"Il teatro delle riviste. Le Théâtre des revues 1870-2000", a cura di Maria Ida Biggi, Marco Consolini, Sophie Lucet, Romain Piana, Arnaud Rykner, Marianna Zannoni, Bari, Edizioni di pagina, 2024
«Teatro e Storia» è una rivista di studi teatrali nata nel 1986, fondata da Fabrizio Cruciani (19... more «Teatro e Storia» è una rivista di studi teatrali nata nel 1986, fondata da Fabrizio Cruciani (1941-1992), Claudio Meldolesi (1942-2009), Ferdinando Taviani (1942-2020), Franco Ruffini, Nicola Savarese, Eugenia Casini Ropa e Daniele Seragnoli. Benché la redazione abbia conosciuto profonde trasformazioni, l’ultima delle quali nel 2020, una delle sue caratteristiche rimane quella di essere un ambiente di studi comuni, di scambi e di discussione.
L'articolo prova a intercettare le strategie che permettono a una rivista di accogliere una pluralità di voci e diventare terreno di discussioni fertili che possano minare convinzioni accettate.
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Libri by Doriana Legge
Scritto nel 1945, il testo viene pubblicato in Italia solo molti anni dopo, nella rivista «Filmcritica» (1959), poi ancora in «Sipario» (1969). Nel 1962 Roberto Rossellini ne cura la messinscena per il Festival di Spoleto. Nel 1963 esce nelle sale francesi il film di Jean-Luc Godard: Les carabiniers. Una storia che si dipana lungo vent’anni cruciali per la cultura italiana ed europea.
Inseguendo I carabinieri il volume indaga i processi culturali in atto durante gli anni del regime, della resistenza e del dopoguerra, ricostruendo attentamente non solo le invenzioni formali e artistiche di Joppolo ma tutto il complesso insieme di relazioni ed eventi che innescano.
Papers by Doriana Legge
En 2016, soit un siècle après la réalisation du film, l'Université de L'Aquila a accueilli le projet d’une sonorisation en live, avec des musiques que j’ai moi-même composées pour l'occasion.
À travers cet article, je souhaite retracer les événements liés au film Cenere, la relation qu'Eleonora Duse entretenait avec le cinéma et ses idées sur les arts nouveaux, en tentant de les imaginer comme le sillon d'un processus qui a mené à la réalisation de la sonorisation du film un siècle plus tard.
Anche quando sembra materialmente assente il silenzio a teatro è evocato come parte della sostanza dei suoni stessi, rintracciabile tra gli interstizi della parola, nel mezzo dei suoi flussi continui. Il saggio si propone di rompere la rigida dicotomia tra suono e silenzio, poiché, come sostiene il sociologo David Le Breton: «la parola è una modulazione del silenzio e il silenzio una modulazione della parola». Accade negli ultimi tempi che la questione del silenzio a teatro venga suggerita da alcune opere che si concentrano prettamente sul suono. A questo proposito si propongono come casi studio due recenti lavori di Chiara Guidi: Monsieur Teste. Una prosa filosofica per contrabbasso, percussione e voce (2016) e Edipo re di Sofocle. Esercizio di memoria per quattro voci femminili (2019). Già in ambito filosofico Jean-Luc Nancy si chiede se la filosofia abbia forzatamente sostituito all’ascolto qualcosa che invece è più vicino all’ordine dell’intendersi (entente); così in queste pagine ci domandiamo quale parola a teatro possa essere intesa come declinazione di vuoti e di pieni, puro attraversamento del silenzio.
In questo numero di «Teatro e Storia» c’è una novità, un “genere” nuovo. Altre volte abbiamo dedicato un dossier a persone o avvenimenti del teatro di oggi. Adesso ne abbiamo voluto sperimentare uno dedicato a un libro. Il caso ha voluto che avessimo tra le mani l’occasione giusta, un grosso volume fortemente extra-quotidiano, I cinque continenti del teatro. Fatti e leggende della cultura materiale dell’attore, di Eugenio Barba e Nicola Savarese, Bari, Edizioni di Pagina, 2017. Un ottimo spunto per discutere, tanto più che è un libro di cui è difficile sapere che dire, è un libro che nasce dalla volontà di spiazzare – e certamente riesce a farlo. Il dossier prevede una serie di brevi interventi sul volume, tutti interni alla redazione, per questo primo tentativo sperimentale, più le parole degli autori, che a loro volta hanno portato con sé un’altra novità, anzi, un caso che rimarrà unico: un inserto di immagini a colori.
