimo ha successivamente fornito al nuovo giornale la maggior
parte dei redattori politici.
Le trasmissioni televisive.
La scelta in questo caso è stata estremamente semplice, sono state analizzate le tre
trasmissioni - realizzate dalle emittenti germanofona, francofona ed italofona di SRG
202
SSR idée suisse – che comprendevano il dibattito precedente al voto sull‟iniziativa del
2004. È stato possibile trovare tre programmi molto analoghi dal momento che la
discussione prima del voto costituisce un format tradizionale della televisione di servizio
pubblico svizzera. Le trasmissioni prescelte sono state:
Arena, trasmesso dalla televisione svizzero-tedesca il 10 settembre 2004, Infrarouge,
proposta dall‟emittente romanda il 15 settembre, e Lunedì Forum, mandata in onda dal
canale italofono il 20 settembre.
3.2.4 La frame analysis degli articoli di giornale.
La frame analysis è una metodologia che trae i suoi fondamenti teorici dai contributi di
Erving Goffman (1974), secondo cui gli attori sociali utilizzano degli schemi
interpretativi per comprendere quanto avviene nell‟universo circostante. La realtà,
secondo questo paradigma, non è percepita come unitaria, ma come un sistema
interdipendente di livelli, i frame, sulla cui base è possibile inquadrare, ed affrontare,
situazioni sconosciute.
A partire da questo modello, Robert Entman (1993) sviluppa un approccio ai discorsi
mediatici che permette, all‟interno di un testo comunicativo, di:
“ … inquadrare [to frame] è selezionare alcuni aspetti di una realtà percepita e
renderli più salienti in un testo comunicativo, in modo da promuovere una particolare
definizione di un problema, un‟interpretazione causale, una valutazione morale, e/o una
raccomandazione per il trattamento di un elemento descritto.”103
Concretamente, questa ricerca si ispira alla metodologia utilizzata nello studio
comparato sulla rappresentazione mediatica dell‟aborto condotto da Myra Marx Ferree
103
“To frame is to select some aspects of a perceived reality and make them more salient in a
communicating text, in such a way as to promote a particular problem definition, causal
interpretation, moral evaluation, and/or treatment recommendation for the item described.” (Entman,
1993, p.52)
203
(Ferree e altri, 2002) che prevede il trattamento quantitativo sia di dati stand, che hanno
un valore ed un significato fissi ed intersoggettivamente inequivocabili, sia di elementi
ricostruiti dal ricercatore, i frame, a partire dalle informazioni contenute nel testo.
Per standing si intende avere voce nei media, ovvero chi sono gli attori che prendono
parte al dibattito pubblico. In questa ricerca abbiamo considerato sia coloro che
effettivamente si esprimono, gli enunciatori, sia chi, attore o istituzione, viene
menzionato senza prendere la parola all‟interno dello specifico discorso.
Il framing è, invece, l‟organizzazione attorno a dei nuclei concettuali comuni delle idee
(gli idea element) espresse dai diversi attori nelle rispettive argomentazioni.
Concretamente, le unità d‟analisi prese in considerazione sono tre: l‟articolo, l‟attore
coinvolto e l‟argomentazione.
. L‟articolo costituisce l‟unità d‟analisi fondamentale in base alla quale viene costruita la
griglia di codifica104 . Esso viene selezionato sulla base dei suoi contenuti, se tratta
l‟argomento delle procedure di naturalizzazione.
Due codici sono unicamente consacrati ad esso: il primo mira a disgiungere dagli altri
gli articoli che hanno richiamo in prima pagina; il secondo a stabilire la tipologia, se è
un testo firmato, un dispaccio d‟agenzia, un‟intervista, un editoriale, un commento
esterno o una lettera di un lettore.
Se l‟articolo è puramente descrittivo, ossia se non presenta argomentazioni di sorta, ad
esempio se menziona che il dato giorno si terrà un convegno sul tema della
naturalizzazione, non si procede ad un‟ulteriore codifica.
Qualora, invece, esso presenti delle dichiarazioni di individui coinvolti nella campagna –
di imprenditori morali – o commenti del giornalista o di un esperto – i chierici mediatori
– si procede con l‟analisi di due ulteriori unità.
.
L‟enunciatore
nonché
l‟attore
o
l‟istituzione
eventualmente
nell‟enunciazione. I dati in questo caso ottenuti riguardano lo standing.
104
Allegato 10: esempio di griglia di codifica applicata ad un articolo.
204
menzionati
In presenza di una dichiarazione o di un argomentazione viene effettuata una codifica
volta ad identificare chi ne è l‟autore. Esso può essere un imprenditore morale – ad
esempio un esponente di partito, il rappresentante di un associazione coinvolta nella
campagna, o membro del Consiglio federale – oppure un chierico mediatore – l‟autore
stesso dell‟articolo o un “esperto, ad esempio un sociologo, un giurista o un politologo
che interviene non in quanto parte coinvolta, ma in ragione della propria veste
professionale.
. La dichiarazione e l‟argomentazione, sono atti comunicativi espressi dai diversi attori,
siano essi imprenditori morali o i chierici mediatori.
Ogni atto comunicativo viene analizzato, qualitativamente, al fine di individuare le idee
in esso contenute.
A ciascuna di queste idee (idea element) viene attribuito un codice ed un segno grafico
(+/-/=) che ne indica l‟orientamento – favorevole, sfavorevole o neutro – rispetto alla
modifica legislativa posta in votazione.
Ad esempio, in un articolo apparso durante la campagna del 1994105 si legge:
Secondo il Consiglio federale la revisione della legge sulla nazionalità non dovrebbe
avere particolari conseguenze sulle finanze né sull‟effettivo del personale, poiché, per
la maggioranza dei richiedenti, la procedura sarà semplificata.
La codifica è la seguente:
La revisione non avrà conseguenze rilevanti sulle finanze pubbliche. (6.2.1), (+), (7)
La frase costituisce l‟idea element, l‟idea espressa. Il primo codice (6.2.1) riguarda
l‟attore, in questo caso il Consiglio federale, infatti, in tutta evidenza, il giornalista
parafrasa una presa di posizione del governo.
105
Giovani stranieri ma svizzeri, La Regione, 3.6.1994, p.2
205
Il segno (+), indica che l‟orientamento di questa idea è favorevole alla riforma. Il
secondo codice (7) indica l‟area di significato entro la quale essa si iscrive, in questo
caso quella riguardante le conseguenze per le finanze pubbliche. Quest‟ultima codifica
permette, come vedremo in seguito, la costruzione dei frame d‟analisi.
A partire da queste unità, l‟analisi si articola su due dimensioni, quella inerente lo
standing e quella del framing.
Le variabili riguardanti lo standing.
Considerando lo standing si verifica quali sono gli attori che partecipano al dibattito ed
in che misura vi prendono parte.
Unitamente a coloro che intervengono attivamente nello spazio pubblico, sono esaminati
anche gli attori o le istituzioni che vengono menzionati nelle enunciazioni.
Per quanto riguarda i partecipanti attivi essi sono stati suddivisi in due macrocategorie, i
chierici mediatori e gli imprenditori morali.
I chierici mediatori possono essere a loro volta ripartiti in due tipologie: i giornalisti e gli
intellettuali.
. I giornalisti, di fatto gli autori degli articoli di giornale analizzati. Essi, infatti, nei loro
scritti molto sovente, in particolare negli editoriali, esprimono opinioni proprie
sull‟oggetto in votazione e sulle sue implicazioni.
. Gli intellettuali, individui che in ragione del riconoscimento pubblico del loro statuto
sono ritenuti idonei ad intervenire nel dibattito. Essi possono essere degli accademici la
cui formazione li avvicina all‟oggetto in votazione – sociologi, economisti o politologi –
oppure scrittori o artisti la cui produzione è in qualche modo anch‟essa ritenuta afferente
al tema in discussione. Questi attori partecipano al dibattito solitamente perché
206
intervistati da un redattore, accade anche che un giornale conceda uno spazio, una sorta
di tribuna, che permette loro di esprimersi attraverso un testo autonomo.
Gli imprenditori morali, gli attori che, in ragione della propria esperienza, mirano a
normalizzare una determinata situazione sociale, possono appartenere a numerose
categorie.
. Esponenti di partiti politici. Nonostante le caratteristiche del sistema democratico
svizzero ne limitino l‟importanza, le prese di posizione dei rappresentanti dei partiti
hanno una notevole importanza in occasione delle campagne per i referendum o le
iniziative.
. Membri degli esecutivi cantonali o comunali. Come abbiamo visto le procedure di
naturalizzazione si articolano su tre livelli – federale, cantonale e comunale – accade
quindi che sindaci, municipali e Consiglieri di Stato partecipino al dibattito pubblico.
. Membri del Consiglio federale. Ovviamente gli esponenti del governo si esprimono –
in teoria con una posizione univoca – su referendum ed iniziative che implicano delle
modifiche costituzionali.
. Appartenenti ad istituzioni pubbliche. Accade che funzionari che operano in istituzioni
in qualche modo toccate dalle riforme partecipino anch‟essi al dibattito.
. Membri di associazioni d‟interesse, padronali o sindacali. Molto spesso le riforme
hanno importanti conseguenze sul sistema economico e sul mercato del lavoro. In questo
caso i rappresentanti delle associazioni di categoria intervengono nella discussione.
. Personaggi pubblici toccati nella loro sfera privata dalle riforme. Nel caso delle
votazioni sulle naturalizzazioni si tratta di individui noti al grande pubblico – sportivi o
attori, ad esempio - che hanno ottenuto la cittadinanza svizzera.
207
. Appartenenti alle categorie sociali toccate dalla riforma. In questo caso non si tratta di
personaggi pubblici, ma di individui che subiscono le conseguenze pratiche delle
modifiche legislative, nel caso specifico i giovani stranieri in attesa di ricevere la
cittadinanza. Queste categorie hanno accesso ai mezzi di comunicazione di massa
soprattutto attraverso interviste.
. Partigiani e oppositori delle riforme. Sono privati cittadini che partecipano al dibattito
pubblico, soprattutto mediante le lettere ai quotidiani.
I chierici mediatori e gli imprenditori morali si caratterizzano per prendere parte
attivamente al dibattito pubblico. Essi stessi possono, però, essere oggetto di discorsi da
parte di altri attori. Per questa ragione, la griglia di analisi prevede una categoria
denominata attori ed istituzioni privi di voce in cui sono registrati coloro che vengono
citati dagli enunciatori.
Essi possono appartenere alle categorie che abbiamo menzionato, ma anche essere
istituzioni, ovvero organizzazioni costituite da interazioni cristallizzate riconosciute da
vasti strati della società.
Le variabili riguardanti il framing.
Se i dati concernenti lo standing sono oggettivamente rintracciabili all‟interno
dell‟articolo, i frame sono invece una costruzione del ricercatore.
Concretamente, in questa ricerca, la definizione dei frame è il risultato di una procedura
induttiva che consiste nell‟individuazione, all‟interno delle dichiarazioni o delle
argomentazioni dei diversi attori, di idea element e nella loro organizzazione attorno a
nuclei concettuali comuni. Il processo di selezione dei frame è stato ispirato da anlcuni
elementi proposti dalla Grounded Theory, una metodologia sviluppata da Barney Glaser
e Anselm Strauss (1967) che permette una definizione rigorosa dei dati qualitativi.
Durante una prima fase è stata effettuata una codifica aperta che ha consentito di
individuare un elevato numero di concetti su cui si articolavano le diverse
argomentazioni proposte nello spazio pubblico. Successivamente si è proceduto ad una
208
codifica selettiva che ha portato ad identificare delle categorie superordinate, più
generiche ed astratte, e, di conseguenza, funzionali alla discussione delle teorie alla base
della ricerca.
Attraverso l‟analisi degli articoli abbiamo raggruppato le diverse idee espresse
all‟interno di frame particolarmente ricorrenti:
. Principi di diritto. Questa categoria racchiude le argomentazioni che hanno per oggetto
la natura stessa del diritto di cittadinanza, se esso debba fondarsi sullo ius sanguinis
piuttosto che sullo ius soli.
. Autonomia e funzionamento delle istituzioni svizzere. Questo frame accorpa le idee che
fanno riferimento alle strutture amministrative comunali, cantonali e federali. In esso
sono presenti sia argomentazioni favorevoli alle agevolazioni, come lo snellimento delle
procedure burocratiche, sia contrarie, che paventano una perdita di potere decisionale di
Comuni e Cantoni.
. Integrazione degli stranieri naturalizzandi. A questa categoria sono ricondotte le
argomentazioni che fanno riferimento all‟adattamento agli usi e ai costumi svizzeri di
coloro che postulano per ottenere la cittadinanza. Le idee espresse possono essere di
segno opposto e fare riferimento a fattori come la scolarizzazione o la conoscenza della
lingua.
. Rappresentazione della popolazione straniera nel suo insieme. Questo frame racchiude
le idee concernenti la presenza degli stranieri in Svizzera. Esso include, da un lato le
argomentazioni di tipo ideale fondate sull‟uguaglianza tra gli esseri umani e, dall‟altro,
di carattere xenofobo o comunque tese a discriminare gli individui su base etnica.
209
. Paure legate alla presenza straniera. Questa categoria racchiude le argomentazioni
legate ai timori per un‟evoluzione futura della situazione sociale, come un aumento del
tasso di criminalità.
. Immagine della Svizzera all‟estero. A questo frame sono associate le argomentazioni
che hanno come nucleo comune quello di considerare le ripercussioni che il voto
potrebbe far scaturire all‟estero. Da un lato viene propugnata la necessità di preservare
l‟immagine di un Paese aperto ed ospitale, dall‟altro si paventa che delle agevolazioni
eccessive potrebbero favorire un aumento dell‟immigrazione.
. Economia e demografia. Questa categoria include le argomentazioni sulle implicazioni
che le agevolazioni in materia di naturalizzazioni comporterebbero sulla struttura della
popolazione, sull‟economia e sulle finanze pubbliche.
. Democrazia diretta. Il frame si riferisce alle argomentazioni che si fondano su questa
peculiarità del sistema politico svizzero. Esse sono nella maggior parte casi esposte dagli
avversari di una politica volta a facilitare le naturalizzazioni che rilevano come, da un
lato la democrazia diretta sia un valore aggiunto della cittadinanza che non può quindi
essere “svenduta”, dall‟altro notano che se nei Paesi confinanti i cittadini avessero
anch‟essi il diritto di esprimersi su questo tema le normative per l‟acquisizione della
nazionalità sarebbero più restrittive rispetto alla Svizzera.
Interesse della frame analysis in relazione alle ipotesi di ricerca.
Questa particolare metodologia di ricerca ha delle caratteristiche che la rendono idonea a
testare le ipotesi di ricerca. Essa consente di trattare quantitativamente, e di mettere in
relazione, unità di contenuto oggettive, inerenti lo standing, ed altre costruite dal
ricercatore, concernenti il framing. Ovviamente una tale procedura richiede, soprattutto
per quanto riguarda la costruzione dei frame, un notevole rigore da parte dei ricercatori
che devono operare in modo tale da costruire degli aggregati di idea element accomunati
210
da un nucleo concettuale comune partendo dalle argomentazioni enunciate dai diversi
attori.
Una volta acquisita una solida competenza in questa pratica – attraverso codifiche
multiple ed incrociate dei medesimi articoli effettuate in fasi successive della ricerca –
diviene possibile estrapolare dati qualitativi molto significativi.
Concretamente, i risultati forniscono un quadro complessivo dei discorsi mediatici
proposti nelle tre regioni linguistiche. Vedere chi sono gli attori che prendono parte al
dibattito e quali sono i nuclei concettuali attorno ai quali si articolano le diverse
argomentazioni.
Questi due aspetti ci permettono di descrivere le strutture, le architetture, che assumono
i diversi segmenti linguistici dello spazio pubblico svizzero in occasione di campagne di
voto su temi ad alta valenza identitaria come quelli sulle modifiche delle procedure di
naturalizzazione.
Da un lato, trarremo delle indicazioni - sia a partire dalla tipologia di articoli, dalla
partecipazione dei diversi attori al dibattito - sui ruoli svolti dai chierici mediatori e dagli
imprenditori morali. Dall‟altro, attraverso l‟analisi dei frame avremo delle informazioni
importanti sulle diverse dimensioni del concetto di identità collettiva soggiacente alle
argomentazioni proposte nel dibattito.
3.2.5 Analisi del “contratto di lettura” nelle trasmissioni televisive.
Accanto all‟analisi di tipo quantitativo ne viene presentata una qualitativa che si propone
di studiare il tipo di mediazione nei dibattiti televisivi proposti dalle emittenti pubbliche
delle tre regioni linguistiche.
Occorre precisare che lo studio non prevede una comparazione sistematica delle forme di
ciascuna trasmissione nel loro complesso. Si tratta piuttosto di confrontare il modo in cui
gli autori del programma televisivo inquadrano l‟oggetto della discussione e definiscono
il ruolo dei partecipanti al dibattito.
211
Per arrivare a questo risultato abbiamo adottato un approccio che prevede l‟esistenza di
un contratto di lettura
(Véron, 1985, 1995; Widmer, 2004a) implicito che lega
l‟enunciatore e lo spettatore attraverso un discorso.
La lettura di un testo, in questo caso un discorso proposto attraverso il medium
televisivo, è un‟attività significante, un processo socioculturale di acquisizione di senso.
Essa è possibile quando, tanto l‟enunciatore quanto il lettore, dispongono di un
retroterra comune che permette loro di conoscersi reciprocamente e definire l‟implicito
contratto di lettura proposto dal primo.
Perché questo abbia successo, occorre che l‟enunciatore abbia la capacità di prospettare
un contratto che si articoli correttamente alle aspettative, alle motivazioni, agli interessi e
ai contenuti dell‟immaginario del lettore.
Il funzionamento di questa interazione mediata è reso possibile dalla corretta coesistenza
dei due livelli del discorso descritti dalla teoria dell‟enunciazione (Maingueneau, 1976),
l‟enunciato e l‟enunciazione (Véron, 1985):
“… il livello dell‟enunciato è quello di ciò che si dice (con un approssimazione
grossolana: il livello dell‟enunciato corrisponde all‟ordine del “contenuto”); il livello
dell‟enunciazione concerne le modalità del dire. Per il funzionamento dell‟enunciazione,
un discorso costruisce una certa immagine di colui che parla (l‟enunciatore), una certa
immagine di colui a cui si parla (il destinatario) e, di conseguenza, un legame tra queste
“posizioni”.106 [t.d.a]
L‟applicazione di questo contratto tra l‟autore del messaggio ed i destinatari fa sì che un
medesimo contenuto possa essere trattato attraverso strutture enunciative profondamente
differenti all‟interno delle quali l‟enunciatore decide il proprio posizionamento e quello
dei recettori.
106
“… le niveau de l‟énoncé est celui de ce que l‟on dit (dans une approximation grossière : le niveau
de l‟énoncé correspond à l‟ordre du «contenu») ; le niveau de l‟énonciation concerne les modalités
du dire. Par le fonctionnement de l‟énonciation, un discours construit une certaine image de celui qui
parle (l‟énonciateur), une certaine image de celui à qui l‟on parle (le destinataire) et, par conséquent,
un lien entre ces «places»“ (Véron, 1985, p. 207)
212
Interesse del metodo fondato sul contratto di lettura in relazione alle ipotesi di ricerca.
In precedenza abbiamo identificato e descritto due tipologie ideali di attori che
partecipano al dibattito pubblico, gli imprenditori morali ed i chierici mediatori. Questi
ultimi, in questo specifico caso i giornalisti e gli autori delle trasmissioni televisive,
sono in grado di proporre un‟efficace pubblicizzazione della discussione. Essi, come
abbiamo visto, stabiliscono un contratto di lettura implicito con gli spettatori fondato su
un retroterra conoscitivo comune.
Le nostre ipotesi di ricerca, unite al fatto che le tre trasmissioni televisive considerate
sono state realizzate dai diversi canali linguistici dell‟emittente di servizio pubblico SRG
SSR idée suisse, ci portano a considerare la lingua l‟elemento conoscitivo comune più
importante in ciascuna delle tre interazioni comunicative.
In sintesi, la frame analysis applicata agli articoli di giornale e quella fondata sul
contratto di lettura volta a descrivere le pratiche di mediazione in atto nelle trasmissioni
televisive, permettono di rendere conto in modo soddisfacente delle ipotesi di ricerca. La
prima, oltre a fornire delle indicazioni sugli attori che prendono parte al dibattito,
descrive i quadri semantici entro cui si articolano le diverse argomentazioni. La seconda
mostra il rapporto esistente in una discussione pubblica tra chierici mediatori,
imprenditori morali e spettatori.
213
3.3 Risultati della frame analysis.
La frame analysis, come abbiamo visto, si fonda su una metodologia ibrida che consente
il trattamento quantitativo sia di dati intersoggettivamente esistenti in maniera
inequivocabile, sia di elementi ricostruiti dai ricercatori.
Concretamente, sono stati presi in considerazione gli articoli apparsi su due quotidiani
per ogni regione linguistica durante le campagne per le votazioni che avevano come
oggetto le procedure di naturalizzazione e che si sono svolte tra il 1983 ed il 2008.
I risultati mostrano sia i dati riguardanti le tipologie di attori che prendono parte o che
sono menzionati nel dibattito pubblico, sia i frame, i quadri semantici entro cui si
collocano le diverse argomentazioni proposte nella pubblica discussione. Nel primo caso
si tratta di dati intersoggettivamente riconoscibili, nel secondo di categorie costruite
individuando dei nuclei concettuali che accomunano la varietà di idea element espressi
dagli attori.
In relazione alle riflessioni teoriche sin qui proposte, i risultati permettono di rendere
conto delle diverse strutture dello spazio pubblico. Da un lato, verrà valutato in termini
quantitativi l‟apporto fornito al dibattito dai chierici mediatori nelle tre regioni
linguistiche, dall‟altro quali sono i quadri semantici entro cui sono espresse le
argomentazioni.
