domenica 15 settembre 2013

Burrocacao

Quanto le piace quella borsa NONUGUALE, ho fatto 160 km andata e ritorno per prenderla.
Quanto le piace e a me basta.
Un unico difetto, era grande, e più una borsa è grande più cose entrano, e lei certo non si fa pregare e ci butta dentro di tutto. 
Pacchetti di sigarette aperti, finiti, ancora da aprire, fazzoletti di carta usati, ancora da usare, carte di gomme, pacchetti di gomme, gomme uscite fuori dal pacchetto, mascara, lingue di carta che si usano per provare i profumi, chiavi di casa, della macchina, dell'ufficio, il borsellino, i cellulari, un assorbente e dulcis in fundo, il burrocacao.
A. " cosa stai cercando? è mezzora che rovisti"
C, "il burrocacao"
A. "tieni ti do il mio"
C. " ma l'ho visto tre secondi fa"
A. "scusa, eccolo, prendi il mio"
C. "no voglio il mio"
A. "fa un po come cazzo ti pare"
Altro difetto di queste minchia di borse, dovrebbero riempirle di scomparti, di divisori, magari quelli che ti puoi scegliere tu dove metterli, a tuo piacere. Invece no, sono come otri con una minuscola tasca di lato che vengono riempiti di ogni sorta di cose. 
Come, il cervello. 
Lo riempiamo di mille stronzate senza archiviarle che poi quando devi andare a cercare quello che veramente è importate sembra un impresa di altri tempi, come quando uno scalò l'Everest nel '53. Quando cerchi qualcosa di importante ti servono gli sherpa e pure qualche yak per poterci caricare qualche scoria di troppo. Poi quando l'hai trovata devi pure essere capace a scendere con quella cosa sulle spalle cercando di non farla cadere e portarla alla luce e sperare che ancora quella cosa ti sia utile.

Essi, se fossimo capaci di archiviare dentro di noi le cose importanti sarebbe facile poi ritrovarle, così alla stessa stregua se riempissimo un po meno le nostre borse grandi di cose inutili, il burrocacao lo troveremmo subito e addio labbra screpolate.


martedì 29 maggio 2012

3/4

faccio parte di quel trequarti di palazzina abitata da uno che è stato mandato affanculo e vi dico una cosa....
NON ME LO MERITO...

mercoledì 22 febbraio 2012

dentro un faro

quand'è che uno si sente veramente solo? quand'è che un uomo è veramente solo?
ti riempi la vita di cose da fare, corri e rincorri il tempo, i minuti, le ore...persone da incontrare, caffè da prendere, amici e amiche da ascoltare e chiacchierare, i pranzi e le cene...il tuo corpo che ti manda affanculo ogni volta che cerchi invano una sigaretta nella tasca bucata del giubbotto,e ogni volta sei costretto a chiamare il soccorso speleologico per estrarre una minchia di sigaretta dalle caverne del tuo giubbotto e ogni volta la pausa sigaretta finisce ancor prima di metterti in bocca la tua sana dose di nicotina e ogni volta prometti a te stesso che le sigarette non le metterai più nella tasca sinistra...promesse mai mantenute...
ti accorgi che il tempo è fottutamente veloce, ti accorgi che la vita è meravigliosamente crudele...
vita che se ne va, vita che arriva...
chi ci capisce è bravo, possiamo solo manovrare la nostra canoa uno po più a destra o un po più a sinistra o semplicemente tenere la barra dritta con tutta la forza che si ha nelle braccia. Sei sempre tu che conduci ma non tu che la fai muovere...
Scopi, fai l'amore, ti arrabbi per un messaggio non ricevuto, sei in trepidazione per una telefonata che non arriverà, aspetti solo la primavera che tutto fa rinascere sperando che il prossimo parto sia il tuo o perlomeno che tu sia il padre.
In macchina alle 2 e mezza del mattino con rtl 102 e 5 nelle orecchie, la puzza di fumo ancora nel naso, speri con tutto te stesso che davanti a te spunti una macchina dagli occhi rossi che faccia un tantino di strada con te, che ti preceda nel buio, che apra l'aria, che guardi la tua macchina dagli occhi bianchi e che imprechi "Abbassa sta minchia di fari che sembra di stare dentro un faro...e vaffanculo"