Negli anni successivi il regista polacco è una presenza costante in Italia. Attraverso workshop, conferenze e laboratori anima un dibattito che segna un punto di non ritorno per un certo tipo di teatro. Negli stessi anni arrivano in Italia gli spettacoli del Living Theatre e dell’Odin Teatret: il teatro sta cambiando, sta cambiando il suo pubblico.
L’articolo propone una prima analisi del varietà in Italia partendo dalla disanima di alcuni fogli illustrati di inizi Novecento, con uno sguardo privilegiato sulla rivista «Il Café Chantant» e un approfondimento sulla Festa di Piedigrotta a Napoli. Uno dei fili da seguire è proprio quello della canzone: parole e melodie facili da memorizzare e con un potere estremamente persuasivo durante gli anni della propaganda fascista. I materiali raccolti evidenziano questioni importanti fin dagli inizi: l’attenzione di un pubblico sempre più variegato, il rapporto con il teatro di prosa, ma anche le condizioni precarie e degradanti in cui molti artisti di varietà si ritrovano a vivere in vecchiaia. A completare il saggio una scheda su Anna Fougez, diva del varietà in Italia.
Scritto nel 1945, il testo viene pubblicato in Italia solo molti anni dopo, nella rivista «Filmcritica» (1959), poi ancora in «Sipario» (1969). Nel 1962 Roberto Rossellini ne cura la messinscena per il Festival di Spoleto. Nel 1963 esce nelle sale francesi il film di Jean-Luc Godard: Les carabiniers. Una storia che si dipana lungo vent’anni cruciali per la cultura italiana ed europea.
Inseguendo I carabinieri il volume indaga i processi culturali in atto durante gli anni del regime, della resistenza e del dopoguerra, ricostruendo attentamente non solo le invenzioni formali e artistiche di Joppolo ma tutto il complesso insieme di relazioni ed eventi che innescano.
En 2016, soit un siècle après la réalisation du film, l'Université de L'Aquila a accueilli le projet d’une sonorisation en live, avec des musiques que j’ai moi-même composées pour l'occasion.
À travers cet article, je souhaite retracer les événements liés au film Cenere, la relation qu'Eleonora Duse entretenait avec le cinéma et ses idées sur les arts nouveaux, en tentant de les imaginer comme le sillon d'un processus qui a mené à la réalisation de la sonorisation du film un siècle plus tard.
Anche quando sembra materialmente assente il silenzio a teatro è evocato come parte della sostanza dei suoni stessi, rintracciabile tra gli interstizi della parola, nel mezzo dei suoi flussi continui. Il saggio si propone di rompere la rigida dicotomia tra suono e silenzio, poiché, come sostiene il sociologo David Le Breton: «la parola è una modulazione del silenzio e il silenzio una modulazione della parola». Accade negli ultimi tempi che la questione del silenzio a teatro venga suggerita da alcune opere che si concentrano prettamente sul suono. A questo proposito si propongono come casi studio due recenti lavori di Chiara Guidi: Monsieur Teste. Una prosa filosofica per contrabbasso, percussione e voce (2016) e Edipo re di Sofocle. Esercizio di memoria per quattro voci femminili (2019). Già in ambito filosofico Jean-Luc Nancy si chiede se la filosofia abbia forzatamente sostituito all’ascolto qualcosa che invece è più vicino all’ordine dell’intendersi (entente); così in queste pagine ci domandiamo quale parola a teatro possa essere intesa come declinazione di vuoti e di pieni, puro attraversamento del silenzio.
In questo numero di «Teatro e Storia» c’è una novità, un “genere” nuovo. Altre volte abbiamo dedicato un dossier a persone o avvenimenti del teatro di oggi. Adesso ne abbiamo voluto sperimentare uno dedicato a un libro. Il caso ha voluto che avessimo tra le mani l’occasione giusta, un grosso volume fortemente extra-quotidiano, I cinque continenti del teatro. Fatti e leggende della cultura materiale dell’attore, di Eugenio Barba e Nicola Savarese, Bari, Edizioni di Pagina, 2017. Un ottimo spunto per discutere, tanto più che è un libro di cui è difficile sapere che dire, è un libro che nasce dalla volontà di spiazzare – e certamente riesce a farlo. Il dossier prevede una serie di brevi interventi sul volume, tutti interni alla redazione, per questo primo tentativo sperimentale, più le parole degli autori, che a loro volta hanno portato con sé un’altra novità, anzi, un caso che rimarrà unico: un inserto di immagini a colori.