La presentazione dei dati avverrà attraverso la modalità seguente: dapprima ci si
occuperà del numero complessivo e della tipologia degli articoli analizzati durante tutte
le campagne. In seguito sarà proposta l‟analisi dei risultati aggregati, inerenti lo standing
ed il framing, delle campagne sulle “naturalizzazioni agevolate” (1983, 1994, 2004).
Infine, nello stesso paragrafo, verranno esposti i dati riguardanti la ripartizione dei frame
espressi per l‟iniziativa “per delle naturalizzazioni democratiche” (2008).
214
3.3.1 Ripartizione e tipologie degli articoli.
Complessivamente, considerando due giornali per ogni regione linguistica durante
quattro campagne di voto (1983-2008), sono stati trovati 731 articoli che rispondevano ai
requisiti necessari all‟analisi. Ripartiti nel modo seguente: 326 nella regione
germanofona, 201 in quella francofona e 204 in quella italofona.
Ripartizione degli articoli per regione linguistica.
28%
Svizzera tedesca
44.5%
Svizzera francese
Svizzera italiana
27.5%
Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 ( annessa tabella 11A).
Il risultato si presta ad alcune considerazioni, Appare evidente che la quantità di articoli
scritti durante la campagna è molto superiore in Svizzera tedesca rispetto alle altre
regioni linguistiche.
Questo dato è interpretabile nella maniera seguente: come abbiamo ipotizzato, e come
vedremo successivamente, i risultati del voto sono pressoché scontati in Svizzera
francese, dove i progetti sono sistematicamente accettati in votazione popolare, e nella
Svizzera italiana, dove vengono bocciati, mentre nella Svizzera tedesca, che ha inoltre
un peso demografico molto superiore, il responso delle urne è molto più incerto. È
probabile, pertanto, che la campagna sia molto più vivace, con una conseguente
215
maggiore produzione di articoli, nella regione linguistica germanofona, dove, di fatto,
viene deciso l‟esito della votazione.
Più interessante ai fini delle nostre ipotesi sulle strutture dello spazio pubblico la
ripartizione, all‟interno di ogni regione linguistica, delle diverse tipologie di articoli.
Ripartizione delle diverse tipologie di articoli in Svizzera tedesca.
Articolo firmato
Intervista
33.7%
40.2%
Dispaccio
Editoriale
Tribuna
2.8%
7.1%
Lettera
11.7%
4.9%
Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 ( annessa tabella 11A).
I risultati registrati in Svizzera tedesca possono essere interpretati nel modo seguente:
la tipologia di articolo che prevede, per la sua natura, una presa di posizione esplicita dei
chierici mediatori costituisce complessivamente il 9.9% del totale, essa è costituita per il
7.1% da editoriali, che riportano le opinioni dei giornalisti stessi e per il 2.8% da tribune,
che ospitano generalmente il parere di intellettuali ed accademici.
Gli articoli firmati, i dispacci di agenzia e le interviste, che riportano invece le posizioni
di coloro che potremmo definire imprenditori morali istituzionali, ammontano
complessivamente al 56.8% del totale.
Le lettere dei lettori, che di fatto rendono le opinioni, di imprenditori morali “spontanei”
costituiscono il 33.7%.
216
Ripartizione delle diverse tipologie di articoli in Svizzera francese.
Articolo firmato
19.4%
Intervista
42.8%
Dispaccio
9%
Editoriale
14.4%
Tribuna
Lettera
8%
6.5%
Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 ( tabelle allegate 11A).
La ripartizione tra le diverse tipologie in Svizzera francese è sensibilmente diversa
rispetto a quella della regione germanofona. In questo caso gli articoli che propongono le
opinioni dei chierici mediatori sono complessivamente il 23.4%, nel 14.4% dei casi si
tratta di editoriali e nel 9% di tribune.
Articoli firmati, dispacci d‟agenzia e interviste, che riportano principalmente le posizioni
degli imprenditori morali istituzionali costituiscono il 57.3% del totale, mentre le lettere
dei lettori, il 19.4%.
Ripartizione delle diverse tipologie di articoli in Svizzera italiana.
Articolo firmato
14.7%
26%
Intervista
9.8%
Dispaccio
Editoriale
6.9%
14.2%
Tribuna
Lettera
28.4%
Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11A).
217
La situazione nella Svizzera italiana è molto simile a quella che si registra in quella
francese. In questo caso gli editoriali (14.2%) e le tribune (9.8%) ammontano
complessivamente al 24% del totale.
Articoli firmati, dispacci d‟agenzia e interviste costituiscono il 61.3% e le lettere dei
lettori il 14.7%. La significativa differenza, rispetto alla Romandia, nel computo degli
articoli firmati (26.2% e 42.8%) e dei dispacci (28.4% e 6,5%) è spiegabile con il minor
budget dei giornali ticinesi e con la collocazione geograficamente periferica della
regione italofona. Questi due fattori probabilmente fanno sì che la stampa in lingua
italiana si rivolga con maggiore frequenza alle agenzie di informazione.
I dati relativi alla ripartizione numerica e tipologica degli articoli apparsi durante le
campagne sulle naturalizzazioni nelle tre regioni linguistiche consentono alcune
considerazioni.
Innanzitutto colpisce il numero complessivo molto più elevato, quasi doppio, di articoli
apparsi sui giornali germanofoni rispetto a quelli pubblicati nelle aree francofona ed
italofona. Il fenomeno è spiegabile con il peso demografico, e dunque elettorale, che
questa area riveste rispetto alle altre due. Inoltre, i votanti francofoni si sono sempre
espressi in maniera univoca a favore delle riforme tese a facilitare le naturalizzazioni,
mentre quelli italofoni si sono dimostrati nettamente contrari. Gli svizzeri-tedeschi, pur
se in maggioranza contrari, appaiono, complessivamente, meno compatti.
Per quanto riguarda la tipologia degli articoli, conformemente alle nostre ipotesi si nota
come nelle aree latine, dove il dibattito pubblico avviene unicamente in una lingua
istituzionalizzata attraverso la scrittura, vi sia un maggior numero di editoriali e tribune,
che tradizionalmente ospitano le opinioni dei chierici mediatori. Nella regione
germanofona al contrario, vien dato maggior peso alle tipologie che ospitano le posizioni
degli imprenditori morali. Particolarmente significativo è il dato riguardante le lettere dei
lettori, degli imprenditori morali “non istituzionali”, che sono proporzionalmente molto
superiori in Svizzera tedesca rispetto al resto del Paese.
218
3.3.2 Ripartizione dei frame e delle posizioni degli attori.
In questo paragrafo ci occupiamo dei dati aggregati inerenti le campagne concernenti le
votazioni che hanno avuto per oggetto, con sfumature diverse, delle riforme volte ad
agevolare le procedure di naturalizzazione per i giovani cresciuti in Svizzera – quelle,
quindi, svoltesi tra il 1983 ed il 2004 – e presenteremo infine un accenno ai principali
temi che hanno caratterizzato l‟iniziativa del 2008, “per delle naturalizzazioni
democratiche”.
Dapprima vedremo alcuni risultanti che riguardano lo standing, ovvero gli attori a vario
titolo coinvolti nel dibattito pubblico.
In seguito esamineremo i frame entro cui si inseriscono le argomentazioni pubbliche
nelle diverse regioni linguistiche.
Un primo dato interessante riguarda la proporzione di idea element espressi da chierici
mediatori ed imprenditori morali. Nella prima categoria abbiamo incluso gli autori degli
articoli e gli intellettuali che accedono al dibattito mediatico in veste di “esperti” della
materia trattata; nella seconda sono compresi gli attori che si confrontano politicamente
sul tema: esponenti dei partiti, membri del Consiglio federale o dei governi locali,
esponenti delle associazioni economiche e, in generale, le persone che, per diverse
ragioni, hanno accesso alla discussione mediatica.
I risultati ci permetteranno di avere
un idea del peso di queste due tipologie ideali di attori nei segmenti dello spazio
pubblico delle tre aree idiomatiche del Paese.
219
Idea element espressi da imprenditori morali e chierici mediatori in Svizzera tedesca.
24.9%
Chierici mediatori
Imprenditori morali
75.1%
Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11B).
Su un totale di 445 idea element riportati negli articoli presenti sui giornali svizzerotedeschi , il 75.1% è stato estratto da argomentazioni espresse da imprenditori morali ed
il 24.9% è riconducibile ad opinioni esposte dai chierici mediatori.
Idea element espressi da imprenditori morali e chierici mediatori in Svizzera francese.
45.5%
54.5%
Chierici mediatori
Imprenditori morali
Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11B).
In Svizzera francese gli idea element espressi dai chierici mediatori sono
proporzionalmente molto più numerosi rispetto alla regione germanofona, essi
costituiscono, infatti, il 45.5% del totale.
220
Idea element espressi da imprenditori morali e chierici mediatori in Svizzera italiana.
34.2
%
Chierici mediatori
Imprenditori morali
65.8%
Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11B).
Nella Svizzera italiana la percentuale degli idea element attribuiti ai chierici mediatori e
agli imprenditori morali è, rispettivamente del 34.2% e del 65.8%.
Il confronto tra la ripartizione degli idea element espressi dagli imprenditori morali e dai
chierici mediatori nelle tre regioni linguistiche si presta ad un‟interpretazione che
sostanzialmente ricalca quella precedentemente proposta rispetto alle tipologie di
articolo.
Nella Svizzera tedesca i chierici mediatori tendono molto più raramente a prendere
esplicitamente posizione in rapporto alle problematiche concernenti l‟oggetto in
votazione. Essi lasciano che siano prevalentemente gli imprenditori morali ad
argomentare in proposito. Nelle regioni latine, al contrario, essi concepiscono come un
diritto ed un dovere la loro partecipazione attiva al dibattito pubblico.
Un altro dato interessante, ancorché, come vedremo, di difficile interpretazione è quello
costituito dagli attori e dalle istituzioni privi di voce, da coloro cioè che vengono
menzionati all‟interno delle argomentazioni.
221
Attori ed istituzioni privi di voce in Svizzera tedesca.
35.00%
30.00%
28.60%
24.10%
25.00%
20.00%
14.30%
15.00%
13.50%
12%
7.50%
10.00%
5.00%
0.00%
Partiti
politici
Giovani
stranieri
Popolo
svizzero
Consiglio
federale
Comuni,
Cantoni
Altro
Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11C).
In Svizzera tedesca vi è una ripartizione piuttosto uniforme tra i principali attori ed
istituzioni menzionate dai partecipanti al dibattito. La maggioranza relativa spetta ai
Partiti politici (28.6%), seguiti a breve distanza dai giovani stranieri (24.1%), coloro che
maggiormente sono interessati dalla riforma. Dal popolo svizzero (14.3%) Consiglio
federale (13.5%) e da una categoria che non ritroveremo nelle altre regioni: i Comuni ed
i Cantoni (7.5%).
Attori ed istituzioni privi di voce in Svizzera francese.
45.00%
40.00%
35.00%
30.00%
25.00%
20.00%
15.00%
10.00%
5.00%
0.00%
42.50%
18.30%
13.30%
Partiti
politici
10%
8.30%
Giovani Consiglio Oppositori Popolo
stranieri federale
svizzero
Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11C).
222
7.60%
Altro
In Romandia tra gli attori nominati nel dibattito vi è una netta predominanza dei partiti
politici (42.5%), seguono a lunga distanza giovani stranieri (18.3%) e Consiglio federale
(13.3%), molto meno menzionato è il popolo svizzero (8,3%). La categoria degli
oppositori (10%) è utilizzata quando non viene menzionata l‟appartenenza partitica o
istituzionale di coloro che rifiutano le riforme.
Nella Svizzera italiana, la situazione si presenta profondamente diversa, la categoria
maggiormente citata è, seppur di poco, quella dei giovani stranieri (27.4%), vi sono poi i
partiti politici (24.1%), il popolo svizzero (12%), il Consiglio federale (11.2%) e gli
oppositori (11.2%).
Attori ed istituzioni privi di voce in Svizzera italiana.
30.00%
27.40%
24.10%
25.00%
20.00%
15.00%
12%
14%
11.20%
11.20%
10.00%
5.00%
0.00%
Giovani
stranieri
Partiti
politici
Popolo Consiglio Oppositori
Svizzero federale
Altro
Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11C).
Come anticipato i dati riguardanti gli attori e le istituzioni sono apparentemente difficili
da interpretare, in particolare per quanto riguarda i dati della Svizzera italiana.
L‟anomalia riguarda soprattutto i partiti politici, che in questa regione sono nettamente
meno menzionati. Ciò è però spiegabile analizzando la composizione di questa categoria.
L‟Unione Democratica di Centro è nettamente il partito più menzionato nelle altre due
223
aree107 – in ragione del 64.7% in quella germanofona e, addirittura, dell‟86.2% in quella
francofona – dal momento che gli altri attori lo considerano il principale regista delle
campagne di opposizione alla riforma. In Ticino questo partito è elettoralmente
irrilevante, dal momento che gran parte del suo bacino di voti gli è vittoriosamente
conteso dalla Lega dei Ticinesi che, ovviamente, è meno impegnata nelle battaglie
politiche a livello federale.
Considerando unicamente i dati della Svizzera tedesca e di quella francese si nota come
il binomio di attori istituzionali costituito da partiti politici e Consiglio federale sia
nettamente prevalente in quest‟ultima regione – complessivamente il 55.8% contro il
42.1% - mentre quello costituito dalle categorie sociali popolo svizzero e giovani
stranieri è fortemente maggioritario – il 38.4% contro il 26.6% - nell‟area germanofona.
Interessante inoltre notare come in Svizzera tedesca siano menzionati frequentemente i
Comini ed i Cantoni, forse a sottolineare una maggiore sensibilità verso le comunità
locali.
Dopo aver analizzato i dati guardanti lo standing, vedremo ora quelli concernenti il
framing. Prima di vedere la ripartizione tra le regioni dei diversi quadri entro i quali si
articolano le pubbliche discussioni, è interessante considerare la direzione prevalente –
favorevole o sfavorevole alla riforma – degli idea element che li compongono.
107
Si vedano, anche in questo caso, le tabelle dell‟allegato 10C.
224
Direzione degli idea element in Svizzera tedesca.
24.5%
Favorevole
Neutra
11%
64.5%
Contraria
Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11B).
In Svizzera tedesca gli idea element favorevoli espressi dall‟insieme degli attori che
partecipano al dibattito costituiscono il 64.5%. i contrari il 24.5% ed i neutri l‟11%. Si
noti che la direzione neutra è espressa quasi unicamente dalla categoria dei chierici
mediatori quando tentano di produrre una sintesi delle argomentazioni dei due campi.
Direzione degli idea element in Svizzera francese.
19.2%
Favorevole
9.1%
Neutra
Contraria
71.7%
Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11B).
In Romandia gli idea element favorevoli sono il 71.7%, quelli neutri il 9.1.% e quelli
contrari il 19.2%.
225
Direzione degli idea element in Svizzera italiana.
3.8%
15.8%
Favorevole
Neutra
Contraria
80.4%
Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11B).
Nella Svizzera italiana la proporzione è di 80.4% idea element favorevoli, 3.8% neutri e
15.8% contrari.
Pur registrando delle lievi differenze tra le regioni linguistiche, i risultati sembrano
confermare l‟ipotesi dell‟esistenza in Svizzera, nella stampa generalista, di un gruppo di
comunicazione dominante (Véron, 1995) costituito da chierici mediatori favorevoli alle
riforme che esprimono le proprie opinioni e selezionano quelle degli imprenditori morali
di conseguenza.
Per quanto riguarda i principali cinque frame entro cui si sono svolte le pubbliche
discussioni nelle tre regioni linguistiche, la situazione è la seguente.
226
Ripartizione dei frame in Svizzera tedesca.
25.40%
24.90%
20.70%
18%
11%
Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11D).
Nel dibattito in Svizzera tedesca vi è una forte presenza di argomentazioni legate alla
rappresentazione degli stranieri (25.4%) – come sono, uguali o diversi, rispetto agli
svizzeri – e alle paure legate alla loro presenza (24.9%).
Importante ma, come vedremo, meno presente rispetto ad altre regioni è il tema
incentrato sul processo di integrazione (20.7%). I principi di diritto alla base delle
procedure di naturalizzazione sono considerati maggiormente rispetto al resto del Paese
(18%), mentre l‟autonomia delle istituzioni cantonali e comunali è posta relativamente ai
margini del dibattito (11%).
227
Ripartizione dei frame in Svizzera francese.
37.40%
26.30%
15.20%
13.10%
8%
Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11D).
In Romandia la ripartizione dei frame è molto meno uniforme. Particolarmente
importante è il tema dell‟integrazione degli stranieri (37.4%) e quello dell‟autonomia
delle istituzioni cantonali e comunali (26.3%). Molto meno centrali che in Svizzera
tedesca si rivelano essere le tematiche legate alla rappresentazione degli stranieri
(15.2%), alle paure (13.1%) ad ai principi di diritto (8%).
Nella Svizzera italiana il frame relativo all‟integrazione degli stranieri è preponderante
(49.4%), seguito a grande distanza da quello dell‟autonomia delle istituzioni cantonali e
comunali (24.1%). I principi di diritto (15%) sono tematizzati in maniera
sostanzialmente analoga rispetto alla Svizzera tedesca, mentre le rappresentazioni degli
stranieri (7%) e le paure (4.4%) sono quasi irrilevanti.
228
Ripartizione dei frame in Svizzera italiana.
49.40%
24.10%
15.20%
7.00%
4.40%
Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11D).
L‟analisi comparativa della ripartizione dei frame nelle tre regioni linguistiche permette
di evidenziare alcuni dati di particolare interesse, in particolare in relazione al rapporto
esistente tra discorsi pubblici ed identità collettive in occasione di votazioni di questo
tipo.
Come vedremo in modo più approfondito nel prossimo paragrafo, è molto significativo
che presso le popolazioni delle aree latine – che, nelle nostre riflessioni teoriche,
abbiamo ipotizzato caratterizzarsi per un senso di identità collettiva prossimo a quello
idealmente segnato dal codice civico (Eisenstadt/Giesen, 1995) – vi sia una
predominanza, nei discorsi pubblici, del tema dell‟integrazione, ovvero di quali siano i
passi compiuti, o da compiere, perché gli stranieri naturalizzandi possano divenire
svizzeri a tutti gli effetti.
Analogamente è interessante notare come nella regione germanofona sia molto più
presente il frame della rappresentazione degli stranieri ciò che è spiegabile in una
società la cui identità si avvicina maggiormente a quella ideale fondata sul codice
primordiale, dove le frontiere tra chi si trova incluso nella collettività e chi ne è escluso
229
sono percepite come naturali. Concretamente, in Svizzera tedesca le discussioni si
concentrano sul fatto se gli stranieri siano uguali o diversi agli svizzeri, piuttosto che
sulle procedure ed i riti legati al processo di integrazione. La rilevanza del frame
connesso alle paure va letto anch‟esso in questo senso.
Le forti divergenze tra le regioni latine e quella germanofona che si registrano sui dati
del frame legato all‟autonomia delle istituzioni cantonali e comunali sono probabilmente
da interpretare con il fatto che nelle regioni linguistiche demograficamente minoritarie i
diversi attori sono molto attenti alle variazioni che potrebbero potenzialmente limitare le
autonomie locali.
Ripartizione complessiva dei frame in Svizzera.
Paure legate
agli stranieri
Principi di
diritto
50%
40%
30%
20%
10%
0%
Autonomia
delle
istituzioni
Svizzera tedesca
Svizzera francese
Svizzera italiana
Rappresenta
zione degli
stranieri
Integrazione
degli
stranieri
Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle 11D allegate).
I risultati aggregati inerenti le campagne di voto sulle riforme tese ad agevolare la
naturalizzazione dei giovani stranieri (1983-2004) mostrano delle effettive differenze tra
le regioni nell‟importanza attribuita ai diversi campi semantici entro cui si svolge la
discussione.
230
Se si considerano i frame
inerenti la campagna per l‟iniziativa “per delle
naturalizzazioni democratiche (2008), la situazione si presenta diversa:
Ripartizione complessiva dei frame nella campagna sull‟inizativa per delle
naturalizzazioni democratiche (2008).
Paure legate
agli stranieri
Principi di
diritto
50%
40%
30%
20%
10%
0%
Autonomia
delle
istituzioni
Svizzera tedesca
Svizzera francese
Svizzera italiana
Rappresenta
zione degli
stranieri
Integrazione
degli
stranieri
Fonte:Hungerbühler e altri, 2008 (tabelle allegate 11E).
Nel corso della campagna per questa votazione – che, ricordiamo, riguardava la tutela
dell‟autonomia comunale e cantonale nella scelta dei criteri con cui concedere la
cittadinanza – non si notano importanti differenze regionali. I due temi che
oggettivamente concernono l‟oggetto in votazione, i principi di diritto e l‟autonomia
cantonale e comunale, monopolizzano il dibattito in tutte tre le regioni, nella misura del
70% nella regione germanofona, del 66.7% in quella francofona e del 74.7% in quella
italofona.
Questa discrepanza è dovuta probabilmente al fatto che le precedenti votazioni
chiamavano maggiormente in causa le identità collettive dei votanti (Pizzorno, 1991;
Véron, 1995), mentre a quest‟ultima era attribuito un carattere prevalentemente
amministrativo.
231
3.3.3 Sintesi e commento dei risultati.
I risultati della frame analysis effettuata sugli articoli di giornale apparsi durante le
campagne sulle votazioni concernenti le modifiche legislative delle procedure di
naturalizzazione ci permettono di giungere a quattro conclusioni importanti.
Le prime due riguardano il ruolo rivestito dai chierici mediatori nel dibattito pubblico, la
terza i diversi quadri semantici entro cui si svolgono le discussioni nelle tre regioni
linguistiche e, infine, la quarta concerne le specificità delle votazioni il cui oggetto
presenta delle forti implicazioni identitarie.
