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Andropono e Conrado

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Andropono e Conrado
Lingua orig.Italiano
AutoreLudovico Ariosto (Orlando furioso)
Caratteristiche immaginarie
Specieumana
SessoMaschi
Luogo di nascitaGrecia (Andropono), Germania (Conrado)
Professioneguerrieri
Affiliazionecontingente greco e contingente tedesco dell'esercito cristiano

Andropono e Conrado sono due personaggi dell'Orlando furioso di Ludovico Ariosto, citati in un'ottava del diciottesimo canto.

La vicenda dei due personaggi

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Andropono e Conrado sono due soldati cristiani accorsi in aiuto di Carlo Magno assediato in Parigi dai Mori di Agramante. Il primo è di origine greca, l'altro tedesca.

Andropono e Conrado vengono uccisi nella loro tenda, mentre dormono ubriachi, dal saraceno Cloridano, che ha fatto un'irruzione notturna nel campo nemico alla ricerca del corpo del suo comandante Dardinello, da poco caduto in combattimento. Il poeta non fornisce dettagli sulla loro uccisione, tuttavia il verbo "spenge", riferito all'azione omicida da parte di Cloridano, fa pensare a una morte dagli effetti lenti, di cui i due comunque non si accorgono.

 " [...] un Greco ed un Tedesco
spenge in dui colpi, Andropono e Conrado.
che de la notte avean goduto al fresco
gran parte, or con la tazza, ora col dado:
felici, se vegghiar sapeano a desco
fin che de l'Indo il sol passassi il guado.
Ma non potria negli uomini il destino,
se del futuro ognun fosse indovino. "

(Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, canto XVIII, ottava 177)

Interpretazione dell'episodio

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La fonte cui ha attinto Ariosto è il nono libro dell'Eneide, in cui i due ragazzi troiani Eurialo e Niso uccidono un gruppo di giovani Rutuli addormentati. In particolare Andropono e Conrado ricordano il giovinetto Serrano; anch'egli infatti ha ceduto al sonno dopo aver passato l'intera notte a banchettare e giocare:

 " e lo scudiero di Remo uccide, e l'auriga, coltolo proprio
tra i cavalli, e col ferro recide i colli penzoloni;
indi taglia la testa al loro signore, e ne abbandona il tronco
che sussulta nel sangue; intiepiditi la terra e il giaciglio
si intridono del nero fiotto. E anche Lamiro e Lamo
e il giovane Serrano, che molto assai quella notte
aveva giocato, di nobile aspetto, e giaceva affranto le membra
dal soverchio iddio; fortunato, se continuo quel gioco
avesse agguagliato alla notte e protratto fino all'albore "

(Virgilio, Eneide, canto IX, traduzione di Riccardo Scarcia)

Voci correlate

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