Negli anni successivi il regista polacco è una presenza costante in Italia. Attraverso workshop, conferenze e laboratori anima un dibattito che segna un punto di non ritorno per un certo tipo di teatro. Negli stessi anni arrivano in Italia gli spettacoli del Living Theatre e dell’Odin Teatret: il teatro sta cambiando, sta cambiando il suo pubblico.
L’articolo propone una prima analisi del varietà in Italia partendo dalla disanima di alcuni fogli illustrati di inizi Novecento, con uno sguardo privilegiato sulla rivista «Il Café Chantant» e un approfondimento sulla Festa di Piedigrotta a Napoli. Uno dei fili da seguire è proprio quello della canzone: parole e melodie facili da memorizzare e con un potere estremamente persuasivo durante gli anni della propaganda fascista. I materiali raccolti evidenziano questioni importanti fin dagli inizi: l’attenzione di un pubblico sempre più variegato, il rapporto con il teatro di prosa, ma anche le condizioni precarie e degradanti in cui molti artisti di varietà si ritrovano a vivere in vecchiaia. A completare il saggio una scheda su Anna Fougez, diva del varietà in Italia.
Intellettuale, regista e attrice, attivista nonviolenta e libertaria, è stata allieva di Erwin Piscator al Dramatic Workshop di New York; nel 1947 ha fondato insieme a Julian Beck il Living Theatre, il cui impatto tra gli anni Sessanta e Settanta ha suggestionato non solo il teatro, ma insieme la sua percezione etica e la consapevolezza politica.[...] “Ora”, “adesso”, “NOW”, sono le parole chiave che custodiscono il segreto della vita esemplare e rivoluzionaria di Judith Malina, ma vanno coniugate con altre che le appartengono: “Il passato è una menzogna storica. Il futuro è un sogno. La realtà è adesso”.
L'articolo prova a intercettare le strategie che permettono a una rivista di accogliere una pluralità di voci e diventare terreno di discussioni fertili che possano minare convinzioni accettate.
In this essay, the author proposes on the reasons for a terminological proposal, “staging for the Ear”, through a historical reflection that supports the construction of the auditory experience in its progressive meaning. Just as in the 1920s mediated sound was not limited to being just a component of representation, even today a new dimension of reproduced sound returns to impose itself, which moves from a necessary knowledge to re-establish the modalities of presence and listening.
modo a un loro volume monumentale, Mille Plateaux , il titolo di questo articolo richiamerà sicuramente concetti noti che hanno influenzato il pensiero post-moderno. Meno discussa è stata la loro influenza sul mondo musicale, che invece si è espressa seguendo il tracciato anomalo di certa musica elettronica che proprio in quelle teorie ha trovato un nuovo nervo.
Qui vogliamo indagare in che modo e con quale frequenza alcuni concetti tipicamente deleuziani (territorializzazione, de-territorializzazione, ritornello), possano essere rintracciati nella drammaturgia sonora di Fortebraccio Teatro. Ma non solo, ci interessa ancor più guardare quei lavori alla luce dei suggerimenti di Deleuze e Guattari: d’altra parte – in accordo con Jean-Marc Chouvel – «Deleuze, qui n’était pas musicologue ni musicien, a donné aux musicologues et aux musiciens
3 des outils très puissants pour comprendre leur art»
Negli ultimi decenni, quelli di un XXI secolo in cui il paesaggio sonoro quotidiano (per dirla con riferimento a Murray Schafer) è indubbiamente mutato, la manipolazione dei materiali sonori e il progresso tecnologico-digitale ha permesso la costruzione di imponenti architetture sonore della scena.
Vogliamo analizzare quei lavori in cui il suono non si limita ad accompagnare le immagini, ma inaugura un percorso alternativo attraverso cui costruire e ri-costruire l’opera.
Le successive collaborazioni della Pavlova, con Pietro Sharoff e Nemirovič-Dančenko sembrano il sintomo di una cosiddetta “anima slava” della regista, ma possono considerarsi anche tracce sparse di un’idea di teatro profondamente radicata in Russia, di cui l’attrice porta, consapevolmente o no, qualche frammento in Italia.
La richiesta di considerare la Pavlova come prodotto italiano, da parte di alcuni critici del tempo, pare quindi giustificata, ma apre un cortocircuito tra identità russa e identità italiana che provoca improvvise fratture e fa della Pavlova un soggetto non qualificabile: attrice/regista italiana eppure mai del tutto assimilata ai nostri canoni, attrice/regista straniera eppure così italiana da conquistare onori e cittadinanza. La sua presenza in Italia ha quindi portato frammenti di quello spirito dei grandi teatri d’innovazione, è stata veicolo per una certa visione di Regia teatrale, e soprattutto per l’attenzione verso il ruolo dei maestri.