Un primo dato emerge osservano la direzione degli idea element riportati dai giornali
durante le campagne per le votazioni sulle naturalizzazioni agevolate (1983-2004). In
tutte tre le regioni linguistiche si constata una netta prevalenza di quelli favorevoli alle
riforme. Questo risultato ci permette di avvalorare l‟ipotesi che i chierici mediatori, i
giornalisti che esprimono le proprie opinioni e selezionano quelle degli imprenditori
morali, appartengano, senza particolari distinzioni idiomatiche, ad un gruppo di
comunicazione dominante che si rifarebbe a modelli culturali che valorizzano
positivamente le agevolazioni indirizzate ai giovani stranieri.
L‟analisi comparata tra le regioni linguistiche dei risultati relativi alle ripartizioni tra le
diverse tipologie di articolo e di quelli concernenti le proporzioni tra gli idea element
proposti dai giornalisti e quelli espressi dagli altri attori, mostra come l‟interpretazione
del ruolo di chierico mediatore vari considerevolmente nelle tre aree.
Rispetto alla Svizzera tedesca, in quella francese ed in quella italiana vi è
complessivamente (1983-2008) una percentuale molto maggiore di articoli di opinione,
come
editoriali
e
tribune.
Analogamente,
considerando
le
campagne
sulle
naturalizzazioni agevolate (1983-2004), nelle regioni latine si registra un numero molto
più alto di idea element espressi dai chierici mediatori in rapporto a quanto avviene in
quella germanofona.
232
Questi dati ci suggeriscono che i giornalisti delle aree latine ritengano di dover
partecipare al dibattito pubblico prendendo posizione in maniera esplicita. Nella
Svizzera tedesca, al contrario, essi sembrano intendere il loro ruolo come quello di
artefici di una mediazione che lasci il più possibile agli imprenditori morali il compito di
argomentare e di esprimere opinioni.
La ripartizione dei frame attorno ai quali si articolano le argomentazioni espresse durante
le campagne per le votazioni sulle naturalizzazioni agevolate (1983-2004), mostra
importanti differenze tra le regioni linguistiche che possono essere ricondotte a diverse
forme di identità collettiva.
In Svizzera tedesca vi è una forte presenza di idea element
incentrati sulla
rappresentazione degli stranieri. Questo fatto può essere spiegato con l‟esistenza di un
sentimento identitario fondato sulla relazione metonimica che la collettività
germanofona intrattiene con il proprio idioma che porta allo sviluppo di una dimensione
riflessiva che prevede delle barriere naturali ed invalicabili tra chi si trova all‟interno del
gruppo e chi ne è escluso (Widmer, 2004a). Da qui l‟importanza all‟interno del dibattito
della domanda se gli stranieri in attesa di naturalizzazione sono “come noi” oppure
“diversi”. Per ragioni analoghe è così interpretabile l‟incidenza del frame connesso alle
paure legate alla presenza di stranieri - l‟arrivo di nuovi elementi all‟interno della
collettività come minaccia alla natura stessa del legame sociale – e di quelli connessi ai
principi di diritto, ovvero alla discussione sulla prevalenza del ius sanguinis o del ius
soli.
Nelle regioni latine, il frame predominante è quello che tematizza l‟integrazione degli
stranieri. Sulla base delle nostre ipotesi questa peculiarità è legata alla rapporto
metaforico che queste collettività hanno con la propria lingua e che porta a considerare
lo straniero non come antropologicamente differente, ma come un individuo che
necessita di un lungo processo di socializzazione che gli permetta di apprendere gli usi e
costumi della collettività (Widmer, 2004a).
Un‟ultima indicazione che è possibile trarre dai risultati dell‟analisi è data dalla diversità
dei quadri entro cui si svolgono le discussioni sulle votazioni che avevano per oggetto le
233
agevolazioni ai giovani stranieri (1983-2004) e quella che, invece, concerneva il
rafforzamento dei poteri comunali e cantonali in materia di naturalizzazioni (2008).
Nel primo caso si sono constatate forti differenze nella ripartizione dei frame tra le
regioni linguistiche, nel secondo, invece, i temi del dibattito pubblico erano pressoché
analoghi nelle tre aree.
Questo fenomeno è interpretabile con il fatto che le votazioni sui giovani naturalizzandi
avevano implicazioni tali da impedire ai cittadini di agire guidati unicamente dalla
razionalità strumentale. L‟incertezza sul rapporto costi/benefici era tale da far sì che essi
si appoggiassero nelle loro scelte a delle condizioni strutturali date dal loro sentimento di
appartenenza identitaria ad una collettività (Pizzorno,1991; Véron, 1995).
L‟iniziativa del 2008 si prestava invece meglio a ragionamenti di tipo razionale su quali
fossero le istituzioni maggiormente indicate per prendere decisioni definitive in materia
di naturalizzazioni.
Dopo l‟analisi dei risultati basati sulla frame analysis, presenteremo, nel prossimo
paragrafo, quella incentrata sui discorsi nei dibattiti televisivi.
3.4 Risultati dell’analisi del “contratto di lettura”.
La frame analysis ci ha permesso di trarre delle indicazioni di tipo quantitativo sugli
attori che partecipano al dibattito pubblico nelle tre regioni linguistiche, ci ha inoltre
consentito di vedere entro quali quadri semantici si inseriscono le diverse
argomentazioni.
Lo studio qualitativo, fondato sul concetto di contratto di lettura, delle trasmissioni
televisive realizzate in occasione della campagna del 2004 dai tre canali linguistici della
SSR, ha invece essenzialmente come scopo quello di descrivere le diverse modalità di
234
mediazione, ovvero il ruolo giocato da chierici mediatori ed imprenditori morali, nel
proporre al pubblico una problematica sociale108.
Sostanzialmente, l‟inquadramento della problematica oggetto di un dibattito pubblico,
varia in funzione delle strategie comunicative dei chierici mediatori e del ruolo da loro
imposto agli imprenditori morali nella narrazione televisiva.
3.4.1 Dibattito televisivo proposto dal canale francofono TSR.
Ricordiamo che è stata considerata la trasmissione Infrarouge dal titolo “Un passant sur
cinq en Suisse n‟est pas Suisse” trasmessa il 15 settembre 2004.
Il programma inizia con un commento proposto attraverso una voce fuori campo che
presenta sia il soggetto del dibattito, sia i due invitati principali. Il tono è decisamente
ironico e teso a irridere una concezione essenzialista dell‟appartenenza nazionale. Dopo
aver evidenziato le origini estere di alcuni svizzeri celebri – Christoph Blocher, Pascal
Couchepin e Nicolas Hayek – la voce fuori campo affronta il tema degli stranieri che
vivono nel Paese e lo fa stabilendo un legame con il dibattito politico in corso:
(voce off):… e poi vi è la Svizzera di tutti i giorni: un passante su cinque non è svizzero.
I casi dell‟immigrazione li hanno fatti nascere, crescere o radicarsi qui. A coloro che lo
volessero, si vuole offrire l‟ipotesi più facile, più semplice di un passaporto, di
raggiungere la comunità degli Elvezi, di essere dei nostri. Contro questa semplice idea,
l‟UDC ha lanciato un referendum e parla di un‟invasione programmata, di un‟ondata
islamica, di terroristi che abiterebbero le nostre città e le nostre campagne.109 [t.d.a]
108
Gli annessi 12 A, B e C consistono nelle trascrizioni delle fasi iniziali delle trasmissioni proposte
dai tre canali linguistici: dato che il programma germanofono è in Schweizerdeutsch, una lingua non
istituzionalizzata attraverso la scrittura, proponiamo una traduzione in tedesco standard. Un‟analisi più
generale di questi documenti audiovisivi è presente in: Bovet, A./Calvo,S./Hungerbühler, R. (2010).
109
Et puis il y a la Suisse de tous les jours : un passant sur cinq en Suisse n‟est pas suisse. Les hasards
de l‟immigration les ont fait naître, grandir ou prendre racine ici. A ceux qui le voudraient, on veut
235
Il commento presenta una popolazione straniera numerosa ed integrata nella “Svizzera di
tutti i giorni” a cui è proposta una semplificazione all‟accesso alla cittadinanza svizzera.
Si noti, inoltre, che viene posto l‟accento sulla volontarietà, l‟uso del condizionale (…A
ceux qui le voudraient …)110 a questo proposito sottintende che non tutti potrebbero
essere necessariamente interessati a naturalizzarsi.
Al progetto di agevolazione, incontestabilmente appoggiato dall‟enunciatore, viene
contrapposto un controprogetto attribuito all‟UDC. La formulazione dell‟enunciazione
lascia intendere che questo partito è stato il principale artefice dell‟organizzazione del
referendum. Il rifiuto della linea dell‟UDC è motivato dai discorsi, allarmisti e xenofobi,
che le sono attribuiti.
A questo punto del commento, l‟oggetto del dibattito appare come una proposta di
modifica legislativa che permetterebbe a degli individui che costituiscono una parte
importante della popolazione svizzera di acquisire la cittadinanza, sempre che lo
vogliano. Il progetto appare, nel complesso, ragionevole e desiderabile. Coloro che,
invece, vi si oppongono, si vedono attribuire delle motivazioni irrazionali ed illegittime.
Il proseguo dell‟enunciazione non fa che rinforzare questa configurazione:
(voce off): Per dibattere sulla naturalizzazione agevolata dei giovani stranieri, questa
sera a Infrarouge, Jean-Philippe Maître, cinquantacinque anni, Consigliere nazionale,
pro europeista della prima ora, sovente più convincente nel cinguettare che non nel
graffiare. A contrastarlo, Oskar Freysinger, quarantaquattro anni, questo professore di
lettere è piuttosto esperto in propaganda ed in linguaggio non proprio aulico. Questo gli
ha permesso di conquistare senza difficoltà un seggio come Consigliere nazionale per
offrir l‟hypothèse plus facile, plus simple d‟un passeport, de rejoindre la communauté des helvètes,
d‟être des nôtres. Contre cette idée simple, l‟UDC a lancé un référendum et parle d‟une invasion
programmée, d‟un déferlement de l‟islam, de terroristes qui habiteraient nos villes et nos
campagnes.)
110
L‟italiano impone il congiuntivo: A coloro che lo volessero…
236
l‟UDC in Vallese. Di origine austriaca, ha il passaporto solo dall‟età di diciotto anni.
Allora Signor Freysinger, cosa significa essere svizzero da soli ventisei anni?111 [t.d.a]
Innanzitutto, possiamo notare che il primo partecipante al dibattito, benché Consigliere
nazionale, non è collegato, dalla voce fuori campo ad alcun partito politico (è membro
del Partito Democristiano, n.d.a). Riguardo al secondo, invece, viene invece subito
messa in rilievo l‟appartenenza all‟Unione Democratica di Centro.
Inoltre, la voce fuori campo sembra indicare che Oskar Freysinger debba la propria
brillante elezione soprattutto al proprio attivismo ed al linguaggio radicale che, prestando
fede alla prima parte del commento, sembra caratterizzare l‟intero suo schieramento
politico. Viene fatta rilevare, in definitiva, una grande coesione e determinazione
all‟interno dello schieramento che si oppone al progetto. Al contrario, la compagine che
lo appoggia è presentata come molto frammentata. La leggera ironia indirizzata a JeanPhilippe Maître (… sovente più convincente nel cinguettare che non nel graffiare…) non
fa che rafforzare questa impressione.
Questa configurazione asimmetrica tende a far apparire l‟esistenza di un campo
fortemente politicizzato ed ideologizzato contrapposto ad uno meno aggressivo e guidato
unicamente dal buonsenso.
Molto interessante è, inoltre, la domanda che conclude in modo provocatorio il
commento (Allora Signor Freysinger, cosa significa essere svizzero da soli ventisei
anni?). Il fatto di essere stato egli stesso naturalizzato, sembra costituire un problema, o
quantomeno un‟incongruenza rispetto all‟opposizione di
Oskar Freysinger ad un
alleggerimento delle procedure.
111
Pour débattre de la naturalisation facilitée des jeunes étrangers, ce soir dans Infrarouge JeanPhilippe Maître, cinquante-cinq ans, conseiller national, pro européen de la première heure, il est
souvent convaincant au ramage pas souvent au grattage, face à lui Oskar Freysinger, quarantequatre ans, ce professeur de lettres serait plutôt expert en battage et en langage pas toujours fleuri.
Cela lui a permis de décrocher sans ambages un siège de conseiller national UDC en Valais.
D‟origine autrichienne, il n‟a le passeport que depuis l‟âge de dix-huit ans. Alors Monsieur
Freysinger, qu‟est-ce que ça fait d‟être suisse depuis vingt-six ans seulement ?
237
La richiesta di spiegazioni è, però, puramente retorica dal momento che subito dopo il
“jingle” è la moderatrice, e non il Consigliere dell‟UDC, a prendere la parola per
spiegare, molto brevemente, il tema e la data della votazione a cui la trasmissione è
consacrata.
La giornalista afferma che, da un lato, “gli animi si riscaldano112” [t.d.a] e, dall‟altro,
l‟esito del voto è molto incerto. In seguito essa saluta Oskar Freysinger presentandolo
come “totalmente e ferocemente opposto a questi due progetti di naturalizzazione
agevolata”113 [t.d.a] e solo a questo punto pone al deputato la domanda con cui si era
concluso il commento.
L‟inquadramento proposto dalla trasmissione influisce fortemente sui partecipanti al
dibattito, i cui scambi enunciativi risultano condizionati dalle categorizzazioni a cui sono
stati assoggettati. È significativo che quando Oskar Freysinger prende la parola dichiara
subito di non essere per principio contrario alle naturalizzazioni agevolate. Questa
affermazione, più che da reale convinzione sembra essere dettata dal carattere
inaccettabile, se non irricevibile, di un opposizione netta al progetto nel quadro dello
spazio di discussione costruito dalla trasmissione.
Un ultimo tratto caratteristico del tipo di mediazione proposto dal programma svizzerofrancese si nota quando, dopo il primo scambio di battute tra i partecipanti, la
moderatrice lancia un documento che rende conto dei contenuti dei due progetti in
votazione. In particolare la voce fuori campo rileva che:
(voce off):”Gli stranieri di terza generazione […] saranno svizzeri dalla nascita se il
padre o la madre hanno compiuto cinque anni di scolarità in Svizzera.” 114 [t.d.a]
112
“Les esprits s‟échauffent.”
“totalement, farouchement opposé à ces deux projets de naturalisation facilitée”
114
“Les étrangers de troisième génération […] seront suisse dès la naissance si le père ou la mère
ont accompli cinq ans de scolarité en Suisse.”
113
238
Quando la conduttrice riprende la parola al termine del documento, questo elemento
viene utilizzato per interrogare il Consigliere UDC (Ma cosa la disturba? Cinque anni
non sono abbastanza? Cinque anni di scuola obbligatoria in Svizzera non sono
sufficienti?115 [t.d.a]
In conclusione, la trasmissione romanda non si limita a fornire un‟esaustiva descrizione
del progetto in votazione, la presentazione proposta diventa materiale per interrogare gli
oppositori. Questi ultimi si trovano dunque, data la configurazione asimmetrica del
discorso, a dover costantemente giustificare la loro opposizione.
3.4.2 Dibattito televisivo proposto dal canale italofono TSI.
La trasmissione considerata è Lunedì forum, dal titolo Volevamo braccia, sono arrivati
uomini, andata in onda il 20 aprile 2004.
Come nel caso romando, il programma svizzero-italiano consacrato al dibattito sulla
votazione concernente le naturalizzazioni agevolate offre all‟inizio un documento che ha
lo scopo di inquadrare la discussione. Subito dopo i saluti iniziali, il moderatore lancia
un filmato in bianco e nero che mostra delle persone che scendono da un treno
commentato da una voce fuori campo:
(voce off): “Volevamo braccia e sono arrivati uomini. Sono passate generazioni da
quelle parole di Max Frisch. Oggi votiamo sui figli e sui nipoti di quegli uomini. Ai figli,
la seconda generazione, la riforma offre una procedura più semplice e meno costosa,
solo spese amministrative, a certe condizioni però, età tra 14 e 24 anni, permesso di
domicilio o dimora, minimo cinque anni di scuola dell‟obbligo in Svizzera, buona
integrazione e nessuna condanna.”
115
“Mais qu‟est-ce qui vous dérange ? Cinq ans ça n‟est pas assez ? Cinq ans d‟école obligatoire en
Suisse, ça n‟est pas assez ? ”
239
Il reportage si apre con una citazione del famoso intellettuale e scrittore svizzero Max
Frisch (Volevamo braccia, sono arrivati uomini) e con le immagini di lavoratori
immigrati in Svizzera.
Un‟introduzione di questo tipo contestualizza il voto sulle naturalizzazioni in un
processo storico di lunga durata che, inoltre, rende conto delle ragioni che hanno portato
ad una massiccia presenza di popolazione straniera nel Paese. La Svizzera ha attratto la
manodopera di cui aveva bisogno, la frase di Max Frisch suggerisce, a questo proposito,
che gli esseri umani non possono prestarsi a tali riduzioni utilitariste.
Questo inquadramento, che potremmo definire umanista, della problematica si ricollega
con l‟oggetto stesso della votazione. La voce fuori campo insiste, infatti, sul fatto che
votiamo sui figli e sui nipoti di quegli uomini. Il commento prosegue indicando che il
primo progetto offre, a certe condizioni, a questi giovani una procedura più semplice e
meno costosa.
Si nota che la voce fuori campo si sforza di ricreare un legame tra la collettività che ha
convocato questi esseri umani (Volevamo …) e quella che è chiamata a riformare le
condizioni di naturalizzazione dei loro discendenti (Oggi votiamo …).
Un tale inquadramento della problematica rende l‟opposizione ai progetti difficilmente
legittimabile e difendibile, a meno di adottare la medesima prospettiva utilitarista
stigmatizzata da Max Frisch. Al contrario, la riforma appare come un‟offerta che la
Svizzera è moralmente obbligata a fare ai discendenti dei lavoratori che hanno
contribuito a modernizzarla.
Le agevolazioni sono però sottomesse a determinate condizioni, ed è attorno a queste,
secondo il commento, che si articolano la maggior parte delle controversie:
(voce off): “È su queste condizioni che si articola il dibattito tra favorevoli e contrari. I
toni sono comunque lontani da quelli infuocati che marcavano in passato i voti legati
alla problematica degli stranieri.”
240
Se vi è controversia dunque, essa è presentata come notevolmente attenuata rispetto alle
passate votazioni legate alla problematica degli stranieri. A questo proposito il secondo
progetto, consacrato agli stranieri di terza generazione, non susciterebbe polemiche:
(voce off): “Tanto che quasi non c‟è dibattito sulla proposta relativa ai nipoti degli
immigrati, se uno dei due genitori è di seconda generazione, l‟acquisto della
cittadinanza elvetica è automatica alla nascita.”
Questa modalità di inquadramento della problematica è successivamente rinforzato al
termine del documento dalle parole del moderatore:
(moderatore): “Allora diciamo che la filosofia che sta dietro questa proposta è che i
giovani stranieri che sono cresciuti e che sono nati in Svizzera, dovrebbero ottenere
facilmente il passaporto.”
Attribuendo la riforma ad una filosofia tesa a facilitare l‟accesso alla cittadinanza ai
giovani stranieri nati e cresciuti in Svizzera, il giornalista completa la tesi alla base della
mediazione sin lì proposta all‟interno della trasmissione: il voto ha delle implicazioni in
relazione al rapporto tra il collettivo elvetico e le persone fatte arrivare d‟oltre confine
per ragioni utilitariste.
Questa messa in prospettiva appare dunque, non solo nel documento audiovisivo, ma
anche nella moderazione del dibattito, ai partigiani del progetto sono poste domande
aperte che permettono loro di precisare i diversi aspetti delle riforme sottoposte al voto. I
quesiti posti agli oppositori mirano, invece, a cercare di comprendere quali mai possano
essere le ragioni alla base del rifiuto.
La prima domanda posta ad un oppositore, il Consigliere nazionale grigionese UDC
Christoffel Brändli, è un ottimo esempio di questa configurazione asimmetrica della
mediazione:
241
(moderatore): “Christoffel Brändli, quando si affrontano queste due proposte, si dice, in
fondo si tratta semplicemente di naturalizzare persone che sono già integrate nella
nostra società. Perché non accettare questo principio?”
La domanda mira infatti a comprendere perché un oppositore dovrebbe rifiutarsi di
naturalizzare persone che, e viene presentato come un fatto scontato, sono già integrate
nella nostra società.
Christoffel Brändli risponde, sostanzialmente, che la politica svizzera in materia è già
sufficientemente aperta e che non avrebbe senso che lo fosse ancor di più. A questo
punto, il giornalista interroga un altro membro della medesima fazione, Attilio Bignasca,
Consigliere nazionale della Lega dei Ticinesi, sui supposti pericoli di un‟ulteriore
alleggerimento delle procedure:
(moderatore): “Ma quali sarebbero appunto i pericoli, sentiamo Bignasca, di questo
tipo di apertura? Christoffel Brändli dice non dobbiamo aprirci ancora di più, perché
quali pericoli ci sono?”
Le motivazioni alla base dei progetti sottomessi al voto vengono ampiamente esposte, in
particolare in apertura di trasmissione. Lo stesso non si può dire delle ragioni per
rifiutarli, il compito di esporle è assegnato agli oppositori. Inoltre accade che il
moderatore riprenda le argomentazioni proposte dai partigiani e le faccia proprie. Così
avviene quando il giornalista, dopo un intervento del Consigliere nazionale socialista
ginevrino Giovanni Sommaruga che rimproverava al campo contrapposto di fomentare
paure ingiustificate, traccia un parallelo tra gli oppositori ed i movimenti xenofobi attivi
negli anni ‟70:
(moderatore): “Christoffel Brändli, Sommaruga ha parlato di paura, cosa differenzia la
vostra posizione se la paragoniamo con la posizione degli anni dello Schwarzenbach,
dello Schwarzenbach di allora. Allora erano contro gli italiani oggi si dice contro altri
tipi di paesi. Ecco, cosa vi differenzia?”