giovedì 21 aprile 2011

ne valeva la pena

aspettare, aspettare, aspettare....era una vita che aspettava, perfino quando doveva nascere aveva aspettato. Sua madre, per il lungo travaglio e non so per quale cazzo di ormone o istinto animale, le aveva stretto la testa con la cervice uterina e quando finalmente aveva visto la luce, agli occhi di tutti appariva con una pera proprio sulla testa. Un rigonfiamento che le faceva la testa come quella di un indigeno del borneo. Si era abituato, i suoi occhi ormai erano allenati e nelle lunghe, lunghe pause di attesa, come una moderna telecamera avevano preso a guardare, osservare qualsiasi cosa...una macchina gialla, tre grige, una di mille colori, una cornacchia appoggiata al palo della luce, 24 ragazzi che uscivano da una scuola, uno che correva con un mp3 alle orecchie e un passo da maratonete leggermente zoppo dalla gamba destra e così via fino a quando il suono sintetico di un cellulare da 39 euro lo informava che poteva entrare.
E lui, prendeva la borsa di cuoio dal sedile posteriore, toglieva la chiave dal rocchetto, apriva la portiera della macchina, faceva scattare la chiusura centralizzata e si avviava verso il portone. Saliva i 64 gradini, bussava alla porta di noce scuro interno 8, e tutte le volte non faceva che domandarsi "ma perchè cazzo non mi lascia la porta socchiusa, visto che ha tutto il tempo di 64 gradinidelcazzo" e la risposta che trovava era sempre quella "Mio caro Andrea, devi saper aspettare"...
Oramai le attese le sembravano passassero come al cinema, lui seduto in macchina e il mondo che si muoveva intorno a lui immobile, solo gli occhi seguivano quel susseguirsi di persone e cose e nuvole e tempo. Tutte le volte era così, aspettare, aspettare, sms, 64 gradini, aspettettare e finalmente la porta si apriva...
Sembrava che il tempo di colpo avesse scelto lui come controllore del proprio trascorrere.
Solo che lui il proprio trascorrere lo percepiva guardando gli altri...e guardando gli altri pensò a come uscirne...
Aspettare, aspettare, aspettare, niente sms, borsa, chiave, chiusura centralizzata, portone, 64 gradini del cazzo, porta noce scuro interno 8, aprì con la chiave che gentilmente gli era stata concessa, andò in cucina aprì il gas chiuse tutte le finestre, spense le luci, chiuse la porta dietro di se e ritornò in macchina.
La vide salire le scale, seguì i suoi piedi su ogni singolo scalino, aspettò e vide scoppiare il palazzo davanti ai suoi occhi che riuscirono a percepire tutte le sfumature del bagliore che ne seguì. Accese la macchina e ritornò verso casa e per la prima volta in vita sua, per la prima cazzo di volta in vita sua si disse "VALEVA LA PENA ASPETTARE TANTO"

mercoledì 22 dicembre 2010

ma...paura

era innamorata, era stata innamorata...e non lo sarebbe più stata. Una promessa lanciata nel vento e approdata chissà dove.
Le aveva trapassato il petto con quel rifiuto a continuare una storia che per lei sapeva di futuro, di cucina, di fornelli, di lavandini pieni di piatti sporchi e lasciati lì in attesa di una pausa della loro passione...
Glielo aveva detto in una giornata di maggio, "basta, mi sono stufato"...secco e ruvido come uno straccio per lavare per terra seccato al sole d'agosto, che puzza ancora di olio e polvere. Non aveva dato altre spiegazioni, forse neanche le aveva, forse erano fin troppo banali e attaccabili, forse l'insindacabilità del "misonostufato" era tutto quello che poteva concedersi. E l'aveva lasciata a sedere sulla panchina verde, aveva girato le spalle, messo in moto la macchina e ciao.
Non provò neanche a piangere, lei, i suoi 26 anni di vita vissuta intensamente e con tanti cazzi per il culo come una cinquantenne, le avevano messo addosso un pò di cemento e ferro. Decise lì su quella panchina quello che avrebbe dovuto fare, per togliersi di dosso quel senso di rimorso...avrebbe fatto agli altri quello che lui aveva fatto a lei...Lui non esisteva più, neanche si ricordava il nome, lui sarebbe diventato gli altri.
Non ci mise neanche tanto a trovare il primo tordo di turno, sapeva della sua forza, sapeva che poteva far arrivare al limite un uomo, sapeva che poteva legarlo a lei senza neanche sfiorarlo (se solo non avesse abbassato la guardi con...) ...paziente paziente portava avanti queste sue storie, aspettava solo che loro le dicessero che avevano perso la testa per lei e si erano innamorati e senza tante spiegazioni mortificava il loro orgoglio con un "basta, misonostufata".
Era divertente, era pazzamente gratificante, era orrendo ma niente le era servito più di questo.
Solo che ad un certo punto si accorse che il contrario di amore non è odio, ma...
PAURA