A distanza di 100 anni dalla prima proiezione, nel 2016, l’Università dell’Aquila ha ospitato una sonorizzazione dal vivo del film, con musiche composte per l’occasione da Doriana Legge, docente di Storia del teatro e musicista. «L’essenza del cinema per la Duse non era tanto l’essere azione meno parole quanto azione più musica» dice Mirella Schino, studiosa che si è occupata a lungo della figura di Eleonora Duse a teatro. Queste riflessioni sono state il punto di partenza per inaugurare un percorso di sonorizzazione del film che tenesse conto delle particolarità dell’attrice, di quello che in molti hanno definito “dolorismo” e di quella voce che, seppur muta, emerge attraverso gesti e micro-azioni.
Attraverso l’uso di strumenti acustici, suoni ambientali, voce e tessiture elettroniche si modellano quadri sonori che rispondono ai frammenti visivi e al particolare ritmo di recitazione proprio dell’attrice. Lo spettacolo diventa dunque doppio, cinematico e crossmediale; grazie alla visione di alcuni frammenti del film, accompagnati dall’esecuzione dal vivo (o dalla riproduzione delle musiche nda) si proverà a tracciare un percorso di indagine interdisciplinare tra teatro, cinema e musica seguendo il filo rosso del presunto “dolorismo” di Eleonora Duse.
Negli ultimi decenni, quelli di un XXI secolo in cui il paesaggio sonoro quotidiano (per dirla con riferimento a Murray Schafer) è indubbiamente mutato, la manipolazione dei materiali sonori e il progresso tecnologico-digitale ha permesso la costruzione di imponenti architetture sonore della scena.
Vogliamo analizzare quei lavori in cui il suono non si limita ad accompagnare le immagini, ma inaugura un percorso alternativo attraverso cui costruire e ri-costruire l’opera.
Le pratiche sceniche contemporanee diventano il terreno in cui molti artisti, sound designer, registi usano il suono come strumento che attiva la sensibilità estetica dello spettatore, riflettendo insieme sulla natura fenomenologica del suono stesso. Nel campo della filosofia delle percezione, ad esempio Casati e Dokic hanno riflettuto sull’esperienza uditiva in relazione allo spazio, evidenziando tre gruppi di teorie: quelle distali per cui il suono è la vibrazione stessa dell’oggetto che lo ha prodotto; le teorie mediali che localizzano il suono come onda sonora e lo collocano nell'aria (o in un altro mezzo di propagazione); le teorie prossimali per cui il suono è nel sistema uditivo di colui ascolta, o meglio è considerato come manifestazione interna e prossimale che avviene negli organi di senso (apparato uditivo) e nel nostro cervello. Attraverso alcune di queste suggestioni possiamo dunque riflettere su alcuni lavori che prenderemo come case studies: pensiamo ad esempio al neo-primitivismo digitale di cui parla Black Fanfare (Demetrio Castellucci, compositore di Dewey Dell) che in uno degli ultimi spettacoli, I’m within (2017), ha lavorato sulla materialità del suono a partire dal mondo acquatico, in particolar modo quello cetaceo, usando basse frequenze ben oltre la soglia del percettibile uditivo.
Altro caso è quello del compositore e artista giapponese Ryoji Ikeda che in Music for percussions (2018) abbandona l’energia acustica dei suoi lavori precedenti e invita lo spettatore a prendere parte a una liturgia in cui si passa dal silenzio a un magma acustico e sorprendentemente mobile, creato da quattro percussionisti in scena.
Attraverso alcuni di questi case studies proveremo a analizzare il ruolo della tessitura sonora come pratica attiva e creatrice del disegno registico del XXI secolo, facendo riferimento a un orizzonte di studi che negli ultimi anni sta conquistando una propria solidità.
Giornata di studi. Dipartimento di Scienze Umane – Università dell’Aquila
Mercoledì 27 marzo 2019
Nel giugno del 1962 al Festival di Spoleto, il testo è presentato - dopo vent’anni - come una “novità” italiana, la regia è di Roberto Rossellini, le scene di Renato Guttuso. In quell’occasione Jean-Luc Godard conosce la pièce di Joppolo: un incontro mediato, eppure solo virtuale. Rossellini racconta al regista francese l’avventura de I carabinieri come una favola, giorno per giorno ritornando da Spoleto mentre Godard era ospite nella sua villa sull’Appia, in quell’estate del 1962.