242
Gli oppositori, in ragione dell‟agire del moderatore, si ritrovano così paragonati,
legittimamente o meno, ad uno schieramento storicamente screditato.
La trasmissione svizzero-italiana presenta anch‟essa una configurazione asimmetrica
della mediazione. In sede di conclusione presenteremo alcune differenze riscontrabili
rispetto a quella romanda, in particolare una contrapposizione tra il modello didattico
proposto sull‟emittente italofona e quello militante avanzato su quella francofona.
In entrambi i programmi si nota una presa di posizione dei chierici mediatori che
inquadrano la problematica relativa ai progetti in modo tale da rendere le ragioni degli
oppositori difficili da comprendere e, addirittura, da giustificare.
3.4.3 Dibattito televisivo proposto dal canale germanofono SF.
La trasmissione considerata in questo caso è Arena, andata in onda il 10 settembre 2004.
Occorre innanzitutto rilevare che la lingua utilizzata durante tutto il dibattito è lo
Schweizerdeutsch116. Anche in ambito televisivo permane dunque la diglossia, dal
momento che, ad esempio i telegiornali, sono presentati in tedesco standard.
Arena presenta una struttura profondamente diversa rispetto alle analoghe trasmissioni
proposte dalle emittenti della Svizzera latina. Immediatamente dopo il generico, la voce
fuori campo presenta i membri dei due fronti del dibattito. Il rappresentante principale
dei partigiani del progetto è il “ Consigliere federale e ministro della giustizia” Cristoph
Blocher, gli altri sono sindacalisti e esponenti di secondo piano dei partiti che
appoggiano la riforma. L‟invitato principale per il fronte degli oppositori è Ueli
116
Questo idioma è, come più volte sottolineato, istituito unicamente attraverso l‟oralità. Per questa
ragione, le citazioni verranno qui presentate unicamente nella loro versione tradotta. L‟annesso 8C
presenta una versione in tedesco standard.
243
Maurer117, presidente dell‟UDC, a spalleggiarlo vi sono altri rappresentanti del suo
partito, di movimenti di estrema destra ed il Primo cittadino del Comune di Emmen.
Immediatamente dopo le presentazioni, il moderatore prende la parola e presenta la
problematica della votazione in maniera estremamente sintetica:
(moderatore): “Buona sera e benvenuti a questa Arena. Per uno di questi118, che per
qualcuno non è nient‟altro che un pezzo di cartone che nulla significa se non che il suo
possessore o posseditrice è un cittadino o una cittadina svizzera. Per altri è qualcosa di
estremamente specifico, una speciale cittadinanza che solo gli eletti possono ricevere.
Per la maggioranza è qualcosa il cui significato è un ibrido tra i due.
Circa 37'000 persone provenienti dall‟estero hanno ricevuto, nell‟ultimo anno, il
passaporto rosso, se entrambe le iniziative sulle naturalizzazioni, sulle quali siamo
chiamati a votare il 26 settembre, venissero accettate potrebbero essere, nei prossimi
anni, alcuni di più. La domanda è molto semplice: ciò è un bene o un male?” [t.d.a]
Il giornalista presenta l‟opposizione tra i due campi sotto la forma di diverse concezioni
del passaporto svizzero. Per i fautori dell‟iniziativa la cittadinanza è un puro fatto
amministrativo, gli oppositori lo considerano “qualcosa di estremamente specifico”. La
maggioranza della popolazione si troverebbe tra queste due posizioni, giudicate di
conseguenza estreme.
Il moderatore, in seguito, precisa il numero delle naturalizzazioni che ammontava, l‟anno
precedente, a 37'000 unità e che l‟accettazione dell‟iniziativa avrebbe portato ad un
aumento rispetto a questa cifra. Ciò gli permette di ridurre la problematica a una
domanda “molto semplice”, “ciò è un bene o un male?”
La questione, posta in tale modo, indica come Arena non si proponga come sostenitrice
di alcuno dei due campi. Non è questo aspetto, però, a distinguere maggiormente la
117
Pur ritornando in seguito sulla questione, è utile accennare sin d‟ora al carattere ambiguo della
scelta degli ospiti. Ueli Maurer e Cristoph Blocher sono storicamente molto vicini, e la presenza nel
campo dei partigiani di quest‟ultimo è legata unicamente ai suoi obblighi istituzionali di membro del
Consiglio federale.
118
A questo punto il moderatore estrae un passaporto svizzero e lo mostra alla telecamera.
244
trasmissione germanofona dalle sue consorelle latine. Molto interessante è, piuttosto, il
particolare inquadramento della problematica proposto da Arena, focalizzato sulle
conseguenze della riforma per coloro che già sono cittadini svizzeri: l‟adozione della
riforma porterebbe ad un aumento di “persone provenienti dall‟estero”.
Non viene fatta menzione, come invece nel caso della trasmissione italofona, delle
ragioni storiche che hanno portato alla massiccia presenza di popolazione straniera nel
Paese, né, come in quella francofona, della profonda integrazione nel tessuto sociale di
buona parte di essa.
Gli inquadramenti della problematica proposti dalle due trasmissioni latine fornivano
una struttura normativa capace di indurre un‟opinione favorevole rispetto alle iniziative
in votazione che finivano con l‟apparire come delle misure legittime e desiderabili.
Questa dimensione è, invece, assente in Arena che si pone in una posizione decisamente
più neutrale.
Complessivamente, la presentazione dei progetti in votazione è estremamente stringata,
infatti al termine della sequenza che abbiamo appena trattato, il moderatore cede la
parola a Ueli Maurer, ponendogli la seguente domanda:
(moderatore): “Ueli Maurer, cosa c‟è di male se delle persone, nate e cresciute in
Svizzera, ottengono il passaporto svizzero?” [t.d.a]
La domanda non si discosta, in sostanza, da quelle poste agli oppositori nella
trasmissione francofona ed in quella italofona: gli appartenenti a questo campo sono
invitati a spiegare la loro contrarietà ad una riforma apparentemente logica e
ragionevole.
Nel caso di Arena vi è però una differenza importante, le ragioni per le quali
l‟approvazione del progetto sarebbe auspicabile non sono state in alcun modo presentate.
In altri termini, la domanda non si articola, in questo caso, con una struttura normativa
precedentemente proposta attraverso un servizio filmato o un introduzione dettagliata.
245
Il quesito posto, in questo contesto, oltre che leggermente provocatorio, appare come un
invito rivolto a Ueli Maurer a esporre non solo la propria posizione, ma anche il progetto
nel suo insieme. La trasmissione affida una parte importante del lavoro di informazione
sull‟oggetto in votazione, ai partecipanti al dibattito, agli imprenditori morali. Ciò non
deve far credere ad un assenza di mediazione, quanto piuttosto ad una strategia
comunicativa che tende a minimizzare la visibilità del ruolo dei professionisti della
mediazione.
Questo aspetto appare manifesto nel proseguo della trasmissione, quando il Consigliere
federale Cristoph Blocher sposa chiaramente una linea esplicativa rinunciando ad ogni
polemica. A questo proposito va ricordato che egli aveva tutto l‟interesse politico ad
adottare questo tipo di strategia, dal momento che il suo appoggio ai progetti era
puramente formale, legato al suo ruolo istituzionale, ed in totale contrasto con le
opinioni sull‟argomento da lui sempre pubblicamente professate.
Le osservazioni effettuate sul programma Arena – che erano mirate, ricordiamo,
esclusivamente alla mediazione proposta dall‟istanza giornalistica tra il progetto in
votazione ed il pubblico – permettono di mettere in luce importanti differenze rispetto
alle trasmissioni delle altre due regioni linguistiche. I mediatori in queste ultime, infatti,
presentano la riforma in maniera dettagliata, sia nei suoi contenuti che nel suo contesto.
Questo approccio ha come effetto di far apparire gli oppositori come individui mossi da
motivazioni inaccettabili e xenofobe. Il programma germanofono, invece, si limita a
tematizzare le conseguenze sul collettivo nazionale di un‟eventuale accettazione del
progetto, lasciando ai membri dei due schieramenti il compito di presentare i contenuti
della riforma.
Occorre inoltre ricordare che la scelta dello Schweizerdeutsch come lingua di
comunicazione esclude, di fatto, tutti i telespettatori che non hanno avuto un lungo
processo di socializzazione nella Svizzera tedesca.
246
3.4.4 Le differenti strategie di mediazione.
L‟analisi, ricordiamo, è stata effettuata sulle trasmissioni televisive che presentavano il
dibattito precedente alle votazioni sulle procedure di naturalizzazione del 2004 nelle tre
regioni linguistiche.
L‟approccio utilizzato è stato quello di studiare l‟implicito contratto di lettura (Véron,
1985; Widmer, 2004a) proposto dall‟enunciatore che stabilisce una relazione triadica tra
di esso, i destinatari ed una possibile rappresentazione della realtà.
Questo tipo di osservazione permette di valutare il diverso ruolo che, nelle tre regioni
linguistiche, rivestono i chierici mediatori – in questo caso autori televisivi e moderatori
– rispetto a quello degli imprenditori morali, ossia dei partecipanti effettivi al dibattito,
in questo caso gli uomini politici dei due schieramenti.
Rispetto alle trasmissioni analizzate, occorre innanzitutto rilevare che in tutti e tre i casi con diverse sfumature, in maniera più esplicita nelle regioni latine, in modo più sfumato
in quella germanofona – i chierici mediatori mostrano un‟attitudine favorevole rispetto
alle riforme tese ad alleggerire le procedure di naturalizzazione. Questo fenomeno è
spiegabile con il fatto che questa categoria tende ad appartenere ad un gruppo di
comunicazione dominante (Véron, 1995) che, in Svizzera, ha come riferimento valori
assimilabili ad un umanesimo liberale.
Questo aspetto, in relazione alle nostre ipotesi, ci interessa meno delle differenze
riscontrabili nelle forme di mediazione, di inquadramento della problematica, che i
chierici mediatori propongono al pubblico. A tale proposito è possibile rilevare elementi
molto interessanti.
Le trasmissioni francofona ed italofona propongono una lunga introduzione alla
problematica prima di dare la parola ai rappresentanti dei due schieramenti. La prima
attraverso un commento fuoricampo, che evidenzia la forte integrazione sociale dei
potenziali richiedenti, la seconda per mezzo di un documento audiovisivo che
247
ricostruisce le ragioni utilitaristiche per le quali gli antenati dei giovani “naturalizzabili”
sono stati chiamati in Svizzera.
In entrambi i casi l‟inquadramento della problematica è effettuato dai chierici mediatori
in una maniera tale da obbligare gli oppositori alla riforma a giustificarsi del fatto di
sostenere una posizione priva di qualunque ragione etica o morale. Inoltre la prospettiva
introdotta dai mediatori è quella di far prevalere le motivazioni che possono spingere i
richiedenti a sentirsi in diritto di ottenere la cittadinanza elvetica.
Il programma germanofono Arena, pur senza nascondere le simpatie dei moderatori nei
confronti della riforma, rinuncia a una lunga introduzione alla problematica, lasciando ai
partecipanti al dibattito, gli imprenditori morali, il compito di spiegare la natura della
riforma. Diversamente dalle sue consorelle latine, la trasmissione focalizza
l‟inquadramento della problematica non sui diritti dei richiedenti, ma piuttosto sui
vantaggi o gli svantaggi che questa comporterebbe per coloro che sono già cittadini
svizzeri.
Sostanzialmente queste osservazioni corroborano quanto ipotizzato teoricamente. Nelle
aree dove il dibattito avviene attraverso una lingua istituita attraverso la scrittura, i
chierici mediatori si ritengono autorizzati a condizionare in maniera esplicita la
rappresentazione della problematica, concedendo un margine di manovra molto limitato
agli imprenditori morali, in particolare a quelli appartenenti al campo avverso rispetto a
quello da loro sostenuto. Questa attitudine è estremamente manifesta soprattutto nella
trasmissione francofona dove, ad un certo punto, viene data la parola non soltanto ai
potenziali naturalizzabili, ma anche a rappresentanti della comunità mussulmana in
Svizzera in quanto, ad avviso dei mediatori, “fortemente presi in causa durante la
campagna”119. [t.d.a]
Nella trasmissione germanofona, al contrario, i chierici mediatori ritengono di dover
assumere un atteggiamento molto più neutrale rispetto alla problematica trattata.
119
“ fortement pris à partie durant cette campagne “
248
Va comunque rilevato che la scelta di invitare Cristoph Blocher come capofila dei
fautori della riforma costituisce una scelta quanto mai provocatoria, che è difficile non
leggere come un tentativo di mettere in difficoltà il campo degli oppositori. Egli, in
quanto Consigliere federale, è obbligato, in nome del principio della collegialità di
governo, a sostenere una riforma appoggiata dalla maggior parte dei suoi colleghi, ma
tutta la sua storia politica mostra la sua avversione ad una modifica legislativa di questo
tipo. Il leader carismatico dell‟UDC si ritrova così costretto a dibattere con Ueli Maurer,
presidente del partito e suo stretto collaboratore.
Le scelte degli autori del programma Arena mostrano come anche nella svizzera tedesca,
per quanto sia inconcepibile un inquadramento esplicito della problematica politica, i
chierici mediatori non rinuncino affatto, in maniera implicita, a condizionare la messa in
prospettiva della discussione.
3.5 Conclusioni.
In questo capitolo ci siamo occupati delle caratteristiche della discussione pubblica in
occasione delle votazioni che, dal 1983 al 2008, hanno avuto come oggetto le procedure
di naturalizzazione. Tre di queste (1983, 1994, 2004) erano referendum su dei decreti
federali, la quarta (2008) un‟iniziativa popolare.
Le problematiche legata alle naturalizzazioni si inseriscono in un dibattito più ampio che
coinvolge diversi ambiti sociali legati alla popolazione straniera residente in Svizzera.
Nel secondo dopoguerra, in particolare, tra la fine degli anni sessanta e la metà dei
settanta, un movimento xenofobo, l‟Azione nazionale, ha avviato con notevole successo
una campagna contro l‟”inforestierimento” del Paese. Queste azioni, oltre ad aver
portato a due iniziative popolari che chiedevano un severo contingentamento dell‟
immigrazione, hanno spinto alcune amministrazioni comunali a varare delle misure che
rendono estremamente ostico agli stranieri ottenere la cittadinanza.
249
Per porre un freno alle discriminazioni determinate dalla disomogeneità delle
legislazioni comunali, il Consiglio federale e la maggioranza parlamentare hanno
promosso - a più riprese come abbiamo visto - delle modifiche costituzionali volte ad
aprire la strada ad agevolazioni per i giovani stranieri nati e cresciuti in Svizzera ed
interessati ad acquisire la cittadinanza elvetica.
Nel sistema politico elvetico questi cambiamenti legislativi possono essere annullati da
un referendum popolare. Le sconfitte alle urne registrate dai progetti governativi hanno
spinto coloro che vi si opponevano, ed in particolare l‟UDC, a promuovere un‟iniziativa
popolare che proponeva un ampliamento dei poteri decisionali dei Comuni e dei Cantoni
in materia di naturalizzazione, rendendo, di fatto, più arduo l‟ottenimento della
nazionalità svizzera.
I risultati di queste votazioni – ed in particolare le differenze registratesi tra i Cantoni e
le aree linguistiche, messe in relazione con quelli relativi ad altre consultazioni che
avevano per tema la popolazione straniera – ci hanno portato a ritenere che le discussioni
pubbliche attorno ad esse avrebbero potuto essere state caratterizzate da argomentazioni
fortemente influenzate dall‟appartenenza identitaria.
Le precedenti riflessioni sui rapporti tra consultazioni popolari, identità collettive e
spazio pubblico ci avevano condotto a formulare la seguente teoria.
Le votazioni sulle naturalizzazioni implicano, per i cittadini, delle scelte il cui rapporto
costi/benefici è troppo sfumato e differito nel tempo per poter essere operate attraverso
dei ragionamenti unicamente di tipo razionale-utilitaristico. In situazioni di questo
genere, gli elettori, per esprimere il proprio voto, si appellano alle condizioni strutturali
date dalla loro appartenenza ad una collettività identificante (Pizzorno, 1991).
Le identità collettive sono determinate da codici (Eisenstadt, 1998, 2000) che –
definendo delle dicotomie di tipo spaziale, temporaneo e riflessivo – influenzano in
maniera importante le strutture dello spazio pubblico. Esse non determinano i contenuti
del dibattito quanto l‟inquadramento della discussione.
250
Un elemento di identificazione estremamente importante nelle società moderne è
l‟appartenenza linguistica. Le principali collettività si caratterizzano per distinti modi di
rapportarsi alla propria lingua (Widmer, 2004a, 2004b), questa diversità è data dalle
modalità di istituzionalizzazione dell‟idioma.
La domanda di ricerca che ci si è posti è stata, di conseguenza, se, ed in quale misura, il
dibattito pubblico sulle votazioni concernenti le procedure di naturalizzazione fosse
influenzato dall‟appartenenza ad una collettività identificante fondata sulla comune
appartenenza linguistica.
Le relative ipotesi postulano l‟esistenza, all‟interno del gruppo germanofono di un
rapporto metonimico (Widmer, 2004a) con la propria lingua, dove quest‟ultima è
percepita, in ragione della sua istituzionalizzazione orale, come un elemento
fondamentale e distintivo della collettività. Questa relazione condiziona le strutture dello
spazio pubblico e porta allo sviluppo di codici di identificazione che definiscono come
naturali e difficilmente superabili le frontiere che separano chi si trova all‟interno di una
collettività da chi ne è fuori.
Le popolazioni francofone ed italofone – servendosi, nel dibattito pubblico, unicamente
delle rispettive lingue standard – intrattengono, invece, un rapporto metaforico con i
rispettivi idiomi, non li considerano, cioè, elementi caratterizzanti delle loro collettività.
Questa situazione porta a i membri a percepire i confini del gruppo come artificiali e,
pertanto, valicabili attraverso un lento processo di socializzazione.
La caratteristica della persistenza nello spazio pubblico germanofono di una lingua
istituzionalizzata attraverso l‟oralità ci ha portato inoltre ad ipotizzare l‟esistenza di
differenze rispetto alle altre regioni per quanto riguarda i ruoli dei chierici mediatori
(Gellner, 1983) e degli imprenditori morali (Becker, 1963).
L‟analisi è stata effettuata sui discorsi veicolati da mezzi di comunicazione
particolarmente importanti nello spazio pubblico mediatizzato (Wolton, 1991; Wolf,
251
1996) durante il periodo in cui si sono svolte le votazioni prese in considerazione: i
quotidiani e la televisione.
Per quanto riguarda la stampa scritta sono stati scelti ed osservati, durante le campagne
di voto, due giornali per ogni regione linguistica. I criteri di selezione sono stati
numerosi, ma tutti finalizzati a determinare i due quotidiani maggiormente “istituzionali”
e, di conseguenza più facilmente comparabili. Per ciò che concerne la televisione sono
stati considerati i tre dibattiti antecedenti la votazione del 2004 proposti dai canali
linguistici dell‟emittente di servizio pubblico SRG SSR idée suisse.
La selezione dei medium, ed in particolare dei giornali, è stata effettuata alla luce
dell‟ipotesi che esista, presso i chierici mediatori svizzeri un gruppo di comunicazione
dominante (Véron, 1995) sostenitore di modelli culturali favorevoli ad un‟agevolazione
delle procedure per i giovani naturalizzandi.
Al fine di vagliare le ipotesi sono stati utilizzati metodi d‟analisi diversi a seconda dei
medium presi in considerazione.
La stampa scritta, che costituiva di gran lunga il corpo più consistente, è stata studiata
attraverso la frame analysis (Entman, 1993; Ferree e altri, 2002) che consente di
raggruppare le idee espresse nel dibattito attorno a dei nuclei concettuali comuni, dei
frame, e, al tempo stesso, ricondurle agli attori che le hanno formulate.
Le trasmissioni televisive sono state considerate attraverso un approccio qualitativo
fondato sull‟esistenza di un contratto di lettura (Véron, 1985; Widmer, 2004a) implicito
tra gli autori del programma e gli spettatori. Questo punto di vista ci ha consentito di
individuare le modalità di mediazione della problematica nelle tre regioni linguistiche.
Per quanto riguarda la prima ipotesi, quella concernente l‟influenza dell‟appartenenza
identitaria nella costruzione dei quadri semantici entro cui si svolgono le discussioni nei
tre segmenti linguistici, sono stati raccolti dati interessanti nella distribuzione dei frame
durante le campagne per le votazioni sulle procedure di naturalizzazione per i giovani
(1983, 1994, 2004).
252
Sui giornali della Svizzera tedesca, rispetto a quelli delle altre regioni, sono state
riportate molte più argomentazioni che si articolavano al concetto di rappresentazione
dello straniero. Il dibattito si è dunque incentrato sulla questione se “gli stranieri sono
come noi oppure no”, se possono o meno valicare le frontiere naturali della collettività.
La ricorrenza dei frame connessi con i principi di diritto, in particolare riferiti ai concetti
di ius sanguinis e ius soli, e con le paure legate alla presenza straniera, fornisce lo
stesso tipo di indicazioni: l‟idea che esiste una sorta di comunità naturale e che occorre
decidere se i nuovi membri abbiano o meno le caratteristiche per farne parte.
Sui quotidiani delle regioni francofona ed italofona si è, invece, registrata una netta
predominanza delle argomentazioni centrate sul tema dell‟integrazione degli stranieri.
Su quali passi, cioè, sono stati compiuti e quali invece ancora da compiere nel percorso
che i giovani stranieri si ritrovano a dover percorrere per superare le barriere d‟accesso
alla collettività svizzera, barriere non naturali in questo caso, ma costituite da usanze e
costumi.
È interessante notare come l‟analisi delle trasmissioni televisive, benché limitata alle
sole forme di mediazione, mostri un elemento estremamente coerente con i dati relativi
alla ripartizione dei frame.