giovedì 4 novembre 2010

73/

L'italia nel cuor....ecc..quello...che..s.
Antonello Priten...per il tuo comune

tutto quello che riuscì a leggere in quel rimasuglio di manifesto elettorale di chi sa quali elezioni, affisso abusivamente alla pensilina degli autobus. Il 73 barrato si faceva aspettare più del necessario e il tempo cominciava ad imprecare al posto suo. L'asfalto bagnato dalle secchiate di acqua della mattina mandava un sapore di olio e benzina, le pozzanghere di acqua nera erano solcate da ruote affamate di kilometri e ad ogni passaggio perdevano un po di quell'orrore. Il cielo era ancora pieno di cumulonembi carichi che aspettavano chissà quale comando per scaricare a terra tutta la pioggia che tenevano in grenbo, i suoi occhi si fissarono su un uomo che portava a pisciare il suo meticcio bastardo , lo seguiva con lo sguardo incurante del bus che stava arrivando e non riusciva a muovere nulla nel suo corpo. I pensieri erano persi, andati in anfratti del cervello troppo bui per tornare indietro. Bus passato. Tempo che ormai bestemmiava cristi che neanche conosceva. A suo ricordo niente lo rese più incazzato della visione del retro del 73 barrato che si allontanava, non provò nemmeno a correre, era una questione di dignità e orgoglio tutto maschile. La vista si spostò leggermente verso sinistra, su una porche Cayenne che arrivava a tutta velocità dalla curva, non si accorse nemmeno dell'immensa pozzanghera di terrore che riposava sul ciglio della strada. La porche si trasformo in un motoscafo che alzò uno tzunami di merda. Passata la macchina si accorse che tutto quello schifo aveva colpito in pieno quel bastardo e il suo cane. Ancora lo sentiva imprecare da lontano mentre camminando verso casa si accorse che stava ridendo a crepapelle. Di cuore e di cattiveria. Che soddisfazione la cattiveria, ti risolve le giornate...

mercoledì 20 ottobre 2010

il primo caffè

aveva messo l'ultima vite per tenere attaccato alla barra omega quel cazzo di pannello di cartongesso, e le ultime viti sono sempre le peggiori, perchè hai il braccio stanco, perchè con questa minchia di freddo le dita hanno perso la sensibilità, perchè non vedi l'ora di sbatterti via la polvere bianca di gesso dai capelli, perchè lavorare fino alle 4 della mattina è roba da girone infernale, ma il lavoro deve essere finito in fretta. Lavoro a cottimo, lavoro di merda, lavoro fottutamente necessario.
Con le dita bianche frugò le tasche in cerca di una Camel Blu che non si faceva trovare. Trovò invece il pacchetto vuoto, un nervoso da astinenza cominciò a salirgli dalle ginocchia. L'unico pensiero era trovare un distributore automantico, meglio ancora un bar aperto con annessa tabaccheria. Il pensiero di un caffè bollente e una sigaretta in qualche modo lo rassicurava. Girò per la città indispettito da tutto quel vuoto e dai lampioni di luce gialla. Si fermò davanti ad un bar-tabacchi che conosceva fin da bambino, era aperto. Entrò senza salutare, si impalò ebete davanti alla cassa aspettando che quella stronza donna anziana si degnasse di servirlo...Un pacchetto di Camel blu e un caffè...
il caffè era pessimo, forse perchè il primo o il secondo che quella macchina aveva fatto, ma la sigaretta dopo lo rimise al mondo. Il suo cervello finalmente aveva altro a cui pensare. Ricordò che aveva fatto l'amore, aveva scopato con la tipa. Non si erano più sentiti. Lei lo faceva sentire bene, lo faceva ridere, con lei il suo cervello si spegneva, smetteva di elaborare pensieri e di farsi domande ed era maledettamente eccitante, forse anche troppo. Era diventato un tarlo nella sua testa, non riusciva a capire il perchè, eppure era stato lui a dirle, di non farsi tante illusioni, che non era il momento di una storia, eppure le era entrata dentro.
Suonò il telefono...
"pronto"
"Ohi, sei sveglio?"
"Si...."
"Senti.....non ci possiamo più vedere..."
"Certo che non si possiamo più vedere, mi sto innamorando di te e non me lo posso permettere"
"...ma, lo dici così..."
"Addio, Sabri."
il telefono riprese a squillare, ma già un'altra sigaretta aveva rimesso in circolo il giusto tasso di pensieri e nicotina...