Il caso del film Les carabiniers (1963), che Godard girerà qualche mese dopo, è allora straordinario. Il regista non legge il testo eppure riesce sul grande schermo a dar vita a quella poetica joppoliana di un assurdo-reale, personaggi che si sgretolano o che consistenza non hanno mai avuto. Jean-Luc Godard ricerca una maniera oggettiva di filmare la guerra, un antidoto poetico e grottesco insieme per l’infezione della società. Questa convergenza di due personalità tanto distanti è un dato che aiuta anche a capire meglio le profonde ragioni per le quali una pièce come I carabinieri continua a rivitalizzarsi a distanza di anni, in contesti diversi, in periodi storici così lontani.
Il film però non si esaurisce in questo paragone, anzi è un prodotto tipicamente godardiano dove il regista sperimenta modi e forme che torneranno nei suoi lavori successivi. Questo film è uno dei meno conosciuti e poco analizzati dell’intera filmografia del regista. È l’insuccesso più eclatante dell’intera produzione godardiana giudicato con estrema severità dalla critica cinematografica. In Francia il film esce il 31 maggio del 1963. Al botteghino si contano 18 spettatori paganti.
English version:
Doriana Legge, A mediated meeting. From I carabinieri di Beniamino Joppolo to Godard’s film, passing through Rossellini
Meetings between a director and a text are never accidental. They replay to an urgency, to an intellectual love very hard to be achieved.
I carabinieri is a text written by Sicilian writer Beniamino Joppolo. The first version of the work goes back to 1945 but it was published later, in 1954 in France and in 1959 in Italy.
In 1962, during the Spoleto Festival and after twenty years, the work was presented as a new Italian play. The director was Roberto Rossellini, the sets were designed by Renato Guttuso.
On that occasion, Jean-Luc Godard knew Joppolo’s pièce. An indirect and virtual meeting.
Rosselini told French director the story of I carabinieri. He narrated the whole work in an amazing way that the result of the film of Godard, Les Carabiniers (1963), was extraordinary.
The director didn’t read Joppolo’s work but was able to show his poetics of the absurd. Godard films objectively the war, a poetic and grotesque antidote to contaminations of society.
This film is one of the less famous works of Godard and its screening was a failure.
In France, the film came out in May 1963. Paying spectators were only18.
Nel giugno del 1962 al Festival di Spoleto, l’opera è presentata – dopo vent’anni – come una “novità” italiana, la regia è di Roberto Rossellini, le scene di Renato Guttuso. In quell’occasione Jean-Luc Godard, che è ospite di Rossellini nella sua villa sull’Appia, conosce la pièce di Joppolo. Appena qualche mese dopo esce nelle sale Les carabiniers (1963): «un film contro i film di guerra (per mostrare com’è veramente la guerra)». Godard attraverso le vicende de I carabinieri – così come già aveva fatto in Le petit soldat (1960) – riflette sul conflitto d’Algeria che aveva logorato la Francia intera. Nelle voci di Joppolo, Rossellini e Godard, attraverso diverse epoche e storie, la guerra si trasforma in un nonsenso che mescola i torti e le ragioni restituendoci un racconto dove è impossibile trovare un innocente, dove pesa la paura e il fascino del possesso.
Lo spazio sonoro si articola in cicli di tensione e livelli di rilassamento con l’ausilio di complesse microfonazioni, l’uso di effettistica (delay, chorus, riverberi) e la restituzione della forma tridimensionale del suono (aurofonia ideata da Paolo Carrer per Desdemona e Otello sono morti – 2009). Ma è ne I giganti della montagna, e in maniera più evidente nel Cantico dei cantici, che il performer/dj Latini si fa medium di una parola altrui (proprio come un dj dietro una consolle) e allo stesso tempo creatore di una propria, sollecitando in chi osserva un cortocircuito di significati quando questi due elementi si dividono la stessa superficie. Le relazioni tra i suoni quindi sembrano avere maggiore dignità ontologica dei suoni stessi. Seguendo il filo delle riflessioni di Deleuze e Guattari, possiamo dire che la dimensione sonora degli spettacoli di Fortebraccio teatro appare come l’alternarsi di territorializzazioni e liberazioni, dove il tempo non è più spazializzato, graficizzato da segni formali, ma concepito piuttosto come un flusso immersivo. Si alternano quindi: da un lato un piano di organizzazione del suono, che trova compimento in quei momenti-concerto dalle temperature emotive incandescenti; dall’altro un senso di apertura nella direzione della molteplicità e della non-narratività, dove i suoni non sono meramente funzionali, ma enti di immaginazione, flussi indefiniti e continuum di intensità.