La mediazione proposta nei dibattiti sui canali latini si focalizza primariamente sui
candidati alla naturalizzazione; illustrando le ragioni storiche della loro presenza, in
quella italofona, e la loro integrazione nel tessuto sociale in quella francofona.
Il programma germanofono inquadra la problematica unicamente dal punto di vista di
coloro che già sono cittadini svizzeri. Il moderatore si interessa alle conseguenze della
riforma, affermando che, se approvata, essa porterebbe ad un aumento di “persone
provenienti dall‟estero” e chiedendosi se “ciò è un bene o un male”, sottinteso, per la
collettività originaria.
253
La seconda ipotesi, quella secondo cui il rapporto alla lingua avrebbe un influenza sul
ruolo dei chierici mediatori e degli imprenditori morali nello spazio pubblico, ha
anch‟essa trovato dei riscontri interessanti nei risultati raccolti.
La ripartizione degli articoli di giornale secondo la loro tipologia ha mostrato come nelle
regioni latine gli articoli “di opinione” – editoriali e tribune, che ospitano le posizioni,
rispettivamente, dei giornalisti e degli intellettuali – sono proporzionalmente più
numerosi.
Nella Svizzera tedesca, al contrario prevalgono gli articoli di cronaca politica, che
riportano le posizioni degli attori politici istituzionali, e le lettere dei lettori, attraverso le
quali si esprimono i cittadini comuni.
Questi dati mostrano come i chierici mediatori, nelle regioni latine, ritengano loro
compito intervenire in maniera esplicita nel dibattito, nell‟area germanofona, invece,
prevale l‟idea che le diverse posizioni debbano essere sostenute dagli imprenditori
morali.
Il risultato relativo al rapporto tra gli idea element di giornalisti ed esperti e quelli
proposti dagli altri attori, fornisce analoghe indicazioni, dal momento che i primi,
proporzionalmente, prendono molto più sovente posizione nelle aree francofona ed
italofona.
L‟analisi delle modalità di mediazione presentate dalle trasmissioni televisive rafforza
ulteriormente queste conclusioni.
I dibattiti proposti dai canali latini sono, infatti, preceduti da lunghe introduzioni –
sottoforma di commento di una voce fuoricampo, alla TSR, o per mezzo di un
documento filmato, alla TSI – che hanno la finalità esplicita di spiegare al pubblico
l‟oggetto in votazione e quella implicita di inquadrare la problematica da un punto di
vista favorevole ai promotori delle riforme. Questo tipo di mediazione costringe, di fatto,
gli oppositori in una posizione difensiva che li obbliga a motivare le loro ragioni di
contrarietà ad un progetto che appare come naturale e giustificato.
Nella trasmissione germanofona, invece, il moderatore propone solo un breve accenno
all‟oggetto in votazione ed in seguito cede la parola ai partecipanti, lasciando a loro, agli
254
imprenditori morali di entrambi gli schieramenti, il compito di illustrare agli spettatori le
implicazioni del progetto in votazione.
Pur senza nascondere simpatia per il progetto, i mediatori, in questo caso, si astengono
dall‟inquadrare la problematica in modo asimmetricamente favorevole ai promotori della
riforma.
Accanto ai dati relativi alle ipotesi di ricerca, occorre evidenziare quelli concernenti due
fenomeni ad esse strettamente correlati.
Innanzitutto, sia l‟analisi delle mediazioni televisive, sia lo studio della ripartizione della
direzione, favorevole o sfavorevole alle riforme in votazione, degli idea element
riportati dai quotidiani, mostra come i giornalisti siano tendenzialmente favorevoli al
progetto di agevolazione delle procedure di naturalizzazione.
Questi dati indicano che effettivamente i chierici mediatori – almeno quelli
“istituzionali”, che operano sui principali giornali generalisti e sulle emittenti di servizio
pubblico – costituiscono, senza distinzione tra regioni linguistiche, un gruppo di
comunicazione che si rifà a modelli culturali simili, ciò che cambia sono le modalità
della mediazione.
Un altro dato significativo è costituito dalla discrepanza nella ripartizione dei frame tra i
referendum sulle naturalizzazioni agevolate (1983, 1994, 2004) e l‟iniziativa tesa ad
ampliare le prerogative comunali e cantonali nel processo di attribuzione della
cittadinanza (2008).
Come abbiamo evidenziato, le campagne per le votazioni sulle procedure concernenti i
giovani stranieri si sono caratterizzate per significative differenze nell‟importanza
attribuita ai diversi quadri semantici tra le regioni latine e quella germanofona, questo
non è avvenuto durante la discussione pubblica sull‟iniziativa “per delle naturalizzazioni
democratiche, che si è, invece, articolata attorno ai medesimi frame in tutte le aree
linguistiche.
Questo fenomeno è spiegabile con il fatto che l‟elettore chiamato a scegliere se includere
o meno nuovi membri in seno alla propria collettività cerca punti di riferimento nelle
255
condizioni strutturali date dalla sua appartenenza identitaria, mentre al momento in cui
deve decidere delle gerarchie tra le diverse istituzioni, egli si basa maggiormente sulla
propria razionalità strumentale. Non è un caso, a questo proposito, che la votazione del
2008 sia stata rifiutata, pur con percentuali diverse, dall‟insieme dei Cantoni ad
eccezione di Svitto.
In conclusione, i risultati delle analisi mostrano che in occasione di votazioni dotate di
una forte valenza identitaria, le strutture entro cui si articola la discussione pubblica
variano in maniera significativa tra le regioni linguistiche.
256
Conclusioni generali.
In questa ricerca sono state evidenziate le differenze strutturali che caratterizzano i
segmenti dello spazio pubblico svizzero; si è osservato, inoltre, come queste siano in
stretta relazione con lo sviluppo di specifici codici di identificazione collettiva. Questi
aspetti appaiono particolarmente visibili analizzando i dibattiti politici che hanno avuto
luogo in occasione delle votazioni sulla regolamentazione delle procedure di
naturalizzazione.
Traendo spunto da ciò, in queste pagine conclusive vogliamo proporre alcune riflessioni
di più largo respiro sull‟influenza delle identità collettive sui processi decisionali
democratici.
L‟oggetto ed i risultati stessi delle consultazioni che abbiamo preso in considerazione
pongono, infatti, interrogativi altrettanto importanti a quelli relativi alle differenziazioni
regionali nei discorsi politici che hanno animato le loro campagne.
Soprattutto i tre referendum (1983, 1994, 2004) lanciati per abrogare i decreti volti ad
agevolare le procedure di naturalizzazione per i giovani stranieri, hanno avuto un esito
che è difficile interpretare presupponendo la razionalità dei comportamenti degli attori
sociali (Boudon, 1977; Elster, 1983). Ricordiamo, infatti, che il Consiglio federale aveva
varato queste modifiche legislative per porre fine alle discriminazioni a cui vanno
incontro coloro che, nati e cresciuti nella Confederazione, devono sottoporre la propria
candidatura nei Comuni, pochi e perloppiù periferici, che non riconoscono loro le
facilitazioni ad ottenere la cittadinanza che nel resto del Paese sono loro accordate.
Date queste premesse, l‟applicazione dei modelli d‟analisi fondati sull‟individualismo
metodologico - che postulano l‟esistenza di un homo sociologicus il cui atteggiamento
sociale segue una logica situazionale: che è, in altri termini, capace di sviluppare criteri
di adattamento al contesto in cui si trova al fine di poter agire perseguendo un rapporto
ottimale tra mezzi e fini
– non permettono di comprendere le cause del successo
ottenuto dai promotori dei referendum. La grande maggioranza dei votanti, infatti, se
257
avesse fondato la propria scelta su criteri di tipo razionale-strumentale, non avrebbe
avuto ragioni per opporsi alla riforma poiché i provvedimenti proposti dal governo
sarebbero stati privi di effetti pratici sulle procedure di naturalizzazione applicate nella
quasi totalità dei Comuni e dei Cantoni che già concedevano delle facilitazioni ai giovani
stranieri. Anche un cittadino con idee xenofobe avrebbe avuto difficoltà ad opporsi al
decreto federale unicamente sulla base di logiche utilitariste; da un punto di vista teorico,
infatti, gli stranieri desiderosi di acquisire, per loro stessi o per i discendenti, la
cittadinanza, potrebbero decidere di abbandonare i pochi Comuni che applicano una
politica restrittiva per spostarsi nel resto della Svizzera.
In precedenza abbiamo reso conto di questo apparente paradosso rifacendoci alla teoria
esposta da Pizzorno (1991) secondo cui, quando il rapporto costi/benefici di una
decisione non è chiaramente riconoscibile, coloro che esprimono il voto, al fine di
minimizzare la loro incertezza, cercano dei punti di appoggio nei codici di
identificazione della loro collettività di riferimento.
Questo modello permette di interpretare il comportamento dei cittadini confrontati a
scelte come quelle sulle procedure di naturalizzazione. Ciò su cui vorremmo, però,
riflettere è perché essi sono chiamati a prendere questo tipo di decisioni? E, ancora, chi
sono gli attori che promuovono questo tipo di consultazioni? Sulla base di quali
motivazioni?
Più specificamente, chi e perché ha lanciato tre referendum su altrettanti decreti
legislativi, la cui approvazione avrebbe avuto come unico effetto quello di eliminare
delle disparità di trattamento all‟interno dello stesso Stato verso una categoria, quella dei
giovani stranieri nati e scolarizzati in Svizzera, che è, per giunta, sempre meno
identificabile socialmente?
Alcuni studi sulla problematizzazione pubblica delle situazioni legate agli stranieri
forniscono degli elementi di risposta interessanti. Skenderovic e D‟Amato (2008)
evidenziano come, negli ultimi decenni, le formazioni che pongono al centro del
258
dibattito questa tematica si siano fortemente trasformate. Dagli anni sessanta alla fine del
XX secolo, l‟argomento era monopolizzato da piccoli partiti e movimenti che trovavano
nella xenofobia la loro ragione di esistere e che, nonostante alcuni estemporanei successi
in occasione di singole votazioni, non avevano la capacità di costituirsi come forze in
grado di proporre un progetto di società organico e condivisibile da vasti strati della
popolazione.
A partire dagli anni novanta il contesto è mutato radicalmente, l‟Unione Democratica di
Centro, un partito con una lunga storia di difesa del ceto agrario, ha progressivamente
assunto un atteggiamento nei confronti della popolazione straniera che fino ad un
decennio prima sarebbe stato inconcepibile per una forza politica governativa. A
differenza delle piccole formazioni estremiste come l‟Azione Nazionale - i cui membri
risentivano in larga misura dell‟influenza ideologica dei regimi fascisti d‟anteguerra ed i
cui discorsi erano, di conseguenza, ambigui e globalmente poco efficaci – l‟UDC è in
grado di proporre una visione complessiva della società supportata da una vigorosa
produzione ideologica trasnazionale che, in tutto il mondo occidentale, rafforza le
posizioni di partiti e movimenti della Destra populista (Skenderovic, 2009: 173-229).
Negli ultimi anni questo partito ha promosso o, implicitamente o esplicitamente,
sostenuto svariati referendum ed iniziative finalizzati a limitare i diritti della popolazione
straniera.
Secondo
molti
osservatori
(Kriesi,
2005;
Giugni/Passy,
2006;
Skenderovic/D‟Amato, 2008), si è trattato di una strategia che ha consentito all‟UDC di
rafforzare il proprio consenso elettorale. L‟introduzione nel dibattito politico di
tematiche dalle forti implicazioni identitarie può permettere, infatti, una produzione
ideologica (Althusser, 1965, 1970) – una rappresentazione delle relazioni sociali tale da
creare una contrapposizione immaginaria tra i membri della collettività elvetica e gli
stranieri - capace di opacizzare i modelli culturali (Touraine, 1973) che guidano le elite
del partito nei loro progetti di regolazione dei rapporti di potere in seno alla società
svizzera.
L‟UDC sembra, quindi, servirsi degli strumenti della democrazia diretta per introdurre
nello spazio pubblico contrapposizioni identitarie che le permettono di esercitare
259
pratiche egemoniche (Laclau/Mouffe, 1985) funzionali all‟instaurazione di un ordine
sociale congeniale al suo gruppo dirigente.
Il successo di questa strategia – che ha portato, nell‟arco di meno di un ventennio, il
partito più debole tra quelli rappresentati in Consiglio federale a divenire la forza
maggioritaria nel Paese – non significa che lo sfruttamento a fini elettorali dei codici di
identificazione collettiva sia possibile unicamente in questo tipo di regime politico.
Secondo Windisch (2002), al contrario, i referendum e le iniziative popolari su queste
problematiche portano ad una progressiva presa di coscienza da parte dell‟opinione
pubblica delle dinamiche reali che le regolano.
Le considerazioni del sociologo
ginevrino ci trovano parzialmente d‟accordo, anche se occorre ricordare che i promotori
delle iniziative che hanno per oggetto la legislazione sulla popolazione straniera in
Svizzera sono in grado di modificare costantemente il baricentro della discussione
sollevando, di volta in volta, a seconda delle opportunità, questioni relative
all‟integrazione economica sociale o culturale (Skenderovic/D‟Amato, 2008). La
democrazia diretta obbliga le forze politiche a sottoporre ai cittadini delle scelte che
hanno conseguenze reali sulla vita sociale, mentre nei sistemi rappresentativi i partiti
possono ricorrere più facilmente a discorsi populisti che non trovano applicazioni reali
perché le decisioni sull‟argomento avvengono unicamente in sede parlamentare 120 .
Il ricorso a discorsi finalizzati alla costruzione ideologica di contrapposizioni fondate
sulle differenze identitarie è divenuto uno strumento di lotta sempre più diffuso nei Paesi
democratici occidentali (Skenderovic, 2009: 173-229), e nulla porta a credere che questa
tendenza sia destinata ad esaurirsi sul medio termine. La globalizzazione dei sistemi
economici, infatti, da un lato, ha reso le relazioni sociali sempre meno intellegibili in
termini di contrapposizione tra classi e, dall‟altro, ha portato ad importanti flussi
migratori verso il mondo occidentale.
120
Un ottimo esempio della rappresentazione ideologica delle contrapposizioni identitarie in un
sistema democratico rappresentativo è datto dal titolo principale de “il Giornale”, un quotidiano molto
vicino all‟era governativa, del 6.11.2010 a commento delle misure di sicurezza varate dall‟Esecutivo
(Allegato 11).
260
Questo fenomeno si è manifestato con molta evidenza in Svizzera in occasione
dell‟iniziativa popolare del 29 novembre 2009 “Contro l‟edificazione di minareti”;
quando, diversamente dalle occasioni precedenti, la vittoriosa campagna dei promotori è
stata impostata non su argomenti relativi all‟economia o alla sicurezza sociale, ma
esplicitamente sulla contrapposizione culturale. Nel resto d‟Europa, ed in particolare
dove gli strumenti della democrazia diretta sono poco sviluppati, vi sono stati discorsi
ostili nei confronti delle popolazioni nomadi che, in alcuni casi, hanno provocato
reazioni popolari pericolosamente violente.
L‟agenda politica dei prossimi anni sarà verosimilmente segnata da contrapposizioni di
questo genere; in Svizzera - dove le istituzioni del referendum e dell‟iniziativa popolare
forniscono le occasioni per problematizzare questi temi e, al tempo stesso, permettono la
loro elaborazione da parte dell‟opinione pubblica – e nell‟Unione Europea che appare,
invece, diffidente verso questa forma di democrazia, ma che dovrà fare fronte a sfide
cruciali, come l‟eventuale integrazione della Turchia, in occasione delle quali i partiti e i
movimenti che traggono la propria forza dall‟enfatizzazione dei conflitti tra identità
collettive non mancheranno di far sentire la propria voce. A nostro avviso coloro che
credono nelle opportunità offerte dal processo di unificazione europea dovranno
guardare con interesse al modello istituzionale elvetico al fine di non consentire a
determinate forze politiche di incanalare su di esso il malessere sociale.
Possibili sbocchi della ricerca.
Come abbiamo sottolineato in queste pagine conclusive è molto probabile che le identità
collettive acquisiranno un peso sempre maggiore nei dibattiti pubblici in Svizzera ed in
Europa. Le forme di comunicazione utilizzate dalle forze politiche che attuano delle
pratiche egemoniche fondate su questo su questo tipo di argomentazioni dovranno perciò
essere osservate con estrema attenzione, perché i conflitti tra gruppi sociali basati su
divergenze economiche possono essere ricomposti attraverso il compromesso e la
mediazione, le contrapposizioni costruite sulle differenze identitarie sono, dato il loro
261
carattere principalmente immaginario, più difficilmente risolvibili e rischiano di portare
a fenomeni di disgregazione sociale anche violenti.
Considerando gli aspetti più specifici di questa ricerca, quelli relativi alle differenze
strutturali esistenti nello spazio pubblico elvetico, riteniamo che un elemento importante
che non è stato finora affrontato debba essere necessariamente approfondito. Il nostro
studio ha, per ragioni teoriche e metodologiche, considerato i diversi segmenti linguistici
come compartimenti stagni, senza prendere in considerazione l‟interinfluenza che questi
hanno con lo spazio pubblico degli Stati in cui ci esprime nello stesso idioma.
Alcune osservazioni prive di valenza scientifica relative alla situazione nella Svizzera
italiana, ci hanno suggerito alcune riflessioni in proposito. Negli anni settanta e ottanta il
Ticino in occasione delle votazioni che riguardavano la popolazione straniera tendeva ad
allinearsi ai Cantoni romandi nel rifiutare le proposte legislative più restrittive. Questa
situazione è radicalmente mutata nel corso degli anni novanta in concomitanza con il
crollo in Italia della cosiddetta Prima repubblica e la conseguente trasformazione del
clima politico nazionale. Non è un caso, riteniamo, che nello stesso periodo si sia
affermata la Lega dei Ticinesi, una formazione che, nella sua denominazione prima
ancora che nelle forme di lotta politica, trae ispirazione dalla Lega Nord attiva nella
vicina Penisola.
In un contesto sociale in cui lo spazio pubblico è sempre più mediatizzato, riteniamo che
alcune utili indicazioni in questo senso possano arrivare dagli studi sul consumo
mediatico transfrontaliero (Cola/Prario, 2009).
262
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Allegati.
Allegato 1: Prima pagina de “Il Mattino della domenica” del 25.04.2010. ....................... 3
Allegato 2: Risultati complessivi del referendum sull‟adesione allo SEE (1992). ............ 5
Allegato 3: Manifesti politici. ............................................................................................ 7
A: Campagna per il referendum sull‟adesione ai trattati di Schengen (2005). ............... 8
B: Campagna per l‟iniziativa per l‟espulsione dei criminali stranieri (2010). ............... 9
C: Campagna per l‟iniziativa per una moratoria sull‟edificazione di minareti (2009). 10
Allegato 4: Articoli costituzionali concernenti la cittadinanza. ....................................... 11
Allegato 5: Legge sulla Cittadinanza (LCit.) ................................................................... 13
Allegato 6: Risultati del referendum sul “Decreto federale inteso ad agevolare certe
naturalizzazioni” (1983). .................................................................................................. 32
Allegato 7: Risultati complessivi del referendum sul “Decreto federale concernente la
revisione del disciplinamento della cittadinanza nella Costituzione federale” (1994). .... 34
Allegato 8: Risultati complessivi dei referendum sui “Decreti federali sulla
naturalizzazione ordinaria e agevolata per i giovani stranieri di seconda generazione e
sull‟acquisizione della cittadinanza degli stranieri di terza generazione” (2004). ........... 36
1
A: Decreto federale sulla naturalizzazione ordinaria e agevolata per i giovani stranieri
di seconda generazione. ................................................................................................ 37
B: Decreto federale sull‟acquisizione della cittadinanza degli stranieri di terza
generazione. .................................................................................................................. 38
Allegato 9: Risultati nazionali e cantonali complessivi dell‟iniziativa popolare
“Per naturalizzazioni democratiche” (2008). ................................................................... 39
Allegato 10: Griglia di codifica applicata ad un articolo (La Regione, 3.6.1994). .......... 41
Allegato 11: Tabelle riassuntive della frame analysis. ..................................................... 46
A: Tabelle sulla ripartizione degli articoli (1983-2008). .............................................. 47
B: Tabelle sulla ripartizione degli attori “con voce” (1983-2004). .............................. 51
C: Tabella sulla ripartizione degli attori ed istituzioni “privi di voce” (1983-2004).... 52
D: Tabelle sulla ripartizione dei frame (1983-2004). ................................................... 53
E: Tabelle sulla ripartizione dei frame (2008). ............................................................. 55
Allegato 12: Trascrizioni delle fasi introduttive delle trasmissioni televisive (2004). ..... 57
A: Trasmissione francofona.......................................................................................... 58
B: Trasmissione italofona. ............................................................................................ 61
C: Trasmissione germanofona. ..................................................................................... 64
Allegato 13: Prima pagina de “Il Giornale” del 6.11.2010. ............................................ 70
2
Allegato 1: Prima pagina de “Il Mattino della domenica” del 25.04.2010.
3
4
Allegato 2: Risultati complessivi del referendum sull’adesione allo SEE (1992).
5
Si
No
% Si
% No
618'209
540'179
181'614
19'816
64'315
16'940
20'811
19'780
50'648
107'423
135'176
%
Partecip.
