Coordinate: 37°53′29.11″N 22°52′15.32″E

Acrocorinto

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Acrocorinto
 greco Ακροκόρινθος
(Corinto alta)
Le porte fortificate dell'Acrocorinto viste da ovest, come furono ricostruite dai Veneziani
CiviltàAntica Grecia
UtilizzoAcropoli
Stilearchitettura bizantina
EpocaPeriodo arcaico
Localizzazione
StatoGrecia (bandiera) Grecia
ComuneCorinto
Altitudine575 m s.l.m.
Mappa di localizzazione
Map

L'Acrocorinto (greco Ακροκόρινθος), traducibile come "Corinto alta", è l'acropoli dell'antica Corinto. Si trova su uno sperone roccioso che domina la città di Corinto. Secondo John Boardman "È la più impressionante delle acropoli della Grecia continentale".[1]

Mappa di acrocorinto
L’Acrocorinto sullo sfondo, dietro il tempio di Apollo

Acrocorinto fu occupato in modo continuativo dal periodo arcaico fino ai primi anni del XIX secolo. L'acropoli arcaica, già facilmente difendibile a causa della posizione, fu anche grandemente fortificata in periodo bizantino, in quanto sede dello strategos del thema di Ellade e poi di quello di Peloponneso. Durante la Quarta crociata fu difeso per tre anni da Leone Sguro.

In seguito divenne una fortezza del principato di Acaia, poi dei Veneziani e infine degli Ottomani. Grazie alla sua sorgente, l'Acrocorinto fu usato come ultima linea di difesa del Peloponneso in quanto sorgeva molto vicino all'Istmo di Corinto, che collegava la penisola al resto della Grecia, bloccando l'accesso al Peloponneso stesso ai nemici. Le difese erette dall'uomo consistevano di tre cinte di mura; la parte più alta del sito era stata la sede di un tempio di Afrodite, che fu poi convertito in una chiesa e poi ancora in una moschea. La American School of Classical Studies di Atene iniziò gli scavi nel 1929; al giorno d'oggi l'Acrocorinto è uno dei più importanti castelli medievali della Grecia.

Pausania descrive così i monumenti dell'Acrocorinto:

«Salendo all’Acrocorinto (è questa la cima del monte, che domina la città, la quale nel giudizio, di cui parlai, fu data da Briareo al Sole, e da questo come i Corintj dicono fu concessa a Venere) salendo pertanto all'Acrocorinto, vi sono i sacri recinti d'Iside: chiamano una di queste Pelagia, l'altra Egizia: e due altri recinti vi sono di Serapide, il secondo de' quali è sacro a quello, che Serapide di Canobo addimandasi. Dopo questi veggonsi le are edificate in onore del Sole, ed il tempio della Necessità, e della Forza, nel quale non è lecito entrare. Di là da questo havvi il tempio della Madre degl'Iddii, ed in esso un cippo, ed un seggio, ambo di pietra. Ne' templi poi delle Parche, e di Cerere, e Proserpina le statue non sono visibili. In questo luogo è ancora il tempio di Giunone Bunèa eretto da Buno figliuolo di Mercurio, e perciò la Dea si chiama Bunèa. E continuando a salire all'Acrocorinto si trova il tempio di Venere, nel quale sono la statua della Dea stessa armata, quella del Sole, e quella dell'Amore coll'arco.»

In un mito corinzio del II secolo d.C. si raccontava che Briareo, uno degli Ecatonchiri, fece da arbitro in una disputa tra Poseidone ed Elio (il mare ed il Sole): egli stabilì che l'Istmo sarebbe toccato a Poseidone, mentre l'acropoli di Corinto ad Elio[2]

«Dicono pertanto i Corinti, che Nettuno venne a contesa col Sole per la loro terra; ma il loro mediatore Briareo decise, che l'istmo, e la terra a quello confinante fosse di Nettuno, e che la rupe, la qua- le domina la città appartenesse al sole. Da quel tempo dicono, che l'istmo appartenga a Nettuno.»

La fonte Pirene superiore si trovava all'interno delle mura dell'Acrocorinto: "Si racconta che la sorgente, che è dietro al tempio, fu un dono di Asopo a Sisifo. Quest'ultimo, così dice la leggenda, venne a sapere che Zeus aveva rapito Egina, la figlia di Asopo, ma rifiutò di dare il nome ad Asopo prima di aver ricevuto una sorgente sull'Acrocorinto"[3]

Galleria d'immagini

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  1. ^ John Boardman, Jasper Griffin, Oswyn Murray, Greece and the Hellenistic World (Oxford History of the Classical World) 1988, vol. I p. 31.
  2. ^ Pausania, Periegesi dell'Ellade, 2.1.6., 2.4.7
  3. ^ Pausania, Periegesi dell'Ellade, 2.5.1.

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