Le successive collaborazioni della Pavlova, con Pietro Sharoff e Nemirovič-Dančenko sembrano il sintomo di una cosiddetta “anima slava” della regista, ma possono considerarsi anche tracce sparse di un’idea di teatro profondamente radicata in Russia, di cui l’attrice porta, consapevolmente o no, qualche frammento in Italia.
La richiesta di considerare la Pavlova come prodotto italiano, da parte di alcuni critici del tempo, pare quindi giustificata, ma apre un cortocircuito tra identità russa e italiana che provoca improvvise fratture e fa della Pavlova un soggetto non qualificabile: attrice/regista italiana eppure mai del tutto assimilata ai nostri canoni, attrice/regista straniera eppure così italiana da conquistare onori e cittadinanza. La sua presenza in Italia ha quindi portato frammenti di quello spirito dei grandi teatri d’innovazione, è stata veicolo per una certa visione di Regia teatrale, ma soprattutto per l’attenzione verso il ruolo dei maestri nel nostro paese.
Conferenza tenuta all'interno delle Giornate di Studi tra lettere e teatro organizzate al Dams di RomaTre.
the American artist to the city of L'Aquila, a work connected to the restoration and recovery
of the Basilica of Collemaggio and the adjacent Parco del Sole.
The reportage takes shape from the artist's speech in his studio in Todi, from work tools,
first sketches and models. It shows the birth of the idea and the work. The images of the Parco del Sole
in L'Aquila will illustrate the transformation of the place and the construction of the work.
The Beverly Pepper project is a very courageous work of art, above all because of its significance
and because of the relationship it will have with the city. An artistic idea that,
adapting to the place, in delicate balance, adapting it, re-design it in new forms.
FILM DI SILHOUTTE D’ANIMAZIONE DI LOTTE REINIGER
SONORIZZAZIONE DAL VIVO DI DORIANA LEGGE
Quando parliamo delle origini del moderno film d'animazione è d’obbligo riferirci al lavoro di Lotte Reiniger (1899 – 1981), creatrice di circa quaranta film di silhouette tra il 1910 e gli anni 1970. Sono fiabe dagli aspetti onirici e visionari, storie della tradizione europea che rivivono nelle opere della regista, che segna l’avanguardia cinematografica del Novecento. Quello di Lotte Reiniger è un linguaggio visivo e formalmente autonomo, che apre nuovi orizzonti per una moderna forma di espressione tra arte, fiabe e cultura popolare.
Con l’avvento del cinema sonoro la regista inizia a esplorare le possibilità creative tra musica e immagini. Di fatto il progetto di sonorizzazione dal vivo - con le musiche originali di Doriana Legge e la partecipazione di Flavia Massimo al violoncello - vuole rifarsi a quell’artigianato fiabesco proprio della regista.
Doriana Legge, musicista e compositrice è anche docente di Storia del teatro presso l’Università degli studi dell’Aquila. Per questo lavoro ha unito le sue diverse sensibilità artistiche e professionali creando una drammaturgia sonora strettamente legata al mondo fiabesco evocato dalla Reiniger. La musica non è più semplice sostegno della drammaturgia visiva ma una strada alternativa più complessa per una diversa lettura delle opere.
Il progetto si articola attorno alla sonorizzazione di quattro cortometraggi, meglio definiti come film di silhouette, che appartengono a diverse fasi del lavoro di Lotte Reiniger
1922 Cenerentola (Cinderella)– tratto dalla fiaba dei Fratelli Grimm
1954 La Formica E La Cicala (The Grasshopper And The Ant)– tratto dalla fiaba di Jean de La Fointaine
1954 Il Cavallo Magico (The Magic Horse) – è un estratto dal lungometraggio Le Avventure Del Principe Achmed
1955 Jack E Il Fagiolo Magico (Jack and the Beanstalk) – basato su una fiaba popolare inglese, con silhouette nere su sfondo a colori.
residenza Teatro Nobelperlapace
con il Patrocinio di:
Regione Abruzzo, Comune di San Demetrio ne' Vestini
a.a. 2020/2021
Dipartimento di Scienze Umane (Università degli studi dell'Aquila)