80.48%
78.69%
80.91%
78.36%
83.23%
81.78%
84.10%
79.71%
87.17%
79.98%
83.68%
297'503
255'224
70'878
4'943
17'094
4'737
6'957
6'290
22'037
38'329
56'554
316'154
281'026
109'447
14'728
46'962
12'062
13'590
13'398
28'239
68'265
76'233
48.50%
47.60%
39.30%
25.10%
26.70%
28.20%
33.90%
31.90%
43.80%
36.00%
42.60%
51.50%
52.40%
60.70%
74.90%
73.30%
71.80%
66.10%
68.10%
56.20%
64.00%
57.40%
95'563
72.37%
52'519
42'226
55.40%
44.60%
161'211 129'102
48'787 41'696
80.08%
85.47%
68'001
15'810
59'872
25'249
53.20%
38.50%
46.80%
61.50%
29'039
82.49%
10'612
18'278
36.70%
63.30%
8'297
226'212
255'892
92'605
112'124
151'090
261'087
35'646
77'373
148'309
141'148
3'580'094
84.67%
81.17%
76.16%
75.68%
76.41%
87.23%
72.67%
75.59%
74.83%
73.52%
76.24%
78.74%
29.10%
38.40%
39.90%
32.40%
64.90%
55.80%
78.30%
77.10%
80.00%
78.10%
38.50%
49.70%
70.90%
61.60%
60.10%
67.60%
35.10%
44.20%
21.70%
22.90%
20.00%
21.90%
61.50%
50.30%
Cantone1
Elettori
Votanti
Zurigo
Berna
Lucerna
Uri
Svitto
Obvaldo
Nidvaldo
Glarona
Zugo
Turgovia
Soletta
768'126
686'459
224'458
25'290
77'278
20'713
24'745
24'814
58'104
134'311
161'531
Basilea
Città
132'051
Basilea
Campagna
Sciaffusa
Appenzello
Esterno
35'204
Appenzello
Interno
9'799
San Gallo
278'676
Argovia
335'992
Grigioni
122'356
Friburgo
146'744
Vallese
173'216
Vaud
359'273
Giura
47'158
Neuchâtel
103'399
Ginevra
201'738
Ticino
185'138
Svizzera
4'546'571
1
2'397
5'854
86'247
138'103
101'582 152'769
29'821
62'115
72'101
39'017
82'997
65'636
203'168
56'288
27'298
8'087
61'466
15'408
114'819
32'120
53'488
85'582
1'762'872 1'786'708
In arancione scuro i Cantoni germanofoni, in arancione chiaro quelli a maggioranza germanofona, in
azzurro chiaro quelli a maggioranza francofona, in blu quelli francofoni, in viola quelli italofoni ed in
verde i risultati nazionali.
6
Allegato 3: Manifesti politici.
7
A: Campagna per il referendum sull‟adesione ai trattati di Schengen (2005).
8
B: Campagna per l‟iniziativa per l‟espulsione dei criminali stranieri (2010).
9
C: Campagna per l‟iniziativa per una moratoria sull‟edificazione di minareti (2009).
10
Allegato 4: Articoli costituzionali concernenti la cittadinanza.
11
Art. 37 Diritti di cittadinanza
1
Ha la cittadinanza svizzera chi possiede una cittadinanza comunale e la cittadinanza di
un Cantone.
2
Nessuno deve essere favorito o sfavorito a causa della sua cittadinanza. Sono eccettuate
le prescrizioni sui diritti politici nei patriziati e nelle corporazioni, nonché sulle quote di
partecipazione al loro patrimonio, salvo diversa disposizione della legislazione
cantonale.
Art. 38 Acquisizione e perdita della cittadinanza
1
La Confederazione disciplina l‟acquisizione e la perdita della cittadinanza per origine,
matrimonio e adozione. Disciplina inoltre la perdita della cittadinanza svizzera per altri
motivi e la reintegrazione nella medesima.
2
La Confederazione emana prescrizioni minime sulla naturalizzazione degli stranieri da
parte dei Cantoni e rilascia il relativo permesso.
3
Essa agevola la naturalizzazione dei fanciulli apolidi.
12
Allegato 5: Legge sulla Cittadinanza (LCit.)
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
Allegato 6: Risultati del referendum sul “Decreto federale inteso ad agevolare certe
naturalizzazioni” (1983).
32
%
Partecip.
44.22%
38.90%
31.73%
32.72%
34.45%
30.23%
31.30%
32.22%
39.53%
37.43%
43.33%
Si
No
% Si
% No
156'503
103'130
27'985
2'859
7'856
1'948
2'318
2'604
8'172
20'180
25'493
155'254
137'789
32'611
4'253
13'593
3'236
3'957
4'759
10'561
21'350
35'682
50.20%
42.80%
46.20%
40.20%
36.60%
37.60%
36.90%
35.40%
43.60%
48.60%
41.70%
49.80%
57.20%
53.80%
59.80%
63.40%
62.40%
63.10%
64.60%
56.40%
51.40%
58.30%
48'294
35.17%
24'960
22'849
52.20%
47.80%
143'737
44'585
40'928
31'038
28.47%
69.62%
20'541
14'197
19'972
14'875
50.70%
48.80%
49.30%
51.20%
31'512
10'547
33.47%
4'135
6'319
39.60%
60.40%
31.14%
28.47%
29.58%
30.70%
27.74%
39.09%
27.15%
23.30%
36.98%
35.39%
34.08%
35.87%
995
31'410
31'863
16'595
13'519
22'304
38'794
5'544
18'843
20'462
21'459
644'669
1'686
37'692
52'031
15'575
20'168
33'647
47'497
4'157
16'715
45'133
31'892
793'253
37.10%
45.50%
38.00%
51.60%
40.10%
39.90%
45.00%
57.10%
53.00%
31.20%
40.20%
44.80%
62.90%
54.50%
62.00%
48.40%
59.90%
60.10%
55.00%
42.90%
47.00%
68.80%
59.80%
55.20%
Cantone2
Elettori
Zurigo
Berna
Lucerna
Uri
Svitto
Obvaldo
Nidvaldo
Glarona
Zugo
Turgovia
Soletta
717'854 317'419
626'559 243'718
194'171 61'606
22'551 7'379
63'266 21'792
17'407 5'263
20'397 6'384
23'051 7'426
47'866 18'922
113'476 42'469
144'414 62'572
Basilea
Città
137'307
Basilea
Campagna
Sciaffusa
Appenzello
Esterno
Votanti
Appenzello
Interno
8'703 2'710
San Gallo
245'087 69'772
Argovia
287'838 85'150
Grigioni
106'878 32'813
Friburgo
122'733 34'045
Vallese
145'908 57'033
Vaud
321'161 87'193
Giura
42'310 9'857
Neuchâtel
97'637 36'102
Ginevra
188'122 66'571
Ticino
159'257 54'267
Svizzera
4'073'787 1'461'270
2
In arancione scuro i Cantoni germanofoni, in arancione chiaro quelli a maggioranza germanofona, in
azzurro chiaro quelli a maggioranza francofona, in blu quelli francofoni, in viola quelli italofoni ed in
verde i risultati nazionali.
33
Allegato 7: Risultati complessivi del referendum sul “Decreto federale concernente
la revisione del disciplinamento della cittadinanza nella Costituzione federale”
(1994).
34
Cantone3
Elettori
Votanti
%
Partecip.
Si
No
% Si
% No
Zurigo
Berna
Lucerna
Uri
Svitto
Obvaldo
Nidvaldo
Glarona
Zugo
Turgovia
Soletta
769'774
676'295
226'509
25'428
78'547
20'997
25'179
24'770
59'083
136'134
162'070
373'803
337'329
109'456
10'656
35'686
8'924
11'960
11'983
31'490
66'655
87'702
48.56%
49.88%
48.32%
41.91%
45.43%
42.50%
47.50%
48.38%
53.30%
48.96%
54.11%
210'026
183'115
51'730
4'367
13'253
4'055
5'784
4'901
16'373
26'102
39'598
158'592
149'052
56'524
6'107
21'991
4'748
5'999
6'987
14'797
39'816
46'392
57.00%
55.10%
47.80%
41.70%
37.60%
46.10%
49.10%
41.20%
52.50%
39.60%
46.00%
43.00%
44.90%
52.20%
58.30%
62.40%
53.90%
50.90%
58.80%
47.50%
60.40%
54.00%
Basilea
Città
131'105
69'809
53.25%
38'479
30'800
55.50%
44.50%
Basilea
Campagna
Sciaffusa
171'952
48'682
82'521
33'656
47.99%
69.13%
43'278
15'420
38'351
16'660
53.00%
48.10%
47.00%
51.90%
Appenzello
Esterno
35'498
19'856
55.94%
9'010
10'699
45.70%
54.30%
47.77%
49.71%
43.62%
34.92%
39.16%
51.90%
35.88%
32.93%
37.42%
41.34%
50.06%
46.75%
1'508
59'439
68'592
22'764
32'593
40'288
88'658
9'441
25'436
58'000
41'948
1'114'158
3'157
78'812
77'998
19'722
24'918
48'827
39'897
5'909
13'064
25'020
49'618
994'457
32.30%
43.00%
46.80%
53.60%
56.70%
45.20%
69.00%
61.50%
66.10%
69.90%
45.80%
52.80%
67.70%
57.00%
53.20%
46.40%
43.30%
54.80%
31.00%
38.50%
33.90%
30.10%
54.20%
47.20%
Appenzello
Interno
9'861
4'711
San Gallo
279'853 139'110
Argovia
339'025 147'869
Grigioni
123'576 43'148
Friburgo
148'786 58'272
Vallese
175'509 91'086
Vaud
361'547 129'725
Giura
47'358 15'594
Neuchâtel
104'140 38'964
Ginevra
203'780 84'239
Ticino
187'255 93'740
Svizzera
4'572'713 2'137'944
3
In arancione scuro i Cantoni germanofoni, in arancione chiaro quelli a maggioranza germanofona, in
azzurro chiaro quelli a maggioranza francofona, in blu quelli francofoni, in viola quelli italofoni ed in
verde i risultati nazionali.
35
Allegato 8: Risultati complessivi dei referendum sui “Decreti federali sulla
naturalizzazione ordinaria e agevolata per i giovani stranieri di seconda
generazione e sull’acquisizione della cittadinanza degli stranieri di terza
generazione” (2004).
36
A: Decreto federale sulla naturalizzazione ordinaria e agevolata per i giovani stranieri di
seconda generazione.
%
Cantone4
Elettori
Votanti
Si
No
% Si
% No
Partecip.
Zurigo
817'621 468'279
57.27%
203'962
255'766
44.40% 55.60%
Berna
688'445 355'586
51.65%
157'494
194'827
44.70% 55.30%
Lucerna
239'649 140'122
58.47%
43'635
94'540
31.60% 68.40%
Uri
25'575 12'428
48.59%
3'332
8'846
27.40% 72.60%
Svitto
90'689 54'068
59.62%
12'862
39'880
24.40% 75.60%
Obvaldo
23'090 13'170
57.04%
3'526
9'405
27.30% 72.70%
Nidvaldo
28'591 16'567
57.94%
4'659
11'516
28.80% 71.20%
Glarona
25'071 13'100
52.25%
3'400
9'639
26.10% 73.90%
Zugo
68'007 40'802
60%
14'945
25'616
36.80% 63.20%
Turgovia
147'957 75'514
51.04%
21'825
52'114
29.50% 70.50%
Soletta
166'564 95'965
57.61%
30'918
64'495
32.40% 67.60%
Basilea
Città
115'557 68'704
59.45%
34'895
33'247
51.20% 48.80%
Basilea
Campagna
180'250 99'501
55.20%
39'305
59'076
40.00% 60.00%
Sciaffusa
48'152 32'564
67.63%
11'140
20'403
35.30% 64.70%
Appenzello
Esterno
36'278 21'291
58.69%
7'212
13'960
34.10% 65.90%
Appenzello
Interno
10'367
5'488
52.94%
1'302
4'121
24.00% 76.00%
San Gallo
292'662 159'191
54.39%
49'479
109'156
31.20% 68.80%
Argovia
367'166 189'116
51.51%
59'184
128'950
31.50% 68.50%
Grigioni
130'680 59'976
45.90%
22'717
36'071
38.60% 61.40%
Friburgo
166'465 83'619
50.23%
41'622
40'687
50.60% 49.40%
Vallese
191'205 88'634
46.36%
34'957
52'193
40.10% 59.90%
Vaud
377'299 196'409
52.06%
131'306
63'420
67.40% 32.60%
Giura
48'509 22'739
46.88%
12'257
10'128
54.80% 45.20%
Neuchâtel
105'640 60'870
57.62%
39'083
21'233
64.80% 35.20%
Ginevra
222'852 127'291
57.12%
85'126
40'490
67.80% 32.20%
Ticino
200'557 90'432
45.09%
36'386
52'674
40.90% 59.10%
Svizzera
4'814'898 2'591'426 53.82% 1'106'529 1'452'453 43.20%
56.8
4
In arancione scuro i Cantoni germanofoni, in arancione chiaro quelli a maggioranza germanofona, in
azzurro chiaro quelli a maggioranza francofona, in blu quelli francofoni, in viola quelli italofoni ed in
verde i risultati nazionali.
37
B: Decreto federale sull‟acquisizione della cittadinanza degli stranieri di terza
generazione.
%
Cantone5
Elettori
Votanti
Si
No
% Si
Partecip.
Zurigo
817'621 468'236
57.27%
224'761
235'133
48.90%
Berna
688'445 355'589
51.65%
180'516
172'198
51.20%
Lucerna
239'649 140'261
58.53%
54'531
83'867
39.40%
Uri
25'575 12'428
48.59%
4'228
7'955
34.70%
Svitto
90'689 54'041
59.59%
15'688
37'060
29.70%
Obvaldo
23'090 13'162
57%
4'461
8'475
34.50%
Nidvaldo
28'591 16'607
58.08%
5'769
10'443
35.60%
Glarona
25'071 13'105
52.27%
3'851
9'192
29.50%
Zugo
68'007 40'806
60%
17'191
23'395
42.40%
Turgovia
147'957 75'628
51.11%
24'975
49'133
33.70%
Soletta
166'564 96'032
57.65%
35'541
59'984
37.20%
Basilea
Città
115'557 68'550
59.32%
37'107
30'903
54.60%
Basilea
Campagna
180'250 99'472
55.19%
43'110
55'296
43.80%
Sciaffusa
48'152 32'505
67.50%
11'681
19'785
37.10%
Appenzello
Esterno
36'278 21'324
58.78%
8'183
13'033
38.60%
Appenzello
Interno
10'367 5'489
52.95%
1'636
3'796
30.10%
San Gallo
292'662 159'376
54.46%
58'507
100'327
36.80%
Argovia
367'166 189'085
51.50%
66'015
122'159
35.10%
Grigioni
130'680 60'038
45.94%
24'159
34'721
41.00%
Friburgo
166'465 83'655
50.25%
48'294
34'238
58.50%
Vallese
191'205 88'603
46.34%
40'592
46'575
46.60%
Vaud
377'299 196'424
52.06%
141'205
53'841
72.40%
Giura
48'509 22'936
47.28%
14'132
8'520
62.40%
Neuchâtel
105'640 60'894
57.64%
43'152
17'275
71.40%
Ginevra
222'852 127'291
57.12%
89'103
36'636
70.90%
Ticino
200'557 90'431
45.09%
40'524
48'647
45.40%
Svizzera
4'814'898 2'591'968 53.83% 1'238'912 1'322'587 48.40%
5
% No
51.10%
48.80%
60.60%
65.30%
70.30%
65.50%
64.40%
70.50%
57.60%
66.30%
62.80%
45.40%
56.20%
62.90%
61.40%
69.90%
63.20%
64.90%
59.00%
41.50%
53.40%
27.60%
37.60%
28.60%
29.10%
54.60%
51.60%
In arancione scuro i Cantoni germanofoni, in arancione chiaro quelli a maggioranza germanofona, in
azzurro chiaro quelli a maggioranza francofona, in blu quelli francofoni, in viola quelli italofoni ed in
verde i risultati nazionali.
38
Allegato 9: Risultati nazionali e cantonali complessivi dell’iniziativa popolare
“Per naturalizzazioni democratiche” (2008).
39
%
Partecip.
46.32%
41.65%
46.85%
36.84%
47.61%
48.52%
46.07%
37.05%
49.01%
37.66%
44.93%
Si
No
% Si
% No
153'794
106'571
50'940
4'352
26'559
5'302
6'523
4'609
15'226
27'875
31'357
237'379
183'565
64'043
5'002
17'758
5'955
6'771
4'816
19'174
29'081
44'389
39.30%
36.70%
44.30%
46.50%
59.90%
47.10%
49.10%
48.90%
44.30%
48.90%
41.40%
60.70%
63.30%
55.70%
53.50%
40.10%
52.90%
50.90%
51.10%
55.70%
51.10%
58.60%
59'948
52.74%
16'915
42'388
28.50%
71.50%
184'642
48'813
80'827
30'780
43.77%
63.06%
28'106
12'621
51'705
16'835
35.20%
42.80%
64.80%
57.20%
37'103
16'368
44.12%
6'930
9'334
42.60%
57.40%
3'814
121'546
153'514
51'761
74'707
93'417
201'127
19'808
51'689
122'366
103'025
2'245'577
34.77%
40.32%
40.11%
38.94%
42.53%
47.20%
51.09%
39.83%
48.19%
52.54%
50.03%
45.18%
1'805
58'523
71'469
17'694
19'874
22'779
37'901
3'875
9'193
21'579
42'358
804'730
1'930
62'591
81'352
33'057
53'673
68'411
161'430
15'736
42'010
98'738
58'126
1'415'249
48.30%
48.30%
46.80%
34.90%
27.00%
25.00%
19.00%
19.80%
18.00%
17.90%
42.20%
36.20%
51.70%
51.70%
53.20%
65.10%
73.00%
75.00%
81.00%
80.20%
82.00%
82.10%
57.80%
63.80%
Cantone6
Elettori
Zurigo
Berna
Lucerna
Uri
Svitto
Obvaldo
Nidvaldo
Glarona
Zugo
Turgovia
Soletta
849'224 393'323
702'599 292'648
249'086 116'702
25'716 9'475
94'773 45'120
24'092 11'690
29'697 13'681
25'566 9'472
70'594 34'595
154'147 58'059
169'420 76'115
Basilea
Città
113'676
Basilea
Campagna
Sciaffusa
Appenzello
Esterno
Appenzello
Interno
10'969
San Gallo
301'461
Argovia
382'701
Grigioni
132'909
Friburgo
175'650
Vallese
197'925
Vaud
393'664
Giura
49'734
Neuchâtel
107'269
Ginevra
232'880
Ticino
205'910
Svizzera
4'970'220
Votanti
6
In arancione scuro i Cantoni germanofoni, in arancione chiaro quelli a maggioranza germanofona, in
azzurro chiaro quelli a maggioranza francofona, in blu quelli francofoni, in viola quelli italofoni ed in
verde i risultati nazionali.
40
Allegato 10: Griglia di codifica applicata ad un articolo (La Regione, 3.6.1994).
41
42
43
1
2
3
Journal
Date
Position - importance
4
Surtitre
Titre
Sous-titre
Légende image
Type de texte
5
Illustration
6
Acteurs
« avec voix »
7
Personnes et
collectivités « sans
voix »
(qui sont « objet »)
La Regione
3.6.1994
3.1 Première page (et renvoi à la 1ère page)
3.2 Autre page
Radici nuove
4.1 Article signé
4.2 Interview
4.3 Dépêche, article non signé
4.4 Tribune, opinion
4.5 Edito, commentaire
4.6 Lettre de lecteur
5.1 (photo, graphe, tableau)
5.2 Pas d’illustration
6.1 Politiciens, députés, partis :
6.1.1 Partis socialiste et verts
6.1.2. Liberaux/Radicales
6.1.3 Partis chrétiens (PPD/CVP) et EVP
6.1.4 UDC/SVP
6.1.5 petits partis de la droite (Lega dei Ticinesi, Schwezier
Demokraten, Autopartei,…)
6.1.6 petits partis de la gauche (PC, POCH) Ligue Marxiste,….)
6.2 Collectivités publiques, institutions, exécutifs cantonaux ou
communaux
6.2.1 Conseil/s fédéral/aux
6.2.2 autre collectivités publiques
6.3 USAM, patronat, entreprises
6.4 syndicats, associations d’employés
6.5 autres Groupe d’intérêts, lobbies, etc.
6.6 Catégories concernées (« les secondos… »)
6.7 Partisans (si pas inclus dans les autres catégories)
6.8 Opposants (si pas inclus dans les autres catégories)
6.9 Personnalités concernées
6.10 Les régions linguistiques suisses :
6.10.1 La Suisse alémanique
6.10.2 La Romandie
6.10.3 La Suisse italienne
6.11 Les Suisses
6.12 La Suisse
6.13 Experts, savants, chercheurs
6.14 autre
7.1 Politiciens, députés, partis
7.1.1 Partis socialiste et verts
7.1.2. Liberaux/Radicales
7.1.3 Partis chrétiens (PPD/CVP) et EVP
7.1.4 UDC/SVP
7.1.5 petits partis de la droite (Lega dei Ticinesi, Schwezier
Demokraten, Autopartei,…)
7.1.6 petits partis de la gauche (PC, POCH) Ligue Marxiste,….)
44
7.2 Collectivités publiques, institutions, exécutifs cantonaux ou
communaux
7.2.1 Conseil/s fédéral/aux
7. 2.2 autre collectivités publiques
7.3 USAM, patronat, entreprises
7.4 syndicats, associations d’employés
7.5 autres Groupe d’intérêts, lobbies, etc.
7.6 Catégories concernées («les secondos »…..)
7.7 Partisans (si pas inclus dans les autres catégories)
7.8 Opposants (si pas inclus dans les autres catégories)
7.9 Personnalités concernées
7.10 Les régions linguistiques suisses
7.10.1 La Suisse alémanique
7.10.2 La Romandie
7.10.3 La Suisse italienne
7.11 Les Suisses
7.12 La Suisse (à entendre comme « Peuple »)
7.13 Experts, savants, chercheurs
7.14 UE, Reste du Monde
7.15 Media
7.16 Autre
Idea elements
journaliste
Il concetto di naturalizzazione provoca paura (+)(5)
Se non passa la riforma la Svizzera lancia un messaggio di
chiusura (+)(10)
Gli stranieri che ne beneficeranno sono quelli perfettamente
integrati (+)(3)
L’identità non è innata acquisisce attraverso la lingua e la
cultura(+)(1)
La riforma centralizza e snellisce le pratiche di naturalizzazione
(+)(7)
Idea elements
acteurs
Commentes: L’article
se prête à l’analyse
qualitative du
discours?
45
Allegato 11: Tabelle riassuntive della frame analysis.
46
A: Tabelle sulla ripartizione degli articoli (1983-2008).
A1. Articoli/Giornale Totali
Frequency
Valid
Percent
Valid Percent
Cumulative
Percent
Tagi
201
27,5
27,5
27,5
24 Heures
126
17,2
17,2
44,7
Blick
125
17,1
17,1
61,8
Corriere TI
113
15,5
15,5
77,3
Regione TI
82
11,2
11,2
88,5
Matin
75
10,3
10,3
98,8
9
1,2
1,2
100,0
731
100,0
100,0
Frequency
68
Percent
28,5
Valid Percent
28,5
Cumulative
Percent
28,5
Corriere TI
50
20,9
20,9
49,4
24 Heures
41
17,2
17,2
66,5
Regione TI
30
12,6
12,6
79,1
Blick
27
11,3
11,3
90,4
100,0
Il Dovere
Total
A2. Articoli/Giornale 2008
Valid
Tagi
Matin
23
9,6
9,6
Total
239
100,0
100,0
A3. Articoli/Giornale 2004
Frequency
Valid
Percent
Valid Percent
Cumulative
Percent
Tagi
100
29,0
29,0
29,0
Blick
82
23,8
23,8
52,8
24 Heures
53
15,4
15,4
68,1
Regione TI
43
12,5
12,5
80,6
Corriere TI
35
10,1
10,1
90,7
Matin
32
9,3
9,3
100,0
Total
345
100,0
100,0
47
A4. Artcoli/Giornale 1994
Valid
24 Heures
Frequency
17
Percent
21,3
Valid Percent
21,3
Cumulative
Percent
21,3
Corriere TI
17
21,3
21,3
42,5
Tagi
15
18,8
18,8
61,3
Blick
80,0
15
18,8
18,8
Regione TI
9
11,3
11,3
91,3
Matin
7
8,8
8,8
100,0
Total
80
100,0
100,0
A5. Articoli/Giornale 1983
Frequency
Valid
Percent
Cumulative
Percent
Valid Percent
Tagi
18
26,9
26,9
26,9
24 Heures
15
22,4
22,4
49,3
Matin
13
19,4
19,4
68,7
Corriere TI
11
16,4
16,4
85,1
9
13,4
13,4
98,5
100,0
Il Dovere
Blick
1
1,5
1,5
Total
67
100,0
100,0
A6. Articoli/Tipologia Totali
Frequency
Percent
Valid Percent
Cumulative
Percent
Article signé
270
36,9
36,9
36,9
Lettre de lecteur
179
24,5
24,5
61,4
Dépêche, article non
signé
108
14,8
14,8
76,2
Edito, commentaire
81
11,1
11,1
87,3
Tribune, opinion
47
6,4
6,4
93,7
46
731
6,3
6,3
100,0
100,0
100,0
Interview
Total
48
A7. Articoli/Giornale/Tipologia 2008
Article
signé
Tagi
Blick
24 Heures
Matin
Corriere TI
Regione TI
Group Total
Count
25
15
16
7
5
7
75
Interview
Count
2
1
2
4
3
4
16
Type de Texte
Dépêche,
article
Tribune,
non signé
opinion
Count
10
1
2
6
27
11
57
Count
Group
Total
Edito,
commentaire
Count
1
5
2
8
3
4
15
4
12
Lettre de
lecteur
Count
31
9
8
4
12
64
Count
68
27
41
23
50
30
239
A8. Articoli/Giornale/Tipologia 2004
Article
signé
Tagi
Blick
24 Heures
Matin
Corriere TI
Regione TI
Group Total
Count
44
24
19
15
9
19
130
Interview
Count
4
9
4
4
3
24
Type de Texte
Dépêche,
article
Tribune,
non signé
opinion
Count
18
1
2
1
8
3
33
49
Count
3
6
5
2
7
3
26
Group
Total
Edito,
commentaire
Count
12
6
6
6
4
5
39
Lettre de
lecteur
Count
19
36
17
4
7
10
93
Count
100
82
53
32
35
43
345
A9. Articoli/Giornale/Tipologia 1994
Article
signé
Interview
Count
Count
Tagi
11
Blick
6
24 Heures
6
Matin
5
Corriere TI
4
Regione TI
5
Group Total
37
Group
Total
Type de Texte
Dépêche,
article non
Tribune,
signé
opinion
Count
Edito,
commentaire
Count
Lettre de
lecteur
Count
Count
2
2
1
15
1
6
15
1
4
3
17
1
1
1
17
11
9
80
1
2
4
4
4
2
2
5
12
Count
1
2
7
13
A10. Articoli/Giornale/Tipologia 1983
Article
signé
Interview
Count
Tagi
Count
Count
6
Matin
Count
Lettre de
lecteur
Count
Count
Count
2
8
18
3
3
15
1
7
1
1
1
11
Corriere TI
3
2
Il Dovere
1
1
Group Total
Edito,
commentaire
2
Blick
24 Heures
Group
Total
Type de Texte
Dépêche,
article non
Tribune,
signé
opinion
28
1
6
50
3
4
2
13
3
11
7
9
67
17
11
B: Tabelle sulla ripartizione degli attori “con voce” (1983-2004).
B1.Idea element totali e la loro tendenza (1983-2004)
Direction de l'Idea Element
favorable
neutre
opposant
Group Total
Tagi
Count
453
85
157
695
Blick
Count
248
81
116
445
24 Heures
Count
244
24
82
350
Matin
Count
105
22
34
161
Corriere TI
Count
230
48
82
360
Regione TI
Count
240
16
51
307
Group Total
Count
1520
276
522
2318
B1. Idea element dei giornalisti e la loro tendenza (1983-2004)
Direction de l'Idea Element
favorable
neutre
opposant
Group Total
Tagi
Count
113
36
Blick
Count
65
38
6
109
24 Heures
Count
57
12
2
71
Matin
Count
41
17
58
Corriere TI
Count
56
11
67
Regione TI
Count
62
8
70
Group Total
Count
394
122
51
149
8
524
C: Tabella sulla ripartizione degli attori ed istituzioni “privi di voce” (1983-2004).
C1. Totale attori e istituzioni senza voce (1983-2004).
52
D: Tabelle sulla ripartizione dei frame (1983-2004).
D1. Ripartizione dei frame su tutti i giornali (1983-2004)
Frequency
Percent
Valid Percent
Cumulative
Percent
Autonomie
244
15,2
15,2
15,2
Integration
233
14,5
14,5
29,6
Rechtsprinzipien
226
14,0
14,0
43,7
Repräsentation des
Fremden
178
11,1
11,1
54,7
Ängste
164
10,2
10,2
64,9
Wirtschaft &
Demographie
128
8,0
8,0
72,9
Direkte Demokratie
91
5,7
5,7
78,5
Spaltung der Schweiz
81
5,0
5,0
83,5
Beziehungen der
Schweiz zum Ausland
75
4,7
4,7
88,2
Bild der Schweiz
64
4,0
4,0
92,2
Ethik/Moral
63
3,9
3,9
96,1
Der Ausländer als
Bereicherung
32
2,0
2,0
98,1
100,0
Andere
Total
31
1,9
1,9
1610
100,0
100,0
D2. Totale dei frame espressi su ogni giornale (1983-2004)
Frequency
Valid
TagesAnzeiger
Blick
Percent
Valid Percent
Cumulative
Percent
695
30,0
30,0
30,0
445
19,2
19,2
49,2
24 Heures
350
15,1
15,1
64,3
Matin
161
6,9
6,9
71,2
Corriere TI
360
15,5
15,5
86,8
Regione TI
307
13,2
13,2
100,0
2318
100,0
100,0
Total
53
D3. Ripartizione dei frame per ogni giornale (1983-2004)
Rechtsprinzipien
Integration
Repräsentation
des Fremden
Aengste
Der Ausländer als
Bereicherung
Autonomie
Direkte Demokratie
Bild der Schweiz
Spaltung der
Schweiz
Ethik/Moral
Wirtschaft &
Demographie
Beziehungen der
Schweiz zum
Ausland
Andere
Group Total
Tagi
Blick
24
Heures
Corriere
TI
Regione
TI
Count
98
62
Count
27
39
Count
19
29
2
13
Count
49
52
Count
31
38
Count
226
233
80
55
16
6
11
10
178
60
62
15
5
18
4
164
12
9
2
1
4
4
32
79
14
17
23
3
6
37
30
13
14
9
6
55
9
14
36
26
8
244
91
64
14
3
26
10
15
13
81
17
14
10
5
5
12
63
40
18
13
12
24
21
128
21
18
5
6
9
16
75
9
523
1
278
17
232
89
1
266
3
222
31
1610
54
Matin
Count
Group
Total
E: Tabelle sulla ripartizione dei frame (2008).
E1. Totale dei frame su ogni giornale (2008)
Frequency
Percent
Valid Percent
Cumulative
Percent
Autonomie
131
28,2
28,2
28,2
Rechtsprinzipien
114
24,6
24,6
52,8
Repräsentation des
Fremden
39
8,4
8,4
61,2
Aengste
33
7,1
7,1
68,3
Wirtschaft &
Demographie
33
7,1
7,1
75,4
Integration
26
5,6
5,6
81,0
Direkte Demokratie
23
5,0
5,0
86,0
Andere
19
4,1
4,1
90,1
Beziehungen der
Schweiz zum Ausland
13
2,8
2,8
92,9
Der Ausländer als
Bereicherung
12
2,6
2,6
95,5
Spaltung der Schweiz
97,8
11
2,4
2,4
Bild der Schweiz
7
1,5
1,5
99,4
Ethik/Moral
3
,6
,6
100,0
464
100,0
100,0
Total
55
E2. Ripartizione dei frame su tutti i giornali (2008)
Rechtsprinzipien
Integration
Repräsentation
des Fremden
Aengste
Der Ausländer als
Bereicherung
Autonomie
Direkte
Demokratie
Bild der Schweiz
Spaltung der
Schweiz
Ethik/Moral
Wirtschaft &
Demographie
Beziehungen der
Schweiz zum
Ausland
Andere
Group Total
Tagi
39
9
Blick
6
24
Heures
12
3
19
3
10
1
6
42
11
1
1
2
Corriere
TI
33
7
Regione
TI
23
5
Group
Total
114
26
6
1
6
4
39
6
1
14
1
33
1
1
3
1
12
17
8
33
20
131
15
2
1
4
23
2
3
7
1
5
11
2
3
Matin
2
1
4
1
4
2
133
2
7
6
5
9
33
1
2
1
5
4
13
26
16
90
23
1
111
81
19
464
56
Allegato 12: Trascrizioni delle fasi introduttive delle trasmissioni televisive (2004).
57
A: Trasmissione francofona.
Off
Il y a d‟abord la suisse qui dirige blocher christoph ancêtres allemands suisse de
la quatrième génération hayek nicolas père libanais suisse de la deuxième génération
couchepin pascal ancêtres italiens suisse de la xième génération il y aussi la suisse uqi
joue qui perd et qui gagne mario cantaluppi fabio celestini hakan yakin ricardo cabanas
les uns les autres sont tous de bons suisses les bras noueux la tête bien faite parfois les
deux et puis il y a la suisse de tous les jours un passant sur cinq en suisse n‟est pas suisse
les hasards de l‟immigration les a fait naître grandir ou prendre racine ici à ceux qui le
voudraient on veut offrir l‟hypothèse plus facile plus simple d‟un passeprot de rejoindre
la communauté des helvètes d‟être des nôtres contre cette idée simple l‟udc a lancé un
référendum et parle d‟une invasion programmée d‟un déferlement de l‟islam de
terroristes qui habiteraient nos villes et nos campagnes pour débattre de la naturalisation
facilitée des jeunes étrangers ce soir dans infrarouge jean-philippe maître cinquante-cinq
ans conseiller national pro européen de la première heure il est souvent convaincant au
ramage pas souvent au grattage face à lui oskar freysinger quarante-quatre ans ce
professeur de lettres serait plutôt expert en battage et en langage pas toujours fleuri cela
lui a permis de décrocher sans ambage un siège de conseiller national udc en valais
d‟origine autrichienne il n‟a le passeport que depuis l‟âge de dix-huit ans alors monsieur
freysinger qu‟est-ce que ça fait d‟être suisse depuis vingt-six ans seulement
Générique
Mod bonsoir à tous bienvenue à chaque fois que l‟on parle du passeport suisse ce
fameux passeport rouge à croix blanche les esprits s‟échauffent et c‟est encore le cas
cette fois-ci avec cette votation du vingt-six septembre qui devrait permettre en principe
en principe aux jeunes étrangers d‟acquérir plus facilement plus rapidement la nationalité
suisse osakr freysinger bonsoir
Fre
bonsoir
Mod vous êtes totalement farouchement opposé à cette à ces deux projets de
naturalisation facilitée je vais peut-être vous laisser déjà répondre à la question de michel
zendali qu‟est-ce que cela fait d‟être suisse depuis vingt-six ans seulement
Fre
je ne suis pas opposé aux naturalisations facilitées mais aux naturalisations
facilitées sous cette forme là
Mod d‟accord
Fre
c‟est une différence quand même importante parce que je vais pouvoir prouver
quand même quels sont les mécanismes perfides qui sont impliqués dans ce projet de loi
maintenant être euh ben avoir fait ce choix à dix-huit ans c‟était au moment où il
s‟agissait de faire le service militaire euh j‟ai dû faire un choix j‟ai choisi la suisse en
connaissance j‟ai passé toute mon enfance je suis né en suisse et je ne l‟ai jamais regretté
je me bats pour ce pays pour sa démocratie et aussi pour la valeur de sa citoyenneté
58
Mod un vrai patriote euh être suisse c‟est un choix en face de vous jean-philippe
maître bonsoir
Maî bonsoir
Mod alors vous vous êtes favorable à ces deux projets de natiralisation facilitée on
vous accuse euh vous les les gens les partisans de ces projets de voulir bradre ce fameux
passeport cette fameuse nationalité suisse qu‟est-ce que vous répondez
Mai il il n‟en est pas question il n‟en est pas question le l‟objectif est d‟avoir une
procédure un processus de naturalisation pour les pour les jeunes qui est moins
compliqué qui est moins bureaucratique qui donne davantage de droits et de
compétences aux cantons en l‟occurrence
Mod mais est-ce qu‟il ne dévalorise pas le passeport
Mai en aucun cas en aucun cas
Mod donc vous aurez l‟occasion de le prouver jean-philippe maître on entendra
beaucoup de gens durant cette heure d‟émission beaucoup d‟invités des politiques des
secondos c‟est-à-dire des suisses de la deuxième génération on entendra tout à l‟heure
l‟acteur emil également des des musulmans de suisse qui ont été fortement pris à partie
durant cette campagne alors le vingt-six septembre nous devrons nous prononcer sur
deux projets deux projets que nous présente xavier studer
Off2 le premier projet simplifie la naturalisation des étrangers de deuxième génération
c'est-à-dire ceux dont les parents sont venus en suisse ils devront être âgés de quatorze à
vingt-quatre ans avoir suivi cinq ans d‟école obligatoire avoir habité pendant deux ans
dans la commune dont ils demandent l‟origine être titulaire d‟un permis b ou c ils
devront encore être intégrés parler une langue nationale et se conformer à la législation
le deuxième objet concerne les étrangers de troisième génération c'est-à-dire en majorité
ceux dont les grands parents ont immigré ils seront suisse dès la naissance si le père ou
la mère ont accompli cinq ans de scolarité en suisse et si les parents détiennent un permis
b ou c depuis cinq ans si les deux objets passent la rampe ces procédures simplifiées
seraient unifiées dans toute la suisse les naturalisations devraient augmenter de sept mille
cinq cent à quinze mille personnes par an environ
Mod alors on va rester Oskar Freysinger sur ce premier projet qui concerne la
deuxième génération donc si on fréquenté l‟école obligatoire durant cinq ans on peut
profiter de cette naturalisation facilitée mais qu‟est-ce qui vous dérange cinq ans ça n‟est
pas assez cinq ans d‟école obligatoire en suisse ça n‟est pas assez
Fre
non il y a une accélération formidable qui nous est proposée à travers ce projet de
loi c‟est que en huit ans seulement vous passez de la première à la troisième génération
en huit ans seulement donc il n‟est plus du tout question des gens qui sont là depuis les
années soixante des enfants ou des petits enfants d‟italiens ou de portugais etcetera c‟est
pas du tout de ça qu‟il est question-là il y a une accélération très forte il y a dans le texte
de loi un endroit o`u il est écrit très clairement euh qu‟il faut avouir un permis de séjour
59
ou d‟établissement ce sont à ma connaissance les permis b et c et il est rajouté et un autre
ou un autre droit de séjour durable
Mod qu‟est-ce que vous voulez dire par là
Fre
eh bien oui le problème c‟est simple c‟est que on peut regarder la loi on contrôle
et on a pas d‟autre droit de séjour durable mis à part le permis f admission provisoire si
ce n‟est l‟asile et le permis humanitaire
Mod attendez alors qu‟est-ce que vous voulez dire permis f
Fre
ce qui veut dire que ce qu‟on veut obtenir c‟est de pouvoir régler le problème
assez rapidement de réfugiés débouté en les faisant passer à la naturalisation parce qu‟il
n‟y a pas d‟autre droit de séjour durable
Mai c‟est faux non c‟est faux
Mod donc vous dites (…)
60
B: Trasmissione italofona.
Mod Ecco, non voteremo soltanto sulla maternità il prossimo fine settimana, vi sono
anche due progetti sulla naturalizzazione dei giovani quella della seconda generazione e
quella della terza generazione (poi spiega che dopo la scheda di spiegazione si parlerà
con il resto dei ospiti nello studio, che fino a quel momento solo ascoltava.)
(Inizia il Servizio sui stranieri seconda e terza generazione. Si vede un filmato vecchio
bianco e nero, una stazione di treno, immigranti che scendono dal treno e passano il
controllo passaporto)
Off
Volevamo braccia e sono arrivati uomini, sono passati generazioni da quelle
parole di Max Frisch, oggi votiamo sui figli e sui nipoti di quelli uomini, ai figli, la
seconda generazione, la riforma offre una procedura più semplice e meno costosa, solo
spese amministrative, a certe condizioni però, età tra 14-24 anni, permesso di domicilio o
dimora, min 5 anni di scuola obbligo in Svizzera, buona integrazione, nessuna
condanna.
E su queste condizioni che si articola il dibattito tra favorevole e contrari. I toni sono
comunque lontani da quelli infocati che marcavano in passato i voti legati alla
problematica degli stranieri.
Tanto che quasi non ce dibattito sulla proposta relativa ai nipoti dei immigrati, se uno dei
due genitori e di seconda generazione, l‟acquisto della cittadinanza elvetica è automatica
alla nascita. Attualmente 14 cantoni , tra cui Grigioni e Ticino facilitano già ai giovani
l‟ottenimento del passaporto rosso, la riforma mira anche ad omogeneizzare le
procedure a livello nazionale. (fine Servizio, in Studio sono in primo piano gli altri
ospiti, Fabio Abate, Carlo Sommaruga, Christoffer Brändli, Attilio Bignasca )
Mod Allora diciamo che la filosofia che sta dietro questa proposta è che i giovani
straniere che sono cresciuti e che sono nati in Svizzera, dovrebbero ottenere facilmente il
passaporto. Se si guardano le statistiche, signor Abate, risulta che nei ultimi dieci anni il
numero delle naturalizzazione si è più che raddobbiato. Quindi si ha l‟impressione che
questo principio gia oggi, con la legge attuale, sia realizzato, perche allora proporre
questa soluzione o questo dibattito?
61
F. A: Buona sera anche da parte mia, prima di tutto bisogna sottolineare che la società
svizzera è molto cambiata. Quindi ci siamo ritrovati davanti una Svizzera molto diversa,
proprio dal profilo della popolazione. Siamo già un paese multiculturale, siamo un paese
plurilingue, che è stata confrontata ad un ulteriore circolazione di persone. Oggi però,
quello che lei ha citato, corrisponde a quel 2,1% della popolazione straniera residente in
Svizzera, quindi un tasso sempre inferiore a quanto accade nei altri paesi europei. Si
tratta semplicemente di formalizzare la posizione di giovani, giovani (ripete alzando il
dito), che sono già nel nostro paese, che sono integrati, dovranno anche dimostrare di
esserlo. La scheda (il servizio presentato) ha dimenticato di quello è stato inserito nel
Parlamento, ossia la conoscenza di minimo una lingua nazionale. E quindi conseguire
quello che è formalmente la situazione, che è l‟ottenimento della cittadinanza.
Mod: Christoffer Brändli, quando si affrontano queste due proposte, si dice, in fondo si
tratta semplicemente di naturalizzare persone che sono gia integrate nella nostra società.
Perché non accettare questo principio, se una persona è integrata, fa parte della nostra
società e quindi bisogna dare anche la possibilità di partecipare in modo totale a questa
società?
Ch.Br: Beh noi non siamo contro questo diritto, pero si deve vedere bene le cose come
sono. Noi siamo un paese, che ha una naturalizzazione molto liberale, se faccio un
risguardo con l‟Europa. La Svizzera è il paese che ha più naturalizzazione in confronto
con la popolazione non è che siamo un paese chiuso, siamo un paese molto aperto con le
naturalizzazioni. Abbiamo come lei ha detto 40.000 naturalizzazioni, se facciamo un
confronto con l‟Italia, l‟Italia ha 26 volte meno di naturalizzazioni. Allora non dobbiamo
fare come se noi fossimo un paese chiuso. E adesso, com‟è la soluzione oggi, la
soluzione oggi è che i giovani, i anni che vanno a scuola fra 10 e 20 anni contano doppio
e dopo otto anni possono fare la domanda e ha diritto, se il comune decide, di diventare
Svizzero. Il nostro partito UDC Grigionese ritiene che questa soluzione e sufficiente,
non capiamo perché dobbiamo aprirci ancora di più, perché ci sono tanti problemi con
questa apertura.
Mod: Ma quale sarebbero a punto i pericoli, sentiamo Bignasca, di questo tipo di
apertura? Chritoffer Brändli dice non dobbiamo aprirci ancora di più, perché quali
pericoli ci sono?
A. E i pericoli sono tanti, pero dobbiamo partire dall‟integrazione. Le autorità
comunali sono i primo che possono vedere se una persona è integrata o no, e
adesso si vorrebbero togliere questa competenza al comune per fare una cosa
più generalizzata.
62
Mod Nel caso di persone, si dice, che hanno fatto 5 anni di scuola qui, conosce la
lingua nazionale etc. si considera d‟ufficio, che è integrata, secondo lei questo non è
sufficiente?
A.B. Il fatto di aver fatto 5 anni di scuola qui non vuol dire molto. Se uno va a scuola e
vuol integrarsi automaticamente ha il criterio di voler avere la nazionalità svizzera, può
ottenerla facilmente. I problemi nascono con gente di cultura diversa, che non vuole
integrarsi e fa poco o niente per integrarsi e allora con la nuova legge, si presume che
siano integrati, e fare queste presunzioni in questo tema eh un po…(gestikuliert und
schüttelt den Kopf)..è vaga.
Mod: Ecco, Carlo Sommaruga, è stato sollevato da Bignasca questo problema, diciamo
il problema nasce con questo nuovo tipo di integrazione, che sono persone che, diciamo
cosi che non è molto vicina alle nostre tradizioni e quindi questa gente ha più difficolta
ad integrarsi
C.S: Penso che la nostra società, come e già stato detto prima, ha permesso a certe
persone di venire qui, di partecipare finalmente alla economia svizzera e anche allo
sviluppo dello stato, con il pagamento delle tasse etc. Quindi ce già un integrazione di
tutta questa popolazione, nella nostra vita sociale di tutti gironi, nel lavoro e finalmente
anche nel andamento delle finanze. Oggi quello che si vuol sapere è se queste persone
della seconda e della terza generazione sono considerati integrati. Bisogna ben vedere
che non è solo la questione della scuola come ha detto lei (segnala verso Bignasca), ma
che ci sono certe condizioni che figura nella legge, che devono essere integrati,
conoscere la lingua nazionale e poi che devono rispettare la legge svizzera. Che è quello
che si chiede a qualsiasi essere che appartiene a una società. Dunque penso che oggi,
quello che si vuol fare da parte del UDC e della Lega è di creare una sorta di paura
astratta dello straniero, che in fondo i stranieri chi sono, sono gente che è qui con noi che
incontriamo nella partita di calcio, che incontriamo nel autobus, che come dice lei
(segnale verso moderatore), sono completamente integrati. Sono persone che sono qui da
parecchi anni, al minimo 5 anni di scuola, come si dice, è chiaro che sono dei anni che
contano moltissimo, tutti gli psichiatri e psicologi hanno già fatto delle riflessioni,
mostrando che, chi ha passato questi anni in svizzera o nel paese dove si trova, che
questo ha un impatto molto forte e che permette alla persona l‟integrazione. Dunque non
ce bisogno oggi di dipingere il diavolo sulla muraglia, sono gente che è intorno a noi e
che vive con noi e che finalmente non sappiamo neanche se ha il passaporto svizzero o
no, si dovrebbe chiederlo e si scopre che il vicino che ti sta molto vicino perché siamo
sempre con loro e le parliamo, in fatti non ha il passaporto e sarebbe ideale dare il
passaporto a questa gente.
Mod
Christoffer Brändli (…)
63
C: Trasmissione germanofona.
Leu
Mau
Leu
Mau
Leu
Blo
Guten Abend (il montre le passeport rouge) für die einen ist das nur ein Stück
roter Karton, der nichts anderes besagt, als der Besitzer ist Schweizer Bürgerin
oder Bürger, für die andern ist es etwa ganz besonderes, eine spezielle
Staatsbürgerschaft, die nur Auserwählte bekommen sollten, für die meisten ist es
etwas zwischendrin. Rund 37„000 Menschen aus dem Ausland haben letztes Jahr
einen solchen Schweizer Pass bekommen, und wenn die beiden
Einbürgerungsvorlagen, über die wir am 26. Sept. abstimmen, angenommen
werden, dürften es für die nächsten paar Jahre noch einige mehr sein. Die Frage
ist jetzt eigentlich ganz einfach: Ost das gut, oder ist das schlecht? Ueli Maurer,
was ist schlecht daran, wenn Menschen, die hier geboren worden sind oder hier
aufgewachsen sind, einen Schweizer Pass bekommen?
Das ist gerade eine Kernfrage, die zeigt, dass die Stimmbürger getäuscht werden
mit dieser Vorlage, man sagt es gehe um die erleichterte Einbürgerung der
zweiten Generation, aber eine Generation wäre eigentlich eine Lebensdauer
(zeigt Duden), hingegen in der Vorlage meint man damit nur 5 Jahre, in der
ausländische Jugendliche bei uns zur Schule gegangen sind, in diesen 5 Jahren
haben sie während eines Teils in ihrer Herkunftskultur verbracht und nur einen
Teil in unserer Kultur, …das reicht nicht zur Integration. Und zweitens ist
entscheidend dass in dieser Vorlage der Automatismus enthalten ist...(Leu hebt
Hand zum unterbrechen) Wenn wir jetzt schauen, dann sind die meisten Leute
die wir einbürgern aus dem Balkan, also aus ganz anderen Kulturen, eine andere
Religion, eine andere Einstellung zur Gewaltbereitschaft, und darum gehen wir
mit dem Automatismus Risiken ein…..
(unterbricht) ja aber es werden nur Leute automatisch eingebürgert, die hier
geboren sind, gemäss dieser Vorlage.
Ja, aber auch dort reicht es schon, wenn die Eltern nur 5 Jahre hier in der Schule
waren, und da kann man schon automatisch einbürgern, da gehen wir sehr viel
weiter als andere europäische länder.
Gut, darüber werden wir noch sprechen. Herr Bundesrat Blocher, der Vorwurf
von Ueli Maurer lautet, das sei eine Mogelpackung, da werde eine Generation
anders definiert, als man sie im Volksmund versteht….
(nimmt zuerst zur Frage der Definition der Generationen Stellung…dann:) Ja
also ich will etwas sagen zu Ihrem Einstieg mit dem roten Pass da, also das
Bürgerrecht ist nicht nur einfach eine Frage dieses Passes, sondern, ob man
abstimmen kann oder nicht, und das heisst die Geschicke des Landes
mitbestimmen und das ist in der Schweiz mit der direkten Demokratie ein heikles
Thema und das hat man bisher je einzeln geprüft, und weil man jetzt diesen
64
Leu
Mau
Leu
Blo
Leu
Blo
Automatismus hat, tut man das nicht mehr. Bundesrat und Parlament sind der
Auffassung, das sei gerecht... Bei der zweiten Generation ist das nicht so, dass
nicht geprüft wird, es wird schon noch geprüft.
Eben, checken wir doch dieses Argument gerade mal ab, Ueli Maurer, ihre Partei
sagt, dass der Schweizerpass verschleudert wird, jetzt sagt der Bundesrat
Blocher, es wird ja immer noch geprüft, halt unter anderen Rahmenbedingungen,
haben sie da falsch informiert in ihrer Abstimmungspropaganda?
Wesentlich ist in diesem Fall, jetzt nicht nur die Verfassung, sondern das Gesetz
dazu, dass ja auch schon besteht, es ist zu vermuten, dass jemand der 5 Jahre die
Schule besucht hat, als integriert gilt. Das heisst, es wird uns im Gesetz
indoktriniert, was wir zu denken haben, nämlich, dass wir vermuten müssen, dass
jemand integriert ist und damit wird im laufe der Zeit, auch auf Grund der
Rechtssprechung, die wir in der Vergangenheit auch gehabt haben, sehr rasch ein
faktischer Anspruch auf Einbürgerung bestehen. Wir werden mühe haben,
jemand nicht einzubürgern auch wenn man das prüft, weil wir haben ja, wenn
man an die Jugendlichen denkt, die wir dann einbürgern, das kann durchaus einer
sein, der 20-30 Ladendiebstähle gemacht hat oder irgend etwas, kein Eintrag
dann hat, dass kann allenfalls dann gelten als unbefleckt, wenn man das so will
und diese Rechtssprechung, die wir jetzt schon haben, ist mit diesem Gesetz, das
nachher noch kommt,... schafft praktisch für diese Jugendliche ein Recht auf
Einbürgerung und das ist eine wesentliche Änderung zur Praxis, die wir bis jetzt
schon haben.
Herr Bundesrat, ist das möglich, dass ein Jugendlicher, der so delinquiert, wie
das der Herr Maurer gesagt hat, das der jetzt mit der neuen Vorlage eingebürgert
werden kann?
Also wenn er nicht eingetragen ist im Strafregister, ist klar, dann ist es möglich.
Ich weiss schon was angedeutet wird, es gab einmal einen Fall, da wurde jemand
eingebürgert mit einem Eintrag, das ist ein Fehler, dass kann ja mal passieren.
Aber die Meinung ist ja, dass bei der zweiten Generation, also bei der dritten ja
nicht, die werden ja nicht mehr geprüft, das passiert ja dann automatisch bei der
Geburt,.. aber das andere ist ja bei den 116000 zwischen 14 und 24 Jahren, aber
das wird angeschaut, wenn sie ein Delikt begannen haben, aber die, die der Herr
Maurer gesagt hat, also die kleinen...(zeigt auf Ueli Maurer und spricht mit
zustimmenden und gelangweiltem unterton ) die werden natürlich, wenn man es
nicht weiss, nicht berücksichtigt.
Finden sie das gut?
Es kommt nicht drauf an, was ich finde, ich bin ja im Bundesrat und habe..das ist
ja eine Vorlage vom vorherigen Bundesrat...und ich weiss schon wieso sie diese
Frage stellen wir müssen da nicht Verstecken spielen...der Vorteil von „dem“
65
Leu
Blo
Leu
Blo
Leu
Mau
(die Vorlage, Blocher macht abwinkende Gestik) ist, dass es einfacher ist zum
einbürgern, es ist weniger Bürokratisch und der Bundesrat und das Parlament
finden, dass es eben der Integration der jungen Leute hilft.
Aber eben, normalerweise entspielt sich am Anfang der Sendung immer eine
heftige Diskussion zwischen den beiden Hauptkontrahenten, bei ihnen weiss man
ja, dass sie am Anfang eine andere Meinung hatten bevor sie zum Bundesrat
gekommen sind, was ist ihre Aufgabe, die sie sich heute gestellt haben. Wie
möchten sie informieren heute?
Ich habe mir keine Aufgabe gestellt, ich bin..im Parlament, als die Vorlage kam,
habe ich die bekämpft, das hat man schon gewusst, bevor ich ins Bundesrat
gewählt wurde, und jetzt bin ich im Bundesrat und es ist Verpflichtung von den
Bundesräten, die Vorlagen, die im Parlament durchgekommen sind,.. nicht mehr
zu bekämpfen, und das mache ich auch nicht und ich lege ihnen diese Gründe
dar.
Also dann ist es eine Pflicht für sie heute?
Ja, natürlich es ist eine Pflicht, ja, ja es ist schon das. (Gelächter im Publikum
und Blocher lächelt auch).
Ich glaube beim Herr Maurer liegt schon mehr Herzblut dahinter. Möchten Sie
einfach ganz Grundsätzlich möglichst wenig Ausländer in der Schweiz?
Nein das Bürgerrecht ist für uns wirklich etwas ganz besonderes, ...es hat damit
zu tun mit der Mitgestaltung, mit dem Abstimmen, mit der Fähigkeit Stellung
nehmen zu können. Und für uns ist die Einbürgerung, im Gegensatz zu dem was
der Bundesrat sagt, die Einbürgerung seien wichtige Massnahem für die
Integration. Wir sehen das anders. Jemand soll eingebürgert werden, wenn er
integriert ist...Einbürgerung sollte Abschluss der Integration sein und nicht
Anfang,…..Mit diesen Massnahmen, die wir jetzt haben, mit diesem
Automatismus, wo die Eltern nicht einmal sind, aber das Kind wird automatisch,
wo 5 Jahre Schule reichen, um die Einbürgerung zu erlangen. Das ist falsch...ich
glaube da machen wir dem eingebürgerten keinen Gefallen, weil das ist mir
kürzlich passiert, als wir Unterschriften sammelten für unsere Initiative, habe ich
eine Frau angesprochen und gefragt, sind Sie Stimmberechtigt, (macht die Frau
nach), „Ja bin Stimmberechtigt“ dann sagte ich, ja dann sind sie Schweizerin?,
„Nein ich bin Ausländerin, aber ich habe Schweizer Pass“ (Maurer spielt Akzent
nach). Das zeigt eben, wie man anders fühlt, man hat zwar den Schweizer Pass,
aber man fühlt sich als Ausländer. Oder ein anderes Beispiel, auf einer
Kontaktanzeige habe ich gelesen: Italiener mit CH-Pass sucht Lebenspartnerin.
Da schaffen wir eben Konflikte, die immer wieder auftauchen...und deshalb muss
zuerst die Integration und nacher die Einbürgerung sein. Und wenn wir dies jetzt
eben wechseln, wenn wir jetzt automatisch einbürgern, wie kein anderes Land,
66
nach 5 Jahren einbürgern, dann verändern wir den Charakter der Schweiz, ein
Teil unserer Identität geht verloren, wir generieren auch Sogwirkung, wir werden
zum attraktivsten Land in Europa für Einbürgerungen...
Leu
Klären wir das mal ab, Cecile Bühlmann: der Charakter der Schweiz wird
verändert, vor allem hat U.Maurer gesagt, die Integration sollte am Anfang und
nicht am Schluss stattfinden. Wie ist das jetzt, sollen hier Leute zu früh
aufgenommen werden?
Bühlmann (Verts): Also bei der zweiten Generation geht es um Kinder, wie der Herr
Bundesrat Blocher gesagt hat, von eingewanderten Eltern, das ist die erste
Generation und der grösste Teil von diesen Kindern ist in der Schweiz geboren
und ein kleiner Teil wandert später ein und jetzt immer mit diesen 5 Jahren zu
operieren, das ist der Ausnahmefall, die grosse Regel ist, dass diese Kinder hier
geboren sind..
Leu
(unterbricht) Aber die Regelung ist so formuliert, dass 5 Jahre obligatorische
Schulzeit und dann kann jemand erleichtert eingebürgert werden.
Blo
sie ist so formuliert, richtig..oder in der Schweiz geboren, es gibt zwei
Möglichkeiten und wir gehen davon aus, also die Mehrheit des Parlaments, dass
wer hier geboren ist oder mindestens einen grossen Teil der Schulzeit in der
Schweiz gemacht hat, der fühlt sich hier zu Hause, der ist an dieses Leben
gewöhnt,.. das ist jemand wie sie und ich ist Leute gehören zu uns, sie fühlen
wie wir. Es ist auch nicht so, dass diese Leute, wenn sie eingebürgert sind, dass
sie erst dann die Schweiz mitgestalten, sie gestalten bereist jetzt mit, sie
besuchen unsere Schule, machen hier ihre Lehre, sind in unserer Arbeitswelt und
beweisen Tagtäglich, dass sie integriert sind.
Leu
Herr Schlür, Frau Bühlman sagt, wenn jemand 5 Jahre hier in der Schule war, die
obligatorische Schule besucht hat, oder sogar hier geboren ist, kann man dann
nicht sagen, dass er integriert ist?
Schlür Schauen sie, es gibt zum Beispiel in der Agglomeration Zürich oder auch in
Luzern , Frau Bühlman, da haben wir Schulklassen mit 80-90% Ausländer aus
20, 22, 25 Nationen. Die kommen mit Schweizer gar nicht in Berührung, sondern
die müssen die Sprachprobleme irgendwie überwinden, die auch entstehen. Jetzt
einfach zu sagen, dass generell diese jetzt integriert sein sollen, (Leu nickt)
gesetzlich vorzuschreiben, dass diese nun integriert sein sollen, und dann gibt‟s
noch den Automatismus, das ist eine völlig absurde Lösung. (Man hört
Gemurmel von Frau Bühlman, sie sagt, das gibt kein Automatismus)..diese Frage
klärt man ab, bei der Gemeinde, wo man die Familie kennt, wo man die
Verhältnisse kennt, (Leu nickt) wo sich diese Leute in der Gemeinde einleben
können und wo man dann den Entscheid trifft...aber als Automatismus unter
solchen Verhältnissen nicht.
67
Leu
ja also der Automatismus ist ja nur bei der 3. Generation. Doris Leuthard:
Doris Leuthard:Ja eben, man muss einige Sachen klären. Der Herr Bundesrat Blocher hat
in einem Nebensatz noch erwähnt, man muss heute ein Gesuch stellen und auch
ein Zweitgeneratiönler muss auch zukünftig zwischen dem 14 und 24 Lebensjahr
auch ein Gesuch stellen, wenn man das verpasst hat, dann gilt das ordentliche
Verfahren. Das zum ersten, dann zum zweiten im 1994 haben wurde über diese
Vorlage bereits abgestimmt, da war die SVP dafür, der Herr Blocher war damals
sogar Copräsident in Zürich und schon damals war die Definition 5 Jahre
Schulpflicht (wird unterbrochen von Schlür)
Schlür aber es gab dieses Gesetz damals nicht, „es ist zu vermuten, dass die Integration
stattgefunden hat.
Doris L.ja, aber die Definition Herr Schlür, war dieselbe. Jetzt, was haben wir heute:
wenn sich jemand ordentlich einbürgern will, dann muss er 12 Jahre Wohnsitz
haben und das wird schon erleichtert, da im Alter zwischen 10 und 20 die
Wohnsitzjahre doppelt gelten. Also de Facto ist jetzt 6 Jahre Wohnsitz und neu
sagen wir jetzt 5 Jahre Schulpflicht. Also was ist jetzt gescheiter, ein Kind ist
doch wesentlich, wenn es früher kommen muss und in der Schule ist, ist es doch
viel besser integriert, wir haben es mehr mit unserer Kultur vertraut gemacht, als
nur mit der Wohnsitzdauer. Und noch etwas, was sie falsch gesagt haben. Es gilt
die Vermutung, dass die Integration stattgefunden hat, aber selbstverständlich
prüft die Gemeinde..(Schlür unterbricht: Nein, nein, das kann sie nicht mehr)
...Herr Schlür, ich war in der Kommission und das ist lediglich eine
Beweislastumkehr, sie waren ja auch mal Jurist und wissen, was das bedeutet,
das ist eben falsch..., wenn eine Gemeinde sagt, diese Person ist nicht integriert,
wir haben Merkmale, die das belegen, dann darf sie dass, sie muss sogar
kontrollieren. Und ich vertraue da der Gemeinde, das sie das tut.
Leu
Ja fragen wir doch gleich Daniel Bühlmann, stellv. Gemeindepräsident von
Emmen.
D. B. Ich muss zuerst sagen, dass ist die Stellungnahme von Daniel Bühlman, der
Gemeinderat nimmt ja da keine Stellung... Also, es gibt einen klaren
Unterschied, ich spreche jetzt über die zweite Generation, bei der erleichterten
Einbürgerung da hat der Ausländer einen Anspruch, dass er, wenn er die
Voraussetzungen erfüllt, eingebürgert wird. (gemurmel der Befürworte: nein,
Kopfschütteln). ..und heute mit der ordentlichen Einbürgerung, muss man auch
die Voraussetzungen erfüllen, sonst darf man den Gesuch ja gar nicht stellen,
aber es gibt keinen Anspruch und das ist eben der Unterschied. Und da hat die
Gemeinde nicht mehr das zu sagen, was sie einmal hatte.
Leu
Also Rechtsanspruch, ist ein wichtiger Punkt (dreht sich um und will jem.
anderem das Wort erteilen...da unterbricht Cecile Bühlmann..)
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C. B.
Darf ich den Herrn Bühlmann etwas fragen...(liest vor die Voraussetzungen die
der Ausländer haben soll). Was wollen sie den gegen diese Person noch sagen,
wieso soll der nicht eingebürgert werden, wenn er doch all diese hohen Hürden
erfüllt?
D.B Bis jetzt war es eben immer so, dass die Verwaltung die Behörde geprüft hat, ob
diese Integration stattgefunden hat und dann hat das Volk darüber entschieden,
ob sie das auch so sehen, und es ist nicht immer gesagt, das sie das tun,...so ist
der fall bis jetzt.
Leu
(dreht sich zu Blocher um) Herr Bundesrat, wie ist das mit dem Rechtsanspruch,
besteht er oder nicht?
Blo
Ja, also es gibt nachher einen Rechtsanspruch und bei der automatischen
Einbürgerung, da ist es selbstverständlich, dass es ihn gibt.
Leu
gut, dann haben wie diese Frage geklärt. Jasmin Hutter, wieso sind sie eigentlich
dagegen, es geht ja um junge Leute, sie sind doch auch Jung?
J.Hutter ich habe zwei Sachen, also wenn ein Junge aus Ex-Jugoslavien kommt mit 11
und dann kann der schon nach 5 Jahren, eingebürgert werden, dann heiratet der
später eine Frau aus seinem Heimatland, ich sage jetzt Heimatland, ExJugoslavien, die haben eine ganz andere Kultur, die haben dann Kinder und die
können dann automatisch eingebürgert werden. Egal ob die Frau, die er
geheiratet hat, Deutsch kann, egal ob sie integriert ist und für mich bedeutet halt
der CH-Pass noch was, ich ihn nicht einfach so allen verteilen. Und darum bin
ich in erster Linie dagegen. Zweitens..(spricht über die 37%, die bis jetzt
eingebürgert wurden und aus Ex-Jugoslavien stammen und die haben andere
Kultur, andere Werte, auch gegenüber Frauen, deshalb sei sie auch als Frau
dagegen etc. Publikum applaudiert).
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Allegato 13: Prima pagina de “Il Giornale” del 6.11.2010.
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